Anno I - n. 4 - Trimestrale Ottobre / Novembre / Dicembre ... · Una radice di pietra e di mare...

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Anno I - n. 4 - Trimestrale Ottobre / Novembre / Dicembre 2005 uro 1,00 Il sogno e il segno di un Vescovo Pier Paolo Pasolini Il mondo senza Appuntamenti Albert Camus e la filosofia del Mediterraneo Italo Calvino e il cinema L’antropologia storica nell’era postmoderna “I due preti” di Enzo Lauretta “Calabria Antica” Rubrica di Domenico Coppola L’Associazione SOS Yugoslavia Italia L’auto Eolo che non c’è più Inediti Poesie e Racconti Le novità della Città del Sole Edizioni Direzione, redazione, amministrazione: Via Ravagnese Superiore, 60 89067 RAVAGNESE (REGGIO CALABRIA - CITTA’ DEL BERGAMOTTO) Tel. 0965644464 - Fax 0965630176 - E-mail:[email protected] - www.cittadelsoledizioni.it Cile e Argentina: 30 anni dopo La memoria e la giustizia ETTERE ERIDIANE M L Una radice di pietra e di mare più forte della diversità delle rive (Franco Cassano) l altra reggio de

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Anno I - n. 4 - Trimestrale Ottobre / Novembre / Dicembre 2005

€€uro 1,00

Il sogno e il segno di un VescovoPier Paolo Pasolini

Il mondo senza

Appuntamenti

Albert Camus e la filosofia

del Mediterraneo

Italo Calvinoe il cinema

L’antropologia storicanell’era postmoderna

“I due preti” di Enzo Lauretta

“Calabria Antica”Rubrica di Domenico

Coppola

L’Associazione SOSYugoslavia Italia

L’auto Eolo che non c’è più

Inediti Poesie e Racconti

Le novità della Città del Sole Edizioni

Direzione, redazione, amministrazione: Via Ravagnese Superiore, 60 89067 RAVAGNESE (REGGIO CALABRIA - CITTA’ DEL BERGAMOTTO)

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Cile e Argentina: 30 anni dopoLa memoria e la giustizia

ETTEREERIDIANEML

Una radice di pietra e di mare più forte della diversità delle rive (Franco Cassano)

laltrareggiode

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Il ponte fa male alla salute?SS orprende non poco che nella vostra rivista azzurra tutti gli scrittori si siano dichiarati contro il Ponte…Come mai?

Ricordo che in anni recenti la poderosa costruzione del Porto di Gioia Tauro, progettata e diretta da ingegneri regginidel Genio Civile per decisione di un uomo politico di sinistra, il ministro socialista Giacomo Mancini, suscitò ribellioni, con-trasti, maledizioni in nome dell’ambiente, del paesaggio, della storia etc. Ed era verissimo che il porto avrebbe mutato ilclima, il paesaggio e l’ambiente…Ma il porto fu fatto! Oggi è uno dei più importanti nelMediterraneo, opera – ricordiamolo- di un politico cosentino e di alcuni ingegneri reggini.Chi parla più del porto per condannarlo? Chi lo vuole distruggere? Chi dice che esso èstato un danno per la Calabria? Proprio nessuno! E perché? Perché la forza delle idee giu-ste ha ragione, sempre.

E allora perché il Ponte fa male alla salute?Si affermano teoremi poco validi, poco persuasivi, poco seri, diciamo alla verità. Un’i-

sola intera, la più grande isola del Mediterraneo, desidera il Ponte, sì da unire l’Africaall’Europa… E noi ci opporremo perché siamo di sinistra? Il bello e il comico è che lasinistra siciliana grida che vuole il Ponte! Da noi è stata imposta una sinistra che non lovuole. Vai a capire…

Troppa poesia in Calabria

CC aro Direttore, a parte le ho già spedito un mio pensiero sul Ponte, che non è ilPonte del Diavolo…

Ora desidero dirLe qualche idea sull’editoria in Calabria.Aggredisco la questione dalle corna: siamo certi che tutto quello che si stampa in

regione è degno di essere pubblicato? Se così fosse la Calabria sarebbe degna non di uno,ma di numerosi premi Nobel per la letteratura…

Non è così purtroppo! Troppa carta stampata, troppa faciloneria, troppi denari di autoriche credono di essere o di diventare qualcuno. E poi troppa, troppa poesia!

Che fare?Io mi sottraggo all’autocritica, in questo la saggistica è forse, dico forse, immune dal

virus calami. Non ho mai stampato poesie!Un modo duro, ma impopolare, è di non pubblicare poesie per almeno 5 anni, per

vedere come si mettono le cose…Il mio è un pensiero certamente cattivo, anzi cattivissimo, ma vale come medicina d’urto…

Prof. Franco Mosino

2 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

M

UU no tra gli obiettivi principali dellanostra redazione era quello di darevita ad una sorta di community, in

modo tale da garantire quell’ interscambio diopinioni e di idee, essenziale alla vita di ungiornale, soprattutto di un giornale culturale.

Ebbene, con nostro immenso piacere, questointento comincia a prendere forma.

Il servizio sul “Ponte Insostenibile” delnumero scorso ha destato particolare interesse;d’altra parte si tratta di un tema attualissimo checi coinvolge direttamente un po’ tutti, e cheinfervora la mente anche dei non addetti ailavori. Pertanto, abbiamo riportato in questonumero le lettere che ci sono, a tal proposito,pervenute; i punti di vista sono, come sempre,molteplici, e a noi piace dare spazio alle varieopinioni senza alcuna censura… Mantenereviva e attenta l’attenzione pubblica sull’argo-mento e dare spazio a critiche e obiezioni è ilnostro scopo. A lato riportiamo un interventoche ne evidenzia alcune, tenuto durante la sedu-ta aperta del Consiglio Comunale di Reggio del19 settembre, primo incontro istituzionale svol-tosi in città sul tema, e che, pur non avendo rag-giunto alcuna concreta decisione, ha registratomoltissime voci discordi.

Il trimestre già in atto è ricco di spunti, perquesto, come è nostra consuetudine, abbiamocercato di mettere in evidenza gli aspetti piùinteressanti, come il Convegno, tenutosi a Reg-gio Calabria, in occasione del ventennio dallamorte di Italo Calvino, organizzato dal Circolodel Cinema Zavattini, incentrato, appunto, sulrapporto tra Calvino e il cinema, da cui è emer-so l’aspetto critico militante del suo operato,atto, spesso, ad approfondire questioni sociali edi costume.

Una tematica particolarmente importante checi vede, come casa editrice, impegnati in primalinea, riguarda i drammatici effetti delle dittatu-re cilena e argentina, in merito alle quali abbia-mo pubblicato il libro “Storia di un Hijo” diLino Gambacorta, oggetto di un incontro, tenu-tosi lo scorso settembre presso l’Istituto ItaloLatino-Americano di Roma. Il mondo sommer-so e mai dimenticato dei desaparecidos, le lorostorie che riflettono la storia di un’umanità cheha sofferto, che continua a soffrire nell’indiffe-renza di quel mondo civilizzato che spessodimentica i propri eroi. Non se ne parla maiabbastanza, forse non conviene farlo, per fortu-na c’è chi continua a lottare per smuovere lecoscienze, c’è chi non permette, nonostantetutto, che queste grida si annullino nel silenzio.

Il due novembre ricorre l’anniversario dellamorte di Pier Paolo Pasolini; sono trascorsitrent’anni, ma il suo ricordo è rimasto intatto,immune dall’usura del tempo, anzi, come sem-pre, pronto a far discutere. La sua figura dipoeta, scrittore, regista, quelle contraddizioniche hanno caratterizzato la sua arte come la suavita, destano, ancora oggi, un forte interesse.Nessuno più di lui è stato in grado di rappresen-tare un’età, di personificare quella “mutazioneantropologica” che è stata al centro della suaricerca, di quel realismo profetico che, ancheoltre la sua morte, lo ha contraddistinto. Inmerito a ciò, ho colto l’occasione di farvi parte-cipi di un mio intervento, risalente al 1992,riguardante un articolo apparso sull’Inserto Cul-tura del Corriere della Sera, in data 20 settem-bre 1992, scritto da Enzo Siciliano. Avretemodo di costatare, che a mio tempo non ebbialcuna risposta da parte della redazione; forse lamia posizione poteva risultare scomoda, o forsenon c’erano argomenti abbastanza convincenti asupporto di quella del prof. Siciliano; al di là diquesto, mi convinco sempre più che le vie dellastampa sono infinite, e pertanto rilancio a voilettori questi spunti, certo di non agire invano.

Proprio in questi giorni, stiamo preparando lanostra partecipazione alla Fiera del Libro diRoma, in programma dall’8 all’ 11 dicembre.Alla quale presenteremo il libro-intervista alVescovo della Locride Mons.GianCarlo Bregan-tini, “Come perle di una collana”, scritto da IdaNucera, e il libro “No Ponte racconti”, da noipubblicato in seguito al concorso letterario “NoPonte. Rage against the bridge” che abbiamoorganizzato in collaborazione con lostern26project.

Si tratta di evento particolarmente importan-te, in quanto riguarda la piccola e media edito-ria, che viene messa spesso in secondo piano, eche trova qui il modo di venir fuori, dando spa-zio a ciò che rappresenta il frutto di un durolavoro, di un impegno e una dedizione che nonvengono giustamente considerati e apprezzati.Ma la passione per il proprio lavoro va benoltre, gli inutili e fatui riconoscimenti, noi cre-diamo in ciò che facciamo è questo fa in modoche la nostra produzione segua un percorso checi porta a crescere e a migliorare, immune dallalogica egoistica degli investimenti, ma finaliz-zato a dare, sempre e nonostante tutto, ilmeglio.

Franco Arcidiaco

Il presente e la memoria

Direttore Responsabile:FRANCO ARCIDIACO

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Coordinamento Editoriale:ORIANA SCHEMBARI

Stampa: AFFARIZona Asi Larderia - Messina

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laltrareggio

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ETTEREERIDIANEL

Mde

““HH o letto con interesse le pagine contro il pontedel numero 2/3 di Lettere Meridiane. Credoancora importante proseguire insistendo con

altri argomenti, finora mancanti. Ne ho avuto conferma lunedì19 settembre alla seduta aperta del Consiglio Comunale dedi-cata alla discussione sul Ponte. La Gazzetta del Sud ne ha rife-rito in cronaca il giorno dopo, martedì 20, ma senza dedicarespazio ai diversi interventi dopo l’iniziale di Nuccio Barillà e ilfinale del Dott. Pietro Ciucci, Amministratore Delegato dellaMessina Spa.

Le riassumo il mio intervento, se può interessare per la pub-blicazione”.

Una cartella di presentazione del progetto del Ponte connote sulle attività della società Stretto di Messina è stata offertaai partecipanti alla seduta “aperta” del Consiglio Comunale diReggio, il 19 settembre scorso, nell’intento di ottenere consen-si. Al contrario, alcuni particolari dell’esposizione hanno forni-to motivi di opposizione. Ad esempio, la cartina geografica delterritorio Europa-Russia, che indica i tracciati dei cossiddetti“corridoi europei”, cioè le grandi linee di percorsi internazio-nali per trasporti di merci e persone, che i Paesi interessatiintendono realizzare per migliorare e incrementare i sistemi diinfrastrutture stradali e ferroviare.

Il percorso est-ovest o viceversa va da Lisbona a Kiev; danord a sud, o viceversa, interessa notare il Berlino-Palermo,perché si vuole sostenere che debba passare per il Ponte sulloStretto e non possa farne a meno. In altri termini si vuole farcredere che tale opera, voluta dalla Comunità Europea, obbligal’Italia a realizzare il Ponte. Ma sulla stessa cartina figuraanche un collegamento tra Berlino e l’Italia lungo l’autostradaadriatica, fino a Bari e Brindisi, non solo per l’Italia, ma perattraversare la penisola balcanica dall’Adriatico a Varna, inBulgaria: sull’Adriatico si va per traghetti, certamente non perun ponte. Allora perché non inserire un collegamento tra Napo-li e Palermo, come già in esercizio, o tra Salerno e Messina, otra Gioia Tauro e Milazzo, o tra Messina e Catania?

D’altra parte, le decisioni della Comunità europea, che si ècercato di far confluire a favore del progetto del Ponte sulloStretto, sono state espresse a favore del sostegno alle auto-strade del mare.

A proposito del collegamento Gioia Tauro- Milazzo, occorredire che già nel 1974, quando il porto di Gioia Tauro sembravaun’opera inutile per l’errore di aver creduto ad un nuovoimpianto siderurgico, le Ferrovie dello Stato avevano condottouno studio di valutazione tecnica ed economica per un serviziodi traghettamento che sostituisse l’esistente Messina -Villa SanGiovanni: da esso risultava più conveniente il Milazzo- GioiaTauro! Che non se ne sia fatto nulla e che ancora oggi, dopotrent’anni, si faccia confusione tra i problemi e le soluzioni

disponibili, tra “priorità” vere o presunte, a chi o a che cosa sideve attribuire?

Si vanta il Ponte perché farebbe attraversare lo Stretto inpochi minuti, fingendo di non vedere e non capire che i rispar-mi di tempo nei trasporti terrestri e ferroviari possono esserenon soltanto di decine di minuti, ma di alcune ore nei più lun-ghi percorsi tra Sicilia e Nord Italia, e più ancora per il NordEuropa. Solo che si passi in Sicilia alle linee a doppie binari enella Penisola alle linee TAV, treni ad alta velocità, quando sifaranno. D’altra parte, la concentrazione finora mantenuta datutto il territorio della Sicilia sul porto di Messina e da tutta laPenisola su Villa San Giovanni è un’eredità di tempi passati edi errori trascurati. Ancora le vie del mare e i trasporti aereiincidono poco, mentre manca la coscienza e la volontà politicadi incrementare in tempi brevi queste soluzioni, certamente piùfacili e meno costose del Ponte.

Ma qui c’è da portare un argomento a proposito dei territorie delle loro infrastrutture stradali e ferroviarie. Quando è statoredatto il piano regionale per le infrastrutture della Calabria(Assessore ai Lavori Pubblici per il 2001/2002 Ing. AurelioMisiti), è risultato un fabbisogno di opere pubbliche per l’im-porto di circa 42.000 miliardi di lire, oggi 21.700 milioni dieuro, cioè un importo di oltre quattro volte il presunto costo delPonte sullo Stretto.

Ora, è chiaro che un tale fabbisogno di opere pubbliche nonnasce da un giorno all’altro, ma è il cumulo di arretrati di oltreun secolo, quando tutti i governi e le amministrazioni localinon hanno capito o voluto evitare il danno enorme che il terri-torio e la popolazione erano costretti a subire. Si è parlato alungo e si parla senza capire di emigrazione e di difficoltà dellavita nelle aree montane e collinari, di dissesti geologici e diabbandono delle colture tradizionali, ma senza relazioni con lamancanza di strade e di altre opere pubbliche. E non si vuolevedere o capire come dalle aree interne chi non è emigratoall’estero è passato a sovrappopolare le zone litoranee, ionichee tirreniche. Ormai da decenni le cronache locali citano la stra-da statale 106 jonica come “la strada della morte” per il nume-ro e la frequenza di incidenti mortali, tanto che il Corriere dellaSera ne rivela il “primato nazionale”(Corriere della Sera, 25ottobre 2003).

In “politica”, il governo nazionale, Regione Calabria eamministrazioni provinciali restano incapaci, più che inerti adaspettare che l’ANAS faccia progetti e appalti di rappezzi e di“ammodernamento” della statale 106. Incapaci di pensare e divolere che si costruisca interamente nuova e in tempi breviun’autostrada che sostituisca la vecchia Reggio - Taranto,ormai ridotta ad un budello di attraversamento per decine dichilometri di abitati come le città della Locride e tante altre.

E mentre mancano queste opere si vuole il ponte?

Ing. Giuseppe La Face

PONTE SULLO STRETTO:è veramente necessario?

Supplemento a laltrareggio n. 125 - aprile 2004

Riceviamo e pubblichiamo alcuni interventi dei nostri lettori

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18/19/20 Novembre“La donna vendicativa” di Carlo Goldonicon Maddalena CrippaMusiche e Regia di Roberto De Simone

23 Novembre“Galà internazionale di Danza” Danza e Danze (Classico Moderno e Contempora-neo)

2/3/4 Dicembre“La Concessione del telefono” di Andrea Camillericon Francesco PaolantoniRegia Giuseppe Di Pasquale

8 DicembreL’Arlesiana in concertocon Giuseppe Filianoti

10/11 Dicembre“Giselle”Ekaterinburg BalletDirettore artistico: Viacheslav Gordeev

16/18 Dicembre“Madama Butterfly” di Giacomo PucciniOrchestra Filarmonica e Coro Lirico F. CileaDirettore: Guillaume TourniaireMaestro del Coro: Bruno TirottaCast: Maria Pia Ionata, Anna Schiatti, Mario Mala-gnini, Alez MagriRegia: Italo NunziataProduzione: Teatro Politeama Catanzaro

21/22 DicembreConcerto di Natale Diretto dal maestro Daniel OrenOrchestra Filarmonica e Coro Lirico F. CileaSolisti: Doyna Dimitriu, Marco Vratogna

6/7/8 Gennaio “Concha Bonita” di Nicola PiovaniMusical con Catherine Ringer e Gennaro Canna-vacciuoloRegia: Alfredo Arias

15/16 GennaioDon ChisciotteCelebrazioni del quattordicesimo centenario di Miguel De CervantesBallet Concerto di Inaki UrlezagaDirettore Artistico e Primo Ballerino: Inaki Urleza-ga

17/18/21 Gennaio“Io, l’erede” di Eduardo De Filippocon Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli, LeopoldoMastelloniRegia: Andre’e Ruth Shammah

19/20 GennaioFuori Abbonamento“Nojo Vulevan Savuar...Ancor!”con Enrico Montesano

27/28/29 Gennaio“Ferdinando” di Annibale Ruccellocon Isa DanieliRegia: Annibale Ruccello (ripresa da Isa Danieli)

Per informazioni

U.O. Cultura Immagine Turismo“Teatro Francesco Cilea”Tel. 0965/312701— 895162

[email protected]

Orari botteghino: Feriali: 10.00 - 12.00 / 16.00 - 19.00

Festivi: 17.00 - 19.00

N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 3ETTERE

ERIDIANEL

M APPUNTAMENTI

Francesco Lojacono (1838-1915)Palermo, Civica Galleria d’Arte Moderna

Spazi ex convento Sant’Anna alla Misericordia1 ottobre 2005 – 8 gennaio 2006

AA Francesco Lojacono, il più importante paesaggista siciliano dell’Ottocen-to, Palermo, sua città di nascita, dedica una grande esposizione con più di

cento opere pittoriche provenienti da musei italiani e stranieri e da una straordina-ria ricognizione nelle collezioni private. La mostra racconta della grande fortunadella sua pittura, della critica che lo segue e lo onora, delle importanti frequenta-zioni con gli artisti e i maestri del suo tempo, della committenza aristocratica.Delle prime esperienze a Napoli, dove coglie gli stimoli dei pittori viaggiatori stra-nieri che avevano esplorato la Sicilia nella prima metà del secolo e riceve la lezio-ne dei grandi fratelli Palizzi, dei due soggiorni fiorentini che arricchiscono la suaformazione nello stimolante confronto con le esperienze rivoluzionarie dei Mac-chiaioli, delle presenze alla Biennale di Venezia. Racconta Francesco Lojacono,vivacissimo intellettuale nel clima cosmopolita e sperimentale della Palermo dive-nuta una della capitali della Belle Époque.

Mostra a cura di: Gioacchino Barbera, Luisa Martorelli, Fernando Mazzocca,Antonella Purpura, Carlo SisiOrario mostra: Da martedì a domenica ore 9,30 - 19,30 (la biglietteria chiude alle18,30). Lunedì chiuso (aperto 26 dicembre)

Informazioni:Tel. 199.199.111 (lunedì-venerdì ore 9.00 – 18.00)

[email protected] www.francescolojacono.it

UU na mostra molto significativa è stata allestita in questi mesi in Spagna.Prima al Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona dal 27 mag-

gio al 25 settembre e poi alla Fondazione Bancaja di Valenza dal 15 ottobre al15 gennaio 2006 si è aperta l’esposizione “L’Occidente visto dall’Oriente”. Unpercorso inverso per considerare il rapporto che da secoli attraversa le terre tral’Oriente e l’Europa e che evidenzia non un contrasto o un conflitto, ma unacuriosità attenta e costante nel tempo, dal XII secolo ad oggi. Quadri, manufat-ti, libri antichi, mappe, arazzi, ma anche fotografie e video per tracciare un per-corso che si muove tra passato e presente. Accanto alle antiche testimonianze,infatti, sono ospitati opere di artisti e intellettuali di Paesi orientali, chiamati afornire una loro visione dell’Occidente e che rappresentano parte integrantedell’esposizione.

Ad esempio accanto alla mappa dell’Europa che il geografo arabo Al-Idrisirealizzò per il re cristiano, il normanno Ruggero di Sicilia nel XII secolo, cisarà un’opera originale realizzata in loco dall’artista di origine iraniana MarjaneSatrapi sull’argomento e poi ancora Corani che recano racconti su Gesù, trattianche dai Vangeli apocrifi, ma anche la letteratura e l’iconografia ispirata allecrociate e al genere cavalleresco coltivato sia in Occidente. La tradizione pitto-rica è proprio un elemento di incontro tra arabi e cristiani. Le immagini le ritro-viamo, ad esempio, nella Vergine circondata dagli angeli in un disegnoanonimo dell’India Mogul, e anche in epoca moderna, con le fotografie che imonarchi orientali amavano farsi fare nel XIX secolo. A partire dal 1830 ilviaggio in Europa diventa una tappa obbligatoria per il politico riformista, pergli artisti, per il teologo riformatore e per lo studente. L’0ccidentalizzazione si èespressa anche attraverso l’amore dell’arte europea da parte di collezionisti diorigine islamica. Negli anni ’30 il presidente del Senato egiziano, MahamudKhalil, riunì una collezione di arte europea con opere di Delacroix, Degas,Manet, Monet ed altri.

Curatore della mostra è lo scrittore franco-tunisino Abdelwahab Meddeb,professore di Letteratura Comparata all’università Parigi X. Fondatore e diret-tore della rivista internazionale Dédale, ha pubblicato moltissimi libri sullaciviltà islamica e, in particolare, nel 2002 è uscito in Italia per Bollati Borin-ghieri, La malattia dell’Islam, dove l’autore metteva in guardia da un feroceintegralismo islamico, animato da ragioni politiche che vedono in primo pianole colpe dell’occidente nei confronti dell’oriente e il conflitto israelo-palestine-se, e che va combattuto soprattutto sul piano culturale, attraverso una correttalettura dei testi e opponendosi ad interpretazioni ideologiche e false.

Questa mostra segue la prospettiva di Meddeb e una foto del 1830 del Pontedi Galata a Instanbul, percorso da gente di ogni colore, razza e religione, divie-ne il simbolo e l’auspicio di quello che dovrebbe essere una società dove Orien-te e Occidente s’incontrano senza opporsi.

CC ome i nostri lettori sanno, la nostra attenzioneverso il Ponte si è concretizzata anche con il

concorso letterario “No Ponte. Rage against the bridge”.La raccolta che sta per essere pubblicata e che sarà pre-sentata a dicembre alla fiera Più Libri Più Liberi diRoma (vedi pag. 12), conterrà i racconti vincitori, di cuisotto riportiamo delle brevi presentazioni, e altri testipervenuti che, pur non essendosi classificati tra i primidieci, hanno ricevuto una menzione di merito.

La prefazione sarà invece affidata al Prof. AlbertoZiparo, docente di Architettura all’Università di Firenze.

1) TRAVERSATA ANDATA E RITORNO di GiorgioRuta. Una serie di lettere scritte da persone che attraver-sano lo stretto di Sicilia in differenti momenti storici.L’ultima è quella di “Zio Bino” il boss mafioso che pro-getta il grande business del Ponte

2) CLANGORE di Giorgio Specioso. Nel futuro mec-canizzato il ponte ha provocato una catastrofe ambienta-le e ucciso tantissimi operai. Solo tramite le piccoletelevisioni private che ognuno si è costruito si può anco-ra esprimere liberamente la propria opinione e denuncia-re la bestemmia ingegneristica…il ponte.3) CERTI DIFETTI di Anna Maria Sansone. La sto-ria di una donna e del suo amore clandestino, sullo sfon-do la costruzione dell’opera. La ribellione ad essa èsimbolo di un nuovo inizio.4) UNA NEBBIA FINISSIMA TI ATTRAVERSA ILPETTO di Elena Spadafora. I pensieri brevi e commo-venti di un operaio licenziato dopo i lavori del ponte. 5) STORIELLA DEL PONTE STRETTO SULLOSTRETTO di Lucia Saguì. Il Ponte c’è, ma è inutile.Nella fretta di costruirlo, la strada è stretta e impraticabile.6) L’UNUCU PONTI di Marco Boccia. L’unico ponteche si fa è quello di barche di pescatori dello stretto checon il loro no sono riusciti a fermare i lavori.

7) SOTTO IL PONTE C’E’ UNA VECCHIA di Wal-ter Vastarella. Una vecchia barbona ultracentenaria ènata durante il terremoto nel 1908. Assiste all’altro terre-moto, quello che inabissa le due sponde, lasciandosospeso nel vuoto…il ponte.

8) 3 KILOMETRI DA CASELLO A CASELLO diAndrea Pugliese. Per recuperare i soldi spesi per lacostruzione del ponte, si sono inventati una serie di tro-vate pubblicitarie. Ma quella che ha funzionato di più èstato di rendere la Sicilia un’isola di turismo sessuale

9) UNA SCELTA VIRTUALE di Valeria de Benedic-tis. Per puro caso il progetto del ponte approvato è statoquello di costruire una struttura virtuale. Chi vuole ilponte lo va a guardare ai videogiochi.

10) NE’ PONTE’ NE’ CEMENTO di Angelo Madda-lena. I ragazzi che si radunano nelle varie manifestazio-ni contro il ponte imparano da un poeta sconosciuto unacanzone che dice “né ponte né cemento”.

No Ponte. I racconti

Programma del Teatro Comunale “Francesco Cilea” Reggio Calabria

Stagione 2005/2006

L’Occidente con gli occhi dell’Oriente

3 Dicembre Serata inauguraleRitmi del Mondo con Arthur Louis Band e Indio OleguiFuori abbonamento

Prosa13 – 14 Dicembre La Gatta sul tetto che scottadi Tenessee Williamscon Mariangela D’Abbraccioregia Francesco Tavassi

Cabaret7 DicembreMario Zucca

20 DicembreEnrico Guarneri ovvero “Litterio”

12 GennaioFrancesco Scimemi

26 GennaioAntonello Costa

STAGIONE CONCERTISTICA 2006Il grande Jazz all’UniversitàA.R.DI.S. in collaborazione con Assoc. Culturale Jonica

19 gennaioDanilo Rea - pianoforte - “Lirico”

LABORATORIO TEATRALE UNIVERSITARIO “LE NOZZE”

30 novembreEvento spettacolo “Un, due e tre!” di Renato Nicolini e Marilù Prati

Informazioni e prenotazioni:

Botteghino Teatro Politeama SiracusaC.so Garibaldi, 165 - Reggio Calabria

Tel. e Fax 0965.23374

Orario botteghino:feriali: ore 10.00 - 12.00 / 16.00 - 19.00

festivo: ore 17.00 - 19.00

Gli spettacoli avranno inizio alle ore 21.15

Programma del Teatro Politeama SiracusaStagione 2005-2006

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4 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

M

EE ra la generazio-ne tra i 20 e i 30anni. Erano gli

anni in cui nascevamo noigiovani trentenni di oggi. Infondo è solo ieri. Perché ciòche è accaduto in AmericaLatina, in Cile e in Argenti-na, è stato così spaventosa-mente prossimo a noieuropei, a noi italiani, chestupisce ancora e lascia unsenso d’incredulità e diorrore che crescono inmodo direttamente propor-zionale alla consapevolezzae conoscenza di quegli anni.

Nel 2006 sarà il trenten-nale del golpe militare inArgentina che nel 1976 hainstaurato una feroce ditta-tura colpevole di 30.000“scomparsi”. Suona stranoche questo sia un termine

che denoti in tutto il mondola particolare condizione incui vennero a trovarsi glioppositori dei regimi inAmerica Latina, inghiottitisilenziosamente dalle ditta-ture. E suona così assurdoche questo termine sia oggicosì noto, che indichi unfenomeno, una condizioneben collocata in un tempo,luogo, contesto. Quando inrealtà loro, i desaparecidos,per tanti anni sono stati vit-

time sconosciute e negate,inghiottite nel nulla, senzavoce, corpo, nome, senza undestino o una tomba.

La storia delle Madrescomincia prima del 1976,perché l’instaurazione delladittatura militare non coin-cide con l’inizio delle scom-parse. Nel biennio 74- 75 sicontano circa 600 casi, poi inumeri crescono in modovertiginoso. Le primeMadres iniziano a muoversiattraverso i canali istituzio-nali: si rivolgono al Mini-stero dell’Interno, allaPolizia, alla Chiesa, ai parti-ti politici. “Noi bussavamoalle stesse porte” dice Hebede Bonafini, presidente del-l’Associazione. “Un giornoeravamo in chiesa, la chiesadegli assassini, della Mari-

na, dissi basta, che non sipoteva rimanere così, nonottenevamo nulla, perchénon andavamo alla Piazzaper presentare una denun-cia? Andammo per la primavolta un sabato, il 30 aprile,poi l’altra settimana e l’altrasettimana ancora”. Prende ilvia la storia delle Madres diPlaza de Mayo, la piazza incui si affaccia la Casa Rosa-da, il Palazzo del Governo,che ogni giovedì loro presi-

diano ancora oggi, chieden-do giustizia per i loro figliscomparsi.

“Negli uffici- raccontasempre la Bonafini- c’erasempre la burocrazia, unfunzionario, un tavolo dimezzo, non si arrivava maia nessun risultato”. Ma inpiazza loro erano visibili, evisto che non potevanooccuparla, camminavano incerchio, con le foto di deci-ne e decine di giovaniragazzi e ragazze. “Andava-mo nelle case a bussare, maspesso non ci aprivano,chiamavano la polizia, poiqualcuna cominciò a unirsia noi”. Con il passare deltempo le sparizioni aumen-tano, le madri che si dispe-rano diventano piùnumerose; considerate come

le madri di terroristi, diassassini. Ma a sparire nonsono solo i militanti dellevarie fazioni, anche armate,che in quegli anni eranopresenti nel Paese, sono glistudenti delle associazioni,giovani, giovanissimi e poi iloro amici, parenti, cono-scenti. I desaparecidosappartengono ad ogni cate-goria professionale e socia-le. Vengono imprigionatianche i ragazzi che andava-

no nelle favelas ad aiutare ipoveri. La dichiarazione diuno dei capi militari all’ini-zio della dittatura è elo-quente (riportata ne Lamemoria del fuoco di E.Galeano, III Tomo, p.311):“Per prima cosa uccideremotutti i sovversivi. Poi ucci-deremo i loro collaboratori.Poi i simpatizzanti, poi gliindecisi. E per ultimo ucci-deremo gli indifferenti”.

Schiacciante prova chequanto fatto fu pianificato,in silenzio e in modo da nonlasciare traccia. L’indiffe-renza generale, anche all’in-terno dello stesso Paese, sievidenzia in particolarmodo durante i Mondialidel 1978, svoltisi proprio inArgentina, come vieneriportato da una testimoneintervistata nel libro Storiadi un hijo (pagina accanto)«Stanno ammazzando unmonte di gente, stanno tor-turando un monte di gente equesti sono qui a cantare‘Argentina’».

“La piazza - dice Hebe-unisce, in piazza eravamotutte uguali e compatte nelchiedere sempre e solo lastessa cosa: dove erano inostri figli?”. Negli anni leMadres sono diventateun’associazione ben orga-

nizzata, che ha compiutoindagini, raccolto testimo-nianze e dossier; dove nonhanno avuto risposta, se lasono cercata da sole. Cometutte le madri, hanno dedi-cato la vita ai figli, solo chei loro erano già morti datempo, assassinati. Moltesono state imprigionate,qualcuna è stata uccisa, lealtre sono rimaste a lottare,anche se non tutte. Altreancora sono diventate leAbuelas, le Nonne.

Sì, perché l’abominioferoce perpretato dai milita-ri non fu solo quello di tor-turatore e uccidere insilenzio e impunemente. Unaltro crimine è stato com-messo. I bambini e anche ineonati nati in carcere eranomerce preziosa, tanto dameritare altri destini. Ilbambino, una volta nato,veniva portato via, a voltecon una giustificazione inu-tile, “Lo vuole vedere ilgenerale”. Poi non se nesapeva più nulla, la madrefaceva la fine degli altridesaparecidos, il bambino“dato” a una famiglia chel’avrebbe cresciuto bene,quella di un militare, unufficiale, come ricompensa.

Sono gli hijos, i figliinghiottiti nell’oblio che ha

cancellato i loro genitori,che vivono ignari un’ ingiu-stizia e una violenza chenon possono conoscere.

Un cammino lungo,quello delle Abuelas, verso iloro nipoti. Solo tramite leanalisi del DNA dei gruppifamiliari dei desaparecidossi possono trovare le prove,perché non ci sono docu-menti. Sono 81 i ragazziritrovati fino ad oggi, hannotra i 25 e i 30 anni. L’ultimosi chiama Leonardo Fosatti,ha 29 anni. La madre neaveva solo 17 quando lopartorì in carcere.

È difficile riappropriarsidi un passato così atroce, igiovani spesso non voglio-no. C’è una nonna che vivevicino ad una nipote chenon la vuole conoscere.Teme che voglia stravolger-le la vita. “ Ma io non lechiedo di rinnegare la suafamiglia di oggi, vorrei solofarle sapere la sua vera sto-ria, chi sono i suoi verigenitori”

Il ricordo, la memoriasono l’unico modo per arri-vare alla verità, perchécome ripetono le donne conil fazzoletto bianco “senzala verità, non ci può esseregiustizia”.

Oriana Schembari

Era la generazione tra i 20 e i 30 anni

LL a dittatura in Argentina s’instaura ufficialmen-te nel 1976, ma la situazione era precipitatagià prima. Nel 1974 muore il colonnello, e più

volte presidente, Juan Peron, simbolo di uno scenariopolitico ricco di contraddizioni. Il suo è un regime popu-lista, che coniuga la personalizzazione del potere con iconsensi di massa, demagogico e nazionalista. I militari,guidati da Jorge Videla, prendono il sopravvento nel1976, anche se l’inizio ufficiale della dittatura è due annidopo. Ma a quel punto le forze di opposizione organizza-te, anche quelle militari, sono state spazzate via. Riman-gono piccoli gruppi, molti giovani e studenti. Cosaaccade in Argentina? Prigionie, torture, sparizioni, campidi concentramento, i voli della morte, l’Esma. Il capitanodi marina Adolfo Scilingo ha raccontato che dall’Esma,la Scuola di Meccanica dell’Armata, i detenuti uscivanoper andare a morire gettati dagli elicotteri in mare aperto,dove affogavano nudi e legati. La caduta del regime risa-le all’83 con la guerra delle Malvinas- Falkland, un pic-colo arcipelago a sud del Pacifico occupato dagli inglesie rivendicato dagli argentini. Il contrasto militare con gliinglesi rivela la debolezza della giunta che cadrà di lì apoco. Si apre un epoca di governi in apparenza più libera-li, il primo dei quali guidato dal presidente eletto Alfon-sin, lo stesso che varò le leggi di Obbedienza Dovuta ePunto finale; con esse si garantiva l’impunità di chi aves-

se dimostrato di aver obbedito ad un ordinesuperiore e si dava un termine strettissimo, il1986, per la prescrizione dei reati, anchequelli contro i diritti umani. Bisogna aspetta-re il 2003 perché con il governo Kirchner ilparlamento di Buenos Aires vari la ‘Legge direvoca’ . Solo il 15 giugno scorso la CorteSuprema argentina ha annullato definitiva-mente quelle leggi. Uno dei primi gesti di Kir-chner fu di ricevere le rappresentanti delleMadres di Plaza de Mayo e dichiarare che gliArgentini di oggi sono tutti figli delle Madres.

Nel dicembre 2000 si è concluso in Italiail procedimento in primo grado, con la con-danna all’ergastolo per i generali e sottuffi-ciali argentini per l’omicidio di ottoitalo-argentini. La sentenza della Corte d’As-sise romana è stata confermata in Corted’Appello nel marzo 2003 e dalla Cassazione nell’aprile2004. In questi mesi si sta svolgendo il secondo processoper altri tre scomparsi. Purtroppo la sentenza italiana nonha valore in Argentina; se i processati non compariranno,si emetteranno condanne in contumacia, come già succes-so per l’altro processo. Ma la procedura argentinanon prevede questo tipo di giudizio, per cui non ricono-scerà le sentenze di Roma. Sono cinquecento i cittadini

italiani desaparecidos ufficialmente accertati. In tuttaEuropa, Francia, Spagna, Svezia, Germania, ci sono citta-dini scomparsi in Argentina, in molti di questi Paesi sonostati processati e condannati, anche se in contumacia, imilitari ritenuti responsabili.

La memoria e l’accertamento della verità restano oggil’unica giustizia possibile.

O.S.

La storia: dal golpe ai processi in Italia

Le Madres de Plaza de Mayo in lotta da trent’anni in nome dei loro figli

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N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 5ETTERE

ERIDIANEL

M

EE ra il settembre del1970 quando ilsocialista Salva-

dor Allende fu eletto demo-craticamente capo di ungoverno di coalizione di sini-stra di cui facevano parteanche i comunisti in Cile. Erail settembre di tre anni dopo,quando questo stesso gover-no cadde per mano di uncolpo di stato militare.

Non si poteva non notareil parallelismo tra quest’ulti-ma e un’altra data tristementenota. Fabio Cuzzola, nellaprefazione al volume “Storiadi un hijo” di Lino Gamba-corta, scrive “ Il richiamo 11settembre 2001 - 11 settem-bre 1973 è forte, perché ilcontinente americano ha rap-presentato le contraddizionidel Novecento e gli effetti diqueste date sono ancora inatto”. Non aggiunge molto alsignificato degli eventi que-sta strana coincidenza didate, se non fosse per quelcontrasto stridente e troppofacile tra quanto accadde neidue Paesi americani. L’11settembre statunitense haindotto a gridare a una nuovaguerra di religione, ad unepocale scontro di civiltà, hadato origine alla guerra glo-bale al terrorismo globale eprodotto invasioni di truppe,rovesciamenti di regimi eguerre civili che sono ancorain atto. Non altrettanto l’11settembre cileno. È vero chela violenta caduta del gover-no Allende, la stessa mortedel Presidente asserragliatonel palazzo della Moneda, leterrificanti immagini dellostadio di Santiago del Cileprodussero l’isolamentointernazionale del generalePinochet, ma non vi fu alcunintervento armato in difesa diAllende e del popolo cileno.Il governo aveva colpito gliinteressi delle multinazionaliche sfruttavano le miniere dirame in Cile attraverso lenazionalizzazioni; un fronteinterno e internazionale sicreò per isolare, prima, eabbattere poi lo stesso gover-no cileno, che si dibatteva tradue poli interni estremisti, lasinistra radicale e il fronteconservatore, formato daimilitari, latifondisti e partitidemocristiani. La politicaeconomica del governo nonprodusse gli effetti sperati, laforte crisi economica, gliscioperi che paralizzarono ilPaese, furono sfruttati per farcadere il governo. UnidadPopular, la coalizione diAllende, fu travolta da pres-sioni che ebbero appoggi daparte degli Stati Uniti, chedopo il caso Cuba, intende-

vano proteggere “il cortile dicasa”, l’America Latina,appoggiando e favorendo l’a-scesa di regimi amici. Versola fine degli anni ’80 lapresa di Pinochet sul Paese siè allentata, le proteste per lacrisi economica si moltiplica-no, malgrado altri momentidi dura repressione, nel bien-nio 1984-85; perde il plebi-scito che avrebbe dovutoconfermarlo al potere ed ècostretto a indire elezioni chenel 1989 portano all’elezionecome presidente del democri-stiano Alwin. Pinochet con-serva ancora la guida delleForze armate. Il 22 settembredel 1998, l’ex generale sireca a Londra per un’ opera-zione chirurgica. AmnestyInternational e altre organiz-zazioni chiedono subito ilsuo arresto per violazione deidiritti umani. Pochi giornidopo il giudice spagnolo Bal-tasar Garzon emette un man-dato di cattura internazionale,chiedendo di incriminare ilgenerale per la morte di citta-dini spagnoli durante la ditta-tura cilena. A sostegno diquesta richiesta si esprimonole sentenze dell’AudienciaNacional di Madrid e dellaCamera dei Lords di Londra,richiamandosi al principiodella difesa universale deiDiritti dell’Uomo e stabilen-do rispettivamente che laGiustizia spagnola era com-petente per giudicare i fattiavvenuti durante la dittaturamilitare in Cile - dal momen-to che si tratta di “criminicontro l’umanità” che colpi-scono, come soggetto giuridi-co, tutto il genere umano - eche i presunti autori di gravidelitti contro l’umanità, comeappunto Pinochet, non godo-no di immunità per i loro cri-mini, neanche se si tratta dicapi di Stato o ex capi diStato. Il Ministro dell’Internodel Regno Unito, il laburistaJack Straw, il 2 marzo 2000decise di liberare Pinochet edi permettere il suo ritorno inCile, negando quindi l’estra-dizione e adducendo “ragioniumanitarie”. A Santiago ilgiudice Guzman continua lasua inchiesta contro Pino-chet, incriminato ora, insie-me alla sua famiglia, ancheper reati fiscali.

* * *

In Italia in questi ultimimesi è l’editoria ad assolvereal compito di divulgare lestorie di coloro che sonosopravvissuti, in un tardivo,ma forse solo ora possibile,riconoscimento degli orrorisubiti.

Proprio in questi ultimimesi sono state date allestampe alcuni libri che rac-colgono le testimonianze vis-sute dei perseguitati, inqualche caso dei reapareci-dos, coloro che sono tornatiliberi o di coloro, le Madres,che hanno combattuto edenunciato. “Storia di unhijo” di Lino Gambacorta(Città del Sole edizioni) èuno di questi, anche se ha unpo’ preannunciato i tempi,essendo stato pubblicato nelmarzo dello scorso anno. Loscorso 20 settembre, in unaseconda ristampa, è stato pre-sentato a Roma, all’IstitutoItalo-Latino Americano, ente

che si occupa delle relazionisociali, culturali ed economi-che tra il nostro Paese e l’A-merica Latina. Raccogliendogli interventi di protagonistidiretti, il libro si propone ilrecupero della memoria cheproprio perché così dolorosarimane, per chi narra e perchi ascolta, indelebile e cari-ca di una valenza emotivadifficilmente rimovibile. Perl’autore, professore di filoso-fia in un liceo di Firenze estudioso di antropologia sto-rica, l’obiettivo è proprioquello di contrastare il feno-meno dilagante della rimo-zione dalla coscienza civiledegli eventi più terribili e cri-tici. Le testimonianze dirette,qui raccolte e trascritte, ser-vono proprio alla causa dellamemoria e hanno inevitabil-mente il sapore forte delladenuncia, proprio perchéindiscutibilmente e irrevoca-bilmente vere. Se per tanticasi non ci sono prove diquello che accadeva, in parti-colar modo in Argentina,dove più scientifica e accura-ta è stata l’operazione silen-ziosa e terribile dei militari, èproprio maggiormente rile-vante che siano coloro chehanno vissuto quegli eventi araccontare.

Per questo ogni presenta-zione di questo libro, condot-ta sempre dall’autore e dauno dei testimoni intervistati,Hugo Silva Soto, e da altriprotagonisti diretti, ha ilvalore di aggiungere semprequalcosa al racconto fissato

sulle pagine, quasi che essofugga dalla parola scritta pertrasformarsi con un filo inin-terrotto in voce reale. Questimomenti fanno stranamenteparte integrante del testo e losituano nella sua più giusta epropria dimensione, quelladella testimonianza.

* * *Hugo Silva Soto è rappre-

sentante in Italia del Comita-to Lavoratori Cileni Esiliati epromotore del Progetto Eco-memoria, il cui scopo è pian-tare un albero con una targaper ogni vittima, un simbolodi vita che rinasce per ognialtra vita spezzata. Racconta

di essere stato imprigionatonello stadio di Santiago delCile “Lo stadio doveva esse-re il tempio della persona, siè trasformato nel luogo del-l’annientamento. Per impri-gionare gli oppositori nonbastavano le carceri, furonopresi le stazioni di polizia, lesedi di partito, le stesse caseprivate degli arrestati, le navida guerra, e poi lo stadio. Chiveniva a bussare nella casa diun arrestato, si affacciava suun buco nero dal quale veni-va risucchiato”. La spettaco-larità della repressione inCile, rimbalzata in tutte letelevisioni del mondo, cosìcome in quegli anni il Viet-nam, fu la causa della diver-sità di quanto accadde inArgentina. Lo fa notare Gio-vanni Miglioli, esule argenti-no, autore per Manifestolibridi “Desaparecidos”, il libroche racconta lo svolgimentodel processo in Italia nel2000 contro i militari argenti-ni accusati della scomparsadi cittadini italiani. “A Bue-nos Aires non ci furono carriarmati o macchine della poli-zia per le strade, ma 30.000persone scomparse, 360campi di concentramento.Sparivano non solo i militantidelle organizzazioni; maanche gli amici e i parenti,un’intera generazione, quellache all’epoca aveva 25-35anni, fu distrutta”. “Oggiprende vita un interesse per idesaparecidos che non c’èmai stato; deve crearsi unmovimento simile a quello

per la Shoa ebraica, per evi-tare che tutto ciò possa ripe-tersi”. Giovanni Miglioli;Hugo Silva Soto, sono prota-gonisti; di quello che essistessi hanno definito un esilioisolato. L’indifferenza anchein Italia è stata tangibile pertanti anni. Nel caso dell’Ar-gentina, si può parlare di unacerta connivenza che a varilivelli ha impedito che nonsolo lo Stato non facessenulla per salvare quanti,anche con passaporto italia-no, andavano a bussare alleporte chiuse dell’Ambascia-ta, ma anche che gli stessimedia non dessero spazioalle notizie su quanto accade-va. Anche su questo c’è tantoda dire, ed è stato in granparte già detto.

Enrico Calamai era con-sole italiano in Argentina aitempi del golpe. L’Amba-sciata italiana a Buenos Airesera stata informata anticipa-tamente e aveva dato ordinedi non accogliere nessuno,come invece era accaduto inCile. Calamai era un giovanefunzionario e non era d’ac-cordo con questa linea. Condue amici cominciò a forniredi nascosto passaporti italianialle persone in pericolo, nonsolo ai figli di emigranti,come confessò durante il pro-cesso che si è svolto in Italiaalcuni anni fa, ma anche agliargentini. “Il governo italianosi preoccupava allora solo deirapporti economici con l’Ar-gentina. La presenza di rifu-giati in Ambasciata avrebbedimostrato che qualcosaaccadeva e, invece, la desa-parecion dava agli stati euro-pei la possibilità di ignorareil tutto. I pochi articoli cheuscivano su giornali comel’Unità o il Manifesto nonturbavano l’opinione pubbli-ca, perché non suffragati dalresto della stampa”. Lavicenda che coinvolse il piùimportante quotidiano italia-no ai tempi è nota. Fino al1977 a Buenos Aires l’unicocorrispondente stabile di ungiornale italiano era Giangia-como Foà del Corsera, dopol’ennesima minaccia furichiamato in Italia. Da alloral’Argentina scomparve dallepagine del prestigioso quoti-diano. Sottolinea lo stessoMiglioli, - ma ormai anchequesta è vicenda conosciuta -“la P2 di Licio Gelli esercitòpressioni sul giornale”. Nel1999 Gian Antonio Stella delCorriere della Sera denunciòle connivenze tra la giuntamilitare argentina e la loggiamassonica, così come il fattoche il Nunzio Apostolico PioLaghi giocasse a tennis conl’Ammiraglio Massera,comandante dell’Esma, Scuo-la di meccanica dell’Armadadove si consumavano le tor-ture e le prigionie delle vitti-me. Da lì partivano i terribilivoli della morte, denunciati

nel 1995 dal giornalistaHoracio Verbitsky nel suolibro “Il volo”. I detenutivenivano portati in aereo sul-l’oceano e buttati giù, nudi,legati e bendati.

Nella storia raccontata nellibro di Gambacorta, c’è unparticolare interessante. ÈLucio, l’hijo intervistato, arivelarla. Suo padre fu unodei pochi monteneros adessere liberati e inviati inEuropa. E lo fu per un motivoben preciso. La Marina vole-va che questi ex-combattentilavorassero per loro, comespie in Europa e il padre diLucio fu inviato in Franciaperché parlava francese. Fu ilmotivo per cui si salvò. Masono anni bui e Lucio raccon-ta della reticenza del padre aparlarne, quando gli si chiedecosa accadde e della moglie,la madre di Lucio, raccontasempre le stesse cose. Unulteriore prova di quanto siadifficile superare l’orrore edella rimozione di cui Gam-bacorta racconta. Anche Cala-mai l’ha vissuto. In altra sedeha ammesso che in questianni, in cui nessuno parlavadell’ Argentina, si è spessodomandato anche lui se effet-tivamente tutto fosse vero enon frutto di una sua allucina-zione. Tornato in Italia, è statocinque anni in un ufficio e poimandato in Nepal, e non inEuropa, perché considerato un“sovversivo”. Comincia soloora ad incontrare i sopravvis-suti, qualcuno che ha salvato,e solo nel 2003 ha raccontatola sua esperienza in un libro“Niente asilo politico” (Edito-ri Riuniti).

Colpisce, però, il suocommento, non si consideraun eroe, è un signore mite edelegante, dalla voce sommes-sa e lo sguardo buono, alquale forse nessuno ha maidetto di aver fatto una cosaeccezionale in quel momen-to. “Per me è stato un privile-gio essere lì e poter portareaiuto” dice candidamente.

A dimostrazione di quantooggi stia cambiando la situa-zione, all’incontro, moderatodal professore dell’Universitàdi Messina, Pasquale Amato,sono intervenuti l’addetto aidiritti umani dell’Ambasciataargentina in Italia, EduardoZuain, e, con un saluto scrit-to, il console cileno per l’U-nione Europea, SebastianSchneider, nipote fra l’altrodi quel generale Schneider,prima vittima della dittaturacilena per essersi rifiutato diguidare un primo golpe mili-tare nel 1970. La partecipa-zione dei rappresentantiufficiali dei due Paesi in Italiaha un valore molto più chesimbolico, lo sanno bene gliesuli residenti in Italia, perchésolo sette anni fa questo nonsarebbe stato possibile.

Oriana Schembari

Il Cile di Allende e di Pinochet E di quelli che non dimenticanoLe voci incancellabili di chi testimonia ancora oggi gli orrori delle dittature

Salvador Allende

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ERIDIANEL

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CC amus definisceesplicitamente lasua opera “non

filosofia”. Eppure, nei margi-ni di questa esclusione, sirivela una scelta filosofica-mente decisiva. Non filosofiaè per Camus il rifiuto dell’a-strattezza del pensiero, dellasua autoreferenzialità, persottolineare viceversa nonl’abbandono della ragione,ma l’aderenza di quest’ulti-ma alla vita. Non è un casose ciò che differenzia lo spi-rito mediterraneo da quellogermanico sia proprio ladistanza che intercorre fra lacura dell’esistente e il cultodell’idea. Rispetto al domi-nio che il filosofo pretende distabilire sul proprio oggetto, Camus rivendica l’esperienzadello scrittore, di colui che è preso dalla materia del racconto,essendo consapevole di utilizzare un linguaggio che si misuracon i limiti stessi del “dire” e insieme con le sue possibilità,inesauribili da una logica di definizione come quella adottatadalla filosofia. Tale misura è propria di un pensiero che nascesulle rive del Mediterraneo, la cui molteplicità non viene esau-rita da alcun assoluto. La riflessione di Camus rifiuta quell’in-clinazione della filosofia alla “signoria” sul reale chedimentica la precedenza dell’esistente rispetto ad ogni suacategorizzazione. Questa scelta di Camus, lungi dall’essere unrifiuto delle prerogative del pensiero, esprime una filosofiadell’esistenza, che ha una stretta relazione con il luogo in cuiessa viene esposta.

Camus non vuole dunque essere in senso tecnico un filo-sofo. Eppure le sue opere trasudano di temi filosofici e sonoun punto di riferimento, anche se controverso, per affermazio-ne dello stesso Camus, dell’esistenzialismo filosofico, da cuispesso si distingue polemicamente.

Se la sua scrittura nasce da riflessioni filosofiche, in parti-colare dalla lettura nietzscheana della morte di Dio, allo stessotempo Camus è impegnato a respingere gli esiti nichilistici diquesta assunzione. Di fronte alla perdita di un fondamento tra-scendente, che si faccia garante del significato del reale,occorre che ogni esistenza finita si faccia carico interamentedi se stessa, che avverta la propria responsabilità di fronteall’“assurdo”, effetto della fine di ogni certezza che mettel’uomo di fronte alla sua debolezza, ma anche per la primavolta nella condizione di scegliere davvero.

Il Mediterraneo diviene simbolo per Camus di questa sceltaa favore di un’esistenza finita, più precisamente questa esi-stenza, consapevole di sé e dei propri limiti, appare riflesso diuna solarità mediterranea, legata alla vita, che resiste alletenebre in cui è piombato il pensiero occidentale. L’assurdo èun dato essenziale dell’esistenza, ciò contro cui nulla può lavolontà di potenza, di controllo, di imposizione, espressionedi una ragione che si pretende onnisciente e che è mossa dallasua brama di possesso sul reale. Facendo di quest’ultimo soloun oggetto di conoscenza e di azione, tale ragione acuisce ildistacco dell’uomo dal mondo, trasformando la propria speci-fica esistenza in un sentimento di estraneità alla vita, rispetto acui diventa possibile uccidere senza motivo (quanto accade neLo straniero).

L’armonia mediterranea presuppone, al contrario, un equi-librio fra misura e dismisura, fra l’esistente e il desiderio diprocedere sempre al di là, fra l’azione umana e il caso (l’insie-me delle possibilità che non si possono preventivamente con-trollare) in cui questa si trova ad intervenire. Questo equilibriosi è trasformato, per la ragione moderna, in un limite da supera-re, nella necessità di una violenza sull’esistente per poterlo pie-gare alle proprie esigenze. La storia ha dimenticato l’essere.

Non va confusa questa insistenza sul “reale” di Camus conuna posizione conservatrice, dal momento che egli lo intendecome ex-sistere, proiettarsi fuori da sé. Ma questo caratterepuò esprimersi solo se in questo “fuori da sé” rimangono dellepossibilità che non sono state preventivamene assorbite dalpensiero.

È a partire dalla formulazione di queste posizioni teoricheche nasce la diatriba con Sartre. Camus rimane sospettoso neiconfronti di ogni idea rivoluzionaria che dimentichi l’esisten-za. La priorità della vita rimane quella caratteristica essenzial-mente mediterranea del pensiero di Camus, in contrastorispetto alla prospettiva notturna dell’Europa continentale cheappartiene anche al pensiero della rivoluzione.

I punti chiave di questo contrasto filosofico-politico fraSartre e Camus si trovano espressi in particolare ne L’uomo inrivolta, in cui non a caso la parte conclusiva ha per titolo Ilpensiero meridiano. Qui la dimensione politica del pensiero diCamus diviene esplicita. Già nel romanzo La peste si era con-sumata l’agonia di ogni prospettiva individualista a cui l’esi-stenzialismo poteva ancora approdare. La città messa inquarantena è un’evidente metafora dell’isolamento in cui sitrova il soggetto moderno nel percorso filosofico che ha porta-to ad una separazione radicale fra soggetto ed oggetto, frapensiero e mondo. Solo di fronte all’insensatezza della vita,che è anche quella scissione interiore che si è creata fra ogniesistenza e il suo pensiero, ciascun uomo può scoprire quelladimensione sociale che non nasce dall’illusorietà di un’armo-

nia originaria, di uno stato dinatura che precederebbe lacorruzione del pensiero, mada una condizione di solitudi-ne condivisa da altri. Ancorauna volta Camus non nega, inmodo reazionario, l’eserciziodella ragione, ma cerca dirivelarne il lato solare e medi-terraneo, piuttosto che abban-donarla alla sua attitudineviolenta e autoritaria. Ogniaggregazione sociale convivecon una scissione che le èinterna, con un’incompletezzache la rende attaccabile dalla“malattia”. Su quest’ultima lavittoria non sarà mai definitiva.Dal pericolo della disgregazio-ne politica e dell’isolamentoindividuale non si sarà mai

salvi, ma questa consapevolezza verrà messa in scena su unpalcoscenico comune.

Il comune non può costruirsi sull’omicidio. La trasforma-zione politica, di cui Camus sostiene la necessità, non puòcomportare l’ammissibilità della soppressione della vitarispetto al valore superiore della forma (ad esempio quello diuna forma politica). Se questo tema era già stato affrontato,sul piano individuale, ne Il mito di Sisifo, ne L’uomo in rivoltaCamus respinge ogni macchinazione o repressione della vitasul piano politico. L’omicidio nega l’appartenenza di chi locompie alla comunità degli uomini, fosse anche paradossal-mente motivato dal desiderio di realizzarne una. La filosofiadella storia sostituisce ciò che è (di cui ammette l’uccisione)con ciò che sarà. Distruggendo in questo modo, con l’ammis-sibilità della soppressione dell’esistente, la condizioni stessedel futuro e del possibile. La filosofia dell’esistenza promossada Camus rinuncia alla solitudine del deserto - quello in cui sitrova una ragione che si è voluta separare dal mondo per affer-mare se stessa - per abbracciare il mare, le relazioni che sicostruiscono fra le sue sponde, senza sopprimere la differenzadi ciascuna. L’esperienza del comune, sul Mediterraneo, sicostruisce a partire dalla possibilità che le differenze possanocoesistere, dalla loro irriducibilità rispetto a qualsiasi logicaautoritaria. Accettare il limite meridiano vuol dire scoprire lanon-assolutezza di ciascuno. Per questo è solo il limite cherende possibile abitare questo spazio in comune.

L’opzione politica di Camus è dunque quella della rivolta,non l’assenza di trasformazione, ma al contrario la prospettivadi un cambiamento che è reso possibile quando non c’è unadirezione unica e definitiva (come la rivoluzione vorrebbeimporre). La rivolta nega che la libertà includa anche la libertàdi uccidere, divenendo strumento della propria affermazionesull’altro. L’uomo meridiano riconosce invece che «la libertàha i suoi limiti ovunque si trovi un essere umano, il limiteessendo appunto costituito dal potere di rivolta di questo esse-re». Il fatto che ogni essere umano si possa rivoltare allanecessità e all’oppressione è reso possibile solo dall’abbando-no dell’idea di totalità, sia la totalità del sé (dunque l’isola-mento che si distacca da mondo e dalla vita sociale) sia latotalità dell’idea (che dimentica l’inviolabilità della singolaesistenza). La libertà di ogni uomo è relativa all’altro uomoper questo «la libertà che egli reclama, la rivendica per tutti».La libertà assoluta distrugge viceversa la libertà dell’altro,dunque la possibilità di condivisione.

La rivolta è ciò che impedisce ad ogni esistente di chiuder-si nel sé e ad ogni politica di dimenticare l’arte del dialogo.Anche la società fa esperienza dell’assurdo, nascendo dallacontemporanea presenza di integrazione e disintegrazione, diisolamento e di solidarietà. Se l’idea, quando diviene assoluta,può condurre alla soppressione della vita in nome di un valoread essa superiore, la rivolta è ciò che mitiga l’individualismofacendo scoprire una solitudine comune. L’esperienza medi-terranea insegna a vivere sul confine in cui il sé e l’altro sonocostretti ad una mediazione infinita, come avviene fra il maree la terra. Questa capacità di mediazione è un’altra caratteristi-ca essenziale del pensiero mediterraneo, secondo quell’equili-brio che nasce solo nella pratica sempre incerta dellademocrazia.

Francesca Saffioti

Albert Camus e la filosofia

del MediterraneoAA lbert Camus nacque a Mondovi (Algeria) il 7

novembre 1913 da una famiglia poverissima. Ilpadre, di origine alsaziana, era operaio, e la

madre, spagnola, svolgeva servizi domestici. Quando il padremorì combattendo nella prima guerra mondiale, si trasferìcon la famiglia ad Algeri nel quartiere di Belcourt, abitato daifrancesi meno fortunati d’Algeria e dal sottoproletariatoarabo. Visse, quindi, la sua infanzia a stretto contatto con unarealtà umana e sociale che lascerà in lui un segno indelebile.

Nel 1918 iniziòa frequentare lascuola comunale,dove il maestro,colpito dalla suavivissima intelli-genza, lo seguì conattenzione consen-tendogli di riceve-re anche una borsadi studio per poterproseguire gli studial liceo “Bugeaud”di Algeri.

Nel 1930, con-seguita la maturitàliceale, si iscrissepresso l’Universitàdi Algeri al corsodi filosofia. Le sueprime letture filosofiche e religiose, che ebbero grandeinfluenza su di lui, furono Plotino, S. Agostino, Pascal,Kirkegaard. Fu in questo periodo che Albert venne prematu-ramente colpito dalla tubercolosi; malattia che lo accompa-gnerà per il resto della sua vita, costringendolo a farsiricoverare a causa di attacchi periodici.

Nel 1932 iniziò a collaborare con la rivista “Sud” . Perprocurarsi le risorse economiche necessarie per vivere praticòdiversi mestieri: impiegato presso l’amministrazione statale,operaio in un’azienda di spedizioni, dipendente all’IstitutoMeteorologico delle Pressioni. Nel 1933 si iscrisse al PartitoComunista, ma qualche anno dopo lo abbandonò, quando, aseguito di un incontro col Primo Ministro francese PierreLaval, Stalin attenuò la politica di opposizione al coloniali-smo. Nel frattempo Camus aveva esordito nel mondo lettera-rio con la raccolta di prose liriche e di saggi dal titolo “Ilrovescio e il diritto” (1937); in questo periodo scoprì anche lasua passione per il teatro e fondò la compagnia il “Théâtre duTravail”, d’ispirazione marxista. Nel 1937, dopo aver rifiuta-to un posto da insegnante presso il Collegio Sidi-bel-Abbès,decise di dedicarsi solamente alla letteratura, al teatro e algiornalismo. Iniziò a leggere le opere di G. Sorel, FriedrichW. Nietzsche, O. Spengler, Fëdor Dostoevskij, Honoré deBalzac; pubblicò una raccolta di saggi dal titolo “Nozze”(1939); scrisse la sua prima opera teatrale sull’imperatoreromano “Caligola” (1938); collaborò col quotidiano di sini-stra “Alger républicain”. Camus considerava la professionedi giornalista il mezzo attraverso il quale condurre la sualotta in favore dell’uomo. Seguì processi politici, assunseposizioni di favore nei confronti degli arabi spesso accusatiingiustamente, non risparmiò osservazioni ai governanti fran-cesi d’Algeria, combatté lo sfruttamento degli arabi, denun-ciando nei suoi articoli la condizione dei nord-africani chelavoravano in Francia e criticò lo stato miserabile in cui veni-vano costretti a vivere nella loro terra dalla politica coloniali-sta francese, ma la censura intervenne costringendo lachiusura del giornale. Nel 1939 fondò la rivista “Rivages”,con cui cercò di portare avanti l’idea di una nuova culturamediterranea. Durante la seconda guerra mondiale, avrebbevoluto arruolarsi, ma fu respinto per le precarie condizioni disalute. La vita ad Algeri era difficile e Camus si trasferì aParigi. Nel 1941 tornò in Algeria per assumere l’incarico diinsegnante in una scuola privata di Orano. Intanto aveva por-tato a termine il saggio “Il mito di Sisifo” (1942). Nel 1942tornò in Francia dove aveva avuto inizio la Resistenza alnazismo. Vi partecipò unendosi ai partigiani e occupandosidel giornale del movimento “Combat” che usciva clandesti-namente. Nello stesso anno venne pubblicato “Lo straniero”(1942), il suo romanzo più conosciuto e tradotto in quasi tuttele lingue. È la storia di un condannato a morte per omicidio ilquale, la notte prima dell’esecuzione, trova la propria libertàspirituale. Nel 1946 Camus si recò negli Stati Uniti, accoltocon sospetto dai servizi segreti, con molto entusiasmo invecedagli studenti di diverse Università dove svolse un ciclo diconferenze sul teatro e su importanti argomenti di attualità.Al suo rientro a Parigi lasciò il giornale “Combat” e portò acompimento “La peste” (1947), che ottenne grande successodi pubblico e il premio della critica. Il 1948 fu per Camus unanno di intense lotte civili; prese posizioni molto dure controle dittature sovietica e franchista, si battè per i comunistigreci condannati a morte riuscendo ad ottenerne la grazia.Partì anche per un viaggio in Sudamerica, ma ebbe un gravepeggioramento del suo stato di salute che, al suo rientro inFrancia, lo costrinse ad un lungo periodo di riposo. Nellostesso anno scrisse “Stato di assedio” (1948) e il famoso sag-gio filosofico “L’uomo in rivolta”, che verrà pubblicato nel1951. Fu un’opera che sollevò molte polemiche e che segnòla frattura ideologica fra Camus e Sartre: i contrasti di vedutefra i due si accesero vivacemente attraverso interventi sullastampa di sinistra, sviluppandosi principalmente intorno agliavvenimenti drammatici della guerra in Algeria. Camus, fran-cese d’Algeria, visse con profondo dolore le vicende dellasua terra d’origine. Nel 1957 gli venne assegnato il PremioNobel per la letteratura. Albert Camus morì il 4 gennaio 1960a Villeblevin (Yonne), in un gravissimo incidente automobili-stico. Aveva quarantasei anni. Vennero pubblicati postumi idue volumi “I taccuini” (1962-1964), il romanzo incompiuto“La morte felice” (1971) che lo scrittore aveva iniziato nel1937 e il romanzo autobiografico “Il primo uomo” (1994),sul quale stava lavorando al momento della morte.

Francesco Vilasi

La vita diAlbert Camus

Lo scrittore non “filosofo”che teorizzò per primo il limite meridiano

BIBLIOGRAFIAA. Camus, Lo straniero, tr. it. di A. Zevi, Bompiani,Milano 1947.A. Camus, La peste, tr. it. di B. Dal Fabbro, Bompia-ni, Milano 1948.A. Camus, Il mito di Sisifo, tr. it. di F. Federici, Bom-piani, Milano 1947.A. Camus, L’uomo in rivolta, tr. it. di L. Magrini,Bompiani, Milano 1957.A. Camus, L’estate e altri saggi solari, tr. it. di S.Morando, C. Pastura, E. Capriolo, Bompiani, Milano2003.

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Il Viaggio in America delSud di Camus

Viaggio in America del SudGiugno –Agosto 1949 di Albert CamusCittà Aperta Edizionipp.83 - € 10,00

PP ubblicato in nuova edizionedalla casa editrice Città Apertadi Enna, il cahier di viaggio di

Camus è un breve diario che racconta idue mesi passati in America Latina dallo

scrittore francese. Siamo nel 1949 eCamus è già un famoso intellettuale, hapubblicato nel 1942 Lo Straniero e nel1947 La Peste; il viaggio è stato organiz-zato per tenere un ciclo di conferenzenelle maggiori capitali del continente sudamericano. In nave da Marsiglia, fino adarrivare a Rio de Janeiro, e poi da lì perBuenos Aires, Santiago del Cile, Montevi-deo, e altri luoghi limitrofi. Il diario nonera destinato alla pubblicazione e leannotazioni sono brevissime e asciutte,ma attente e puntuali in ogni giorno.Come scrive il sociologo francese JacquesLeenhardt nella prefazione, questo viag-gio è una “tortura” per lo scrittore, proiet-tato non verso la conoscenza dei Paesiche incontra, ma ripiegato su se stesso,“È come se Camus, dall’inizio alla finedel viaggio, non avesse guardato davantia sé, nel mare insondabile e nei perso-naggi incontrati e colti dal suo sguardo,nient’altro che le differenti maschere delsuo desiderio di morire, come se tutto ciòche guardava, uomini, cose e paesaggi,ripetesse indefessamente il canto funebredell’assurdo”. In effetti l’atmosfera che siavverte è quella di noia e prostrazionefisica e morale dello scrittore, tormentatodalle febbri e dal pensiero del suicidio,che si affaccia improvviso e tragico. Lepagine più significative in questo sensosono proprio le prime, quelle che raccon-tano il viaggio in nave dalla Francia alBrasile. L’oscurità insondabile della nottee del mare tropicale cullano il tormentoed esaltano la volontà suicida che aleg-gia in un Camus che non riesce a provarecuriosità per il viaggio, rifugge dallacompagnia degli altri ospiti e si lasciaandare, invece, ad uno stato di malinco-nia e noia costante. Sulla nave rivivono lepiccolezze, le invidie e le divisioni dellasocietà, una gabbia da cui Camus cercadi sfuggire tra le angustie della sua cabi-

na e l’enormità dello spazio il mare e delcielo stellato nelle notti del sud. Sembraquasi che un senso di claustrofobia tor-menti il protagonista di queste pagine: ilviaggio non rappresenta un’occasione dispensieratezza, ma un compito da assol-vere al più presto, con mal sopportazionee stanchezza. Una volta sceso dalla nave,è una girandola di conferenze, incontri,cene, viaggi scomodi in aereo, tempo chescorre lungo in attese, ancora noia e feb-bri. Sono pochi i personaggi che incrociacui riconosce un certo interesse, uomini edonne pseudo intellettuali, innamorati

della loro idea dellacultura europea e cheaccolgono Camus comeun personaggio famosoe importante della cuipresenza sono onorati.

Poi agli antipodi, inquelle contraddizioniche quel continente por-tava allora con sé, quel-la varia umanità dipoveri e disgraziati, ineri con le loro miserie,e le loro tradizioni dicui vanno orgogliosi eche attirano l’attenzionedello scrittore. Camus,vissuto nei sobborghichiassosi e miseri diAlgeri, si reca volentierinei quartieri di poveri,a vedere le macumbe egli al tr i r i t i , s tranimiscugli di fede cristia-na e tradizioni paganedel continente nero,dove tut t i i santi delparadiso sono coinvoltiin riti magici e danzeforsennate. Questimomenti sono comun-que sempre vissuti daCamus con distrattointeresse, mai veramen-te coinvolto, ma anzipronto a sfuggire atutto. Alla fine dellascena del la danzaipnotica, in un capan-none alle porte di Rio,esce nella notte, barcol-lando e respirando l’a-

ria fresca ed esclama “Amo la notte e ilcielo più degli dei e degli uomini”. Deineri Camus registra un altro episodio, checonsidera il passaggio più importantecapitato in questo viaggio, anche seanche a questo concede solo un attimo diuna riflessione che forse gli sembra dove-rosa, ma non si sa fino a quanto sentita.È la solidarietà umana, la pietà che siconcretizza in un gesto spontaneo e gra-tuito, senza dubbi e domande, che è pro-prio dei più poveri e disperati, checommuove lo scrittore. Nello studio diuna radio a San Paolo, un nero gigante-sco con una bambina di pochi mesi inbraccio, chiede aiuto agli ascoltatori, per-ché, abbandonato dalla moglie, qualcu-no accudisca al la bambina senzaportargliela via; alla richiesta una donnaanziana, senza indugi, offre il suo aiutoal padre disperato. Un gesto di pietàpura, che colpisce, proprio perché fattocon semplicità e senza ritorni di nessungenere. Di questa solidarietà Camus si fatestimone e il tema del dolore umano, chei simili s’infliggono consapevolmente ono, ritorna anche in un altro passo, quan-do tra le strade di Rio, un pensiero lo col-pisce. “In realtà, in questa gloriosa lucedi Rio, sono perseguitato dall’idea delmale che facciamo agli altri nel momentostesso in cui li guardiamo”.

Il tono che ha accompagnato tutto ildiario traspare chiaramente ancora di piùall’ultima annotazione. Si riparte in navealla volta della Francia, con sollievo e impa-zienza. L’ultima battuta è “ il viaggio si con-clude in un feretro di metallo tra un medicopazzo e un diplomatico, verso Parigi”.

Ecco appunto, un feretro di metallo,come la nave, come un corpo malato cheriporta a casa, come l’anima di chi sentedi non avere veramente vissuto in queidue ultimi mesi.

Oriana Schembari

CC ittà Aperta Edizioni nasce all’interno dell’Oasi Città Aperta, una fondazio-ne nata a Troina, in provincia di Enna, che intende promuovere una società icui valori sono improntati al dialogo, al rispetto della diversità e nella quale

vengono privilegiati i rapporti orizzontali su quelli verticali, sia sul piano sociale sia suquello economico. Questi presupposti illustrano l’ampiezza delle prospettive insite nelprogetto editoriale di Città Aperta Edizioni.

La casa editrice intende operare come soggetto attivo nei diversi ambiti in cui siesprime la Cultura; come strumento che sostiene e orienta le realtà organizzate dellasocietà civile che operano all’interno del mondo dell’associazionismo, del volontariato,del terzo settore, cercando di essere espressione e sostegno del mondo dell’handicap,della diversità, dello svantaggio economico e sociale; intende inoltre sviluppare un pro-getto culturale che valorizzi le risorse locali della Sicilia e approfondisca le problemati-che dell’area mediterranea, delle cui molteplici civiltà la Sicilia rappresenta uncrocevia. Con oltre 160 titoli in catalogo, le edizioni di Città Aperta annoverano tra iproprio autori alcuni tra i più grandi pensatori della filosofia moderna, Alexis de Toc-queville a Roger Caillois, da Italo Mancini a Paul Ricoeur. Un’attenzione particolare èdedicata agli autori che hanno contribuito in maniera originale alla riflessione sullenuove categorie del mondo contemporaneo e le loro ambiguità: la crisi del welfare edella democrazia europea (Zygmunt Bauman e Marcel Gauchet, la globalizzazione del-l’economia e dei diritti umani (Bruno Amoroso, Pietro Barcellona, Umberto Allegretti,la crisi d’identità dell’occidente e il confronto con l’Islam (Slavoj Zizek e Tariq Rama-dan). Un interesse specifico è dedicato alle figure femminili del Novecento già note oda scoprire, che abbiano contribuito in maniera originale alla riflessione filosofica con-temporanea: da Hannah Arendt a Rachel Bespaloff, da Simone Weil a Milena Jesenskà,da Maria Zambrano a Marianne Golz-Goldlust. Città Aperta inoltre pubblica tre rivisteculturali, Handicap risposte, Nuvole e Interculture, ed una linea Junior, nella quale sitenta di lavorare sul tema dell’educazione alla diversità e all’incontro con l’altro; dedicainfine collane specifiche agli approfondimenti psico-pedagogici nel settore dell’handi-cap ed al turismo culturale regionale. Così da un angolo remoto di meridione, le edizio-ni Città Aperta vorrebbero costruire una proposta culturale di ricerca e dialogo cherecuperi la tradizione della Sicilia mediterranea, crocevia di culture e civiltà millenarie.

CITTÀ APERTA EdizioniIl progetto di una società che promuova

i valori della persona

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EE ra il due novembre1975 quando all’I-droscalo di Ostia

venne assassinato Pier PaoloPasolini. Nonostante siano tra-scorsi ormai trent’anni, non si èancora venuti a conoscenza dellereali dinamiche della sua tragicamorte e questo resta uno deitanti misteri italiani. Rimane larealtà della sua assenza, il vuotointellettuale che la sua scompar-sa ha procurato.

“Era un grande poeta, eraanche un poeta civile, e non nenascono tanti in un secolo”.Così Moravia ricorda Pasolini,

nel giorno dei suoi funerali, dandoci il senso dellanostalgia che pervade la sua assenza.

Pasolini, il poeta delle Ceneri di Gramsci (Milano,1957), che racconta la drammatica conquista dell’ideo-logia che deve passare attraverso la rinun-cia del primitivo individualismo, dellaviscerale passione: “È necessità Liberarsisoffrendo, ma Lottando soffrire la storia”.Man mano, si precisa in Lui quel senso dicolpa, quell’intima lacerazione tra ciò chesi è (la passione) e ciò che si vorrebbeessere (l’ideologia), che diverrà il temacentrale e dominante delle sue più alte poe-sie. Pasolini, il narratore - filologo, comenei due romanzi Ragazzi di vita (Milano,1955) e Una vita violenta (Milano 1959),che hanno come tema la subumanità dellaperiferia romana. Un lavoro molto com-plesso di trascrizione simbolica di lacera-zioni interiori, di mostri, di angosce, dicontrasti di ideologie, di terrori ancestrali,di fascino e orrore della morte. Il diagram-ma pasoliniano nasce, infatti, dall’urgenzadi esprimere queste ragioni interiori inteseimmediatamente come elementi di unacondizione storica, come dati necessari delmondo contemporaneo proprio nella loronatura di strazio, di diversità, di opposizio-ne alla norma. Pasolini cerca il correlativooggettivo di tali sentimenti, trovandolonella condizione subumana delle borgateromane, dei “ragazzi di vita”, disoccupati, ladri, deditialla prostituzione, intesa come manifestazione esaspera-ta “dell’inferno”, fenomenologia della violenza, dell’or-rore; trascrive questo mondo in un linguaggio capace disopportarne la tensione estrema, un impasto dialettale,in cui il romanesco ha la prevalenza assoluta, con raffi-natezze linguistiche e preziosismi.

Pasolini, regista, spinto dal desiderio di parlare alpubblico più direttamente, al fine di raccontare la realtàsenza mediazioni, in modo oggettivo. Egli voleva tra-scinare il proletariato romano fuori dalla preistoria, oalmeno mostrarlo, e così fece come in “Accattone” e“Mamma Roma”, ma anche in piccole fiabe già a coloricome “La Terrra vista dalla Luna” e perfino “Uccellac-ci e uccellini”.

Il cinema di Pasolini era un’altra cosa rispetto alcinema abituale, perfino a quello d’autore, dal momentoin cui avvertiamo la sensazione che ogni sua inquadra-tura avesse innanzi tutto un valore poetico e insiemepolitico, senza mai dimenticare le sue preoccupazionistilistiche, ma trasferendole nello studio e nell’uso per-sonalissimi del linguaggio cinematografico.

“Salò o le 120 giornate di Sodoma”, il film che Eglirealizzò nel 1975, ispirato liberamente al romanzo diSade, vuole essere un’amara denuncia dei mali dellasocietà, costruita sulla violenza, sul sopruso, sull’assas-sinio di massa.

In un racconto disadorno eppure curatissimo, glieccessi, le torture, l’erotismo e la violenza di un gruppodi potenti, sullo sfondo fatiscente della Repubblicafascista di Salò, acquistano la dimensione di un apolo-go, al tempo stesso tragico e grottesco, sulla degenera-zione del Potere e sulla sua ineluttabilità.

Un film che può essere visto come il testamento spi-rituale di Pasolini, simbolo di un genere di arte che nonha limiti perché coincide con la vita stessa.

L’attività intellettuale di Pasolini, conobbe una primafase più impegnata e fiduciosa, liberamente legata alPartito Comunista, e una seconda fase, a partire dal1968, più pessimistica e solitaria. Venuto meno con la

massificazione ogni possibile mandato sociale, l’intel-lettuale non può che essere un “corsaro” in territorionemico, costretto a servirsi dei mass-media per combat-terli. Il rovescio di questo atteggiamento è il rifiutodella politica e la riduzione del dissenso, anche politico,a opinionismo.

In questo modo Pasolini tenta di salvaguardare, nonsenza forzature e cedimenti, la funzione tradizionaledell’intellettuale in una società in cui sta ormai nascen-do la nuova figura dell’intellettuale-intrattenitore.

All’inizio degli anni Settanta, Pasolini è l’intellettua-le ufficiale dell’opposizione culturale, il portatore diuno scandalo politico, il marxismo non ortodosso, e per-sonale, l’omosessualità, che accoglie in sé le contraddi-zioni della società contemporanea più di quanto riesca adenunciarle nella loro obiettività. Anche la tragicamorte conferma il “destino” di Pasolini: portare sul pal-coscenico della vita pubblica la visceralità delle propriecontraddizioni private, con l’effetto dirompente delloscandalo e l’inesorabile neutralizzazione della spettaco-larità.

Il solo spiraglio non ancora sbarrato dall’omologa-zione della società di massa è lo scarto tra la dimensio-ne pubblica e quella privata, cioè il ritardo dellaseconda nell’adeguamento alla prima. La poesia, comeil giornalismo, può solo sforzarsi di tenere vivo questodivario. Non deve stupire, perciò, che Pasolini possaessere stato considerato un maestro negli anni del“riflusso” e del disimpegno politico dalla fine degli anniSettanta in poi. Anche se la tematica della corporalità eil rilancio della dimensione privata non avevano in Luiil valore di una alternativa alla politica ma di una formaestrema e radicale, l’ultima ancora possibile, di politi-cità e di opposizione. L’estremo messaggio pasolinianonon va certo nella direzione del ritorno all’ordine e del-l’esaltazione dei valori poetici che hanno caratterizza-to il quindicennio successivo alla sua morte. Essoesprime piuttosto un disperato tentativo di scandalodentro il meccanismo di creazione del consenso e unadefinitiva rinuncia al potere consolatorio e pacificatoredella poesia.

L’uso che del mito di Pasolini è stato fatto prima esoprattutto dopo la sua morte, usandolo ora comemoderno martire laico sacrificato per difendere uno spa-zio individuale non inquinato, ora come opportunisticoalleato nella critica della contestazione giovanile o addi-rittura nella rinuncia a ogni distinzione di classe o dischieramento politico, ora come modello di autenticità edi intervento pubblico. Proprio la ricchezza, spesso con-traddittoria oltre che complessa delle posizioni pasoli-niane ne ha favorito molte strumentalizzazioni. Eproprio la difficoltà di fondare sulla ricognizione innan-zi tutto filologica lo studio e l’attuazione dell’opera diPasolini fa sì che Egli abbia, anche dopo la morte, vis-suto al centro di un’ulteriore contraddizione: reclamatoda molti, se non da tutti, quale modello e quale ispirato-re, piegato agli usi e alle celebrazioni più diversi eopposti, Egli pare tuttavia non avere eredi, o non averneancora.

Federica Legato

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Il percorso incompiuto

Si applaudono soltanto i luoghi comuni mentre sarebbe il caso di coltivare l’atrocità del dubbio.

Pier Paolo Pasolini

1975-2005 Pier

PP ier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922,e qui compie gli studi universitari laureandosi in let-tere: tra i suoi maestri il grande critico Gianfranco

Contini. La severa durezza del padre e la mitezza dell’amatissi-ma madre sono alla base di un profondo conflitto edipico alquale è da ricollegare la stessa omosessualità del poeta. L’esor-dio come poeta avviene nel 1942, con le “Poesie a Casarsa”, indialetto friulano. Nel 1949 Pasolini si trasferisce a Roma dove,dopo un periodo di difficoltà economiche, ottiene i primi suc-cessi con “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”. Tra il 1955 eil 1959 partecipa alla vita della rivista bolognese «Officina»,aperta allo sperimentalismo formale e politicamente impegnata.Dal 1960 in poi la scoperta del cinema come mezzo espressivoporta Pasolini al massimo della fama non solo nazionale.

Per il grande pubblico il nome di Pasolini è legato a filmcome “Accattone”, “Uccellacci e uccellini”, “Le mille e unanotte”, “Decameron”. D’altra parte la notorietà così raggiuntaconsente a Pasolini di intervenire efficacemente su questioniculturali e socio-politiche, assumendo un punto di vista critico-radicale nei confronti del “sistema” borghese e della “rivoluzio-ne antropologica” operata dal capitalismo. Tali posizionivengono sostenute in particolare sulle colonne del «Corrieredella Sera», il grande quotidiano moderato di Milano; l’estremi-smo di Pasolini anticipa e in parte collabora a creare una formadi dissenso che avrà fortuna dopo la sua morte, un dissensotutto di opinione, costituito dai gesti spettacolari di qualche per-sonaggio più che da movimenti sociali e politici.

Riferendosi al passaggio all’attività cinematografica è possi-bile distinguere due fasi principali della storia di Pasolini. Laprima fase è quella più tradizionale: la priorità spetta indiscuti-bilmente all’attività letteraria, cui Pasolini si dedica nelle vestidi romanziere, di poeta e di critico. Al suo interno si nota un’e-voluzione significativa dal Simbolismo decadente delle primeopere all’impegno civile e ideologico della seconda metà deglianni Cinquanta.

Il punto di vista ideologico, che risente soprattutto del pen-siero di Gramsci, permette a Pasolini di affrontare i grandi pro-blemi della società contemporanea, ciò non esclude la presenzacostante delle tematiche private. Anzi i risultati migliori sidevono proprio all’incontro dei due piani: l’autoanalisi e l’esi-bizione delle proprie contraddizioni raggiungono la stessa sin-cerità e spietatezza che l’analisi delle contraddizioni dellasocietà capitalistica.

Le coordinate ideologiche che caratterizzano la seconda fasenon si limitano a mettere in discussione una forma o una conce-zione della letteratura, ma mettono in discussione la letteraturain se stessa, evidentemente incapace di rispondere ai nuovibisogni della società di massa, di esprimerli e di andare loroincontro. Pertanto il cinema non è soltanto un modo alternativoalla letteratura, ma anche un modo di criticarla e persino dirifiutarla. Per la letteratura non sarebbe invece possibile stac-carsi dalla sua condizione tradizionale, mettersi in crisi, criti-carsi. Dopo la fase di passaggio delle poesie raccolte in “Poesiein forma rosa” (1964), dove la dialettica tra ideologia e apertu-ra autobiografica è ormai sostituita dalla pura confessione, siarriva così a una proposta di poesia che in qualche modo coin-cide con il silenzio, tanto ha rotto i ponti con la propria funzio-ne e i propri modi tradizionali: “Trasumanar e organizzar”(1971) presenta la condizione alienata dell’uomo-massa facen-do ormai coincidere l’esperienza vissuta del poeta con l’unica“verità”, anche sociale e politica, ancora possibile.

All’alba del 2 novembre 1975 Pasolini è ritrovato assassina-to all’Idroscalo di Ostia; e la cattura del giovane colpevole nonbasta a diradare le incertezze sui modi e sulle cause del delitto.

““ ””

La vita

La necessità dello

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di un intellettuale contestato e indimenticabile

Paolo Pasolini, trent’anni senza

LL a figura di PierPaolo Pasolini èstata per anni al

centro di numerose polemi-che, la sua morte non ha fattoaltro che alimentare questidubbi, l’instancabile ricercadella verità, di quella verità acui Egli stesso ambiva, comespinto da una viscerale neces-sità, la passione mai sopitadel reale, la speculazioneantropologica di quell’uma-nità bisognosa di riscatto.

Proprio a testimonianza diquesta fervente attenzione,atta, quasi sempre, a metterein discussione, il pensiero diPasolini, riportiamo un inter-vento fatto dal nostro editoreFranco Arcidiaco, in meritoad un articolo apparso sull’In-serto Cultura del Corrieredella Sera, in data 20 settem-bre 1992, scritto da EnzoSiciliano. Tale intervento,comunque, non ebbe alcunarisposta da parte della reda-zione, forse proprio a causa del fatto che la tesi delprof. Siciliano non aveva valide fondamenta.

Fulvio Abbate, nel suo ultimo libro, “C’era unavolta Pier Paolo Pasolini”, scrive: “Insieme allascuola media dell’obbligo, Pasolini chiedeva lasospensione temporanea della televisione. Il suocompagno di strada e biografo, Enzo Siciliano,qualche anno dopo, diventerà invece presidentedella Rai. Un dato che parla dei paradossi dellastoria e delle scelte individuali. In quei giorni, Sil-vio Berlusconi non era ancora un argomento dipubblico interesse”.

F.L.

Spett. Corriere della SeraRedazione Inserto Cultura

Via Solferino N. 2820128 Milano

Reggio Calabria, 24/10/1992

LL eggo con un certo ritardo l’Inserto Cul-tura del 20 Settembre, in occasione del-l’uscita del libro “Pasolini su Pasolini”.

Non posso esimermi dall’intervenire perché l’ar-ticolo di Enzo Siciliano, già nelle prime quattrorighe, contiene delle falsità tali da fare impallidirenon dico uno storico, ma un semplice lettore didiscreta memoria quale il sottoscritto. Evidentemen-te dev’essere il triste destino di Togliatti in questoscorcio di fine millennio: demolire la figura pareessere diventato lo sport preferito dagli intellettualiitaliani, e quando non si riesce a trovare degli argo-menti documentati si ricorre alla falsificazione edalla menzogna. Per arrivare subito al dunque, e nonrubare spazio prezioso al Corriere, desidero riporta-re l’epigramma che Pisolini (proprio così caro prof.Siciliano) scrisse in morte di Togliatti e “l’Unità”pubblicò con orgoglio sabato 22 Agosto 1964:

“Non posso veramente dire in poche parolequello che significa per me la morte di Togliatti.Vuol dire la fine e il principio di un’epoca, laconferma e la delusione di un’ideologia, lanostalgia e la stanchezza del passato, la riscoper-ta e la noia del futuro, la dimostrazione di ciò chenon importa dimostrare. Se n’è andato dopoaver sempre vinto e non aver mai vinto: amara-mente, in fondo, benché con l’idea così radicatadel giusto e del bene che può avere solo un trion-fatore. E amaramente gli diciamo addio, noidestinati a un’epoca che forse nessuno più di luiavrebbe potuto razionalmente dominare”.

Detto questo, sarebbe facile infierire demolendopunto per punto lo scritto del prof. Siciliano, evitodi farlo, ma non mi posso trattenere dall’invitarlo(visto che in altri giornali ama scrivere di cinema) arivedere lo splendido “Uccellacci e uccellini” nelquale Pasolini ha dedicato dei memorabili bellissimifotogrammi ai funerali di Togliatti.

Franco Arcidiaco

Insomma l’unicaverità concreta

è che Pier Paolo Pasolini,perfino da morto, da trapassato, da cadavere sfigurato, da pura ombra continua ad esistere, ad indicare una traccia di liberazione dall’idea che si debba accettare comunque l’esistente.

Fulvio Abbate

““

””Funerali di Togliatti di Renato Guttuso

scandalo quale riscatto dalle “ideologie”

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II n occasione dellecelebrazioni perl’anno calviniano,

a Reggio, si è svolta unaserie di iniziative diverse ecorrelate fra loro per offi-ciare la ricorrenza. Losguardo (a Reggio come aNuova Delhi, dove si starealizzando un “appunta-mento gemello”) è statoposato sui rapporti fra Calvi-no e il cinema, demandandodunque il coordinamentodegli eventi al benemeritoCircolo del Cinema Zavatti-ni che da anni si occupadella diffusione della cultu-ra cinematografica in questacittà.

L’iniziativa aveva presole mosse già qualche meseaddietro dalla proiezione diun ciclo di film, principal-mente dell’ultima stagionecinematografica, che dimo-stravano familiarità con itemi delle Lezioni america-ne. Il senso di questa opera-zione è riassunto da alcuneschede, che ora, in grandeformato hanno allestito l’a-trio che conduce alla salaproiezione/convegno. Siricorda solo, a titolo esem-plificativo, la perfetta ade-renza di Ferro 3 al concettodi leggerezza, sia nella evi-dente sottrazione finale deipersonaggi ad una coerenteesperienza corporea, permezzo del dileguarsi della“massa”, calo ponderaleche, come nei neonati, è lapremessa ad una rigenera-zione (i protagonisti salgo-no su una bilancia e,letteralmente, non spostanol’indicatore, non pesano)sia nella, apparentementecontrastante, fuga dall’iner-zia che questa scelta implica(i personaggi agiscono,avvertono il carico moraledelle loro “incursioni” nelmondo, dunque la legge-rezza non è sparizione oderesponsabilizzazione, nédenegazione dei corpi, mamessa in questione di essi,riflessione sul loro esserespostati e su come il mondone avverta le conseguenzevirando anch’esso versouna dimensione non ancoraalternativa ma già differen-te: lo sguardo è indiretto, èspostato).

Questa dimensione eva-siva dei personaggi di Ferro3 e del mondo nel qualesono inscritti conduceimmediatamente alla secon-da iniziativa calvinianamessa in pratica, ovvero unpercorso multimedialecostruito all’interno delCastello Aragonese sotto iltitolo “Il Castello dellevisioni incrociate: Calvino eil cinema” che ha avutocome perno un convegnosui controversi rapporti fralo scrittore e la settima arte.Infatti nella relazione delprof. Lamatina dell’Univer-sità di Macerata, densa dispunti e calamitante l’inte-resse, sebbene non enuncia-ta di persona ma letta da undattiloscritto, si ritrovanoquesti tratti di spostamentoche causa una destruttura-zione non articolata. Nellarelazione si è sottolineata lanatura spuria e meticciadegli spazi, e dunque delmondo, calviniani. La realtàper lo scrittore ligure èdislocata, ma non stravolta.Apparentemente le leggieuclidee che ne garantisco-no la coerenza e la percetti-bilità si danno, ma in realtàlo spazio geometrico si con-tamina con tratti provenienti

da altre forme della sensibi-lità. Lo spazio si fa frattale eil tempo rompe la coerenzadella sequenzialità lineareper divenire irruzioneimprovvisa di dimensionisensoriali (il tatto, il gustoecc.: “grammatiche dellasensazione” dice Lamatina).Il mondo è sottoposto, e sot-toponibile da chi lo interro-ga, ad una dissezione pertratti puntiformi. È quasi laproposizione di una semioti-ca dove il tutto forma una

grande e complessa unità,dove le unità minime sono itratti del mondo che sifanno punti come le unitàminime del linguaggio, mache non hanno trovato unasistemazione definitivasecondo coerenza o megliola hanno trovata secondouna coerenza che non èquella comune.

Una seconda relazionecolma di suggestioni eimpressionante per ricchez-za di riferimenti è quella deldocente dell’Accademia diBelle Arti e animatore delcircolo del cinema di Mace-rata Massimo Angelucci.Nella sua relazione si sonolegate le categorie che,secondo il Calvino delleLezioni americane, avreb-bero dovuto contraddistin-guere la letteratura delnuovo secolo con alcuniprocedimenti della retoricacinematografica.

La leggerezza: può esse-re correlabile ai movimentidi macchina impercettibili,ma anche agli sguardi indi-retti, ai punti di vista ester-ni. Questo non significa cheleggerezza sia solo nelmovimento, interno o ester-no all’inquadratura. La leg-

gerezza è una conquistarispetto alla necessità deivincoli, a cui il cinema sot-topone dittatorialmente.Talvolta i vincoli cinemato-grafici conducono alla fis-sità che, per trasformarsi inleggerezza, va affrontataattraverso la “sottrazione”.Dunque la leggerezza riescea trasmettersi nel cinemaattraverso il perseguimentodi vie differenti, se nonopposte.

La rapidità: si avverte

sia nelle contrazioni tempo-rali che nelle attese di frasio azioni previste cheimpongono il piacere quasiinfantile del riconoscimentoin una comunità. La rapiditàè dunque questione ditempo e si esprime nel cine-ma, in primo luogo nelmontaggio.

L’esattezza: il “disegnodell’opera quando è bendefinito e calcolato”, chenon significa ossessionesistematica, ma precisionepoetica, tanto che viene cor-relata alla poetica “dell’in-definito e del vago”leopardiana e al meccanismodella regia che collega ele-menti disseminati e distantifra loro, senza mai raggiun-gere una precisione “assolu-ta”, ma avendo proprio nelvago un sentore di compiu-tezza, ed in ciò che spingeverso l’infinitamente piccoloo l’infinitamente grande unasensazione di maggiorepenetrazione poetica.

La visibilità: ovvero “lafantasia dove ci piove den-tro”, allora “il cinema è unlago che straripa” diceAngelucci, dove la produ-zione fantastica non è solonello schermo, ma in ogni

singolo spettatore che ne haun’elaborazione personale,diversa per ciascuno.

La molteplicità: ossia laconnessione fra le cose delmondo, la serie degli eventipoi ridotti a schemi, il siste-ma dei sistemi, dimensioneche richiama la composizio-ne del molteplice dellamessa in quadro.

Un’altra comunicazioneè stata quella del “noto cri-tico” Lorenzo Pelizzari, ilquale nella sua attitudine da

storico si è soffermato sulleconcrete realizzazioni e suiprogetti che hanno legatoCalvino al cinema, sottoli-neando quanto la fortunanon sia mai stata particolar-mente munifica con lo scrit-tore nel cinema. I film trattidalle sue opere sono pochi equasi tutti ridotti da raccon-ti o romanzi dove la dimen-sione sociale e realistica èpreponderante (Pellizzariattribuisce questa lacuna aduna presunta scarsa voca-zione al fantastico del cine-ma italiano tout court,sintomo di poco coraggio, eprova a immaginare cosasarebbe potuto essere unipotetico Calvino diretto daquesto o quel regista), unosolo di questi ha avuto ungrande riconoscimento albotteghino (Renzo e Lucia-na di Monicelli, l’unico alquale Calvino collaboradirettamente, ma più perl’operazione costruita colcontenitore nel quale èintrodotto che per forza oattrattiva intrinseca del rac-conto calviniano) e di unodi essi (Avventura di un sol-dato), lo scrittore stesso nonpensava se ne potesse trarreun film anche se poi si

dichiarerà soddisfatto delrisultato ottenuto da NinoManfredi in veste di regista.Il rapporto di Calvino colcinema, infine, si rileva nonsi sia limitato ai film trattidalle sue opere, ma lo abbiavisto recensore, teorico ecritico militante (in primoluogo su Cinema Nuovo),spesso servendosi dei filmper approfondire questionisociali e di costume piùgenerali.

Un’ulteriore relazione èstata quella della ricercatri-ce dell’Università dellaCalabria Amelia Nigro, chesi è soffermata in particola-re sulla raccolta Gli amoridifficili, e nello specificosui rapporti di questa con labiografia di Calvino e sulledue figure del femminino inesso rappresentate: la donnaisterica e la donna “gaia”,dall’etimo greco, ovvero inarmonia con la terra e colmondo, la donna salvificainsomma.

L’iniziativa, si diceva, hapercorso più strade nonlimitandosi al solo conve-gno; ha coinvolto scuole eAccademia di Belle Arti,attraverso un corso di sce-neggiatura tenuto dal condi-rettore della rivista on-lineSentieri Selvaggi e l’allesti-mento di una mostra; haconsentito di rivedere ovedere per la prima volta,data la difficile reperibilitàdella maggior parte di essi, ifilm tratti dall’opera delloscrittore. Molto ci sarebbeda dire su queste ulterioriproposte, in particolare sulla“costruzione teatrale deglispazi”: dal movimento dialternanza fra la concentra-zione centripeta della figurageometrica circolare dellasala della mostra e l’aprirsiin essa di cinque punti d’at-tenzione centrifughi, comenella cappella radiale diun’abside gotica, all’internodei quali gli schermi e lamusica illustrano le catego-rie di Lezioni Americane,alla volta a botte e ai matto-ni a vista, alla dispersioneacustica che “fa spazio” ecostringe a ricostruire eripensare le parole che giun-gono “sporche”, all’illumi-nazione dall’alto, che hannoimmerso anche il convegnoin un’atmosfera da “rappre-

sentazione” e ne hannoapprofondito la suggestione.Qualche parola andrebbespesa anche sui film in ras-segna, soprattutto per lostraordinario Cavaliere ine-sistente di Pino Zac, che,alla luce dell’oggi, affrontauna riflessione sul corpoestremamente interessante.In particolare il corpo delcavaliere inesistente è inteoria quello più inconsi-stente, ma nella pratica lasua armatura vuota, riempitada un attore invisibile, appa-re nei movimenti molto piùnaturale, spontanea, umana,corporale, non robotica diquanto non siano i personag-gi animati o quelli non ani-mati, sempre agiti dadesideri oltre misura e dun-que resi disumani o oltre,post-umani o dissezionati edinoccolati nelle singoleparti del corpo che agisconol’una indipendentementedall’altra, in virtù della tec-nica d’animazione, o perchémagari “decollati” duranteuna battaglia. Se non sifosse alla fine degli anni ses-santa sembrerebbe di esserein un’atmosfera alla Ciprì eMaresco dove però la trage-dia e la farsa si fanno com-media. Non essendo possibileandare oltre si può dire, rias-sumendo in breve, che ini-ziative di questo tenore sonole benvenute: che non sirichiudano nell’ambitoristretto e conservatore diuna sola dimensione, maazzardino la sperimentazio-ne (anche negli spazi e neimodi) e che, soprattutto, nonconsegnino il monopoliodella scena culturale ai “pro-tettorati locali” che spessotrasudano provincialismo e,francamente, anche scarsoaggiornamento o posizionidi retrovia, ma sappianocoinvolgere personalità dialto profilo, senza troppisalamelecchi, ma badandopiù alla sostanza che allanotorietà (come viceversain modo provincialissimo sifa di solito). Il lavoro delCircolo Zavattini per l’en-nesima volta dimostra comeanche a Reggio iniziativedel genere siano possibili,sperando che diventino laregola e non l’eccezione.

Federico Giordano

Il castello delle visioni incrociateUna mostra, un convegno, un corso di sceneggiaturaper ricordare Calvino e il suo rapporto con il cinema

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N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 11ETTERE

ERIDIANEL

M

GG iuseppe Tympani è natoa Gerace (RC) il 18novembre 1904 ed è

morto a Reggio Calabria il 14 giu-gno 1981. “La poesia di GiuseppeTympani – scrive Piromalli in LaLetteratura calabrese – vive nelmondo degli affetti teneri e delicati,di passioni sentite col cuore e conl’anima; c’è nei suoi versi il traspor-to e l’entusiasmo della giovinezzama anche la tristezza e la malinco-nia di un temperamento pensoso”.

A dir la verità, la tristezza e lamalinconia di Giuseppe Tympani sitrovano in abbondanza ma non così“l’entusiasmo della giovinezza”.Noi, in lui, abbiamo visto solo ildolore fatto persona, il dramma soli-dificato. Era uno dei docenti del“Piria” negli anni cinquanta, allorchéabbiamo frequentato quell’Istituto.Ora, mentre gli altri scherzavano emotteggiavano, a volte seri, a voltefaceti come la maggior parte degliesseri umani, lui, in più di cinqueanni, non lo abbiamo visto mai sor-ridere. Era un’ombra tetra, resa piùinquietante dai vestiti lisi e scuri cheindossava, sempre intabarrato e unalunga sciarpa al collo anche col solea picco dell’estate. Le domeniche loincontravamo lungo Corso Garibal-di o sulla via marina, quasi sempresolo, a volte in compagnia di altripoeti, come Fiumara o Saccà, ma luiera eternamente silenzioso, ieratico,afflitto. Nelle persone che lo sfiora-vano egli leggeva solo dolore. Civengono sempre in mente i versidella sua “Sala d’aspetto”, in cuiconfessa di squadrare “Volti digente ch’io non conosco,/Eppurefratelli a me ignoti/Che non voglioconoscere…”. Forse non era propriocosì nella famiglia, con gli amici,ma a noi, purtroppo, è rimasta stam-pata solo questa sua immagine ditristezza perenne e sconsolata. Tym-pani, in verità, aveva avuto benpoco da cui estrarre un sorriso: lastraziante perdita della figlia Roset-ta, l’improvvisa morte del fratelloAntonio nel 1951, la scomparsa astillicidio di parenti ed amici… Unavita veramente funesta. Per l’Istitu-to, ogni tanto correva voce di unasua assenza per lutto. D’altrondealla domanda chi sono, egli stessorisponde: “Uno che piange”.

Giuseppe Tympani è stato diret-tore generale della Federazione Ita-liana Liberi Intellettuali (F.I.L.I.) dalui fondata nel 1926 e direttore dellarivista Italia Intellettuale, oltre cheredattore di Realismo Lirico. Colla-boratore di periodici e di quotidiani.Sul quotidiano La Voce di Calabria,per esempio, ha pubblicato a puntate“un diario della sua adolescenza” –neanche a dirlo – “colpita dal dolo-re”. Ha pubblicato articoli, saggi,memorie, bozzetti teatrali, ma unamassa di suoi scritti è rimasta inedi-ta. Tra i volumi apparsi: Rime del-l’adolescenza (1927), Giovinezza(antologia, 1931), Elegia a Rosetta(1944, 1951, ristampata per la terzavolta su Italia Intellettuale nel1966), Pagine dell’adolescenza(1957), Soliloqui (1960), Rime dellagiovinezza (1961), La vie et le temps(una scelta, tradotta in francese daSolange De Bressieux, 1971). Solilo-qui si aprono già con una nota triste:“Sconforto”, in cui sono evidenziati“gli entusiasmi spezzati/E le millesperanze ormai morte”, “La giovi-nezza uccisa”, il “corpo logorato”,senza più vigore…; e si prosegue colvedere, in ogni creatura che gli passaaccanto, o con la quale viene a con-tatto, “una maschera in volto,/Unapena, un mistero, un destino”.

Lui non parla, non saluta, nonsocializza: indaga, ma solo col pen-siero, serrato in una invisibile cella,isolato, a guardare “Questo momento

di vita perduta/Che oggi, passa persempre”.

Un orizzonte serrato alla gioia,quello di Giuseppe Tympani, unacorsa precipitosa verso il totale,generale dissolvimento, anche se, infondo, egli ha sempre intravisto unaluce e una speranza: quelle dellafede, la certezza che “Morendo rivi-vremo un’altra vita”. Se però si rie-sce ad isolare il tema del dolore –che predomina – si scoprono, neisuoi versi, perfetti acquerelli di vitae di natura, nei quali le bellezzedella sua Reggio – con i giardini, ilsole, le belle donne –, il gioco deibambini, il brusìo degli allievi, lestazioni…, sono narrati con tocchileggeri e un linguaggio privo di ognienfasi e di ogni ricercatezza. Bello eprofondo è l’inno innalzato alla“Donna”, dalla quale viene la vita,tramite tra la Terra e il Cielo, creatu-ra dalla cui decisione la vita dipendee il tutto. L’Elegia a Rosetta – scrit-ta nella primavera del 1942 - è lastraziante storia della breve vitadella figlia del poeta, morta, comehanno detto i medici, per una “bron-chite diffusa”. Rosetta è e rappre-senta il “Nulla” e il “Tutto”. Il padrela sogna, tenta di abbracciarla, gridaper l’inganno, il cuore gli sanguinaper una ferita inguaribile e “che adora ad ora” lo farà morire. Il suo èun bisogno irrefrenabile di racconta-re, anche le notazioni più vaghe, siadi quando la bambina era in vita (eriempiva di gioia la casa, rallegran-do i genitori, lo zio, la sorella -“bimba settenne”, “Anch’essa mala-ta” -, la nonna…), sia quando, sulletto di morte, sembrava dormisse,contornata da immagini sacre cheaveva ripetutamente toccato e invo-cato nella speranza di una guarigio-ne, perché a Rosetta “piacevarestare/ancora con noi nel dolore”.I “signori dottori” non sono riuscitia sottrarla alla morte, a strapparlaagli “angioli d’oro/che voglionoportati lontano”. Sia, ancora, nelrito mesto del funerale, con i paren-ti, con i parenti che si accalcano nelpianto, il carro funebre, bianco, ilprete con la croce, le preghiere deidefunti. E poi nei giorni successivi,le spettrali visite al cimitero riper-correndo il triste tragitto fatto daRosetta nella bara, il clima di inci-piente guerra, il desiderio di morireper ricongiungersi all’amata piccina.Ed ecco il grido più atroce che unpadre possa emettere dal suo cuore,sentirsi il carnefice della propriacreatura: “sono il tuo inconscioassassino/ché, dandoti al mondo,t’ho dato/purtroppo un mortaledestino”. L’immagine della bimba èrimasta stampata nel cuore delpovero padre come stampata è rima-sta anche quella della povera madre edei tanti congiunti le cui morti hannocostellato la vita del poeta. Così,istintivamente, egli è portato alsogno, perché solo in esso gli è pos-sibile ancora vedere e abbracciare lecare immagini. Ma sono sempre atti-mi, e ogni risveglio rinnova lo strazioe la ferita ritorna a sanguinare.

In Frammenti di vita, sembra cheil dramma si sia in qualche modoattenuato. Ma è solo apparenza. Ilpoeta continua a vedere la Morteanche nelle “belle fanciulle vestitedi bianco”, “dai corpi abbronzati”,“flessuosi, di viscide serpi inamore”. La Morte giganteggia nelvolto degli amici Domenico Scoleri,Domenico Longo-Fazzari, NatalinoLanucara, del pedone schiacciatodalle macchine, persino nel gattoche ha sofferto una “lunga agonia”.La Morte. Sempre e solo la Morte,che signoreggia non solo sullanostra Terra, ma anche, “forse inaltri mondi!”.

Domenico Defelice

Giuseppe Tympani,“una pena, un

mistero, un destino” Anche le fate fanno l’autostopdi Syria PolettiEditore FalzeaIllustrazioni di Marta Dal Pratopp. 40 - € 6.50

II divoratori di verde avanzano.Per far posto a strade, autostra-de, grattaciel i e fabbriche

distruggono i boschi e ne sconvolgonola vita degli abitanti. Con le loro moto-seghe arrivano anche nel Bosco Incan-tato dove vivono le fate. La loro casatrasparente si sbriciola in una cascatadi diamanti. E le fate, lasciato il lorobosco, si incamminano per la strada efanno l’autostop. II verde è costretto afuggire lontano e anche le fate devonoemigrare. Riusciranno due bambini afar ritornare le fate?

I temi dell’ecologia e della migrazio-ne si intrecciano in questa bella fiabamoderna e incredibilmente attuale, stu-pendamente illustrata dalle immaginiliriche di Marta Dal Prato.

È questa, in una sintesi che non lerende merito, la trama del volume perbambini “Anche le fate fanno l’autostop”.

La fiaba è stata scritta dall’italo-argentina Syria Poletti (1917-1991), sino ad oggi era quasisconosciuta in Italia, ma grazie ad alcune ben condotte strategie editoriali, poste in essere perla valorizzazione di questi autori dimenticati, ha guadagnato alcune recensioni ed una posizio-ne negli scaffali di biblioteche e librerie… e qualche vetrina per merito di librai più attenti adoperazioni culturali di questa levatura.

L’autrice nacque a Pieve di Cadore nelle Dolomiti bellunesi. La sua famiglia emigrò in Argen-tina nel 1922 e lei si trasferì a Sacile, in Friuli, dalla nonna, con la quale visse fino a che nel1939 poté finalmente emigrare anche lei in Argentina.

In Argentina, dopo aver dovuto reimparare lo strumento del suo mestiere, la nuova lingua(“Cambiare lingua - scrisse la Poletti - fu come cambiare anima”), divenne una scrittrice di suc-cesso, apprezzata anche da Borges che di lei ebbe a dire: “Se ci sono vere scrittrici in Argenti-na? Sì, ce n’è una: ma è italiana”.

Laureatasi in lettere all’Università di Cordoba, si stabilì a Buenos Aires dove iniziò a collabo-rare a vari giornali con articoli di carattere letterario, educativo ed artistico. Nel 1950 il sup-plemento letterario del quotidiano “La Nación” le pubblicò il suo primo racconto, fungendo dasicuro trampolino della sua attività letteraria.

Difatti pubblicò racconti e romanzi per adulti e molte opere per ragazzi che ricevetteroimportanti riconoscimenti. Fra i suoi libri per ragazzi ricordiamo: El juguete misterioso (raccontopoliziesco, 1977), El misterio de las valijas verdes (racconto umoristico - poliziesco, 1979), El reyque prohibìo los globos (racconto allegorico, 1982, uscito anche in inglese), Marionetas deaserrìn (racconto autobiografico ispirato all’incontro con il “Teatro dei Piccoli” di Podrecca).

Morì a Buenos Aires per complicazioni causate dalla forte scoliosi che segnò tutta la sua vita.Tutti i suoi libri sono stati scritti in lingua spagnola. Alcuni sono stati tradotti anche in altre lin-

gue, ma paradossalmente mai in italiano. Solo nel 1998 è uscita per l’editore Marsilio l’edizioneitaliana di Gente commigo (Gente come me), il suo più importante romanzo per adulti.

“Anche le fate fanno l’autostop” è il suo primo libro per ragazzi ad essere pubblicato in Italia. II grande desiderio dell’autrice, cioè di veder tradotti i suoi libri in italiano, è diventato final-

mente realtà.

Paolo Falzea

’25 Nerodi Domenico GangemiLuigi Pellegrini Editorepp. 173 - € 8,00

’2’255 Nero è un romanzo tratto da unavicenda realmente accaduta aPalmi (Reggio Calabria) nel 1925,

vicenda che ebbe a suo tempo un’eco nazionale. Gliavvenimenti che sono il tessuto e l’anima di questolibro di Domenico Gangemi, si svolsero nella nottetra il 30 e il 31 agosto del ’25, durante i festeggia-menti della Varia, una festa tradizionale palmese;erano gli anni in cui la spinta neofascista tramanda-va i suoi ideali di patriottismo e supremazia, gli annisuccessivi alla rivolta proletaria; gli anni, insomma,in cui era necessario scegliere e aderire ad un parti-to politico che conferisse una data identità sociale. Ilromanzo segue un percorso ben definito, focalizzan-do i confini più prossimi alla fatidica notte; traccia,non senza coinvolgimento, il decorso quasi inelutta-bile degli eventi; l’attesa di un destino temuto,respinto ma, allo stesso tempo, desinato, dagli animidei protagonisti. Donne e uomini che vengonoproiettati nella loro nuda identità, trovandosi, per unistante, in quella ordinaria necessarietà della storia.Le immagini appaiono nitide, cariche di un substratoemotivo che coinvolge il lettore, lo porta ad interro-garsi sulle dinamiche degli eventi che, nonostante la lente spazio-temporale abbia in parteesorcizzato, rimangono nell’ombra. L’autore ha sondato, ha cercato, ha ascoltato, dandocimodo di divenire spettatori attivi di un passato che è storia. “Ho dovuto combattere per convin-cermi alla pubblicazione. Troppo vivo ancora il ricordo. Troppo pochi settantanove anni quan-do tante vite e tante idee si sono snodate e forgiate su ciò che accadde allora. Me ne sonoconvinto al pensiero che io qui racconto solo la mia verità, una fra le tante”.

Federica Legato

Syria Polettinuovamente in Italia

Il 1925 nero di Palmi

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12 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

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AA rriva in libreria il secondo atto della commedia che l’Onorevole Natino Aloi, dopo ilsuccesso di “Parlamento in… controluce”, sapientemente continua a raccontare. In

“Parlamento in…chiaroscuro” (Città del Sole, Reggio Calabria, 2005) i retroscena sulla“città” autonoma di 1000 abitanti quale è il parlamento italiano sono descritti talvolta in modoironico, talvolta serioso, con la maestria dettata dall’esperienza diretta di tanti anni, portando agalla i fatti umani, politici ed anche meschini dei “cittadini” che passeggiano lungo il “Corri-doio dei passi perduti”: il Transatlantico, nome dato ai 200 metri di passeggiata all’interno diMontecitorio, a ricordo dell’architetto che la progettò, il palermitano Basile (specializzato inprogettazione di transatlantici ma che, da grande esponente dello stile liberty quale era pro-gettò anche il palazzo del consiglio comunale di Reggio Calabria tra i tanti), nel quale si svol-gono gli accordi (leciti e non), le soste e le scorribande di chi frequenta il palazzo del poterelegislativo italiano; seguiamo i deputati nel bar, una volta diviso tra i comunisti che ne fre-quentavano la parte più interna, i missini al centro e i democristiani vicino l’uscita, ed oraspecchio della politica contemporanea dove ognuno sta dove vuole, con un occhio verso lasala lettura, nella quale, a detta dell’autore, elefantiaci onorevoli di lungo periodo, continuanoa aggirarsi in cerca di qualcosa; infine, come ogni città che si rispetti, la piazza principale, cioèl’aula parlamentare, in cui vengono scambiati, come fosse una classe di liceali, bigliettini a volte di sostegno, altre di ingiurie,sapientemente portati avanti e indietro dai dipendenti del palazzo che, assieme ai funzionari sono, come ha rivelato l’On. Aloi,altamente meritevoli della loro retribuzione, preparatissimi e scelti tra i migliori, cosa che non si può certo dire per alcuni parla-mentari, che sprezzanti della grammatica e del lessico italiano parlano di “ronzini nelle orecchie” o “patè d’animo” nelle loroelucubrazioni ufficiali o si scambiano schiaffi e insulti davanti alle scolaresche in visita.

Alla presentazione del libro, organizzata dal circolo culturale Anassilaos, erano presenti tra gli altri l’On. Catanzariti e variprofessori e presidi di istituti importanti della Città di Reggio e della provincia che hanno discusso sulla caduta di valori deinuovi abitanti di questa città chiamata Parlamento, dove fino a qualche decina di anni fa le divisioni di partito erano nette,mentre ora, a seconda del momento, le posizioni degli onorevoli si modificano in modo confusionario da sinistra a destracome bandiere al vento.

Alessio Mamone

“L“L’’ amore è qualcosa che ciscava dentro sempre, chenon lascia mai profonda-

mente in pace, perché allarga gli orizzonti aqualcosa di più grande. ...COME PERLE DIUNA COLLANA, COME I TRATTI DI UNUNICO VOLTO...” Fare una collana di perlerichiede pazienza, costanza, tecnica. Come leperle di una collana, fragili e innocenti, anchegli uomini rischiano di essere persi e spezzati,ancora di più in una terra difficile, forse trop-po, come la nostra. Oggi, dopo l’omicidio diFranco Fortugno, la Calabria si sveglia piùspaventata e sgomenta che mai e così l’operadi chi vive qui e lavora per il suo riscattoacquista un nuovo e più pregnante significato.

Mons. Bregantini, originario della Val diNon, prete operaio a Marghera e Verona, arri-va in Calabria nel 1976 come cappellano dellefabbriche e nelle carceri di Crotone. Diventapoi sacerdote al Cto di Bari, parroco di unaparrocchia difficile in Puglia e insegnante diteologia in un locale seminario.

Nel 1992 viene nominato vescovo, doposoli 15 anni di sacerdozio, in un territorioaspro e complesso per i tanti problemi socialicome la Locride. Dal 2000 al 2005 è stato Pre-sidente della Commissione della Conferenzaepiscopale calabrese e italiana per i problemisociali, il lavoro, la giustizia e la pace.

Tutti i calabresi hanno imparato a conosce-re il Vescovo di Locri e Gerace, quando nellontano 1992 prese possesso della diocesi diLocri e come primo atto da Vescovo rifiutò lascorta che il suo predecessore era statocostretto ad accettare e, come secondo atto, sirecò a piedi nel vicino ospedale della città avisitare i malati; chiaro segnale di quello chesarebbe stato il suo rapporto con il territorioche lo circondava, aperto, vicino a tutti, senzapaure e fraintendimenti.

Da allora Bregantini, uomo del Trentino,ha fatto tanto per la Calabria, è diventato unpunto di riferimento e un simbolo di una terrache può cambiare, se giustamente guidata,subito e senza indugi, anche se non senza dif-ficoltà. Una terra che come dice egli stesso dadeserto può diventare giardino.

Di per sé la figura di Bregantini rappresen-ta un pezzo di Calabria diversa e proprio perraccontare questa parte della sua terra l’editore

Franco Arcidiaco progetta e edita un testo chesolo apparentemente si allontana dalle sue tra-dizionali pubblicazioni. Perché si tratta di unlibro di carattere spirituale, ma non solo.

“Come perle di una collana” (Città del SoleEdizioni, pp. 159, € 12,00), a cura di IdaNucera, giornalista di fede cristiana, è unalunga conversazione a quattr’occhi, realizzatanell’arco di nove mesi, nei quali l’autrice si èrecata nella diocesi di Locri, dove, tra i milleimpegni, il prelato le ha dedicato un po’ delsuo tempo prezioso. Fede, amore, sofferenza eperdono sono le tracce seguite da questo col-loquio. Ne emerge un lungo messaggio diamore e speranza che trova una sintesi perfettanell’invito che egli ha proposto all’interacomunità calabrese: “unire il segno al sogno”,risvegliare le coscienze, formare un nuovosenso civile che passi attraverso la solidarietàcristiana, l’adesione a valori comuni e lanobiltà del lavoro, unica vera risorsa per lenostre terre.

Il 12 ottobre scorso si è svolta la presenta-zione del libro alla Provincia di Reggio Cala-bria, alla presenza dello stesso Bregantini,dell’autrice e dell’editore, e del PresidentePietro Fuda, particolarmente emozionato diricevere, lui originario della Locride, la visitadel Vescovo. Appartenenza territoriale chericorda subito nel suo intervento e che inevita-bilmente rimanda allo sforzo comune perrisollevare le sorti di una zona che definire

semplicemente “ad altadensità mafiosa” sembraessere oggi più che mai unsemplice eufemismo.

“Non è un libro da leg-gere tutto in una volta, mada tenere sul comodino erileggere spesso, magari apoco a poco”, dice il gior-nalista Tonino Nocera,moderatore dell’incontro,indicando i molteplici mes-saggi in esso contenuti chepossono essere interpretati asostegno della vita dell’uo-mo moderno.

È la giornalista e direttri-ce del settimanale torinese“Il nostro tempo”, MariaPia Bonanate, a intervenire

diffusamente sulla natura e il significato dellibro. “ -Non ormai, ma ancora- è la frase cheho sentito più volte ripetere a Rita Borsellino-dice la Bonanate- perché la storia si può cam-biare, bastano semplici gesti perché i sognidiventino realtà”. La realtà fra Nord e Sud Ita-lia non è poi così diversa per la scrittrice cheriprende l’analisi di Bregantini, parlando dipovertà non soltanto materiale, ma spirituale,di un vuoto che va riempito al nord come alsud. Come?

Testimonianza e partecipazione sono glistrumenti che il Vescovo indica con questolibro. La scelta della scrittura, che lo distingueanche in questo caso, ma che si nota anche neisuoi numerosi interventi che affida alla cartastampata, parlano della volontà di condivideree comunicare i problemi, le difficoltà, le spe-ranze e le paure. “Solo così il problema si ridi-mensiona e si circoscrive, parlando con glialtri la paura può essere affrontata” parole,queste, che assumono oggi un valore ancorapiù importante.

La testimonianza e il messaggio di amore egratitudine che il libro contiene vengono indi-cati anche dall’autrice come cifra di quella chelei ama chiamare non un’intervista, ma unaconversazione che diventa il culmine di unpercorso umano e di credente emozionante,profondo, intenso.

Giuseppe Giannetto

Il sogno e il segno di unVescovo in una terra malata

La Città del Sole alla FieraPiùlibriPiùliberi di Roma

8-11 dicembre 2005

La Città del Sole Edizioni parteciperà alla Fiera della Piccola e Media Editoria 2005 di Roma,

presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur.

Lo stand sarà il n. B29, ubicato al piano terra.

La casa editrice terrà due incontri per la presentazione delle sue novità:

No ponte. I racconti.AA. VV.

La raccolta dei 10 racconti selezionati nell’ambito del concorso letterario “No al Ponte dello Stretto”

indetto dalla casa editrice.

Venerdì 9 dicembreOre 18.00

Sala Morante

* * *

Come perle di una collanaConversazione con

Mons. Giancarlo Bregantinidi Ida Nucera

La testimonianza di una profondità umana e religiosa di un Vescovo che opera nella Locride, esempio e promotoredi una Calabria che può cambiare.

Sabato 10 dicembreOre 17.00

Sala Montale

SS abato 4 giugno 2005 nell’incantevole cornice del Santuario di Santa Rita, aCascia (TN) nell’ambito dei “Week-end in Umbria 2005” sono stati conse-

gnati i premi del Concorso letterario indetto dall’Associazione “Amici dell’Umbria”Agostino Pensa. Il libro edito dalla Città del Sole scritto da Francesca Zappia hariportato il secondo premio (diploma d’onore, medaglia d’argento e coppa). La com-missione esaminatrice e giudicatrice è stata composta dal Prof. Claudio Fantozzi,Presidente onorario, dalla Presidente dell’Associazione “Amici dell’Umbria” Sig.raCesarina Venanzi Pensa, dall’avvocato Luca Barletta, dall’Ass. Cultura, Turismo eSport: Francesco Cucci, dalla Dott.ssa Carla Mazzolin, dal Dott. Bruno Minelli,dalla Dott.ssa Elvira Pensa, dal Prof. Fulvio Porena, dalla Dott.ssa Atonia Zazzeroni.

Questa la motivazione: L’autrice scandaglia la realtà nelle sue molteplici sfac-cettature e ne esamina criticamente le connessioni senza che si ipotizzino soluzio-ni diverse nel prosieguo del tempo, quindi hic et nunc per generare introspezioniche, aliene da convinzioni suggestive, tendano a scoprire l’essenza nel suo esiste-re e nel suo divenire. Il valore intrinseco della raccolta che ne costituisce il pregiosostanziale, la figura clownistica tratteggiata come stile di vita da spendersi nel-l’attuale quotidianità.

LL o scorso 9 ottobre, presso la sedecomunale di Bova Marina, si è tenu-

ta la cerimonia di premiazione dell’undice-sima edizione del premio di poesia Deliadell’area ellefona Polis. Nella giuria presen-te il primo cittadino che ha aperto la seratadi premiazione giunta; le composizionigiunte da ogni parte d’Italia e dalla vicinaGrecia erano suddivise in diverse sezionidistinte in: Lingua Italiana, Vernacolo,Greco di Calabria e di Puglia, Neogreco,Inglese e Tedesco.

Alla cerimonia ha partecipato anche lacittadinanza che ha creato un clima di con-senso nei confronti dei partecipanti venutidal Lazio, dalla Puglia, dalla vicina Tropeae da Reggio di Calabria. Il Prof. FilippoVioli, membro della giuria, ha evidenziato icaratteri essenziali del recupero della linguaNeogreca e del Greco di Calabria che que-sto premio si adopera a portare avanti. Infat-ti il Professore Violi si è espresso a favoredi quegli autori che in lingua greca hannomanifestato la loro ispirazione poetica sal-vaguardando artisticamente alcune notegrammaticali in disuso da circa dieci secoli,come la coniugazione dell’infinito e ladeclinazione del dativo che artisticamente,con la nota licenza concessa ai poeti, si ado-perano per la salvaguardia di alcune sfuma-ture grammaticali che neanche nelleistituzioni scolastiche vengono poste all’at-tenzione e che soprattutto nel Greco diCalabria mettono in evidenza la naturaespressiva dei dialetti.

Nella sezione dedicata al vernacolo gliautori partecipanti hanno messo in evidenzagli affetti familiari; con la composizioneintitolata “A la to casa” Franco Zumbomette in risalto il valore dell’amicizia che aigiorni d’oggi assume caratteristica di brancoma ha perso la peculiarità di rapporto indi-viduale tra gli uomini. A lui medaglia d’oro,statuina e attestato; Franco Zumbo noto allecomunità culturali locali per il passato dicantante e autore di testi in vernacolo, hapubblicato con la casa editrice Città del SoleEdizioni, un volume dedicato interamente alvernacolo intitolato “Bella Gente”(pp.144.,10,00 E.).

Antonino Barillà

Premio Internazionale di poesia Delia

Città di Bova Marina 2005

Il Parlamento, la “città” autonoma vista da Fortunato Aloi

“Sogni di un clown”Storia di una malattia non verso la morte ma verso la guarigione

di Francesca Zappia 2° Premio Santa Rita da Cascia 2005

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N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 13ETTERE

ERIDIANEL

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U Tempu cc’èdi Aldo Palazzolo - Salvo Bassopp. 78 - € 25,00

SS alvo Basso aveva l’abitudine di recarsi nellostudio di Aldo Palazzolo e comporre le sue

poesie ispirandosi agli scatti dell’amico fotografo.Immagini e parole, raccolte oggi in un ultimo eaccorato omaggio al grande poeta siciliano, cheparlano di tempo che fugge, fermato in attimi che siha la pretesa di possedere in una pellicola. Il poetasa che il tempo invece scorre incomprensibile, è un

tempo “babbo”, stupido, su cui gli uomini e le donne ritratti si ripiegano, galleggiano, affogano, èun tempo che, a volte, non vuole essere ricordato, per cui non è più nostro: ma “il tempo non bastapiù”, lo sa Salvo Basso, morto di cancro a 39 anni. Il poeta siciliano se n’è andato nel 2002. Eranato a Giarre, in provincia di Catania e cresciuto a Scordia. Con una laurea in Filosofia e un gran-de passione per la letteratura e la poesia, si era impegnato anche politicamente, divenendo Asses-sore alla Cultura nel suo paese. Aldo Palazzolo ricorda il loro primo incontro, ad un reading dipoesia: “..un tipo sul rotondetto, grandi occhiali, capelli alla tedesca, si muove sul finto impaccia-to…mi pare uno abbastanza anonimo…Ariata sfottente, scrive e legge le sue poesie in dialetto.Attacca: voce robusta e sicura. Cominciannu a scriviri, Scriviri E’ pigghiaru n’appuntamentu Iddacan un vena iu Ca spettu ccà mentri mi Smovunu i nervi M’addumannu ccurasù Aspettu mi nni vaiuFazzu finta di Iriminni Ma scherzu: forsi Aiu sbagghiatu iu U iornu l’ura A curpa è a mia Dumaniccià riprovu Sì Dumani forsi Aumu ristatu ppi dumani Autri voti pensu Ca stu fogghiu E’ mmo fig-ghiu, Sulu a vita nun c’è riparu, Poesii e poeti? Assai troppu cci ni semu. Arripusamuni npoco Sta-muni a casa, cuucati ccà testa sutta i linzoli comu i iattareddi…Stamattina pigghiai na poesia a ittaiall’aria scinniu ncintad’aria ni figghiau n’autra. Una forza della natura, una musica di parole, unterremoto d’ironia, intelligenza, sapiente gioco dialettico, una salutare scossa alle viscere. Poesiascritta con cuore, cervello e trippe” Questo l’incontro tra i due artisti che stringono un’amicizia trarincorse, appuntamenti mancati, poesie mandate per fax e visite allo studio fotografico. Basso s’ispi-ra alle foto che vede. La prima che apre la raccolta è quella di Maria Cumani Quasimodo, secondamoglie di Salvatore Quasimodo, una donna vecchia, dal viso truccato e grinzoso, che si solleva lacollana pesante intorno al collo. Basso inizia “ Il tempo c’è, c’è/ ma è di quelli stupidi/ che non ser-vono mezzo/caldo e fresco/nessuno di questi/ conosco, solo/ questa mano che si muove/ ed èquesta la fortuna e la sola/. Poi mentre stanco/ e una voce distrae, / e confonde lei/ si tocca lacollana, / sembra voglia togliersi/ la testa, che è / vita”.

Il paesaggio terrazzatoUn patrimonio geografico antropologico,architettonico, agrario, ambientaleAtti del Seminario di StudiTaormina 30-31 maggio 2003A cura di Domenico Trischittapp. 246 - € 25,00

““SS correndo i titoli delle relazioni di questo seminario, cisi fa l’idea che il terrazzamento è stato la leva con cui

l’uomo ha di continuo cambiato una delle “facies” della naturaa lui più sfavorevoli, vale a dire il rilievo, sul quale con intelli-genza e operosità ha costruito un paesaggio artificiale inconfon-dibile che in numerose regioni del globo è diventato un territoriodurevole fino a che accadimenti sociali, economici e culturalinon ne hanno decretato il trapasso non solo fisionomico, ma

soprattutto la sostanziale dissoluzione. Sotto il profilo ambientale costruire terrazzamenti serve acontenere la furia delle acque dilavanti, a proteggere lo strato di humus e soprattutto a fornire alsuolo coltivato un giusto apporto di umidità e ventilazione, per mezzo di quel filtro costituito dalmuro di sostegno fatto di Pietre accuratamente selezionate e disposte (Laureano, 2002). Si tratta,quindi, di un manufatto compatibile con le forze esogene naturali, con il microclima vegetazionale,con i cicli produttivi delle colture e con la funzionalità dei manufatti sovrainscritti. Pertanto, in unospazio lineare abbastanza modesto, il terrazzamento costituisce una cellula vitale del paesaggio,quasi il perno di un sistema complesso e funzionale. Un “sistema” che oggi ha bisogno di essereripensato e in particolar modo, “riprogettato”, ma che restituisce il senso più pieno della sua funzio-nalità e della sua insostituibilità nell’insieme del paesaggio dell’esistente. Perché, da una genesipuramente morfo-ambientale, sul terrazzamento si sviluppa un lungo processo di insediamento disegni e di valori, sostanziati di scienza, di esperienza e umanità, complessi e mutevoli, che lo imple-mentano di significati fino a farne un simbolo ideologico di cultura, la cui portanza è forte e la cuilettura deve essere profonda per poter sollecitare la sensibilità e arricchirne le conoscenze”.

Il volume raccoglie gli atti del Convegno Il paesaggio terrazzato, tenutosi nel 2003 a Taormina einclude gli interventi dei seguenti relatori: P. Brandolini, P. Nicchia, R. Terranova, Teresa Amodio,Luca Bonari. Guglielmo Scaramellini, Barbara Vasco, Mario Bolognari, Salvatore Tignino, RosarioGiuffrè, Corrado Trombetta, Giuseppina Foti e Andrea Ieropoli.

I Tuareg dell’Aïrdi Rino Cardone - Ketty Adornatopp. 72 - € 10,00

II n Niger è ormai emergenza umanitaria. La man-canza di acqua determina il progressivo stato di

impoverimento di una popolazione che già versa incondizioni estremamente precarie. Le più colpite sonole etnie nomadi del deserto e, tra queste, quella deiTuareg. I Tuareg sono circa un milione, il loro numerosi è ridotto drasticamente rispetto al passato a causadegli stenti e le persecuzioni, vivono nel sud del Magh-reb, in Algeria e in Libia, le tribù più numerose si tro-vano proprio nel Sahel del Niger, e poi nel Mali, in

Burkina Faso, in Ciad, e anche in Senegal. Non hanno un proprio territorio, malgrado sianostati costretti ad una sedentarizzazione forzata, si arrangiano con piccoli commerci, pochi pos-sono dedicarsi alla pastorizia, tradizionalmente la loro fonte di sopravvivenza, e le loro condi-zioni sono di estrema indigenza. Restano comunque molto attaccati alle proprie tradizioni, usie costumi. L’Associazione Bambini nel Deserto Onlus si dedica da anni ad aiutare questapopolazione, nel pieno rispetto dei suoi modi di vivere e affinché essa possa sopravvivere esvilupparsi autonomamente. Dopo l’inaugurazione lo scorso aprile della sede reggina dellaOnlus, l’impegno di due collaboratori reggini si è concretizzato oggi con un’altra iniziativa.Per le edizioni della casa editrice Città del Sole di Franco Arcidiaco è stato appena pubblicatouno splendido reportage fotografico realizzato durante l’ultimo viaggio in Niger da Rino Car-done, farmacista reggino e viaggiatore nel deserto, sostenitore della Onlus da tre anni che,con l’ausilio dei testi di Ketty Adornato, ha realizzato un interessantissimo documento sulla vitadei Tuareg e l’attività dell’Associazione. 48 immagini a colori che raccontano di un particolaresodalizio tra questi italiani venuti da lontano, amanti dell’Africa e dei suoi meravigliosi abitan-ti, e un popolo leggendario, che conserva, malgrado le avversità, un’identità fiera e integra.L’aiuto di BnD per l’edificazione di scuole per i bambini, di pozzi per l’acqua, per la coltiva-zione autonoma dei pochi campi e ancora per rifornire di medicine e materiale sanitario que-sta popolazione che vive in luoghi difficilmente raggiungibili, viene illustrato da questeimmagini che raccontano di solidarietà e di rispetto. I volontari che vanno in Niger non voglio-no imporre un modo di vita occidentale, ma al contrario sostenere lo sviluppo autonomo deiTuareg, fornendo attraverso la loro tradizionale usanza del baratto alcuni beni e compiendoinsieme a loro quei lavori necessari per continuare a vivere dignitosamente nelle loro terre.

I due autori devolveranno i proventi delle vendite del libro a favore dell’Associazione perrealizzare, tra gli altri, anche il progetto di un’ambulanza che si muova tra gli insediamenti piùsperduti, portando assistenza sanitaria, là dove un medico si vede forse ogni tre mesi. Il libroha il costo contenuto di € 10,00 e nella sola città di Modena, sede principale della Onlus, havenduto in un solo giorno 350 copie.

Le ultime novità “CITTÀ DEL SOLE Edizioni”

Nevica a Torinodi Demetrio Trunfiopp. 191 - € 12,50

NN on si parla più di emigrazione nel secondo romanzodi Demetrio Trunfio, “Nevica a Torino” edito dalla

Città del Sole Edizioni. In “Dice che... alfabeto della memo-ria”, (Città del Sole Edizioni, 2002) lo scrittore, da tanti anniresidente in Francia, con un viaggio poetico-fiabesco nellasua infanzia e nella sua lingua materna, riandava alla ricercadelle sue radici mediterranee rivalutandole con leggende, maanche con momenti di storia il cui contenuto era appenaaccennato.

In questo secondo romanzo l’autore dà un più ampio risal-to al piano storico e, con la tecnica del flash-back, ritorna aquegli eventi che nel primo erano solo sfiorati: fascismo,occupazione delle terre, rivolta di Reggio degli anni 70, annidi piombo, fino ad arrivare agli anni ’80. In una Torino ricca

dove si intrecciano lotte operaie e i movimenti terroristi, si fa strada la consapevolezza che lasocietà viaggia verso l’individualismo più sfrenato, dove non c’è più posto per l’umano. Unamoltitudine di solitudine e di identità perdute si muove per la grande città “mole gigantesca cheschiaccia tutto e tutti”. Con una scrittura romanzesca tra tensione nostalgica ed un senso acer-bo di rivolta, la storia nazionale s’intreccia con le vicende di Nino, il protagonista, in unoscontro tra la sua cultura mediterranea e la civiltà industriale del Nord. La rabbia e la desola-zione di un’epoca e di una generazione, specie quella del sud che ha visto i padri emigrare elavorare strenuamente per costruire un futuro diverso per i propri figli, è la cifra di questoromanzo, in cui il senso di perdita non è solo verso la terra che si lascia, ma anche nei con-fronti di una condizione in cui il confine tra bene e male poteva ancora essere tracciato netta-mente. La dimensione personale del protagonista è quella dei tanti che si sono trovati a viverequegli anni difficili, di grandi cambiamenti, di tragedie collettive, di speranze disattese. Il desi-derio di cambiare il mondo, comune a tanti giovani e naufragato miseramente con i successivieventi storici, s’intreccia con la condizione di ragazzo del Sud, con un forte desiderio di riscat-to e di libertà per sé, i propri cari e la propria terra. Il romanzo forse può leggersi tutto in unafrase di Pasolini ripresa in un passaggio del testo “Quello che ci incita a tornare indietro ènecessario quanto quello che ci spinge ad andare avanti”. Il rapporto tra passato e futuro nonè scontato come superamento del primo a favore del secondo, quanto piuttosto come equilibriotra le due dimensioni ugualmente indispensabili. Un insegnamento allora non colto, ma cheoggi alla luce di una diversa e più consapevole maturità, l’autore fa proprio. Un intenso lirismoregala pagine intrise di una poesia del tutto particolare e nota a chi conosce questo scrittore,senza derogare all’intento principale di questo romanzo, cioè il personale tentativo di capire lastoria, di cui si è stati nel bene e nel male protagonisti.

Storia del Bergamotto di ReggioCalabriadi Pasquale Amatopp.111 - € 5,00

PP asquale Amato ha ricostruito, mediante uno straordi-nario e felice intreccio tra storia locale e storia italia-

na, europea e mondiale, l’affascinante percorso del preziosoagrume autoctono di cui Reggio Calabria e la fascia costierada Scilla a Monasterace detengono l’esclusiva mondiale dasecoli.

Il percorso storico del Bergamotto ha coinciso con le vicen-de di un’intera comunità, coinvolta nel destino del suo giaci-mento più ricco: dalla misteriosa origine al gran debuttonella corte del Sole a Versailles; dal Café Procope alla con-quista dei salotti, caffè e botteghe del secolo dei Lumi, dallafase d’oro dopo l’unità italiana alle crisi che si sono succedu-

te fino ai nostri giorni. Un agrume eccezionale, che s’è affermato nel mondo per la molteplicitàdei suoi usi nell’arte della profumeria e della cosmesi, nella farmaceutica e nell’alimentazione.Un agrume unico, per il suo ostinato rifiuto a riprodursi in aree diverse dalla sua terra d’origi-ne. Un agrume che ha prodotto tante ricchezze, ma più per gli altri che per i suoi possessori.

Amato ha cercato le ragioni profonde, interne ed esterne, di questo sviluppo mancato. Leha individuate e mirabilmente spiegate con il suo stile brillante e incisivo. Si è soffermato, infi-ne, sull’ultimo decennio, che ha rappresentato la ripresa della centralità del bergamotto. E, dastorico militante, ha indicato infine la via per riprendere il cammino del suo rilancio, facendotesoro della lezione della storia.

Il Risorgimento oltre i miti e i revisionismidi Pasquale Amatopp. 188 - € 10,00

VV iene pubblicato nella collana I tempi della storia dellaCittà del Sole Edizioni, il volume “Il risorgimento oltre i

miti e i revisionismi”, di Pasquale Amato, direttore della collanae docente di Storia contemporanea dell’Università di Messina.Questo agile saggio propone una rilettura delle vicende risorgi-mentali italiane nell’arco di tempo che va dalla prima discesa diNapoleone Bonaparte nel 1796 alla presa di Porta Pia nel set-tembre 1870 e tenta di recuperare una riflessione storiograficaequilibrata tra i due estremi su cui ha sempre oscillato la rico-struzione di quel periodo. Da una parte l’esaltazione filo-sabau-da di personaggi ed eventi sino a esasperate mistificazioni,dall’altra gli scritti revisionistici che, pur partendo dalla giustaintenzione di reagire ad alcune distorsioni, sono scivolati spesso

verso l’esaltazione smisurata degli Stati preunitari. Amato ha innanzitutto messo a fuoco il caratteredell’influenza francese, nelle sue diverse fasi, quella repubblicana di fine 700, più radicale e di rot-tura, e quella dei regni napoleonici, maggiormente moderata, ma altrettanto importante. Ha postoinoltre l’accento poi sulla complementarità delle due figure più rappresentative, ma antitetiche, Cavoure Mazzini, che hanno costituito due poli d’attrazione per un aggrovigliato succedersi di eventi cheportò all’unificazione italiana. Scrive Amato “Il percorso tortuoso del risorgimento confermò difatti l’ec-cezionale propensione al particolarismo e all’individualismo, che ha reso sempre difficile e contraddit-toria qualsiasi azione collettiva nazionale”. Ha infine puntato l’attenzione proprio sulla proclamazionedel Regno d’Italia come estensione del Regno di Sardegna. La storia italiana è stata caratterizzatadalla tendenza alla separazione tra localismi esasperati, ma inevitabili, dalla vocazione all’individuali-smo, dalla propensione a frammentarsi in gruppi e sottogruppi. Le spinte contraddittorie del Risorgi-mento, il concatenarsi di esse con circostanze fortuite e concorsi di eventi fortunati, le scombinate fasifinali e l’intricata “malaunità” sono state il risultato della frastagliata storia italiana di lunga durata.Nel contempo hanno pesato sul successivo percorso storico dell’Italia. E pesano tuttora. Di questa pro-blematica unificazione italiana Amato ha ricostruito alcuni casi significativi: l’annessione del Venetocon la catastrofica partecipazione della guerra austro-prussiana del 1866, la facile annessione diRoma e del Lazio tramite la troppo decantata breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870, la rivolta delSud contadino contro il nuovo Stato vissuto come nemico e oppressore tramite la disperata ribellio-ne del brigantaggio, la protesta di una città rovinata dalla malaunità, con le tre elezioni dell’esuleMazzini a Deputato di Messina nel 1866.

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14 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

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VV iviamo in un tempo sto-rico difficile e questonon fa altro che confer-

mare un dato costante e ineliminabi-le di ogni fase del vissuto collettivoumano. E malgrado il fatto che inquesta nostra contemporaneità sisoffra meno di altre a livello appari-scente e complessivo - meno peresempio delle fasi storiche attraver-sate dalle guerre mondiali - il gradodi difficoltà che la pervade è parti-colare e inedito, tanto poco visibilein superficie quanto diffuso e sem-pre più radicato nelle vite dei singo-li e delle comunità. La difficoltà delnostro tempo, quella che riassumetutte le difficoltà specifiche che loconnotano ormai a livello planeta-rio, ha un nome consolidato che èquello di complessità. E, più in par-ticolare, la complessità che denotal’epoca contemporanea rende que-sto passaggio della storia così arduoda interpretare e perfino da percepi-re nei suoi flussi sostanziali perchési fonda su una contraddizione enor-me, sistemica ed estrema: da unlato, non si assiste ad altro che allaproliferazione tracimante e inconte-nibile delle “opportunità di domi-nio” dell’uomo sul mondo non -umano (e, oggi non meno di sem-pre, ancora sui propri simili menointegrati), cioè alla lievitazione atutto campo delle strumentazioni e

delle stesse “protesi” potenzianti ilcorpo biologico che - grazie altrionfo autocelebrativo della tecno-logia e di chi ne possiede il control-lo - offrono all’uomo “finalmente”la possibilità di considerarsi conconvinzione l’unico centro effettivodella realtà spaziale e temporale vis-suta; dall’altro lato, tutto ciò, ormaiperlomeno da alcuni decenni inmaniera ininterrotta e crescente, si“sviluppa” in sincronia con il totalee quasi ossessivo appiattimentodella memoria storica e perfinoindividuale, ossia con l’altro trionfoche, appunto, caratterizza l’era con-temporanea, quello della rimozione.

La tecnologia e la rimozionesono i due connotati distintivi e cru-ciali della complessità contempora-nea e la loro interdipendenza cosìserrata e invasiva nell’occupare levarie dimensioni d’esperienzaumana è precisamente ciò che rende- forse più di ogni altra cosa - “diffi-cile” da vivere (da abitare nellastessa vita quotidiana, più concreta-mente) il mondo attuale: così sfug-genti i suoi “sensi” nello stessomomento in cui ogni opportunitàdell’esistenza sembra a portata dimano per chiunque in qualsiasi con-testo culturale e momento della vita.

Ma perché la compresenza deltrionfo della tecnologia e dellarimozione danno vita alla contraddi-zione estrema del nostro tempo?Perché la loro interazione, del tuttologica e pianificata per coloro chene dirigono le manifestazioni e leulteriori forme di occupazione dellarealtà, in effetti costituisce il “segno”massimo della difficoltà del viverecontemporaneo, l’indicatore princi-pale della sua complessità?

Tecnologia, nuovo “Sacro”

LL a tecnologia assunta alruolo di “nuova carne”

potenziata e incontrastabile, oltreche incontenibile nei suoi continuisviluppi, occupa sempre più massic-ciamente l’intero scenario dell’espe-rienza umana. Questo significa, ecomporta, che laddove essa arrivaad affermarsi (e molto spesso piùrealisticamente, ad imporsi) comeapparato essenziale per dirigere lerelazioni umane sia al livello indivi-duale che collettivo non ammettepiù la sua sostituibilità e nemmenola sua relativizzazione con altredimensioni di crescita dell’esperien-za, da quelle più direttamente legatealle facoltà percettive del corpo aquelle di natura “spirituale”. Così,attestare e diffondere il dominiodella tecnologia intesa proprio come“il piano supremo” - quasi “subli-me”, con un ulteriore paradosso -dell’articolazione e della stessa evo-luzione della presenza umana nelmondo vuol dire intrinsecamentenon ammettere, ridimensionare oaddirittura attaccare altre sfere direlazioni dell’uomo con i proprisimili, con l’ambiente e con iltempo vissuto che è la storia, indivi-duale (cioè biografica) e comunita-ria (ossia, sociale e culturale). Eccoil punto focale: se la tecnologia, coni suoi apparati e le sue funzioni,occupasse una quota relativa e dun-que aperta della realtà umana, unospazio parziale e quindi relazionatoad altro di sostanzialmente diverso,essa assai verosimilmente sarebbefonte di arricchimento e forse, addi-rittura, di stimolo critico per lecapacità cognitive dell’uomo nei

confronti di se stesso e della realtànon - umana che costituisce perma-nentemente il contesto delle sueazioni; ma nel momento in cui latecnologia, con la logica e le strate-gie che vi sono annesse, si autoinve-ste del ruolo - e del potere - dinuova conformazione del Sacro,onnipresente, onnisciente e soprat-tutto onnipotente, essa punta adassorbire l’intero arco del possibile,del percepibile e del comunicabile,tutto ciò che può essere condiviso eprogettato, riducendo a pura suaderivazione o prodotto ogni scena-rio futuro e - appunto - qualsiasiconsiderazione del passato.

Perciò, l’affermarsi postmodernodel totalizzante dominio della sferatecnologica non può fare a meno

della pratica sistematica di ricon-durre e “tradurre” lo spessore, ladensità e la problematicità del vis-suto umano - che resterebbero irri-ducibili ad un totale asservimentoad esso - alla superficie delle rela-zioni tra gli esseri e le cose, all’im-mediatezza effimera dellesensazioni, all’invecchiamento sem-pre più precoce delle esperienze,all’intensificazione del consumodelle eccitazioni istantanee: insom-ma alla costante rimozione dellaprofondità della memoria. E se èvero che la tecnologia esiste dasempre come insieme “protesico”delle facoltà umane, tuttavia è solocon le conformazioni che ha assuntonell’era attuale tardo - moderna cheessa reclama la cancellazione irrever-sibile del significato della memoriaper le esistenze individuali e colletti-ve umane, nell’ostentazione della suatotale autonomia da quella.

Cos’è l’antropologia storica?

DD a qui l’importanza cruciale,per non dire vitale, dell’at-

tenzione da prestare in manierasempre meno episodica alla preser-vazione del patrimonio culturale evissuto che nutre le vicende umanesia a livello di metastoria che sulpiano delle esistenze singolari ecomuni. La convinzione che cisostiene, infatti, è che non vi èmodo di concepire e prospettare unaqualsivoglia crescita della consape-volezza del proprio vissuto e dun-que un mantenimento reale dellasoglia di criticità cosciente chesostiene progetti e intenzioni nonprevaricanti o, per altro asserviti,senza un patrimonio di memoria che

- unico - riesca a dare spessore aqualsiasi esperienza di vita.

A questo proposito, all’internodelle scienze umane e sociali esoprattutto proprio negli ultimidecenni (cioè, paradossalmente, insincronia con l’avvento dell’erapostmoderna ma in contrapposizio-ne con i suoi valori) si è sviluppatauna metodologia di ricerca che èanche una chiave di lettura dellastoria e delle storie umane e che puòrientrare tendenzialmente nella defi-nizione di “antropologia storica”.Con essa si intende quella imposta-zione di studio e di analisi cheincentra la messa a fuoco delledinamiche storiche contemporanee,e specificatamente dei loro signifi-cati per la vita concreta delle perso-ne che le hanno vissute, non tantosulla accumulazione di materialid’archivio “oggettivi” o di docu-mentazioni ufficiali “asettiche”,quanto sulla fedele raccolta delle

testimonianze appunto dei direttiprotagonisti delle vicende affronta-te, veri resoconti di vita certo sog-gettivi e dunque parziali eimperfetti, ma insostituibili a livellodocumentario nella loro unicità e“carnalità”. Ciò non esclude affattoil ricorso anche a documenti archi-vistici di varia natura, ma consideraappunto il recupero e la salvaguar-dia della memoria vissuta comeimprescindibile per un tentativo dicomprensione vivo e serio dei pro-cessi storici e culturali che hannosegnato concretamente le modifica-zioni delle esistenze individuali ecollettive del nostro tempo (e diquelli ad esso ancora vicini). Così,viene rovesciato l’assioma “tecnolo-gico”; ogni supporto “oggettivo” ostrumentale va bene, ma nelmomento in cui non si sostituisce eneppure sovrappone alla preminen-za delle voci vive delle esistenzereali, all’ascolto della densità dellaloro storia, o della loro partecipa-zione alla Storia, che è così tantospesso anche intensa sofferenza chediventa testimonianza di una visce-rale irriducibilità a qualsiasi logicadi rimozione più o meno coercitiva.Queste voci, questi resoconti di vitanon sono “speciali” o eccezionali,nel senso specifico che non appar-tengono a personaggi celebri o adautorità riconosciute.

A questo proposito, la lezionedel grande iniziatore e, di fatto,maestro dell’antropologia storica inItalia, che è Nuto Revelli, con il suofondamentale libro “Il mondo deivinti”, resta straordinaria per com-pattezza e rigore, un esempio ine-sauribile di passione antropologicae cura documentaria del tutto sinto-nizzate in questa sua straordinariaricerca condotta sulle popolazionimontane e agrarie del nordovest ita-liano nel primo e secondo dopo-guerra. Chi parla è la gente“comune”, che non per questo èmeno protagonista della Storia e,soprattutto, meno ricca di vissuto ememoria. La Storia, il tempo condi-viso delle vicende umane, è fattadalle esistenze dei corpi che nell’at-traversarla si sono riempiti di cica-trici il più delle volte non visibili etuttavia profonde e sempre vive, chenon chiedono altro che di esserericonosciute ogni tanto nella veritàdella loro sofferenza. Il contadinodelle Langhe di Revelli, il deportatonei lager nazisti così profondamenterichiamato da Primo Levi nei suoifondamentali libri sulla memoriadella deportazione, i combattentipartigiani sopravvissuti le cui storiefinalmente, negli ultimi anni, sonostate raccolte in particolare da stori-ci sensibili toscani ed emiliani, e gliimmigrati così tanto seguiti dall’an-tropologia storica francese e fran-cofona, e adesso i profughi e gliesiliati che percorrono le strade ilpiù delle volte ignorate dell’emargi-nazione crescente propria delmondo globalizzato, i “semplici”così come gli esclusi, sono la “carnedella Storia” e quasi sempre nonesigono altro che attenzione erispetto per la memoria del propriovissuto.

Una civiltà fondata sulla rimo-zione è più e peggio che una civiltàvuota, è una “civiltà” disincarnatain balia di meccanismi tanto auto-matizzati quanto autoreferenziati,ossia morti prima di nascere. Perquesto l’antropologia storica evi-denzia un grande rischio e sostiene,nello stesso tempo, una convinzioneche le dà forza: il rischio dell’affer-marsi di un processo di alienazionecollettiva che renda tutto indifferen-ziato e dunque irriconoscibile; e laconvinzione (più di una speranza)che il corpo, l’adesione al tempo ealla natura, che tutti noi siamo, con-tinui a resistere al trionfo dell’artifi-ciale e dell’oblio.

Lino Gambacorta

L’antropologia storicanell’era postmoderna

Tecnologia e rimozione caratterizzano la complessità contemporanea

Bambini soldato in Sierra Leone

Palestina

Esodo dal Kosovo

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UU n romanzo che prendele mosse dall’atto vir-tuale di un quadro,

dove sono raffigurati due austeripreti con tanto di abito talare congrandi cappelli neri dalle teseall’in sù, a questo punto si mate-rializza una storia, probabilmentevera, che un giorno qualsiasiall’aeroporto di Fontanarossa diCatania, Eva - una turista unghe-rese in vacanza ad Agrigento -l’accennò senza mai averla effetti-vamente iniziata, ma nella traspo-sizione temporale, la storia vieneripresa con la sua avidità corporeae, dunque, possiamo intuire chesia stata vissuta nella mente delloscrittore. Enzo Lauretta dispiegauna fantasia calda e preziosa, chesi presenta nel rapporto con tuttala vastità del reale, dal trionfo del-l’amore e dal bisogno di vivere irapporti umani in modo appassio-nato e drammatico. Un linguaggiotagliato a misura “classica” conuna trasparenza minerale e un’at-tenzione vibrante. Una storiatenue di due fidanzatini che sco-prono un amore grande che li fasognare e fantasticare con Luigipieno di vita e propositi sani. Inpaese si mormora e la madre diMargherita compresa è al centrodi insinuazioni feroci, a prescinde-re se sia vero o meno, sollevando-ne un’aria di bovarismostrisciante. Il padre, violento,ubriaco, stupratore, schizoideaveva lì a un passo la bella Mar-gherita, preda del padre padronedispotico che ne abusa..

Attraverso un distendersi dimomenti emozionanti così benedescritti da Lauretta prende poicorpo il “grosso” della storia che èquella della scelta più combattutain silenzio, la decisione di farsiprete che apre la diatriba del celi-bato. Il libro è acceso in anteprimacon la storia dei due giovani licea-li vissuti nella straordinaria corni-ce del San Leone di Agrigento,laddove il paesaggio esulta e favo-risce anche agli amori che si pos-sono liberamente trovare nelformicolio delle vie dove hai lasorte di incontrare persone dall’a-spetto gotico con nomi Baucina,Alù. Dicevamo che il paesaggiogioca un ruolo afrodisiaco, bastaguardare il tipo locale di “faccia”,le rigide convinzioni di orgogliosessuale che è probabilmenteretaggio di culti pagani.

Il paesaggio è ancora più visto-so, se si guarda dal di dentro ilpotere quanti passi ha compiuto,che poi è stato il tema culturaledella letteratura siciliana. Oggiquesto potere ha strade nuove,accultura i “bravi” a scopo omici-da assunti dal medico o da uningegnere o avvocato, anzichécome veniva anni addietro attra-verso l’emissariato di un principeche non si trovava. Margherita eLuigi sono due giovani che hannoin mente propositi di libertà vera enon sono segnati dall’emulazionesproporzionata voluta dai cliptelevisivi o personaggi leggendario “baroni” illanguiditi.

L’amica e confidente, Luisetta,(non esterna) ha un suo ruolo tra idue fidanzati, quello di saperascoltare e intervenire con giudizisaggi verso loro due, quasi fosseuna psicologa ad aggiustareall’occorrenza la barra del destino.

La famiglia di Luigi appartienea un casato medio-alto, il padreingegnere e la madre donna dibuon lignaggio non ha mai fattostorie a Luigi per quel rapportosemiclandestino.

Forse s’intravede un qualcheresiduo moralistico di casta arabache ancora grava nella Siciliaoccidentale? In questo libro c’ètensione, un desiderio nonmascherato di rappresentare storieche hanno radici negli ideali enelle avventure della Provvidenza,l’autore è cattolico. Nella nudaspiaggia alla costa esterna al maredi Agrigento, si compie il raptus,proprio in quel punto dove il flus-so dei visitatori diretti ai Templid’estate diventa pellegrinaggio edevozione al luogo. L’autore è diAgrigento, dove nasce anchePirandello, e da Pirandello ilnostro ha vivo il senso di repres-sione maturato col tempo, anchela repressione ai mali che senteserpeggiare per il futuro, dirà,sicuramente come Pirandello:

“se penso al punto in cui la vita mias’aprì piccola al mondo immenso e vanoda qui, dico, da qui presi la via”.

Questo romanzo non contienedi certo quelle satire che hannoispirato Goffredo Parise, nel riu-scito romanzo “Il prete bello”figura estroversa e vanesia, scala-tore mondano che si vanta e siesalta di suscitare intorno a séquelle pruderies del Parise eroticomistico-sessuale il quale brandiscecome fine nei romanzi la sua fero-ce satira. Qui “I due preti” dell’a-grigentino Lauretta racchiude unaparabola compiuta, il senso circo-lare di una vita. Niente affattoun’esaltazione di un mondo aristo-cratico, bensì una Sicilia dei nostritempi, travolgente di vita locale,di fatti e miserie. Dunque, Luigidopo un confuso interiore turba-mento, porta aperta per la vitaintera al sacerdozio, raggiunge lastrada più prossima: la casa diDio. Don Luigi diventerà un catto-lico mancato, un prete spretato,senza pentimenti oppure quel ten-tennare del lasciare o non lasciareandrebbe spiegato diversamente?Certo è che lo scrittore ha dato lastura a un tema immane e ancoraoggi oggetto di dispute, il temadel celibato dei preti che ha impe-gnato cultori e teologi, vaticanistie semplici cittadini. Il problemaha avuto spunti accesi di recentecol parroco Franz Sobo, (Cantonedi Basilea), che ha detto di viverela propria sessualità a modo suo:immediata replica del vescovoKurt Kock, che aveva deciso disospendere dalle sue funzioni ilparroco “colpevole” di predichecontro il celibato dei preti e lagerarchia cattolica. Ma al di là diogni faziosità, la Chiesa sul Matri-

monio dei preti è inequivocabile.L’unione ad tempus è da conside-rare a discrezione e arbitrio del-l’uomo? Noi, cattolici o no, cichiediamo se Dio non abbia rive-lato che le sue leggi di solubilità eindissolubilità siano tali da con-durre alla relativa felicità possibilefra gli uomini e al perfezionamen-to morale più alto i coniugi? Gran-de ci appare la figura di don Luigicome prete di frontiera, libero dimanifestare la propria vocazionecon le sole armi della fede. In donLuigi sta per montare una nuovamarea da rivoluzionare per laseconda volta la sua vita: “Pensaiche forse era venuto il momentoper aprirmi, per confessare aMarco il mio attuale stato d’ani-mo, ammettere la maniera nuovacon la quale guardavo a Luisetta,il bisogno che provavo di starecon lei e l’impulso sempre piùpericoloso che mi spingeva aprenderla tra le braccia e rimpro-verarla per aver taciuto così alungo prima che mi ordinassisacerdote”.

C’è da dire che Luisetta, dopoun matrimonio sbagliato, si accor-ge di aver sposato non un Angeloma un erotomane “infarcito” digallismo che voleva a tutti i costiimporre una personale “scuola

dell’amore” soggiogandola ai suoivoleri: “Ora sarò io a comandaree il mio scettro sarà il sesso”. Lui-setta non gestisce più una situa-zione siffatta e ritrova nell’amicomigliore Luigi, quel bene dell’ani-ma custodito nel subconscio efatto d’amore platonico.

Un libro aperto, affabulante, disincero e alto bisogno di verità,senza stranezze e luci smaglianti;un libro che descrive, discendedalla scuola moderna siciliana cheha origine in Verga e Capuana. Sesi guarda bene, anche il poderosoromanzo “I Vicerè” ha qualchevicinanza con il Gattopardo, nonperò nella lingua. Il realismo diVerga anticipa il moderno Leonar-do Sciascia con le sue particolariindagini sulla vita provinciale(egli è nisseno). Il riverbero delGattopardo è anche ne “I duepreti” dove si nasce e si perde inbreve. Soprattutto la figura diLuigi prima e don Luigi dopo èraccordata dal sapiente intreccio;anche il delitto è un intrecciovigoroso di bravura ed Enzo Lau-retta l’ha saputo riprodurre in par-ticolari e aggiungere contrasto allatrattazione dei personaggi e degliavvenimenti.

Antonio Coppola

N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 15ETTERE

ERIDIANEL

M

EE nzo Lauretta, è nato a Pachino e risiede in Agrigento: laureato in lettere e in giurisprudenza, impegnato nell’atti-vità didattica, ha ricoperto vari incarichi pubblici, tra i quali quello di Presidente dell’Ente Provinciale del Turi-

smo, Delegato della Regione per l’Amministrazione Provinciale e di Sindaco di Agrigento.Gli studi critici lo hanno portato ad occuparsi di Brancati, Patti e Saviane, sui quali ha pubblicato tre «Inviti alla lettura»

(Mursia 1973 - ‘75 - ‘76. È autore di un Compendio storico della letteratura italiana (Mursia 1977). Attento studioso del-l’opera pirandelliana, le ha dedicato vari scritti: un commento a Questa sera si recita a soggetto (Mursia 1973), la guidaCome leggere Il fu Mattia Pascal (Mursia 1976), due saggi su Pirandello, storia di un personaggio fuori di chiave (Mursia1976), e Pirandello o la crisi (San Paolo, 1995) e infine Pirandello e il mistero (San Paolo, 1996).

Nella narrativa, dopo una raccolta di novelle I sogni degli altri (1952), ha pubblicato nel 1973 con Mursia I giorni dellavacanza, (Premio Giardini Naxos 1974). Con l’Editore Vallecchi è uscito La sposa era bellissima (Premio Rhegium Julii ePremio Sila 1985) da cui è stato tratto il film omonimo di Pal Gabor e lo sceneggiato della Radio della Svizzera Italiana.Con Vallecchi ha pubblicato ancora La piccola spiaggia (Premio Savarese per la narrativa 1986) e I Salmoni del SanLorenzo (Premio Campofranco 1989) da cui lo sceneggiato omonimo della Radio della Svizzera Italiana e il film omonimo,coproduzione GPA - Cinemafilm - Rai Cinema. Nel 1991 è uscito con Rizzoli Maddalena (Premio Martoglio 1992) e nel1994 con il Vantaggio Editore L’ospite inattesa, sceneggiato dalla Radio della Svizzera Italiana. Le edizioni San Paolo glihanno pubblicato nel 1995 Vacanza in Sicilia (Premio Ori di Taranto), un rifacimento del suo primo romanzo.

Amore, suspense ed etica ne“I due preti” di Enzo Lauretta

AA ntonio Coppola ènato a Reggio

Calabria negli anni Qua-ranta, vive a Roma. Ha col-laborato alle pagineculturali di vari quotidiani,quali: “Momento Sera”,“Avanti”, “Giornale diCalabria”, “II Giornaled’Italia”. Ha frequentato laredazione de “II Caffè”,rivista satirica-letterariafondata da G .B. Vicari,dove ha conosciuto SaverioVòllaro e molti altri scritto-ri. Collabora a riviste dicritica letteraria e a variperiodici di letteratura.

Ha diretto due riviste divaria cultura. Laureato inLettere con indirizzo lette-ratura moderna e contem-poranea. Iscritto all’Ordinenazionale dei Giornalistidal 1972. Presidente in variConcorsi di Poesia. Autoredi sette libri di poesia,quali: Terre al Bivio(1970); Frontiera dimaschere (1976); Caroenigma (1992); A colloquiocon il padre (1995); Lamemoria profonda (1996);Da Emmaus le parole(2000); Gli angeli delBonamico (2002). MariaGrazia Lenisa gli ha dedi-cato un saggio monografi-co L’avventura randagia -La poesia di A. Coppola(1999). Un altro saggiobiografico - testuale è statoscritto da Francesco del-l’Apa Dal tempo Unico(2003). Collabora anche aLibri e Riviste d’Italia(Ministero Dei Beni Cultu-rali), dirige la collana “Era-smo” di critica letterariadelle edizioni “Città delSole” di Reggio Calabria.

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16 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

M

LL a recente scomparsa diRanieri III, e la succes-sione al trono del figlio

Alberto, trentesimo sovrano delladinastia dei Grimaldi, ci hannoindotto a riscoprire uno spaccato distoria santagatina che vide comeprotagonista proprio un loro illustreantenato durante il nebuloso crepu-scolo del medioevo calabrese.

Come è risaputo, sin dal XIIIsecolo i Grimaldi affermarono laloro signoria su un piccolo lembo diterritorio della Costa Azzurra, preci-samente da quel fatidico 8 gennaio1297, quando Ranieri I, guelfo, siimpadronì della rocca di Monaco,dopo che fu cacciato da Genova daighibellini, divenendo successiva-mente Barone di Calabria, al segui-to degli angioini che conquisterannoil Regno di Napoli. Baroni di Cala-bria saranno anche i suoi discenden-ti Carlo I, Ranieri II e Giovanni I,fino al 1491, quando Roberto, ulti-mo re angioino, lascerà Napoli.

L’epopea di questa casata è note-vole sia per il numero di personaggistraordinari sia per gli eventi politi-ci, militari e commerciali che cidanno una visione insolita, talvoltainattesa, dell’Europa nel lungoperiodo.

La presenza nel Sud Italia deiGrimaldi risale quindi al bassomedioevo, in cui si ritrovano comeconsiglieri e capitani di giustizia, ocombattenti accanto ai re angioini.

È il caso del genovese GiovanBattista Grimaldi, nominato vicerédi Calabria da Giovanni D’Angiò,che, in un epoca caratterizzata dasanguinosi scontri, tra i baroni e ilre Ferrante, resisteva eroicamente,assieme agli abitanti, per circa dueanni sulla rocca di Suso, agli attac-chi aragonesi.

Giovanni D’Angiò giunto aGenova l’11 maggio del 1458, comegovernatore al servizio del Re diFrancia, Carlo VIII, viene ben pre-sto invitato nel Sud dai baroni meri-dionali, affinché resusciti gli antichidiritti angioini sul regno di Napoli.Al suo seguito, assieme a molticapitani di ventura, giunge nel meri-dione anche il Grimaldi, protagoni-sta in molte battaglie per lariconquista del regno.

Lo ritroviamo così nel 1460 a

Nicastro e a Martirano. Nel marzodel 1462 nella Piana del Crati, ilmese successivo è a Plaesano vicinoFeroleto. Nel novembre dello stes-so anno combatte a Bisignano, perpassare poi ad Acri, dove la cittàviene messa a ferro e fuoco dagliaragonesi guidati da Tommaso Bar-rese, “l’uomo più violento del seco-lo”.

Rifugiatosi nella parte alta delcastello vecchio, assieme a pochiuomini e inviando gli altri soldati inluoghi diversi, resiste per un bel po’all’assedio, fino a quando, ormaicircondato, si salva a stento con lafuga attraverso aspre rupi e rovinosiprecipizi, ed, in compagnia di pochifamiliari, si avvia, col favore delletenebre verso Longobucco.

Inseguito ancora più a Sud dagliaragonesi, guidati anche da AntonioCentelles, che più volte aveva com-battuto al suo fianco, e definito daicontemporanei “sfacciato, perverso,prodotto al mondo solamente perordire inganni e discordie”, lo ritro-viamo nel 1463 a Seminara, Pente-dattillo e Fiumara.

Successivamente quindi il Gri-maldi s i porta f inalmente inSant’Agata, città filoangioina pereccellenza.

La cittadella, costruita su un’ertacollinetta, naturalmente protetta eben fortificata, aveva anche un buonapprovvigionamento idrico, assicu-rato da cisterne rifornite di acquapiovana tramite canalizzazioni interracotta. La presenza di palle dipietra, utilizzate dai contadini inalcuni muri a secco, fa pensare chela fortezza, in quel periodo, fosseanche munita di quei pezzi d’arti-glieria pesante chiamate “spiriti difuoco”, vale a dire le bombarde chepotevano sparare i sassi proiettili sulcampo avversario lungo una traiet-toria quasi circolare.

Fu probabilmente in epocaangioina che a Sant’Agata venneaggiunto l’appellativo di Motta,intendendo con questo francesismoun centro fortificato su di un pog-gio.

Il castello era stato già rinforzatonelle proprie strutture prima ancoradella guerra del Vespro per espressodesiderio dei sovrani angioini cheattribuivano al presidio santagatino

notevole importanza strategica inquanto prossimo allo Stretto e quin-di avamposto verso la Sicilia.

Dai registri della CancelleriaAngioina apprendiamo che il castel-lo di Sant’Agata era amministratodalla corona, e che in un decretodell’ 8 novembre 1275 Carlo Idisponeva l’approvvigionamentoper un anno, con scorte di miglio efrumento, mentre nel 1279 vi avevainviato a presidiarlo 10 soldati arti-glieri al comando del castellanoscudiero francese Henri de Marseil-le (Enrico di Marsiglia) e successi-vamente Renaut Giefroi con uncappellano e otto uomini (la presen-za del cappellano fa pensare che già

in quel periodo sulla rupe esistesse-ro luoghi di culto).

Già allora i santagatini avevanodato prova di stoicismo resistendotenacemente agli aragonesi che ave-vano occupato tutta la parte meri-dionale della regione.

E in una nota di stato del 1313Re Roberto, scrivendo al municipioed ai cittadini di Sant’Agata, li esor-tava a rimanere tranquilli perché alpiù presto avrebbe mandato suo fra-tello Giovanni, conte di Gravina,con un potente esercito a presidiarele Calabrie

Dal 18 maggio 1345 al 26 mag-gio 1347, però, la Corte di Napoliebbe bisogno di occuparsi per alme-no sei volte delle gravi condizioniin cui versava la terra col castello diSant’Agata, poiché era stata di fre-quente assalita dagli aragonesi chene avevano ripetutamente rovinatole mura, le torri, le porte e il castel-lo. Tutto ciò ce la faapparire un presidioimportantissimo.

Da qui dunqueanche i timori di reFerdinando I, dettoFerrante, che preoc-cupato delle simpa-tie filoangione deisantagatini il 27marzo 1459, scri-vendo da Venosa alsuo luogotenenteordinava: “… sepotite havere locastello di Sant’A-gata mi piacerà...”

Ma ancora unavolta quando l’unitàdel regno era ormai

compiuta e lo stesso GiovanniD’Angiò, dopo aver perduto ancheIschia, nel 1465 se ne era ritornatodefinitivamente in Provenza perchéi rinforzi promessi dalla Francia nonerano arrivati, Sant’Agata si ostina-va a resistere facendo sventolaresugli spalti lo stendardo col gigliodi Provenza!

Gli abitanti, assieme al Grimaldi,esperto nel “mestiere delle armi”erano infatti talmente determinatinel difendere il loro inespugnabilesito che gli aragonesi, alleati deireggini e guidati dal Duca di Cala-bria, Alfonso d’Aragona, figlio diFerrante e suo successore al trono,lasciarono presto l’assedio indiriz-

zandosi verso Cosenza, sede delPrincipe ereditario.

Il Duca ritornerà a Sant’Agatasolo nel 1489 con uno degli archi-tetti militari più famosi dell’epoca,il fiorentino Antonio Marchesi, perispezionare e potenziare la fortezza,sia perché potevano ancora riesplo-dere focolai di rivolta angioina siaperché i turchi incominciavano adaffacciarsi sulle coste calabresi(probabilmente fu costruita in quelperiodo la torretta quadrata che con-sentiva l’appoggio del ponte leva-toio). E, quando la rocca torneràfinalmente in mano agli aragonesi,troveremo per quindici anni feuda-tario di Sant’Agata Carlo D’Arago-na nipote di Alfonso II.

Intanto, il prode genovese, aven-do eletto Sant’Agata suo quartiergenerale, poteva ogni tanto uscireper spedizioni punitive nei territorivicini.

Ma ben presto Giovanni D’An-giò, dalla Provenza, resosi contodell’inutilità di ogni resistenza, eche Sant’Agata era ormai l’unicaenclave angioina di tutto il regno,mandò a dire commosso al Grimal-di che ringraziasse il paese di tantafedeltà; ma che era giocoforza cede-re alla sfortuna e ripiegare la ban-diera.

Tale annuncio suonò come sen-tenza di morte per i santagatini, iquali conoscendo quel tratto impe-rioso e vendicativo della natura delsovrano aragonese temevano ormaile vendette di Ferrante, che avrebbecancellato senza meno il nobile statomunicipale, rasa la terra e sottomes-so il paese al giogo dei reggini.

Gli assediati decisero allora digiocare l’ultima carta chiedendo alGrimaldi di indugiare ancora unpoco sulla fortezza, il tempo dinegoziare col cardinale Bartolomeodi Roverella (lo stesso che avevaincoronato Ferrante re di Napoli),legato pontificio di Pio II nel regno,perché solo al pontefice i santagati-ni intendevano arrendersi.

Il prelato accolse la proposta emandò suo fratello Flavio a riceverele chiavi della città.

E allora, come dice il De Loren-zo, “…fu visto abbassarsi suglispalti di Sant’Agata lo stendardoAngioino e levarsi quello dellechiavi, e uscire col Grimaldi glistessi difensori e quanti degli indi-geni cedettero di prendere la viadell’esilio”.

Il Papa riconsegnò la rocca aFerrante D’Aragona con la promes-sa di conservare alla città l’autono-mia e di non scatenare vendettasulla popolazione. E così, mentre lealtre quattro Motte intorno a Reggiovenivano distrutte e cancellate dallastoria, Sant’Agata, grazie a questostratagemma, riuscirà ancora asopravvivere per oltre tre secoli.Fino a quando il terribile sisma del1783 non la ridurrà ad un cumulo dimacerie.

Raramente, oggi, le rovine diquella che fu la gloriosa MottaSant’Agata, dove un giorno ha bat-tuto la grande ala della storia, rie-scono a rievocare al visitatoreinconsapevole i memorabili eventidi cui sono stati testimoni.

Il distacco tra lo scenario attuale,e la possibilità di collocare in essogli avvenimenti che vi si sono svol-ti, è cresciuto man mano che questiavvenimenti si sono allontanati neltempo.

In questo luogo dove la natura, esoprattutto gli uomini, hanno fatto ilpossibile per cancellare le memoriee in virtù del legame storico che esi-ste tra il principato dei Grimaldi diMonaco, la più antica dinastia d’Eu-ropa, e il nostro territorio, sarebbeforse auspicabile la realizzazione diuna rievocazione storica in costumedegli avvenimenti narrati, magariinvitando qualche esponente dellacasa reale.

Orlando Sorgonà

Motta Sant’Agata ultima fortezzaangioina del Regno di Napoli

Un lembo di Calabria difeso per due anni da Giovan Battista Grimaldi

Alfonso II D’Aragona, futuro re di Napoli. Ancora minorenne assedia Sant’Agata ma è costretto alla ritirata. Nel 1489 col celebre architetto militare fiorentino Antonio Marchese ispezionae apporta modifiche al sistema difensivo della città, la quale sul finire delsecolo sarà data per quindici anni in feudo al nipote D. Carlo D’Aragona.

Medaglione raffigurante il Cardinale Bartolomeo di Roverella, intermedia-rio tra i santagatini e Pio II. Manderà il fratello Flavio a ricevere le chiavidella città. Mettendosi sotto il protettorato del papa, la città riuscirà ad evi-tarne la distruzione da parte degli aragonesi.

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N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 17ETTERE

ERIDIANEL

M

NN el fondo della “Giunta di Corri-spondenza” 1 dell’Archivio diStato di Catanzaro abbiamo rin-

venuto qualche anno fa un fascicolo che, perla sua composizione e il suo contenuto, harichiamato la nostra attenzione e sul quale oraci intratterremo, commentandone le varieparti di cui è composto.

Il fascicolo, contenente atti tutti formatinel corso dell’anno 1779, riguarda una vicen-da particolare cui sono interessate tre “uni-versità” della Calabria Ultra (Gimigliano,Cicala e Carlopoli): il documento è altresìnotevole sotto l’aspetto sfragistico, avendociconservato gli antichi sigilli delle dette treterre.

L’autorità mittente è Carlo De Marco, unodei più potenti ministri del Regno di Napoli,successore di Bernardo Tanucci, dall’ottobre1759 Segretario agli Affari Ecclesiastici e diGiustizia, e dal luglio 1789 anche Segretariodi Casa Reale, ai cui affari attese in esclusivadal settembre 1791 sino alla “Repubblica”del 1799.

Gli atti che costituiscono il fascicolo di cuici occupiamo sono in numero di sei, percome segue:

1) Un rescritto con cui il ministro DeMarco trasmette all’Udienza di Catanzaro ilricorso del sindaco di Cicala (1° maggio1779);

2) Il detto ricorso del sindaco di Cicala(senza data, ma corroborato dal sigillo dell’u-niversità “Universitas Cigalae”). Con esso ilsindaco Giovanni Domenico Talarico sirivolge al Re lamentando che la Curia Vesco-vile di Catanzaro aveva introdotto l’abuso diavocare a sé i registri parrocchiali di tutta ladiocesi, dai quali ricavava un introito con icertificati che i fedeli erano costretti a richie-dere, affrontando altresì le spese per il viag-gio a Catanzaro. Il sindaco pertanto chiedevaal Re che ordinasse all’Udienza di Catanzarodi disporre affinché la Curia restituisse i regi-stri ai legittimi detentori;

3) Un secondo rescritto con il quale il cita-to ministro De Marco rimette alla RegiaUdienza il ricorso delle “università” di Gimi-gliano, Cicala e Carlopoli, sempre sullo stes-so argomento (12 giugno 1779);

4) La supplica al Re dei “regimentari”(cioè degli amministratori, sindaci ed eletti)delle dette terre di Gimigliano, Cicala e Car-lopoli, (senza data, ma del maggio 1779) iquali denunciano la medesima irregolaritàsegnalata nell’atto sub 2); questo documentoè importante, come detto, sotto l’aspetto sfra-gistico, in quanto ci ha conservato gli antichisigilli dei tre comuni, la funzione dei cuiamministratori è autenticata dalla certifica-zione del notaio della terra di Carlopoli, chevi appone il suo “signum”;

5) Una relazione “giustificativa” dellaCuria Vescovile di Catanzaro, a firma del suovicario capitolare, Saverio Ruffo. È degno dinota quanto si afferma in questo memoriale:vi si dice che in quella curia: “sin da tempoimmemorabile” si è costituito “un ben ordi-nato archivio” nel quale vengono conservati,oltre a tutti gli atti che da essa promanano,anche i contestati registri parrocchiali che, incaso contrario, restando in mano degli eredidei parroci, si sarebbero dispersi e lacerati; ilvescovo pro tempore, in occasione della visi-ta pastorale del giugno 1775 nel casale diAlbi, ove risalivano al 1641, aveva disposto illoro accentramento in Curia. Oltre allalamentata dispersione il vicario affermavache si erano verificate, nelle terre di Sersale eGimigliano, delle irregolarità da parte deiparroci ( “si formavano delle fedi a lorotalento”); tutto ciò aveva convinto la Curia“implorando anche il braccio della RegiaUdienza” a procedere a detto accentramento(27 giugno 1779). L’Udienza chiamata incausa dispone con nota in calce del 30 giugnoseguente che, in esecuzione dei due rescrittisub 1) e sub 3) venga fatta relazione a SuaMaestà sui ricorsi delle “università” sopraricordate.

6) Una relazione al Re da parte dell’U-dienza, con la quale l’alta magistratura espo-ne dettagliatamente i termini della questionecon le lamentele e le richieste degli ammini-stratori locali e riportando altresì le giustifi-cazioni addotte dalla Curia (11 luglio 1779).

Come abbiamo visto, si è trattato di unainteressante «querelle» che dimostra la curache, tanto le autorità ecclesiastiche che quellecivili del tempo dedicavano ai loro archivi: ilvicario capitolare difende con foga il suoarchivio che dice “ben ordinato” e i cui attisono conservati “con tutt’attenzione, esattez-za e fedeltà”; gli amministratori comunali,dal canto loro, ci tengono ad assolvere bene iloro doveri nei confronti dello Stato, speciedal punto di vista fiscale: infatti – rilevano isindaci – non potendosi ricavare dai registril’età degli iscritti, questi non potevano calarsinel catasto “per contribuire i pesi fiscali”, ma

neppure si poteva decidere nei confronti dicoloro “che dal jus capitis esentarsi pretendo-no”. Insomma, la mancata presenza dei regi-stri nelle sedi proprie, provocava gliinconvenienti che abbiamo visto e di conse-guenza il ricorso al Re contro l’operato dellaCuria Vescovile del capoluogo.

Manca purtroppo nel fascicolo il seguitodella vicenda e quindi non sappiamo se ven-nero accolte le richieste dei sindaci e se iregistri parrocchiali tornarono in sede o con-tinuarono ad essere avocati alla Curia diCatanzaro.

Diamo qui di seguito in appendice il testocompleto dei sei documenti che compongonoil fascicolo di cui ci siamo occupati.

APPENDICE

Testo dei documenti

(Archivio di Stato di Catanzaro – Giunta diCorrispondenza2. Busta 40 (1779).

Documento 1

- Di Sovrano comando rimetto a V.S.I. l’ac-cluso ricorso dè sindaci di Cicala in cui chie-dono la restituzione de libri parrocchiali chesono passati alla Curia di Catanzaro, affinchécon l’Udienza informi se tal fatto sia vero eperché siasi operata tal novità e riferisca.Napoli 1° maggio 1779. Carlo De Marco.Cicala 1° maggio 1779. Sua Maestà. A sup-plica dei sindaci di Cicala. Si scriva lettera alla Curia Vescovile di questacittà acciocche dica il motivo per cui si haappreso i libri espressati. Catanzaro, 13 mag-gio. Adempito.Exequatur et dentur ordines iuxta…3

Documento 2

- Sacra Real Maestà. Signore. Il sindaco delcasale di Cigala provincia di Calabria UltraGiovan Domenico Talarico supplicando espo-ne a Vostra Real Maestà come in quella R.aCuria Vescovile di Catanzaro s’è introdottoun grave abuso di prendersi tutti i libri dè bat-tezzati e morti da tutti i Parochi della diocesie tenerli nell’Archivio di Catanzaro affine dilucrare denaro con le fedi bisognano di dettilibri; cosa che non si prattica all’altre diocesi,ma si ritengono da parochi per averne il van-taggio i cittadini delle Padrie e l’Università.Con questo che, Sacra Real Maestà, conti-nuandosi tal’abuso da detta Reverenda CuriaVescovile ne siegue non solo danno notabilealli poveri cittadini vostri vassalli, che per lefedi dè battezzati e morti devono andare inCatanzaro, con viaggio lungo e spesa, ma benanche ne sortisce evidente danno e pregiudi-zio all’Università di tutti i luoghi della dioce-si che non possono avalersine annualmentenella tassa fiscalaria devono fare per i vostriregi pagamenti e non possono l’Amministra-tori dell’Università medesime e deputatiappurare le persone che sono d’età a pagaredetti pesi e quelli sono morti per non pagareopure sono sessagenari e settagenari perosservarsi le vostre Reali Istruzioni nella for-mazione delle tasse annuali, quando detti librisi dovrebbero ritenere da parochi di ciascunaparrocchia per comodo dei cittadini ed uni-versità, come si pratica nell’altre diocesi,tanto più che nessuno dritto viene a così faredetta Reverenda Curia Vescovile.Che però ricorre alla giustizia e zelo diV.R.M. e la supplica degnarsi ordinare allaRegia Udienza di Catanzaro che insinuasse adetta Regia Curia Vescovile che di subitoconsegnasse i libri dè battezzati e morti allirispettivi parochi della diocesi e specialmentea quello di detto casale di Cigala padria delsupplicante per avere a passare da uno all’al-tro ed averne giovamento i cittadini e l’Uni-versità. Che il tutto lo riceverà a graziaqualiter Deus.

Giovanni Domenico Talarico sindaco suppli-co come sopra. [Segue sigillo ottagonale conla legenda “Universitas Cigalae”]. Maruca cancelliere signavi.

Documento 3

- Di Sovrano comando rimetto a V.S.I. l’ac-cluso ricorso dell’Università di Gimiglianoed altre, che rinnovano le loro istanze perchéi libri parrocchiali ritornino alle rispettiveparrocchie, affinché con l’Udienza con effet-to adempia all’incarico datole per questoassunto con tener presente l’esposto. Napoli12 giugno 1779. Carlo De Marco.Al Preside ed Udienza di Catanzaro. Presens Regale Rescriptum exequatur iuxtaipsius seriem, continentiam et tenorem, procuius executione renovetur insinuatio Reveren-dae Curiae Episcopali huius civitatis et ita etc.

Catanzarii die decima nona mensis junij 1779.Cornè, Paschali. Vidit Fiscus.Registr foll 142.Si unisca coll’antecedente.Exequatur et renovetur insinuatio ReverendaeCuriae Espiscopali Catacensi.Catanzaro 23 giugno 1779. Adempito.

Documento 4

- Sacra Real Maestà. Signore. Li Regimentarjdelle terre di Gimigliano, Cigala e Carlopoliprovincia di Catanzaro supplicando espongo-no a V.R.M. come dalla Reverenda CuriaVescovile di Catanzaro si introdusse un abusotroppo nocivo all’Università sudette di pren-dersi da tutti i parochi della Diocesi li libri dèbattizzati e morti e farne archivio, senza chemai le povere Università e cittadini ne potes-sero senza spesa avere l’intento per li paga-menti fiscali, quando questi servonocontinuamente all’Università e cittadini, sìper caricare quelli che entrano all’età di paga-re i fiscali, come ancora per li disgravi dellisessagenari, settaginari e morti; e siccome siprattica nell’altre diocesi, devono detti libripassare da paroco a paroco per averne damedesimi l’utile e vantaggio le Università ecittadini a non venire vessati da detta CuriaVescovile. Che però ricorrono da V.R.M. e lasupplicano benignarsi ordinare che dettaCuria Vescovile di subito restituisse e conse-gnasse i libri dè battizzati e morti à rispettiviparochi e curati della Diocesi, e restasseroper l’avenire in potere di detti curati dellerespettive Padrie col passaggio dell’unoall’altri successori per averne l’utile e vantag-gio le Università e cittadini nelli loro bisognie che detta Curia Vescovile non si ingerisse achiamare detti libri per l’avenire. Che il tuttolo riceveranno a grazia qualiter Deus.Leonardo Fabiani sindaco supplica comesopra.Domenico Minervino eletto supplica comesopra.Bernardo Taccano eletto supplica comesopra.[Segue sigillo tondo dell’Università di Gimi-gliano].Vincenzo Scozzafava Cancelliere.Giovanni Domenico Talarico sindaco diCigala supplica come sopra.[Segue sigillo ottagonale Universitas Ciga-lae].Mazzuca cancelliere. Santo Scavo sindaco di Carlopoli supplicacome sopra.Io Nicola Fabiano eletto supplico comesopra.Antonio Scarpino eletto supplico come sopra. [Segue sigillo tondo dell’Università di Carlo-poli].D. Scalise cancelliere.

Carlopoli 10 maggio 1779.Che li sottoscritti di Fabiano rispettivamente,Minervino, Taccano, Talarico, Scavo, Fabia-no e Scarpino siano tali quali si asseriscono,lo testifico io Regio e pubblico notaro Giu-seppe Scalise di Carlopoli ed a fede col miosolito segno ho segnato.[Segue signum tabellionatus con le iniziali N(otar) J(oseph) S(calise)].

Documento 5

- Si compiacque V.S.I. col suo pregiato fogliodè 23 corrente insinuarmi che dovendo que-sto Tribunale riferire alla Maestà del SovranoDio Guardi sulla dimandata restituzione dèlibri parrocchiali dai sindaci di questa diocesispecificarsi il mottivo per cui questa Curiaabbiasi presi detti libri in adempimento diciò, mi do l’onore rappresentarle che vi èstato sempre in questa città e presso delVescovo sin da tempo immemorabile ed a noirimotissimo un ben ordinato Archivio, indove non solo si conservano tutti gli atti chesi formano dalla Curia,ma benanco tutti i libriformati dai parrochi di tutta la Diocesi chedoppo la di loro morte si passano in dettoArchivio in cui si sono conservati e si conser-vano con tutt’attenzione esattezza e fedeltà,senza che mai vi fusse stato mottivo didoglianza; con tal sistema si sono evitate etenute lontane le frodi e falsità che si avreb-bero di leggieri potuto commettere restandoin mano degli eredi secolari, col pericoloanche di disperdersino o lacerarsino in gravepregiudizio delle famiglie: qual giusto rifles-so mosse l’animo del defonto Prelato in attodi Santa Visita a prendere i libri parrocchialiin giugno 1775 del casale delli Albi e ripo-nerli in Archivio, che anno il di loro principiosin dall’anno 1641: Essendo nelle terre di Sersale e Gimiglianorimasti tali libri presso gli eredi secolari dèdefonti parochi e da costoro si formavanodelle fedi a lor talento, obbligato si vidde ilpredetto Vescovo implorando anche il bracciodella Regia Udienza di farli esibire nell’Ar-

chivio Vescovile come eseguì e dove si con-servano. Dal che si argomenta e credesi cheil mottivo per cui si fecero passare in questoArchivio i libri parrocchiali sia stato perovviare agli inconvenienti e disordini accadu-ti e che poteano accadere, anche nei tempiremotissimi a noi. Questo e non altro possosu tal assunto riferire a V.S.I. in esecuzionedei suoi stimati comandi e con tutto rispettoimmutabilmente mi raffermo.Di V.S.I.. Catanzaro 27 giugno 1779.Divotissimo ed obbligatissimo servitore veroSaverio Ruffo Vicario Capitolare. Signor Maresciallo Don Michele Cornè.Per hanc Regiam Audientiam visa retroscrip-ta relatione fuit provisum quod pro exequtio-ne Regalium Rescriptorum de diebus primamensis maji et duodecima mensis currentis,fiat de occurentibus relatio Sue Majestati etita. Catanzarii, die trigesima mensisjunii1779.Cornè Paschali. Vidit Fiscus.Fiat relatio super memoriali.

Documento 6

- Sacra Real Maestà. Signore. Li Sindici delle terre di Cigala, Gimigliano eCarlopoli con separati ricorsi esposero alReal Trono di Vostra Maestà l’abuso introdot-to dalla Vescovil Curia di questa città, nellacui Diocesi vengono quelle comprese, conl’aversi presi i libri, che i rispettivi Parochihan formati e nei quali sono state ascritte cosìle persone battezzate che i morti a solo priva-to fine di interesse, da che ne perviene nonsolo il danno à Parochi, ma benanche al RealErario, a cagion che non esistendo nellerispettive Università i libri parrocchiali nonpuotesi nelle occorrenze osservare l’età nem-meno di coloro che situar devonsi nel Catastoper contribuire i pesi fiscali ma parimenti diquelli che dal jus capitis esentarsi pretendo-no, onde supplicarono la Maestà Vostra acciòbenignata si fusse dare gli ordini convenientia detta Curia che subito restituisse li suaccen-nati libri battesimali e dè morti alli rispettiviattuali Parochi e da questi passassero in mandè successori.Deferendo V.M. a tali suppliche si benignòcon duplicati Reali Dispacci del 1° maggio e12 giugno prossimi scorsi comandare a que-sta Udienza che si fusse informata per qualfine siasi dalla predetta Vescovil Curia talnovità operata e quindi se ne avesse umiliatarelazione.Per essecuzione del Sovrano Comando cidamo la gloria di rapportare a V.M. che fatta-sene ad questa Udienza la correlativa insinua-zione a questa Vescovil Curia, il di lei VicarioCapitolare con relazione dè 27 di detto mesedi giugno rispose in discarico di quanto lipredetti Sindici esposero a V.M. che sin datempo immemorabile esiste in detta curia unben ordinato Archivio, dove non solo si ten-gono conservati tutti gli atti da essa formati,ma ben anche tutti li libri de Parochi dell’in-tera diocesi, che dopo la di costoro morte sison passati nel succennato Archivio, dove sisono conservati e si conservano con la bendovuta attenzione, esattezza e fedeltà, senzache mai stato fusse menomo mottivo didoglianza, da che siansi evitate e tenute lon-tane le frodi e le falsità che forse dagli eredisecolari de Parochi si avrebbero potuto com-mettere o lacerarsene fogli, o pur anchedisperdersino in pregiudizio considerevoledelle famiglie. Che a tal fine il defonto Diocesano in attodella Santa Visita che fece nel casale dell’Al-bi nel mese di giugno dell’anno 1775, avendoritrovato i libri parrocchiali che avevano illoro principio dall’anno 1641 senza spiegarein mano di chi stimato avea farseli esibire,per riponerli e conservarli, come seguì, nelpredetto Archivio.È finalmente rassegnò detto Vicario Capitola-re che essendo nelle terre dfi Sersale e Gimi-gliano rimasti tali libri presso degli eredisecolari dei defonti Parochi perché da costoroformavansi delle capricciose fedi, obligato sivide il predetto Diocesano anche col bracciodi questa Udienza farsi detti libri esibire, chevennero nell’espressato Archivio assiem col-l’altri riposti, affin d’iscansarsino i temut’in-convenienti.Che è quanto dobbiamo umiliare a V.M. indiscarico dè precisi nostri doveri ed al RealTrono genuflessi restamo.Di Vostra Maestà. Catanzaro 11 luglio 1779. Cornè – Paschali - Elia.In Segreteria di Stato toccante l’Ecclesiastico.

1 La denominazione del fondo, dato l’annodella documentazione, è palesemente errata.Si tratta di un fondo, costituito di 294 buste,contenente esclusivamente dispacci dellaRegia Udienza provinciale. (1654-1808).2 Cfr nota 1.3 La parola non si legge.

Dai dispacci della regia udienza di Catanzaro (1779) emergeuna singolare controversia riguardante i libri parrocchiali

CALABRIA ANTICA Rubrica di Domenico Coppola

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18 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

M

Saggezza Popolare e Filosofia. Nella cultura occidentalee nella tradizione calabresedi Carmelo SaltalamacchiaLaruffapp. 160 - € 13,001992

II l libro di Saltalamacchia èuna raccolta commentatadi saggi popolari interes-

sante, ricca di contenuti e nonpriva di spunti preziosi, capacidi suggerire ed ispirare. L’auto-re, denunciando e negando unaartificiosa frattura tra la cono-scenza “bassa” del popolo e laconoscenza “alta” degli “addet-ti al sapere”, sceglie e presentamolti detti popolari calabresi,commentandoli e confrontandolicon i corrispettivi valori rintrac-ciati all’interno della tradizionefilosofica.

L’obiettivo di Saltalamacchia èquello, nel frattempo diventatovulgata comune, di pervenire,attraverso il recupero della cultu-ra popolare, a una consapevo-lezza delle culture e delle identitàlocali tale da permettere a questedi non negarsi e cancellarsi nel-l’apertura al diverso e di conser-vare unicità pur nel confrontocon la profonda fusione culturalee mediale in cui versa il mondocontemporaneo. Le scelte inter-pretative e i commenti di corredodi Saltalamacchia, come ogniposizione interpretativa, possonoapparire spesso e volentieri opi-nabili, a seconda delle posizionicritiche assunte e dalla visionepersonale del lettore. Tuttavia lalogica e l’opera di raccolta diSaltalamacchia sono al riparoda critiche nel consegnare al let-

tore un materiale su cui, autono-mamente, lavorare: per appro-vare, utilizzare e, magari, anchenegare da una prospettiva pro-pria. Il valore del testo potrebbecompletarsi in questo senso, inquello della raccolta, perchéquesta basta e avanza per giusti-ficare la lettura di un libro-conte-nitore di un frammento trascrittodi mondo, quello dei detti popo-lari calabresi. Il lavoro di ricerca,presentazione e corredo filosofi-co di Saltalamacchia rimanecomunque da ammirare ancheper i commenti, anche laddove illettore si senta incline alla critica.

Attraverso il recupero dei dettiavviene davvero il recupero diuna parte di una cultura, unlavoro compilativo importante,difficile, che senza pretesa diesaustività Saltalamacchia riescea presentare ugualmente congrande completezza, regalandoa chi legge una varietà di dettiche è una riserva preziosa e ispi-ratrice. Nell’accostare proverbicome “cu cunta nci mbisca aggiunta” (chi racconta aggiungequalcosa di suo) alla brillanteanalisi di Bloch del rimaneggia-mento delle credenze, ad esem-pio, oppure nel presentare undetto come “cu sapi è pacciu ecu non sapi è stortu”, Saltala-macchia riesce davvero a trac-ciare una l inea comune cherenda evidente la sostanzialetensione verso l’unità del pensareumano, nel variare delle culturee del loro effetto e rapporto conla vita. Altre volte, Saltalamac-chia attinge più alla propria pre-parazione pedagogica eantropologico-sociologica chenon alla “tradizione filosofica”,con il risultato di caricare i dettipopolari di commenti di un valo-re etico che rischia di edulcorarela crudezza positivamente nichi-lista di certi detti. Questo acca-de, ad esempio, nel caso diproverbi come “cu vai cu luzoppu all’anno zoppia” o “nonmi torcisti quando eru ligaredda

e voi mi mi torci ora chi sugnuligarazza”, il cui vero valore nonè di tipo pedagogico: la pedago-gia se ne appropria per unavisione etica dotata di una dire-zione, che avrebbe potuto esserediversa e che il proverbio nonsuggerisce in senso positivo.

Né Saltalamacchia apparetalvolta esente da qualche clichèinterpretativo di stampo paideuti-co, in quella sorta di determini-smo evoluzionistico per cui ilprogresso umano e filosofico del-l’uomo sarebbe andato progres-sivamente avanti, fermandosimisteriosamente “ai bei tempi” -di volta in volta prefissati nelpopolo, nella classicità o chissàdove altro ancora - per poi,misteriosamente, regredire allostato di “perdita dei valori”. Inalcuni casi, la “cultura del passa-to” viene variamente e ingenua-mente mitizzata nei suoi tratticaratteristici, oppure si cade inun manicheismo di fondo, in unareificazione di una Verità positi-va che cozza violentemente con-tro la portata di cinismo, dicaustico scetticismo, di sanoriduzionismo che muove le lab-bra ironiche, sarcastiche, ghi-gnanti e amare del proverbiopopolare.

Tuttavia, si tratta di riserve cherisultano dalla personale presadi posizione concettuale, filosofi-ca e – perché no – ideologicadel singolo lettore rispetto al pen-siero di Saltalamacchia. La cultu-ra procede davvero perconfronto/scontro e per criticacostruttiva, e Saltalamacchia hail merito di stimolare questadiscussione anche a distanza dipiù di dieci anni dalla pubblica-zione di questo libro. In parte,del resto, la visione dell’autorerespira e risente di un clima che,negli anni della sua pubblicazio-ne, è quello di una situazione,quella dell’editoria e della cultu-ra calabrese, lontana, per moltis-simi versi, dalla vivaceesplosione della cultura di massa

e dallo sdoganamen-to del le cul ture“basse” che ha inte-ressato negli ultimidecenni la societàoccidentale, perve-nendo a una nozionenuova, ampia ed ela-stica, di cultura.

E in questo senso,per apprezzare i lbuon lavoro di Salta-lamacchia, è pur-troppo necessariosaltare la Prefazione.Presentare il saperedel popolo costruitonel vivo della storia,ritenerlo valido per ilfuturo come per ilpassato, lodarlo perla sua por tata dicruda consapevolez-za, accostarlo senzapregiudizio al saperefilosofico nella consa-pevolezza di una cul-tura come dotecontinua dell’uomo,e non come serie dicomparti stagni. Que-sti sono gli intenti diSaltalamacchia, benpresenti nel la suaPresentazione. Maquesto lavoro passainfelicemente per unaprefazione ridondan-te, ampollosa e retori-ca, non priva di frasie concetti ad effetto.Ne è un esempio lachiosa gratuita suivalori di un tempo, arischio di essere

dimenticati, e che oggi verrebbe-ro del tutto a mancare: una fraseche eleva una barricata tra l’uo-mo di ieri, idealizzato fuorimisura, e quello di oggi, incom-preso nella sua attuale identità,seppellendo la volontà reale diconfrontarli per trovare, appun-to, unità nella diversità. Il recu-pero della saggezza popolare,schietta e concreta, che vieneperaltro annegato in una retecontraddittoria di principi pocochiari, è poi contrapposto allacultura saccente della salita incattedra: ma questo concettoviene negato obliquamente dauna forma piena di barocchismilinguistici, dalla saturazione deitermini fini a se stessi, dal perio-dare che richiede la decodifica,dall’esibizione di un tono da cat-tedra che il messaggio del libro

nega fortemente, da una formamentis e linguistica che contribui-sce non a indebolire, ma proprioa rafforzare l’idea che la culturasi frammenti tragicamente trapopoli e strati sociali che sinegano reciprocamente.

A Saltalamacchia è invecepossibi le muovere un soloappunto costruttivo a un libro daicontenuti affascinanti, una criticache non ha tanto a che vederecon le personali posizioni inter-pretative. Nel presentarci cosìfedelmente il sapere popolare,Saltalamacchia sembra dimenti-care una cosa importante: il fattoche i proverbi sono artefattiumani e spesso possono diventa-re nocivi, essi stessi retorici, avolte inutili e spesso, a secondadei contesti e degli usi, persinosbagliati.

a cura di Marco Benoît Carbone - [email protected] - www.marcobenoit.net/medusa.htm

L’OCCHIO DI MEDUSA - Rubrica di Sofismi e Inattualità

I detti popolari calabresi

Cruciverba # 3SOLUZIONE

a cura di Marco Benoît Carbone

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LL a piazza era ilcentro pulsaredel paese, solo

che non era una vera piaz-za, ma un semplice slargodelle viuzze che lì si inter-secavano. Non avevanome, era “a chiazza”.

Lì era necessario farsivedere, ascoltare e dire lapropria sui fatti politici,amministrativi e su tutte lecorna vere o presunte dicui si era a conoscenza.Nei tempi forti dei lavoriagricoli, lì si calmieravanoi prodotti dei campi, lì sivendeva e si comprava,sulla parola, con grandistrette di mano. C’era pureil mercato virtuale deglianimali e lì si dirimevanole divergenze o col coltel-lo o con lupara. In alcuneore del giorno alle donneera vietatissimo passare dilì, perché si discutevanocose dell’omini, cioè coseserie e le donne a passeg-gio non erano contemplatecome distrazione. Se cipassava qualcuna ignara ditanta selezione veniva per-donata solo se era lanuova maestra o una fore-stiera. Infatti c’era unpunto di riferimento rico-nosciuto «quella è sfaccia-ta come una forestiera».Mai viste donne ferme aparlare nella chiazza, erasemmai un punto di pas-saggio e basta. C’era unlasso di tempo giusto persostarvi brevemente, inpiedi se gli uomini eranogiovani, impegnati a lavo-rare, brevi soste eranoapprezzate come segno dilaboriosità e di sicurafedeltà alla cosca domi-nante del paese.

I vecchi col bastone, gliocchi cisposi, le bocchesdentate, le voci alte, stiz-zose e scandite da bestem-mie, erano i veri padronidella piazza. Loro erano lamilitanza passiva erano

quelli che vedevano,osservavano, giudicavanoe riferivano solo a chi didovere. Col resto dell’u-manità, niente, zitti, nonsapevano, non avevanomai visto niente.

«Scusassero, dov’è lacasa del dottore?»

«E lei che ha da faredal dottore?», prima unamotivazione plausibile epoi l’indicazione stradale.

«Mi sapessero dire se èpassato il venditore dipesce?»

«Ma pecché passò diqui un venditore? Talè,carusi avuto visto cocchiuno?» e il venditore erarimasto a vendere il pesce,proprio lì, davanti a loroper tutta la mattinata.

Omertà assoluta, sem-pre silenzio e riservatezzasopratutto con le forzedell’ordine. Tanto che nonvenivano mai interrogaticome testimoni. Eppuretutto accadeva lì, sullachiazza, e tutti sapevano etutto era discusso, analiz-zato da loro che sputava-no a terra, in senso dioffesa quando passavanogli sbirri.

«Talè, talè (guardate)sono passati i soldati diPulcinella» e giù a sghi-gnazzare, sottolineando gliinesistenti attributi maschi-li di tutti coloro che rappre-sentavano la legge.

Agatella era appenaquindicenne, bella comepuò esserlo una siciliananel fiore degli anni, contutto il languore e la con-sapevolezza di chi capisceche ha avuto in dono dallanatura ogni profumo deisensi, ed era pure “ngeniu-sa”, cioè aveva quel nonso che di attrazione che larendeva oggetto di atten-zione e di desiderio. Ilcapo mafia, sposato configli, se ne invaghì, con-vinto e sicuro che a lui

niente e nessuno potevaresistergli. Ma Agatella siera invaghita di un carabi-niere giovane ed eraricambiata.

Per sciogliere il nodo diappartenenza come seAgatella fosse una cosa enon una persona, un fratel-lo venne incaricato diucciderla.

«E che? si disse maiche uno i fora (cioè unforestiero) si prendesse aroba nostra?»

Così Agatella restòsulla chiazza in un lago disangue, ai funerali solomadre e sorelle gridaronourlando il loro dolore.

«Taliassero (guardasse-ro), vento c’è oggi, è capa-ce che domani piove» cosìsottolineò il padre di Aga-tella, senza neanchetogliersi la coppola, quan-do si sentirono i rintocchidel funerale.

Il capo mafia, si sedettelà in mezzo alla chiazza etutti andarono a baciargli

la mano, in senso dirispetto, il padre di Agatel-la, ricevette anche unabbraccio e a casa, quelgiorno arrivò un busta condei soldi. Il prezzo dellavita di Agatella.

Ora, seduti al posto deivecchi, ci sono i tossici, sene stanno al sole, spiritati,scomposti, anche loro nonvedono, non sentono, nonsanno, anche a loro l’at-tuale capo mafia, sommi-nistra il veleno dell’oblio.Così si distruggono legenerazioni lì nella chiaz-za, le nipoti di Agatellavanno con tutti, anzi piùsono generose dei lorocorpi, più sono richieste.Finalmente anche le donnehanno conquistato unposto nella chiazza, maanche oggi, a prezzo delloro onore. Perché c’èancora l’onore? Anzi c’èmai stato sulle chiazze diquesto mondo?

Irene Carastro Mosino

N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 19ETTERE

ERIDIANEL

M L’OFFICINA DELLE LETTERE

CC ome in tutti i paesi, specialmente nel meridio-ne, la Piazza, rappresenta il punto vitale; qui,infatti, gli amici si incontrano, chiacchierano e

soprattutto ci sono i Bar e altre attività di tipo commercia-le frequentate da molte persone. Figuriamoci poi d’estatecon l’arrivo di molte persone che durante l’anno si trova-no fuori dal paese per lavoro, la vivacità e la vivibilitàraggiunge il massimo. Ero contento che durante i mesiestivi, la mamma mi lasciasse, per così dire, da un nostroparente che aveva una sala da barba vecchio stile e annes-sa una rivendita di giornali e riviste, soprattutto perchéavevo la possibilità di leggere e vivere la quotidianitàdella piazza. La giornata iniziava con l’arrivo dei quoti-diani dentro dei plichi di carta bianca arrotolata per pro-teggerli; li portava il Sig. Domenico con la sua “lambretta“ dalla Stazione delle Ferrovie Calabro-Lucane all’ufficioPostale. Noi aspettavamo che il Sig.Antonio e la Sig.naMelina completassero la parte amministrativa e ci conse-gnassero i plichi. A volte Antonio, un uomo di bassa sta-tura, quasi calvo, ma con il dono della battuta semprepronta di tipo “anglosassone”, apostrofava qualche pove-ro contadino che spesso non capiva o lo guardava conincredulità. Messi sotto braccio i plichi, ci avviavamoattraversando la piazza verso il salone, dove di già qual-che avventore ci aspettava. Dopo aver aperto i rotoli,sistemavamo i quotidiani in ordine sopra un tavolo, all’i-nizio la Gazzetta del Sud, la Tribuna, il Giornale d’Italia evia via tutti gli altri. Uno dei primi avventori, era il“Cavaliere”, un uomo con un faccione largo e un grossonaso, sempre vestito in stile inglese e con cappello chiaro,comprava sempre il Giornale d’Italia o il Tempo, perchéportavano le notizie di Roma dove lui abitava per moltimesi dell’anno. Il tempo trascorreva velocemente e pianopiano i quotidiani venivano venduti; mio zio Pasqulino,diventava nervoso, andava su e giù per la stanza poi siportava sull’uscio e si appoggiava allo stipite della portacon un braccio, mentre con l’altra mano meccanicamentesi aggiustava l’unico lungo ciuffo di capelli che dallanuca lo portava con maestria a coprire la fronte. Costante-mente teneva sottocontrollo l’angolo alla sua sinistra, dadove a momenti doveva sbucare la figura caratteristicadel Sig. Felice, un uomo di aspetto sempre gioioso, tar-

chiatello sempre in vestito e gilè, brache larghe conrisvolta anch’essa larga, e in testa un cappello chiaro.Appena arrivava, i due incrociavano gli sguardi e dopouna breve pausa il Sig. Felice esclamava “sei pronto”,“fatti sotto” era la risposta di mio zio, che in un balenoera già seduto al tavolino con in mano il mazzo di carteda gioco. I duellanti erano dunque pronti alla sfida quoti-diana; si andava avanti per circa tre quarti d’ora tra lazzi einsulti di ogni genere, alla fine però c’era sempre un vin-citore. Ora e qui è il bello, se il vincitore era mio zio, gliinsulti erano di regola, il povero Sig.Felice dopo averpagato la posta, con la coda tra le gambe, si copriva ilcapo col cappello e scuro in volto senza nulla ribattere,moggio moggio, si avviava verso il Municipio sempreapostrofato dal vincitore. Se invece il vincitore era il Sig.Felice, era uno “sfottò” totale, non aveva alcuna fretta direcarsi al Municipio e martellava con epiteti pittoreschi ilpovero Pasqualino. Ogni giorno era così, io crepavo dallerisate per quello spettacolo gratuito che non finiva quiperché da li a poco un altro prendeva il posto del Sig.Felice. Era il droghiere della porta accanto, il Sig. Antoni-no dall’aspetto severo con brache enormi rette da bretellelarghe e nere, camicia bianca e andatura caracollante.Sovente era la vittima sacrificale, cadeva tra le fauci diPasqualino famelico di vittoria. A volte la partita termina-va senza un vincitore, perché dalla drogheria si levava ungrido che rompeva il silenzio “Nino”, era la moglie deldroghiere, una donna severa che lo invitava a recarsiimmediatamente in drogheria, spesso non tornava nem-meno a concludere la partita. Ci destava il suono dellasirena annunciandoci che era mezzogiorno e i guaiti delcane “totò” che puntuale come ogni giorno a quell’oracompariva per accompagnare il suo padrone a casa. Orapotevamo chiudere la porta del salone e con passo alle-gro, attraversare la piazza che si impoveriva di persone eavviarci verso casa. A volte ci fermavamo nella “becche-ria “del Sig. Nato, per prendere la carne per la domeni-ca, poi accompagnavo lo zio a casa e di corsa andavo apranzare.

Estratto da “Ricordi di fanciullezza”di Mercurio Sanchez

Si stese sul lettoSul lenzuolo frescoIlluminata dal chiaroreDella luna opacaIn un gioco di luce ed ombraChe proiettava sul suo corpo Strane figure in movimento

Guardò quel cappello Scuro ed eleganteContò fino a milleEd, arrivata A novecentonovantanove,Si voltò di colpoVerso la finestraE gridò

Diventerò un cappello...Diventerò un cappelloDiventerò un cappello

Si diffuse nell’ariaE la luna tra le nuvoleAcquistò quella forma

La forma del cappello che la donna volevadiventare.

Carolina Leonetti

I duellanti

Ne ho visti, sai(ai miei genitori)

C’è una carezza

Ne ho visti, sai,mano nella mano aggrappati al bisognomentre la vita smorzava il Tempoaffievolendo briciole di luce.Fianco a fiancoa consumare i giorni tiepidi ancora e fragili d’attesa, un ricordo lontanolieve come spumaall’abbraccio del ventosopra i loro visi.Ne ho conosciuti, sai, teneri di bacie fiori tra le ditaofferti con dolcezza… “Per te, mia adorata!...”e riviveva l’estasidi un tempo addormentatosotto un cuscino di sogniormai fatti sospiri, rossi papaveri impressi nei pensieri.E nell’afflato che, curvi, ancora li accompagna, specchio la povertàdi questi anni spentisenza più ritornoe la solitudine-gelodelle mie notti insonni con l’ombra di un tormentoche non sarà mai Luce.

C’è una carezza nel vento della seraUna carezza dolce sul mio visoche tento di fermare nelle ore quando la trasparenza delle ombresi fa misericordia sul mio direE le pareti poi sanno di setaAl tocco immaginario delle ditache accarezzando il vuotosi ritraggonoall’illusorio azzurro che scompareC’è una carezza nel vento della sera.Un sogno acceso Che si fa parola.

di Jolanda Catalano

“Absurde” di Antonino Bonfiglio2005, olio su tela

A chiazza

Noia

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20 N. 4 - Ottobre - Novembre - DicembreETTERE

ERIDIANEL

ML’OFFICINA DELLE LETTERE

S edeva al tavolino di unbar col giornale apertodavanti. In cima alla

testa la chiazza biancastra dellacalvizie, la barba nera era unmanto fragrante dagli zigomi allagola. Emergevano solo le lineerosa delle labbra.

Gli occhi nocciola si spostaro-no verso la voce della ragazza. Lavide di sbieco, una figura flessuo-sa premuta contro un corpo inca-vato, massiccio. Il giovane lastringeva a sé per la vita, la ten-deva come un arco, si protendevacol viso su di lei come costrin-gendola a ripiegarsi su se stessaal contrario. Lei rideva, lui parla-va colle labbra addosso alle sue.

Con le labbra in giù e borse divene e rughe sotto gli occhi sivoltò più volte scordandosi delgiornale ancora aperto tra lemani. Li guardava con un rimpro-vero, mortificato; loro, all’ombradel muro e di piccoli fiori bian-chi, ignoravano ogni altra cosa.

Guardava il giornale senzavederlo, poi spostava ancora losguardo su di lei. “Me li fareidieci anni” una voce nella suatesta. Non era stato lui. Non eraun pensiero suo. Non se ne vergo-gnò, se ne sorprese.

Lei disse ‘Ciao’, lui si voltòper vedere il ragazzo che la strin-geva un’ultima volta, vide la suamano carezzarle la gonna, fer-marsi sulla sporgenza del sedere,strizzarglielo con un ringhio,baciarla con la lingua, spingerecon la faccia in avanti, gli occhichiusi, affamato.

Aveva la bocca leggermenteaperta, senza accorgersene strin-geva il giornale.

Poi lei lo lasciò. Sorridendosoddisfatto il ragazzo si allacciòil casco, mise in moto e partì.

Lei passò davanti a lui e al suogiornale, senza guardarlo. Nonsorrideva più. Pareva triste.

Non ci pensò un momento,una sorta di calore gli era salito

alle guance incavate e pelose, unadolcezza strana gli si era mischia-ta alla saliva. Il tavolino era dialluminio, tiepido. Lasciò cadereil giornale, si alzò e la seguì.

Passarono insieme per vicolisempre più stretti, nella parte vec-chia del paese, lei avanti, lui die-tro. La luce era come oro bruno,rendeva le cose chiare ma dicolore più denso, impenetrabile.Lui camminava a testa china, leguance flosce, le pupille su di lei.Così giovane, così leggera, cosìmorbida, le caviglie velate dibianco. “Me li farei dieci ann”pensò ancora. Stavolta non se nesorprese. Era come rassegnato.

Passarono sotto una piccolagalleria. Tutto era grigio e inpenombra, c’era una piccolaporta sbarrata da un cancelloarrugginito in cima a quattro sca-lini. Sull’ultimo gradino pacchi esporcizia.

Uscirono all’aria terrea, incielo basse nuvole bianche enor-mi. Gli stivaletti della ragazzapicchiettarono per un’insenatura,bussò a una porta, lui si appoggiòal muro della via, contro undavanzale e un vaso di fiori. Pic-cole foglie chiare a sassolino glipendevano sulla spalla. La vede-va, poco più in là dell’angolo del-l’insenatura. La porta si aprì, neuscì un uomo coi baffi bianchi.Le accarezzò le guance con lemani scure, la baciò sulla bocca ela fece entrare poggiandole lamano sulla schiena. Lei non erapiù triste, sorrideva. La porta sichiuse, l’espressione dell’uomonon cambiò, poggiò la nuca con-tro il piccolo vaso umido, le fine-stre dietro erano opache, il telaiodi legno a forma di croce.

Quando lei andò via era buio.La luce dei lampioni sporchicadeva a pozze sull’asfalto liscioe gonfio. Percorse la strada aritroso, gli occhi fissi a terra, lefinestre storte rimandavano la suaimmagine scura. Pareva triste.

Entrò nella piccola galleria, tictac fecero i suoi stivali e poisilenzio. L’ombra di un uomo.Alzò gli occhi, era lì, una figuragrande, nera, contro lo sboccodella galleria.

Attesa. Lei non lo vedeva in faccia, lui

capiva che lei aveva paura, leicapì che era quello che lui vole-va, fece per voltarsi e andar via,inciampò sullo scalino, ci caddesopra seduta, le mani a terra, laborsa tintinnò. Sopra gli scalini lagrata di ferro e una porta chiusada quarant’anni. Lui si avvicinò,la guardò così a terra, la gonna sùfino al ginocchio, le calze bian-che nell’oscurità erano blu. “Meli farei dieci anni di galera” pensòe sospirò pesante, il ventre con-tratto, la guardava.

Labbra sporgenti. Piccole.Quasi viola. Occhi grandi. Umidi.Era calma. Nella voce le risuona-va il pianto, era la sua voce, nonla paura.

Si alzò senza staccare gli occhida lui. Lui la guardava metàocchi metà palpebre, le guancescarne e pelose, borse di vene erughe sotto gli occhi.

“Non c’è bisogno che mi faimale”. Disse lei. Lui la immaginòpiangente e tremante, piccola,stretta tra le spalle. Immaginò dichiederle scusa e piangere su dilei, con lei, dopo. “E’ perché tivorrei mia e non posso” immagi-nava di dirle “è perché vorreirapirti e non posso”.

Lei si tolse la gonna e si calòle calze, le gambe fini brillavanoazzurre, senza smettere di guar-darlo come se fosse un grossocane gli tocco i pantaloni, fredda,glieli slacciò, glieli abbassò, glie-lo prese con mani gelide, guar-dandolo negli occhi disse “Vabene così?”. Il suo affare grigionelle mani delicate di una ragaz-zina.

Era calma, si chinò sulleginocchia e aprì la bocca.

Quando lei si appoggiò allesbarre in cima agli scalini dissesolo “Piano”. Era calma. La testachina e i capelli ondeggiavano.Avevano un colore di sanguelucido. Lui le guardò le mani, lesue dita sfioravano delicate lesbarre increspate di rosso.Guardò dove guardava lei, videspazzatura.

Sedeva discosto, la luce lunareevaporava sui gradini, intornoalle sbarre, aleggiava sul marciu-me dentro i sacchetti di plastica.Lei tirò sù le calze, strette stretteattorno a quella carne modellatacosì meravigliosamente, cosìmalinconicamente, infilandocidentro i pollici. Lui la guardavachina sulle lunghe gambe indifesee pensava che era oscena. Comequando guardava il suo grossoaffare grigio. Inconsapevolmenteosceno. Ti amo, pensò.

Lei guardò verso di lui, eranascosto nell’ombra.

Attesa.“Ciao” gli disse e andò via col

passo con cui era venuta.Lui si prese la testa tra le

mani, nello stomaco un gran fred-do. Borse di vene e rughe sottogli occhi. Un reticolato rossoattorno alle pupille.

Simone Lega

Attraversando il mareIl ragazzo ha decisola madre ha venduto i propri gioiellii soldi sono stati pagatiil ragazzo è sulla barcaincantato della libertà desideratail ragazzo sogna e la realtà lo prende in giroil ragazzo si è scontrato con la realtàla realtà si è fatta male.

Gerusalem

Mentre Gerusalemme, rosa circondata da spine,viene aggredita e violentata,esistono popoli che riposano su seta e oro.Che Dio benedica te, coloro che tu ami e benedica chi ti ama in ugual modo.Rosa, terra di pace terra di tutte le fedi, ma l’occhio di quel bimbo non si chiude,malgrado la morte l’abbia preso con sè,ti ha innaffiato col suo prezioso sanguecon l’unica colpa di voler vivere liberoche il mondo intero si dolga e si vergogna nel vedere la tua sofferenza.

Alzati…Non piangere sulle spalle degli altri quando riconosci che la colpa è tua.E non pentirti quando un amore è perso tu hai lasciato che fosse.Non rinnegare le parole un tempo dette.Alzatialzati senza aspettare una mano che ti venga inconforto.Alzati non è vergogna cadere.La vergogna è rimanere lì dove si è caduto.

SiciliaQuanto ho sognato di visitare Baghdade vedere gli occhi delle donne di Baghdadma il distino mi ha portato in Siciliaqui ho trovato ciò che cercavo nei mie sogniho trovato Baghdad e gli occhi di quelle donne.Ma nessun disastronessun chador...

Rivivo i mie giorni da bambino nelle viuzze dellacasba,il profumo di mia madre attorno a me anche adesso, insieme all’eco della voce di miopadre.

NotteUna lunga nottepoi una mattina nuovanuove facce, nuovi sogni,nuove delusioni, nuovi dolorie poi torna la notteperò più lunga di quella precedente.

OndeOnde a voi mi rivolgeròquando mi tradisconoquando non mi capisconopuò darsi che mi proteggano dagli uominio dal destinobarche... andate avanti nel mareprima o poi troveremo il farosbarcheremo di nuovo...su questa terra pienadi spine che circondanole roseonde.. ondecon voi parlo.

Fuoco e granoAerei che lanciano un sacco di granodopo aver lanciato cento bombeammazzano il padre e nutrono il figlioe non gli danno neanche la possibilitàdi seppellire suo padreperché impegnato come tuttinella ricerca del grano.

La morte è la mia amicaIl destino degli altri è morire o vivereInvece il mio è convivere con la morte...sì... la morte è diventata la mia amicami accarezza prima di addormentarmi e mi bacia la mattinami fa ricordare che la mia vita è tra le sue manie che è per lei che io vivopuò darsi che la morte ha capito che sono natomortoe che quelli come me non la disturbanotanto qualcun’altro si è arrogato il suocompito con carri armati, missili e tanta cattiveria.

di Ramzi Harrabi

Dieci Anni Simone Lega

Nato a Sr. il 13.11. 1978Bambino vivace e fantasio-so dimostra precocementeun grande interesse per lalettura stimolato ed incorag-giato dal padre: contempo-ranea- mente s’immedesimain racconti di morti e fanta-smi, da lui stesso inventati:la madre preoccupata sirivolge allo psicologo. A seianni attratto dalla copertinadi Paura, raccolta di raccon-ti gotici, visto che non puòaverlo perché testo proibitoalla sua età, lo ruba inbiblioteca e lo legge tuttod’un fiato. Il racconto Il Gatto Nero diEdgar Allan Poe gli apreun mondo. Prova una gran-de attrazione/ripulsa per ilmacabro. In questa atmosfe-ra, mai noiosa o scontata,vive bene, lì vuole stare.Acquisisce piano pianoun’identità ben definita chetiene conto della sua diver-sità, senza mai esasperare laparte nera del suo essereche, al contrario, vieneimbrigliata per riuscire afarsi beffe della paura dellamorte.

Da sempre ha deciso chesarà scrittore: si è cimentatofin da piccolo con poesie,racconti e romanzi tuttorainediti: non se ne fa un pro-blema. Vive di poco e con poco eper mantenersi fa i lavoripiù disparati; è il prezzo chepaga alla vita per la libertà ela bellezza di scrivere.

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N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 21ETTERE

ERIDIANEL

M

II l barone Jean Louis Marc Alibert(1768-1837), medico di Carlo X, nelTrattato sulle acque minerali, nel

classificarle affermava che “le analisi dei chi-mici non spiegano le azioni di dette acque,nelle quali sembra esistere qualque chose dedivin”.

Le fonti Sant’Elia di Galatro in provinciadi Reggio Calabria rivestono un’importanzafondamentale per il loro contenuto solfuro-salso-iodico. G. Barrius nel suo testo sullaCalabria del 1571 scriveva “Hic sulphureaeaquae scaturiunt”. Diverse analisi chimichesono state effettuate nel corso dei secoli. Gala-tro è citata da A. Vinaj nel Manuale su Le sta-zioni termali in Italia “Acque sulfuree usatecome bagni e come bibita nelle malattie delricambio, nelle dermatosi, nel reumatismo”.

G. De Marco cita Galatro fra le ricchezzeidroclimatoterapiche della regione calabrese.Un’analisi eseguita nel 1935 dai Professori B.Ricca e R. Lamonica classificarono l’acquadi S. Elia di Galatro come un’acqua termale,ipotonica, solfato-clorurato-sodica-calcica-potassica-sulfurea con tracce di iodio.

Nella 2° edizione del 1939-40 della Clas-sifica delle Acque Minerali italiane autorizza-te dal Ministero dell’Interno, Direzionegenerale della Sanità pubblica, figura l’acquatermale di Galateo, provincia di Reggio Cala-bria, “temperatura alla fonte 35,5 °C, classifi-cazione chimica: acqua sulfurea-salso-iodica,azione terapeutica prevalente: antiartritica eantidiatesica. Nel 1979 gli analisti L. Mazzeie F. Gagliardi della Sezione chimica dell’am-ministrazione Provinciale di Cosenza affer-marono che l’acqua di Galatro può avereun’azione generale sul metabolismo grazieall’assorbimento attraverso la pelle e lemucose. L’acqua è limpida, ha un colore lie-vemente citrino, è quasi insapore, ha un lieveodore di idrogeno solfarato, temperatura allasorgente 35,60 °C.

Diverse sono le affezioni per le quali l’ac-qua Sant’Elia è indicata. Nelle affezioni gine-cologiche in caso di flogosi ginecologichesubacute e croniche. Leucorrea, cerviciti cro-niche, metriti in via di risoluzione, salpingoo-variti, dismenorrea, aplasia genitale, sterilità,fibromi di lieve entità, postumi di interventiginecologici. Le modalità d’uso sono rappre-

sentate da cicli di 15 – 21 irrigazioni gineco-logiche mediante cannula sterile a 38°C, 2 –5 litri. In otorinolaringoiatria nelle adenopatietracheo-bronchiali, nelle riniti, nelle sinusiticatarrali croniche, nelle laringiti croniche,nelle faringiti, nelle otiti catarrali croniche,nell’otosclerosi, nell’asma dell’adulto. Lemodalità d’uso sono rappresentate dalle ina-lazioni individuali, dall’aerosol individuale,dalle insufflazioni tubo-timpaniche, dalledocce nasali, dalle nebulizzazioni collettive(inalazioni secche).

Nelle malattie della pelle l’acqua diSant’Elia è indicata nello strofulo, negli ecze-matidi, negli eczemi cronici, negli eritemi,nell’acne, nelle foruncolosi, nelle dermatosi,nell’erisipela recidivante, nelle micosi, nelledermatosi croniche da stasi venosa e linfatica.Le modalità d’uso riguardo alle indicazioniterapeutiche sono rappresentate dai bagni edeventuali applicazioni locali di fango, doccefiliformi, massaggi manuali. Una delle princi-pali indicazioni dell’acqua sulfurea-salso-iodica dell’acqua di Sant’Elia è rappresentatadalle malattie muscolari, osteoarticolari e delsistema nervoso periferico. Le principali indi-cazioni nelle malattie dei nervi periferici, deimuscoli, delle articolazioni sono: le neuriti epolinevriti, l’artrite reumatoide, la spondi-loartrite, gli esiti di ernia del disco, la periar-trite. Una malattia che è ascrivibile alreumatismo non articolare, ma che interessala pelle è la fibrosite comunemente conosciu-ta come pannicolite o cellulite che colpiscepiù frequentemente le donne, normalmentelocalizzata nel tessuto sottocutaneo della fac-cia interna delle ginocchia, delle gambe, del-l’addome, delle regioni paravertebrali dorsalie lombari. Tali patologie vengono trattate conbagni, idroterapia, fanghi. L’acqua Sant’Eliapuò validamente usarsi per fini idropinici perl’astenia nervosa e sessuale, gli stati disfun-zionali dell’apparato digerente e del fegato,per l’azione, a scopo preventivo e curativo invarie alterazioni del ricambio. L’acqua vabevuta a digiuno, a sorsi e lentamente nellaquantità di 100-150 ml all’inizio fino a 500-600 ml.

Le acque di Galatro hanno un’originemolto antica, sembra infatti venissero usategià nell’VIII secolo dai monaci di San Basi-

lio, detto il Grande Santo. Ai basiliani succe-dettero i padri cappuccini che sul terrenoceduto da Diomede Giuliano edificarono unconvento che chiamarono Monastero dellaSanità fino al 1783, anno del suo crollo edella partenza dei padri.

Galatro è un piccolo centro dal paesaggioincantevole per il verde dei monti, dai ripianidegradanti, odorosi alberi di acacie, faggi,ontani, è situato in provincia di Reggio Cala-bria, nel circondario di Palmi, è diviso dalMetràmo affluente del fiume Mésima. LeTerme hanno sede nel moderno Hotel Kàga-dros, dotato di confortevoli camere, duepiscine termali, una coperta ed una scoperta,il settore otorinolaringoiatrico, quello per ibagni ed i fanghi, una modernissima beauty-farm.

È auspicabile che finalmente le competen-ti autorità sanitarie ai massimi livelli prenda-no coscienza di questa realtà adottando tutti iprovvedimenti amministrativi ed autorizzativiper un efficace ed efficiente attività delleTerme Service S.R.L. che oltre che offriresalute ai residenti, agli emigrati che tornanopresso le famiglie e i luoghi di origine, aicontadini che numerosi curano le affezionidovute alle ore trascorse a lavorare nei

campi, possano garantire i posti di lavoro esi-stenti ed offrire ulteriori sbocchi lavorativi apersonale medico, paramedico, ausiliariosenza avere l’incubo delle paventate e ricor-renti chiusure dello stabilimento termale.Galatro, per le sue acque e per la sua feliceposizione geografica risponde esattamente aquello che gli studiosi definiscono turismoculturale, di cura, di riposo, e se come affer-ma G. Mathiot (Le tourisme rèceptif francais,Nancy, 1945) “ il turismo concerne l’insiemedei principi regolanti i viaggi di piacere o diutilità, sia per quanto concerne l’azione per-sonale dei viaggiatori o turisti sia per quantoconcerne l’azione di coloro che si occupanodi riceverli e di facilitare il loro trasferimen-to”, occorre valorizzare tale turismo nonsolo dal punto di vista della domanda, maanche dell’offerta, cioè delle risorse chehanno un rapporto indiretto con esso comel’ambiente, i trasporti, la tutela del patrimo-nio culturale ed artistico. Ai politici dunquela valutazione di queste “economie esterne”affinché le fonti Sant’Elia di Galatro diventi-no volano di occupazione oltre che fonti disalute e di benessere.

Francesca Zappia

Terme di Galatro fonti di salute e di occupazione

LL a storia di Paolo è di quelle che inorgoglisce una città. Manon la raccontiamo per questo. Abbiamo incontrato questogiovane ballerino nato a Reggio Calabria e ci ha colpito la

sua determinazione e la chiarezza dei suoi obiettivi, nonché la sua sen-sibilità che tuttavia non gli impedisce di parlare di sé. Come se ladanza gli avesse insegnato che bisogna esprimere se stessi, senza sot-trarsi agli altri, anche al loro giudizio, perché anche la danza, cometutte le arti, assolve alla funzione di svelare un mondo interiore e unasoggettività altrimenti nascosta, rischiando davanti al mondo ed espo-nendosi ad esso. Infatti Paolo lo dice alla fine dell’intervista, ilmomento più intenso di una breve conversazione avuta con lui unamattina d’estate, prima che partisse per un suo nuovo impegno.

Cosa significa per te danzare?Un ballerino è un po’ come un ladro, cerca di carpire dagli altri, da

quelli più bravi, la grazia, il movimento giusto, per raggiungere la per-fezione. Ma è impossibile, è una ricerca vana. Siamo tutti i giornidavanti allo specchio, a valutare i nostri progressi, il nostro corpo, manon ci piaceremo mai. È fatica, impegno, costanza e ambizione”.

Come hai iniziato la tua carriera e che ruolo ha avuto la tuafamiglia e la tua città?

Ho iniziato tardi a danzare per un ballerino professionista. Avevo15 anni quando ho frequentato un corso di danza propedeutica. All’etàdi 7 anni, un’ insegnante suggerì a mia madre di farmi studiare nellemigliori scuole, disse che avevo molto talento. Ma il consiglio fuignorato. Dopo il diploma alle scuole superiori ho deciso di tentare iltutto per tutto e ho fatto un provino per il M.A.S., Music Arts & Showdi Milano, la scuola di formazione per lo spettacolo più grande diEuropa, diretta da Susanna Beltrami. Sono stato ammesso con unaborsa di studio al corso di tre anni per danzatore professionista.

Come ti sei trovato?Molto bene, è stata dura, ma ho avuto i primi successi. Non avevo

ancora concluso il periodo di studi, che sono stato scelto per ballare ne“La Lupa”, lo spettacolo di Luciana Savignano e della stessa Beltrami.Un ottimo successo, tanto che proprio in quel periodo in cui lavoravoin giro per l’Italia ho dovuto rinunciare ad una borsa di studio allaLondon Contemporary Dance School.

Una rinuncia pesante! Cosa hai fatto dopo? Ero ancora insoddisfatto della mia preparazione, sentivo il bisogno

di studiare, perché comunque ballavo ancora da poco tempo. Volevoimpegnarmi ulteriormente e quindi ho frequentato un corso di perfe-zionamento alla Ater Balletto, la compagnia di ballo più importante inItalia e tra le migliori europee.

Ed è qui che avviene il grande salto. Al termine del corso tihanno offerto un contratto per entrare nella compagnia, vero?

Sì, è stata la soddisfazione più grande. Non riuscivo a crederci. Dalì è iniziata la mia vera carriera da ballerino professionista.

Una carriera che ti ha portato in giro per il mondo…Sì, negli ultimi quattro anni ho ballato dappertutto, nelle grandi

capitali europee e poi in Giappone, America Latina, India, Nord Afri-ca. Quattro anni girando tra mille città, senza potersi fermare mai,arrivare, ballare, ripartire. È stata l’esperienza più bella fino a questo

momento, esaltante anche dal punto di vista umano, perché nella com-pagnia eravamo una grande famiglia.

La danza è diventata per te un vero e proprio lavoro. Un tra-guardo che sembra ai più impensabile e lontanissimo.

Sono pochi coloro che credono che la danza possa diventare unlavoro, un impegno a livello professionistico. Non si investe per colti-vare questa passione, soprattutto al Sud. In Italia, poi, la danza è con-siderata molto poco, è l’ultima espressione artistica e noi ballerinisiamo anche poco tutelati dal punto di vista legislativo. Mi auguro chela mia storia possa servire da esempio per chi magari accarezza questosogno e non trova la spinta e i mezzi necessari per realizzarlo.

La tua famiglia ti è stata vicina?Si, dopo le perplessità iniziali sono stati molto orgogliosi di me.

Ora mi sostengono, anche nella mia ultima scelta.Appunto, arriviamo a questa decisione, molto bella, ma anche

rischiosa. Hai deciso di lasciare l’Ater Balletto e da settembre seidiventato ballerino solista al teatro di Norimberga.

È stato difficile, ma volevo fare ancora altre esperienze e l’Italianon è un luogo dove la danza viene veramente apprezzata. Per cui da

tempo desideravo andare all’estero. Ne ho parlato con il mio direttore,che non è stato inizialmente molto contento, ma poi infine ha capito.Una compagnia investe molto sui propri ballerini. E poi è stato un po’come lasciare un’altra famiglia. Ma la carriera di un danzatore durapoco ed io voglio ancora formarmi, imparare, migliorare.

Per cui c’è da aspettarsi che tu abbia altri progetti in cantiere…Perché no? Dopo potrebbe esserci un impegno anche extraeuropeo…E invece nella città natale, a Reggio?Ci sono stato una volta, nel 2002, all’apertura del teatro Cilea. È

stato strano, ma bello, i parenti, gli amici, l’affetto, anche se il pubbli-co era un po’ distante.

Oriana Schembari

Terme di Galatro

LL a Libera Accademia è un’associazione culturale natanel 1993 che organizza corsi di pittura, scultura,

ceramica. Negli anni ha collaborato con l’Amministrazioneprovinciale di Reggio per tenere corsi di formazione profes-sionale e nelle scuole della provincia in ambito artistico.

Dal 9 al 16 settembre è stata organizzata un’esposizio-ne delle opere degli allievi che in questi 10 anni hannofrequentato l’Accademia, nonché degli amici e sostenitoriche hanno contribuito alla sua creazione. Dipinti, cerami-che e sculture che testimoniano il lavoro svolto e l’impe-gno nell’offrire l’occasione per sviluppare e coltivare lapassione dell’arte; un totale di 100 opere e 50 autori che sisono cimentati nelle varie discipline. La mostra viene achiudere il biennio di studi che l’associazione tiene rego-larmente. Il presidente Paolo Raffa si dice soddisfatto diaver potuto usufruire dei nuovi spazi nel Palazzo dellaProvincia, recentemente ristrutturato, nel quale una salaviene adibita proprio ad esposizioni artistiche. “Uno deiproblemi principali per chi opera in questo settore è pro-prio trovare degli spazi ubicati al centro e facilmente rag-giungibili dai cittadini, dove poter esporre e segnalare lanostra presenza alla città” commenta, ringraziando l’Am-ministrazione per la disponibilità dimostrata.

Libera AccademiaVia S. Caterina, 110 - 89100 Reggio Calabria

tel-fax 0965 [email protected]

La mostra della LiberaAccademia di Reggio

Da Reggio a Norimberga in punta di piedi

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22 N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005ETTERE

ERIDIANEL

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I l 10 giugno 1999, cessavanoi bombardamenti sullaRepubblica Federale Jugo-

slava e la criminale aggressionecontro il suo popolo; venivano sti-pulati gli accordi di pace a Kumano-vo, e dopo sei anni ecco che laverità faticosamente si fa largoanche a livello ufficiale. Altro che“genocidi e fosse comuni mai trova-te”, “diritti umani negati” e “pulizieetniche” mai avvenute, se non dopol’occupazione della Nato, e compiu-ta dalle bande criminali dell’UCKnei confronti di serbi, rom e di tuttele minoranze non albanesi, oltre checontro gli albanesi jugoslavisti. Asei anni dalla fine dell’aggressionela verità lentamente emerge, altroche “ingerenza umanitaria”. Ecco acosa miravano i criminali bombar-damenti “terapeutici” sulla Repub-blica Federale Jugoslava. Eranosemplicemente mire imperialiste,soltanto che ora non lo diciamo solopiù noi, come facciamo dal 1999,adesso ci sono le prove e le dimo-strazioni. A fianco trovate una carti-na della Serbia Montenegro, conindicati gli obiettivi e gli interessiche la Nato ha richiesto all’attualegoverno, docile vassallo dell’occi-dente, come condizione per entrarenella lista d’attesa per la Partnershipper l’organizzazione atlantica e perpoter aspirare ad entrare, un giorno,nell’Europa dei padroni.

La cartina vale forse più che tuttele analisi, ipotesi, disquisizioni teo-riche fin qui fatte, nella sua freddasinteticità è come l’esibizione del-l’arma del delitto, tutte le menzo-gne, le falsità, gli alibi degliaggressori, crollano come un castel-lo di carte. La cartina (per l’Italia èquasi uno scoop giornalistico) è suciò che si discute tra i vertici Nato eil governo serbo montenegrino, inquesti mesi; rappresenta quelli chesono gli obiettivi e gli interessi rite-nuti “necessari” dall’Alleanza atlan-tica e dagli USA: porti, aeroporti,caserme, siti logistici per installa-zioni radar, zone considerate strate-giche per basi, ecc. ecc. Nellaregione balcanica, ora che sonostate portate la libertà e la democra-zia…occidentali, ovviamente, la

situazione di agibilità e sovranità,per i popoli e Stati è sinteticamentequesta: in Ungheria, l’ex base sovie-tica di Tasar è ora la principale basemilitare americana fino alla Russia;in Albania sono state posizionate lebasi navali più grandi, oltre all’aero-porto vicino a Tirana; in Macedoniasono state occupate dalle truppeNato le due più grandi caserme delpaese a Tetovo e a Kumanovo, oltreall’aeroporto di Petrovac, Skoplije eal poligono militare di Krivolak; laBosnia Erzegovina è stata adibitaper l’aviazione: l’aeroporto diDubrovac, Tuzla è diventato baseaerea Nato, così come a Brcko eBratulac, sono state messe due basiterrestri; i maggiori porti della Croa-zia sono stati adibiti per le unitànavali, mentre all’aeroporto vicinoPula c’è ora una base dell’Alleanzaoltre al poligono di Slunj vicinoDjakova. Dalla Romania è statapresa la base navale di Costanza,l’aeroporto militare vicino a Buca-rest, le basi terrestri vicino Timisoa-ra, a Costanza, Kluza e Vlaskoj, mane sono richieste altre tre per ulti-mare il dislocamento delle truppenella regione. In Bulgaria è statacollocata una base navale a Varna euna terrestre a Sarafovo. Infine inKosovo vi è Camp Bondstel a Uro-sevac e un’altra base a Gnjlane.

Da questo scenario geo-militaredei Balcani una cosa salta immedia-tamente all’occhio, in quest’elencomanca solamente un Paese, cheancora non risulta “occupato” dabasi straniere, ed è la Serbia Monte-negro, ex Repubblica FederaleJugoslava; ecco svelato l’arcano deimille contorcimenti mass mediatici,inventati per giustificare l’aggres-sione e lo smantellamento di quel-l’ultimo pezzo di Jugoslavia, cheaveva una gravissima colpa per que-sti tempi: quella di pretendere edifendere la propria indipendenza esovranità e quella di non voleretruppe straniere a casa propria. Equesto nel ventunesimo secolo èuna colpa gravissima, perché sidiventa un ostacolo “de facto” aipiano geo-strategici dell’imperiali-smo americano, e non può essereammesso. O si accetta o si viene

spazzati via, certo le motivazionipro forma vengono trovate e pianifi-cate attraverso la disinformazionestrategica, c’è sempre un buono esacro motivo democratico peraggredire un popolo o un paese “non asservibile” con pressioni odollari. Qui come in Iraq, come inPalestina, Libano, Siria, Iran, Cuba,Corea del Nord, Bielorussia, Zim-babwe ecc. ecc perché la lista è con-tinuamente suscettibile dicambiamenti o aggiornamenti, aseconda degli eventi che accadono.

E così si può tranquillamentecapire come, nelle trattative tra unnuovo governo serbo montenegrino,creato, sponsorizzato e finanziatoper arrivare al potere, scalzando ungoverno di unità nazionale cheimpediva questi scenari in terraserba, la discussione è come fosseuna riunione amministrativa diriscossione di quanto dovuto. Ai“Quisling” locali il governo ammi-nistrativo, alla Nato ed agli Usa ilpotere di decidere e comandare, acasa di altri. Il ministro della difesadella SCG P. Davinic, nei colloquidi Londra per poter entrare nellaPartnership Nato ha ricevuto leseguenti richieste, ritenute necessa-rie per “armonizzare” le relazionitra la nuova Serbia e l’Occidente: lastazione radar di Kopaonik, la piùavanzata tecnologicamente dell’e-sercito serbo ed anche strategica perqualsiasi minima concezione difen-siva del paese e quella di Pesterska;basi aeree a Batajnica vicino Bel-grado, Zlatibor, Kraljevo, Nis eVisoravan: basi terrestri a Novi Sad,Pancevo, e Nis; le basi navali diHerceg Novi e Bar sulla costa mon-tenegrina. Oltre alla richiesta di unaconsistente riduzione degli effettividell’esercito federale, a cui l’osse-quiente nuovo governo “libero” hagià risposto con una proposta dipassare dagli attuali circa 70.000militari a circa 35.000. Quindi tra-sformare quello che era l’esercitopiù forte e organizzato di tutti i Bal-cani, in una poco più di milizia ter-ritoriale, debole e quindi sottomessae ubbidiente.

Già, perché una delle clausolepresuppone anche la presenza di

“esperti militari” statunitensi neivertici degli Stati Maggiori serbomontenegrini. E qualcuno osa chia-mare tutto questo…libertà!?Queste trattative e richieste sono ladimostrazione che le aggressioni aipopoli e paesi “renitenti o resisten-ti”, non cessano con il rumore deibombardamenti “intelligenti”, maproseguono con la distruzione deglistati sociali, delle condizioni di vitadei lavoratori e della popolazione,con le politiche di privatizzazioni esvendite delle ricchezze nazionali,nell’immiserimento che investe lastragrande maggioranza dellasocietà, ed ora con l’asservimentomilitare, ultimo passaggio perannientare completamente qualsiasiinversione di tendenza politica,essendo coscienti che il malessere eil disagio sociali, prima o poi si tra-sformeranno in lotte e conflittualità.

Così saranno garanti della pacesociale e degli interessi di coloro,

che nel frattempo, parallelamente sisono formati ed arricchiti: le bor-ghesie “compradore” locali, veri epropri mercanti in doppiopetto, malegati a doppio filo con gli interessidel capitale straniero; che sono altroda quella borghesia nazionale cheperlomeno, aveva trovato un’allean-za con le forze patriottiche e popo-lari, per resistere all’invasione eall’asservimento economico, politi-co e sociale del paese, in un’otticadi interesse nazionale. Questi gliobiettivi e le richieste della Nato, algoverno della Serbia Montenegro,per diventare ancora un po’ di più…“democratici, liberi ed europei”.

Enrico Vigna Portavoce del Forum

di Belgrado Italia e Presidentedi SOS Yugoslavia Italia

La Nato verso l’occupazionedella Serbia

CC ontinua proficuamente l’impegnodell’Associazione verso le comu-nità perseguitate della regione

“dimenticata” da tutti. A luglio si è stabilitoun altro accordo per un sostegno all’Associa-zione Sclerosi Multipla del KosovoMetohija di Kosovska Mitrovica, l’obiettivoè la raccolta di una serie di medicinali intro-vabili per i loro malati di là, come richiestocinella lettera del 17/07/05 del Presidente IlijaSpiric, personalmente conosciuto da EnricoVigna e prezioso aiuto per il viaggio di mag-gio nell’enclave di Orahovac; egli sarà ilnostro referente per il Progetto Mitrovica.

Ad agosto invece, la delegazione di SOSYugoslavia ha incontrato la presidente del-l’Associazione “Srecna Porodica- Per unafamiglia felice”, formata da profughi, soprat-tutto dell’’area di Pristina, che vivono neicampi profughi di Nis in Serbia e che si occu-pano anche di quelle pochissime famiglieancora rimaste in quell’area.

La realtà in cui opera quest’Associazione èmolto difficile e devastata, anche per l’altonumero di profughi (si parla alcune decine dimigliaia di rifugiati, che vivono quasi esclusiva-mente di sussidiarietà e ai limiti della sopravvi-venza) dislocati in città e dintorni. Si tratta nellastragrande maggioranza di famiglie scappatedalla pulizia etnica dei terroristi UCK, spesso

solo con qualche borsa, lasciando tutti i loroaveri al saccheggio o alla distruzione.

Nell’incontro abbiamo sottolineato lanostra impossibilità oggettiva nel sostenerel’Associazione nel suo complesso, ma abbia-mo stabilito di renderci disponibili su due

versanti: uno è quello di eventuali emergenzecontingenti, che loro ci comunicherannomano a mano, l’altro sarà invece il nostroimpegno verso i figli degli scomparsi (rapitie verosimilmente assassinati, dal giugno ’99in poi, nel Kosmet dalle bande terroriste Uck,una cifra che si aggira, circa sui 5000 casi ).

Su questo, l’impegno della nostra Associa-zione sarà anche di tipo informativo e didenuncia. Trattandosi di bambini che spessonon hanno alcuna possibilità di un futuroneanche ipotetico e le cui madri si trovanooggettivamente ai limiti della stessa emargi-nazione che già vivono le altre famiglie diprofughi, abbiamo ritenuto di costruire unprogetto che si occupi di solidarizzare nellospecifico, con queste famiglie che sono unaparte dell’Associazione “Srecna Porodica”. Ilprimo obiettivo concordato immediato è unaraccolta fondi come “Campagna Scuola” inmodo da fornire una cifra minima in gradodi garantire ai circa 60 bambini figli di scom-

parsi lì presenti, la possibi-lità di un minimo kitscolastico; questo comeobiettivo immediato, cisono poi già altre idee,ipotesi per i prossimi mesi,valutate insieme. I nostrireferenti saranno RadmilaVulicevic (Presidente del-l’Associazione) e Nata-sha Sofranac nostracollaboratrice su Belgrado.Si chiamerà “Progettofigli degli scomparsi delKosovo”.

Ricordiamo che in que-sti mesi sono stati raggiun-ti già i seguenti obiettiviconcreti per il Progetto“SOS Kosovo”: Goraz-devac: a febbraio ’05,sostegno economico diret-to ai bambini, figli deilavoratori disoccupati

Zastava dell’enclave; a luglio ’05, fornitura diun computer con relativi accessori completi,ad uso della comunità dell’enclave, grazieanche all’Associazione Orizzonti di Bolzano,aderente al Progetto Kosovo.

Orahovac: ad aprile ’05, sostegno econo-mico diretto ai bambini dell’enclave; ad ago-sto ’05 vacanza di nove giorni, in una coloniaestiva della Serbia, per tutti i bambini dell’en-clave e i maestri, regalata da SOS Yugoslavia.

Ricordiamo a tutti gli amici e aderentidi SOS Yugoslavia, che molti di questi sforzisono possibili grazie alla vendita dei libri evideo che trattano della questione, in questomodo facciamo informazione sulla realtà divita di questa gente dimenticata e nello stessotempo raccogliamo i fondi per fare sì che lasolidarietà, non sia su un terreno “intellettua-le” ma diventi concreta, seppur minima.

In questo periodo è attraverso il libro“Dalla guerra all’assedio”, il primo libro inItalia, dove a parlare sono i bambini serbi (ealcuni rom) del Kosovo Metohija; e ora ilvideo “KOSOVO 2005, viaggio nell’a-partheid in Europa”, curato da E.Vigna e R.Veljovic, una testimonianza del viaggio fattocon la delegazione del Sindacato Samostalnia febbraio ’05, (durata 54 minuti).

Invitiamo pertanto associazioni, istituzionisensibili, circoli, scuole ad aiutarci in questoprogetto, facendo conoscere, regalando,acquistando e facendo acquistare i materiali,solidarizzando così in modo diretto e concre-to, con questi bambini e le loro famiglie.

Chiunque voglia essere parte di questapiccola progettualità, avere ulteriori

informazioni, fare serate di presentazione e sensibilizzazione:

email: [email protected]. 338/1755563,

oppure scrivere aSOS Yugoslavia – V. Reggio 14

10100 TO

...la luna splenderà tutta la notte, la luna chiameràtutta la notte, bisogna partire, con essa, partire da soli, partire ed errare,partire e morire , partire e vivere, in questa notte: che resta quando tutto si dilegua, tutti si dileguano...

[da Mesa Selimovic, “Il derviscio e la morte” ]

““””

Bambini in Kosovo

L’attività dell’Associazione SOS Yugoslavia Italia

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N. 4 - Ottobre - Novembre - Dicembre 2005 23ETTERE

ERIDIANEL

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Un ambulanza per Mopti

AA lla fine di ottobre il gruppo roma-gnolo di BnD, capitanato da

Mauro Foli, è partito con alcuni 4x4 e unambulanza verso sud. Destinazione: l’o-spedale di Mopti. Il viaggio prevede l’im-barco a Genova su un traghetto dellaGrandi Navi Veloci e lo sbarco, meno di24 ore dopo a Tunisi: significativo ancorauna volta l’aiuto offerto dalla GNV, com-pagnia di riferimento per l’organizzazio-ne, che ha offerto il biglietto perl’ambulanza. Una volta attraversata laTunisia il gruppo dovrà affrontare l’Alge-ria prima di poter varcare il confine con ilMali. Ma il viaggio non si conclude certoqui; anzi proprio questo ultimo trattodesertico metterà alla prova gli equipaggie i loro mezzi. L’ambulanza, una voltaraggiunta Mopti, prenderà servizio egarantirà il collegamento tra il centrosanitario e i numerosi villaggi lungo ilcorso del fiume Niger. Con questo sono 4i veicoli per le emergenze sanitarie cheBnD, attraverso i suoi amici viaggiatori,ha recapitato in diversi paesi africani.

Il Range per Bassy e Zanga

LL’’ ambulanza diretta all’ospedaledi Mopti non è il solo veicolo

con il logo di BnD che attraverserà ildeserto del Sahara nelle prossime settima-ne. Anche la Range Rover gentilmenteofferta dal Sig. Andrea Morganti ormai èpronta per partire e raggiungere il villag-gio di Bassy e Zangà in Burkina Faso.Qui, dove Bambini nel Deserto ha realiz-zato la scuola dedicata a Tiziano Terzani,è allo studio la costruzione di un’inferme-ria presso la quale il Range Rover pren-derà servizio come veicolo adibito altrasporto dei casi più gravi. MassimoMantuano, coordinatore di BnD a Roma èil capo di questa spedizione tra i cui com-piti vi è anche quello di consegnare unaseconda Range Rover per conto di Efo eAwa ONLUS nel villaggio nigerino diTindawene. Questa spedizione potrà esse-re seguita giorno dopo giorno sul sito diBnD.

Contatti Regionali

SS empre più spesso arrivano mail dirichiesta di informazioni relative a

eventuali sedi regionali di BnD in Italia.Si ricorda che attualmente i gruppi attivisono presenti in Calabria, Campania,Emilia, Lazio, Lombardia, Piemonte e abreve in Liguria. Per mettersi in contattocon i gruppi di BnD è sufficiente mandareuna mail alla relativa regione. Ad esem-pio per contattare i sostenitori calabresi ènecessario mandare una mail all’[email protected].

Il nostro web team in collaborazionecon il gruppo lombardo sta testando ilforum grazie al quale sarà a breve possi-bile iscriversi e mettersi in contatto conaltri membri della nostra organizzazione.

Ritorno in Cameroun

DD opo ormai tre anni dalla primaconsegna di materiale un gruppo

di viaggiatori si è offerto di portare mate-riale didattico e sanitario in Camerun.

In questi giorni l’organizzazione èstata contattata da Patrizia, capogruppo diAvventure nel Mondo, che si è dettadisponibile a recapitare insieme ai parte-cipanti di un viaggio del materiale prepa-rato da BnD. Purtroppo le informazioniche abbiamo sulle necessità che ci si tro-verà a dover soddisfare sono poche, maanche grazie a questo viaggio e alle infor-mazioni che il gruppo porterà, BnD arric-chirà un database che piano piano staprendendo forma e che permetterà di sti-lare una mappa dell’aiuto che si vuoleportare in Africa.

BnD ricerca collaboratori

NN el corso del recente soggiorno inBurkina Faso da parte di un

gruppo di volontari ci siamo resi contoche nelle scuole africane il materiale didat-tico distribuito, cosa di per sé già rara, èobsoleto e non facilita per questo l’appren-dimento della lettura e della scrittura.

Per questo motivo stiamo costituendoun team di persone per la realizzazione dinuovi testi scolastici con cui rifornire sia lenostre scuole sia tutte quelle che intende-ranno utilizzarlo e che riusciremo a rag-giungere con le spedizioni. Per questomotivo siamo alla ricerca di:

- Traduttori dall’italiano al francese chedovranno provvedere alla traduzione ditesti di letteratura infantile, conoscitoridella lingua e della grammatica francese;

-Disegnatori; -Grafici editoriali;Si ricercano anche libri per bambini in

lingua francese con cui attrezzare dellebiblioteche nelle scuole costruite. Peradesioni o maggiori informazioni contat-tare Bruna Montorsi all’indirizzo mail:[email protected]

Prossime spedizioni

CC on l’arrivo dell’inverno e delletemperature migliori per affronta-

re l’Africa gli amici di BnD in partenzadiventano sempre più. Chi grazie a unviaggio organizzato, chi con un gruppo divecchi amici e chi addirittura in solitarianel corso del mese di ottobre i paesi delMaghreb e dell’Africa Occidentale ver-ranno attraversati da piccoli e grandi con-vogli. Stefano Tonsi, coordinatore di BnDper la Tunisia, è in partenza con il compi-to di andare a raccogliere informazionirelativamente a scuole del sud del paesedi sua competenza al fine di meglio indi-rizzare i numerosissimi gruppi che parti-ranno successivamente. Barbara eChristian, insieme a un gruppo di Avven-ture nel Mondo si recheranno in Etiopiadove provvederanno a consegnare mate-riale didattico e sanitario oltre a natural-mente raccogliere informazioni per futurespedizioni. Patrizia da Roma, accompa-gnatrice di Avventure nel Mondo, conse-gnerà insieme ai componenti del suogruppo materiale in Camerun. Cristiano,anch’egli dalla capitale, è in partenza perun lunghissimo viaggio attraverso ilSahara e l’Africa Occidentale. Oltre aconsegnare materiale e raccogliere infor-mazioni su nuove località dove BnDpotrà in futuro intervenire farà visita pres-so i principali progetti in corso di BnDper una verifica dello stato d’avanzamen-to dei lavori. Lisa di Torino partirà insie-me a un gruppo organizzato da AdrianoFurlotti verso il sud della Tunisia allaricerca dei nomadi che vivono a cavallodel confine con l’Algeria.

Per concludere segnaliamo un viaggiodi Impronte guidato dall’amico CarloSebastiani il cui compito è quello di con-segnare medicinali e materiale sanitarioin un ospedale dove è presente personaleitaliano.

www.bambinideldeserto.it

Gira da un po’ di tempo in alcune mail, per effetto dicatene questa volta contenenti informazioni interessan-ti, un’informativa sull’auto Eolo, che di seguito pubbli-chiamo:

“Guy Negre, ingegnere, progettista di motori per For-mula 1, che ha lavorato alla Williams per diversi anni, nel2001 presentava al Motorshow di Bologna una macchinarivoluzionaria: la “Eolo” (questo il nome originario datoal modello), era una vettura con motore ad aria compressa,costruita interamente in alluminio tubolare, fibra di cana-pa e resina, leggerissima ed ultraresistente.

Capace di fare 100 Km con 0,77 euro, poteva raggiun-gere una velocità di 110 Km/h e funzionare per più di 10ore consecutive nell’uso urbano. Allo scarico usciva soloaria, ad una temperatura di circa -20°, che veniva utilizza-ta d’estate per l’impianto di condizionamento.

Collegando Eolo ad una normale presa di corrente, nelgiro di circa 6 ore il compressore presente all’interno del-l’auto riempiva le bombole di aria compressa, che venivautilizzata poi per il suo funzionamento. Non essendocicamera di scoppio né sollecitazioni termiche o meccani-che la manutenzione era praticamente nulla, paragonabilea quella di una bicicletta. Il prezzo al pubblico dovevaessere di circa 18 milioni delle vecchie lire, nel suo allesti-mento più semplice.

Qualcuno l’ha mai vista in Tv? Al Motorshow fece un grande scalpore, tanto che il sito

www.eoloauto.it venne subissato di richieste di prenota-zione: lo stabilimento era in costruzione, la produzionedoveva partire all’inizio del 2002: si trattava di pazientareancora pochi mesi per essere finalmente liberi dalla schia-vitù della benzina, dai rincari continui, dalla puzza insop-portabile, dalla sporcizia, dai costi di manutenzione, datutto un sistema interamente basato sull’autodistruzione ditutti per il profitto di pochi.

Insomma l’attesa era grande, tutto sembrava esserepronto, eppure stranamente da un certo momento in poinon si hanno più notizie. Il sito scompare, tanto che anco-ra oggi l’indirizzo www.eoloauto.it risulta essere in vendi-ta. Questa vettura rivoluzionaria, che, senza aspettare 20anni per l’idrogeno (che costerà alla fine quanto la benzi-na e ce lo venderanno sempre le stesse compagnie) avreb-be risolto OGGI un sacco di problemi, scompare senzalasciare traccia. A dire il vero una traccia la lascia, e nem-meno tanto piccola: la traccia è nella testa di tutte le per-sone che hanno visto, hanno passato parola, hanno usatoInternet per far circolare informazioni. Tant’è che ancheoggi, se scrivete su Google la parola “Eolo”, nella primapagina dei risultati trovate diversi riferimenti a questastrana storia. Come stanno oggi le cose, previsioni edapprofondimenti: Il progettista di questo motore rivoluzio-nario ha stranamente la bocca cucita, quando gli si chiedeil perché di questi ritardi continui. I 90 dipendenti assuntiin Italia dallo stabilimento attualmente in cassa integrazio-ne senza aver mai costruito neanche un’auto. I dirigenti diEolo Auto Italia rimandano l’inizio della produzione adata da destinarsi, di anno in anno. Oggi si parla, forsedella prima metà del 2006... Quali considerazioni si pos-sono fare su questa deprimente vicenda? Certamente vieneda pensare che le gigantesche corporazioni del petrolionon vogliano un mezzo che renda gli uomini indipendenti.La benzina oggi, l’idrogeno domani, sono comunqueentrambi guinzagli molto ben progettati. Una macchinache non abbia quasi bisogno di tagliandi né di cambi olio,che sia semplice e fatta per durare e che consumi soltantoenergia elettrica, non fa guadagnare abbastanza.

Quindi deve essere eliminata, nascosta insieme a chissàcos’altro in quei cassetti di cui parlava Beppe Grillo tantianni fa, nelle scrivanie di qualche ragioniere della Fiat odella Esso, dove non possa far danno ed intaccare la gros-sa torta che fa grufolare di gioia le grandi compagnie delpetrolio e le case costruttrici, senza che l’”informazione”ufficiale dica mai nulla, presa com’è a scodinzolare men-tre divora le briciole sotto al tavolo…

per approfondire...http://www.eoloenergie.it/http://www.ecplanet.com/canale/tecnologia-2/veicoli-78/0/0/7330/it/ecplanet.rxdfhttp://www.nexusitalia.com/casoeolo.htmlhttp://www.ecotrasporti.it/eolo.html

Abbiamo verificato i siti indicati e abbiamo appuratoche la stessa storia, la descrizione della macchina, la suapromessa produzione, la misteriosa scomparsa del proget-to, viene riferita da EcPlanet, quotidiano d’informazionescientifica e tecnologica, Nexus, rivista bimestrale che sioccupa anch’essa di scienza e tecnologia, e Ecotrasporti,testata giornalistica on-line.

Oslo, 7 ottobre 2005 - “Ci domandiamocome si possa assegnare il Nobel per la paceall´Agenzia internazionale per l´energia ato-mica, organismo che ha avuto un ruolo storiconel promuovere il nucleare nel mondo e quin-di nella crescente minaccia della proliferazio-ne atomica. Va riconosciuto invece che ildirettore generale ElBaradei, opponendosialla guerra in Iraq e promovendo una zonalibera dal nucleare nel Medio Oriente, è statonegli ultimi anni protagonista di una visionenuova della pace e della non proliferazioneatomica” commenta Donatella Massai, diret-tore generale di Greenpeace. Greenpeace siaugura che questo Nobel apra un dibattito sulduplice ruolo dell´AIEA come “controllore”del nucleare e come venditore di questa tec-nologia. Solo risolvendo questa contraddizio-ne l´Agenzia potrà combattere davvero laproliferazione atomica. Lo stesso ElBaradeiriconosce che 35-40 Paesi possono svilupparearmamenti nucleari nel giro di pochi mesi.Greenpeace propone la creazione di una“Nuclear Free Zone” nel Medio Oriente con l’abbandono del nucleare civile e la promozione delle fonti rinnovabili.

L’energia eolica cresce in Europa di 6.000 MW l’anno, l’equivalente di due grandi centrali atomiche, allo stesso tempo percostruire un solo reattore nucleare ci vogliono 10 anni.

Leggi il rapporto di Greenpeace “The Real Face of the IAEA’s Multilateral Nuclear Approaches”.http://www.greenpeace.org/international/press/reports/IAEAmultilateralnuclearapproachreport

Notizie dalla OnlusBambini nel Deserto

Ottobre 2005

Lo strano casodell’auto Eolo

Ecologica, a costi contenuti, mamisteriosamente… scomparsa

Bambini nel deserto

Greenpeace commenta il Nobelper la pace a Elbaradei

Mohamed Elbaradei Generale IAEA

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