Anno 9 Seminari 2012 di Ematologia Oncologica · Sindromi linfoproliferative • COD....

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NEL PROSSIMO NUMERO BIOMARKERS Per una terapia mirata • Mielodisplasie • Leucemie acute • Sindromi mieloproliferative PH- • Sindromi linfoproliferative • COD. CST-HEMA-0011/000 Edizioni Medico Scientifiche - Pavia EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 9 Numero 3 2012 Seminari di Ematologia Oncologica Oncoematologia pediatrica ISSN 2038-2839

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NEL PROSSIMO NUMERO

BIOMARKERS Per una terapia mirata • Mielodisplasie • Leucemie acute • Sindromi mieloproliferative PH- • Sindromi linfoproliferative •

COD. CST-HEMA-0011/000 Edizioni Medico Scientifiche - Pavia

E D I Z I O N I I N T E R N A Z I O N A L I s r l

Editor in chiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Anno 9Numero 32012 Seminari

di EmatologiaOncologica

Oncoematologiapediatrica

ISSN 2038-2839

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Editor in ChiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Fondazione IRCCS Ca’ GrandaOspedale Maggiore Policlinico di Milano

Editorial BoardSergio Amadori

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Giovanni PizzoloUniversità degli Studi, Verona

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Direttore ResponsabilePaolo E. Zoncada

Registrazione Trib. di Milano n. 532del 6 settembre 2007

Vol. 9 - n. 3 - 2012Sindromi mielodisplastiche 5MARCO ZECCA, CHIARA CUGNO

Leucemie acute 31MOMCILO JANKOVIC

Sindromi mieloproliferative croniche 51FIORINA GIONA

Trapianto di cellule staminali emopoietiche 79STEFANO GIARDINO, GIORGIO DINI

Oncoematologiapediatrica

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PeriodicitàQuadrimestrale

ScopiSeminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiorna-mento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione direndere più facilmente e rapidamente disponibili in formazioni suargomenti pertinenti l’ematologia oncologica.Lo scopo della rivista è quello di as sistere il lettore fornendo-gli in maniera esaustiva:a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in formachiara, aggiornata e concisa;

b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gliinteressi culturali degli specialisti interessati;

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TitoloConciso, ma informativo ed esauriente.Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senzaabbreviazioni.Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, E-mail del1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza.

IntroduzioneConcisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chia-ra ed esaustiva lo scopo dell’articolo.

Parole chiaveSi richiedono 3/5 parole.

Corpo dell’articoloIl contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte(2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo statodell’arte aggiornato dell’argomento trattato. L’articolo deve esserecorredato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file adalta risoluzione (salvati in formato .tif, .eps, .jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, maaggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione cor-rispondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numera-te con il numero arabo (1) secondo l’ordine di comparsa nel testoe comunque in numero non superiore a 100÷120.

BibliografiaPer lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultareil sito “International Committee of Medical Journal Editors UniformRequirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals:Sample References”.

Es. 1 - Articolo standard1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232:284-7.

Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, MarionDW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone mar-row transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 3 - Letter1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 4 - Capitoli di libri1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano:MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.

Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytesin bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica.2002; 19: (Suppl. 1): S178.

RingraziamentiRiguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizza-zione dell’articolo.

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Seminari

di EmatologiaOncologica

Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia

delle emopatie neoplastiche

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Editoriale Editoriale

GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERSFondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Questo numero di Seminari di EmatologiaOncologica, ultimo dell’annata 2012, è dedicatoalle neoplasie ematologiche dell’età pediatrica,che nell’ambito dei tumori infantili sono di granlunga prevalenti in tutte le fasce di età. In questoultimo decennio gli studi hanno portato notevolicontributi conoscitivi, evidenziando che numero-se sono le differenze rispetto all’adulto in termi-ni biologici, genetici, clinici ed anche terapeutici.Diverse sindromi ereditarie si associano ad unaumento del rischio di sviluppare nei bambini unasindrome mielodisplastica, la cui patogenesi èspesso correlata ad alterazioni genetiche, ancheacquisite in epoca prenatale, che causano difet-ti dei meccanismi di riparazione del DNA.Analogamente la leucemia linfoblastica acuta èdovuta a mutazioni somatiche che insorgonodurante la fase di post-concepimento in uteronelle cellule linfoidi in sviluppo. Le sindromi mie-lodisplastiche e le leucemie acute dell’infanziasono pertanto malattie eterogenee composte danumerosi sottogruppi biologici, in genere conscore prognostici sfavorevoli. Infatti, come ipotiz-zato nei rari casi pediatrici di leucemia mieloidecronica, gli eventi trasformativi nei progenitoriemopoietici avvengono con rapidità e portanoallo sviluppo di un clone maligno in un tempomolto più breve rispetto all’adulto.

Viceversa le sindromi mieloproliferative cronichePh- raramente sono ereditarie o associate amutazioni germinali; più frequenti sono le formedi trombocitosi ed eritrocitosi secondarie, che acausa della bassa morbidità richiedono unapproccio conservativo e meno invasivo, anchesul piano diagnostico.Un numero sempre più elevato di bambini conemopatie neoplastiche risponde in modo ottima-le ai trattamenti polichemioterapici o biologica-mente mirati, anche per la minore incidenza didisfunzioni d’organo e per l’assenza di concomi-tanti patologie croniche. Il trapianto di cellule sta-minali emopoietiche ha modificato profondamen-te la storia naturale delle patologie a prognosi piùinfausta, grazie sia alla disponibilità di fonti alter-native al donatore familiare HLA identico, comeil sangue cordonale, sia ai nuovi regimi non abla-tivi di condizionamento che, soprattutto nellepatologie non oncologiche, servono a limitare glieffetti tossici precoci e tardivi.La popolazione dei pazienti in età pediatrica gua-riti dalla neoplasia ematologica di base è in conti-nua crescita. È pertanto di notevole importanza uncostante follow up, inteso a fotografare il suo statodi salute ed a gestire le problematiche, sia di per-tinenza medica sia psicologiche e comportamen-tali, che possono comparire a lungo termine.

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n INTRODUZIONE

Le sindromi mielodisplastiche (SMD) sono ungruppo eterogeneo di patologie clonali ematolo-giche caratterizzate da emopoiesi inefficace,citopenia progressiva, trasformazione displasticadelle cellule emopoietiche e rischio di evoluzio-ne in leucemia mieloide acuta (1). La loro inciden-za in età pediatrica è nettamente inferiore rispet-to agli adulti, soprattutto se di età superiore a 60anni, e numerose sono le differenze tra le SMDdell’adulto e del bambino in termini di caratteri-stiche morfologiche, anomalie citogenetiche, fat-tori prognostici e condizioni predisponenti. Perquesto motivo, negli ultimi 20 anni, è stata per-cepita come emergente la necessità di unapproccio esclusivamente pediatrico per la dia-gnosi e la cura di tali patologie.

n SINDROMI MIELODISPLASTICHE

ClassificazioneLa classificazione elaborata dal gruppo coopera-tivo FAB (French-American-British) distingueva

nell’ambito delle sindromi mielodiplastiche 5 sot-togruppi sulla base della conta blastica percen-tuale sul sangue periferico e midollare: anemiarefrattaria (AR), AR con sideroblasti ad anello, ARcon eccesso di blasti (AREB), AREB in trasforma-zione (AREB-T) e leucemia mielomonocitica cro-nica (CMML) (2). Tuttavia, la classificazione FAB,nonostante il notevole impatto prognostico eser-citato anche in età pediatrica, si rivelò ben pre-sto inadeguata in quest’ambito, non riuscendo adefinire ed identificare peculiari patologie e carat-teristiche morfologiche dei bambini (3, 4). La clas-sificazione delle neoplasie ematologichedell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO)del 2001 (5) inserì tra i criteri classificativi le carat-teristiche morfologiche e la presenza di anoma-lie citogenetiche oltre ad abbassare dal 30 al 20%il valore soglia della conta blastica necessario perdistinguere tra SMD e leucemia mieloide acuta(LMA). Anche in questa classificazione, basata inprevalenza sulla revisione di casi in età adulta, nonvennero riconosciute le specifiche peculiarità del-le SMD pediatriche: l’estrema rarità delle AR consideroblasti ad anello, la completa assenza del-la sindrome del 5q- e l’insorgenza precoce di SMDall’interno di condizioni genetiche costituzionalipredisponenti. In più non vi sono dati sufficientia supportare che una quota blastica pari al 20%piuttosto che al 30% meglio distingua le SMD dal-le LMA nei bambini. La prima classificazione WHOmodificata ed adattata all’età pediatrica (6) ha sud-diviso le SMD nei seguenti sottogruppi (Tabella 1e Figura 1):– citopenia refrattaria (CR): blasti nel sangue peri-

ferico <2%, blasti midollari <5%;

Sindromi Sindromi mielodisplastichemielodisplasticheMARCO ZECCA, CHIARA CUGNOOncoematologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo”, Pavia

Parole chiave: mielodisplasie, leucemia mieloide acu-ta, leucemia mielomonocitica giovanile, JMML.

Indirizzo per la corrispondenza

Marco ZeccaOncoematologia PediatricaFondazione IRCCS Policlinico “San Matteo”Viale Golgi, 19 - 27100 PaviaE-mail: [email protected]

Marco Zecca

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6 Seminari di Ematologia Oncologica

– AREB: blasti nel sangue periferico 2-19% e/oblasti midollari 5-19%;

– AREB-T: blasti nel sangue periferico e/o bla-sti midollari 20-29%;

– LMA secondaria a SMD (Myelodisplasia-rela-ted LMA, SMD-LMA): SMD evoluta e con bla-sti nel sangue periferico e/o blasti midollari≥30%.

Rispetto alla classificazione dell’adulto è statamantenuta la categoria AREB-T, è stato specifi-cato che la quota blastica di per sé era insuffi-ciente per differenziare le LMA dalle SMD e chenell’iter diagnostico era fondamentale includerele caratteristiche cliniche, il decorso della malat-tia, il dato morfologico, immunofenotipico e cito-genetico. Questo approccio ha consentito di clas-sificare in maniera chiara e omogenea più del 95%dei pazienti (7) ed è stato in seguito incluso nel-la successiva classificazione WHO (Figura 2) (8).Le SMD diagnosticate in bambini altrimenti sanisono definite primitive. Le forme che si presen-tano, invece, in bambini con note condizioni pre-disponenti sono definite secondarie e si riscon-trano più frequentemente in pazienti che abbia-no ricevuto un trattamento chemio- o radiotera-pico o in pazienti con insufficienze midollari costi-tuzionali. È tuttavia necessario tenere presente chebambini con cosiddette SMD primitive potrebbe-ro avere un difetto genetico non riconosciuto pre-disponente l’insorgenza precoce di SMD e che,pertanto, anche la distinzione tra forma primitivae secondaria potrebbe rivelarsi arbitraria (9).La CR si identifica con il gruppo delle SMD nonavanzate o a basso rischio, mentre AREB, AREB-T e LMA costituiscono il gruppo delle SMD avan-zate o ad alto rischio.

TABELLA 1 - Classificazione delle SMD/mieloproliferative del bambino (6).

I. Sindromi mielodisplastiche/mieloproliferative• Leucemia mielomonocitica giovanile (JMML)• Leucemia mielomonocitica cronica (CMML) (solo secondaria)• Leucemia mieloide cronica BCR-ABL-negativa

II. Patologie della sindrome di Down• Mielopoiesi anormale transitoria (transient abnormal myelopoesis, TAM)• Leucemia mieloide della sindrome di Down

% di blastiIII. Sindromi mielodisplastiche Sangue periferico Midollo• Citopenia refrattaria (CR) <2% <5%• Anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB) 2-19% 5-19%• Anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-T) 20-29% 20-29%

IV. Leucemia mieloide acuta• Leucemia mieloide acuta secondaria ad SMD (myelodisplasia-related LMA, MDR-LMA): precedente mielodisplasia pro-

gredita e con blasti nel midollo o nel sangue periferico ≥30% • Leucemia mielode acuta de novo: blasti nel midollo o nel sangue periferico ≥30% alla diagnosi o presenza di trasloca-

zioni cromosomiche specifiche della LMA.

CR60%

AREB31%

AREB-T9%

FIGURA 1 - Frequenza dei diversi sottotipi morfologici delle SMDprimitive.

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7Sindromi mielodisplastiche

Epidemiologia e fattori predisponentiL’incidenza di SMD, sia primitive che seconda-rie, in base a studi di popolazione effettuati inDanimarca e Canada, è risultata pari a 1,8casi/anno per milione di bambini tra 0-14 anni (10,11), rappresentando le SMD il 4% di tutte le neo-plasie ematologiche del bambino. In uno studiobritannico emerge invece un’incidenza di 0,8 casidi SMD primitiva/anno per milione di bambini tra0-14 anni (4). La distribuzione tra sesso maschi-le e femminile non mostra differenze; l’età mediadi esordio è di 6-8 anni (10-13).La CR è il sottotipo più frequente di SMD nei bam-bini e negli adolescenti, rappresentando appros-simativamente il 60% di tutti i casi (4, 14), AREBe AREB-T si attestano rispettivamente sul 31 e9% dei casi (Figura 1).L’incidenza delle SMD secondarie a trattamentoradio o chemioterapico è pari al 7-18% di tuttele forme pediatriche, con una chiara tendenza

all’incremento negli ultimi anni per effetto dell'au-mentata sopravvivenza dei bambini affetti da pri-ma neoplasia (14). È ormai ampiamente dimostra-to che l’utilizzo di agenti alchilanti ed inibitori del-la topoisomerasi II favorisce l’insorgenza di SMDe LMA, quali seconde neoplasie, in bambini pre-cedentemente trattati per leucemia linfoblasticaacuta (LLA) o altre neoplasie. Le SMD seconda-rie ad agenti alchilanti tendono a manifestarsi a3-11 anni di distanza dal trattamento (15, 16) esono classicamente caratterizzate da delezioni deicromosomi 5 o 7 (17). Riarrangiamenti del geneMLL sono invece caratteristici dei casi di LMAsecondaria a trattamento con inibitori delle topoi-somerasi II (quali l’etoposide), che solitamente sipresenta come una franca LMA dopo un breveperiodo di latenza di 1-3 anni e senza una faseprodromica di SMD (17, 18).Numerose condizioni ereditarie si associano adun aumento del rischio di sviluppare SMD e con-

LMA de novo

100%

20%

20

%

AREB

SMD dopo aver escluso:

• Traslocazioni speciÞche per LMA

• Presentazione clinica tipicamente leucemica

• Progressione rapida di malattia

30%

20

%

20

%

AREB-T

FIGURA 2 - Differenziazione delle SMD dalle LMA de novo.

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8 Seminari di Ematologia Oncologica

seguentemente LMA, in particolare le insufficien-ze midollari costituzionali e i difetti dei meccani-smi di riparazione del DNA. Si stima che circa il30% delle SMD insorga nell’ambito di un difettocostituzionale (4, 11). Il rischio di SMD/LMA èestremamente variabile ed è più elevato nell’ane-mia di Fanconi (AF), nella discheratosi congeni-ta (DC) e nella neutropenia congenita grave (NCG)o sindrome di Kostman. Nell’AF le neoplasie mie-loidi esordiscono precocemente durante l’infan-zia o l’età giovanile ed il rischio di insorgenzadipende dal sottogruppo genetico e dalle even-tuali anomalie associate (19, 20). Il rischio cumu-lativo a 15 anni di sviluppare una SMD nella NCGè del 15% (21) e non sembra incrementato dal-la terapia con fattori di crescita emopoietici (G-CSF). D’altra parte i pazienti con scarsa rispostaal G-CSF sembrano avere un rischio maggiore diSMD. Nella sindrome di Shwachman–Bodian–Diamond(SBDS) il rischio di SMD è di circa il 30% (22) edè spesso correlato con anomalie del cromosoma7 ad eccezione dell’isocromosoma 7q che, al con-trario, si associa ad una bassa probabilità di pro-gressione (23). L’acquisizione di anomalie cromo-somiche clonali successive aumenta con il pas-sare del tempo e rende conto della condizione diinstabilità cromosomica tipica della sindrome (24).L’incidenza cumulativa di SMD/LMA nella DC èsovrapponibile a quello dell’AF (25).Occasionalmente SMD/LMA sono state descrit-te in pazienti con anemia di Diamond-Blackfan (26)e porpora amegacariocitica congenita (CAMT)(24). Un’evoluzione in senso mielodisplasticoavviene nel 10-15% dei casi di anemia aplasticaacquisita non sottoposti a trapianto di cellule sta-minali emopoietiche (27). Il fatto che il rischio mag-giore si osservi per le forme non gravi di aplasiamidollare acquisita (28) lascia ipotizzare che alcu-ni casi di CR possano in realtà non essere staticorrettamente diagnosticati.Esistono inoltre forme familiari di SMD in famigliecon più di un membro affetto, in assenza delle giàdescritte forme di insufficienza midollare costitu-zionale. In queste famiglie spesso si riscontra lamonosomia del cromosoma 7 (3, 29, 30). Mutazionigermline dei fattori di trascrizione CEBPA eRUNX1 possono causare forme familiari diSMD/LMA ma nella maggior parte delle famiglie

la causa genetica predisponente rimane ignota (29).Sindromi mielodisplastiche sono state infineoccasionalmente descritte in numerosi soggetticon anomalie citogenetiche costituzionali diver-se dalla trisomia 21; l’unica chiara associazionedimostrata è con il mosaicismo della trisomia 8(31) mentre la trisomia 8 può essere costituzio-nale nel 15-20% delle SMD con trisomia 8 (32).Le LMA in pazienti con condizioni predisponen-ti note condividono le stesse caratteristiche bio-logiche delle mielodisplasie, con l’eccezione del-la conta blastica, e la loro prognosi dipende inmassima parte dal profilo citogenetico. Fannoeccezione alcune famiglie con mutazione germi-nale di CEBPA o RUNX1 a rischio di sviluppareLMA con caratteristiche cliniche e prognosi del-le LMA de novo (33-35).Sono state infine riportate malformazioni conge-nite in un numero relativamente alto di bambinicon SMD (3, 4); si tratta tuttavia di malformazio-ni estremamente variegate e senza un modelloassociativo specifico.

FisiopatologiaLe SMD sono patologie clonali che coinvolgonoun progenitore emopoietico precoce comune allamielopoiesi, megacariocitopoiesi ed eritropoiesi(36, 37). L’evidenza della clonalità nelle SMD èstata dimostrata attraverso gli studi di inattiva-zione non random del cromosoma X in pazientifemmine affette da SMD (38, 39). Meno frequen-temente l’evento iniziale accade in un progeni-tore più immaturo, comune anche alla linea lin-foide, esitando nella rarissima progressione del-la SMD in LLA (40). L’identificazione di mutazio-ni del gene oncosoppressore TET2 nel 20% dipazienti adulti con neoplasie mieloidi, incluse leSMD, ha permesso di iniziare a far luce suglieventi iniziali del processo multistep che condu-ce alla SMD (41). L’eterogeneità clinica e biolo-gica lascia ipotizzare che siano implicati differen-ti meccanismi di inizio e progressione della malat-tia. Un evento genetico a livello di un progenito-re emopoietico pluripotente potrebbe causareinstabilità cromosomica favorendo l’acquisizio-ne successiva di altre lesioni molecolari (42).Difetti congeniti dei meccanismi di riparazione delDNA, quali l’AF, o mutazioni acquisite in genideputati al mantenimento della stabilità geneti-

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9Sindromi mielodisplastiche

ca esitano in un fenotipo fortemente predispo-sto all’insorgenza di SMD (43, 44). Più nel det-taglio, ci sono 5 gruppi di difetti alla base dellesindromi da insufficienza midollare costituziona-le fortemente predisposte allo sviluppo di SMD:1. difetti dei meccanismi di riparazione del DNA

(AF);2. alterato controllo dell’apoptosi (NCG);3. alterata biogenesi ribosomiale (SBDS);4. difetti dei meccanismi di mantenimento del

telomero (DC);5. disregolazione trascrizionale dell’emopoiesi

(piastrinopenia familiare).Mutazioni precoci a carico del progenitore emo-poietico potrebbero alterare il processo matura-tivo della linea mieloide e favorire l’apoptosi por-tando alla displasia, mentre difetti successivi coin-volgenti i segnali proliferativi ed antiapoptoticipotrebbero causare l’espansione clonale di cel-lule aberranti ed una franca LMA.L’aumento dell’apoptosi rappresenta uno dei prin-cipali meccanismi del complesso processo pato-genetico delle SMD. Un elevato indice apopto-tico è stato ritrovato nelle forme a basso rischio,seguito poi da una riduzione del segnale apop-totico nella popolazione blastica in pazienti in cuiera avvenuta la trasformazione in LMA. È statoanche dimostrato che le cellule mielodisplasticheesprimono in maniera aberrante alcuni recettoridi membrana ed i loro ligandi responsabili dellatrasmissione del segnale apoptotico. Tale espres-sione potrebbe essere indotta da segnali infiam-matori provenienti dal microambiente midollare(45). D’altra parte i pazienti con una forma piùavanzata hanno una ridotta espressione di recet-tori pro-apoptotici a dispetto di aumentati livellidi fattori antiapoptotici, come il Bcl2 (46, 47).Eventi a catena, come ad esempio mutazioni diprotocongeni quali la famiglia del gene RAS, TP53o WT1, e anomalie cariotipiche quali la monoso-mia del cromosoma 7, possono essere parte diun comune processo di progressione di malattia(48-50). Le anomalie cromosomiche più frequen-ti nelle SMD pediatriche sono ampie delezioni mapoco è noto dei geni contenuti nei segmenti dele-ti (3, 51-53) e se tali aberrazioni genetiche possa-no essere un evento iniziale del processo che por-ta alla SMD o, piuttosto, un evento secondario.Oltre alle delezioni geniche sono stati identificati

numerosi altri difetti implicati nella patogenesi. Puressendo rare le traslocazioni bilanciate che spes-so si ritrovano nelle LMA de novo, nelle SMD sonotalora coinvolti alcuni di quegli stessi geni.Studi di metilazione in bambini con RAEB e RAEB-T hanno dimostrato che almeno la metà deipazienti presenta ipermetilazione del geneCDKN2B (54) o dei geni CALCA e CDKNB (55)con una frequenza paragonabile a quella registra-ta nella popolazione adulta. Le conseguenze fun-zionali dell’ipermetilazione e la correlazione conle caratteristiche cliniche non sono ancora note.Le mutazioni a carico del gene TP53 e CSF1R(FMS), riscontrate nel 30% delle SMD dell’etàadulta, non sono state mai identificate in etàpediatrica (56), parimenti, le mutazioni del proton-cogene NRAS che rappresentano l’anomaliamolecolare più frequente nell’adulto, sono rare nelbambino (57). Le mutazioni di TERC, gene codi-ficante la componente ad RNA della telomerasi,che causano allo stato autosomico dominante laDC, sono poco comuni nelle SMD a basso gra-do (58, 59) e, verosimilmente ancora più rare nel-le forme avanzate (9).La frequenza di mutazioni a carico dello spliceo-soma (complesso enzimatico deputato allo spli-cing del pre-mRNA) è nettamente più bassa neibambini rispetto a quanto rilevato negli adulti (60).Tale riscontro lascia supporre che la patogenesidelle SMD nei bambini sia probabilmente corre-lata ad alterazioni genetiche acquisite in epocaprenatale piuttosto che all’accumulo di mutazio-ni somatiche subentranti. Questa ipotesi ben siaccorda anche con la scarsa prevalenza in etàpediatrica di mutazioni somatiche a carico di geniquali DNMT3A, TET2, IDH e ASXL1 (61-64).Infine, gli studi di espressione genica, attraversola tecnica dei microarray di cDNA, hanno mostra-to una chiara differenza tra le cellule del micro-ambiente stromale di bambini sani e di bambiniaffetti da SMD/LMA. In particolare l’analisi dei pro-fili funzionali dei geni ha consentito di identifica-re una riduzione dell’espressione, stadio-specifi-ca, di geni deputati al trasporto proteico intracel-lulare (65).

Presentazione clinicaSintomi aspecifici di presentazione sono astenia,febbre, malessere, infezioni. All’esame obiettivo

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si riscontrano spesso pallore, ematomi e petec-chie, mentre non sono frequenti epatosplenome-galia e linfadenopatia. Localizzazioni mieloidi extra-midollari possono essere segno di presentazio-ne nelle SMD avanzate con monosomia del cro-mosoma 7 (3, 66).I bambini si presentano di solito con segni e sin-tomi associati all’insufficienza midollare. Nellamaggior parte dei casi il riscontro iniziale è quel-lo di una pancitopenia, sebbene occasionalmen-te il primo campanello d’allarme possa essere unasingola citopenia periferica. Il termine citopeniarefrattaria, introdotto in sostituzione di anemiarefrattaria, rende conto di questa differenzasostanziale di presentazione nel bambino in cuisi osservano piastrinopenia e neutropenia più fre-quentemente rispetto all’anemia, più tipica dell’etàadulta. Infatti circa 3/4 dei pazienti presenta alladiagnosi una conta piastrinica <150 x 109/L, lametà e un quarto una conta di neutrofili rispetti-vamente <1,0x109/L e 0,5x109/L. L’anemia conemoglobina <10 g/dl si riscontra in circa la metàdei pazienti (67). È causata dal meccanismo di eri-tropoiesi inefficace ed è solitamente a bassa con-ta di reticolociti, macrocitica e con moderata poi-chilocitosi. L’emoglobina fetale è frequentemen-te aumentata.

MorfologiaLe caratteristiche morfologiche delle SMD com-prendono alterazioni displastiche midollari coin-volgenti le tre linee cellulari (displasia trilineare).L’asincronia maturativa nucleo-citoplasmatica èsempre presente, i nuclei appaiono abnormi emeno maturi rispetto al citoplasma. Le anoma-lie della serie eritroide consistono nella presen-za di megaloblasti, di cellule multinucleate, diframmentazione nucleare e nell’aumentata per-centuale di cellule immature. La dismegacario-poiesi è invece caratterizzata da micromegaca-riociti, nuclei abnormi e anomala lobulazionenucleare. I caratteri displastici della serie granu-locitica si ravvisano in cellule immature, ipogra-nulazione e anomalie di Pelger-Heuet. La displa-sia monocitoide include un elevato numero dimonociti midollari, un’anomala granulazionecitoplasmatica per la presenza di granuli azzur-rofili, immagini di emofagocitosi, nuclei anomalied elementi giganti (68).

La cellularità midollare può essere ridotta, norma-le o aumentata. Nella CR la cellularità è ridotta nel-la maggioranza dei bambini (82%, EWOG-SMD,dati non pubblicati) (Figura 3). L’aspirato midol-lare rappresenta solo un elemento, spesso insuf-ficiente, della diagnosi di CR. La necessità didistinguere la CR da altri disordini midollari conipocellularità richiede infatti la valutazione dellabiopsia ossea. In assenza di marcatori citogene-tici, la diagnosi di CR deve essere confermata da2 rivalutazioni midollari ad almeno 2 settimane didistanza, monitorando nel contempo l’evoluzio-ne clinica del paziente.Solitamente non si documentano differenzeall’esame morfologico tra casi di CR con mono-somia 7 e/o altre aberrazioni e cariotipo normale.Dal punto di vista istopatologico, la CR ipocel-lulare è paragonabile con le forme normo o iper-cellulari. In entrambe è importante l’identificazio-ne di cellule eritroidi con anomalie maturative.Nella forma ipoplasica, uno o più cluster di alme-no 10 precursori eritroidi, con un aumentatonumero di proeritroblasti e di mitosi, sonodistribuiti in maniera irregolare, a macchia, in unmidollo altrimenti adiposo (8). I precursori mie-loidi sono molto ridotti e spesso immaturi; imegacariociti rari o assenti e spesso si rendenecessario l’utilizzo dell’immunoistochimica perlocalizzare i micromegacariociti. Linfociti, plasma-cellule e mastociti possono essere aumentati,mentre solitamente non si riscontrano cellule bla-stiche. La presenza di displasia emopoietica di per sé èsuggestiva di mielodisplasia ma non può essereconsiderata diagnostica (6). Esiste una grandevariabilità di giudizio nella valutazione delladisplasia tra i diversi osservatori (51), motivo percui è sempre raccomandata una revisione cen-tralizzata (68). Il grado di displasia (69) e l’esten-sione della fibrosi hanno valore prognostico negliadulti, mentre più incerto è il loro impatto progno-stico nei bambini.Cellule eritroidi megaloblastiche nucleate siriscontrano frequentemente nel sangue periferi-co. La disgranulocitopoiesi nel sangue perifericosi presenta con mieloblasti e promielociti circo-lanti e cellule di Pelger-Heuet. Di frequenteriscontro è inoltre un elevato numero di monoci-ti e monoblasti in periferia.

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11Sindromi mielodisplastiche

CitogeneticaUn cariotipo anormale si riscontra in circa il 55%dei bambini con SMD primitive avanzate e nel76% delle forme secondarie avanzate (70). Lamonosomia 7, anomalia citogenetica più comu-ne, si rinviene nel 25% dei casi (70). Seguono, inordine di frequenza tra le anomalie numeriche deicromosomi, la trisomia 8 e 21. Si dovrebbe ricer-care sempre su cellule non emopoietiche (fibro-blasti) un mosaicismo della trisomia 8 (spesso cli-nicamente silente) in caso di riscontro di trisomia8 su sangue midollare (31). Anomalie citogeneti-che favorevoli identificate negli adulti (monosomiaY, delezioni 5q- e 20q-) non si ritrovano quasi mainei bambini e non hanno pertanto valore progno-stico (71).La definizione di cariotipo complesso rimaneoggetto di discussione. Nella maggior parte deglistudi un cariotipo complesso viene definitocome presenza di 3 o più anomalie citogeneti-che indipendenti (71-74). Nelle SMD dell’età adul-ta è stato inoltre definito un cariotipo monoso-mico (singola monosomia in presenza di un’aber-razione strutturale o almeno 2 distinte monoso-mie autosomiche) quale fattore di rischio forte-mente sfavorevole (75). Nei pazienti pediatrici èstata recentemente introdotta una nuova defini-zione di cariotipo strutturalmente complesso (3o più alterazioni cromosomiche, di cui almenoun’anomalia strutturale) che più di altre correlacon una prognosi molto sfavorevole (Figura 4)(70). Le più frequenti aberrazioni cromosomichedei cloni con citogenetica complessa in età pedia-trica sono costituite da delezioni, traslocazioninon bilanciate e cromosomi dicentrici. Si posso-

no identificare monosomie anche se non si puòavere la certezza che quel particolare cromoso-ma sia realmente perso. Infatti, attraverso le tec-niche citogenetiche molecolari più avanzate si tro-va sempre più frequentemente che i cromosomimancanti sono in realtà coinvolti in aberrazionistrutturali.La presenza di traslocazioni specifiche per LMA,per esempio t(8;21), t(15;17), inv(16), dovrebbe-ro sempre rimandare alla diagnosi di LMA, a pre-scindere dalla quota blastica (Figura 5).Nelle forme secondarie l’alterazione citogeneti-ca più frequente è rappresentata dalla monoso-mia del cromosoma 7 o dalla delezione del brac-cio lungo del cromosoma 7 (76). Vengono inol-tre riportati spesso anche riarrangiamenti sbilan-ciati coinvolgenti il braccio lungo del cromoso-ma 1, con trisomia del cromosoma 1, e altera-zioni strutturali del braccio corto del cromoso-ma 6 (77, 78).Le SMD secondarie a disordini midollari conge-niti si caratterizzano per alcune frequenti anoma-lie citogenetiche, quali la delezione parziale ocompleta del cromosoma 7, le anomalie di 21q,la perdita di 11q, 20q o 5q e la trisomia 8. La pro-gressione in LMA è poi quasi invariabilmenteassociata all’acquisizione di numerose altre alte-razioni cromosomiche e genomiche, alcune spe-cifiche della sottostante malattia congenita, altrecomuni alle SMD primitive e alle SMD-LMA.

ImmunofenotipoLa citofluorimetria non ha ancora raggiunto un ruo-lo di primissimo piano nella diagnosi delle SMDin quanto non sono stati ancora chiaramente defi-

CR60%

AREB31%

AREB-T9%

Ipocellulare82%

Normo-9%

Iper-9%

Pazienti totali CRFIGURA 3 - Sottotipi morfologici delle SMDprimitive e cellularità midollare (da EWOG-SMD 98 e EWOG-SMD 2006, analisi interi-nale).

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0.8

Pro

bab

ilità

(IC

95%

)

No. di pazienti a rischio52 25 21 15 7 0 -7 ( ± altre anomalie)38 22 10 7 4 0 Altri cariotipi74 30 21 9 4 0 Cariotipo normale28 2 0 0 0 0 Cariotipo complesso

121086420

1.0

0.6

0.4

0.2

0.0

ANNI DALLA DIAGNOSI

- 7 (± altre anomalie)

Altri cariotipi

Cariotipo normale

Cariotipo complesso P=0.14 [0.00-0.30]

P=0.51 [0.37-0.65]

P=0.58 [0.39-0.77]

P=0.60 [0.44-0.76]

Log rank P < 0.01

Sopravvivenza a 2 anni

FIGURA 4 - Sopravvivenza libera da eventi nei bambini con SMD avanzata primaria o secondaria in base al cariotipo (70).

LMA

MDS

t(8;21),

t(15;17)

inv(16)

t(9:11)

-7Blasti

midollo

>30%

Blasti

midollo

<30%

GB >15-20

Organomegalia

Ripetere

midollo dopo

2 settimane

FIGURA 5 - Algoritmo per la diagnosi differenziale tra SMD ed LMA de novo.

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niti profili di espressione fenotipica specifici perle SMD. Inoltre, sono limitati i dati sulle caratte-ristiche immunofenotipiche delle SMD nei bam-bini. Tuttavia l’identificazione di alcune specifichealterazioni del pattern maturativo immunofenoti-pico può risultare molto utile in particolari circo-stanze. A questo proposito, Veltroni et al. (79) han-no recentemente descritto due particolari immu-nofenotipi specificamente espressi dai blasti dipazienti pediatrici affetti da SMD ma assenti sublasti di LMA de novo (fenotipo A: CD34+/CD117+e fenotipo B: CD34+/CD117+/CD11a+/CD11b+/CD64-/CD65-/CD15-) ed hanno dimostrato unimportante rapporto tra espressione del CD7 eprognosi particolarmente sfavorevole.

Diagnosi differenzialeGravi deficit nutrizionali di vitamina B12 e folati van-no esclusi in quanto possono provocare alterazio-ni midollari di tipo megaloblastico. Alcune infezionivirali, ad esempio da HIV, Parvovirus B19, virus diEpstein-Barr, Herpes virus 6, Citomegalovirus, pos-sono provocare un quadro di insufficienza midolla-re con gradi variabili di displasia. Anche l’anemiaaplastica grave può porre problemi di diagnosi dif-ferenziale con le SMD variante CR. Dal punto di vistamorfologico l’anemia aplastica si distingue per l’as-senza delle tipiche isole eritroidi con un numeroaumentato di proeritroblasti e per l’assenza di micro-megacariociti. Le insufficienze midollari congenite (AF,DC, SBDS, CAMT, pancitopenia con sinostosi radio-ulnare) possono avere caratteristiche morfologichee istopatologiche indistinguibili dalla CR. Le indagi-ni diagnostiche per escludere l’AF (test di fragilità cro-mosomica con diepossibutano, studio del ciclo cel-lulare e ricerca delle mutazioni) sono obbligatorie perconfermare la diagnosi iniziale di CR.I maggiori problemi di diagnosi differenziale si pon-gono però tra SMD avanzate e LMA. Ci sono tut-tavia differenze significative in quanto a presen-tazione clinica, citogenetica e, soprattutto, rispo-sta alla terapia tra le due entità cliniche. La quo-ta blastica non sembra essere sufficiente per dif-ferenziare le AREB-T dalle LMA e la diagnosi deveessere supportata dalla valutazione delle carat-teristiche biologiche (80).Un algoritmo (Figura 5) facilita la distinzione tra SMDe LMA. In casi borderline con quota blastica midol-lare compresa tra il 20 e il 30% e in assenza di alte-

razioni citogenetiche caratteristiche, viene racco-mandata la ripetizione dell’aspirato midollare adistanza di 2 settimane. Un incremento della quo-ta blastica al di sopra del 30% alla rivalutazione con-sente poi di porre diagnosi di LMA.

PrognosiIl rischio di progressione da SMD a LMA è varia-bile. L’evoluzione può avvenire in maniera rapidaoppure richiedere alcuni mesi o, addirittura, anni.Le informazioni sui fattori prognostici predittivi diprogressione sono quindi importanti al fine dellaprogrammazione del trattamento.Ci sono stati numerosi tentativi di definire uno sco-re prognostico nelle SMD pediatriche. Un siste-ma proposto dal gruppo britannico (30) assegna-va un punto per ciascuno dei seguenti fattori: HbFsuperiore al 10%, conta piastrinica inferiore a40x109/l e presenza di 2 o più anomalie citoge-netiche (score PFC). Questo sistema prognosti-co tuttavia non è poi stato applicato a serie ampiedi bambini con SMD soprattutto per la tendenzaa non valutare in maniera routinaria l’HbF.Altro sistema di score prognostico, sviluppato perle SMD dell’adulto e validato a livello internazio-nale, è l’IPSS (International Prognostic ScoringSystem). Questo sistema assegna un valorenumerico all’entità della citopenia (mono, bi o tri-lineare), alle anomalie citogenetiche e alla percen-tuale di blasti nel midollo identificando 4 gruppiprognostici: rischio basso, intermedio 1, interme-dio 2 e alto (Tabella 2) (81). Tuttavia, le anomaliecitogenetiche considerate prognosticamente favo-revoli dall’IPSS (monosomia Y, delezioni 5q- e20q-) sono solitamente assenti nel bambino. Perquesto motivo e per la maggior frequenza di cito-penia bi o trilineare e di monosomia del cromo-soma 7 nella coorte pediatrica solo pochi bam-bini possono essere classificati come rischio bas-so e, a differenza di quanto accade negli adulti,vengono inseriti nel gruppo ad alto rischio (71).Tra i criteri prognostici validati nell’IPSS, solo lapercentuale di blasti midollari inferiore al 5% e laconta piastrinica superiore a 100x109/l si associa-no in maniera significativa ad una maggioresopravvivenza nelle SMD pediatriche; nessun altrodei fattori proposti sembra avere un impatto pro-gnostico rilevante. L’IPSS identifica quindi un pic-colo gruppo di bambini a basso rischio (7% dei

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pazienti) con un’ottima prognosi; si tratta dipazienti con CR, cariotipo normale e assenza digrave citopenia (67). Le altre 3 classi di rischio defi-nite dall’IPSS mancano di capacità predittiva del-la sopravvivenza nelle SMD pediatriche.Più recentemente è stato proposto un ulterioresistema prognostico per le SMD dell’adulto, deno-minato WPSS (Tabella 2) (82). A tutt’oggi, purtrop-po, non esiste una validazione di questo sistema.La monosomia del cromosoma 7 rappresenta lapiù frequente alterazione citogenetica sfavorevo-le e nei bambini con CR si associa ad una più rapi-da progressione (67) e, conseguentemente, aduna ridotta sopravvivenza (Figura 6). In questacategoria di pazienti è stato infatti stimato un tem-po medio di progressione pari a 1,9 anni, conun’incidenza cumulativa di progressione dell’80%a 6 anni dalla diagnosi. Al contrario, i pazienti contrisomia 8 o cariotipo normale possono presen-

tare una prolungata condizione di stabilità (67). Laprognosi dei pazienti con monosomia 7 è, inol-tre, estremamente sfavorevole nei casi in cui lamonosomia 7 si associa ad altre anomalie strut-turali (3, 50, 70, 83, 84).Gli adolescenti e i pazienti con alterazioni citoge-netiche complesse hanno una prognosi peggio-re (70). Evento estremamente raro sono le remis-sioni spontanee di malattia, occasionalmenteriportate in letteratura soprattutto nei bambini conmonosomia 7 (85-89).

TerapiaEssendo le SMD un disordine clonale delle cel-lule staminali emopoietiche, il trapianto allogeni-co di cellule staminali emopoietiche (TCSE) restal’unico trattamento potenzialmente curativo. NelleSMD non avanzate, tuttavia, può essere adotta-ta, per i pazienti non gravemente citopenici e indi-

TABELLA 2 - International Prognostic Scoring System, IPSS (81) e WHO classification–based prognostic scoring system, WPSS (82).

IPSS

Score 0 0,5 1 1,5 2,0

Blasti midollari (%) 0-4 5-10 - 11-20 21-29Numero di citopeniea 0-1 2-3 - - -Gruppo di rischio citogeneticob Basso Interm. Alto - -

Gruppi di rischio: Basso: score 0;Intermedio 1: score 0,5-1;Intermedio 2: score 1,52;Alto: score ≥2.

aPiastrine <100.000 mm3, Hb <10 g/dl, globuli bianchi <1.800 mm3.bRischio basso: cariotipo normale, del(5q), del(20q), -Y.Rischio intermedio: aberrazioni non comprese nell’alto e nel basso rischio.Rischio alto: cariotipo complesso (≥3 anomalie, aberrazioni cromosoma 7).

WPSS

Variabile 0 1 2 3

Categoria WHO RA, RARS, 5q- RCMD, RCMD-RS RAEB-1 RAEB-2Cariotipo Favorevole Intermedio Sfavorevole -Fabbisogno trasfusionale Assente Regolare - -

Gruppo di rischio:Molto basso: score 0;Basso: score 1;Intermedio:score 2;Alto: score 3-4;Molto alto: score 5-6.

Abbreviazioni: RA: refractory anemia, anemia refrattaria; RARS: refractory anemia with ringed sideroblasts, anemia refrattaria con sideroblasti ad anello; RCMD:refractory citopenia with multilineage dysplasia, citopenia refrattaria con displasia multilineare; RCMD-RS: refractory citopenia with multilineage dysplasia andringed sideroblasts, citopenia refrattaria con displasia multilineare e sideroblasti ad anello. Cariotipo favorevole: normale, -Y, del(5q), del(20q). Cariotipo sfa-vorevole: complesso (≥3 alterazioni) anomalie del cromosoma 7. Cariotipo intermedio: altre anomalie.

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pendenti da trasfusioni, anche una strategia divigile attesa con periodica rivalutazione dello sta-to di malattia (Figura 7). Inoltre, in considerazio-ne del fatto che l’insufficienza midollare può esse-re in parte mediata dall’azione immunosoppres-siva del linfociti T (90), in un sottogruppo selezio-nato di pazienti (CR con midollo ipocellulare ecariotipo normale o trisomia 8) potrebbe risulta-re efficace una terapia immunosoppressiva (91,92). La percentuale di risposta a 6 mesi dopo unciclo di terapia immunosoppressiva di prima lineaè del 63% con una sopravvivenza globale e libe-ra da malattia a 5 anni rispettivamente del 90 e40% (93).La maggior parte dei trials clinici è stata esegui-ta su una popolazione adulta; pochi studi hannoarruolato bambini. Numerose strategie terapeu-tiche alternative (fattori di crescita emopoietici,agenti differenzianti, farmaci anti-angiogenetici,ormoni, chemioterapia a basse dosi, farmaci spe-rimentali) sono state variamente testate in pazien-ti adulti e anziani non candidabili al TCSE, con

risultati scadenti e non sono generalmente indi-cate in bambini e adolescenti, laddove lo scopodel trattamento è la guarigione piuttosto che il pro-lungamento della sopravvivenza. La mancanza poidi anomalie molecolari ricorrenti rende ancora piùproblematico lo sviluppo razionale di una terapiatarget.L’azacitidina e la decitabina che agiscono con unmeccanismo di ipometilazione del DNA attraver-so l’inibizione dell’attività della DNA metiltrasfe-rasi, hanno mostrato efficacia clinica negli adul-ti. L’ipometilazione del DNA favorirebbe il ripristi-no di un normale controllo della crescita e delladifferenziazione in cellule emopoietiche mature(94-96). L’azacitidina inoltre possiede un effettocitotossico derivante dalla sua incorporazionenell’RNA (94). Sia l’azacitidina che la decitabinasi caratterizzano per un lungo tempo di rispostaal trattamento: nel caso dell’azacitidina i primi risul-tati terapeutici si documentano a partire dal secon-do o terzo ciclo e nel 91% dei casi la prima rispo-sta si ottiene dopo 6 cicli di terapia (97, 98).

121086420

1.0

.8

.6

.4

.2

0.0

anni

Monosomia 7 = P=0,80; SE=0,09(N=32, 15 eventi)

Cariotipo normale = P=0,27; SE=0,11(N=22, 4 eventi)

Trisomia 8 = P=0,30; SE=0,27(N=12, 1 evento)

log rank: p<0.01

Pro

bab

ilità

(95%

CI)

FIGURA 6 - Probabilità di progressione della CR primitiva in SMD avanzata (67). SE: errore standard

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L’azacitidina è l’unico agente ipometilante per ilquale sia stato dimostrato un prolungamentosignificativo della sopravvivenza rispetto alleterapie convenzionali nei pazienti adulti conSMD ad alto rischio (99). L’efficacia terapeuticadell’azacitidina sembrerebbe, inoltre, indipen-dente dalla presenza di eventuali fattori di rischioquali la citogenetica sfavorevole, l’elevata percen-tuale di blasti midollari e la stratificazione nel grup-po ad alto rischio in base all’IPSS. La decitabi-na, d’altro canto, non ha dimostrato un vantag-gio clinico significativo in termini di prolungamen-to della sopravvivenza rispetto alle terapie di sup-porto in 2 studi di fase 3 (95, 100).È stato dimostrato che il fenomeno dell’iperme-tilazione del DNA si può presentare con ugual fre-quenza in età adulta e pediatrica (54, 55), renden-do pertanto i bambini potenziali candidati per laterapia demetilante, sebbene siano ancora scar-si i dati pubblicati sui risultati del trattamento inquesta fascia d’età. Lo schema di trattamento conazacitidina approvato dalla Food and Drug

Administration negli Stati Uniti prevede la som-ministrazione di cicli della durata di 7 giorni ogni28 giorni alla posologia di 75 mg/m2 al giorno. Daesperienze recenti sembra che uno schema ditrattamento su 5 giorni invece di 7 possa darerisultati simili nelle SMD sia a basso che ad altorischio (97, 101), anche se allo stato attuale man-cano studi prospettici, randomizzati atti a confron-tare i due schemi terapeutici.La chemioterapia convenzionale senza TCSE sirivela di solito inefficace nell’eradicazione delle cel-lule staminali pluripotenti responsabili della SMD.La maggior parte degli studi ha mostrato unaumento significativo di morbidità e mortalità perla chemioterapia di induzione con percentuali diremissione <60%, recidive molto frequenti esopravvivenza globale <30% (102-104). Il tassodi mortalità correlato alla terapia nei vari studi ècompreso tra il 10 e il 30% (83, 102-104). I pazien-ti con LMA secondaria a SMD possono invecebeneficiare di un trattamento chemioterapicointensivo prima del TCSE (105).

TCSE

Bu/Cy +/- Mel

Tutti i cariotipi eccetto-7, / 7q- o ≥3 aberrazioni -7, / 7q- or ≥3 aberrazioni

Trasfusione dipendenzaNeutroÞli <1000/µl

attesa

Nessuna trasfusioneNeutroÞli >1000/µl

TCSE

MFD No MFD

UD-TCSE

IST

Solo per • midollo ipocellulare• cariotipo normale• trisomia 8RIC

FIGURA 7 - Algoritmo di trattamento per la citopenia refrattaria. MFD: Matched sibling donor, donatore familiare HLA-compatibi-le; UD: unrelated donor, donatore volontario non consanguineo. TCSE: trapianto di cellule staminali emopoietiche; IST: immuno-suppressive treatment, terapia immunosoppressiva.

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Il trapianto autologo, spesso usato nei giovaniadulti, è stato raramente impiegato nei bambini.Due studi includono 8 bambini sottoposti a tra-pianto autologo con un solo lungo-sopravviven-te (83, 104).

Trapianto di cellule staminali emopoieticheRappresenta il trattamento di scelta per i pazien-ti con CR e monosomia 7 o cariotipo comples-so e deve essere effettuato pecocemente nel cor-so della malattia. I regimi di condizionamento sonosimili a quelli utilizzati per le SMD avanzate. Lasopravvivenza libera da eventi non differisce inmaniera significativa tra il TCSE da donatore fami-liare HLA identico o con 1 disparità antigenica eil TCSE da donatore volontario compatibile,essendo rispettivamente del 78 e 73% (67). Inconsiderazione della bassa mortalità trapianto cor-relata, il TCSE può inoltre essere raccomandatoanche nei pazienti con altri cariotipi in presenzadi un donatore HLA-compatibile (106, 107). Peri bambini con CR ipocellulare e cariotipo norma-le un regime di condizionamento ad intensità ridot-ta può rappresentare una valida strategia terapeu-tica (107), con buoni risultati in termini di soprav-vivenza globale (100% e 92% rispettivamente perdonatori familiari e volontari) e di sopravvivenzalibera da eventi (81% e 78% rispettivamente perdonatori familiari e volontari). Con questo approc-cio il rischio di mancato attecchimento o di per-dita del trapianto è lievemente maggiore ma que-sti pazienti possono beneficiare di un secondoTCSE con risultati soddisfacenti.Numerosi studi hanno mostrato che il TCSE puòcurare una buona percentuale dei bambini conSMD avanzate (83, 108-111). La terapia mieloa-blativa con agenti alchilanti, in particolare busul-fano, ciclofosfamide e melfalan, seguita daTCSE, ha portato alla guarigione di più del 50%dei bambini con SMD, sia impiegando un dona-tore familiare che un donatore volontario non con-sanguineo HLA-compatibile (105, 112), con risul-tati sovrapponibili. Nella maggior parte dei pro-tocolli terapeutici si impiega un regime di condi-zionamento basato sul busulfano 16 mg/kg, inassociazione a ciclofosfamide 120 mg/kg, e mel-falan 140 mg/m2 (108). L’irradiazione totale cor-porea può essere omessa, non avendo dimostra-to maggiore efficacia antileucemica rispetto al

busulfano ed essendo associata a più frequentieffetti collaterali a lungo termine. La probabilità disopravvivenza dopo TCSE è simile per le formeAREB e AREB-T (circa 63%), mentre è significa-tivamente più bassa per le LMA secondarie aSMD a causa dell’aumentato rischio di ricaduta(32%) (Figura 8) (105). La ricaduta e la mortalitàtrapianto correlata contribuiscono in maniera pres-socchè equivalente all’insuccesso del tratta-mento. La mortalità trapianto correlata si attestaattorno al 20% (105, 109-111) ed i principali fat-tori di rischio sono costituiti dall’età >12 anni edall’insorgenza della malattia del trapianto con-tro l’ospite (graft-versus-host disease, GVHD) digrado III-IV (105). L’elevata mortalità trapianto cor-relata osservata anche in pazienti con SMD denovo, a parità di regime di condizionamento, sup-porta l’ipotesi che alcuni bambini con SMD pos-sano presentare disordini sottostanti non identi-ficati e responsabili di maggiore sensibilità al trat-tamento chemioterapico e predisposizione all’ef-fetto alloreattivo. Rimane ancora oggetto di discussione l’utilità deltrattamento chemioterapico pre-TCSE per ridur-re il rischio di ricaduta e migliorare la sopravvi-venza. In alcuni studi con un piccolo numero dipazienti trapiantati senza alcun trattamento che-mioterapico precedente (possibile causa di tos-sicità aggiuntiva) è stata ottenuta una sopravvi-venza pari al 65-70% (103, 113). Nell’esperienzadel Gruppo Europeo di studio delle SMD in etàpediatrica (EWOG-SMD), la somministrazione dicicli di chemioterapia intensiva prima del TCSEnon ha consentito di migliorare la sopravvivenzaglobale e la sopravvivenza libera da malattia.Parimenti non si è trovata alcuna differenza signi-ficativa in termini di incidenza di recidiva e mor-talità trapianto correlata (105). Quindi, alla luce delriscontro di una riduzione significativa del rischiodi ricaduta (pur senza un vantaggio significativoin termini di sopravvivenza libera da eventi) nelgruppo di bambini affetti da LMA secondaria aSMD e trattati con chemioterapia intensiva primadel TCSE, il trattamento chemioterapico pre-tra-pianto può essere preso in considerazione esclu-sivamente in questa particolare categoria dipazienti (105) mentre, in linea generale, non è rac-comandato nelle AREB ed AREB-T.In mancanza di un donatore HLA compatibile, il

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18 Seminari di Ematologia Oncologica

TCSE da sangue placentare (114) e il trapiantoaploidentico di cellule staminali emopoietiche (115)rappresentano valide alternative.La ricaduta dopo TCSE è solitamente associataad una prognosi infausta e l’unica possibilità diottenere remissioni prolungate passa attraversoun secondo TCSE allogenico, gravato tuttavia daun’elevata mortalità trapianto correlata (109, 116,117). Approcci alternativi a questo, tesi ad incre-mentare o indurre un effetto immunologico con-tro la leucemia (graft-versus-leukemia, GVL),sono costituiti dalla rapida riduzione o sospensio-ne della terapia immunosoppressiva (118, 119),dalla somministrazione di citochine (120) e dalleinfusioni di linfociti del donatore (donor lympho-cyte infusions, DLI), queste ultime potenzialmen-te efficaci nelle recidive precoci (121, 122). Il moni-

toraggio stretto dello stato del chimerismo post-trapianto consente di identificare i pazienti con chi-merismo misto destinati inevitabilmente ad unarecidiva, sui quali un trattamento immunoterapi-co precoce potrebbe prevenire la ricaduta ema-tologica di malattia (123).La prognosi dei bambini con SMD secondarie apregressi trattamenti radio o chemioterapici restaestremamente sfavorevole. Un trattamento che-mioterapico simile a quello utilizzato nelle LAMpuò indurre la remissione ma la mantiene solo inuna piccolissima percentuale di pazienti, laddo-ve anche il TCSE offre possibilità di guarigione incirca il 20-30% dei casi (124-128). Il rischio di tos-sicità secondaria al trattamento è elevato (128),mentre il rischio di recidiva è simile a quello osser-vato negli adulti con SMD primaria (129).

121086420

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

0.0

Pro

bab

ilità

(95%

)

Anni dopo il trapianto

Log Rank P = 0.07

AREB = P=0,63; [0,49-0,77]N=53, E=18

AREB-T = P=0,64; [0,46-0,82]N=29, E=10

LMA secondaria = P=0,38; [0,08-0,56]N=15, E=10

FIGURA 8 - Sopravvivenza libera da malattia dopo TCSE allogenico per AREB, AREB-T ed LMA secondaria (105).

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19Sindromi mielodisplastiche

I dati, peraltro scarsi, sui TCSE nei casi di SMDinsorti a partire da una condizione di insufficien-za midollare congenita o di anemia grave mostra-no una bassa probabilità di sopravvivenza. Il TCSEeseguito precocemente, prima dell’evoluzioneneoplastica e comunque in forme di SMD menoavanzate, potrebbe essere associato ad unmiglioramento della prognosi (130, 131).

n LEUCEMIA MIELOMONOCITICA GIOVANILE

La leucemia mielomonocitica giovanile (juvenilemyelomonocytic leukemia, JMML) è stata recen-temente classificata dalla WHO come unaSMD/sindrome mieloproliferativa combinata (Tabella1) (5, 6), presentando caratteristiche tipiche e pecu-liari di entrambe le condizioni (6). La JMML è unamalattia rara, che costituisce il 3% di tutte le neo-plasie ematologiche dell’età pediatrica (11).

La malattia esordisce tipicamente nella primainfanzia, con un’età media alla diagnosi di circa2 anni e si presenta con epatomegalia, spicca-tissima splenomegalia, anemia e piastrinopenia,monocitosi e, frequentemente, elevati livelli di HbF (132, 133). Frequente è l’interessamento polmo-nare, con infiltrazione del parenchima da parte dielementi neoplastici.L’esame morfologico dello striscio di sangue peri-ferico è spesso più importante dell’agoaspiratomidollare per porre diagnosi di JMML in quantodimostra la presenza di spiccata monocitosi conpresenza di monociti atipici, di precursori mieloi-di circolanti, di sporadici precursori eritroidi ma,generalmente, di una percentuale di blasti ridot-ta o assente (132). L’agoaspirato midollare ènecessario per escludere una diagnosi di leuce-mia acuta, in particolare della forma mielomono-citica FAB M4. L’assenza della traslocazionet(9;22) e del riarrangiamento BCR/ABL sono deicriteri diagnostici indispensabili. L’alterazione

NECESSARI

• Monociti su sangue periferico >1x109/L• Blasti su SP/MO <20%• Splenomegalia*• Assenza di riarrangiamento BCL/ABL

MUTAZIONI ONCOGENICHE

• Mutazioni somatiche di RAS, PTPN11, NF1, o c-CBL• Diagnosi clinica di NF1

• Monosomia del cromosoma 7

(un solo criterio è sufficiente)

SE ASSENZA DI MUTAZIONI ONCOGENICHE

• Precursori mieloidi circolanti

• GB>10x109/L

• Aumento dell’HbF per l’età

• Anomalie clonali oltre alla monosomia del 7

• Crescita spontanea o ipersensibilità al GM-CSF

(devono essere soddisfatti almeno 2 criteri)

O

+

FIGURA 9 - I criteri diagnostici della JMML. Sono indispensabili tutti i criteri diagnostici maggiori più un criterio genetico oppuredue criteri clinico/biologici. SP: sangue periferico; MO: midollo osseo; NF1: neurofibromatosi tipo 1; GB: globuli bianchi; HbF: emo-globina fetale; GM-CSF: fattore di crescita stimolante le colonie di granulociti-macrofagi; * La splenomegalia è presente all’esordionel 95% dei casi; la maggioranza dei pazienti ha un età inferiore ai 13 anni.

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cromosomica più frequente nella JMML è lamonosomia del cromosoma 7, osservabile in cir-ca il 25% dei casi. Altre aberrazioni sono osser-vabili in un ulteriore 10% di pazienti mentre nel65% dei casi il cariotipo è normale (132). La figu-ra 9 riassume i criteri diagnostici maggiori e mino-ri da soddisfare per porre diagnosi di JMML.

Fisiopatologia della JMML– Ipersensibilità al GM-CSF. Rappresentata nel-la figura 10, ha costituito per anni il paradigma del-la JMML (134). I progenitori emopoietici deipazienti affetti presentano infatti, in colture cellu-lari a breve termine effettuate con dosi scalari diGM-CSF, una crescita significativamente maggio-re rispetto a controlli normali e, a differenza di que-sti, sono in grado di crescere anche senza l’ag-giunta di GM-CSF esogeno (crescita spontanea).Questi saggi clonogenici hanno rappresentato peranni un elemento fondamentale per la diagnosi.Attualmente è noto che questi reperti sonodovuti ad una attivazione continua della via di tra-smissione del segnale di proliferazione cellularedal recettore per il GM-CSF a RAS, RAF, MEK edERK verso il nucleo. È noto che quest’attivazio-ne costante del pathway di RAS è dovuta a diver-se mutazioni genetiche, di solito mutualmenteesclusive, che sono riassunte nella figura 11.La trasduzione aberrante del segnale di prolife-razione cellulare dal recettore per il GM-CSF al

nucleo è stata recentemente dimostrata anchestudiando mediante citofluorimetria a flusso lafosforilazione di STAT5 (135). Le cellule midollaridi pazienti con JMML presentano, dopo breveincubazione con concentrazioni scalari di GM-CSF, una iperfosforilazione di STAT5 rispetto acontrolli normali.– La via di RAS. Le proteine codificate dai genidella famiglia RAS svolgono un ruolo importantenella trasmissione dei segnali dall’ambiente extra-cellulare al nucleo. Queste molecole regolano mol-ti processi cellulari grazie alla possibilità di pas-sare da una forma attiva [RAS legato al guano-sin trifosfato (GTP)] ad una forma inattiva [RASlegato al guanosin difosfato (GDP)]. La forma atti-va di RAS, legata quindi a GTP, è in grado di atti-vare a sua volta la RAF chinasi, causando un effet-to proliferativo a valle. Al contrario, la forma inat-tiva di RAS, legata a GDP, non è in grado di atti-vare RAF e non trasmette al nucleo nessuno sti-molo proliferativo. La quantità di RAS-GTP pre-sente all’interno della cellula è modulata dall’azio-ne di fattori denominati GNEFs (guanine nucleo-tide exchange factors) e da proteine dotate di atti-vità GTPasica (GAPs). Le proteine GNEFs sononecessarie per la conversione da RAS-GDP aRAS-GTP e possono a loro volta essere stimo-late da altre molecole, quali Shp1 o SOS (Son ofSevenless). Al contrario, molecole ad attivitàGTPasica, come ad esempio la neurofibromina,sono responsabili del blocco della trasmissionedel segnale di proliferazione cellulare tramite lariconversione di RAS-GTP a RAS-GDP (136).Mutazioni somatiche di geni coinvolti nel pathwaydi RAS sono di frequente riscontro nei pazientiaffetti da JMML, sono in genere mutuamenteesclusive e quando presenti determinano una atti-vazione e proliferazione cellulare costante.– Mutazioni somatiche di RAS. Mutazioni a cari-co di RAS si ritrovano nel 20-30% delle neopla-sie umane. Per quanto riguarda la JMML, muta-zioni attivanti dei geni RAS sono presenti nel 25%dei pazienti. In particolare, queste mutazioni inte-ressano i codoni 12, 13 e 61 dei geni NRAS eKRAS e sono in grado di determinare un’attiva-zione continua della via di trasmissione del segna-le di proliferazione cellulare mediata da RAS dalrecettore per il GM-CSF al nucleo (137).–Neurofibromatosi di tipo 1 ed il gene NF1. L’11%

% d

i mas

sim

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i col

onie

CFU

-GM

GM -CSF (ng/ml)0 0.01 0.02 0.04 0.08 0.16 0.32 2

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100 NormaleLMMG

FIGURA 10 - Rappresentazione schematica dell’ipersensibili-tà al GM-CSF.

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dei pazienti affetti da JMML mostra dei segni cli-nici compatibili con una diagnosi di neurofibroma-tosi di tipo 1 (132). Successivamente, è stato dimo-strato che nel 15% dei pazienti con JMML ma sen-za segni clinici di neurofibromatosi sono presen-ti mutazioni del gene NF1 (Figura 11) (138).Il gene NF1 è un gene oncosoppressore che codi-fica per una proteina, chiamata neurofibromina,dotata di attività GTPasica. Quindi, questa protei-na converte la forma attiva RAS-GTP nella formainattiva RAS-GDP (138). Le cellule di pazienti conJMML e neurofibromatosi di tipo 1 hanno una ridot-ta attività della neurofibromina, con conseguenteaccumulo intracellulare di RAS-GTP attivo (139).A questo proposito, Flotho et al. (140) hannomostrato la perdita di eterozigosi (loss of hetero-zygosity, LOH) in pazienti affetti da neurofibroma-tosi tipo 1 e JMML a causa della sostituzione delgene NF1 normale residuo da parte di una secon-da copia del gene mutato attraverso il meccani-smo della disomia uniparentale. Più recentemen-te, anche Steinemann et al. (141) ha descritto unainattivazione di entrambi gli alleli di NF1 in 15pazienti affetti da neurofibromatosi di tipo 1 eJMML. In questo studio l’inattivazione di entram-bi gli alleli era dovuta o a LOH o ad ulteriori muta-zioni somatiche del gene NF1.

Tutti questi dati confermano quindi che la neuro-fibromatosi di tipo 1 è una condizione predispo-nente allo sviluppo di JMML o di altre forme dileucemia, ma che sono necessari eventi geneti-ci addizionali per abolire completamente la fun-zione del gene NF1 e per portare allo sviluppo dileucemia. A conferma di questa ipotesi, sono sta-te descritte mutazioni bi-alleliche somatiche diNF1 anche in soggetti non affetti da neurofibro-matosi di tipo 1 ma che hanno sviluppato unaLMA o LLA ad immunofenotipo T (142).– PTPN11 e la sindrome di Noonan. Il genePTPN11 codifica per la proteina SHP-2, dotata diattività tirosin fosfatasica. Mutazioni del genePTPN11, che impediscono il normale passaggiodella proteina SHP-2 dalla sua conformazione atti-va a quella inattiva, ne causano un guadagno difunzione che, a sua volta, induce un’attivazione deifattori GNEFs e, quindi, un’attivazione continua diRAS. Tartaglia et al. (143) hanno descritto muta-zioni somatiche a carico degli esoni 3 e 13 diPTPN11 nel 35% dei pazienti con JMML (Figura11). Inoltre, mutazioni germline di PTPN11, diffe-renti da quelle riscontrate nella JMML, sono osser-vabili nel 50% dei pazienti affetti da sindrome diNoonan in assenza di JMML (144). La sindromedi Noonan si caratterizza per alterazioni dello svi-

GRB2

GAB2SHP2

SCHc-CBL

Recettore del GM-CSF

RASinattivo

GDP

GNEFs

GAPsneuroÞbromina

RASattivo

GTP

RAF

MAPK

10-25%

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35%

17%

GR

B2

SC

H

SC

Hc

neuroÞbrom

ina

FIGURA 11 - La via di tra-smissione del segnale diproliferazione cellulare dalrecettore del GM-CSF alnucleo tramite RAS e lemutazioni rinvenute neipazienti affetti da JMML.GNEF: guanine nucleotideexchange factor; GAP:GTPase activating proteins.Nel 35% dei casi di JMML èstata trovata una mutazionea carico di PTPN11, nel 20-25% a carico di RAS e nel17% a carico di CBL. Nel10-25% dei casi si può ritro-vare una mutazione a caricodel gene NF1, che codificaper la neurofibromina, osegni clinici di NF1.

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luppo psico-motorio, bassa statura, dismorfie fac-ciali, anomalie scheletriche e difetti cardiaci. I bam-bini hanno un rischio maggiore di ammalarsi diJMML rispetto alla popolazione sana, anche se inquesto caso la malattia esordisce tipicamente nel-la primissima infanzia e va frequentemente incon-tro a regressione spontanea (145, 146).– Gene CBL. Il gene CBL è quello più recente-mente descritto tra i geni coinvolti nella patoge-nesi della JMML. Mutazioni del gene CBL sonostate riscontrate nel 17% dei pazienti affetti (147).Il gene codifica per una proteina, c-CBL, che èuna ubiquitina-ligasi E3 responsabile del traspor-to e della degradazione intracellulare di un ele-vato numero di recettori della tirosina kinasi (148).È stato dimostrato che mutazioni omozigoti diCBL che determinano, in assenza di proteina nor-male, una carente attività ubiquitino-ligasica E3,sono la causa di una prolungata attivazione del-le tirosina kinasi dopo stimolazione da parte dicitochine, di iperfosforilazione di ERK, AKT e S6e di conseguente ipersensibilità ai fattori di cre-scita emopoietici così come di crescita sponta-nea dei progenitori emopoietici in assenza di fat-tori di crescita esogeni (149, 150).Niemeyer et al. (150) hanno inoltre scoperto chemutazioni germline di CBL provocano un quadrofenotipico caratterizzato da ritardo della crescitastaturo-ponderale e dello sviluppo psicomotorio,criptorchidismo e predisposizione a sviluppare unaJMML. Sorprendentemente, la JMML insorta neisoggetti con mutazioni germline omozigoti di CBLva frequentemente incontro a regressione spon-tanea, anche se questi soggetti sviluppano spes-so, entro la seconda decade di vita, gravi vascu-liti. Ulteriori ricerche effettuate su soggetti conmutazioni omozigoti di CBL hanno mostrato lapresenza di mutazioni eterozigoti su tessuti ger-mline, ereditate in maniera autosomica dominan-te nel 50% circa dei casi e comparse spontanea-mente nel restante 50%.– Altri geni coinvolti? Mutazioni a carico dell’eso-ne 12 del gene ASLX1 sono state scoperte in 2di 49 pazienti affetti da JMML (in un caso in asso-ciazione con una mutazione di PTPN11). ASXL1coopera con altri geni (ad esempio KDM1A) nel-la repressione della trascrizione genica e potreb-be quindi agire in sinergismo o in analogia congli altri geni coinvolti nella JMML (63).

Al contrario di quanto osservato nell’adulto, nonsono state fino ad ora descritte mutazioni di JAK2(151) o di TET2 (62). È stato invece descritto unsingolo caso di mutazione di FLT3 (152).In conclusione, le attuali evidenze mostrano comele mutazioni di NF1, RAS, PTPN11 e CBL sianoresponsabili di specifiche alterazioni della rego-lazione della trasmissione del segnale di prolife-razione cellulare dal recettore per il GM-CSF alnucleo, tramite RAS/MAPK, nella maggior partedei casi di JMML (153).

Fattori prognosticiLa JMML è una malattia estremamente aggres-siva, con una prognosi infausta spesso entro il pri-mo anno dalla diagnosi (132). Fanno eccezione icasi insorti in epoca neonatale in soggetti affettida sindrome di Noonan, che di solito vanno incon-tro a risoluzione spontanea senza necessità diTCSE (145, 146), e probabilmente (ma sononecessarie ulteriori conferme) quelli con mutazio-ne di CBL (150). Tra i parametri clinici hanno unsignificato prognostico favorevole un’età alladiagnosi inferiore ai 2 anni, una conta piastrinicaall’esordio ≥33.000 mm3 e livelli di emoglobinafetale bassi (Figura 12) (132).Matsuda et al. (154) hanno descritto un decorsoclinico meno aggressivo ed una risoluzione spon-tanea in 3 pazienti con mutazione di RASG12S, tut-tavia, questo dato non è stato confermato da altriautori (155). Infine, Bresolin et al. hanno recente-mente mostrato come l’analisi del profilo diespressione genica permetta di identificare inmaniera estremamente precisa i soggetti con unprofilo simile alla LMA (profilo LMA-like) e differen-ziarli da quelli con un profilo non LMA-like. I duegruppi di pazienti hanno un outcome clinico mol-to diverso, con una sopravvivenza libera da malat-tia del 63% per i pazienti non LMA-like e di solo il6% per i pazienti LMA-like (156). Questo dato appa-re di estremo interesse e potrebbe consentire in unprossimo futuro di disegnare percorsi terapeuticidifferenti in base al profilo di espressione genica.

TerapiaA tutt’oggi l’unico trattamento potenzialmentecurativo per la JMML è il TCSE. In assenza di tra-pianto la sopravvivenza media è circa 1 anno(132). La chemioterapia convenzionale non è in

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23Sindromi mielodisplastiche

grado di modificare l’evoluzione clinica dellamalattia e la splenectomia prima del trapianto nonne migliora le probabilità di successo (157). Il TSCE dopo un regime mieloablativo basato sul-la combinazione di busulfano, ciclofosfamide emelfalan è in grado di guarire circa il 50% deipazienti, con un’incidenza cumulativa di recidivadel 35% e un rischio di mortalità trapianto-cor-relata del 15% (Figura 13) (157).

In attesa del TCSE vi è consenso sulla sommini-strazione di un trattamento citoriduttivo a bassedosi per i pazienti con iperleucocitosi, importan-te organomegalia o coinvolgimento polmonare: 6-mercaptopurina (50 mg/m2/die) eventualmenteassociata ad acido cis-retinoico (100 mg/m2/die).Per pazienti molto compromessi si consiglia anchel’impiego di citosina arabinoside a basse dosi (40mg/m2/die per 5 giorni) e, in caso di assenza di

0.0

0.1

0.2

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Log-Rank P=0.0001

%

Anni dalla diagnosi

PLT ≥33x109/L, età <2 anni: 8% (N=27, 7 vivi)

PLT ≥33x109/L, età <2 anni: 5% (N=19, 1 vivo)

PLT ≥33x109/L: età <2 anni: 0% (N=24, 0 vivi)

FIGURA 12 - Sopravvivenzadei pazienti con JMML inassenza di TCSE e fattoriprognostici clinici (132).

SURV = 64% (54-74)

EFS = 52% (42-62)

0 1 2 3 4 5Anni dal trapianto

0.0

0.2

0.4

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0.0

Pro

bab

ilità

(95%

CI)

REL = 35% (27-46)

TRM = 13% (8-22)

FIGURA 13 - Risultati delTCSE nella JMML. SURV:sopravvivenza; EFS: soprav-vivenza libera da eventi; REL:recidiva; TRM: mortalità tra-pianto-correlata (157).

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risposta, di citosina arabinoside ad alte dosi (2gr/m2/die per 5 giorni) associata a fludarabina (30mg/m2/die per 5 giorni) (133).In caso di ricaduta un secondo TCSE è la stra-tegia terapeutica più efficace (158), mentre le DLIsono gravate da elevata tossicità e da una bas-sa probabilità di ottenere una nuova remissionedi malattia (159, 160).A tutt’oggi è riportato in letteratura un solo casodi JMML, con monosomia 7 e mutazione c.38G_A di KRAS, trattato con agenti ipometilanti (aza-citidina) prima del TCSE (161). In questo caso laterapia ha sorprendentemente condotto ad unaremissione clinica, ematologica, citogenetica emolecolare al termine di 8 cicli di trattamento.Ulteriori valutazioni sono tuttavia necessarie perpoter confermare l’efficacia dell’azacitidina nellaJMML. Infine sono tutt’ora in fase di iniziale spe-rimentazione terapie con inibitori di JAK2, basa-te sulla dimostrazione dell’iperfosforilazione diSTAT5 in risposta all’esposizione a basse dosi diGM-CSF (135), e di altri componenti della via ditrasmissione del segnale di RAS (PI3K, MEK edmTOR) (162).

La Fondazione Sofia Luce Rebuffat Onlus ha con-tribuito a finanziare la ricerca sulle sindromi mie-lodisplastiche condotta dall’OncoematologiaPediatrica del Policlinico San Matteo di Pavia.

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30 Seminari di Ematologia Oncologica

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31

n INTRODUZIONE

Quando sentiamo, leggiamo, pensiamo alla paro-la leucemia, spesso la nostra mente la collega inautomatico non tanto alla malattia in sé, ma alleconseguenze che l’annuncio di una simile diagno-si inevitabilmente ha nella vita di una persona, ein particolare avrebbe nella propria vita. Scrivevanel 2008 Paolo Barnard nell’introduzione al libro“Dall’altra parte”: “la malattia, quella grave in par-ticolar modo, assomiglia più a un sequestro di per-sona che a un incidente biochimico: ti bloccaovunque tu sia, qualsiasi cosa tu stia o non stiafacendo, e senza rispettare nessuna delle tue esi-genze, dei tuoi progetti e dei tuoi diritti, ti portavia in un luogo lontano da tutto ciò che hai sem-pre conosciuto come te stesso, il tuo ambiente,e ogni tua sicurezza”. L’esperienza di una malattia grave, di una minac-cia così reale e nello stesso tempo intangibile allapropria vita, segna per sempre chi ne è venutofuori: i guariti, i cosiddetti survivors della lettera-tura anglosassone. E non solo: tutta la famiglia

e, in qualche modo, tutto l’ambiente intorno allapersona colpita risentono della situazione.L’impatto psicologico sul malato è evidente perquei pazienti che nel momento in cui contraggo-no e affrontano la leucemia hanno consapevolez-za delle proprie condizioni di salute. Come viveinvece questo momento un bambino? Quali con-seguenze implica l’aver affrontato una leucemiain età pediatrica in chi è guarito ormai da svaria-ti anni? Una patologia emato-oncologica portasempre con sé le conseguenze della terapia e del-le sequele che in qualche modo impattano la vitadel guarito con inevitabili risvolti psicologici, chevanno a sommarsi a quelli che derivano dal fat-to in sé di aver affrontato una minaccia potenzial-mente mortale. Il clima che si respira nella fami-glia in cui un bambino si ammala gravementegenera ripercussioni psicologiche anche sui geni-tori e sui fratelli del piccolo malato. Il processo dicoping, ovvero le strategie che inconsciamenteognuno di noi mette in atto nell’affrontare unasituazione stressante, riguarda così non solo ilpaziente in prima persona, ma tutta la famiglia. La terapia delle neoplasie ematologiche infantiliha fatto notevoli passi avanti negli ultimi decen-ni, con un conseguente aumento esponenziale delnumero dei guariti, una popolazione bisognosa dicure e attenzioni specifiche. Il campo dell’ema-tologia pediatrica si trova necessariamente a doverabbracciare discipline che esulano dal campostrettamente medico, diventando così argomen-to d’interesse per studiosi di scienze sociali, psi-cologi, psichiatri, neuropsichiatri, operatori socia-li, fisioterapisti, etici medici. Lo scopo degli stu-di svolti a riguardo è quello di chiarire l’impatto

Leucemie acuteLeucemie acuteMOMCILO JANKOVICClinica Pediatrica dell’Università di Milano-Bicocca, Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (MBBM), Azienda Ospedaliera S. Gerardo, Monza

Parole chiave: leucemia linfoblastica acuta, leucemiamieloide acuta, bambino, assistenza globale.

Indirizzo per la corrispondenza

Momcilo JankovicClinica Pediatrica dell’Università di Milano-BicoccaFondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (MBBM)Azienda Ospedaliera S. GerardoVia Pergolesi, 33 - 20900 MonzaE-mail: [email protected]

Momcilo Jankovic

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32 Seminari di Ematologia Oncologica

fisico e psicologico degli effetti avversi delle tera-pie, sui quali ancora molto resta da capire, e diapprofondire anche le conseguenze che la malat-tia ha sui prossimi al paziente.

n EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI INFANTILI

I tumori infantili sono un’evenienza rara, rappre-sentando solo l’1-2% di tutti i casi di neoplasiediagnosticate in Europa e USA ogni anno.Nonostante ciò e nonostante i progressi terapeu-

tici, il tumore rimane la seconda causa di mortenei bambini oltre il primo anno di vita, secondasolo agli incidenti. Il tasso d’incidenza comples-sivo si aggira intorno ai 140-160 casi/anno, deli-neando un rischio di ammalarsi di tumore entroi primi 15 anni di vita di 1 su 500 soggetti. Nella casistica annuale, le neoplasie di pertinen-za ematologica sono di gran lunga prevalenti intutte le fasce d’età, con una predominanza di leu-cemie acute nei pazienti di età inferiore a 9 annie di linfoma negli adolescenti (Figura 1).L’eziologia del tumore infantile è estremamentevaria e non riconosce quasi mai un agente sin-

< 5 anni

36%

10%7%

10%

6%

7%

0%

2%

13%

9%

Leucemia Acuta

Linfoma

Neuroblastoma

Neoplasie del rene

Neoplasie dell'occhio

Neoplasie dei tessuti molli

Neoplasie dell'osso

Neoplasie di ovaio/testicolo

Neoplasie del SNC

Altro

5-9 anni

31%

16%

3%5%2%5%

3%0%

25%

10%

10-14 anni

18%

25%

5%11%3%

18%

20%0%

FIGURA 1 - Distribuzione delle tipologie neoplastiche per età e istotipo.

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33Leucemie acute

golo. Le leucemie rappresentano nel loro comples-so le neoplasie più frequenti in età pediatrica, conun’incidenza annua di 40 casi/100.000 soggetti.Le forme croniche, diversamente da quanto acca-de nell’adulto, possono dirsi una rarità tra i bam-bini (5% delle diagnosi). Le leucemie acute, di granlunga più frequenti, sono più che altro leucemiead origine linfatica. Le leucemie possono essere definite come ungruppo di patologie maligne in cui delle anoma-lie genetiche in cellule ematopoietiche danno ori-gine a una proliferazione clonale di cellule. I pro-genitori di queste cellule hanno un vantaggio dicrescita rispetto ai normali elementi cellulari, pos-sedendo un aumentato tasso di proliferazione, unatendenza diminuita all’apoptosi spontanea oentrambe. Il risultato è la disregolazione del nor-male funzionamento midollare e, negli stadi ter-minali, la sua insufficienza.L’eziologia è alquanto varia e discussa, di certomultifattoriale. Sicuramente un ruolo fondamen-tale viene giocato dai fattori genetici. I fratelli dileucemici hanno infatti un rischio fino a 6 voltesuperiore a quello della popolazione generale diammalarsi anch’essi di leucemia. Nel caso digemelli identici, tale rischio sale al 20% durantei primi 12 mesi dalla diagnosi; nei mesi succes-sivi il rischio cala progressivamente, assestando-si su livelli pari a quelli dei fratelli in 5-7 anni. Nelcaso la diagnosi di leucemia sia posta nel corsodel primo anno di vita, il rischio per un gemelloomozigote di ammalarsi è prossimo al 100%: inquesti casi è stata spesso dimostrata la medesi-ma origine clonale della neoplasia. Alcune condizioni morbose risultano esseregeneticamente predisponenti, sia nel caso ven-gano considerati bambini con anomalie cromo-somiche (Sindrome di Down: rischio 20 volte mag-giore, Sindrome di Klinefelter), sia nel caso il pic-colo paziente sia affetto da patologie del siste-ma di mismatch repair (indispensabile strumen-to di riparazione dei danni al DNA) o altre pato-logie a elevata fragilità cromosomica (Atassia-Teleangectasia, Anemia di Fanconi, Sindrome diBloom, Discheratosi congenita), sia ancora ladisfunzione cellulare risieda a livello dei pathwaydi maturazione e morte cellulare (Sindrome diNoonan, NF1, Anemia di Biamond/Blackfan).Inoltre, anche tutte le forme immunosoppressive

congenite rappresentano un fattore di rischio perlo sviluppo di leucemie (Agammaglobulinemia diBruton, Sindrome di Wiskott Aldrich).L’età avanzata della madre sembra contribuire ainnalzare la soglia di allerta, probabilmente a cau-sa della maggiore probabilità di dare alla luce unbambino con anomalie cromosomiche.I fattori ambientali annoverano al primo posto leradiazioni ionizzanti. Un’incidenza di leucemie paria 10-20 volte quella standard è stata riscontratanelle aree di Hiroshima e Nagasaki dopo le esplo-sioni nucleari e il rischio appare notevolmenteaumentato anche per i bambini nati da madriesposte a radiazioni dopo l’incidente di Chernobyl.Analogamente, l’esposizione della madre a esa-mi radiologici, soprattutto durante il primo trime-stre di gestazione, o la necessità di TBI (Total BodyIrradiation) per un trapianto di cellule staminaliemopoietiche, sono gravate da un’aumentata inci-denza di leucemie pediatriche e non. Importanticorrelazioni sono state dimostrate per l’uso pre-gresso di citostatici e antiblastici, soprattutto perle forme secondarie.Un certo grado di partecipazione virale è consi-derabile nel caso di alcuni sottogruppi specifici:è il caso ad esempio dell’Epstein Barr virus perle leucemie linfoblastiche B Burkitt-like. Il ruolodell’HTLV-1 e 2 non è mai stato dimostrato neipazienti pediatrici, pur essendo il certo respon-sabile di linfomi T e dell’hairy cell leukemia nel-l’adulto.

n LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA

La leucemia linfoblastica acuta (LLA) rappresen-ta l’80% delle leucemie di bambini e adolescen-ti sotto i 15 anni. Solo in Europa ne vengono dia-gnosticati circa 5.000 casi l’anno con un picco diincidenza tra i 2 e i 5 anni di vita. La razza cau-casica risulta essere la più colpita e prevalgonole diagnosi in individui di sesso maschile (1). InItalia, sono stati registrati negli ultimi anni, pres-so il centro raccolta dati dell’Associazione ItalianaEmatologia Oncologia Pediatrica (AIEOP) in col-laborazione con il CINECA (Bologna), circa 500casi/anno di leucemia in età pediatrica: di que-sti, circa 400 sono LLA. Dal punto di vista cito/isto-

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34 Seminari di Ematologia Oncologica

logico deriva dalla proliferazione maligna di cel-lule progenitrici linfoidi, bloccate in uno stadio pre-coce di differenziazione. L’80% riconosce un’ori-gine di tipo B, solo il 20% ha invece un precur-sore T. Le LLA sono storicamente distinte in tre diversisottogruppi FAB (proposti dal gruppo Franco-Anglo-Britannico nel 1976) (1) (Tabella 1). I criteri di classificazione usati comprendonodimensioni e morfologia della cellula e del suonucleo, qualità della cromatina, quantità e qualitàdel citoplasma ed eventuale presenza di nucleoli.Il sottotipo L1 è il più frequente in ambito pedia-trico (80% dei casi), il sottotipo L3 è invece il piùraro ed è solitamente correlato ad LLA-B. La citochimica rivela cellule sempre PAS+, men-tre la fosfatasi acida risulta positiva soprattutto nel-le forme T.Una distinzione certa tra LLA B e T può però esse-re fatta solo tramite criteri immunologici, non acaso grandi progressi nella diagnosi differenzia-le, e dunque nella possibilità di stratificazione pro-gnostica e scelta terapeutica, sono stati fatti dopol’introduzione in medicina degli anticorpi mono-clonali a scopo diagnostico. Questi evidenzianonell’80% dei casi la positività a marcatori tipici del-le cellule B, quali CD19, CD22 e HLA-DR. Le for-me immature SIg- rappresentano circa il 60% del-le LLA-B del bambino, mentre quelle matureBurkitt-like solo l’1-2% della casistica. Le formeT, molto meno comuni, sono distinguibili per lapositività a CD7 e TcR. Anche tra queste è pos-sibile un’ulteriore sottoclassificazione basata suldiverso grado di maturazione. Possibile è ancheil contemporaneo riscontro di marker mieloidi elinfoidi sulle medesime cellule (leucemie ibride, 5-20% delle LLA) o, più raramente, in due popola-zioni cellulari distinte (leucemie biclonali).

Alla base del miglioramento nella cura della LLAvi sono una sempre più approfondita conoscen-za dei sottogruppi biologici e un'elevata qualitànella terapia di supporto (1). L’applicazione di metodiche standard sia citoge-netiche (cariotipo classico con o senza FISH) chemolecolari (PCR e RT-PCR) permette poi di iden-tificare numerose alterazioni genetiche. Con l’uti-lizzo di nuove metodiche quali gene expressionprofile (GEP), genome-wide analisys (GWA) e nextgeneration sequencing (NGS) si riesce a caratte-rizzare virtualmente il 100% dei casi con LLA.

Storia naturaleSebbene le cause esatte della LLA siano ancoratutte da chiarire, l’applicazione delle nuove meto-diche di laboratorio a nostra disposizione, dal GEPalla NGS, hanno chiaramente dimostrato dueimportanti concetti:a) la leucemia del bambino è il risultato di un pro-

cesso multistep associato all’acquisizione dialterazioni genetiche nelle cellule leucemiche(mutazioni somatiche);

b) la LLA del bambino è una malattia eterogeneacomposta da numerosi sottogruppi biologici,classificati in base alle alterazioni genetiche cheli caratterizzano.

È ormai accertato che la maggior parte dei casiderivino da mutazioni somatiche che insorgonodurante la fase di post-concepimento in utero nel-le cellule linfoidi in sviluppo (2). Questa evidenzaemerge chiaramente dagli studi sui gemellimonocoriali, che mostrano elevata concordanzadi eventi leucemici, compresi identici riarrangia-menti genetici (2). Il backtracking delle alterazio-ni genetiche diagnostiche utilizzando le Guthriecards, ha dimostrato la presenza delle stesse tra-slocazioni già anni prima della diagnosi clinica diLLA (2). Tra queste traslocazioni, la t(12;21) chegenera il trascritto TEL/AML1 è stato riscontratonel sangue cordonale dell’1% di soggetti sani, unafrequenza 100 volte superiore rispetto alla preva-lenza di questo sottotipo di leucemia, suggeren-do che ulteriori mutazioni post-natali si rendononecessarie per la trasformazione maligna (1).Questo schema dei due hits è stato recentemen-te dimostrato anche nel caso della t(9;22). È sta-to dimostrato, per la prima volta, in una coppiadi gemelli monocoriali con una LLA concordan-

TABELLA 1 - Classificazione FAB della LLA.

L1 Piccole cellule linfoidi, cromatina omogenea, assen-za di nucleoli, scarso citoplasma, nuclei regolari.

L2 Grandi cellule eterogenee, cromatina disomogenea,forma irregolare del nucleo, presenza di nucleoli,citoplasma.

L3 Grandi cellule con cromatina nucleare finementepunteggiata, nucleoli prominenti, citoplasma forte-mente basofilo e vacuolato.

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35Leucemie acute

te per la t(9;22) che il gene di fusione BCR-ABL1può esser considerato un evento prenatale “ini-ziante” la trasformazione leucemica e che la muta-zione (o delezione) di IKZF1 (gene chiave nello svi-luppo dei linfociti B) è un evento secondario (dri-ver) e postnatale incidendo sulla prognosi, in sen-so negativo (3). Questo report conferma un altrostudio collaborativo sui gemelli con la t(12;21) nelquale, applicando una Genome Wide CopyNumber Analysis, si è confermato che mediamen-te vi sono circa 5 CNV per gemello e che questealterazioni funzionano da driver post-natali (4).

Genetica molecolare– LLA B-lineage. I più comuni difetti cromosomi-ci osservati nei blasti leucemici sono guadagni(gains) numerici o perdite (losses) di interi cromo-somi e traslocazioni. L’iperdiploidia è segnalata inquasi un terzo dei casi e l’iperdiploidia con 51-65 cromosomi è associata ad un buona progno-si (5). La prognosi favorevole nella iperdiploidiasembra esser maggiormente correlata con igains dei cromosomi 4, 10 e 17 (tripla trisomia)o dei cromosomi 4 e 10 (doppia trisomia) (5). Dicontro, l’ipodiploidia con meno di 44 cromosominei blasti leucemici è legata ad una cattiva pro-gnosi (5). Le traslocazioni nella LLA del bambino comune-mente colpiscono fattori di trascrizione ematopo-ietici o attivano oncogeni e sono eventi chiave nel-la leucemogenesi: questi comprendono la traslo-cazione (spesso criptica) t(12;21) TEL-AML1 (oETV6-RUNX1) che è riscontrata nel 25% dei casi;la t(1;19) TCF3-PBX1 nel 5%; la t(9;22) BCR-ABL1(generalmente p190) nel 3%; i riarrangiamenti delgene MLL (cromosoma 11 banda q23) nell’8% deicasi. Quelli elencati rappresentano i principali sot-togruppi biologici per i quali è ben definito l’im-patto sulla prognosi, come descritto nella tabel-la 1. Infatti, se per i casi con iperdiploidia, lat(12;21) e la t(1;19) si può pronosticare una soprav-vivenza superiore all’85%, per la t(9;22) siamo par-titi da un modesto 35-40%, ma attualmente conl’utilizzo degli inibitori delle tirosin-chinasi asso-ciati alla chemioterapia siamo oltre il 75% a treanni (1). Tutt’altro che confortanti sono invece idati relativi ai casi con riarrangiamento del geneMLL: la t(4;11) MLL-AF4, la traslocazione più fre-quente (>60%) nei casi di riarragiamento di MLL,

è ancor oggi associata ad una prognosi cattivasoprattutto negli infants (<12 mesi d’età) di etàinferiore ai 6 mesi e con un numero di globuli bian-chi alla diagnosi superiore o uguale a 300.000mm3 (1). Nel caso della LLA con t(4;11) non-infantgli attuali presidi terapeutici (chemioterapia ad altedosi con o senza trapianto allogenico) sembra-no garantire un sopravvivenza a due anni nonsuperiore al 55%, come segnalato da un’analisidei casi arruolati nei protocolli AIEOP LLA-2000e R-2006. A causa di questi non brillanti risulta-ti, questo sottotipo di LLA è oggetto di approfon-diti studi biologici anche in ambito AIEOP. Una osservazione chiave è che più dei due terzidi casi con LLA B-lineage presentano alterazio-ni genetiche che modificano il normale processodi maturazione linfoide (6).– Studi epigenetici. La LLA del bambino di etàinferiore ai 12 mesi è caratterizzata dal riarrangia-mento del gene MLL (mixed lineage leukemia) pre-sente in circa l’80% dei casi, ed è gravata da unapercentuale di sopravvivenza nettamente inferio-re rispetto a quella dei bambini più grandi (1). Studibiologici approfonditi hanno dimostrato che:a) il riarrangiamento del gene MLL è da solo suf-

ficiente per dare inizio al processo leucemico,in quanto non vi sono associate delezioni oamplificazioni geniche (6);

b) nel caso dei gemelli con LLA e MLL riarrangia-to, vi è una concordanza del 100%, indican-do una insorgenza in utero ed una metastatiz-zazione del clone da un gemello all’altro (2);

c) la caratterizzazione della sequenza genomicadei riarrangiamenti ha permesso di individua-re numerosi nuovi geni partner di MLL, di carat-terizzare la malattia minima residua (MRM) conun metodo molto più specifico e quindi dimeglio classificare i pazienti in fasce di rischioutili per le scelte terapeutiche (7);

d) il gene expression profile di queste forme diLLA è caratteristico ed unico e mostra delledifferenti signature come dimostrato da diver-si gruppi, compreso quello di Trentin et al. (8),e come più recentemente confermato dal COG(9). Poiché il gene MLL agisce modificandodirettamente la cromatina e quindi la struttu-ra del DNA mediante la metilazione degli isto-ni, gli studi epigenetici in questo sottotipo diLLA hanno dato un grande contributo nella

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36 Seminari di Ematologia Oncologica

comprensione della malattia offrendo poten-ziali target terapeutici.

– LLA T-lineage. Se questi sottogruppi biologicinella LLA B-lineage sono ben consolidati, vice-versa nel caso della LLA T-lineage mancano del-le ben definite traslocazioni nella maggior partedei casi. Nella Tabella 2 sono riassunte le altera-zioni genetiche riscontrate anche nella forma T-lineage, in associazione alla prognosi.L’analisi citogenetica evidenzia anomalie cromo-somiche nel 90% dei casi. Numericamente l’al-terazione più diffusa è la pseudodiploidia (40%),seguita dall’iperdiploidia (30%), con conte cromo-somiche che possono superare i 50, mentre l’ipo-ploidia è un reperto riscontrabile solo nel 6% cir-ca delle LLA infantili. Un metodo alternativo perla valutazione della ploidia cellulare è il DNA index,meno costoso e più facilmente amministrabilerispetto alle metodiche citogenetiche. A un DNAindex di 1 corrisponde l’assetto diploide della cel-lula (2N=46 cromosomi), un valore ≥1,16 è inve-ce suggestivo per iperploidia.Traslocazioni, delezioni e mutazioni puntiformisono considerabili ricorrenti in non più del 30%dei casi. Alcune di esse sono comunque degnedi nota in quanto di discreto riscontro in ambitopediatrico, come la t(12;21), evidenziabile in unquarto circa dei pazienti (Tabella 2).

Aspetti cliniciL’esordio delle LLA è nella maggior parte dei casiacuto, sebbene malessere, irritabilità e febbre (dainfezione o a origine neoplastica) possano prece-dere di qualche settimana il quadro manifesto.Clinicamente, i sintomi e i reperti obiettivi sono perlo più riconducibili alla situazione di citopenia,dovuta a sua volta al sovvertimento midollare. Un’anemia iporigenerativa (con reticolociti bassi)

è riscontrabile nel 90% dei casi, e non di rado informa severa (Hb <5 mg/dl). Contingentementeil paziente lamenterà astenia e all’esame fisico pal-lore e tachicardia sono reperti tipici.La diatesi emorragica, con petecchie, ecchimo-si, epistassi e gengivorragia, è spesso la contro-parte obiettiva di una piastrinopenia da insufficien-za midollare, che risulta severa (PLT<20.000 mm3)nel 30% circa delle diagnosi di LLA.L’epatosplenomegalia è un reperto pressochécostante. Un’adenomegalia delle stazioni super-ficiali è più suggestiva per una forma B, mentrenelle forme T l’interessamento timico con massabulky mediastinica può essere talmente importan-te da determinare una sindrome mediastinica.Nel 10-15% vi è interessamento del SNC all’esor-dio, con presenza di blasti all’esame liquorale.Senza un’adeguata profilassi, la percentuale deipazienti con localizzazioni nervose sale al 50-60%(5% con le attuali misure di profilassi). I sintomicorrelati, dovuti essenzialmente a un aumento del-la pressione intracranica, crescono di severità suuna scala che va da vomito, cefalea e irritabilitàfino a rigidità nucale (segno di chiaro interessa-mento meningeo), crisi convulsive e coma.Possibile è anche il riscontro di segni e sintomifocali, tra i quali i più comuni risultano esseredisturbi del visus per infiltrazione della retina oparalisi del VI nervo cranico e SIADH (sindromeda inappropriata secrezione di ormone antidiure-tico) da interessamento ipotalamico.I testicoli risultano mono o bilateralmente ingran-diti all’esordio nel 2% dei bambini, soprattutto secolpiti da forme T. Un’infiltrazione occulta, rileva-bile solo tramite esame microscopico, è però evi-denziabile nel 30% circa dei casi. Ben più rarorisulta invece essere l’interessamento ovarico. Nel30% dei casi i pazienti lamentano dolori ossei oarticolari, suggestivi di coinvolgimento osseo operiostale.Le forme B sono in grado di invadere anche ilsistema gastroenterico, con localizzazioni chespesso rimangono asintomatiche, ma che pos-sono occasionalmente dar luogo a manifestazio-ni acute quali enteropatia necrotizzante o occlu-sione intestinale.Appannaggio esclusivo delle forme T è invece l’in-teressamento delle parotidi (sindrome di Mikulicz).Dal punto di vista ematochimico, il 50% deiTABELLA 2 - Traslocazioni frequenti nelle LLA.

Traslocazione Geni coinvolti Frequenza

t(12;21)(p12-13;q22) TEL/AML1 25%t(1;19)(q23;p13.3) PBX/E2A 5-6%t(9;22)(q34;q11) ABL/BCR 3-5%t(24;11)(q21;q23) AF4/MLL 2%Riarrangiamenti di 11q23 MLL/AF 2%t(8;14)(q24;q32) c-Myc-IgH 1-2%

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pazienti presenta all’esordio una conta linfoci-taria aumentata (GB >10.000 mm3, in un quar-to dei soggetti possibile riscontro di GB >100.000mm3). Le cellule prevalenti sono nettamente bla-sti, con le caratteristiche peculiari di una delletre forme FAB; neutrofili e linfociti sono invecemeno rappresentati, il che spiega l’aumentatorischio di infezione. Anemia e piastrinopenia sonocome già detto di frequente riscontro. La pan-citopenia è un reperto osservabile in poco piùdell’1% dei casi.L’aspirato midollare mostra una sostituzione piùo meno estesa della normale popolazione linfo-citaria. I blasti possono essere l’80% delle cellu-le presenti anche quando la situazione perifericanon è particolarmente eclatante e devono supe-rare il 25% della popolazione midollare perchépossa essere fatta diagnosi di LLA.

Terapia– Il contributo internazionale. Nel 1948 Farber S.(10) applica per la prima volta un antifolico, l’ami-nopterina, aprendo la strada alla chemioterapiadella LLA e all’uso di uno degli antiblastici ancoroggi di maggior importanza. Da notare che ilmethotrexate (ametopterina) inizialmente era uti-lizzato per via orale alla dose di 2-5 mg/die; negliultimi anni è stato usato per via endovenosa alladose, unica ripetibile, di 2.000-5.000 mg/m2 (inalcuni casi fino alla dose di 33.000 mg/m2).È merito del padre della ematologia pediatrica ita-liana, Sansone (11), aver per primo utilizzato nel1954 l’aminopterina per via intratecale, aprendola strada a uno dei cardini della terapia della LLA,sia nella prevenzione che nella terapia delle loca-lizzazioni al sistema nervoso. Deve essere rico-nosciuto invece principalmente a Donald Pinkele a Hansjörg Riehm il merito di aver consentitodue grandi progressi sulla via della guarigione nel-la LLA. Nel 1967 Pinkel (12) propose il concet-to, allora ritenuto rivoluzionario rispetto all’orien-tamento tradizionale, che la LLA dovesse esse-re trattata con l’obiettivo di ottenere la guarigio-ne, utilizzando una polichemioterapia, nel tenta-tivo di eradicare il clone leucemico, integrata conun intervento precoce sul sistema nervoso, allo-ra applicato mediante radioterapia e methotre-xate intratecale. Questa strategia consentì il pri-mo balzo verso il 40% circa di guarigione (tem-

po di osservazione superiore a 20 anni); Riehm(13, 18) introdusse nel 1970 una polichemiote-rapia molto intensa, con 8 farmaci, portando lasopravvivenza libera da eventi al 50% circa.Fondamentale è stata l’introduzione della reindu-zione con l’ormai famoso protocollo II, sommi-nistrato dopo 3-4 mesi dalla remissione comple-ta, comprendente i farmaci già usati in induzio-ne (con la variante desametasone e adriblastinain sostituzione rispettivamente di prednisone edaunoblastina).In Germania, in particolare nei centri di Berlino-Francoforte-Münster (da cui la sigla BFM), si otten-nero per la prima volta, a partire dal 1976, risul-tati particolarmente favorevoli (13) con event freesurvival (EFS) superiore al 65%. L’impostazioneBFM è stata adottata sempre più ampiamente alivello internazionale e, negli ultimi anni, il grup-po cooperativo Children Cancer Group - USA(CCG) ha pubblicato eccellenti risultati sullavalutazione del ruolo del Protocollo II nelle variestratificazioni per fasce di rischio nella LLA.Occorre poi ricordare i progressi nella geneticamolecolare che consentono oggi di individuaresottogruppi di LLA con caratteristiche biologiche,cliniche e prognostiche molto specifiche e di valu-tare con precisione molto elevata la presenza dimalattia residua, essendo possibile diagnostica-re la presenza di cellule leucemiche a livello di unacellula leucemica su 10.000-100.000 cellule nor-mali, con apertura di interessanti prospettive pernuove strategie terapeutiche.Meritano infine di essere menzionate nuove pro-spettive terapeutiche rispetto alle risorse attual-mente disponibili: la possibilità di provocare unarisposta citotossica specifica nei confronti dellacellula leucemica; la manipolazione genetica peraumentare e incrementare le difese dell’organismoe infine interventi terapeutici che interagiscono conil microambiente di crescita delle cellule leucemi-che (ad esempio farmaci che inibiscono la forma-zione di nuovi vasi sanguigni, angiogenesi).Una nota negativa in questa analisi di un succes-so deve essere riservata alla discrepanza tra effi-cacia delle attuali cure della LLA ed efficienza nel-la loro applicazione. Se infatti l’efficacia è conti-nuamente migliorata tanto da consentire la gua-rigione in oltre l’80% dei casi, l’efficienza nell’as-sicurare tali cure è limitata dai costi in continuo

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aumento e dalle condizioni socio-sanitarie dellamaggior parte dei paesi: di fatto le terapie dellaLLA sono accessibili ancora oggi solo a circa il20% dei bambini affetti da LLA nel mondo. Daqui la forte sollecitazione della SocietàInternazionale di Oncologia Pediatrica (SIOP),attraverso il gruppo di lavoro PODC (PediatricOncology in Developing Countries) a promuove-re iniziative a favore della oncologia pediatricaanche nei paesi con risorse limitate. Significativaè la Monza International School of PediatricHematology and Oncology (MISPHO) (14) per laformazione, l’aggiornamento e la promozione diprogrammi di sviluppo-ricerca in paesi qualiBolivia, Nicaragua, Guatemala, Perù, Ecuador,Colombia, Costa Rica, Cuba, El Salvador,Honduras, Paraguay, Repubblica Dominicana,Uruguay, Venezuela.– Il contributo italiano. Al di là del contributo fon-damentale di Sansone (11), precedentemente cita-to, l’elemento fondamentale che ha caratterizza-to il successo ottenuto nella terapia della LLA nel

nostro paese deve essere individuato nella coo-perazione a livello nazionale che si è realizzata findai primi anni 70 con la realizzazione di due obiet-tivi:1. ottimizzare lo standard di cura su tutto il ter-

ritorio nazionale;2. promuovere la ricerca attraverso studi clinici

aperti alla cooperazione del maggior numeropossibile di istituzioni pediatriche.

Questo impegno è stato alla base della creazio-ne della AIEOP. A partire dal 1974 è stata realiz-zata una lunga sequenza di protocolli per la LLA:’74, ’76, ’79, ’82, ’87, ’88, ’91, ’95 e 2000 (Figura2). A partire dal 1988 si è entrati in collaborazio-ne con il gruppo europeo BFM adottandone lastrategia terapeutica e apportando alcune modi-fiche derivate dalla esperienza AIEOP.Nel 1985 si è realizzato a Bologna un efficientecentro raccolta dati (CRD) con il quale ha intera-gito, per l’analisi statistica, il centro di Monza incollaborazione con l’Istituto di Statistica Medicae Biometria dell’Università di Milano.

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

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2000

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70.4% (1.5)78.7% (1.7)78.1% (2.1)79.0% (1.2)85.6% (0.8)88.0% (1.1)

N. Pazienti N. morti

Anni dalla diagnosi

5 anni sopravvivenza

FIGURA 2 - Probabilità di sopravvivenza a 5 anni nei protocolli AIEOP LLA.

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39Leucemie acute

Dal 1987 si è inoltre realizzata una iniziativa digrande valore sia per la qualità degli studi clinicisia per la ricerca biologica: la banca di campio-ni biologici, organizzata presso la clinica pedia-trica di Padova, in collaborazione con la clinicapediatrica di Monza (Centro Tettamanti per gli stu-di di biologia molecolare).Di notevole importanza è stata l’istituzione del regi-stro nazionale dei fuori terapia (ROT), preziosostrumento per studi epidemiologici e per la rac-colta di dati sugli eventi maggiori (mortalità, tos-sicità maggiore, progenie, secondi tumori), indi-spensabili a fotografare lo stato di salute dei sog-getti guariti, per tipo di tumore. Questo registro,che viene gestito dal centro operativo e di ricer-ca statistica presso la clinica pediatrica di Monza,è stato attivato nel 1980 allo scopo di raccoglie-re informazioni sui bambini affetti da neoplasiamaligna che hanno raggiunto la sospensione del-le cure in assenza di segni clinici di malattia.Attualmente risultano iscritti al ROT 16.531 sog-getti di cui 6.976 (42,2%) LLA.Una componente essenziale del successo otte-nuto nelle leucemie (e più in generale in oncolo-

gia pediatrica) è da ricercarsi nella capacità deipediatri ematologi e oncologi di offrire un approc-cio a tutto campo (olistico), aperto ai bisogni glo-bali del bambino e della famiglia e capace di offri-re non solo cure, ma una vera presa in carico ela realizzazione di quella collaborazione tra ope-ratori sanitari e genitori che è stata definita alle-anza terapeutica, consentendo di ottenere eccel-lenti realizzazioni (strutture, ricerca, collaborazio-ne internazionale).– Sequenza terapeutica. Attualmente la terapiadella LLA è divisa in cinque fasi: citoriduzione,induzione della remissione, consolidamento, rein-duzione e mantenimento. A queste fasi può affian-carsi la radioterapia o seguire il trapianto di midol-lo. L’evidenza clinica ha provato l’efficacia di diver-si cicli polichemioterapici, a loro volta inclusi in pro-tocolli. Attualmente, il più usato a livello interna-zionale è il protocollo AIEOP-BMF ALL 2009, ela-borato dall’AIEOP e dal gruppo di lavoro Berlin-Frankfurt-Muenster. I pazienti vengono dapprimastratificati in tre classi di rischio sulla base di alcu-ni criteri prognostici e si procede dunque alla tera-pia secondo lo Schema 1. In aggiunta allo sche-

SCHEMA 1

Citoriduzione PDN 60 mg/m2/die po/ev in 3 somministrazioni/die dal giorno 1 al giorno 7MTX IT 8-12 mg a seconda dell’età al giorno 1

Induzione PDN 60 mg/m2/die po/ev dal giorno 8 al giorno 28, successivamente a scalareVCR 1,5 mg/m2 ev (max 2 mg) ai giorni 8, 15, 22, 29DNR 30 mg/m2 ev (max 2 mg) ai giorni 8, 15, 22, 29CPM 1000 mg/m2 ev in 1h al giorno 10 (solo per LLA-T)PEG-L-ASP 2500 UI/m2 ev in 2 ore ai giorni 12 e 26MTX IT 8-12 mg a seconda dell’età ai giorni 12 e 33

Consolidamento 6-MP 25 mg/m2/die po dal giorno 1 al giorno 56(a 2 settimane HD MTX 5g/m2 in 24 h ai giorni 8, 22, 36, 50dal termine MTX IT 8-12 mg a seconda dell’età ai giorni 8, 22, 36, 50dell’induzione)Reinduzione (a 2 DXM Desametasone 10 mg/m2/die po in 3 somministrazioni/die dal giorno 1 al giorno 21, settimane dal termine successivamente a scalaredel consolidamento) VCR 1,5 mg/m2 ev (max 2 mg) ai giorni 8, 15, 22, 29

ADM 30 mg/m2 ev ai giorni 8, 15, 22, 29PEG-L-ASP 2500 UI/m2 ev in 2 ore al giorno 8MTX IT 8-12 mg a seconda dell’età ai giorni 1 e 18 (solo se localizzazioni SNC all’esordio)

Mantenimento (a 2 6-MP 25 mg/m2/die po dal giorno 1settimane dal termine MTX 20 mg/m2 settimana po 1 volta a settimana dal giorno 1della reinduzione. PEG-L-ASP 2500 UI/m2 ev in 2 ore ogni 2 settimane per 10 dosi (solo per randomizzati R2)Durata: 24 mesi) MTX IT 8-12 mg ogni 6 settimane per 6 dosi

RTP CRANIALE (solo per sottogruppi in stadio SNC3)

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ma base, i pazienti ad alto rischio (HR) dovran-no eseguire anche cicli appositi, eventualmenteamplificabili in caso di mancata risposta al cicloHR. Per i pazienti con sospetto o manifesto inte-ressamento del SNC sono previste anche alcu-ne sedute di radioterapia. A) Induzione. Il trattamento previsto in questa faseha lo scopo di ottenere la remissione completa (RC).L’intensità della chemioterapia di induzione èaumentata nel corso degli ultimi decenni, con unacombinazione dapprima di due farmaci (vincristi-na + steroidi), indi di tre o quattro agenti (+ antra-cicline e/o asparaginasi) e con un tasso di RCattualmente superiore al 95%.Prednisone e pred-nisolone sono stati i glucocorticoidi più comune-mente usati in questa fase. Tuttavia recenti eviden-ze suggeriscono che il desametasone sia più effi-cace nella prevenzione delle ricadute midollari eSNC isolate o combinate. Il desametasone tutta-via comporta una più severa immunosoppressio-ne e aumenta la tossicità acuta e a lungo termine.B) Terapia preventiva del sistema nervoso cen-trale. La prevenzione della localizzazione dellamalattia al SNC è un concetto acquisito sin dal-la fine degli anni ’60. L’introduzione della radio-terapia craniale (RTC) combinata con chemiote-rapia intratecale ha consentito di ottenere unariduzione della ricaduta al SNC dal 50% dei casial 10% circa. Nelle decadi successive tuttavia siè gradualmente modificata questa strategia perridurre gli effetti tossici legati al trattamento pre-ventivo (15, 16). Attualmente si tende a sommi-nistrare la RTC solo ai pazienti a più alto rischiodi recidiva, ed è possibile che in futuro la RTC pos-sa essere omessa per tutti i pazienti che otten-gono la remissione completa. C) Consolidamento/reinduzione. Ogni gruppocooperativo adotta una propria strategia sul tipodi consolidamento/reinduzione. Il gruppo BFM hautilizzato con successo, dopo un’induzione inten-siva (protocollo I, fasi IA+IB) basata su 8 farma-ci, una fase di consolidamento (denominato pro-tocollo M e basato sull’uso di methotrexate ad altedosi) e una di reinduzione (molto simile alla fasedi induzione e denominata protocollo II) prima del-la terapia di mantenimento. D) Terapia di mantenimento e durata del trattamen-to. Nella maggior parte dei regimi terapeutici dimantenimento vengono somministrati methotre-

xate settimanalmente e 6-mercaptopurina (6-MP)giornalmente. La durata ottimale della chemiote-rapia di mantenimento non è ancora stata defi-nitivamente stabilita. Tuttavia la maggior parte deigruppi utilizza uno schema che prevede di trat-tare i pazienti per un totale di 2 anni (inclusa tera-pia di mantenimento). – Risultati. Negli anni ’80-’90 i risultati ottenuti daiprincipali gruppi cooperativi (17-20) in oncologiapediatrica sono stati sostanzialmente uniformi. Ilmiglioramento della prognosi è stato ottenuto condifferenti strategie terapeutiche, aventi tutte unapproccio comune volto all’intensificazione deltrattamento. L’AIEOP sin dal 1988 ha promossoa livello nazionale protocolli chemioterapici basa-ti sull’esperienza del gruppo BFM. I Centri AIE-OP hanno trattato quasi cinquemila bambini in cin-que trials consecutivi tra il 1982 ed il 2000 (21,22). La percentuale di EFS e di overall survival (OS)a 10 anni è passata rispettivamente dal 52,8% e63,8% nello studio AIEOP LLA 82 al 71,7% ed82,4% nello studio AIEOP LLA 95. L’incidenzacumulativa di ricadute a 10 anni si è ridotta dal38,4% nello studio AIEOP LLA 82 al 22,8% nel-lo studio AIEOP LLA 95. L’incidenza cumulativadi ricadute SNC isolate è stata del 9,9% nello stu-dio AIEOP LLA 82 contro l’1,2% nello studio AIE-OP LLA 95. Le strategie di trattamento sono sta-te caratterizzate da una progressiva sostituzionedella RTC con una terapia intratecale protrattacome profilassi delle recidive al SNC (Tabella 3). Negli ultimi 15-20 anni diverse tecniche sonostate sviluppate per misurare in vivo la rispo-sta al trattamento, introducendo il concetto diMRM (23-25). In Italia, dal settembre 2000 al luglio 2006, i bam-bini affetti da LLA ed afferenti ai centri AIEOP sonostati trattati secondo il protocollo AIEOP-BFM ALL2000, uno studio multicentrico, prospettico, con-dotto in collaborazione con il gruppo BFM.Globalmente, 1999 pazienti AIEOP affetti da LLAPh- sono risultati eleggibili allo studio AIEOP-BFMALL 2000. Questo studio è stato il primo trial cli-nico, su larga scala, prospettico, in cui è statasistematicamente impiegata la MRM, misuratamediante metodica PCR, in corrispondenza di duetime points definti (al giorno 33 ed al giorno 78del trattamento), per classificare i pazienti in tregruppi di rischio e per adattare il trattamento post-

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induzione alla fascia di rischio. La MRM ha dimo-strato una netta superiorità rispetto ai fattori pro-gnostici convenzionali nella stratificazione deipazienti in gruppi di rischio, ossia si è rivelata mag-giormente predittiva di ricaduta (26, 27). In accor-do con quanto detto, la strategia AIEOP-BFMapplicata nel protocollo AIEOP-BFM LLA 2009,propone più estensivamente il concetto di rispo-sta precoce al trattamento valutata medianteMRM midollare, combinando la valutazione cito-fluorimetrica al giorno +15 con la valutazione inPCR al giorno 33 e 78. Il protocollo AIEOP-BFM ALL 2000 prevedevadurante il primo mese di trattamento (InduzioneIA) la somministrazione randomizzata di desame-tasone vs prednisone. I risultati ottenuti hanno evi-denziato che l’uso del desametasone alla dosedi 10 mg/m2/die per tre settimane ha comporta-to un rischio aggiuntivo di tossicità, ma allo stes-so tempo una significativa riduzione delle ricadu-te. Sulla base di ciò, nel protocollo di trattamen-to AIEOP-BFM LLA 2009, quasi tutti i pazienti rice-vono terapia steroidea con prednisone nella fased’Induzione. Il desametasone viene impiegato soloin specifici sottogruppi di pazienti (LLA-T clinica-mente non ad alto rischio), che nei precedenti trialshanno beneficiato di questa terapia senza presen-tare un eccesso di tossicità. Nello studio AIEOP-BFM ALL 2009 la percentua-le di pazienti che ricevono RTC viene ulteriormen-te ridotta (meno del 10%) rispetto allo studio 2000.Lo studio AIEOP-BFM ALL 2009 prevede inoltrela somministrazione in tutti i pazienti del prodot-to L-asparaginasi coniugato con polietilenglicole(PEG-L-asparaginasi), che nei protocolli preceden-ti era invece previsto come prodotto L-asparagi-nasi di seconda linea nei pazienti che avevano pre-

sentato reazione allergica al prodotto nativo.La LLA nel paziente adolescente o giovane adul-to si caratterizza per una prognosi meno soddi-sfacente rispetto ai pazienti di età inferiore. Diverseesperienze collaborative hanno segnalato che ipazienti adolescenti o giovani adulti presentanoprognosi migliore quando trattati in protocollipediatrici. E ciò è confermato anche nell’esperien-za italiana, grazie ad uno studio collaborativo tragruppo AIEOP e Gruppo Italiano di MalattieEmatologiche Maligne dell’Adulto (GIMEMA).Negli ultimi anni la strategia pediatrica è stata per-tanto implementata anche nei protocolli degli adul-ti per il trattamento di pazienti più giovani.– Conclusioni. La principale causa di insucces-so del trattamento della LLA è la resistenza allaterapia che può manifestarsi raramente comerefrattarietà al trattamento all’esordio e più fre-quentemente come ricaduta della malattia.L’approccio terapeutico più efficace per la mag-gior parte di questi pazienti è il trapianto di midol-lo osseo allogenico (TMO). Per migliorare ulte-riormente i risultati in questi pazienti è tuttavianecessario sviluppare strategie terapeuticheinnovative, che utilizzano nuove molecole attivenella LLA grazie a meccanismi d’azione diversida quelli implicati nelle terapie attualmentedisponibili e l’uso di anticorpi monoclonali spe-cifici (Figura 3).

n LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA

Aspetti biologici e cliniciLa leucemia mieloide acuta (LMA) rappresenta nonpiù del 20% delle leucemie pediatriche, con un’in-cidenza di 5-10 nuovi casi l’anno ogni 1.000.000

TABELLA 3 - Dati riassuntivi di protocolli AEIOP LLA.

Protocolli AIEOP LLA

82 88 91 95

Pazienti eleggibili 902 396 1.192 1.743CR (%) 94,8 94,7 96,5 98,5Mortalità in induzione (%) 2,2 1,3 1,3 0,7Mortalità in CR (%) 3,3 1,8 1,9 1,6EFS a 10 anni (%) 52,8 64,8 68,4 71,7OS a 10 anni (%) 63,8 74,3 76,9 82,4

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di soggetti di età inferiore a 15 anni. È definita comeun disordine mieloproliferativo clonale, seconda-rio a trasformazione maligna di un progenitoreemopoietico o di una cellula staminale di deriva-zione midollare, capace di auto-mantenimento ecaratterizzato da un’alterata capacità di differen-ziazione e una ridotta possibilità di autodistruzio-ne. L’insieme di questi eventi determina l’accumu-lo di elementi cellulari maligni di origine mieloidenel midollo osseo, in circolo e in altri organi. Vengono riconosciuti diversi tipi classificati tenen-do conto di criteri diversi, che spaziano da quel-li morfologici, a quelli immunofenotipici, a quellicitochimici. La classificazione FAB, storicamen-te la più diffusa, ne riconosce 8 sottotipi, distintisulla base di criteri morfologici e istochimici(Tabella 4). Più recentemente la WHO (InternationalStatistical Classification of Diseases and RelatedHealth Problems - 10th Revision, 2008) ha inte-grato la classificazione FAB con criteri genetici emolecolari e fissato al 20% la percentuale d’in-filtrazione blastica midollare necessaria a porrediagnosi di LMA, mentre la stessa percentuale eradel 30% nella precedente classificazione FAB. Taleclassificazione però non è ancora d’uso routina-rio nell’ematologia pediatrica in quanto manca-no criteri che si indirizzino specificatamente allapopolazione in questione (29). Nel 50-60% dei casi di bambini affetti da LMA,

la malattia può essere classificata come forma M1,M2, M3, M6 o M7; approssimativamente nel 40%dei casi, mostra i sottotipi M4 o M5. In circa l’80%dei bambini affetti da LMA d’età inferiore a 2 anni,il sottotipo è M4 o M5 ed è talora associato a riar-rangiamenti della banda 11q23 e più specifica-tamente del gene MLL.Per porre diagnosi differenziale tra LLA e LMA,soprattutto per quanto riguarda le forme mieloi-di poco differenziate (essenzialmente M0), è indi-spensabile l’analisi immunoistochimica, che evi-denzia nel caso di M0 cellule perossidasi nega-tive e che permette anche di diagnosticare even-

Guariti Recidivati

Remissione 97

100 nuovi casi

Deceduti

84 16

75 22 Ind 1RC 2

3 10chemio

7

6 12TMO

6

FIGURA 3 - Impatto della chemioterapia e del TMO sulla gua-rigione della LLA del bambino.

TABELLA 4 - Classificazione FAB delle LMA.

Sigla Categoria Criteri morfologici Immuno-istochimica

M0 Indifferenziata Blasti privi di markers citologici e citochimici MPO <3% ; NSE-

M1 Mieloblastica senza Blasti >90% (esclusi eritroblasti); MPO >3%maturazione Monociti <10%; Granulociti <10%

M2 Mieloblastica con Blasti 30-90%; Granulociti <10%; Monociti <20% CD13+; CD33+; MPO >3%maturazionePromielocitica Promielociti ipergranulari con Corpi di Auer >20% CD13+; CD33+; MPO >3%

M3 Promielocitica Blasti con nuclei reniformi; Granulazioni fini CD13+; CD33+; MPO >3%variante ipogranulare nel citoplasmaMielomonocitica Blasti >30%; Componente granulocitaria/monocitaria CD13+; CD33+; CD14+;

M4 20-80%; Monociti nel sangue periferico >5x109/l MPO >3%Mielomonocitica Criteri M4; CD13+; CD33+; CD14+; con eosinofilia Eosinofili anomali con granuli eosinofili e basofili MPO >3%Monoblastica Monoblasti >80% CD13+; CD33+; CD14+; NSE+

M5 Monocitica Monociti >80%; Monoblasti <80% CD13+; CD33+; CD14+; NSE+; ACP+

M6 Eritroleucemia Eritroblasti >50%; Blasti >30% delle cellule eritroidi CD42+; ACP+; PAS+M7 Megacarioblastica Blasti >30%; Megacarioblasti CD 41+

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tuali forme biclonali. Sullo stesso tipo di ricercasi ottiene anche la collocazione della malattia all’in-terno dei gruppi FAB. Recentemente, grande importanza è stata attri-buita alla mutazione della nucleofosmina (NPM1),riscontrabile nel 10-20% dei pazienti pediatrici(negli adulti la frequenza è invece del 60%) e asso-ciata a prognosi positiva (29, 30). Una prognosipiù severa si ha invece in caso di mutazione diFLT3 e C-KIT (31).L’analisi citogenetica rileva nell’80% dei casi alte-razioni cromosomiche, alcune delle quali carat-teristiche per un determinato sottotipo e porta-trici di un certo valore prognostico. Tra queste lat(8;21)(q22;q22) ETO/AML1 è di frequente riscon-tro nelle M2, la inv(16)(p13q22) MYH11/CBFB èpatognomonica di M4 con eosinofilia e possibi-le reperto nelle M1 e M2 è anche il geneBCR/ABL, tipico delle luecemie mieloidi croniche.La LMA promielocitica (M3 secondo FAB) va con-siderata a parte non solo per le sue tipiche alte-razioni cromosomiche, ma anche per la progno-si particolarmente favorevole dei pazienti che nesono interessati. La quasi totalità di cellule leu-cemiche è costituita da promielociti atipici, spes-so con evidenti corpi di Auer. L’alterazione più fre-quentemente presente è la t(15;17)(q22;q21), conformazione del gene PML/RARα. Nelle formenegative per la t(15;17) è quasi sempre possibi-le evidenziare altre traslocazioni che interessanoil recettore per l’acido retinoico (codificato propriodal gene RARα), quali la t(11;17)(q23;q21)PLZF/RARα, la t(5;17)(q35;q21) NPM/RARα e lat(11;17)(q13;q21) NuMA/RARα. Di recente scoper-ta è il fatto che le M3 con t(15;17) giovano del-l’introduzione in terapia dell’acido transretinoico,associato a idarubicina (protocollo AIDA delGIMEMA). Questo, legandosi al proprio recetto-re, è in grado di promuovere la maturazione deipromielociti leucemici, portando il paziente allaRC. I pazienti portatori di traslocazioni diverse nonsono responsivi ad acido retinoico, ma lo diven-tano con la contemporanea somministrazione diG-CSF. L’introduzione dell’ATRA in terapia permet-te oggi una completa guarigione in circa il 70%dei pazienti pediatrici.Clinicamente le LMA si manifestano con i sinto-mi della pancitopenia, in quanto il clone leucemi-co determina soppressione della normale produ-

zione e differenziazione delle cellule ematiche alivello midollare. Alla diagnosi la neoplasia è infat-ti costantemente disseminata nel sistema ema-topoietico, mentre la localizzazione extramidolla-re è più comune nei bambini al di sotto dei 2 anni.Alcune LMA sono contraddistinte da caratteristi-che cliniche peculiari. La tendenza a infiltrare i tes-suti, tipica delle M4 e M5, determina nel 25% deipazienti ipertrofia gengivale e meno frequentemen-te interessamento cutaneo con noduli violacei aconsistenza dura o invasione del sistema nervo-so centrale. Dolori ossei sono sintomatici di loca-lizzazioni al tessuto scheletrico. La malattia puòesordire anche come coagulazione intravasale dis-seminata; questo aspetto è presente nel 90% del-le leucemie tipo M3.

Aspetti terapeuticiDiversamente a quanto accaduto per la LLA imoderni protocolli non hanno modificato inmodo significativo la prognosi della LMA. Buoniprogressi sono stati fatti invece grazie al perfe-zionamento del trapianto allogenico o autologodi midollo.Il cardine della terapia di prima linea è, come nelcaso della LLA, la polichemioterapia, che puòessere eventualmente integrata nei sottogruppiHR con il trapianto di cellule staminali emopoie-tiche allogenico o autologo. Il trattamento otti-male di questa patologia mira essenzialmente alcontrollo della malattia midollare e sistemica,mentre la profilassi della localizzazione al SNC,pur essendo una componente prevista dai variprotocolli, non si è mai dimostrata un fattoreessenziale per il miglioramento della sopravviven-za. La radioterapia craniale non è necessaria nécome profilassi né come trattamento dellameningosi leucemica che, qualora presente, ècontrollata dalla sola terapia intratecale e dallachemioterapia sistemica. Il trattamento si articola essenzialmente in due fasi:l’induzione, con lo scopo del raggiungimento del-la RC, e il consolidamento/intensificazione post-remissione, necessario per rendere permanentelo stato di RC. L’induzione può essere precedu-ta da una pre-CTP citostatica con ARA-C neibambini con GB≥200.000, allo scopo di portarela conta dei bianchi sotto la soglia dei 100.000.I farmaci più efficaci nella terapia d’induzione sono

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citosina arabinoside (ARA-C) antracicline (dauno-rubicina, idarubicina), eventualmente associate aetoposide (VP-16), tioguanina (6-TG) e corticoste-roidi (desametasone). In particolare, il protocolloAIEOP LAM 2002/01-02, condiviso a livellonazionale, prevede per i due gruppi SR (rischiostandard) e HR (alto rischio) due cicli ICE (ARA-C intratecale ed endovena, idarubicina ed etopo-side) effettuati a distanza di 21 giorni, con un con-trollo dello stato midollare ai giorni 14 e 21 dal-l’inizio del ciclo. A ciclo completo è prassi effettuare una tipizza-zione HLA nell’eventuale necessità di un trapian-to: donatore familiare HLA-identico (Allo-TMO) oautologo (Auto-TMO).La terapia post-remissionale può consistere inuna chemioterapia addizionale a cicli ripetutioppure in una chemioterapia ad alte dosi segui-ta da TMO: il protocollo AIEOP LAM 2002/01-02prevede per entrambi i gruppi di rischio un cicloAVE (ARA-C IT, ARA-C ev, etoposide) seguito daun ciclo HAM (ARA-C IT, ARA-C ev, mitoxantro-ne), entrambi associati a un controllo midollarea 21 giorni. Nel gruppo SR il consolidamento ver-rà terminato da un ciclo di ARA-C HD (alte dosi).Studi clinici condotti nell’adulto e confermati dacontrolli su popolazioni pediatriche hanno dimo-strato come alte dosi di ARA-C siano maggior-mente efficaci rispetto a dosi standard, specie inpazienti con t(8;21) o inv(16). Nei pazienti a bas-so rischio si preferisce dunque una terapia essen-zialmente farmacologica, per evitare gli effetti col-laterali a lungo termine del trapianto (essenzial-mente il rigetto e tutte le conseguenze dell’im-munosoppressione).Nei i pazienti classificati come HR, al ciclo HAMsegue invece il TMO. L’efficacia del trapianto dimidollo nella fase di terapia post-remissionale del-la LAM HR è stato oggetto di studio fin dagli anni’70 e si è rivelato fondamentale in tale popolazio-ne. In considerazione della limitata disponibilità, nonpiù del 25% dei casi può essere sottoposto a tra-pianto allogenico da donatore familiare HLA com-patibile. Il 60-70% dei casi con donatore familia-re HLA compatibile 6/6 o 5/6 va incontro a stabi-le e duratura remissione in misura superiore a quel-la ottenibile con la sola chemioterapia o con il ricor-so all’Auto-TMO. Nei pazienti a rischio standard,allo stato attuale delle conoscenze, è consigliabi-

le il ricorso all’Allo-TMO da donatore familiare solodopo una prima ricaduta in seconda RC. Per ipazienti ad alto rischio, il ricorso al trapianto di cel-lule staminali ematopoietiche (TCSE) in prima RCoffre una maggiore probabilità di guarigione. I protocolli vigenti prevedono dosi farmacologi-che piuttosto alte, tali da provocare mielosoppres-sione intensa. Per questo motivo i bambini conLMA dovrebbero essere seguiti solo da centrionco-ematologici attivi presso ospedali di III livel-lo o policlinici, secondo quanto previsto dalle lineeguida per l’oncologia pediatrica in Italia.– Trapianto di midollo osseo. Giacchè l’Allo-TMOè stato tradizionalmente considerato un tratta-mento post-remissionale più efficace rispetto aqualunque altro trattamento chemioterapico, ladisponibilità di un donatore familiare HLA-iden-tico ha invariabilmente determinato l’esecuzionedell’Allo-TMO nei pazienti con LMA in prima RCche disponessero di tale tipo di donatore. Perquesto motivo una reale comparazione tra l’op-zione di una moderna chemioterapia intensiva equella di un Allo-TMO non è mai stata condottain maniera randomizzata e stratificata. A questoproposito va notato che il rischio di recidiva ègeneralmente più basso nei pazienti sottopostiad Allo-TMO rispetto a quelli sottoposti a moder-ni ed intensive schemi di chemioterapia; ciono-nostante, i risultati finali delle due strategie tera-peutiche non differiscono molto a causa delle piùelevate percentuali di mortalità correlate al TMOe per la migliore risposta alle terapie di salvatag-gio nei pazienti non sottoposti, in prima RC, adAllo-TMO. Alcuni sottogruppi di LMA appaionoperaltro curabili in una elevata percentuale di casicon trattamenti di tipo esclusivamente chemio-terapico. Alla luce di queste considerazioni, e del-le note sequele che si osservano a lungo termi-ne nei pazienti (soprattutto in quelli trapiantati adetà molto bassa) sottoposti ad Allo-TMO, la scel-ta di sottoporre oggi un paziente ad Allo-TMO vie-ne valutata da alcuni gruppi internazionali conparticolare attenzione. In generale l’uso dell’Allo-TMO in prima RC non è raccomandato nei sog-getti che abbiano fattori prognostici favorevoliquali (inv16), t(8;21), t(15;17) o la trisomia costi-tuzionale del cromosoma 21, ammesso cheabbiano ottenuto la RC. Il TMO da donatore HLAidentico non-consanguineo (MUD) viene oggi

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riservato solamente a ristretti sottogruppi di LMA,quali per esempio quelle di derivazione mielodi-splastica, o con monosomia del cromosoma 7o quelle secondarie o quelle resistenti ai primi duecicli intensivi di induzione. L’efficacia dell’Auto-TMO è stata studiata innumerosi e recenti trials clinici (32-34). Nello stu-dio inglese MRC AML10, i bambini con LMA veni-vano assegnati, in maniera randomizzata e dopoaver ricevuto 4 cicli intensivi di chemioterapia, adessere sottoposti ad un Auto-TMO oppure a nonricevere ulteriore terapia. La percentuale di rica-duta è stata significativamente più elevata nelbraccio non sottoposto ad Auto-TMO mentre lasopravvivenza globale è risultata sovrapponibileper i due bracci di randomizzazione. L’AIEOP hariportato risultati positivi nell’applicazione dell’Alloed Auto-TMO nella LMA in 1° RC (34, 35). Perquesto motivo il protocollo attualmente in uso inItalia (AIEOP LMA 2002) prevede nell’ambito del-la strategia terapeutica post-remissionale unampio uso delle procedure trapiantologiche.

n LA GESTIONE GLOBALE DEL BAMBINO CON LEUCEMIA

Quando ad un bambino viene posta la diagnosidi patologia grave o cronica inizia per lui e per lasua famiglia un cammino particolarmente lungo edifficoltoso che deve durare per tutto il decorsodelle cure (circa due anni) e oltre. La presa in cari-co, cioè il prendersi cura di tutti gli aspetti più stret-tamente medici ma anche psicologici e sociali ingrado di aiutarlo o meglio comprendere e accet-tare ciò che sta succedendo, diventa indispensa-bile per accompagnarlo al conseguimento dell’ob-biettivo vera guarigione o comunque, qualora lasituazione fosse più complessa, la miglior qualitàdi vita (36, 37). Nulla però deve essere lasciato alcaso e occorre che tale strategia sia il punto di par-tenza di quella alleanza terapeutica (38) dove van-no a confluire tutte le potenzialità operative dellepersone che ruotano intorno al bambino e alla suafamiglia in modo che operatori sanitari (medici einfermiere), istituzioni (ospedale e società), volon-tari, sostenitori, non agiscano come battitori libe-ri ma possano trovare insieme un’armonia diespressione e di operatività.

Per poter impostare una simile iniziativa occorretenere ben in considerazione:a) i bisogni della famiglia e del bambino;b) l’importanza del medico e/o pediatra di fami-

glia.La famiglia e il bambino (compatibilmente con lasua età) devono essere aiutati a comprendere lanuova realtà e le implicazioni che essa compor-ta sul futuro della loro vita e sui cambiamenti chela famiglia dovrà affrontare; avere certezze sulladiagnosi ed essere informati sulle caratteristichedella malattia, sulla prognosi e le possibilità di cura;non sentirsi isolati, avere fiducia nel centro e neimedici curanti, poter contare su un’equipe mul-tidisciplinare e sul proprio pediatra curante in gra-do di infondere fiducia e capacità di reazione posi-tiva nell’impegno a sconfiggere la malattia.Per quanto riguarda più specificamente il medi-co/pediatra di famiglia deve assistere la famiglianella definizione del programma di cura: assicu-rare al bambino un momento di continuità con larealtà precedente; saper infondere fiducia nellafamiglia ed aiutarla nelle eventuali necessità discelte difficili ed impegnative (sia in caso di evo-luzione favorevole che meno favorevole).Il percorso da fare è lungo e articolato e inizia conl’esordio della malattia del bambino. La comuni-cazione di diagnosi alla famiglia e al bambino con-traddistinguono l’avvio di questo cammino dovepiù che la diagnosi occorre comunicare l’interoprogetto di cura (37).Progetto quindi è tutto ciò che ruota intorno albambino e alla famiglia e tutto ciò che la malat-tia comporta; progetto è qualcosa di più che sem-plice diagnosi, dei soli termini scientifici e tecni-ci, progetto di cura apre una panoramica e un oriz-zonte ben più ampi: quali sono i cambiamenti daaffrontare e come li aiutiamo ad affrontarli e conche mezzi e con l’aiuto di chi. La comunicazione di diagnosi deve essere fattaall’intera famiglia e al bambino ed eventuali fra-telli da parte del medico in sessioni separate (39).La modalità con cui instaurare e realizzare lacomunicazione nella varie fasi di una malattia èquella del dialogo. La comunicazione non è unalezione di medicina ma un entrare in sintonia conil bambino.Questo dialogo deve proseguire anche durantetutto il decorso delle cure, al momento dell’inter-

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ruzione delle cure stesse e nel tempo successi-vo quando il bambino diventa un soggetto gua-rito (40). Attualmente 1/900 giovani adulti è unguarito da tumore infantile… lo dice la storia, lodicono i numeri raccolti a livello nazionale e inter-nazionale. Il protagonista di questa presa in cari-co è senza dubbio il bambino che pertanto vaascoltato, e non è facile, va rispettato, e non soloprotetto, va aiutato, ma anche fatto divertire.Il co-protagonista invece è la famiglia e tutti i pas-saggi di ogni intervento devono avvenire attraver-so la famiglia: la famiglia deve capire, convincer-si, ascoltare e mediare con il bambino.I referenti sono tutti i membri dell’équipe assisten-ziale e possono essere tanti: medici, infermiere,psicologa, assistente sociale, arte-terapista,pedagogista, insegnanti, educatori, volontari,clown-dottori, associazioni.Tutti gli interventi di tutti gli operatori devono peròessere armoniosi e calibrati, per poter offrire a bam-bino e famiglia la miglior qualità di vita. È indispen-sabile un lavoro di coordinamento che faciliti l’in-serimento delle diverse figure e la comunicazio-ne interdisciplinare attraverso vari passaggi: la sele-zione, quando possibile; la formazione-informazio-ne; l’aggiornamento; il monitoraggio costante e laverifica dell’efficacia degli interventi. La presa incarico attraverso sia gli operatori che i vari pas-saggi deve favorire la ripresa della vita sociale delbambino (e della famiglia) al più alto livello possi-bile. E quando si parla di ripresa della vita socia-le si intende soprattutto ripresa della scuola (41).La scuola è oggi nella nostra realtà un modello fun-zionale ben consolidato e strutturato. È presente(come elementare e media) nei vari centri italianida diversi anni e si propone come elemento di nor-malizzazione della vita dei bambini ricoverati.L’obiettivo generale della scuola in ospedale èquello di assicurare al bambino malato la conti-nuità del suo sviluppo educativo anche nelmomento problematico della malattia, mantenen-do uno stretto collegamento con la scuola diappartenenza nei momenti dell’esordio dellamalattia, in itinere e al momento del reinserimen-to. Il percorso educativo si sviluppa nelle fasi fon-damentali di accoglienza, di attività didattica e direinserimento nella scuola di appartenenza utiliz-zando anche nuove tecnologie, come la videocon-ferenza e internet, in grado di mantenere reale

un’apertura della scuola verso l’ambiente esterno.Nulla deve essere lasciato al caso e, tutto nei limi-ti del possibile, deve essere opportunamente eadeguatamente organizzato. Solo così gli inter-venti dei diversi operatori possono mantenerequella continuità anche in loro assenza, quellagenuinità come interscambio efficace e quella veri-dicità come realizzazione concreta che costitui-scono il vero aiuto all’intero nucleo familiare.Essere informati non vuol dire capire ma condi-videre, accogliere non vuol dire comunicare madedicare tempo, dedizione, impegno, professio-nalità e omogeneità, caratteristiche indispensa-bili di un intervento che possa accompagnarepositivamente il bambino e i suoi genitori attra-verso il duro cammino della malattia (42, 43).

Il concetto di resilienzaCon la guarigione è possibile che nel soggetto sigenerino effetti positivi, acquisendo talvolta unamaggiore maturità emotiva e scoprendo una nuo-va prospettiva di vita; nelle situazioni stressanti siattivano infatti strategie di coping che mirano almantenimento di un’immagine di sé positiva (44). Negli ultimi anni, sicuramente anche grazie almiglioramento delle terapie e alla conseguenteminimizzazione degli effetti neurotossici, si è affer-mata sempre di più l’idea che i guariti da leuce-mia in età pediatrica siano individui capaci di svi-luppare la resilienza.Fondamentale è fornire una definizione accuratadel termine, in quanto sia gli psicologi che i clini-ci ritengono sia un concetto che possa essere con-siderato sotto molteplici punti di vista. Il caratte-re, la stima di sé e le capacità intellettive sono soloalcuni dei parametri che sono generalmente pre-si in considerazione nella valutazione del concet-to di resilienza. Diversi studi (44, 45) mostranocome tali parametri migliorino progressivamentenegli anni dopo la diagnosi, delineando la resilien-za come un processo e non come un’acquisizio-ne istantanea. Appare evidente quanto importan-ti e significative siano state le misure di sostegnopsicologico, le quali, quando correttamente mes-se in atto, rendono di fatto i malati maggiormen-te in grado di diventare resilienti. La resilienza essendo un processo e non una qua-lità fissa, per definizione è suscettibile di variazio-ni col passare del tempo. I soggetti resilienti non

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sono dunque da considerare come soggetti cheper tutta la durata della loro vita saranno insen-sibili e inattaccabili dagli eventi avversi, ma sem-plicemente come individui maggiormente capa-ci di adattarsi alle situazioni stressanti, per lo menonel momento in cui vengono valutati. Il progressivo consolidamento di questo pensie-ro, ha fatto sì che dal concetto di invulnerabilitàsi sia progressivamente passati a quello di resi-lienza, definita come la capacità di fronteggiarecon successo le avversità (46).La resilienza si configura durante il processo dicura più come pensiero positivo, capacità che ren-de i bambini in grado di affrontare le pesanti tera-pie a cui vengono sottoposti. Al termine delle cureil bambino evolve verso la capacità di superarel’esperienza traumatica e la rimozione dei senti-menti negativi tramite un processo simile allamemoria selettiva. Il soggetto mette dunque in attodue tipi diversi di negazione: un primo al momen-to della terapia (non pensare alle cure), e un secon-do una volta guarito (non pensare al periodo dimalattia: rimozione selettiva).Alcuni moderni studi sulla resilienza descrivono ilbambino sopravvissuto al tumore quasi come unsuperbambino: attivo, energico, positivo, maturoe sicuro di sé e del proprio futuro. Non bisognainvece mai sottovalutare che, sebbene le ricerchenon sempre li evidenzino, questi bambini o gio-vani adulti sopravvissuti hanno sicuramente parec-chi aspetti di vulnerabilità, che potrebbero emer-gere una volta superato l’avvenimento acuto.La promozione dei programmi di aiuto psicologi-co è indispensabile per far sì che i bambini e gliadolescenti ricoverati sviluppino le competenzeatte a far sì che la terapia dia come esito la gua-rigione globale del soggetto, intesa come statodi completo benessere fisico, psichico e socialee non semplice assenza di malattia. Anche la fami-glia è stata identificata da più di uno studio comestrumento necessario per il supporto del bambi-no e lo sviluppo della resilienza (47, 48). Gli stes-si studi evidenziano anche l’importanza del sup-porto esterno (scolastico, relazioni con i coeta-nei, attività ricreative…). Non ci sono però almomento evidenze monofattoriali di come il con-testo sociale, in particolar modo quello familiare,possa influenzare positivamente lo sviluppo del-la resilienza nei bambini con diagnosi di tumore.

I guariti dalla leucemiaL’obiettivo della terapia delle LLA e LMA è la gua-rigione globale, intesa secondo il concetto di salu-te della WHO come benessere fisico, psicologi-co, e sociale. A tal scopo, fin dai primi mesi del-la diagnosi è importante assicurare al bambino ealla famiglia un forte sostegno per superare nelmodo migliore il trauma della malattia. Garantireun supporto psicologico a lungo termine costitui-rebbe però un problema di ampie dimensioni, con-siderando che il numero dei bambini affetti dallaleucemia curati con successo è in continuoaumento. Negli ultimi 40 anni il tasso di guarigio-ne dei malati di LLA, la forma più comune di tumo-re infantile, è passato dallo 0 a oltre l’80%. Nelregistro italiano fuori terapia (ROT) dopo leucemia-tumore insorto in età pediatrica, i lungo soprav-viventi (o meglio, guariti) hanno raggiunto recen-temente il numero di 16.531, con un aumentoannuo compreso tra 900 e 1.000 casi.Lo status di guarito si assume dopo 5 anni libe-ri da malattia dall’interruzione delle cure. Si puòpensare che ci sia da parte dei pediatri di tali bam-bini una certa riluttanza a usare la parola “guari-to” nel parlare ai pazienti o alle famiglie, per viadelle possibili conseguenze a lungo termine, fisi-che e psicologiche, che la terapia e la malattiastessa portano con sé. Al contrario, uno studiocondotto a livello europeo mette in luce comel’80% dei pediatri utilizzi questa parola con unacerta confidenza nel colloquio con i pazienti (49).Nel caso delle leucemie pediatriche, le cure medi-che sono senza dubbio un punto decisivo per l’in-dividuo e la famiglia, sebbene il suo pieno signi-ficato psicologico non sia ancora stato sufficien-temente indagato (50). Lo stesso diradarsi dellevisite di follow-up dall’oncologo è espressione deldiminuito bisogno medico di una rivalutazione fre-quente del paziente. Tali cambiamenti, compre-sa l’acquisizione dello status di guarito, hanno unparticolare valore emotivo e sono dunque impor-tanti per la salute globale del paziente e il suo ritor-no alla vita normale da persona sana.

n CONCLUSIONI

Negli ultimi due decenni notevoli progressi sonostati ottenuti sia nella conoscenza dei meccani-

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smi biologici che nel trattamento della LLA e del-la LMA dell’età pediatrica. Grazie all’attuale pos-sibilità di assegnazione dei pazienti a specifichefasce di rischio in base ad affidabili criteri pro-gnostici, all’uso di aggressivi schemi di terapia,del trapianto di midollo osseo e di una efficaceterapia di supporto, circa l’80% dei bambini conLLA e circa il 50% di quelli con LMA possonoessere oggi guariti. Una moderna diagnosi di LLA viene oggi esegui-ta attraverso la valutazione di aspetti morfologi-ci, citochimici, citogenetici e di espressione geni-ca. Questi fattori, insieme alla valutazione dellarisposta iniziale al trattamento valutato in terminidi riduzione della quota blastica nel sangue peri-ferico o nell’aspirato midollare, concorrono ad unaaccurata stratificazione dei pazienti e ad un trat-tamento basato sul rischio di recidiva. La misu-razione della MRM, il cui livello riflette indiretta-mente sia le caratteristiche genetiche dei blastileucemici che variabili di tipo farmacogenetico/far-macodinamico, rappresenta oggi il più affidabilefattore prognostico. La disponibilità della misura-zione della MRM può quindi consentire, nell’am-bito di clinical trials controllati, la riduzione del-l’intensità del trattamento nelle categorie dipazienti con eccellente risposta al trattamento ini-ziale ed una intensificazione invece del trattamen-to stesso in quelli con prognosi scadente, per iquali possono anche essere scelte proceduremaggiormente impegnative quali quelle trapian-tologiche. Il trattamento della LLA in generale pre-vede alcune fasi intensive, di durata variabile,seguite da una fase prolungata di mantenimen-to, per una durata totale che per la maggior par-te dei gruppi cooperativi è di 2 anni.Anche per quanto riguarda la LMA esistono sot-togruppi ben individuabili sulla base di criteri mor-fologici, genetici e di espressione genica. L’usodella MRM sembra promettente nell’individuarein maniera precisa il rischio di recidiva. In gene-rale, i cardini del trattamento consistono nell’ot-tenimento e nel consolidamento della remissio-ne completa con schemi di terapia caratterizza-ti dall’uso di pochi farmaci, usati spesso a dosielevate e somministrati in schemi della durata dipochi giorni (blocchi). La durata globale del trat-tamento è solitamente di circa 4-6 mesi e non pre-vede, in generale, alcuna terapia di mantenimen-

to. Nel trattamento post–remissionale della LMAle procedure trapiantologiche hanno indicazionipiù ampie rispetto alle LLA; ciononostante, allaluce dei notevoli effetti collaterali a breve e lun-go termine associati al trapianto di midolloosseo, viene ritenuto di estrema importanza inquesti pazienti una accurata valutazione del rap-porto rischio/beneficio. Negli ultimi anni particolare attenzione è stataanche dedicata, da parte di numerosi gruppi coo-perativi internazionali:- alla realizzazione di accurati programmi di fol-low-up a breve e lungo termine con l’intenzio-ne di monitorare, eventualmente prevenire etempestivamente trattare eventuali patologiesecondarie alle cure somministrate per il trat-tamento front-line della leucemia acuta;

- all’assistenza psicosociale oggi indispensabileper garantire quella qualità di vita necessaria alegittimare i successi terapeutici.

RingraziamentiSi ringrazia Carla Manganini per l’eccellente lavo-ro segretariale di editing e revisione del lavoro.

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n INTRODUZIONE

Le sindromi mieloproliferative croniche, tipichepatologie dell’età adulta, classicamente sono con-siderate malattie clonali della cellula staminaleemopoietica, caratterizzate dalla proliferazione diuna o più linee mieloidi e comprendono: - la leucemia mieloide cronica (LMC), caratteriz-

zata dalla presenza del cromosoma Philadelphia(Ph+) e/o dal riarrangiamento BCR-ABL;

- la trombocitemia essenziale (TE), la policitemiavera (PV), e la mielofibrosi primitiva (MP), defi-nite nella classificazione WHO del 2008 neopla-sie mieloproliferative BCR-ABL negative (1). Adifferenza della LMC, questi disordini possonopresentare alterazioni genetiche e cromosomi-che eterogenee e non patognomoniche.

Recentemente, per le forme pediatriche è stataproposta la definizione di malattie o sindromi mie-loproliferative croniche (SMC), dal momento che

nei bambini molte forme sono policlonali e/o deri-vanti da mutazioni genetiche familiari (2). Inoltre,per la rarità delle forme con caratteristiche simi-li a quelle dell’adulto, nei bambini la TE viene piùappropriatamente definita trombocitemia spora-dica (TS) e la PV policitemia sporadica (PS).

n LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA

La LMC rappresenta meno del 3% di tutte le leu-cemie pediatriche, con un’incidenza che aumen-ta con l’età. È eccezionale nei neonati (finora èstato riportato un solo caso con una diagnosi a12 mesi) (3). L’incidenza annuale incrementa conl’età: nei soggetti di età <14 anni è di 0.7 per milio-ne mentre negli adolescenti (fino a 20 anni) è di1.2 per milione (4). La storia naturale della LMC pediatrica, analoga-mente a quanto si osserva negli adulti, si con-traddistingue per l’inevitabile evoluzione dalla fasecronica (FC) alla crisi blastica (CB), attraverso unafase intermedia non sempre identificabile, a len-ta progressione, definita fase accelerata (FA).Circa il 95% dei bambini viene diagnosticato inFC, mentre il rimanente 5% viene diagnosticatoin fase più avanzata.La LMC che colpisce i bam-bini è caratterizzata dalla stessa traslocazionebilanciata presente negli adulti, la t(9;22)(q34;q11).Il risultato è la formazione di un gene ibrido, BCR-ABL, derivante dalla fusione del proto-oncoge-ne c-ABL (originariamente situato sul cromoso-

Sindromi Sindromi mieloproliferative mieloproliferative cronichecronicheFIORINA GIONAEmatologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università degli Studi di Roma “Sapienza”

Parole chiave: leucemia mieloide cronica, tromboci-temia sporadica, trombocitosi ereditaria, policitemiasporadica, policitemia ereditaria.

Indirizzo per la corrispondenza

Fiorina Giona EmatologiaDipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università degli Studi di Roma “Sapienza”Via Benevento, 6 - 00161 Roma E-mail: [email protected]

Fiorina Giona

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ma 9) con il BCR (breakpoint cluster region), loca-lizzato sul cromosoma 22. In base al punto di rot-tura del BCR si possono avere trascritti diversi,di cui i più frequenti, b2a2 e b3a2, sono a cari-co di una specifica regione (M-BCR) e possonoanche manifestarsi simultaneamente, mentrealtri riarrangiamenti che avvengono al di fuori del-la regione M-BCR sono rari (2%). Anche nelle leu-cemie acute (LA) del bambino Ph+, i punti di rot-tura della t(9;22) si trovano nelle stesse regionidel gene BCR sul cromosoma 22. BCR-ABLcodifica per una tirosin-chinasi (TK) costitutiva-mente attiva, una proteina di peso molecolarevariabile da 210 kDa, come si osserva nella LMC,a 190 kDa come più frequentemente si riscon-tra nella LA linfoide (LLA) della linea B. Nei casiin cui l’esordio della malattia è caratterizzata dauna CB, senza una precedente FC identificabi-le, è impossibile discriminare una CB di LMC dauna LA Ph+.La strategia terapeutica nella LMC pediatrica sibasa sui dati derivati da studi condotti su popola-zioni di adulti, tenendo presente che nella scelta èimplicito l’obiettivo da raggiungere: l’eradicazionedella malattia, cioè la guarigione. Ad oggi, il trapian-to rimane l’unica terapia in grado di guarire la LMC,anche se recentemente è stata prospettata la stes-sa possibilità in categorie ben definite di adulti uti-lizzando l’imatinib, un’inibitore delle TK (5). Data la rarità di questa patologia in età pediatri-ca, i dati finora disponibili sulla LMC nei bambi-ni non risolvono ancora completamente alcuniquesiti, inevitabili nell’era degli inibitori delle TK.

Caratteristiche biologicheÈ noto che il gene ibrido BCR-ABL gioca un ruo-lo causale nella patogenesi della LMC e che il pro-cesso della sua formazione è multifattoriale e mul-tistep, e richiede un periodo di latenza molto lun-go e variabile (circa 10 anni) prima di essere com-pletato, come dimostrato da recenti dati biologi-ci e da modelli matematici (6). Tuttavia, i casi diLMC osservati in bambini molto piccoli, addirit-tura di un anno di età (3), suggeriscono che glieventi trasformativi possono avvenire in un arcodi tempo molto ristretto e portare allo sviluppo diun clone maligno in un tempo molto più breverispetto a quanto ipotizzato per l’adulto. Le cel-lule con riarrangiamento BCR-ABL presentano

una proliferazione incontrollata ed un blocco del-l’apoptosi, che sono il risultato sia dell’attivazio-ne di una complessa rete di segnali all’interno del-la cellula che della mancata risposta ai meccani-smi di regolazione molecolare che governano lacrescita e la differenziazione dei progenitori emo-poietici. Inoltre, la proteina di fusione BCR-ABL,avendo perduto la sua funzione nel processo diriparazione del DNA in seguito a stess genotos-sici, favorisce l’instaurarsi di un’instabilità geno-mica generalizzata che è alla base delle mutazio-ni geniche e/o alterazioni cromosomiche addizio-nali che determinano l’evoluzione della malattiadalla FC alla CB (7). C’è da aggiungere che la pro-teina di fusione BCR-ABL agisce in sinergia condiversi altri eventi genetici e cellulari che si accu-mulano nel tempo e che inevitabilmente portanoalla CB (6). Recentemente, è stato dimostrato chela progressione di malattia è dovuta all’instabili-tà cromosomica dei progenitori leucemici dellaLMC causata dalla continua generazione dilesioni cromosomiche instabili attraverso ripetu-ti cicli di rottura e riparazioni (8). Non sembrano esserci predisposizioni geneticheo etniche che favoriscono l’insorgenza della malat-tia. Nei bambini, non è stato dimostrato il ruolocausale di alcuni fattori di rischio, quali le radia-zioni ionizzanti e altri agenti ambientali, conside-rati per lo sviluppo della patologia negli adulti.Finora, non sono state identificate differenze bio-logiche nel processo di leucemogenesi neipazienti di età differenti. Tuttavia, fattori legatiall’ospite possono influenzare il decorso clinicosia dei pazienti in trattamento con gli inibitori del-le TK (metabolismo dei farmaci) sia di quelli sot-toposti a trapianto allogenico di cellule stamina-li (TACS), che tende ad essere migliore nei bam-bini probabilmente per una minore incidenza didisfunzioni d’organo legate all’età e all’assenza dipatologie croniche (3). Dal punto di vista ematologico, all’esordio dellamalattia i bambini presentano un’iperleucocitosidi grado più elevato rispetto agli adulti, in gene-re associata a splenomegalia (70%) e tromboci-tosi (60%). Un recente studio su un’ampia casi-stica pediatrica ha dimostrato che nei bambini,come negli adulti, specifici trascritti BCR/ABL,sono associati più frequentemente ad alterazio-ni ematologiche particolari, come ad esempio il

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trascritto b3a2 ad un più elevato numero di pia-strine . Al contrario di quanto riscontrato negliadulti, la frequenza dei diversi tipi di trascrittoBCR-ABL sembra essere diversa nella popolazio-ne pediatrica, in cui è riportata una prevalenza deltrascritto b2a2 rispetto al b3a2 (9).

Strategie terapeuticheLa terapia della LMC ha subito un profondo cam-biamento negli ultimi anni con l’avvento di un far-maco, l’imatinib mesilato, in grado di inibire selet-tivamente alcune TK implicate nel processo dioncogenesi. Prima dell’introduzione nella praticaclinica dell’Imatinib, il TACS era considerato laterapia eradicante standard per i bambini conLMC. L’azione curativa del TACS è legata essenzialmen-te all’effetto graft-versus-leukemia (GVL) comedimostrato dall’efficacia dei linfociti del donatore

nel trattamento delle recidive dopo trapianto. Finoa metà degli anni ’80, quei pazienti che non pote-vano beneficiare della procedura trapiantologica,venivano trattati con terapia citoriduttiva ed il far-maco più frequentemente utilizzato era l’idrossiu-rea (HU), capace di ridurre rapidamente la mas-sa cellulare inducendo una buona remissione cli-nica ed ematologica in più del 90% di pazientiadulti e bambini con LMC, senza, però, portare adun prolungamento della sopravvivenza.Nel 1983 sono state riportate delle risposte ema-tologiche in pazienti con LMC trattati conInterferon-α (IFN-α) (10), che dal 1985 fino al 2000è stato utilizzato sistematicamente sia negli adul-ti che nei bambini, da solo o in associazione conla citosina-arabinoside, con un significativo pro-lungamento della sopravvivenza. I dati disponibi-li su bambini con LMC trattati con IFN-α sono mol-to scarsi, tuttavia i risultati ottenuti, anche se mol-

TABELLA 1 - Risultati della terapia con interferon-α in pazienti pediatrici con LMC.

Autore/ Numero Risposta Outcome Notereferenza pazienti/fase

di malattia/terapia

Dow LW et al., 15 pazienti Risposta ematologica completa 2 pazienti vivi 10 pazienti hanno sospeso1991 (11) con LMC in FC = 66,5% (10/15 pazienti) in RCiM l’IFN-α per scarsa risposta

o effetti collateraliIFN-α

Millot F et al., 12 pazienti con Risposta ematologica completa 5 pazienti vivi Studio multicentrico2002 (12) LMC in FC = 83% (10/12 pazienti) in RCiM randomizzato (IFN-α vs

6 IFN-α + ARA-C RCiM = 41,5% (5/12 pazienti) ARA-C + IFN-α) 6 IFN-α

Giona F et al., 30 pazienti con Risposta ematologica completa Sopravvivenza Studio monocentrico2005 (13) LMC in FC =94,5% (17/18 pazienti valutabili) globale a 8 anni retrospettivo italiano

= 63% con IFN-α con un follow-upe 62% con TACS mediano di 8 anni

IFN-α RCiM = 65% (11/17 pazienti) 13 TACS (familiare HLA+RCiC = 23,5% [4/11 (36%) e/o non rispondentipazienti con RCiM] all’IFN-α)RMC = 3/4 con RCiC

Millot F et al., 14 pazienti Risposta ematologica completa 13/14 (93%) hanno Studio pluricentrico2006 (14) entro 3 mesi = 7/14 pazienti ricevuto TACS pediatrico (12 centri)

IFN-α + ARA-C RCiM = 50% (7/14 pazienti) 8/13 (61,5%) vivi 8 pazienti hannoRCiC entro 12 mesi = 2/7 pazienti in RCiC lasciato la terapia

per eventi avversi di grado 3 e 4

FC = fase cronica; RCiM = risposta citogenetica maggiore; RCiC = risposta citogenetica completa; RMC = risposta molecolare completa; TACS = trapian-to allogenico di cellule staminali; IFN-α = interferon-α.

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to variabili, sono simili a quelli riportati negli adul-ti: una risposta ematologica è stata osservata inuna percentuale di pazienti variabile dal 66.5% al94.5%, una risposta citogenetica maggiore nel41.5-65% e una sopravvivenza globale a 8 annidel 63% (11-14) (Tabella 1).– Trapianto di cellule staminali allogeniche. Sonostati finora pubblicati pochi studi retrospettiviriguardanti il TACS nei bambini con LMC (Tabella2), da cui emerge che i risultati del trapianto sonocondizionati da diversi fattori, simili a quelli iden-tificati nei pazienti adulti, quali: la fase di malattiain cui è stato eseguito il trapianto (FC o fase avan-zata), la fonte di cellule staminali utilizzata (dona-

tore familiare o volontario) e l’intervallo di tempotra la diagnosi di LMC ed il trapianto (15-18). Per quanto riguarda i risultati dei TACS tra il 1982ed il 2004, nei bambini in FC trapiantati da dona-tore familiare compatibile l’EFS (sopravvivenzalibera da eventi) a 3-5 anni è risultata del 63-73%con una OS (sopravvivenza complessiva) del 75-87% (15-17), mentre in quelli trapiantati da dona-tore volontario compatibile l’andamento erapeggiore (EFS variabile dal 27% al 55% e un’OSdel 45-65%) (15-18) per una maggiore inciden-za di graft-versus-host disease (GVHD), sia acu-ta che cronica. Anche nei bambini trapiantati infase avanzata (FA, CB o 2° fase cronica) la pro-

TABELLA 2 - Risultati del TACS in studi clinici con un numero di pazienti pediatrici con LMC >50 (29 modificato).

Autore/referenza/ Numero Tipo di Outcome Commentiperiodo di di pazienti donatore e reclutamento stato di malattia

Millot F et al., 76 pz MSD: 60 pz EFS a 5 anni = 61% Studio retrospettivo multicentrico francese2003 (15) VUD: 16 pz EFS a 5 anni = 27% Elevata probabilità di recidiva a 5 anni 1982-1998 1° FC → TACS da MSD EFS a 5 anni = 73% nei pazienti trapiantati in FA

FA → TCSA da MSD EFS a 5 anni = 32%

Cwynarski K 314 pz MSD = 182 pz OS a 3 anni = 66% Analisi retrospettiva del registro EBMTet al., 2003 (16) VUD =132 pz LFS a 3 anni = 55% Sia l’OS che la LFS sono superiori nei 1985-2001 pazienti trapiantati in 1° FC.

253 pz in 1° FC 1° FC → TACS da MSD OS a 3 anni = 75% Maggiore TRM dopo trapianto da VUD(61 pz in FC>1) = 156 pazienti LFS a 3 anni = 63% rispetto a quello da MSD: 35% vs 20%

1° FC → TACS da VUD OS a 3 anni = 65%= 97 pazienti LFS a 3 anni = 56%

Muramatsu H 125 pz VUD OS a 5 anni = 59% Analisi retrospettiva multicentricaet al., 2010 (17) LFS a 5 anni = 55% giapponese di TCSA da donatore volontario1993-2005 88 pz in 1° FC 55/125 TACS da 17 pazienti trattati con imatinib pre-TACS

13 pz in FC>1 donatore con 10/10 37/125 (30%) pazienti con malattia avanzata11 pz in FA o 9/10 HLA-match Elevato numero di pazienti con differenze HLA13 pz in CB

Suttorp M et al., 176 pz MSD = 41 pz/VUD =108 pz Studio prospettico tedesco sul TCSA (CML-2009 (18) paed I) con l’obiettivo di eseguire il trapianto1995-2004 144 pz in 1° C LMC-FC1 TACS da MSD = 41 pz OS a 5 anni = 87% da MSD entro 6 mesi e quelli con VUD entro

LMC-FC1 TACS da VUD = 71 pz OS a 5 anni = 52% 12 mesi dalla diagnosi, dopo terapiaLMC-FC1 TACS da MMD = 23 pz OS a 5 anni = 45% standardizzata.

La TRM e la GVHD hanno contribuito aiTACS in FC1: OS a 5 anni = 74% risultati inferiori nel trapianto da VUD e daentro 6 mesi: 49 pz OS a 5 anni = 62% HLA-mismatched.entro 7-12 mesi: = 52 pz OS a 5 anni = 62% Lo studio è stato chiuso quando l’imatinib è>12 mesi: = 43 pz stato registrato, a causa della mancanza di

arruolamento dei pazienti.

FC = fase cronica; FA = fase accelerata; CB = crisi blastica; TACS = trapianto allogenico di cellule staminali; MSD = donatore familiare compatibile; VUD = donatore volontario non familia-re; MMD = donatore non compatibile; EFS = sopravvivenza libera da eventi; OS = sopravvivenza globale; LFS = sopravvivenza libera da leucemia; EBMT = European Bone Marrow Transplant;TRM = mortalità correlata al trapianto

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gnosi è risultata peggiore, analogamente aquanto riportato negli adulti (15, 17). Purtroppola GVHD è la complicanza più temibile e deva-stante del trapianto perché influenza negativa-mente sia la sopravvivenza che la qualità di vita.Numerosi sono stati i tentativi di ridurne la com-parsa e l’entità, ma, purtroppo, l’incidenza e lamorbidità della GVHD rimangono ancora troppoelevati. In uno studio su 1.117 bambini con leu-cemia o mielodisplasia trapiantati tra il 1995 edil 2004 utilizzando fonti diverse di cellule stami-nali (familiare compatibile o mis-matched, dona-tore volontario, cellule cordonali), la GVHD cro-nica è risultata associata con una significativamortalità (24% a 5 anni dalla diagnosi di GVHD,in assenza di malattia) (19). Anche la comparsadi una recidiva può condizionare la prognosi diquesti pazienti, anche se l’infusione di linfociti dadonatore, sfruttando l’effetto GVL di queste cel-lule, può rappresentare un trattamento efficaceper le recidive post-trapianto (20). Un recente studio retrospettivo nell’ambitodell’IBMTR (International Blood and MarrowTransplant Research) ha dimostrato che i pazien-ti che avevano ricevuto l’imatinib o altri inibitoridelle TK prima del trapianto risultavano avere unrischio più basso di morte rispetto a quelli non trat-tati (21), probabilmente perché la terapia con ini-bitori delle TK, riducendo la massa leucemica almomento della procedura, comporta un minorrischio di recidiva. L’efficacia terapeutica dell’ima-tinib è stata segnalata anche nel post-trapianto,nel trattamento della GVHD cronica (22) e nel pre-venire le recidive, anche se in quest’ultimo casosono ancora da definire il timing di inizio e la dura-ta (23, 24). – Imatinib. Inibitore delle TK di prima generazio-ne, si lega alla forma inattiva del BCR-ABL. Il suoimpiego nella LMC è stato approvato da parte del-le autorità regolatorie nel 2001 per gli adulti e nel2003 per i bambini. L’introduzione dell’imatinib harivoluzionato la terapia negli adulti con LMC. Ilgruppo IRIS (International Randomized Study ofInterferon and STI571) con il primo studio com-prendente 553 adulti con LMC ha dimostrato l’ef-ficacia dell’imatinib sia sulla risposta ematologi-ca che sulla sopravvivenza a breve termine neipazienti trattati in FC (25). Il follow-up a lungo ter-mine ne ha confermato l’efficacia in questi

pazienti, con una risposta ematologica comple-ta nel 97% dei casi, una risposta citogeneticacompleta (RCiC) nell’82% e una sopravvivenzalibera da malattia e globale, rispettivamente, del83% e 88% a più di 6 anni dall’inizio della tera-pia con imatinib (26). Negli adulti in FC con unarisposta subottimale alla dose considerata stan-dard (400 mg/die), l’imatinib si è dimostrato effi-cace ad un dosaggio progressivamente crescen-te (da 400 a 800 mg/die) con una RCiC nel 40%dei pazienti e una EFS del 57% a 2 anni e di cir-ca il 10% a 7 anni (27). L’attività dell’imatinib èrisultata inferiore nelle forme avanzate di LMC (FA,CB, FC >1) con una risposta ematologica com-pleta nel 34% di adulti trattati in FA e nell’8% deicasi trattati in CB mieloide, con una sopravviven-za globale ad 1 anno del 74% nei primi e con unamediana di progressione di malattia di 10 mesi(28). Finora, pochi sono gli studi riguardanti l’im-piego dell’imatinib nella LMC in età pediatrica(Tabella 3). Al 2010, il numero di bambini trattaticon imatinib risultava essere meno di 200 (29).In uno studio su un piccolo numero di bambinicon leucemia Ph+, l’imatinib (400 mg/m2/die perquelli con superficie corporea <1 m2 e 400mg/ dieper quelli con superficie >1 m2) si è dimostratoben tollerato ed efficace: tutti i bambini (4 conLMC e 1 con LA a fenotipo misto) hanno ottenu-to una risposta ematologica, citogenetica emolecolare completa dopo una mediana, rispet-tivamente, di meno di 30, 285, e 287 giorni (30).In uno studio di fase I su 31 bambini con leuce-mia Ph+, l’imatinib è risultato ben tollerato ai diver-si dosaggi utilizzati, varabili da 260 a 570mg/m2/die. Un dato importante che è emerso èstato quello della dose-equivalente: le dosi di 260mg/m2/die e 340 mg/m2/die corrispondevano,rispettivamente, a quelle di 400 e 600 mg utiliz-zate negli adulti. Sebbene l’obiettivo finale dellostudio fosse quello di stabilire la dose massimatollerata, una RCiC è stata osservata in 10 su 12(83%) bambini con LMC trattati in fase cronica(31). In uno studio di fase 2 su 30 bambini conLMC ad alto rischio (FC resistenti o intollerantiall’IFN-α, FA, CB o in recidiva dopo TACS), l’ima-tinib ha dimostrato la sua efficacia ad un dosag-gio variabile da 260 a 340 mg/m2/die. Una remis-sione ematologica completa e una RCiC sono sta-te ottenute rispettivamente nell’80% e nel 60%

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dei bambini in FC avanzata, e nel 75% e nel 29%nei bambini trattati in una fase di malattia più avan-zata. L’OS a 1 anno è stata del 95% per i bam-bini trattati in FC e del 75% per quelli trattati infase più avanzata (32). In uno studio comprenden-te 29 pazienti con LMC in FC, 5 dei quali intolle-ranti o resistenti all’IFN-α, l’imatinib, somministra-to ad alto dosaggio (340 mg/m2/die), si è dimo-strato attivo ed efficace a breve e a lungo termi-ne, con una tossicità limitata (solo il 10% deipazienti ha interrotto il farmaco). Le risposte com-

plete sia ematologiche che citogenetiche sonostate elevate (96%), così come le risposte mole-colari maggiori (RMM) (88%), probabilmente perl’alto dosaggio utilizzato. Nei pazienti in RMM,l’imatinib è stato continuato allo stessa dose per3 settimane e sospensione di una settimana almese, allo scopo di ridurne gli effetti collaterali sulmetabolismo osseo e sulla crescita osservati neisoggetti trattati in età prepubere, senza conse-guenze sulla risposta terapeutica. In 3 pazienti inremissione molecolare completa (RMC) persisten-

TABELLA 3 - Risultati della terapia con imatinib nei principali studi clinici su pazienti pediatrici con LMC.

Autore/referenza Numero pazienti e Risposta Outcome Notefase di malattia

Champagne MA 31 pz 14 pz LMC-FC → risposta 13/14 pz LMC-FC Studio francese di farmacocinetica.et al., 2004 (31) ematologica completa = 100% vivi (93%) Obiettivo: identificare la dose

14 pz LMC-FC RCiC = 83% (10/12) (1 deceduto x massima tollerata di imatinib in età7 pz in fase avanzata 7 pz con forma mieloide complicanze da TACS) pediatrica.con forma mieloide → risposta ematologica Sopravvivenza mediana Conclusione: le dosi di 260 e 340(1 LAM + 6 LMC-CB) completa = 33% (2/7) x pz in fase mg/m2 utilizzate nei bambini

10 pz con forma linfoide avanzata: corrispondono, rispettivamente, alle10 pz in fase avanzata → risposta ematologica 7 mesi forma mieloide dosi di 400 e 600 mg, utilizzate neglicon forma linfoide completa = 70% (7/10 pz) 15 mesi forma linfoide adulti(9 LAL + 1 LMC-CB)

Millot F et al., 30 pz LMC-FC → risposta ematologica Riduzione del bcr-abl/abl Studio multicentrico europeo di fase2006 (32) completa = 80% (8/10 pz) ratio <10-4 in 11 (50%) 2 con l’obiettivo di valutare l’efficacia

22 pz LMC-FC RCiC = 60% (12/20 pz) bambini in FC. dell’imatinib nella LMC in fase5 pz LMC-FA OS proiettata a 12 mesi: avanzata, nelle recidive post-3 pz LMC-CB fase avanzata → risposta 95% per i pz in FC trapianto e/o resistenti ad IFN-α

ematologica completa = 75% e 75% per quelli in fase(6/8 pz) avanzataRCiC=29% (2/7 pz)

Giona F et al., 29 pz LMC-FC risposta ematologica completa 8 pz in RMM >24 Studio retrospettivo in 8 centri2010-2011 (5/29 resistenti o = 96% (23/24 pz valutabili) mesi ->imatinib a pediatrici italiani.(33, 34) intolleranti all’IFN-α) RCiC = 96% (24/25 pz intermittenza Dosaggio imatinib 340 mg/m2/die

valutabili) (3 settimane e1 settimana stop)

RMM = 88% (15/17 pz 3 pz in RMC → 10% di pz ha sospeso l’Imatinibvautabili) stop imatinib → RMC per tossicità

>24 mesi dopo stop

Millot F et al., 44 pazienti LMC-FC risposta ematologica completa Incremento della dose Studio multicentrico francese di fase2011 (35) = 98% (43/44 pz) nel 20% dei casi. 4 con l’obiettivo di valutare in

Interruzione dell’imatinib bambini con nuova diagnosi diRCiC = 77% (36/44 pz) per insoddisfacente LMC–FC l’efficacia dell’imatinib[61% (27/44 pz) a 12 mesi] risposta. (260 mg/m2/die → 340 mg/m2/die)RMM = 57% (25/44 pz)[31% (14/44 pz) a 12 mesi]

FC = fase cronica; FA = fase accelerata; CB = crisi blastica; TACS = trapianto allogenico di cellule staminali; IFN-α = interferon-α; RCiC = risposta citogenetica completa; RMM = rispostamolecolare maggiore; RMC = remissione molecolare completa; OS = sopravvivenza globale;

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te è stato deciso di interrompere la somministra-zione dell’imatinib e di controllare l’andamento del-la malattia con un monitoraggio mensile del tra-scritto su sangue venoso periferico (SVP). Dopo24 mesi di follow-up, i 3 pazienti continuano amantenere una RMC (33, 34). Il più ampio studioprospettico è un trial clinico di fase 4 compren-dente 44 bambini con LMC in FC trattati con ima-tinib a basso dosaggio (260 mg/m2/die, corrispon-dente a 400 mg/die nell’adulto), in cui la remis-sione ematologica completa è stata ottenuta nel98% dei casi, con una percentuale di RCiC e diuna RMM ad 1 anno, rispettivamente, del 61%e del 31% e una sopravvivenza libera da malat-tia del 98% dopo un follow-up mediano di 31mesi. Purtroppo, circa il 30% di pazienti ha dovu-to interrompere l’imatinib per un’insoddisfacenterisposta, per cui sono stati avviati a TACS o a tera-pia con inibitori delle TK di seconda generazio-ne (35). – Gli inibitori delle TK di seconda generazione. Silegano sia alla forma attiva che a quella inattivadel BCR-ABL, dimostrando una sensibilità 2-loga-ritmi maggiore rispetto all’imatinib ed un’attivitàterapeutica nei casi di mutazioni di BCR-ABL cheprovocano la resistenza all’imatinib, tranne che perla mutazione T315I. Per quanto riguarda l’auto-rizzazione al loro uso, l’FDA ha approvato l’utiliz-zo del dasatinib nel 2006 e del nilotinib nel 2007per il trattamento degli adulti con LA Ph+, intol-leranti o resistenti all’imatinib. Diversi studi clini-ci su casistiche ampie di adulti hanno riportatorisultati promettenti sull’impiego di questi inibito-ri delle TK anche come trattamento di prima linea(36, 37). In uno studio randomizzato su pazienticon LMC in FC, il dasatinib si è dimostrato supe-riore all’imatinib nell’indurre una risposta sia cito-genetica che molecolare, con una tossicitàsovrapponibile. Dopo 1 anno di trattamento, laRCiC era del 77% nei pazienti trattati con dasa-tinib contro il 66% in quelli che avevano ricevu-to l’imatinib, con una RMM del 46% in quelli delprimo gruppo (dasatinib) contro il 28% di quellidel secondo gruppo (imatinib) (36). Un altro stu-dio multicentrico internazionale ha dimostrato lasuperiorità del nilotinib rispetto all’imatinib, con glistessi effetti collaterali: ancora dopo 1 anno di trat-tamento, la RCiC era dell’80% nei pazienti trat-tati con nilotinib contro il 65% in quelli che ave-

vano ricevuto l’imatinib, con una RMM del 44%per quelli trattati con nilotinib contro il 22% di quel-li trattati con imatinib (37). Questi due studi suampie casistiche hanno messo le basi per l’im-piego degli inibitori delle TK di seconda genera-zione come terapia di prima linea negli adulti conLMC e nei bambini con leucemie BCR-ABL+. Inun recente studio di fase 1, il dasatinib è statoimpiegato a dosi scalare in 39 bambini con tumo-ri solidi o leucemie. Tutti e 8 i bambini con LMCvalutabili hanno ottenuto una risposta, in partico-lare sono state osservate 6 risposte citogeneti-che, di cui 3 complete e 3 parziali (38).Attualmente, è aperto all’arruolamento uno stu-dio di fase 2 con il dasatinib (NCT00777036) perpazienti pediatrici con LMC in FC di nuova dia-gnosi. Per quanto riguarda l’uso del nilotinib neibambini, i dati sono limitati. La casistica più ampiafinora riportata comprende 16 pazienti pediatrici(8 LLA Ph+ e gli altri con LMC in FA o CB) trat-tati con nilotinib, ottenuto per uso compassione-vole, ad un dosaggio diverso in base al peso cor-poreo (400 mg x 2 volte al dì per quelli con peso>40Kg e 300 mg x 2 volte al dì per quelli con pesoinferiore). Sebbene la tossicità rilevata sia statasimile a quella osservata negli adulti, purtroppol’efficacia si è dimostrata inferiore, con scarsibenefici per quei pazienti non rispondenti all’ima-tinib e al dasatinib (39). Attualmente, è apertoall’arruolamento uno studio multicentrico interna-zionale di fase 1 con il nilotinib (NCT01077544)per pazienti pediatrici con LMC resistenti o intol-leranti all’imatinib in FC o in FA oppure con LLAPh+ refrattaria alla terapia standard.– La resistenza all’imatinib. Gli indiscutibili succes-si clinici degli inibitori delle TK sono ridimensio-nati da una certa percentuale di fallimenti osser-vati, comprendenti sia le resistenze primarie chequelle secondarie. Nello studio IRIS in cui l’imati-nib veniva impiegato in pazienti con una nuova dia-gnosi di LMC, nel 2% di casi si è osservata unaresistenza ematologica primaria, mentre l’8-13%di pazienti non ha ottenuto una risposta citoge-netica maggiore o completa (40). Questo tipo diresistenza, definita primaria, può essere il risulta-to di variazioni farmacocinetiche, comprendentianomalie nel trasposto o nel flusso del farmaco.Le sue basi biologiche sono al momento scono-sciute; sembra esserci una predisposizione gene-

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tica dal momento che una resistenza primaria èstata osservata più frequentemente in pazienti pro-venienti dal Sud-Est asiatico rispetto a quellidell’Europa e Nord America (41). La resistenzasecondaria o acquisita comprende quegli eventiche si verificano dopo una iniziale risposta all’ima-tinib, quali la recidiva ematologica o citogeneticao la progressione in FA o in CB, che si osserva-no nel 15-20% di pazienti, soprattutto nei primi 4anni di trattamento (40). La resistenza seconda-ria è dovuta soprattutto all’acquisizione di muta-zioni puntiformi all’interno del dominio di BCR-ABLe, meno frequentemente, all’overespressione delBCR-ABL. Una delle mutazioni, la T315I, causauna resistenza non solo all’imatinib ma anche aglialtri inibitori delle tirosin-chinasi finora approvati.Attualmente sono in via di sperimentazione indiversi trials clinici, altri farmaci, quali il ponatinib(42) ed il bosutinib (43) in grado di inibire l’attivitàdella TK associata alla T315I. I meccanismi di resi-stenza indipendenti da alterazioni BCR-ABL com-prendono: l’evoluzione clonale, i livelli plasmaticisub-ottimali dell’inibitore come conseguenza di unpiù rapido metabolismo mediato dagli enzimi delcitocromo P450; la riduzione della disponibilitàintracellulare dell’imatinib dovuto a un ridotto flus-so dall’esterno all’interno e/o dall’aumento del flus-so dall’interno all’esterno della cellula. – La farmacocinetica degli inibitori delle TK. Unostudio su volontari sani ha dimostrato che l’ima-tinib viene completamente assorbito dopo som-ministrazione orale ed il 95% si lega alle protei-ne plasmatiche e scisso nel suo metabolita prin-cipale, il CGP-74588 (44). Entrambe le molecolehanno proprietà farmacocinetiche simili e sonometabolizzate nel fegato dagli enzimi CYP3A4 eCYP3A5 del citocromo P450, come dimostratoin uno studio su bambini affetti da leucemie Ph+trattati con imatinib (45). Diversi farmaci posso-no interferire con il citocromo P450, aumentan-done ( chetoconazolo, itraconazolo, eritromicina,claritromicina, ecc.) o diminuendone i livelli pla-smatici (carbamazepina, fenobarbitale, fenitoina,rifampicina, desametasone, ecc). Nei bambini,l’emitiva plasmatica dell’imatinib è di 15 ore, leg-germente più breve rispetto a quella riscontratanegli adulti, che è di 17 ore, con livelli stabili dopo7 giorni dall’inizio della terapia (31). Sono state,comunque, segnalate variabilità individuali signi-

ficative nelle concentrazioni plasmatiche e in altriparametri farmacocinetici (emivita e clearance) perquanto riguarda non solo l’imatinib (31, 44, 46) maanche il dasatinib (38) mentre per il nilotinib è tut-tora in corso uno studio di farmacocinetica inbambini con LA Ph+ (NCT01077544), aperto all’ar-ruolamento nel Dicembre 2010. Purtroppo, datidi farmacocinetica degli inibitori delle TK nei bam-bini molto piccoli, di età inferiore a 4 anni, sonomolto scarsi. In base alla farmacocinetica di altrifarmaci, è possibile che i neonati e i bambini mol-to piccoli abbiano un aumentato metabolismo e,di conseguenza, più basse concentrazioni plasma-tiche degli inibitori delle TK rispetto ai bambini piùgrandi e agli adolescenti.La formulazione in capsule degli inibitori delle TKcomporta dei problemi di compliance nei bam-bini, soprattutto quelli più piccoli. In caso di unapersistente difficoltà di assunzione, possonoessere utilizzate delle formulazioni liquide dei far-maci da somministrare immediatamente dopo lapreparazione. – Monitoraggio del trattamento. L’efficacia dellaterapia con inibitori delle TK negli adulti viene valu-tata in base sia al raggiungimento di una rispo-sta (ematologica, citogenetica e molecolare) defi-nita secondo precisi criteri sia al tempo impiega-to per il suo ottenimento. Il primo obiettivo tera-peutico è la risposta ematologica (scomparsa deisintomi iniziali; leucociti ≤10 x 109/L con formulaleucocitaria normale senza forme immature ebasofili <5%; piastrine <450 x 109/L; milza nonpalpabile). Il secondo obiettivo è la risposta cito-genetica, che si valuta con la citogenetica con-venzionale su metafasi ottenute da cellule midol-lari [completa: assenza di metafasi Ph+; maggio-re: ≤35% metafasi Ph+, minore: 36-65% meta-fasi Ph+ (risposta maggiore+ minore=risposta par-ziale); minima: 66-95% metafasi Ph+; assente:>95% metafasi Ph+]. Nei casi in cui si ottiene unnumero di metafasi <20 con la citogenetica con-venzionale, si raccomanda di utilizzare la meto-dica FISH (Interphase fluorescence in situ hybri-dization) con la valutazione di almeno 200 nuclei.Per il monitoraggio dei pazienti in FC è stato sug-gerito l’impiego della FISH sui leucociti da SVP,in sostituzione della citogenetica convenzionalesu midollo. Rispetto alla citogenetica, la FISH pre-senta dei vantaggi, perchè meno costosa, di più

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rapida esecuzione e meno invasiva; purtroppo,non rileva eventuali alterazioni cromosomicheaggiuntive, evidenziabili con la metodica classi-ca. L’obiettivo finale è la risposta molecolare, valu-tata con la metodica della PCR (polimerase chainreaction) quantitativa, in grado di identificare lapresenza del trascritto BCR-ABL di 1 su 100.000cellule (10−6). A causa della estrema variabilitànumerica derivante dalla metodica, si è deciso diesprimere la risposta molecolare in termini di unInternational Scale (IS) frutto dei risultati standar-dizzati in diversi laboratori internazionali (47,48).È definita RMM, un rapporto BCR-ABL/ABL<0,1%, mentre la RMC viene definita quando ilrapporto è <0,001 oppure il trascritto non è evi-dente. Per quanto riguarda il tempo impiegato perraggiungere la risposta, negli adulti vengono con-siderate risposte ottimali: l’ottenimento dellarisposta ematologica completa a 3 mesi, il rag-giungimento di una risposta citogenetica parzia-le a 6 mesi, di una RCiC a 12 mesi e di una RMMa 18 mesi. Alcuni autori raccomandano il moni-toraggio della risposta alla terapia con la citoge-netica da midollo ogni 3-6 mesi, con o senza ana-lisi FISH da SVP ogni 3 mesi, con o senza la PCRquantitativa da SVP ogni 3 mesi (49). In conside-razione delle opzioni terapeutiche attualmentedisponibili (inibitori delle TK per un tempo inde-terminato vs trapianto), è indispensabile un accu-rato monitoraggio della malattia sia con la PCRquantitativa da SVP che con la citogenetica damidollo. Quando si verifica un incremento del tra-scritto BCR-ABL e/o una perdita della risposta oquando la malattia esordisce in FA o CB, è utileeseguire l’analisi delle mutazioni. Benchè ci pos-sano essere delle oscillazioni nei livelli del trascrit-to con la metodica della PCR quantitativa, spe-cialmente a livelli assoluti molto bassi, un aumen-to di 5-10 volte è considerato preoccupante edeve indirizzare ad un cambiamento di terapia,mentre per un aumento del trascritto inferiore a5 volte è indicato ripetere la PCR quantitativa dopo1-3 mesi senza modificare la terapia (49). Al momento non ci sono dati e indicazioni spe-cifiche riguardanti la popolazione pediatrica.– Tossicità a breve e lungo termine degli inibito-ri delle TK. L’imatinib è generalmente ben tollera-to e gli effetti collaterali immediati sono inferioririspetto a quelli osservati con la chemioterapia con-

venzionale. La tossicità ematologica, che si veri-fica più frequentemente entro i primi 6 mesi di tera-pia, è rappresentata soprattutto da trombocitope-nia o neutropenia; in questo caso è consigliabilesospendere momentaneamente l’inibitore piutto-sto che ridurne la dose. Per quanto riguarda la tos-sicità extra-ematologica, caratterizzata da una sin-tomatologia gastrointestinale, quale nausea, vomi-to, diarrea e alterazione della funzionalità epatica,rash, edema, mialgia e dolori osteo-articolari, com-pare anch’essa nei primi mesi della somministra-zione dell’inibitore. Nel caso di una persistenza disintomi di grado ≥3 secondo la classificazioneWHO, si consiglia l’interruzione del farmaco e unastrategia terapeutica alternativa. Purtroppo, l’azio-ne dell’imatinib non è limitata solo all’inibizione del-la funzione tirosin-chinasica di BCR-ABL, maanche al blocco del platelet-derived growth fac-tor receptor (PDGF-R) e del c-KIT, presenti sullecellule normali, con effetti collaterali su diversi orga-ni ed apparati. Negli adulti sono state osservatealterazioni sia nel metabolismo osseo che endo-crine con ginecomastia; entrambi questi effetti col-laterali sono stati attribuiti all’inibizione del PDGF-R e del c-KIT di cellule normali (50-52). In bambi-ni trattati con imatinib in età prepubere, sono sta-ti riscontrati livelli di progesterone plasmatico piùelevato della norma (51), analogamente a quantoosservato in maschi adulti (53). Inoltre, una ridu-zione del rapporto inhibina-B/FSH con severa oli-gozoospermia anche durante la terapia con ima-tinib ad intermittenza si è osservata in un ragaz-zo in cui il farmaco era stato iniziato in età prepu-bere (53). Per quanto riguarda l’azione dell’imati-nib sul metabolismo osseo, i dati disponibili sugliadulti indicano che l’imatinib stimola la formazio-ne dell’osso inibendone il riassorbimento, consequestro del calcio e del fosforo nell’osso e con-comitanti più bassi livelli sierici di questi minerali(52, 54). Al contrario, in alcuni bambini è statoriscontrato un aumentato riassorbimento osseocon valori sierici normali o addirittura superiori allanorma del calcio e del fosforo (53). La discrepan-za tra l’attività osteogenica riportata negli adulti elo stimolo al riassorbimento osseo osservato nel-la popolazione pediatrica può essere spiegato conil fatto che l’azione dell’inibitore sul metabolismoosseo è diverso a seconda dell’età del soggetto.L’effetto a lungo termine più frequente nei bam-

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bini è un rallentamento nella crescita, soprattuttoin quelli che hanno iniziato l’imatinib in età prepu-bere (53, 55-57). Un gruppo giapponese ha evi-denziato un ritardo di crescita nel 73% dei bam-bini che avevano ricevuto l’imatinib per un perio-do mediano di 34 mesi (57). Il meccanismo attra-verso il quale l’imatinib causa un ritardo nella cre-scita rimane sconosciuto. Recentemente è stato

ipotizzato che il farmaco agisce a livello ipofisa-rio provocando una ridotta secrezione di GH (58).Tuttavia, in 4 pazienti trattati in età prepubere è sta-to rilevato un ritardo nella crescita in presenza divalori normali non solo di GH, ma anche di TSH,e IGF-1. Questi pazienti hanno raggiunto un nor-male sviluppo quando l’imatinib è stato sommi-nistrato ad intermittenza, suggerendo una relazio-

TABELLA 4 - Argomenti pro e contro la terapia con inibitori delle tirosin-chinasi (TK) ed il TACS come terapia di prima linea inpazienti pediatrici con LMC in FC (29 modificato).

Inibitori delle TK TACS

Pro

Contro

La PCR quantitativa permette un accurato monitoraggio del-la risposta alla terapia e dell’eventuale perdita di risposta,dando così la possibilità di eseguire il trapianto prima dellaprogressione della malattia.

La tossicità a breve termine è bassa e gestibile.

L’uso dell’imatinib prima del TACS non sembra influenzarenegativamente la sopravvivenza globale.

L’intervallo tra la diagnosi ed il TACS non sembra influenza-re la sopravvivenza nei pazienti trattati con inibitori delle TK.

Non essendo possibile applicare nei bambini i fattori pro-gnostici utilizzati per gli adulti con LMC, quale il Sokal ol’Hasford score, la risposta precoce all’imatinib rappresen-ta un parametro clinicamente rilevante per valutare l’aggres-sività della LMC.

In caso di fallimento della terapia con imatinib, possono esse-re utilizzati con successo gli inibitori delle TK di secondagenerazione.

Raramente, qualche bambino può sviluppare improvvisamen-te una crisi blastica.

Le donne devono evitare una gravidanza perché l’imatinibè teratogeno.

La tossicità a lungo termine è ancora da definire. Tuttavia,sono state riportate alterazioni del metabolismo osseo e del-la sfera endocrina nei bambini, soprattutto in quelli trattaticon imatinib in età prepubere.

La terapia con inibitori delle TK, iniziata in età pediatrica, puòessere proseguita indefinitamente, con effetti a lungo termi-ne non ancora conosciuti.

Basandosi sui dati del TACS in epoca pre-imatinib, per lasua buona riuscita è meglio eseguire il trapianto, quando pre-visto, entro 12 mesi dalla diagnosi. Il trapianto in fase avan-zata comporta elevate possibilità di insuccesso.

Al momento, il TACS si è dimostrata l’unica terapia chepuò portare alla guarigione della LMC, sebbene sia statasegnalata una recidiva tardiva post-trapianto (dopo oltre18 anni).

La sopravvivenza è elevata (87%) nei trapianti da fratello com-patibile.

Il TACS rappresenta una scelta mirata per ogni bambino dopoaver raggiunto la migliore risposta, ematologica o meglio cito-genetica, con gli inibitori delle TK.

I risultati del trapianto sono migliori se il TACS è effettuatoprecocemente in FC, subito dopo la diagnosi.

Uno scoring system pre-TACS codificato per i pazienti pedia-trici permette di stimare la mortalità correlata al trapianto (59).

Dovrebbero essere trapiantati i bambini che non rispondo-no in maniera ottimale alla terapia con TKI.

La mortalità e la morbilità acute correlate al trapianto, ancheda donatore consanguineo, non sono trascurabili.Infertilità dopo condizionamento con regimi contenenti ilbusulfano.

L’altezza finale dei pazienti trapiantati in età pediatrica è infe-riore rispetto all’altezza dei loro genitori. Una crescita più bas-sa si osserva nei bambini di età inferiore ai dieci anni almomento del trapianto e in quelli irradiati sul sistema ner-voso centrale.

La morbilità a lungo termine del TACS non è trascurabile.Rispetto ai fratelli sani, un considerevole numero di soprav-viventi trapiantati sviluppano diversi problemi di salute, limi-tazioni fisiche e alterazioni comportamentali che danneggia-no la vita sociale.

Disfunzioni d’organo multi-sistemiche di severa entità sonofrequentemente osservate in bambini che sviluppano unaGVHD cronica

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ne tra l’esposizione continua e prolungata all’ima-tinib ed il rallentamento della crescita (53). Non è noto se la somministrazione prolungatadegli inibitori delle TK possa influire sulla funzio-nalità cardiaca. Recentemente, sono state ripor-tate anomalie ventricolari in topi trattati con ima-tinib, a causa dell’inibizione del c-ABL (56). Perquanto riguarda il dasatinib, sono stati descritticasi di effusione pleurica in 2 bambini arruolati inun protocollo di fase 1 (45), mentre con il niloti-nib è stato osservato un prolungamento del QTcon rischio di morte improvvisa, in presenza di ipo-magnesiemia e ipocaliemia.

Come orientarsi nella scelta terapeuticaNell’era degli inibitori delle TK, il TACS è il tratta-mento di scelta di seconda o terza linea per gliadulti con LMC in FC, mentre il timing ottimaleper i bambini è ancora oggetto di discussione.Nella Tabella 4 sono illustrati gli argomenti a favo-re e quelli contro ciascuna delle due opzioni tera-peutiche per quanto riguarda i bambini con LMCin 1° FC. Nelle fasi avanzate della LMC, il TACSè la scelta obbligata dopo l’ottenimento di alme-no una risposta ematologica, o meglio dopo averraggiunto la risposta citogenetica. In alcuni pae-si, la scelta terapeutica è condizionata anche dalcosto, sicuramente a favore del trapianto rispet-to agli inibitori delle TK, anche se sulla base deicosti medici diretti calcolati per un periodo di 2anni, l’imatinib offre un vantaggio costo-benefi-cio rispetto al TACS da donatore non correlato(60). Le analisi economiche riguardanti la proce-dura trapiantologica, tuttavia, non comprendonotutti i costi associati con le diverse modalità di trat-tamento, difficili da definire, quali i costi delle com-pliance e delle relative terapie e le perdite finan-ziarie dei genitori. D’altra parte, sono difficili dacalcolare anche i costi del trattamento prolunga-to con inibitori delle TK a causa della possibilitàdi interrompere il farmaco dopo un periodo di tem-po di risposta molecolare completa e della pro-babilità di riduzione dei costi quando il farmacodiventa generico (l’esclusività per l’imatinib sca-de nel Gennaio 2015, e per il dasatinib nel giu-gno 2020). Un altro aspetto da considerare nel-la scelta degli inibitori delle TK è la complianceal trattamento, un problema riguardante in parti-colare gli adolescenti ed i giovani adulti.

ConclusioniForse, non vi è alcun altro tumore maligno comela LMC in cui i progressi terapeutici sono stati cosìrapidi, rivoluzionari e consistenti. Lo score progno-stico, proposto da Sokal circa 30 anni fa per iden-tificare i pazienti con rischio diverso (basso, inter-medio e alto rischio) è considerato utile per gliadulti anche nell’era degli inibitori delle TK.Purtroppo, due fattori, l’età e le dimensioni sple-niche, indispensabili per il suo calcolo ne preclu-dono l’applicazione nei bambini e quindi la stra-tegia terapeutica in età pediatrica non può esse-re decisa secondo i criteri validi per gli adulti. Aquesto elemento si aggiungono altri fattori, qua-li la diversa farmacocinetica, la compliance allaterapia con inibitori delle TK durante l’adolescen-za, gli effetti dell’imatinib sulla crescita e la puber-tà e, teoricamente, un periodo di trattamento piùlungo di molti anni. Tuttavia, considerando la rari-tà della LMC in età pediatrica, la gestione clini-co-terapeutica dei bambini deve necessariamen-te tenere conto dei risultati dei trials clinici sugliadulti. Recentemente, l’European Leukemia NET(ELN) ha proposto delle raccomandazioni per ipazienti con LMC di tutte le età in cui vengonostabiliti alcuni elementi fondamentali, quali unostretto monitoraggio sia della risposta al tratta-mento che degli effetti collaterali a breve e a lun-go termine, nonché l’identificazione dei fattori pro-gnostici. In particolare, è raccomandata la tem-pestività nell’identificare lo sviluppo di una resi-stenza all’imatinib, di una progressione di malat-tia, di un’eventuale intolleranza e/o di una scar-sa compliance.

n SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE PH-

Già nel 1951, Dameshek aveva considerato la TE,la PV e la MP, attualmente classificate come clas-siche neoplasie mieloproliferative clonali (NMC)Ph-, in un unico gruppo, dal momento che talipatologie presentano un comportamento clinicomolto simile, caratterizzato da episodi di emor-ragie e trombosi, evoluzione in fibrosi midollaree possibile evoluzione in leucemia acuta (61). Lascoperta di una mutazione attivante (V617F) nelgene per JAK2 (Janus kinase 2), una tirosina chi-

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nasi utilizzata dai recettori delle cellule ematopo-ietiche per eritropoietina, trombopoietina e G-CSF(granulocyte colony-stimulating factor), ha forni-to una spiegazione per le caratteristiche clinichecomuni a questi disordini.Dal punto di vista epidemiologico, le SMC Ph-sono considerate come patologie dell’età avan-zata, essendo diagnosticate in media intorno allasesta decade, mentre nei bambini e negli adole-scenti sono estremamente rare. L’incidenza annua-le della trombocitemia in età pediatrica varia da 1a 4 nuovi casi ogni 10 milioni di persone, 40-90volte più bassa rispetto agli adulti (62, 63). Perquanto riguarda l’incidenza della PV in età pedia-trica, l’unico dato è quello riportato da Osgood (64)su un’ampia casistica di pazienti, di cui solo lo0,1% aveva un’età <20 anni. La MP è di riscon-tro eccezionale in età pediatrica e molti dei casidescritti sono familiari (65).Le principali acquisizioni sulla patogenesi delleSMC Ph-, peraltro ancora parzialmente note, sisono avute a partire dal 2005, con l’identifica-zione di una mutazione a carico del gene JAK2,la V617F (66), presente nel 95% di PV, nel 55%di TE e nel 65% circa di MP dell’adulto (67). Ilgene JAK2, localizzato sul braccio corto del cro-mosoma 9, codifica per una proteina (tirosin-chi-nasi) che riveste un ruolo centrale nella trasdu-zione dei segnali indotti da fattori di crescita emo-poietici. A partire dal 2007 sono state descritte,nei pazienti affetti da PV negativi per la mutazio-ne V617F, altre alterazioni del gene JAK2, a cari-co dell’esone 12 (68, 69). La mutazione JAK2V617F

nell’esone 14 (che può essere presente sia in ete-ro che omozigosi) e quelle a carico dell’esone 12sono responsabili di un acquisto di funzione del-l’enzima con conseguente iperproliferazionedelle tre corrispondenti linee cellulari con succes-siva evoluzione, in base alla linea predominan-te, in PV, TE o MP. Queste mutazioni insorgonospontaneamente in una cellula staminale emo-poietica pluripotente, manifestandosi solo sullalinea mieloide e non su quella linfoide (i recetto-ri per l’eritropoietina, la trombopoietina ecc.espressi solo sulle cellule mieloidi) e conferisco-no un vantaggio proliferativo ai precursori emo-poietici mutati e si rendono responsabile di alcu-ni fenomeni già conosciuti da tempo, come lacrescita spontanea delle colonie eritroidi (EECs)

(70). L’identificazione di questi fattori ha indottoil WHO a riconsiderare sia la nomenclatura (ven-gono definite neoplasie mieloproliferative) sia i cri-teri diagnostici per la loro classificazione (1)(Tabella 5). Quasi contemporaneamente neipazienti con MP e TE negativi per mutazioni delgene JAK2, sono state individuate mutazioni acarico dell’MPL, che codifica per il recettore perla trombopoietina, un componente chiave delpathway di JAK2.

Trombocitosi e trombocitemiaIn condizione di normalità, il complesso proces-so della megacariocitopoiesi è regolato da diver-si fattori trascrizionali e citochine, di cui la piùimportante per la filiera megacariocitaria è la trom-bopoietina (TPO), il cui effetto è mediato dal suorecettore MPL presente sui megacariociti. La TPOagisce in combinazione con altri fattori di cresci-ta quali il GM-CSF, l’IL-3, l’IL-6,l’IL-11 e diversi altriad azione pro-infiammatoria. I livelli plasmatici del-la TPO sono regolati dal suo assorbimento consuccessiva internalizzazione da parte delle cellu-le che esprimono il recettore MPL. A seguito dellegame con la TPO, MPL va incontro ad unamodificazione conformazionale che porta all’at-tivazione delle chinasi della famiglia JAK, le qua-li danno il via ad una serie di eventi che svolgo-no un ruolo chiave nel promuovere la sopravvi-venza e la proliferazione megacariocitaria. Di con-seguenza, essendo numerosi ed eterogenei i fat-tori coinvolti nel complesso meccanismo dellamegacariocitopoiesi, alterazioni qualitative (muta-zioni) o quantitative (processi infiammatori) di unoo più di loro possono influenzare il processo dimegacariocitopoiesi e quindi il numero di piastri-ne circolanti. In età pediatrica, è di frequenteriscontro una piastrinosi, nella maggioranza deicasi secondaria a processi infiammatori e/o ane-mia sideropenica. Una conta piastrinica>500x109/L è stata riportata in una percentualevariabile dal 13% al 36% dei neonati alla nasci-ta, soprattutto in quelli con infezione e/o con bas-so peso. La trombocitosi neonatale potrebbedipendere da fenomeni fisiologici, quali una piùalta espressione del gene della TPO nel midollodurante l’ontogenesi ematopoietica, una più altaconcentrazione di TPO in circolo nei feti e nei neo-nati rispetto ai bambini e agli adulti ed un’aumen-

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tata sensibilità delle cellule progenitrici megaca-riocitarie alla TPO (71). Le forme primitive, meno frequenti nei bambini,comprendono: a) la trombocitemia sporadica (TS) con caratte-

ristiche simili a quelle della TE dell’adulto (72);b) le forme familiari, che a loro volta si distinguo-

no in ereditarie dovute a mutazioni genetichenelle cellule germinali (in questo caso sono for-me policlonali) e forme familiari dovute a muta-

zioni somatiche di tipo mono o policlonale.Queste ultime, caratterizzaze da mutazioniMPL515, non sono ancor state descritte neibambini e sono incluse nel gruppo delle neo-plasie mieloproliferative familiari (73).

Le TS in età pediatrica, analogamente alla TE degliadulti, sono forme clonali caratterizzate, dal pun-to di vista biologico, dalla formazione di colonieeritroidi spontanee e/o da mutazioni somatiche deigeni JAK2 (finora è stata identificata solo la muta-

TABELLA 5 - Criteri diagnostici delle neoplasie mieloproliferative croniche secondo la classificazione WHO 2008.

Policitemia vera Trombocitemia essenziale Mielofibrosi primitivaa

Criteri 1. Hb >18,5 g/dl (maschio) 1. Conta piastrinica 1. Proliferazionemaggiori >16,5 g/dl (femmina) >450x109/L megacariocitaria con atipiab

oppure accompagnata da fibrosiHb o Hct >99° percentile del reticolinica,range di riferimento per età, oppuresesso e altitudine di residenza In assenza di fibrosi oppure reticolinica, i cambiamenti Hb >17 g/dl (maschio) megacariocitari devono

>15 g/dl (femmina) essere accompagnati da se associata a sostanziale incremento di cellularità aumento ≥2 g/dl rispetto ai midollare, proliferazione valori di base non attribuibili a granulocitaria e spesso correzione di carenza marziale riduzione della eritropoiesi oppure (p.e. MP pre-fibrosi).Elevata massa eritrocitaria ≥25% il valore medio normale previsto.

2. Presenza di JAK2V617F 2. Proliferazione 2. Esclusione di criteri o mutazioni simili megacariocitaria con WHO per LMC, PV, TE,

piastrine giganti e mature. SMD o altre neoplasie Assenza di proliferazione mieloidi.granulocitaria o eritrocitaria.

3. Esclusione di criteri 3. Presenza di JAK2V617F

WHO per LMC, PV, MP, o di altri marker clonaliSMD o altre neoplasie oppuremieloidi. assenza di fibrosi midollare

4. Presenza di JAK2V617F reattiva.o di altri marker clonalioppure assenza di trombocitosi reattiva.

Criteri 1. Mieloproliferazione trilineare 1. Leucoeritroblastosiminori 2. Livelli EPO sierica alterati 2. Incremento sierico LDH

3. Crescita EEC 3. Anemia4. Splenomegalia palpabile

aLa diagnosi di mielofibrosi primitiva (MP) deve soddisfare tutti e tre i criteri maggiori e due criteri minori. bPiccoli o grandi megacariociti con rapporto nucleo/citoplasma aberrante, nuclei irregolari e addensati in clusters. EEC = colonie eritroidi endogene; EPO = eritropoietina; Hb = emoglobina; Hct = ematocrito; LDH, latticodeidrogenasi; LMC = Leucemia mieloide cronica; PV = policitemia vera; TE = trombocitemia essenziale; SMD = sindromi mielodisplastiche.

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zione V617F a carico dell’esone 14). Negli adultila TE può essere associata non solo alla mutazio-ne somatica JAK2V617F, presente nel 50-60% deicasi, ma anche a mutazioni somatiche di MPL(W515L o W515K o W515A o S505N) in circa il5% dei pazienti, mentre non è stata finora riscon-trata la mutazione dell’esone 12 descritta nell’1-2% dei casi di PV. Nei primi studi riguardanti casi-stiche pediatriche (74, 75) l’incidenza della muta-zione JAK2V617F (<30%) era risultata significativa-mente inferiore rispetto a quella riportata negli adul-ti (>50%). Studi successivi hanno permesso diidentificare una forma familiare in alcuni bambinicon diagnosi di TE, per cui l’incidenza della muta-zione JAK2V617F (48%) così come l’emopoiesi clo-nale è risultata essere simile a quella degli adulticon TE (72). Diversi studi negli adulti hanno segna-lato che lo stato mutazionale JAK2 caratterizza duepopolazioni di pazienti TE, identificando un sot-togruppo con caratteristiche simili a quelle dei sog-getti affetti da PV (76-78). Tale dato non è statoconfermato in uno studio su una popolazionepediatrica relativamente numerosa (72). Dal pun-to di vista clinico, i sintomi d’esordio della malat-tia sono presenti in un limitato numero di bambi-ni e sono nella maggior parte dei casi aspecifici(cefalea); una splenomegalia, di modesta entità èpresente in meno di un quinto di bambini (72).- Le forme ereditarie possono essere dovute amutazioni germline coinvolgenti il gene della TPOo quello per il suo recettore MPL. Solo nel 20%dei pazienti con una forma familiare sono stateidentificate mutazioni della TPO o di MPL, men-tre nella maggior parte dei casi le alterazioni geni-che che ne sono alla base rimangono ancora sco-nosciute (79). Per quanto riguarda le trombocito-si ereditarie associate a mutazione germinale atti-vante il gene della TPO, sono state descritte quat-tro mutanti alleliche a trasmissione autosomicadominante (AD), responsabili della perdita dellafunzione di quella parte del gene che esercita uncontrollo inibitorio sulla propria trascrizione, da cuine risulta una aumentata produzione della TPOcon conseguente trombocitosi (80). Recentemente, in 2 famiglie con la stessa muta-zione di TPO sono state descritte alterazioni con-genite a carico degli arti inferiori in una e com-parsa precoce di mieloma multiplo in un mem-bro dell’altra, ipotizzando che il guadagno di fun-

zione della TPO può disregolare sia l’emopoiesiche la vasculogenesi, predisponendo allo svilup-po di anomalie congenite e/o a malattie emato-logiche clonali (81). Una nuova mutazione a cari-co del gene della TPO è stata recentemente ripor-tata in una famiglia filippina (82). Anche a caricodi MPL sono state finora riportate diverse muta-zioni, che conferiscono alla struttura recettorialeun guadagno di funzione con attivazione incon-trollata dei segnali intracellulari e conseguente pro-liferazione cellulare e trombocitosi. Le mutazionifinora riportate sono caratteristiche di famiglieappartenenti a specifiche etnie. La mutazioneMPLS505A è stata descritta per la prima volta in unafamiglia giapponese (83) e, successivamente, inalcune famiglie italiane (75) nelle quali è statodimostrato che il cluster della mutazione, che sitrasmette come carattere AD, è dovuto ad unamutazione presente in un capostipite comune risa-lente a circa 23 generazioni prima (84). È statosegnalato che i pazienti con mutazione MPLS505A

hanno un aumentato rischio trombotico e svilup-pano, ad un’età avanzata, una splenomegaliaaccompagnata da progressiva fibrosi midollare(85). Nel 2004 è stata descritta una forma eredi-taria in una popolazione Afro-Americana associa-ta al polimorfismo MPLK39N (Baltimore), in cui lamutazione agisce riducendo la funzione recetto-riale di MPL, con conseguenti alti livelli di TPO eaumentata stimolazione della megacariocitopoie-si. Questa mutazione, a trasmissione AD e pene-tranza incompleta, in omozigosi è associata aduna conta piastrinica più alta rispetto alla condi-zione di eterozigosi (86). Nel 2009, è stata riscon-trata in famiglie di discendenza araba un’altramutazione nel dominio extracellulare del recetto-re MPL (MPLP106L) che probabilmente interferiscecon l’internalizzazione e/o degradazione dellaTPO, conservando apparentemente la capacità dilegame del recettore con il fattore di crescita e l’at-tivazione del recettore stesso (87). – Criteri diagnostici in età pediatrica. Secondo icriteri utilizzati per gli adulti proposti dal WHO nel2008, la diagnosi di TE richiede la presenza diquattro criteri, illustrati nella Tabella 5 (1).L’applicazione di questi criteri nella popolazionepediatrica è difficile. Infatti, il valore di piastrine>450x109/L può essere valido per bambini di ètà>2 anni, ma non per quelli di età inferiore dal

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momento che una mild trombocitosi (piastrine450-700 x109/L) è di frequente riscontro nei bam-bini molto piccoli. Anche la biopsia osteomidol-lare come parametro diagnostico presenta deilimiti, dal momento che un’ipercellularità midol-lare è di normale riscontro nei bambini e negli ado-lescenti. Utilizzando i markers biologici (JAK2 eclonalità) previsti dal WHO come criteri diagno-stici, l’incidenza delle mutazioni di JAK2V617F neibambini con TE è risultata essere di gran lungainferiore rispetto a quella riportata negli adulti (74,75). Ulteriori studi, hanno chiarito che questadiscrepanza era dovuta alla presenza nella popo-lazione pediatrica studiata della mutazioneMPLS505A, che caratterizza le forme familiari e chesi manifesta con caratteristiche simili alle formeclonali (2, 72, 75). Considerando le caratteristiche della tromboci-

tosi in età pediatrica, l’applicazione dei criteri dia-gnostici del WHO utilizzati negli adulti (1) e/o del-l’algoritmo diagnostico-terapeutico recentemen-te proposti anche per i bambini (89) può porta-re all’esecuzione di eccessive indagini diagno-stiche, anche invasive, e alla prescrizione di trat-tamenti inappropriati. Per questo motivo, vieneproposto un percorso diagnostico specifico peri bambini con un sospetto di SMC (Figura 1)L’algoritmo proposto è articolato: inizia conun’accurata valutazione anamnestica, clinica edi laboratorio (emocromo e striscio di SVP) inbambini che presentano trombocitosi. Per evi-tare indagini diagnostiche eccessive nei bambi-ni di età <2 anni in cui è frequente il riscontro diuna mild piastrinosi, viene proposto un cut-offdel numero delle piastrine in base all’età (>450x 109/L per quelli con età >2 anni e >600 x 109/L

+ sintomi clinici e di laboratorio tipici di malattia mieloproliferativa ± + anamnesi positiva x forma familiare

Indagini 1 step (SVP) Jak2

Bcr/Abl

• Piastrine >450x109/L (età >2 a) o >600x109/L (età >1 mese e <2 a)

+ sintomi clinici e di laboratorio indicativi per piastrinosi secondaria → Identificazione, trattamento, e risoluzione delle cause°

Risoluzione piastrinosi

soluzio

Stop accertamenti

Stop

Indagini 2 step (SVP) Colonie eritroidi

Mutazioni TPO ed MPL Clonalità (HUMARA/G6PDH)

Bcr/Abl+ B

LMC

Bcr/Abl-

2 step

Mutazioni TPO+ o

±MPLS505N

Trombocitosi familiare

Mutazion

JAK2- MPL-

Controlli periodici dell’emocromo*

ombocito

JAK2+ ±MPLW515L

JAK2+

PiastrinosiPersistente

odici

Ricerca nuove mutazioni TPO ed MPL

Biopsia Osteomidollare

Biopsia

No sintomi clinici e di laboratorio indicativi per piastrinosi secondaria o malattia mieloproliferativa

Controlli periodici dell’emocromo*

°Controlli ogni 2 -4 mesi

mo

Risoluzione piastrinosi

Stopaccertamenti

oluzio

Stop

Controlli periodicidell’emocromo*

Persistente piastrinosi

olli per

azioni

NO

SI

ANAMNESI ACCURATA

Durante il 1° anno di osservazione, escluse altre cause, se:

1. Piastrine >800x109/L (età >2 a) o >1.000x109/L (età <2 a)

o2. Organomegalia + piastrine >450x109/L (età >2 a) o >600x109/L (età <2 a) in 2 controlli successivi

oppure,Dopo 12 mesi, se

Piastrine >450x109/L (età >2 a) o >600x109/L (età <2 a)

Durante il 1° anno di osservazione, escluse altre cause, se:

1. Piastrine >800x109/L (età >2 a) o >1.000x109/L (età <2 a)

o2. Organomegalia + piastrine >450x109/L (età >2 a) o >600x109/L (età <2 a) in 2 controlli successivi

oppure,Dopo 12 mesi, se

Piastrine >450x109/L (età >2 a) o >600x109/L (età <2 a)

Durante il 1° anno di osservazione, se1. Piastrine >800x109/L (età >2 a) o >1.000x109/L (età <2 a) in due controlli successivi, oppure2. Organomegalia non secondaria ± Piastrine >450x109/L (età >2 a) o >600x109/L (età >1 mese e <2 a)

Dopo 12 mesi (solo età >2 a): Piastrine >450x109/L

FIGURA 1 - Algoritmo diagnostico nei pazienti di età pediatrica con trombocitosi.

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per quelli di età inferiore). Il percorso di appro-fondimento specifico per la caratterizzazione del-la piastrinosi deve tener conto, oltre che del valo-re piastrinico, anche della durata della piastrino-si e/o della presenza di sintomi. Il primo obietti-vo è l’identificazione di eventuali cause respon-sabili della piastrinosi e, se presenti, eliminarle.La ricerca di marcatori specifici di malattie mie-loproliferative (JAK2 e BCR-ABL) e lo studio dimarkers che possono orientare nella diagnosi(test di clonogenicità per identificare le forme pri-mitive, ricerca di mutazioni TPO ed MPL perl’identificazione di quelle familiari) vanno esegui-ti su SVP, mentre la biopsia osteomidollare variservata ad una categoria ristretta di bambini edesclusa nelle forme familiari. – Strategia terapeutica. Le recenti raccomanda-zioni dell’ELN stabiliscono che l’obiettivo dellaterapia nei pazienti con PV e TE deve essere quel-lo di evitare le complicanze sia trombotiche cheemorragiche, di ridurre il rischio di leucemia acu-ta, di controllare i sintomi sistemici e gestire situa-zioni a rischio, quali la gravidanza e gli interven-ti chirurgici (88). La scelta terapeutica è condizio-nata dalla presenza di alcuni fattori di rischio, chenon comprendono però il numero delle piastrine,considerate come indice di rischio emorragicosolo se >1500x109/L. (88, 90). L’età >60 anni ouna storia di trombosi e di rischio cardiovasco-lare rimangono gli unici fattori prognostici consi-derati perché derivati dai risultati di studi clinicicontrollati. Per i pazienti con TE a basso rischio(età <60 anni, assenza di fattori di rischio cardio-vascolari e di pregresse trombosi), è previsto unmonitoraggio clinico senza alcun trattamento cito-riduttivo. Una terapia antiaggregante con acidoacetilsalicilico (ASA) a basse dosi viene riservataper quei pazienti che presentano disturbi delmicrocircolo, mentre l’inizio della terapia citoridut-tiva è prevista per quelli che presentano un’evo-luzione della malattia (88). In questo gruppodovrebbero rientrare anche i bambini. Per ipazienti ad alto rischio (età >60 anni o pregres-sa trombosi), è consigliato un trattamento citori-duttivo fin dalla diagnosi sulla base di quantoemerso da uno studio prospettico randomizzatoin cui la sopravvivenza libera da trombosi è risul-tata essere significativamente migliore nel brac-cio randomizzato a ricevere la terapia citoridutti-

va (67). Nei pazienti ad alto rischio, l’ASA a bassedosi è indicata solo se ci sono disturbi del micro-circolo vascolare o con pregresso episodio trom-botico arterioso. Nei pazienti a rischio intermedio(età <60 anni, presenza di fattori di rischio car-diovascolare) è consigliato un atteggiamento per-sonalizzato, anche se si è concordi che la stra-tegia terapeutica deve essere simile al pazientea basso rischio (88, 91). L’ASA, alla dose giornaliera di 75-100 mg, è con-siderata il farmaco antiaggregante di scelta, men-tre la ticlopidina o il prasugrel vengono riservatiper quei pazienti che presentano controindica-zioni alla terapia con ASA (allergia o gastrite oulcera peptica documentate). Per quanto riguar-da la terapia citoriduttiva, fino a non molti annifa l’HU, chemioterapico antimetabolita, ha rap-presentato il farmaco di prima scelta, dal momen-to che sembra consentire un buon controllo del-le complicanze vascolari. Purtroppo, è statosegnalato un aumentato rischio di evoluzione leu-cemica dopo trattamento prolungato (92), nonconfermato tuttavia in altri studi comprendentipazienti giovani o bambini con un follow-upmediano superiore a 10 anni (72, 93). Dapprimal’IFN-α e, successivamente, l’anagrelide sonodiventati una valida alternativa all’HU come far-maco di prima scelta, soprattutto nei pazienti piùgiovani. L’IFN-α, inibitore della crescita megaca-riocitaria attraverso la soppressione del segnaleindotto dalla TPO, è in grado di ridurre il nume-ro di piastrine senza rischio leucemogeno, e rap-presenta quindi il migliore trattamento citoridut-tivo somministrabile in gravidanza. I limiti del trat-tamento con l’IFN-α sono rappresentati dallamodalità di somministrazione (sottocutanea egiornaliera) che influenza la compliance, daglieffetti collaterali (astenia, sindromi simil-influen-zali, alterazioni dell’umore, depressione) che sonomotivo di interruzione del trattamento, e, infine,dall’elevato costo di una terapia prolungata.Un’alternativa sono le formulazioni di interfero-ne a lento rilascio (PEG-IFN) che prevedono unasomministrazione settimanale che potrebbefavorire sia un miglioramento della complianceche una riduzione degli effetti collaterali.Purtroppo, le due formulazioni differenti (PEG-IFN-alpha 2b e PEG-IFN-alpha 2a) utilizzate inpazienti con NMC BCR-ABL negative, pur dimo-

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strando la stessa efficacia dell’IFN-α, provoca-no effetti collaterali simili a quelli dell’IFN-α (94,95). L’anagrelide è un farmaco orale la cui atti-vità piastrinopenizzante è stata scoperta casual-mente nel 1979. L’FDA dapprima ne ha appro-vato l’uso nella TE e nella PV e, successivamen-te, per le trombocitosi in corso di SMC, grazieai risultati ottenuti da un gruppo di studio su que-sto farmaco (96). In Europa è stato registrato suc-cessivamente, ma non come terapia di primalinea. Recentemente, in un trial randomizzato mul-ti-centrico è stato dimostrato che l’associazioneHU + ASA rispetto all’associazione anagrelide(ANA) + ASA è associata ad una minore inciden-za di trombosi arteriosa, di emorragie maggiorie di trasformazione mielofibrotica e quindi si con-clude che l’HU potrebbe rimanere la terapia diprima scelta nei pazienti affetti da TE ad altorischio (97). Nei bambini, la strategia terapeutica è stata fino-ra decisa in base ai dati derivati dall’esperienzasugli adulti e, a volte, condizionata dalle convin-zioni personali del medico. Spesso la terapiaantiaggregante è stata iniziata quando il numerodi piastrine superava 1000 x109/L, indipendente-mente dall’età e dalla presenza dei sintomi. Laterapia citoriduttiva è stata aggiunta in quei bam-bini con un numero di piastrine >1500x109/L cono senza organomegalia e/o sintomi, sia nelle for-me familiari che in quelle sporadiche, essendo lecaratteristiche cliniche ed ematologiche sovrap-ponibili (72). Come terapia antiaggregante il far-maco più utilizzato è stato l’ASA, anche se il suoimpiego si è progressivamente ridotto nel corsodegli anni sia nei pazienti di nuova diagnosi chein quelli in trattamento, senza aumento di com-plicanze trombotiche (72). Per quanto riguarda laterapia citoriduttiva, utilizzata soprattutto neibambini con la forma sporadica, nei primi anni ’80,analogamente agli adulti è stato utilizzato il pipo-bromano, che, successivamente, è stato sostitui-to dall’HU, dall’IFN-α e dall’ANA (72). – Come orientarsi nei bambini con trombocito-si? L’elevata incidenza di trombocitosi seconda-rie in età pediatrica deve indirizzare il medicoinnanzitutto all’identificazione e alla risoluzione dieventuali cause, quali gli stati infiammatori e/o lacarenza di ferro e/o, prima di decidere l’inizio diqualsiasi trattamento, anche quello antiaggregan-

te (Figura 1). Nei bambini è d’obbligo un atteg-giamento terapeutico di tipo conservativo (Figura2). Anche nelle forme clonali, prima di pianifica-re una terapia, antiaggregante e/o citoriduttiva,è importante considerare la relativa assenza disintomi e la più bassa incidenza di trombosirispetto agli adulti con TE (72). L’ASA, anche abasso dosaggio, non dovrebbe essere usata nel-le forme secondarie, soprattutto nei soggetti dietà <15 anni, perché può causare disturbi anchegravi, conosciuti come sindrome di Reye. Sia nel-le forme familiari che in quelle sporadiche, l’ASAdeve essere elettivamente somministrata, a bas-so dosaggio, solo nei pazienti sintomatici ed èda evitare nei neonati, qualunque sia il numerodelle piastrine. L’ASA va somministrata con atten-zione perchè, soprattutto quando usata per lun-go tempo, può avere un effetto paradosso per-ché aumenta l’espressione dei recettori dell’ADPe della proteina trasportatrice MRP4 nelle piastri-ne (98) con conseguente aumento del rischiotrombotico. L’uso di farmaci citoriduttivi è stret-tamente riservata per i pazienti con sintomivascolari (spesso disturbi del microcircolo) resi-stenti all’ASA o per quelli con progressiva e mar-cata organomegalia. Il farmaco di prima linea puòessere l’HU o IFN-α, scelta da fare in accordocon i genitori e/o con l’adolescente. Quando sidecide di escludere l’HU, in caso di intolleranzao scarsa compliance all’IFN-α, l’ANA può rappre-sentare un’alternativa. Un fattore da valutare è ladurata del trattamento che, in età pediatrica,dovrebbe essere interrotto non appena la situa-zione clinica lo permette.

Eritrocitosi In condizioni di normalità il processo di eritropo-iesi è regolato da diversi fattori tra cui i più impor-tanti sono l’eritropoietina (EPO) ed il suo recetto-re specifico, denominato EPO-R. L’EPO è un fat-tore specifico per la linea eritroide ossigeno-dipen-dente L’ipossia attiva un segnale a livello delle cel-lule produttrici di EPO che determina l’incremen-to dell’espressione del principale fattore trascri-zionale per il gene dell’EPO, detto HIF-1 (HypoxiaInducible Factor-1) (99). Al contrario, per aumen-ti della pressione di ossigeno, si ha la degrada-zione delle subunità del fattore ad opera dell’ubi-quitina tramite l’intervento della proteina codifica-

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ta dal gene VHL (Von Hipple Lindau). L’EPO agi-sce attraverso l’interazione con il suo recettorespecifico, EPO-R, espresso sui precursori eritroi-di. Tale interazione avvia una catena del segnaleche determina proliferazione e differenziazione deiprogenitori eritroidi e prevenzione dell’apoptosi.La via di trasduzione del segnale che viene atti-vata prevede il coinvolgimento del JAK2, e dei fat-tori trascrizionali STAT (Signal Transducers andActivators of Transcription). Della via JAK-2/STATsi servono una grande quantità di fattori di cre-scita e di citochine (100). Diversi fattori, intrinseci ed estrinseci, possono sti-molare l’eritropoiesi con aumento dell’emoglobi-na, per cui le eritrocitosi [aumento dell’emoglobi-na (Hb) e dell’ematocrito (Hct) oltre i valori norma-li per sesso e per età] si distinguono in forme pri-mitive e forme secondarie.

L’eritrocitosi secondaria può essere consideratacome una fisiologica ed appropriata risposta a tut-te quelle patologie organiche responsabili di unaridotta tensione dell’ossigeno, oppure comeun’inappropriata risposta patologica a tutte quel-le condizioni che stimolano l’eritropoiesi in quan-to responsabili della produzione autonoma di EPO.In entrambe le situazioni è comunque l’eritropo-ietina (ma anche altre sostanze, come ad esem-pio gli androgeni, cui parimenti i precursori eritroi-di sono sensibili) che agisce su precursori eritroi-di del tutto normali. Le forme primitive di eritroci-tosi, molto rare in età pediatrica, comprendono:a) la policitemia sporadica (PS), con caratteristi-

che simili a quelle della PV dell’adulto;b) le forme familiari, che comprendono forme ere-

ditarie che possono essere primitive [dovutea mutazioni genetiche nei progenitori emopo-

TROMBOCITEMIA SPORADICA

Assenza di sintomiSintomi a carico del microcircolo

o trombosi

Sintomi refrattari all’ASA o

progressiva organomegalia

NO TERAPIA ASAINTERFERONE

oANAGRELIDE

o(IDROSSIUREA)

TROMBOCITOSIEREDITARIA

Assenza di sintomiSintomi a carico del microcircolo

o trombosi

NO TERAPIA ASA

A

Salassoterapia

POLICITEMIA SPORADICA

Assenza di sintomiSintomi a carico del microcircolo

o trombosi

Progressiva organomegalia

SALASSOTERAPIA(Hct < 48%)

SALASSOTERAPIA+

ASA

INTERFERONE o

IDROSSIUREA±

SALASSOTERAPIA

POLICITEMIA EREDITARIA

Assenza di sintomiSintomi a carico del microcircolo

o trombosi

SALASSOTERAPIA(Hct <48%)

SALASSOTERAPIA+

ASA

B

No terapia

ASA

ASA + terapia citoriduttiva ±salassoterapiaASA + terapia citoriduttiva

Salassoterapia + ASA

FIGURA 2 - Strategia terapeutica consigliata nei bambini con trombocitemia sporadica ed ereditaria (A) ed in quelli con politemiasporadica ed ereditaria.

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ietici (in questo caso sono forme policlonali)]o secondarie (dovute ad aumentata produzio-ne di eritropoietina) e quelle forme familiari incui due o più membri di una stessa famigliapresentano mutazioni somatiche di tipo monoo policlonali, con caratteristiche cliniche simi-li a quelle della PV (101). Queste ultime rien-trano nel gruppo delle neoplasie mieloprolife-rative familiari.

La PS nei bambini, analogamente alla PV degliadulti, è clonale. Per quanto riguarda le caratte-ristiche biologiche ci sono pochi studi riguardan-ti casistiche pediatriche. Quelli finora disponibiliriportano un’overespressione del PRV-1 nel 60%dei casi (2), una crescita spontanea di colonie eri-troidi in vitro in una percentuale del 37-100% dipazienti (72, 75, 102) e mutazioni somatiche deigeni JAK2 a carico sia dell’esone 14 (V617F) chedell’esone 12 (72, 102). Cario et al. (102) ha ripor-tato la mutazione di JAK2 in tutti i pazienti condiagnosi di PV (in 6 la V617F e in 2 carico del-l’esone 12). Tuttavia, in alcuni lavori su casistichepediatriche, la percentuale di pazienti JAK2mutati è risultata estremamente bassa (27-37%),confermando l’estrema rarità della PS nell’infan-zia e ponendo il problema della reale natura diquesti casi di policitemia idiopatica che, peraltro,si presentano con livelli normali di siero EPO (72,75). È probabile che alcuni pazienti con diagno-si di PS JAK2 wilde-type abbiano delle forme ere-ditarie con mutazioni diverse da quelle finora note,come recentemente riportato in un ragazzo conuna nuova mutazione dell’HIF (103). Per quantoriguarda le caratteristiche ematologiche, nonsono state riportate differenze tra le forme spo-radiche e quelle ereditarie per quanto riguarda ilnumero dei leucociti e delle piastrine, i livelli del-l’emoglobina ed il valore dell’ematocrito.Le forme di eritrocitosi ereditarie possono esse-re caratterizzata da livelli di EPO normali o ridot-ti oppure da aumentati livelli di EPO. Possonoessere disordini congeniti primitivi (causati da undifetto di progenitori emopoietici) o secondari(dovuti ad incrementata produzione di EPO) (79,104). Il primo gruppo comprende la policitemia primi-tiva congenita e familiare (PFCP, Primary Familialand Congenital Polycythemia), trasmessa comecarattere autosomico dominante, (anche se sono

state descritte mutazioni de novo), dovuta a diver-se mutazioni coinvolgenti il gene che codifica peril recettore dell’eritroipoietina (EPO-R) (101), cherisulta alterato con conseguente ipersensibilità deiprecursori eritroidi all’EPO, i cui livelli possonoessere normali o addirittura ridotti (105). Finora,solo nel 15% dei pazienti sono state identificatele alterazioni geniche che sono alla base dellaPFCP. Dal punto di vista clinico ed ematologico,i pazienti presentano un’Hb elevata con valori nor-mali di leucociti e piastrine, e con un modestorischio di complicanze vascolari (106). NellaPFCP, l’ematopoiesi è policlonale e l’ipersensibi-lità all’EPO dei progenitori eritroidi in vivo non èaccompagnata da una crescita spontanea dellecolonie eritroidi endogene (EECs) in vitro, prero-gativa della PV (107). Il secondo gruppo di disordini congeniti secon-dari, comprende i difetti dovuti ad aumentata affi-nità dell’emoglobina per l’ossigeno, caratterizza-ta da una riduzione della P50 (pressione parzia-le di ossigeno cui l’emoglobina è satura al 50%)ed i difetti nel pathway del sensing dell’ossige-no, caratterizzate da un’aumentata produzione dieritropoietina (108). Due tipi di condizioni sonoalla base di un’incrementata affinità dell’emoglo-bina per l’ossigeno: la presenza di varianti del-l’emoglobina ad elevata affinità per l’ossigeno (damutazioni coinvolgenti la catena α o quella β) edil deficit dell’enzima 2,3 bifosoglicerato (2,3-BFG).La modalità di trasmissione per le forme da alte-rata molecola emoglobinica è sempre autosomi-ca dominante e finora sono state descritte oltre50 mutazioni, mentre per le forme da deficit di2,3-BFG può essere autosomica dominante orecessiva. In entrambi le condizioni, i pazientisono asintomatici in quanto la poliglobulia è com-pensatoria della bassa tensione di ossigeno tis-sutale. I difetti nel pathway del sensing dell’os-sigeno possono coinvolgere diverse proteine cheregolano la produzione di EPO, quali l’HIF, il VHL,le proteine PHD1, PHD2 e PHD3 (ProlylHydroxylase Domain). Il primo difetto ad esseredescritto è stata una mutazione del gene VHL(mutazione missense 598C>T) nella popolazionerussa del Chuvash in cui, nella forma omozigo-te, determina una forma endemica di policitemiafamiliare, caratterizzata da elevati livelli di eritro-poietina con eritrocitosi (109). Mutazioni funzio-

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70 Seminari di Ematologia Oncologica

nalmente simili del VHL sono state descritte infamiglie di etnia diverse (110-113) e in numero-se famiglie dell’isola di Ischia, l’unica regione oltreil Chuvas, in cui questa forma di policitemia èendemica (114). La mutazione del gene VHL pro-voca una forma di policitemia non associata aitumori tipici della sindrome di Von Hipple Lindau(emangioblastoma spinocerebellare, carcinomirenali, feocromocitoma) ma predisponente a unamorte prematura dovuta ad eventi cerebrovasco-lari e trombosi periferiche. Più recentemente sonostate descritte differenti mutazioni di PHD2 (115,116) e di HIF (103, 115), che nella forma etero-zigote determinano eritrocitosi.– Approccio diagnostico. Di fronte ad un bambi-no o adolescente con un elevato numero di glo-buli rossi, è importante valutare, mediante un’ac-curata anamnesi, la presenza di familiarità o dieventuale cause sottostanti (concomitanti pato-logie, assunzione di farmaci, disidratazione, alti-tudine, ecc.). Esclusa una forma secondaria, èd’obbligo un approfondimento diagnostico mira-to, con una preferenza per le indagini meno inva-sive, dal momento che i marcatori biologici dispo-nibili possono essere di grande ausilio, mentre labiopsia osteomidollare può avere un ruolo limi-tato, soprattutto nei bambini più piccoli, in con-siderazioni delle caratteristiche midollari in que-sta fascia d’età. Secondo i criteri utilizzati per gliadulti proposti dal WHO nel 2008, la diagnosi diPV deve soddisfare la presenza o di entrambi icriteri maggiori (aumento dell’Hb o dell’Ht o del-la massa eritrocitaria >25% del normale + la pre-senza di mutazione del JAK2) e un criterio mino-re (mieloproliferazione trilineare o alterati livelli sie-rici di EPO o crescita spontanea di colonie eri-troidi) oppure il primo criterio maggiore e 2 crite-ri minori (Tabella 5) (1). In considerazione dellecaratteristiche biologiche riportate in alcune casi-stiche pediatriche, nel caso di eritrocitosi isolata,in assenza di cause che la sottendono, per unapprofondimento diagnostico corretto è importan-te seguire un algoritmo diagnostico specifico perpoter identificare le forme familiari (101, 117)(Figura 3). – Strategia terapeutica. Gli obiettivi della terapianegli adulti con PV mirano ad evitare le compli-canze dovute ad iperviscosità del sangue e l’evo-luzione in leucemia acuta o in mielofibrosi, che

possono comparire durante il decorso dellamalattia. La decisione di iniziare un trattamentopuò dipendere non solo dalla presenza di sinto-mi considerati maggiori (ischemia cerebrale, infar-to miocardio, trombosi arteriose e venose pro-fonde, tra queste ultime la sindrome di Budd-Chiari) ma anche di sintomi cosiddetti minori, daalterazioni del flusso microcircolatorio, qualicefalea, vertigini, acufeni, disturbi visivi, lipotimia,parestesie e prurito, molto frequenti anche neisoggetti più giovani. La salassoterapia ha dasempre rappresentato il trattamento di scelta, conl’obiettivo di ridurre i sintomi che derivano dailivelli eccessivamente alti di ematocrito (Hct). Inuno studio del 1978 è stato dimostrato che ilrischio di eventi trombotici e vascolari aumentasignificativamente per valori di Hct al di sopra del44% (118). Quindi, il target Hct è fissato al 45%negli uomini, al di sotto del 42% nelle donne(119), anche se, nella pratica clinica, circa il 15%degli ematologi ancora utilizza come target tera-peutico un livello di Hct >45% (119). Un targetdell’Hct di 48 è stato riportato in un recente lavo-ro pediatrico, senza osservare eventi avversi (72).Per diversi anni la riduzione dell’Hct è stata otte-nuta anche con farmaci alchilanti e con fosfororadioattivo (32P), sostituiti dall’HU e quindidall’IFN-α e dall’anagrelide, a causa del loro ele-vato potere leucemogeno. L’HU è un farmacomaneggevole, ben tollerato dai pazienti, ma sem-bra aumenti il rischio leucemogeno. L’IFN-α rap-presenta un efficace sostituto dell’HU soprattut-to nei pazienti più giovani che necessitano di trat-tamento, ma è gravato da elevata tossicità.L’anagelide, in grado di controllare la tromboci-tosi, è controindicata nei pazienti con PV a cau-sa della sua potenzialità emorragica in associa-zione con l’ASA. La terapia antiaggregante vie-ne presa in considerazione nei pazienti affetti daPV che presentano complicanze trombotiche evascolari ricorrenti, in particolare in quelli conischemia vascolare e digitale. Il farmaco di pri-ma scelta è sempre l’ASA a basso dosaggio. Recentemente lo studio ECLAP condotto supazienti con PV che non avevano controindica-zioni alla somministrazione di ASA, ha dimostra-to che l’aspirina a basse dosi (100 mg/die) è effi-cace nel prevenire le complicanze trombotichesenza il rischio di provocare emorragie maggiori

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(67). La scelta terapeutica ottimale essere fattavalutando quei parametri che permettono di iden-tificare i pazienti che possono giovarsi di un trat-tamento senza incorrere in un aumento dei rischilegati all’uso prolungato di farmaci, sia antiaggre-ganti (aumento del rischio emorragico) sia citori-duttivi (aumento del rischio di trasformazione leu-cemica o mielofibrotica e di seconde neoplasie).Recentemente, l’ELN ha sviluppato un algoritmoterapeutico articolato per i pazienti con PV, nonsolo sulla base di fattori prognostici ma anche sudefiniti criteri di risposta al trattamento (120).Analogamente agli adulti, anche nelle scarse casi-stiche su pazienti pediatrici policitemici, il tratta-mento è variato enormemente nel corso deglianni. Oltre al salasso e/o all’eritrocitaferesi, cheè stato il trattamento cardine utilizzato nella mag-gioranza dei pazienti (72-75%) (72, 121), per ridur-re l’Hct sono stati impiegati anche farmaci cito-

riduttivi, dapprima agenti alchilanti e fosforo, suc-cessivamente HU ed IFN-α. Addirittura in alcu-ni bambini è stato impiegato il TACS, senza suc-cesso. Recentemente, è stato suggerito un approcciomolto conservativo anche nei soggetti con poli-citemia diagnosticata in età pediatrica (Figura 2).Il salasso rimane la terapia citoriduttiva di scelta,con l’obiettivo di una riduzione Hct meno seve-ra rispetto agli adulti, con un valore accettabilefino al 48%. In considerazione dell’assenza dieventi emorragici durante il decorso, la terapia conASA può essere intrapresa solo nei bambini e ado-lescenti con disturbi del microcircolo. La terapiacitoriduttiva viene riservata solo ai pazienti conprogressiva epato e/o splenomegalia, con o sen-za sintomi resistenti alla ASA ed il farmaco (HUo IFN-α) viene scelto in accordo con il pazientee i genitori.

Eritrocitosi isolata

JAK2 mutatoEPO sierica bassa

p50 Normale

JAK2 wild-typeEPO sierica bassa

p50 Normale

JAK2 wild-typeEPO sierica elevata

p50 Bassa

JAK2 wild-typeEPO sierica elevata

p50 Normale

PV Familiare PFCP Familiare

Hb con alta affinità per O2;

Basso 2,3-BFG

Mutazioni JAK2

Dosaggio EPO sierica

Valutazione della p50*

* p50=pressione parziale di ossigeno cui l’emoglobina è satura al 50%, si calcola con una semplice formula dall’emogasanalisi da sangue venoso periferico (116, 117); PFCP= Primary Familial and Congenital Polycythemia; 2,3-BFG= enzima 2,3 bifosfoglicerato.

difetti nel pathway del sensing dell’O2

FIGURA 3 - Algoritmo diagnostico per i pazienti con sospetto di eritrocitosi familiare (101).

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n SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE: CLINICA E COMPLICANZE

I dati disponibili sull’andamento clinico a lungo ter-mine delle SMC (spettanza di vita, complicanzetrombotiche ed emorragiche, evoluzione in mie-lofibrosi e/o leucemia, comparsa di neoplasie eandamento delle gravidanze) riguardano esclusi-vamente la popolazione adulta (122-129), men-tre solo recentemente sono stati pubblicati datiriguardanti la popolazione pediatrica (72).

Complicanze trombotiche ed emorragiche L’incidenza di fenomeni trombotici riportata negliadulti con SMC varia dal 14 al 25% (122-125,129), con un rischio cumulativo a 10 anni del 14%(123) e con una probabilità cumulativa a 20 annidi circa il 50% (130). Il rischio trombotico aumen-ta con l’età avanzata del paziente (>60 anni), conuna storia di pregressa trombosi e con la presen-za di altri rischi vascolari, quali l’ipercolesterole-mia ed il fumo. Nella PV, l’aumento dell’emato-crito e della viscosità ematica globale potrebbe-ro contribuire alla genesi delle trombosi nella PVmediante un meccanismo di perturbazione delflusso sanguigno, soprattutto a livello microcirco-latorio. Infatti la normalizzazione dell’Hct median-te salassoterapia riduce, anche se non annulla, ilrischio di tale complicanza. Tuttavia, l’eritrocitosida sola non può spiegare la tendenza tromboti-ca nei pazienti affetti da PV, dal momento che lanormalizzazione dell’Hct non riduce il rischio; inol-tre, nelle forme secondarie per livelli di globuli ros-si simili o addirittura maggiori rispetto a quelli rag-giunti in quelle primitive non si osservano trom-bosi. Nella TE sembra che il grado di piastrinosinon correli con il rischio di trombosi, anche se ilcontrollo dei livelli piastrinici può ridurre la frequen-za delle complicanze trombotiche nei pazienti adalto rischio (131). Il significato prognostico di altrifattori, quali una leucocitosi e/o mutazione diJAK2V617F, deve essere ancora confermato. In unrecente lavoro riguardante una popolazionepediatrica con SMC, le complicanze tromboticheosservate durante un lungo periodo di osserva-zione (follow-up mediano: 10 anni) in 3/64 pazien-ti (4,6%) non sono risultate essere correlate né conlo stato mutazionale di JAK2 nè con anomalie

trombofiliche, ma con una leucocitosi dovuta aprocessi infettivi in atto e con la presenza dellamutazione MPLS505A in 2/3 pazienti, già segnala-ta come elemento predisponente alla trombosi. Irisultati dello studio confermano l’ipotesi che l’in-tegrità dell’albero vascolare, tipico di individui gio-vani, protegga da eventi trombotici, mentre il suoruolo diventa marginale con il sopravvento di fat-tori di rischio aggiuntivi, come la riduzione del flus-so, infezioni e leucocitosi (72).Eventi emorragici sono stati riportati sia in corsodi PV che di TE in una percentuale variabile dal9,5 a circa il 20% di adulti. La patogenesi non ècompletamente nota, ma sono state riportatediverse anomalie strutturali e funzionali delle pia-strine (anomalia nell’espressione delle glicopro-teine piastriniche di membrana, aggregazione pia-strinica spontanea ed aggregati di piastrine cir-colanti, anomalie acquisite nello storage pool, ano-malie nel metabolismo dell’acido arachidonico)che potrebbero essere all’origine delle manifesta-zioni emorragiche in questi pazienti. La presen-za di una forma acquisita di malattia di vonWillebrand (AvWD = Acquired von WillebrandDisease) sembra contribuire alla genesi delleemorragie, soprattutto nei pazienti affetti da TE(132), e sembra essere correlata al numero di pia-strine (aumentato rischio emorragico nei casi conpiastrine >1500x109/L) e ridursi con la citoriduzio-ne piastrinica. Un dato da tenere in considerazio-ne per l’inizio di una terapia antiaggregante neibambini con trombocitosi è che la forma acqui-sita della AvWD è stata riportata anche nelle for-me reattive (133).

Sviluppo di neoplasieSia la TE che la PV sono accomunate anche dal-la tendenza all’evoluzione in mielofibrosi, in LAmieloide (LAM) e/o in sindrome mielodisplastiche(SMD) con l’uso di terapie citoriduttive. Tuttavia,nella PV il rischio di una evoluzione ematologicapuò essere spontanea, come confermato da unostudio originale del Polycythemia Vera StudyGroup (PVSG) che calcolava all’1,5% l’incidenzadella LAM in pazienti trattati soltanto con salas-si (134). Nei pazienti affetti da PV, il rischio di evo-luzione in mielofibrosi con metaplasia mieloide del-la milza e/o in LAM incrementa con l’età e con laterapia citoriduttiva, con un’incidenza del 2,3%

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73Sindromi mieloproliferative croniche

e del 13%, rispettivamente, a 3 e a più di 10 annidalla diagnosi (135). Al contrario, nei pazienti affet-ti da TE, la trasformazione in LAM o in SMD èrarissima, mentre l’evoluzione in mielofibrosidurante terapia citoriduttiva incrementa nel tem-po, soprattutto con l’anagrelide, con una proba-bilità dell’8% a 10 anni (136). In un recente stu-dio su una popolazione pediatrica, relativamen-te ampia, con disordini mieloproliferativi cronici,è stato osservato lo sviluppo di una splenome-galia progressiva nell’8% dei pazienti, e di unafibrosi midollare di grado 1-2 nel 4,5% dei casi,dopo un follow-up mediano >10 anni. Un datointeressante è il fatto che nessuno di questipazienti aveva ricevuto in precedenza terapia cito-riduttiva, suggerendo che questa evoluzione puòfar parte della storia naturale di queste patologie(72).L’incidenza di neoplasie, osservate soprattutto neipazienti adulti con PV trattati con terapia citori-duttiva soprattutto alchilanti, incrementa con ilperiodo di osservazione (123-125). Per quantoriguarda l’esperienza in età pediatrica, sembra chel’esposizione prolungata a farmaci mielosoppres-sivi non influenzi l’incidenza di neoplasie, dalmomento che una neoplasia è stata osservata inun paziente che in precedenza non aveva rice-vuto alcun trattamento (72).

GravidanzaNelle donne con SMC, soprattutto TE, circa il 21-35% (126-128) delle gravidanze si complica conaborti spontanei ricorrenti e con ritardo nella cre-scita fetale a causa di infarti placentari multipli.In una recente casistica di pazienti diagnostica-te in età pediatrica, la percentuale di aborto spon-taneo osservata nel primo trimestre era del 14%,simile a quella stimata nella popolazione gene-rale. Il minor tasso di aborti spontanei osserva-to è stato attribuito agli interventi terapeutici per-sonalizzati eseguiti nelle gravidanze programma-te, dal momento che il tipo di profilassi antitrom-botica è stato scelto in base ai diversi fattori dirischio trombofilico, identificati con analisi mira-ta (72).

ConclusioniIn età pediatrica le SMC Ph- sono nella maggiorparte dei casi secondari. Una trombocitosi reat-

tiva è di riscontro molto frequente nei bambini piùpiccoli, mentre un’eritrocitosi secondaria puòessere trovata negli adolescenti e giovani adultiin seguito all’assunzione di alcune sostanze. Larelativa assenza di sintomi e la più bassa inciden-za di trombosi rispetto agli adulti suggeriscono chei bambini devono essere gestiti in modo più con-servativo. Quindi, prima di procedere ad un appro-fondimento diagnostico specifico, diventa fonda-mentale un’anamnesi accurata, volta ad individua-re eventuali cause secondarie. Inoltre, prima diintraprendere l’iter specifico per la definizione dia-gnostica e l’inizio di una terapia antiaggregantee/o citoriduttiva, bisogna considerare la bassamorbidità legata a questi disturbi in età pediatri-ca evitando al bambino un’eccessiva medicaliz-zazione. Per quanto riguarda la diagnosi, sono dapreferire le indagini meno invasive e, comunque,dovrebbe essere considerata sempre la possibi-lità di una forma ereditaria. Lo screening trombo-filico è raccomandato nelle donne con SMC in etàfertile con l’obiettivo di pianificare un trattamen-to personalizzato durante la gravidanza. Sia laterapia antiaggregante che quella citoriduttiva variservata a categorie limitate di bambini, evitan-do l’impiego della chemioterapia in assenza dimarkers di clonalità.

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n INTRODUZIONE

Nel 1968 Good pubblicò per la prima volta la gua-rigione di un bambino affetto da immunodeficien-za combinata grave (SCID), sottoposto a trapian-to di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) pre-levate dal fratello (1). A questa prima esperienzaseguirono, con il riconoscimento del ruolo del siste-ma HLA nella tolleranza del trapianto, studi clini-ci di largo respiro condotti a Seattle su pazientiaffetti da leucemia acuta e pubblicati da Thomasnel 1977 (2).Da allora il TCSE ha avuto un’evoluzione costan-te, divenendo il trattamento di elezione di molte-plici patologie oncologiche, ematologiche, immu-nologiche e metaboliche congenite o acquisite.Ad oggi, sebbene un numero sempre più elevatodi bambini affetti da neoplasia (leucemia in parti-colare) risponda ai trattamenti chemioterapici adosi convenzionali e a terapie biologiche mirate,

una percentuale ancora significativa necessita diuna intensificazione del trattamento con relativosupporto di cellule staminali (trapianto autologo)oppure del ricorso ad un TCSE da donatore (tra-pianto allogenico).L’impiego di tali procedure ha modificato profon-damente la storia naturale di molte patologie aprognosi altrimenti infausta (neoplasie resistenti,anemia aplastica severa) e migliorato le prospet-tive di sopravvivenza e la qualità della vita dipazienti affetti da patologie che, pur non grava-te da prognosi infausta nel breve termine, presen-tano un decorso naturale caratterizzato da impor-tante morbilità. L’applicazione e l’evoluzione delTCSE sono pertanto da considerare una vera epropria rivoluzione terapeutica, che, incomincia-ta diversi anni or sono e progressivamente raffi-natasi nel corso degli anni grazie alla crescenteconoscenza nel campo della biologia, dell’immu-nologia, dell’istocompatibilità, non ha ancora com-pletato il suo percorso.

n INDICAZIONI IN PEDIATRIA

Recentemente abbiamo pubblicato i dati relati-vi all’attività trapiantologica europea riportata alRegistro dell’European Group for Blood andMarrow Transplantation (EBMT) che mostranocome nel corso degli ultimi decenni si sia verifi-cato un incremento nell’applicazione del TCSEautologo nei tumori solidi e del TCSE allogeni-

Trapianto di cellule Trapianto di cellule staminali emopoietichestaminali emopoieticheSTEFANO GIARDINO, GIORGIO DINIIstituto Giannina Gaslini di Genova, U.O.C. Ematologia e Oncologia Pediatrica, U.O. Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche

Parole chiave: trapianto di cellule staminali emopoie-tiche, chemioterapia ad alte dosi, condizionamento,donatore alternativo, unità sangue cordonale.

Indirizzo per la corrispondenza

Giorgio DiniU.O.C. Ematologia e OncologiaTrapianto di Cellule Staminali Emopoietiche Istituto Giannina GasliniLargo Gerolamo Gaslini, 5 - 16147 GenovaE-mail: [email protected]

Giorgio Dini

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80 Seminari di Ematologia Oncologica

co in tutte le indicazioni (oncologiche e non onco-logiche), con la sola eccezione della leucemiamieloide cronica, in relazione all’impiego effica-ce dei farmaci inibitori delle tirosin-chinasi in talepatologia (Figura 1 e 2) (3). Tali dati si osserva-no anche per quanto riguarda l’attività dei cen-tri Italiani, riportata dall’Associazione Italiana diEmatologia e Oncologia Pediatrica (AIEOP) (datinon pubblicati).

n TCSE AUTOLOGO

Il termine trapianto autologo è una dicituraimpropria con la quale è indicato un trattamentochemioterapico mieloablativo ad alte dosi di far-maci a cui segue l’infusione di cellule staminaliemopoietiche provenienti dal paziente stesso, pre-cedentemente prelevate. In passato la fonte di cel-lule staminali emopoietiche (CSE) nel trapianto

35000

30000

25000

20000

15000

10000

5000

70-72 73-75 76-78 79-81 82-84 85-87 88-90 91-93 94-96 97-99 00-02

31713

18903

12910

TOT Allo HSCT

TOT Allo HSCT

Cum Allo

Cum Auto

Cum BMT

Dati EBMT per concessione di Miano et al. Paediatric Diseases Working Party of the EBMT. Haematopoieticstem cell transplantation trends in children over the last three decades: a survey by the paediatric diseases working party of the European Group for Blood and Marrow Transplantation (3).Legenda: TOT: totali; Allo: allogenico; HSCT: trapianto di cellule staminali ematopoietiche; Auto: autologo; Cum: cumulativo.

FIGURA 1 - Numero etipo di trapianti eseguitiper anno nei centri euro-pei.

4000

3000

2000

1000

ALL AML CML MDS LYM ST NMD

P<0.001

P<0.001

P<0.0001

P<0.0001

Dati EBMT per concessione di Miano et al. Paediatric Diseases Working Party of the EBMT. Haematopoietic stem cell transplantationtrends in children over he last three decades: a survey by the paediatric diseases working party of the European Group for Blood andMarrow Transplantation (3).Legenda: ALL = leucemia linfoblastica acuta; AML = leucemia mieloide acuta; CML = leucemia mieloide cronica; MDS = mielodisplasia;LYM = linfoma; ST = tumori solidi; NMD = malattie non maligne; Allo = allogenico; Auto = autologo.

P<0.0001

Allo within April 1996

Auto within April 1996

Allo after April 1996

Auto after April 1996

FIGURA 2 - Numero ditrapianti per patologia eper anno eseguiti neicentri europei.

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81Trapianto di cellule staminali emopoietiche

autologo era rappresentata esclusivamente dalsangue midollare, prelevato mediante espianto dimidollo. Attualmente sono utilizzate per lo più lestaminali raccolte dal sangue periferico (periphe-ral blood stem cells - PBSC), che mostrano mol-teplici vantaggi nella gestione del paziente (inva-sività minore, anestesia non necessaria), nellagestione della fase post-trapianto (tempi di attec-chimento più rapidi rispetto alle CSE da sanguemidollare) e sulla malattia di base (minor rischiodi contaminazione del prodotto).La raccolta di CSE viene eseguita dopo un’ade-guata stimolazione del paziente con fattori di cre-scita emopoietici (G-CSF) e viene eseguitamediante procedura aferetica dal sangue perife-rico presso un centro trasfusionale certificato. Lastimolazione e la raccolta sono eseguite dopo unciclo di chemioterapia definito mobilizzante, ingenere in una fase in cui la malattia è in remis-sione, in particolar modo in quelle neoplasie nel-le quali il midollo osseo è una potenziale sede dimalattia, come nel caso del neuroblastoma.Il marcatore cellulare utilizzato per le CSE è ilCD34: la valutazione durante i giorni di stimola-zione con G-CSF dei livelli periferici di celluleCD34+ consente di identificare il momentomigliore per eseguire la raccolta. Questa sarà effi-

cace quando il numero totale di cellule CD34+ rac-colte risulti adeguato a consentire, una volta infu-se le cellule nel paziente, la ripresa della funzio-ne emopoietica in tutti i cicli di chemioterapia adalte dosi previsti per il paziente. Le cellule raccol-te sono divise in aliquote e criopreservate conaggiunta di dimetilsulfossido (DMSO) in azotoliquido e scongelate al momento dell’infusione.Nei pazienti in cui la raccolta non risulta adegua-ta per scarsa mobilizzazione si esegue un espian-to di midollo osseo. In alternativa attualmente èin uso sperimentale in pediatria il plerixafor(Mozobil®), un farmaco ampiamente utilizzato inetà adulta (4, 5), che agisce in sinergia con il fat-tore di crescita G-CSF, in grado di stimolare il rila-scio in circolo delle cellule staminali CD34+ altri-menti bloccate nel microambiente midollare.Attualmente è in corso uno studio multicentricoeuropeo di fase 1-2 sull’impiego del plerixafor inprima scelta nella stimolazione di pazienti pedia-trici (età >2 <18 anni) avviati ai cicli di chemiote-rapia ad alte dosi seguita da TCSE autologo.Il trapianto di CSE autologo è una procedura con-solidata in età pediatrica nel trattamento di mol-teplici tumori solidi a prognosi sfavorevole (Tabella1), come in particolare il neuroblastoma (NB) dis-seminato, il sarcoma di Ewing metastatico e i

TABELLA 1 - Indicazione alla chemioterapia alte dosi e TCSE autologo in età pediatrica.

Diagnosi Indicazione al TCSE autologo

Leucemia mieloide acuta - Prima remissione completa (CR1) ad alto rischio- Seconda remissione completa (CR2) dopo purging midollare

Linfomi maligni recidivati - Recidiva

Neuroblastoma - Alto rischio alla diagnosi- Recidiva

Tumore a cellule germinali (GCT) - Recidiva/refrattarietà

Sarcoma di Ewing - Alto rischio alla diagnosi- Recidiva/refrattarietà

Tumore di Wilms - Alto rischio alla diagnosi- Recidiva/refrattarietà

Rabdomiosarcoma - Alto rischio

Retinoblastoma - Diffusione extraoculare

Tumori SNC embrionali - Tutti

Tumori SNC gialli - Alto rischio- Recidiva/refrattarietà

Malattie autoimmuni - Tipi selezionati, refrattari alle terapie convenzionali e a prognosi severa

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82 Seminari di Ematologia Oncologica

350

300

250

200

150

100

50

0 <90 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

BM+PBSC 0 1 0 0 2 8 10 14 6 8 4 4 8 7 6 4 5 5 3 1 3 8

PBSC 0 2 5 12 18 34 38 81 99 168 191 185 183 173 244 177 151 192 188 177 147 185

BM 310 69 58 66 52 51 57 39 35 41 38 34 27 24 31 32 33 21 25 28 15 14

Anno

Num

ero

TCS

E

BM PBSC BM + PBSC

Dati Associazione Italiana Ematologia Oncologica Pediatrica (AIEOP) per gentile concessione del Dr. Arcangelo Prete del consiglio direttivo.Legenda: BM = bone marrow (midollo osseo); PBSC = peripheral blood stem cells (cellule staminali da sangue periferico).

FIGURA 3 - Numero ditrapianti autologi peranno e fonte di CSE neicentri italiani.

tumori cerebrali a prognosi severa (es. medullo-blastoma, pinealoblastoma metastatici). Rientrain protocolli specifici per il trattamento di tali neo-plasie e ha l’obiettivo primario di stabilizzare e con-solidare i risultati ottenuti con i cicli chemiotera-pici a cui il paziente è stato precedentemente sot-toposto.La sua esecuzione ha visto una crescita esponen-ziale nell’ultimo decennio, come dimostrano i datidell’attività dei centri accreditati europei e italia-ni (Figura 3).In oncologia il razionale dell’impiego di dosi sovra-massimali di radio/chemioterapia (alte dosi: da 1,5a 3 volte superiori alle dosi standard) si fonda sul-l’effetto dose-risposta, in base al quale l’azioneanti-tumorale dei farmaci citostatici è proporzio-nale all’aumentare della dose dei farmaci. Questamodalità pertanto ottimizza l’azione antitumora-le, ma ha un effetto mieloablativo: l’infusione diCSE autologhe consente di ripristinare la norma-le emopoiesi autologa, dopo un periodo di apla-sia midollare della durata media di 10-15 giorni.I limiti di tale procedura sono rappresentatiessenzialmente dalla reale capacità del regime dicondizionamento di ridurre in modo risolutivo lecellule neoplastiche residue e dalla possibile pre-senza delle cellule neoplastiche nel prodotto infu-so. Tale potenziale rischio è molto limitato nel caso

di neoplasie solide e, come detto in precedenza,minimizzato nel caso di neoplasie che coinvolga-no il midollo osseo, essendo eseguita la raccol-ta di CSE in fase di remissione morfologica del-la malattia. Inoltre, la selezione positiva delle cel-lule staminali CD34+ dal sangue periferico con-sente di ridurre al minimo tale rischio, essendo ilCD34 un marcatore esclusivo non espresso dal-le cellule neoplastiche. La metodica del purgingeseguita sul prodotto autologo è stata ampiamen-te utilizzata in passato, in particolare quando il san-gue midollare rappresentava l’unica fonte di CSEautologhe, ma non è dimostrata una reale effica-cia nel ridurre il rischio di recidiva. Tale metodicaormai superata prevedeva la decontaminazionedel prodotto autologo con l’utilizzo di farmaci deri-vati della ciclofosfamide, come la mafosfamide(ASTA-Z) e 4-idroperossiciclofosfamide (4-HC) ocon metodi immunologici (anticorpi monoclona-li specifici per marcatori espressi dalle cellule neo-plastiche), con l’effetto citostatico che inevitabil-mente comporta un ritardo nei tempi di attecchi-mento.In passato il TCSE autologo è stato ampiamen-te impiegato come consolidamento dopo terapiadi induzione nei bambini con leucemia mielobla-stica acuta (LMA) ad alto rischio, in prima remis-sione completa (CR1) o in seconda remissione

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83Trapianto di cellule staminali emopoietiche

(CR2), in mancanza di un donatore allogenico.D’altra parte i risultati degli studi pediatrici, checonfrontano il TCSE autologo alla chemioterapiaed al TCSE allogenico sono spesso in contrastotra loro. Recentemente l’AIEOP ha riportato chei pazienti sottoposti a TCSE allogenico mostra-no un esito superiore rispetto alla chemioterapiaconvenzionale e al trapianto autologo. Peraltroquesti dati retrospettivi e non controllati devonoessere trattati con cautela (6).L’opinione attuale è che il TCSE autologo con pur-ging in vitro impiegato nel consolidamento nonrappresenti nei pazienti in CR 1 un’alternativa vali-da alla chemioterapia nel rischio standard o alTCSE allogenico nell’alto rischio (7).Le principali indicazioni attualmente condivise dalGruppo Europeo per il TCSE autologo (Tabella 1)sono state recentemente pubblicate, distinguen-do l’opinione clinica in cui il TCSE può essere ese-guito dopo attenta valutazione del rapportorischio/beneficio, l’impiego generalmente non rac-comandato; il trattamento convenzionale; l’usosperimentale (8) e sul sito del Ministero Italianodella Salute è riportata una tabella con le indica-zioni al TCSE autologo in età pediatrica (BasiScientifiche per Linee Guida, sito ISS, 2012).L’introduzione del trapianto autologo nei protocol-li di trattamento dei tumori solidi a prognosi infau-sta in età pediatrica risale alla seconda metà deglianni ’80 e ai primi anni ’90, con le prime applica-zioni nel NB ad alto rischio, nell’ipotesi che unaumento dell’intensità dei trattamenti chemote-rapici potesse migliorare la sopravvivenza.Numerosi studi retrospettivi e non controllati pub-blicati in quegli anni e nei successivi dimostrava-no l’aumento dell’event-free survival (EFS) deipazienti trattati (9, 10). La più grande analisi retro-spettiva pubblicata dall’EBMT nel 1997 mostra-va una sopravvivenza a 2 anni del gruppo dipazienti sottoposti a procedura autologa del 49%,con la maggior parte delle recidive di malattia chesi verificavano entro i 18 mesi dal trapianto e lepiù tardive che si osservavano fino a 7 anni (11). Tali dati preliminari sono stati la base per i suc-cessivi studi prospettici randomizzati per la valu-tazione del TCSE autologo nel NB ad altorischio, il più importante dei quali è stato lo stu-dio di fase III del Children’s Cancer Group. Talestudio prevedeva la randomizzazione dei pazien-

ti con NB alto rischio tra un regime di consolida-mento con chemioterapia ad alte dosi e TCSEautologo versus la sola chemioterapia; unaseconda randomizzazione successiva prevedevail confronto tra l’avvio dopo il consolidamento allaterapia con acido cis-retinoico (RA) e l’assenzadi ulteriori terapie. Lo studio dimostrò la signifi-cativa maggiore EFS nel braccio di pazienti sot-toposti a TCSE autologo rispetto a quelli trattaticon la sola chemioterapia e l’impatto positivo del-la terapia con RA (12, 13), contribuendo a defi-nire il TCSE autologo seguito da 6 mesi di tera-pia orale con RA come il trattamento standard delNB alto rischio. Recentemente il gruppo del SIO-PEN (International Society of Paediatric OncologyEuropean Neuroblastoma) ha messo a confron-to diverse combinazioni di chemioterapici utiliz-zati nel regime di condizionamento per il TCSEautologo nel NB: lo schema CEM (carboplatino,etoposide, melphalan), considerato il condiziona-mento standard, contro lo schema BU-MEL(busulfano, melphalan). I dati relativi a tale studio,sebbene non siano ancora stati pubblicati, sonostati presentati all’ultimo congresso dell’AmericanSociety of Clinical Oncology, e dimostrano unadifferenza statisticamente rilevante dell’ EFS a 3anni, migliore nel braccio BU-MEL (48% vs 33%),candidando tale schema a diventare lo standard-care (14).Sull’onda dei risultati ottenuti nel NB, il TCSE auto-logo è stato impiegato negli anni come terapia disalvataggio in altri tumori solidi dell’età pediatri-ca con caratteristiche di prognosi infausta, qua-li il sarcoma di Ewing (15, 16) e il tumore di Wilmsmetastatici e/o in recidiva (17), il rabdomiosarco-ma ad alto rischio (18) e i tumori germinali meta-statici refrattari o recidivati, sebbene in questi ulti-mi un recente studio randomizzato non abbiamostrato una differenza significativa nella long-term survival dei pazienti trattati con TCSE auto-logo versus la chemioterapia sequenziale (19).Più incoraggianti sono invece i risultati riportati inletteratura sull’impiego della chemioterapia ad altedosi seguita da TCSE autologo nel trattamentodei tumori cerebrali con caratteristiche di maggio-re aggressività, quali il medulloblastoma, il pinea-loblastoma, il tumore rabdoide metastatici, convari report che hanno dimostrato il suo ruolo posi-tivo nell’incrementare la sopravvivenza libera da

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84 Seminari di Ematologia Oncologica

malattia (20-23). I protocolli attuali per i tumoricerebrali dell’età pediatrica prevedono l’esecuzio-ne, dopo la chirurgia e i cicli di chemioterapia adosi standard, di due cicli di chemioterapia ad altedosi con thiotepa e TCSE autologo, seguito dal-la radioterapia locale o, se controindicata per etàinferiore a tre anni, da un terzo ciclo di alte dosicon l’eventuale associazione del carboplatino.

n TCSE ALLOGENICO

Il trapianto allogenico di CSE (TCSE allogenico)è un trattamento ampiamente utilizzato in pedia-tria in patologie ematologiche congenite o acqui-site, oncologiche, immunologiche e metabolichee negli ultimi 15 anni il numero di TCSE allogeni-co eseguiti nei bambini in Europa è aumentato inmodo significativo.Recentemente il gruppo EBMT ha pubblicato undocumento in cui sono riportate le principali indi-cazioni attualmente condivise sull’impiego del

TCSE allogenico in pediatria (24). Sul sito delMinistero Italiano della Salute è riportata una tabel-la con le indicazioni al TCSE allogenico in etàpediatrica (Basi Scientifiche per Linee Guida, sitoISS, 2012). Nella tabella 2 sono riportate le prin-cipali indicazioni al TCSE allogenico in pediatria.Nelle patologie congenite o acquisite a carico delsistema emopoietico (insufficienze midollari, emo-globinopatie) e/o immunitario (immunodeficienze)lo scopo del trapianto di CSE allogenico è ottene-re una ricostituzione emopoietica ed immunologi-ca efficace originata dal donatore. Allo stessomodo, l’efficacia del TCSE allogenico nelle malat-tie metaboliche secondarie a defict enzimatici (es.:M. di Hurler - MPS-I) è secondaria alla sostituzio-ne del sistema immunitario ed emopoietico delpaziente, con uno nuovo che agisca da sorgentevalida e duratura dell’enzima deficitario, sia nel san-gue che nei tessuti, colonizzati dalle cellule deri-vate dal sistema reticolo-endoteliale del donatore. Nel caso delle malattie neoplastiche lo scopo èl’eradicazione della malattia alla quale contribui-

TABELLA 2 - Principali indicazioni al TCSE allogenico in pediatria.

Oncologiche Immunodeficienze

LLA - SCID- In 1° RC con caratteristiche di alto rischio* - Immunodeficienza con iper-IgM- In ≥ 2° RC - Sindrome di Wiskott-AldrichLMA in 1° o ulteriore RC - Sindrome di OmennLMC - Selezionati disordini autoimmuni life-threatening resistentiSindromi mielodisplastiche ai trattamenti convenzionaliLinfomi Hodgkin e non Hodgkin - Malattia granulomatosa cronicaTumori solidi casi selezionati**- NB 4° stadio Istiocitosi/sindromi da attivazione macrofacica- Carcinoma a cellule renali - Linfoistiocitosi emofagocitica familiare (HLH)- Sarcoma di Ewing alto rischio - Sindrome di Chediak-Higashi- Sarcomi tessuti molli - Sindrome di Griscelli

- Sindrome di Duncan (Sindrome linfoproliferativa)Insufficienze midollari e emoglobinopatie X-linked - XLPAnemia aplastica severa - Istiocitosi a cellule di LangheransAnemia di FanconiDischeratosi congenita Disordini congeniti del metabolismo e da accululoSindrome di Kostmann - Mucopolisaccaridosi di tipo IAnemia di Blackfan Diamond - Malattie lisosomiali e perossisomiali tipi selezionatiThalassemia major - OsteopetrosiDrepanocitosi

*Pazienti ad alto rischio di recidiva: alti livelli di malattia residua minima ai punti di valutazione.**Neuroblastoma metastatico o refrattario alle terapie convenzionali o recidivato dopo trapianto autologo, rabdomiosarcoma refrattario alle terapie conven-zionali o recidivato dopo trapianto autologo, sarcoma di Ewing metastatico ad altissimo rischio.

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85Trapianto di cellule staminali emopoietiche

scono sia l’effetto antitumorale delle alte dosi mie-loablative di radio/chemioterapia, sia l’effettoimmunologico del trapianto. Ciò che accade in vivodopo l’infusione delle CSE allogeniche e il loroattecchimento, con proliferazione oltre che dei pre-cursori dell’emopoiesi anche dei linfociti T deldonatore, è l’azione di immunosorveglianza che ilinfociti del donatore, le cellule NK alloreattive e lecellule accessorie del sistema fagocitario svolgo-no nei confronti delle cellule del ricevente, diven-tando capaci di montare una risposta immunolo-gica efficace contro le cellule tumorali. Questi even-ti rappresentano la base della patogenesi dellamalattia del trapianto contro l’ospite (Graft versusHost Disease - GvHD), principale complicanza ecausa di morbilità e mortalità trapianto-correlata,così come la base dell’effetto anti-tumorale (Graftversus Tumor/Graft versus Leukemia - GvT/GvL)del trapianto allogenico. La stretta correlazione traquesti due effetti è dimostrata dalla aumentata per-centuale di recidiva nei pazienti che non svilup-pano GvHD acuta e/o cronica dopo il trapianto(25).Tale è la ragione della necessità e del vantaggiodi modulare lo schema di profilassi della GvHDsulla base delle caratteristiche della malattia dibase, oltre che sul tipo di donatore (familiare iden-

tico, unrelated) e sulla fonte di CSE (sangue midol-lare, sangue periferico, sangue cordonale), con lemalattie neoplastiche che verosimilmente bene-ficiano di profilassi che non pregiudichino l’effet-to GvL, mentre altre indicazioni al TCSE non sene avvantaggiano (aplasie midollari, talassemia,immunodeficit congeniti, malattie lisosomiali).

n TIPI DI DONATORE E FONTI DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE

Il donatore familiare identico (matched siblingdonor - MSD) quando disponibile rappresenta laprima scelta in un TCSE allogenico, in relazionealla minore entità delle complicanze trapianto-cor-relate che si verifica in seguito a tale tipologia ditrapianto, sebbene la sua presenza si verifichi solonel 25% dei pazienti con indicazione al TCSE allo-genico.Nel corso degli anni è, dunque, sensibilmenteaumentato il numero di trapianti eseguiti da dona-tore alternativo: volontario non correlato (matchedunrelated donor - MUD), donatore familiare par-zialmente compatibile (mismatched related donor- MRD) e sangue cordonale (CB), che sono oggi

2500

2000

1500

1000

500

70-74 75-78 79-82 83-86 87-90 91-94 95-98 99-02

Dati EBMT per concessione di Miano et al. Paediatric Diseases Working Party of the EBMT. Haematopoietic stem cell transplantationtrends in children over he last three decades: a survey by the paediatric diseases working party of the European Group for Blood andMarrow Transplantation (3).Legenda: VUD = donatore volontario; CB = sangue di corde ombelicale, sia familiare che non correlato; Sibling Donor = donatore familiare; partially matched family donor = 1, 2 o 3 antigen mismatched family donor.

FIGURA 4 - TCSE allo-genici per tipo di dona-tore di CSE negli anni.

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86 Seminari di Ematologia Oncologica

utilizzati in oltre il 50% dei trapianti in pediatria(Figura 4).Inoltre è progressivamente aumentato l’utilizzo difonti di CSE alternative al midollo osseo; il cor-done ombelicale è oggi considerato una validaalternativa sia nelle patologie oncologiche che nononcologiche e il sangue periferico, utilizzatocome prima scelta nel trapianto autologo, è unavalida alternativa nel trapianto allogenico, in par-ticolare nei secondi trapianti dopo rigetto.

TCSE da donatore alternativoCome detto, solo il 25% dei pazienti che neces-sitano di un TCSE allogenico hanno un donato-re familiare HLA-compatibile. In tutti gli altri casiquindi l’unica opzione è l’attivazione della ricer-ca di un MUD HLA-compatibile nei registriInternazionali. Attualmente i registri di donatorivolontari di CSE sono una realtà diffusa nei pae-si sviluppati, vantaggiosamente integrati con lebanche di CB. Si stima che attualmente per lagrande maggioranza dei pazienti che necessita-no di un TCSE allogenico sia possibile trovare undonatore non consanguineo sufficientementecompatibile (HLA -A, -B, -DRB1 identico) per con-sentire il successo del trapianto (26).

Selezione del donatorePertanto, in presenza di una diagnosi di patolo-gia eligibile a un TCSE allogenico in un bambi-no, è necessario eseguire la tipizzazione degli alle-li HLA del paziente e del gruppo familiare (geni-tori ed eventuali fratelli). Gli antigeni HLA -A, -Be -C vengono usualmente identificati attraversouna tecnica a bassa risoluzione, mentre per gliantigeni HLA -DR e -DQ deve essere utilizzata lametodica ad alta risoluzione. In presenza di un fra-tello MSD, il paziente può essere avviato al tra-pianto, compatibilmente con lo stato di malattiae in accordo agli eventuali protocolli di chemio-terapia nelle patologie oncologiche. In assenza diun MSD, è necessario eseguire la tipizzazionecompleta HLA ad alta risoluzione del paziente eavviare la ricerca di un donatore volontario o diun’unità di sangue cordonale. Queste vengonoeseguite attraverso un network internazionale(Bone Marrow Donors World Wide - BMDW) checomprende oltre 11 milioni di donatori volontariarruolati in 58 registri e oltre 260.000 unità di CB

in 36 banche e il Netcord, che include ulteriori130.000 unità circa di CB in 22 banche.La selezione del donatore riveste, pertanto, un ruo-lo fondamentale per il successo finale della pro-cedura trapiantologica. Nel passato recente sonostati eseguiti varie analisi finalizzate ad identifica-re i fattori relativi alle caratteristiche del donato-re e della coppia donatore/ricevente in grado diinfluenzare la sopravvivenza del paziente trapian-tato e quindi potenzialmente utilizzabili come para-metri di scelta del donatore.È noto come il differente grado di compatibilitàdegli alleli del sistema maggiore di istocompati-bilità sia associato ad un differente esito, con l’in-cidenza di GvHD grave e di conseguenza la mor-talità trapianto correlata che aumenta all’aumen-tare del numero di differenze tra donatore e rice-vente (27, 28).La compatibilità sugli alleli HLA -A, -B, C e -DRB1tra donatore e ricevente rappresenta la principa-le caratteristica necessaria affinché il trapiantoabbia successo, in termini di attecchimento e diminore mortalità trapianto correlata, legata allaminore incidenza di GvHD. In particolare, una sin-gola differenza su alleli HLA di classe I o II nonha alcuna influenza sulla sopravvivenza ed è per-tanto accettabile, mentre un mismatching multi-plo per più di un allele di classe I o una contem-poranea disparità negli alleli di classe I e II si asso-ciano ad una TRM maggiore.L’impatto potenziale sulla sopravvivenza di even-tuali differenze sugli alleli HLA -DQ e -DP, inve-ce, risulta ancora controverso, sebbene alcuni stu-di dimostrino come differenze su tali alleli in pre-senza di compatibilità sugli antigeni di classe I eII non influenzi la sopravvivenza (29).Tra gli altri fattori considerati, la giovane età deldonatore è risultata avere un’influenza positivasignificativa sulla sopravvivenza, maggiore diquella legata ad altre caratteristiche della cop-pia donatore-ricevente, quali la sierologia per cito-megalovirus, il genere e la compatibilità AB0 (30).Il donatore ideale è pertanto rappresentato da unindividuo di età giovane adulta, compresa tra 18e 30 anni, con una compatibilità HLA donatore/ricevente di 8 loci su 8 (8/8) (escludendo la valu-tazione dell’allele corrispondente al DQB1) o daun’unità di CB che presenti una compatibilità di4 su 6 con il ricevente (considerando le differen-

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ze antigeniche HLA -A, -B e la tipizzazione alle-lica del DRB1). La quantità minima di cellulenucleate diffusamente ritenuta sufficiente a con-sentire un attecchimento dell’emopoiesi deldonatore in tempi adeguati è di 3x107 cellulenucleate per kilogrammo di peso corporeo delricevente. La scelta definitiva del donatore è, inoltre, lega-ta anche all'urgenza di eseguire il trapianto, det-tata dalla situazione della malattia di base. Nelcaso delle leucemie acute, se non si identifica undonatore volontario o un’unità di sangue cordo-nale adatto al paziente e in tempi adeguati (ingenere entro i 3 mesi dalla remissione della malat-tia), il trapianto da donatore aploidentico rappre-senta la potenziale alternativa da offrire. Alcunicentri definiscono il trapianto aploidentico l’opzio-ne terapeutica di scelta nei casi in cui un dona-tore alternativo non è disponibile.

Trapianto MUDI primi dati riportati sull’outcome dei pazienti sot-toposti a TCSE MUD mostravano una morbilitàe mortalità trapianto correlata maggiore rispettoai pazienti sottoposti a TCSE da donatore fami-liare identico, legata alla maggiore difficoltà nel-l’attecchimento e alla maggiore incidenza diGvHD sia acuta che cronica (31). Ciò era princi-palmente legato alla minore accuratezza dellemetodiche di selezione del donatore e della tipiz-zazione HLA. Attualmente le tecniche di tipizza-zione-HLA in alta risoluzione molecolare sia pergli antigeni HLA di classe I che di classe II, con-sentono di identificare quelle differenze in pas-sato non evidenziabili, ottimizzando la ricerca delmiglior donatore possibile (32, 33). L’applicazionedi tali metodiche, l’affinamento delle terapie disupporto e la maggiore conoscenza nei mecca-nismi fisiopatologici della GvHD con lo sviluppodi nuovi approcci più efficaci di profilassi e tera-pia hanno consentito di ridurre significativamen-te negli anni la mortalità trapianto correlata, ridu-cendo le differenze osservate in passato tra iTCSE da donatore alternativo rispetto ai TCSEda donatore familiare.

Trapianto di CBLa prima descrizione di un trapianto di cellule sta-minali da sangue di CB risale al 1988 (34), rela-

tiva ad un paziente affetto da anemia di Fanconitrapiantato con il sangue raccolto dal CB di unfratello, dimostrato sano e compatibile.La dimostrata sicurezza per il neonato della pro-cedure di raccolta del sangue placentare almomento del parto (35) e la dimostrata efficaciadell’utilizzo del sangue cordonale come fonte alter-nativa di CSE nel TCSE allogenico in diverse pato-logie (36-38) hanno rappresentato le basi per ladiffusione internazionale di un programma di rac-colta, tipizzazione HLA e crioconservazione del-le unità di sangue CB allo scopo di impiego neltrapianto di CSE allogenico in pazienti non con-sanguinei.Nel corso degli anni sono pertanto nate banchespecializzate nella conservazione delle unità cor-donali, unite in un registro internazionale effica-cemente integrato con i registri dei donatori volon-tari di midollo osseo e sangue periferico.Attualmente si stima che circa 300.000 unità cor-donali siano state efficacemente raccolte, tipiz-zate e criopreservate nelle banche mondiali e cir-ca 3.000 siano stati ad oggi i trapianti allogenicidi CSE che hanno visto come fonte delle stami-nali sangue cordonale non correlato.Diversi sono i potenziali vantaggi nell’utilizzo delCB nel trapianto allogenico di CSE: il principaleè rappresentato dalla possibilità di utilizzare condimostrata efficacia e sicurezza il CB anche in pre-senza di 2 differenze antigeniche HLA tra dona-tore e ricevente sui 6 loci considerati (4 su 6), mag-giore rispetto a quella consentita nei trapianti lacui fonte di CSE sia il sangue midollare o perife-rico, in relazione al fatto che i linfociti T naive pre-senti nel CB hanno una dimostrata inferiore capa-cità di determinare GvHD, rispetto a quelli con-tenuti nel midollo osseo o nel sangue periferico(39). Altra caratteristica vantaggiosa, nei casi incui il fattore tempo risulti determinante per la pato-logia di base, è la rapida disponibilità delle cellu-le criopreservate, essendo in media circa 3-4 set-timane l’attesa tra l’attivazione della ricerca e lapossibilità di utilizzare un’unità di sangue cordo-nale, il cui utilizzo, inoltre, non è dipendente daldonatore e dal suo stato di salute. Inoltre ridottoè il rischio di contaminazioni virali, quali ilCitomegalovirus e l’Epstein Barr virus con ridot-to rischio di trasmissione di infezioni.Dal confronto tra casistiche pediatriche di TCSE

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allogenici la cui fonte è stata il sangue midolla-re o periferico e quelli in cui è stato utilizzato CBemerge che nel TCSE da CB i tempi di attecchi-mento sia dei neutrofili che delle piastrine sonomaggiori e più lenta è la ricostituzione immuno-logica che si osserva, con conseguente più altamortalità trapianto correlata (TRM), nelle fasi pre-coci post trapianto, secondaria ad un maggiorrischio infettivo. In compenso, inferiore apparel’incidenza della GvHD sia acuta che cronica. Talidifferenze sono legate alla scarsità di linfociti Tdella memoria nel sangue cordonale rispetto alsangue midollare o periferico, con tali cellule checontribuiscono significativamente alla ricostitu-zione immunologica precoce nei riceventi unTCSE da midollo osseo o dal sangue periferico(40).Inoltre in tali analisi è emersa la correlazione inver-sa tra il numero di cellule infuse con il sangue CBe l’incidenza cumulativa di mortalità trapianto cor-relata, con i soggetti che ricevono una dose di cel-lule nucleate per kilogrammo di peso corporeominore che mostrano un rischio più elevato di svi-luppare complicanze letali (41). Il principale limite all’utilizzo del CB è rappresen-tato in effetti dalla cellularità dell’unità di sangueCB prelevata e conservata, che può non esseresufficiente a garantire l’attecchimento duraturo inpazienti di peso maggiore, motivo per cui il suoimpiego è molto limitato negli adolescenti e negliadulti.Alcune tecniche attualmente in sviluppo, comel’infusione di CB intraossea (42), l’infusione di duediverse unità di CB (43) e l’utilizzo di tecniche diespansione in vitro delle CSE da CB hanno comeobiettivo proprio quello di superare tale limite.

TCSE da donatore aploidenticoPer donatore aploidentico si intende un sogget-to che condivida con il ricevente un solo alleleper ciascuna coppia dei loci dell’HLA, come nelcaso di un genitore con il proprio figlio. Il trapian-to aploidentico rappresenta un’alternativa pron-tamente disponibile per quei pazienti affetti daleucemia per i quali la ricerca non identifica undonatore compatibile, ma come tale sarebbe gra-vato da un elevato rischio di GvHD grave, perl’elevata disparità HLA. Le tecniche di esecuzio-ne del TCSE aploidentico prevedono, quindi, la

rimozione completa dei linfociti T dal prodottoinfuso eseguita in vivo o in vitro e l’infusione diun numero elevato di cellule CD34+, consenten-do in tal modo, come dimostrato da dati della let-teratura recente, un attecchimento adeguato esostenuto, in assenza di GvHD nella maggior par-te dei casi (44).La T-deplezione è una tecnica che, eliminando lecellule T di origine del donatore, da un lato azze-ra il rischio della comparsa di GvHD al punto danon rendere necessaria l’immunosopressionepost-trapianto, ma dall’altro elimina l’effetto GvLmediato dai linfociti T del donatore. Alcuni trialsdi TCSE aploidentici in pazienti adulti affetti daLMA hanno, però, dimostrato che le cellule NKalloreattive sono in grado di garantire l’attecchi-mento e svolgere un effetto anti-leucemico, sen-za determinare GvHD (45).L’alloreattività delle cellule NK del donatore con-tro il ricevente è un fenomeno unico del trapian-to aploidentico, che deriva dalla differenza tra i clo-ni NK del donatore (che presentano recettori ini-bitori per le molecole del complesso maggiore diistocompatibilità - MHC di classe I) e i ligandi MHCdi classe I delle cellule del ricevente. Pertanto, unpaziente che riceve un TCSE aploidentico T-deple-to può beneficiare dell’effetto GvL mediato dallecellule NK alloreattive, la cui efficacia andrebbe,quando possibile, testata in vitro per scegliere ildonatore migliore tra i due genitori (46).La principale causa di morbilità e mortalità nei tra-pianti aploidentici T-depleti è rappresentata daglieventi infettivi sia virali che micotici, in generegestibili con difficoltà dalle terapie antivirali e anti-fungine convenzionali e secondarie alla non ade-guata ricostituzione immunologica nelle fasi pre-coci post-trapianto, per l’assenza delle cellule Tdella memoria del donatore. In tali pazienti è per-tanto indicata e necessaria l’immunoterapia cel-lulare adottiva, che si avvale del trasferimento nelpaziente di linfociti T citotossici del donatore stes-so o third-part sensibilizzati contro i patogeni prin-cipalmente coinvolti nella morbilità post trapian-to (es.: HCMV, EBV, Aspergillus spp.) ed espan-si in vitro.Tutte queste caratteristiche rendono il TCSE aploi-dentico T-depleto un’alternativa eseguibile solo incentri con particolare esperienza in questo set-tore e supportati da adeguati e certificati labora-

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89Trapianto di cellule staminali emopoietiche

tori di ingegneria cellulare che rispondano ai cri-teri richiesti della GMP (good manufacturing prac-tice). L’uso dell’immunoterapia cellulare adottiva al finedi prevenire e/o trattare le infezioni rappresentaun’importante attrattiva, il cui sviluppo è auspi-cabile per la sua applicazione nel trapiantoaploidentico, dove l’assenza dei linfociti T dellamemoria espone a notevole rischio infettivo, rap-presentando un modello di studio unico per la suaapplicazione, anche nel TCSE allogenico MUD,come utile arma al fine di ottimizzare la gestionedelle infezioni.

n REGIMI DI CONDIZIONAMENTO

Il TCSE prevede l’eradicazione dell’emopoiesi delpaziente mediante la somministrazione di farma-ci chemioterapici e/o immunosoppressivi checostruiscono il regime di condizionamento (RC)ed il successivo ripristino della normale cellulari-tà midollare, ottenuta grazie all’infusione di cel-lule staminali prelevate da un donatore o, nelTCSE autologo, le cellule staminali del pazientestesso.

RC mieloablativiStoricamente prevedono l’utilizzo dell’irradiazio-ne corporea totale (total body irradiation, TBI) o,in alternativa, del busulfano associata a chemio-terapia mieloablativa, nonché dotata di capacitàimmunosoppressiva (ciclofosfamide, etoposide,melphalan, citosina-arabinoside).Gli obiettivi sono:1) creare spazio alle cellule staminali del dona-

tore in sostituzione di quelle del ricevente;2) indurre un’immunosoppressione tale da impe-

dire il rigetto del trapianto;3) eradicare cellule neoplastiche presenti al

momento della realizzazione della proceduratrapiantologica.

Il principale problema secondario alla terapia dicondizionamento è rappresentato dalla compar-sa di effetti tossici sull’organismo del ricevente sianelle fasi precoci (tossicità d’organo), con impor-tante contributo alla mortalità del paziente trapian-tato, che a lungo termine nei lungosopravviven-ti. Il notevole affinamento delle terapie di suppor-

to, della gestione delle complicanze infettivologi-che e immunologiche (GvHD) ha significativamen-te aumentato la sopravvivenza a lungo termine deipazienti trapiantati, con le complicanze tardive (lateeffects) che rappresentano un’importante condi-zione, in particolar modo nella popolazionepediatrica.In questa prospettiva, l’atteggiamento attuale èquello di ottimizzare il rapporto efficacia/tossici-tà dei protocolli utilizzati nella preparazione al tra-pianto, con l’obiettivo di conservare l’effetto cura-tivo e limitarne quello tossico a breve e a lungotermine. Non stupisce, quindi, che, con l’ecce-zione della leucemia linfatica acuta (ove l’impie-go della TBI offre, un vantaggio in termini disopravvivenza finale) la radioterapia a doseconvenzionale (990-1200 cGy) sia utilizzata sem-pre meno frequentemente. Il busulfano, rispettoalla TBI, è gravato da una minor incidenza di effet-ti collaterali, di tipo neurologico (47) ed inerentiad un ritardo nell’accrescimento staturale (48)motivato da ridotta produzione di ormone soma-totropo, conseguente al trattamento radiante. Pertali ragioni, il suo uso, a parità di efficacia anti-tumorale rispetto alla radioterapia, è raccoman-dato in maniera particolare nei pazienti di età <3anni. Nonostante tali vantaggi, anche il busulfa-no è gravato da importante tossicità precoce(aumentata incidenza della malattia veno-occlu-siva - VOD) e a lungo termine, in particolare sul-la funzione riproduttiva.Negli ultimi anni sono aumentate le esperienzeriportate nell’utilizzo del treosulfano nel regime dicondizionamento sia in patologie oncologiche chenon oncologiche, un chemioterapico alchilanteanalogo strutturale del busulfano, che associa aduna efficace azione mieloablativa e antileucemi-ca (49, 50), una ridotta tossicità (51), dimostratain diversi studi condotti sulla popolazione adulta.La sua azione antitumorale è stata dimostrataanche in neoplasie dell’età pediatrica (52-54). Unostudio pilota del 2002 ha confermato i risultati posi-tivi evidenziati negli adulti, dimostrando la sua effi-cacia nel condizionamento di TCSE allogenici ese-guiti in pazienti pediatrici affetti da mielodisplasia(55). Su tali premesse il treosulfano è stato sem-pre più spesso utilizzato negli ultimi anni in etàpediatrica, in particolare in pazienti con importan-ti co-morbilità o nei secondi trapianti. Un recente

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90 Seminari di Ematologia Oncologica

studio retrospettivo dell’EBMT condotto su 51pazienti sottoposti a TCSE allogenico per malat-tie neoplastiche, con treosulfano nel regime di con-dizionamento, non eleggibili ai trattamenti standard,ha dimostrato risultati adeguati in termini diattecchimento e sopravvivenza libera da malattia(61%), significativamente maggiore nei pazientiaffetti da LMA rispetto a quelli affetti da leucemialinfoblastica acuta (73% vs 41%).

RC non mieloablativiLa conoscenza che al successo del TCSE allo-genico contribuisca più l’effetto immunologico deltrapianto che l’intensità del trattamento farmaco-logico o radiante pre-trapianto, e la possibilità diridurre la tossicità trapiantologica mediante l’im-piego di regimi definiti ad intensità ridotta (RIC)(56) hanno contribuito allo sviluppo di regimi dicondizionamento improntati ad un prevalenteeffetto immunosoppressivo. Questo approcciotrapiantologico che è reso possibile dalla dispo-nibilità di farmaci immunosoppressori quali la flu-darabina (57) e dall’utilizzo di alte dosi (megado-si) di cellule staminali emopoietiche, attraversocui ottenere uno stabile attecchimento emopo-ietico, affida alle cellule immunocompetenti deldonatore (eventualmente con il supporto di ulte-riori infusione di leucociti post-trapianto, DLI-donor leukocyte infusion) il compito non solo dimediare un effetto GvL nelle indicazioni oncolo-giche, ma anche quello di eliminare progressiva-mente l’emopoiesi del ricevente, riducendosignificativamente la mortalità e la morbilità tra-pianto-correlata.Molteplici risultano ad oggi le analisi che dimo-strano l’efficacia degli approcci chemioterapicimeno aggressivi nel TCSE allogenico in pedia-tria. RIC sono da anni utilizzati nella preparazio-ne al trapianto di pazienti affetti da anemia diFanconi, nei quali la condizione di fragilità cro-mosomica caratterizzante la malattia di baseespone a grave tossicità secondaria alla chemio-terapia mieloablativa. Tale tipologia di pazientiraggiunge un attecchimento stabile dopo con-diz ionamento con dosi basse di ciclofosfamideassociata ad irradiazione toraco-addominale(attalmente in disuso) o alla fludarabina (58, 59).Allo stesso modo, i pazienti affetti da anemiaaplastica severa idiopatica condizionati con la

sola ciclofosfamide e il siero antilinfocitario sonoin grado di raggiungere un chimerismo comple-to del donatore (60).Pertanto, il requisito minimo richiesto ad un RICaffinché sia raggiunto un attecchimento stabileè rappresentato da un’immunosoppressionetale da consentire a breve termine alle CSE tra-piantate di stabilirsi, proliferare e svilupparsi nelmicroambiente midollare e ai DLI contenuti nelprodotto infuso di effettuare un’immunosorve-glianza nei confronti dei linfociti residui del rice-vente e, nelle malattie neoplastiche, delle cellu-le tumorali.L’impiego dei RIC nelle patologie non oncologi-che ha, quindi, lo scopo di limitare gli effetti tos-sici a breve e lungo termine dei farmaci utilizza-ti nella preparazione al trapianto, mantenendoinvariato l’obiettivo finale di correzione dell’erro-re congenito o acquisito alla base della malattia.Nelle patologie neoplastiche, invece, tali schemivengono in genere applicati in pazienti selezio-nati, che, per importanti co-morbilità, non tolle-rerebbero un condizionamento mieloablativo,conservando l’effetto GvL, eventualmente ottimiz-zato da adattamenti nella profilassi della GvHD.Attuamente è in corso di studio l’applicazione delTCSE allogenico con condizionamento non mie-loablativo nel NB ad alto rischio resistente e/o reci-divato dopo chemioterapia ad alte dosi seguitada infusione di CSE autologhe; in tale contestol’obiettivo è esclusivamente quello di sfruttare l’ef-fetto GvL, nei confronti di una malattia dimostra-tasi resistente al regime di condizionamento mie-loablativo già utilizzato nelle procedure di TCSEautologo.Una condizione che si verifica più comunemen-te nei trapianti dopo regime di condizionamentonon mieloablativo eseguito per patologie non neo-plastiche è la comparsa di un chimerismo mistostabile, cioè la coesistenza nel paziente di cellu-le sia di origine del donatore che del ricevente,in percentuali che si mantengono stabili nel tem-po, esempio di tolleranza immunologica. Tale con-dizione, come definito in seguito, non rappresen-ta in genere un limite all’efficacia della procedu-ra trapiantologica, con il difetto di base per cui iltrapianto è stato eseguito che si corregge anchein assenza di un chimerismo completo del dona-tore (61).

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91Trapianto di cellule staminali emopoietiche

n TCSE IN PATOLOGIE NON ONCOLOGICHE

Il TSCE allogenico rappresenta ad oggi il solo trat-tamento curativo per i pazienti affetti da molte-plici patologie congenite o acquisite non onco-logiche, a carico del sistema emopoietico (es.:emoglobinopatie, insufficienze midollari, immu-nodeficit) o di elementi cellulari da esso deriva-ti (es.: osteopetrosi maligna) o caratterizzate dacarenze enzimatiche (es.: malattie da accumulolisosomiale). L’obiettivo del trapianto in questepatologie è quello di raggiungere un attecchimen-to sostenuto nel tempo al fine di migliorare la fun-zione emopoietica, ripristinare la competenzaimmunologica o normalizzare le funzionalitàenzimatiche carenti. In tale contesto non è neces-sario sostituire completamente il sistema emo-poietico dell’ospite, ma il raggiungimento di unchimerismo misto stabile tra le cellule del rice-vente e quelle originatesi dalle CSE del donato-re risulta in genere sufficiente a correggere lamalattia di base (62). Pertanto, al fine di limitarela tossicità e la secondaria mortalità trapianto cor-relata, molti dei RC utilizzati in tali patologie sonodi tipo non mieloablativo o a intensità ridotta.Inoltre, considerando che nel trapianto eseguitoper una patologia oncologica manca il raziona-le dell’effetto GvL, la profilassi della GvHD ese-guita è in genere più intensa, con la T-deplezio-ne frequentemente eseguita in tali pazienti.Come conseguenza si osserva una più elevatafrequenza di rigetto acuto o mancato attecchi-mento, che rappresentano le principali cause diinsuccesso del TCSE in tali patologie.

Malattie metabolicheIl TCSE ha rappresentato il primo approccio tera-peutico con finalità curative per le malattie meta-boliche da accumulo lisosomiale (LSDs). La pri-ma applicazione risale ai primi anni ’80 in unpaziente affetto da sindrome di Hurler (mucopo-lisaccaridosi di tipo I), che mostrò dopo il tra-pianto un eclatante miglioramento delle condi-zioni generali. La finalità del TCSE nelle LSDs e,più in generale, negli errori congeniti del meta-bolismo, è quella di fornire una sorgente validae duratura dell’enzima deficitario, rappresenta-ta dalla popolazione cellulare originata dalle CSE

del donatore: i leucociti circolanti e le cellule delsistema reticolo-endoteliale che, originate dalleCSE, sono in grado di colonizzare i tessuti (es.:macrofagi alveolari polmonari, cellule di Kuppferdel fegato, macrofagi splenici, cellule dendriti-che, osteoclasti, cellule della microglia cerebra-le). La capacità di colonizzare il sistema nervo-so centrale rappresenta la base dell’efficacia delTCSE nelle LSDs caratterizzate dal suo deterio-ramento.Il successo del TCSE dipende dall’entità dell’en-zima deficitario e dallo stadio della malattia almomento del trapianto. In generale, l’accumuloviscerale e i sintomi associati tendono a regredi-re dopo trapianto, così come il ritardo di cresci-ta si attenua e lo sviluppo psicomotorio è incre-mentato, mentre tendenzialmente le deformitàscheletriche e articolari persistono. In generale imigliori risultati a lungo termine si ottengono neicasi in cui il trapianto è eseguito precocementenei primi 2 anni di vita.Le principali esperienze sono nella sua applica-zione nella sindrome di Hurler (MPS-I); attualmen-te sono stati eseguiti nel mondo oltre 500 trapian-ti, con evidenza di miglioramento nei sintomi car-diopolmonari, in quelli legati all’accumulo visce-rale e corneale, nell’accrescimento staturo-pon-derale e nello sviluppo cognitivo e psicomotorio,in particolare se il trapianto era eseguito entro iprimi due anni di vita. Al contrario, le deformitàscheletriche (es.: gibbo) e i difetti valvolari cardia-ci non miglioravano (63). Attualmente le linee gui-da internazionali indicano il TCSE nella MPS-I-Hurler, nella MPS-IV, nella leucodistrofia metacro-matica, nella leucodistrofia globoide-Krabbe, nel-l’adrenoleucodistrofia X-linked (malattia dei peros-sisomi), nella a-mannosidosi, nella malattia diNieman-pick di tipo B, patologie nelle quali è suf-ficientemente dimostrata dall’esperienza l’effica-cia del trapianto nel migliorare l’outcome deipazienti a breve e lungo termine. In molte altreLSDs l’indicazione al trapianto è ancora in fasedi valutazione, essendo ancora scarse le espe-rienza descritte e con follow-up ancora troppobrevi per definirne l’efficacia a lungo termine (fuco-sidosi, lipogranulomatosi di Farber, gangliosido-si GM1, mucolipidosi I e II, aspartilglucosaminu-ria, mevalonico aciduria). Tali linee guida controin-dicano il TCSE nei casi in cui il danno del SNC è

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92 Seminari di Ematologia Oncologica

ormai in fase avanzata, essendo in tali casi irre-versibile (64).

n COMPLICANZE TARDIVE

L’incremento del numero di patologie per cui ilTCSE allogenico è indicato, l’aumentata dispo-nibilità di donatori alternativi per quei pazienti conun fenotipo HLA più raro (CB o aploidentico), inotevoli progressi ottenuti nella gestione delpaziente trapiantato (dalla selezione del donato-re alle terapie della GvHD, alla gestione delle com-plicanze infettivologiche e tossiche precoci), conriduzione della TRM, hanno contribuito a creareuna popolazione ampia e crescente di pazienti tra-piantati lungosopravviventi, guariti dalla patologiadi base.Le aspettative di vita dei guariti sono chiaramen-te maggiori negli individui trapiantati in età pedia-trica. Inoltre in tali soggetti l’età evolutiva rappre-senta un fattore che aggrava l’entità degli effettitardivi, rispetto a quanto accade nel pazientesopravvissuto dopo TCSE eseguito in età adulta.La conoscenza e la gestione delle problematicheche possono comparire a lungo termine nel sog-getto trapiantato, sia quelle fisiche di pertinenzamedica che psicologiche e comportamentali, sonopertanto meritevoli di interesse medico e scien-tifico, anche in relazione al costo sociale che rap-presentano.In tale popolazione il tasso di mortalità è certa-mente più alto rispetto alla popolazione genera-le. Uno dei più grandi studi condotti sui pazientisottoposti a TCSE con una sopravvivenza di alme-no due anni dal trapianto, il Bone MarrowTransplant Survivor Study (BMT-SS), ha osserva-to che i i TCSE allogenici presentano un rischio9,9 volte maggiore rispetto alla popolazione gene-rale di una morte prematura. Anche a 15 anni daltrapianto, questi individui continuano a presenta-re una mortalità due volte maggiore rispetto alresto della popolazione (standardized mortalityratio =2,2). Sebbene la maggior parte dei deces-si siano secondari alla recidiva della patologia dibase e alla GvHD cronica, la mortalità tardiva èattribuita a cause secondarie al trattamento nel25% dei casi, quali secondi tumori, le infezioni tar-dive e le cause cardiache o polmonari.

Nella maggior parte delle complicanze d’organo,sebbene si riconosca una patogenesi multifatto-riale, un ruolo fondamentale è svolto dal dannoiatrogeno del regime di condizionamento e dallaGvHD cronica.Le alterazioni endocrinologiche rappresentano lacomplicanze di più frequente osservazione e di rile-vanza particolare in pediatria. Circa il 30-55% deibambini che hanno ricevuto la TBI e il 10% di quel-li che hanno ricevuto un RC con la sola chemio-terapia presentano un ritardo di crescita, secon-dario allo sviluppo di un quadro di ipopituitarismocon ridotta produzione dell’ormone somatotropoal danno diretto della radioterapia sulle cartilagi-ni di accrescimento. In tale contesto la dose tota-le e la modalità di erogazione della TBI (dose sin-gola o frazionata) giocano un ruolo importante.Concorrono a determinare una rallentata velocitàdi crescita e un’altezza finale inferiore l’eventualeterapia steroidea prolungata in presenza di GvHDcronica (65). La valutazione auxologica periodicaè pertanto importante in tali pazienti, al fine di moni-torare l’eventuale ritardo al fine di un trattamentocon l’ormone della crescita nei casi in cui questoè indicato.Circa il 40% dei pazienti presenta anomalie tiroi-dee, in genere sotto forma di ipotiroidismo, nel-la maggior parte dei casi compensato, ma che incirca un quarto dei casi progredisce con neces-sità di terapia sostitutiva. Il danno gonadico diretto della radioterapia èresponsabile di una condizione di ipogonadismoipergonadotropo dovuto al danno sulle cellulegerminali. Nel maschio la radioterapia determi-na una riduzione della spermatogenesi e unaumento dell’ormone follicolo-stimolante (FSH)per un danno delle cellule di Sertoli, mentre, perla maggiore resistenza delle cellule di Leydig allaradioterapia, la secrezione del testosterone puòessere normale o ridotta con livelli di ormoneluteotropo normali o lievemente elevati (ipogona-dismo - ipergonadotropo compensato). Sebbenela pubertà ritardata sia una condizione presso-ché costante, generalmente i maschi avviano ilprocesso puberale spontaneamente e sono ingrado di completare tale processo senza neces-sità di alcuna terapia specifica. Per quanto riguar-da le femmine il danno ovarico è relativo alla dosedi radioterapia utilizzata e all’età di somministra-

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93Trapianto di cellule staminali emopoietiche

zione (bambine di minore età necessitano di dosipiù elevate di radioterapia per produrre un dan-no irreversibile). Nelle femmine l’ipogonadismoipergonadotropo si manifesta o con un manca-to avvio ed evoluzione puberale spontanea o conamenorrea o con menopausa precoce. La ciclo-fosfamide che viene spesso utilizzata nella tera-pia di condizionamento a dosaggi abituali pari a120-200 mg/kg non determina danno gonadicopermanente. Tuttavia è noto che l’associazionedella ciclofosfamide con il busulfano è in gradodi determinare un danno gonadico irreversibilenella maggior parte dei soggetti sottoposti a tra-pianto (66).L’osteonecrosi rappresenta una ulteriore compli-canza tardiva che si verifica con una frequenzavariabile dal 4,3% al 19% dei pazienti sottopostia TCSE allogenico in età pediatrica. È per defi-nizione una necrosi di un segmento osseo; in basealla sede dell’osso interessata dal processonecrotico (midollare o corticale), l’osteonecrosi puòessere asintomatica o manifestarsi con dolore elimitazione delle capacità funzionali del sogget-to. La sua evoluzione può portare al collasso arti-colare o all’artrite cronica. Le sedi più frequente-mente coinvolte sono: i condili prossimali deifemori (54-62%), i condili distali dei femori (33-37%), le teste degli omeri (9-10%); in tutte que-ste sedi l’interessamento può essere mono o bila-terale. I principali fattori di rischio identificati per l’osteo-necrosi sono:1) l’età al trapianto, con l’età adolescenziale più

tipicamente colpita;2) il sesso (femminile per alcuni studi e maschi-

le per altri);3) la malattia primaria, essendo più frequente nel-

l’aplasia midollare;4) la presenza di GvHD acuta o cronica;5) l’utilizzo della TBI;6) le alte dosi e le prolungate terapie con steroi-

di eseguite sia nelle fasi pre che post-TCSE;7) l’uso della ciclosporina.Il trattamento ciclico con bifosfonati per via endo-venosa, associato a supporto di calcio e vitami-na D per via orale, rappresenta l’approccio tera-peutico medico di prima scelta in pediatria, condiscreto risultato a breve termine sul controllo deldolore e sul contenimento dei processi necrotici,

ma risulta insufficiente in quei processi ampi o incaso di persistenza della terapia steroidea. La sosti-tuzione protesica (es.: testa del femore) rappresen-ta nei casi a prognosi peggiore l’unica soluzione,per l’esecuzione della quale nell’età evolutiva èspesso necessario attendere il termine della cre-scita staturale, al fine di evitare un’irreversibile inter-ruzione dell’accrescimento del segmento osseocon conseguente dismetria finale degli arti. Attualmente sono in sviluppo delle tecniche dichirurgia ortopedica che prevedono la decom-pressione del segmento osseo in necrosi (coredecompression), la sua rivascolarizzazione e lainstillazione locale di un concentrato di piastrinee CSE da sangue midollare autologo, prelevatodal paziente stesso mediante espianto. Tale tec-nica ha lo scopo di sfruttare il potenziale effettorigenerativo delle cellule staminali nella ricostru-zione dell’osso colpito. Sebbene dati relativi all’ef-fetto di tale trattamento nell’osteonecrosi delpaziente trapiantato non siano ancora disponi-bili, a supporto dell’indicazione sono le esperien-za riportate in letteratura che ne dimostrano l’ef-ficacia (67).

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