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Anno 34 - 2015 Volume 33, n. 3 ISSN 2038-2553 ALLERGOLOGIC N OTIZIARIO Immunogenicità dei farmaci biologici: quale impatto clinico? Le “immunoterapie orfane” Il recettore ad alta affinità per le IgE VITAMINA D 1. e allergopatie, un rapporto affascinante, ma ancora controverso 2. e focus sui pazienti pediatrici allergici

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Anno 34 - 2015 • Volume 33, n. 3

ISSN 2038-2553

ALLERGOLOGICNOTIZIARIO

Immunogenicità dei farmaci biologici: quale impatto clinico?

Le “immunoterapie orfane”

Il recettore ad alta affinità per le IgE

VITAMINA D1. e allergopatie, un rapporto affascinante, ma ancora controverso2. e focus sui pazienti pediatrici allergici

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Anno 34, 2015 - Volume 33, n. 3

direttore responsabileGianni Mistrello

redazioneFabrizio Ottoboni

progetto graficoMaura Fattorini

Stampato da:

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via Benigno Crespi, 30 - 20159 Milano

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Lofarma S.p.A.Viale Cassala 40, 20143 - Milanotel. +39 02 581981fax +39 02 8322512e-mail: [email protected]

Registrazione Tribunale di Milano n. 306 dell’ 1.8.1980

Pubblicazione Quadrimestrale

Il Notiziario Allergologico è on-line su

www.lofarma.it

In copertina: Torre Unicredit

UniCredit Tower è il grattacielo più alto d’Italia con i suoi 230 metri d’altezza progettato dallo studio americano Pel-li Clarke Pelli Architects. L’imponente Spire, posizionata in modo eccentrico è ormai uno dei simboli di Milano. I tre edifici che compongono il complesso UniCredit Tower hanno inoltre ricevuto dall’Us Green Building Council – orga-nizzazione che promuove e garantisce, in oltre 100 Paesi nel mondo, un approc-cio globale alla sostenibilità – la certi-ficazione Leed Gold. Il bollino “verde” rilasciato dall’Us Green Building Council certifica il 22,5% di risparmio energeti-co, il 37,3% di riduzione dell’utilizzo di acqua potabile negli edifici, il totale riu-tilizzo di acqua piovana, il 93% di riciclo dei rifiuti da cantiere, il 20,5% di materiale proveniente da riciclo utilizzato nelle costruzioni e, infine, il 41% di materiali di provenienza locale.

Fotografia diDaniela Zelaschi Ottoboni

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sommarioNotiziario Allergologico, Anno 34 - 2015 - Volume 33, n. 3

editoriale 98

Il filo conduttore: Milano 2015 Fabrizio Ottoboni

recensioni Fabrizio Ottoboni

Editing del genoma con CRISPR/Cas 9 138Liang P, Xu Y, Zhang X et al.

Cloro della piscina e allergia 139Bernard A, Nickmilder M, Dumont X

Asma come fattore di rischio per herpes zoster negli adulti 140Kwon HJ, Bang DW, Kim EN et al.

Taglio cesareo e ripristino del microbioma nel neonato mediante tampone vaginale 141Kristensen K, Henriksen L Dominguez-Bello MG, De Jesus-Laboy K, Shen N et al.

Allergia ad Anisakis in Sicilia 142Heffler E, Sberna ME, Sichili S et al.

Immunogenicità dei farmaci biologici: quale impatto clinico? 99Alessandra Vultaggio, Andrea Matucci, Enrico Maggi

Le “immunoterapie orfane” 107Erminia Ridolo, Cristoforo Incorvaia, Marcello Montagni, Gianenrico Senna, Giovanni Passalacqua

Il recettore ad alta affinità per le IgE 113Rosa Molfetta e Rossella Paolini

Vitamina D e allergopatie: un rapporto affascinante, ma ancora controverso 121Carlo Lombardi

Auguri 134

Vitamina D: focus sui pazienti pediatrici allergici 135Massimo Landi

aggiornamenti

curiosità Gennaro D’Amato

L’asma negli uomini famosi 143

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Not Allergol Anno 34 - 2015 • Vol. 33, n. 398

editoriale

Il filo conduttore:Milano 2015

Fabrizio Ottoboni

M ilano… il 2015 è stato un anno straordinario. EXPO! Nella mia biblioteca ho tro-vato un vecchio almanacco

della famiglia milanese del 1959 e vi ri-porto alcune frasi introduttive.“Volgendoci all’anno trascorso possiamo dire, con legittimo orgoglio, che Milano s’è mantenuta fedele al suo primato di operosità con coraggiose realizzazioni, con ispirate iniziative sia nel campo del lavoro sia in quello culturale. L’edilizia ha nuovamente allargati i confini della città, la Metropolitana ha progredito con ritmo meraviglioso, opere egregie sono state compiute o sviluppate nel campo dell’assistenza sociale, la repu-tazione di Milano è stata degnamente e meritatamente accresciuta nell’area del mercato comune sì da elencare la no-stra città fra le capitali europee più va-lide quale sede convogliatrice dei nuovi traffici, la Fiera ha segnato uno sviluppo mai prima raggiunto”. Sostituendo il termine Fiera con EXPO il risultato è lo stesso. Un vero successo.In questo n° del Not Allergol vi presen-to lavori straordinari per creatività o per capacità di sintesi analitica.Tutti parlano di farmaci biologici, ma qual è l’impatto clinico? Alessandra Vul-taggio espone in modo chiaro i pro ed i contra.

Un problema molto sentito dagli aller-gologi: cosa faccio con allergie partico-lari? Erminia Ridolo e Coll. pongono all’’AIFA una domanda che chiede ri-sposta. Esistono cittadini di serie A ed altri di serie B?Come lavora il recettore FceRI, il de-tonatore delle reazioni allergiche? Rosa Molfetta e Rossella Paolini ce lo spiega-no in modo chiaro ed elegante.Tutti parlano della vitamina D nelle allergie. Chi benissimo, chi malissimo. Due grandi esperti fanno il punto sul

problema. Carlo Lombardi presenta la vitamina D e le controversie, e Massimo Landi le conoscenze applicabili dai pe-diatri. Non male eh?Le mie recensioni non sono fatte col traduttore di Google applicato al sum-mary. Avete constatato in passato che io vi offro la possibilità di approfondire senza fatica l’argomento. Anche stavolta vi offro delle “chicche” che penso mera-vigliose. A voi il giudizio ;-)

Buona lettura

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introduzione

L’introduzione dei farmaci biologici (biological agents - BA) ha rappresen-tato un passo fondamentale per il pro-gresso della terapia di molte malattie tra le quali i disordini immuno-media-ti e le patologie oncologiche. Tra i BA quelli di maggiore impiego sono rap-presentati dagli anticorpi monoclonali e dalle proteine di fusione. Il numero dei BA attualmente commercializzati e il progressivo aumento delle patologie che oggi vengono trattate con questi nuovi farmaci, riflettono il loro suc-cesso d’impiego. Nel prossimo futuro è attesa la disponibilità di un numero crescente di BA capaci di interagire con molecole o fattori responsabili di di-verse condizioni cliniche, che potranno trovare giovamento dall’applicazione di tali farmaci (1). Uno dei principali motivi che possono limitare il loro impiego è correlato alla loro immunogenicità, cioè al fatto che essi stessi rappresentano, almeno in una

Alessandra Vultaggio*Andrea Matucci*Enrico Maggi°

*SOD Immunoallergologia, AOU Careggi, Firenze°Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università degli Studi di Firenze

Immunogenicità dei farmaci biologici: quale impatto clinico?

Immunogenicity of biological agents: what clinical impact?

riassunto

Parole chiave e sigle• immunogenicità • BA=farmaci biologici • anticorpi anti-farmaco • anticorpo monoclonale

I farmaci biologici hanno profondamente modificato la storia naturale delle malattie immu-no-mediate, ma presentano caratteristiche strutturali che determinano la loro capacità di indurre una risposta immune anti-farmaco. Questa capacità viene definita immunogenicità e si caratterizza per lo sviluppo di anticorpi specifici (anti-drug antibodies: ADA). Molteplici fattori contribuiscono a condizionare l’immunogenicità di un BA, alcuni dei quali correlate al farmaco stesso, alla modalità di somministrazione, alla patologia per la quale sono impiegati nonché alle caratteristiche del paziente. L’induzione di una risposta immune al farmaco può avere conseguenze cliniche o raramente rimanere un effetto biologico isolato. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la produzione di ADA può complicarsi con riduzione dell'efficacia tera-peutica o la comparsa di reazioni infusionali, anche di grave entità.

discreta percentuale dei pazienti trat-tati, molecole verso le quali il sistema immunitario reagisce con la produzio-ne di anticorpi anti-farmaco [anti-drug antibodies (ADA)]. Gli ADA possono interferire con l’efficacia del BA oppu-re possono essere responsabili di even-ti avversi infusionali anche talvolta di grado severo (2). Gli ADA possono inoltre cross-reagire con strutture mo-

lecolari endogene che rappresentano la controparte fisiologica del BA e quindi interferire con alcune funzioni fisiologi-che. Molteplici fattori contribuiscono a condizionare l’immunogenicità di un BA, alcuni dei quali correlate al farma-co stesso, alla modalità di somministra-zione, alla patologia per la quale sono impiegati nonché alle caratteristiche del paziente (3).

Not Allergol 2015; vol. 33: n.3: 99-106.

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profilo di immunogenicitàdei farmaci biologici:

dati epidemiologici

Tutti i farmaci biologici, incluse le pro-teine a struttura completamente uma-na, hanno la potenzialità di indurre immunogenicità con la conseguente produzione di ADA. E’ facile compren-dere come gli anticorpi monoclonali, quali infliximab, cetuximab o rituxi-mab, formati da regioni variabili di origine murina e regioni costanti cor-rispondenti a immunoglobuline uma-ni, contenendo quindi xeno-antigeni riconosciuti come epitopi “non-self ” da parte del sistema immunitario, siano quindi capaci di stimolare una risposta immune. Tra i vari monoclonali chime-rici infliximab largamente utilizzato per il trattamento delle patologie reumato-logiche, dermatologiche e gastroentero-logiche, costituisce uno degli esempi più classici per capire l’impatto della immunogenicità ed i suoi riflessi clini-ci. La prevalenza degli anticorpi anti-

immune anti-farmaco. Per esempio, adalimumab è risultato essere capace di indurre ADA nel 2,8-3,7% dei pazien-ti con malattia infiammatoria cronica dell’intestino e addirittura nel 70% dei pazienti con artrite reumatoide (5). Un altro anticorpo completamente uma-no, ma che ugualmente sembra possa indurre una risposta immune è goli-mumab, antagonista del TNF-α di più recente introduzione. Infatti, circa il 16% dei soggetti trattati ha dimostrato sviluppare anticorpi farmaco-specifici (6). Questi dati riguardanti un’ inattesa immunogenicità anche a carico dei mo-noclonali “fully human” sembra essere in relazione alla ben nota capacità del sistema immunitario di montare una risposta anti-idiotipo con produzio-ne di anticorpi specifici nei confronti delle regioni variabili di altre moleco-le di immunoglobuline, in questo caso rappresentato dall’anticorpo monoclo-nale somministrato in relative grandi quantità al paziente. Il fenomeno del-la immunogenicità riguarda, sebbene in misura sicuramente più marginale, anche proteine di fusione quali etaner-cept, che sembra indurre una risposta anticorpale in una percentuale molto bassa di pazienti (7). Del resto, anche le proteine di fusione possono infatti esse-re immunogeniche per la formazione di neo antigeni nel punto di fusione delle due componenti della molecola.

perché i farmaci biologici sono immunogenici?

L’immunogenicità di ciascun farmaco biologico è determinata da una serie di

summaryKey words and Acronyms• Immunogenicity • BA= biological agents • anti-drug antibodies • monoclonal antibody

Biological agents have deeply modified the natural history of immune-mediated disea-ses, but they display structural charachteristics leading to the development of a specific immune response. This capability is called immunogenicity and it is characterized by the development of anti-drug antibodies (ADA). Many factors contribute to the development of the immunogenicity, some of them drug-related or the route of administration. In addition the type of disease and patient’s characteristics may be important. The immuno-genicity may or not have clinical outcomes. However in the majority of cases ADA deve-lopment leads to a loss of response to the treatment or to the onset of infusion-related reactions, even severe.

infliximab (ATI) varia dal 12% al 44% nei pazienti affetti da artrite reumatoide e tra il 6 ed il 61% in coloro che sono affetti da malattia di Crohn. Nella no-stra esperienza in pazienti trattati con infliximab e affetti da varie patologie di tipo immuno-mediato, l’incidenza degli ATI è circa del 14% (2-6 review curr opin). La rimozione della compo-nente murina dalla molecola, in modo parziale o completo, ha portato alla generazione di anticorpi monoclonali umanizzati o “fully human”, rispettiva-mente. Ciò ha sicuramente comportato una riduzione del fenomeno dell’ im-munogenicità, anche se tuttavia non ha permesso una sua completa abrogazio-ne. Anticorpi monoclonali umanizzati quali alemtuzumab e tocilizumab sono capaci di indurre una risposta immune rispettivamente in circa il 23% dei pa-zienti affetti da sclerosi multipla e nel 2-3% dei pazienti con artrite reumatoi-de (4). E’ molto interessante notare che anche anticorpi completamente umani possono indurre una marcata risposta

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fattori, correlati in parte al farmaco in parte al paziente, che contribuiscono allo sviluppo della risposta immune (Fi-gura 1). Il grado di immunizzazione non è il solo determinante intrinseco dell’im-munogenicità. E’ ben noto che il pat-tern di glicosilazione, ossia la presenza di catene oligosaccaridi presenti sulla molecola biologica, come nel caso del cetuximab, o di altre modificazioni post-traslazionali (quali deamidazione o ossidazione) possono rappresentare fattori che conducono allo sviluppo di immunogenicità (8). Inoltre alcuni fat-tori aggiuntivi quali la formazione di ag-gregati, la contaminazione del prodotto con sostanze ad attività adiuvante-like, nonché il protocollo di somministra-zione e l’uso di co-trattamenti possono influenzare il fenomeno (3). Tra i fattori sicuramente da sottolineare il ruolo del-

la somministrazione in modo episodico, ossia con cicli intervallati da pause corri-spondenti alle fasi di remissione clinica. I pazienti in trattamento con infliximab secondo questa ultima modalità, hanno infatti maggiori probabilità di sviluppa-re ATI rispetto a coloro che sono trattati in modo continuativo (9). In aggiunta, anche l’uso di farmaci immunosoppres-sori può significativamente impattare sullo sviluppo degli ATI, soprattutto nei pazienti in trattamento episodico (9). E’ noto che il trattamento con alte dosi di BA è in grado di favorire fenomeni di tolleranza immunologica riducendo l’immunogenicità del farmaco (10). In-fatti, una correlazione inversa tra dose del farmaco e frequenza di ADA è stata riportata sia in pazienti con artrite reu-matoide che in pazienti affetti da malat-tia di Crohn (11). Per quanto concerne la modalità di somministrazione del far-

maco, sappiamo che la via sottocutanea risulta sicuramente più immunogenica rispetto a quella endovenosa (3).Lo sviluppo degli ADA nei confronti di un determinato farmaco è condizionata dal tipo di patologia trattata. Ne è un esempio tipico, il trattamento con ritu-ximab che può condurre allo sviluppo di ADA in circa l’1% ed il 4% dei pazienti trattati per linfoma B o per artrite reu-matoide rispettivamente, ma addirittura in circa il 25% dei pazienti affetti da sindrome di Sjogren e vasculiti ANCA-associate e fino al 40% dei pazienti af-fetti da Lupus Eritematoso Sistemico (12,13,14). Riguardo ad infliximab una maggiore incidenza degli ADA è stata osservata in pazienti affetti da artrite reumatoide (62,5%) rispetto a coloro che sono affetti da artropatia sieronega-tiva o vasculite sistemica (37,5%) (15). Le ragioni di queste differenze non sono del tutto chiare, ma sono verosimilmen-te da mettere in relazione ai differenti meccanismi patogenetici di malattia che possono predisporre allo sviluppo della risposta immune anti-farmaco. Il grado di attivazione del sistema immunitario può infatti contribuire allo sviluppo de-gli ADA; è stato chiaramente dimostrato che il grado di espressione delle moleco-le di attivazione sulle cellule dendritiche può accelerare lo sviluppo anticorpale (16). Inoltre anche limitazioni di ordine tecnico inerenti le varie metodiche per la determinazione degli ADA possono in parte contribuire a tali discrepanze. Seb-bene al momento pochi studi siano dispo-nibili riguardo al possibile ruolo di fattori genetici, alcuni dati sembrano suggerire una associazione tra polimorfismi del gene

Figura 1 Fattori condizionanti la comparsa di immunogenicità

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per IL-10 e lo sviluppo di immunogenici-tà in pazienti con artrite reumatoide trat-tati con adalimumab (17). In termini più generali possiamo dire che la presenza di specifici aplotipi HLA potrebbe favorire il riconoscimento di epitopi presenti sul farmaco biologico.

meccanismi immunologici di risposta cellulare e anticorpale verso i farmaci biologici

La risposta immunitaria nei confronti del BA può essere cellulare e umorale e può attuarsi attraverso meccanismi T-dipendenti o T-indipendenti (Figura 2). La risposta umorale T-indipendente si realizza quando le cellule B, attraverso il B cell receptor (BCR), riconoscono dei

pattern ripetitivi nell'anticorpo mono-clonale, specie in presenza di aggregati, rispondendo con la produzione di an-ticorpi a bassa affinità prevalentemente della classe IgM. Viceversa, l’attivazio-ne T-dipendente dei linfociti B induce una risposta immune più potente con formazione di anticorpi che vengono appunto definiti come anticorpi T-di-pendenti (18). Questo ultimo processo, che coinvolge complessi “network” cel-lulari e molecolari attraverso interazioni tra APC, cellule B e citochine, porta allo switch-isotipico degli ADA da IgM ad altri isotipi, nonché alla espansione di cellule B memoria. Trattandosi infatti di antigeni proteici, i farmaci biologici vengono captati, internalizzati e proces-sati mediante proteolisi in piccoli pep-tidi da parte delle cellule APC e quindi

presentati a livello linfonodale a linfo-citi T helper in associazione a molecole MHC di classe II; questa presentazione porta al riconoscimento dell’antigene da parte del T-cell receptor (TCR) e, quin-di, all’espansione di cellule T specifiche. Queste cellule a loro volta svolgono funzione helper per la attivazione delle cellule B utilizzando sia segnali di mem-brana (il legame tra CD40 e CD40-li-gando) sia segnali solubili (citochine). I linfociti B così attivati subiscono i mec-canismi dello “switch” isotipico durante il quale la catena pesante dell’anticorpo sintetizzato viene sostituita modificando così la classe di immunoglobulina pro-dotta. Al termine di questa prima fase del processo, vengono prodotti linfociti B della memoria con maggiore affinità per l’antigene che indurranno una rispo-sta più forte ed immediata ad una even-tuale ri-esposizione al farmaco biologi-co. A seconda della natura dell’antigene (proteico, polisaccaridico o lipidico) e delle citochine prodotte, i linfociti T helper condizionano l’isotipo prodotto (18). Per quanto riguarda i farmaci bio-logici, lo “switch” isotipico porta preva-lentemente alla produzione di ADA IgG e, in minor misura di ADA IgE. Anche per quanto riguarda gli antagonisti del TNF-α è stato dimostrato che gli ADA appartengono prevalentemente all’iso-tipo IgG. La presenza di IgE farmaco-specifiche è stata ormai confermata per infliximab, adalimumab, etanercept, natalizumab ed altri sia mediante l’uso di metodiche in vivo (skin testing) che in vitro (19). E' noto che soggetti in grado di produrre quantità più elevate di citochine Th2 quali IL-4 e IL-13,

Figura 2 Formazione di anticorpi-anti farmaco biologico: meccanismi immunologici

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più facilmente sviluppano ADA di iso-tipo IgE (20). La risposta immune nei confronti di proteine “self ” è controllata da certi meccanismi immunologici che potrebbero essere coinvolti anche nella risposta immunologica nei confronti dei BA. In particolare, è prospettabile la presenza e la dominanza di meccanismi di tipo regolatorio su meccanismi di tipo effettore in coloro che non sviluppano anticorpi anti-farmaco. Recentemente sono state descritte sequenze localizzate in corrispondenza del frammento Fc e Fab delle IgG, e denominate “Tregito-pes” che in modo selettivo espandono cellule regolatorie (Treg cells) ma non cellule effettrici. Tali epitopi di tipo re-golatorio sono in grado in vitro di atti-vare cellule T CD4+ CD25+ Foxp3+ e di indurre la produzione di citochine e chemochine regolatorie (21). Pertanto i “Tregitopes” presenti sulla parte umana dei BA potrebbero essere capaci di in-durre tolleranza nei confronti degli epi-topi idiotipici presenti sul BA (22).

immunogenicità dei farmaci biologici:quale impatto clinico

L’immunogenicità dei BA rappresen-ta un importante “challenge” clinico nell’utilizzo di questi farmaci in quan-to essa può influenzare sia la loro effi-cacia che la loro sicurezza di impiego (Figura 3). Infatti, sebbene in una piccola percen-tuale di pazienti lo sviluppo di una ri-sposta immune farmaco-specifica non si associ a nessun “outcome” clinico, nella maggior parte dei pazienti gli

ADA conducono allo sviluppo di rea-zioni infusionali o alla perdita di effi-cacia del trattamento. Esiste inoltre un piccolo sottogruppo di pazienti in cui entrambe queste conseguenze cliniche su efficacia e sicurezza si manifestano. Le conseguenze cliniche dell’immuno-genicità possono essere dipendenti dalle caratteristiche degli ADA, che sono si-curamente eterogenei in composizione, specificità, isotipo e affinità (23). Nelle fasi iniziali di un trattamento possono essere indotti anticorpi IgM a bassa affi-nità e talvolta transienti, ma che posso-no essere in grado di attivare la cascata complementare inducendo reazioni in-fusionali. Se il farmaco biologico attiva meccanismi di immunità adattiva T-

dipendenti, si assiste alla formazione di ADA a maggior affinità e con isotipo diverso (IgG e IgE) che possono svol-gere funzioni biologiche diverse quali attivazione del complemento, citotos-sicità anticorpo-dipendente (ADCC), attivazione di mastociti e basofili. Gli ADA che si legano ad epitopi in pros-simità del sito di attività del BA sono verosimilmente in grado di neutra-lizzare l’attività biologica del farmaco (24). Inoltre gli ADA possono modi-ficare la farmacocinetica del biologico incrementandone o diminuendone la clearance. Infine in alcuni pazienti la presenza degli ADA è detettabile solo in modo transitorio scomparendo al proseguire della terapia stessa (25).

correlazione tra anticorpi anti-farmaco

e reazioni d’ipersensibilità

Come sopra accennato, la somministra-zione di farmaci biologici soprattutto se contenenti porzioni murine può in-durre risposte immunitarie responsa-bili della comparsa di sintomi, anche severi, come si verifica nel corso delle reazioni di ipersensibilità. In accordo a quanto proposto da Pichler e coll., gli eventi avversi ai farmaci biologici com-prendono le reazioni cosiddette di tipo β che possono essere distinte in im-mediate e ritardate (26). Le reazioni di tipo immediato sono prevalentemente anticorpo-dipendenti mentre quelle di tipo ritardato prevedono l’intervento del sistema del complemento o essere dipendenti dai linfociti T. Dal punto di vista patogenetico, tra le reazioni non

Figura 3 Conseguenze cliniche

della immunogenicità

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tendono il fenomeno flogistico a cari-co del tessuto colpito dalla patologia, oppure a motivazioni intercorrenti quali fenomeni infettivi sovraimposti o a motivi di ridotta aderenza e com-pliance del paziente alla terapia stes-sa. Tuttavia l’immunogenicità del BA rappresenta uno dei maggiori determi-nanti della perdita di risposta al tratta-mento, con la produzione di ADA che neutralizzano l’effetto terapeutico e/o aumentano la “clearance” del farmaco stesso (29). Per esempio, sia in corso di artrite reumatoide che malattia in-fiammatoria cronica dell’intestino è stata ben documentata l’associazione tra sviluppo di ADA e perdita di ef-ficacia. Questo fenomeno inoltre può anche essere sottostimato dal fatto che generalmente il monitoraggio della immunogenicità non è effettuato nella routinaria pratica clinica. E’ ben noto che i livelli sierici di farmaco sono in-versamente correlati alla presenza degli ADA, e che scendono, talvolta fino a scomparire, nel momento in cui com-paiono gli anticorpi. A sua volta bassi livelli di farmaco correlano con scarsa risposta clinica (30). Pertanto in caso di perdita di efficacia in corso di trat-tamento con BA, dovrebbe essere presa in considerazione anche la possibilità che il paziente abbia sviluppato ADA e che abbia bassi livelli di farmaco cir-colante; sulla base di tale valutazione, varie strategie cliniche possono essere attuate quali l’intensificazione della dose del farmaco o la scelta di farmaci alternativi, se disponibili, appartenenti alla stessa classe o con un target tera-peutico diverso.

anticorpo-dipendenti devono essere ricordate quelle conseguenti alla libe-razione massiva di citochine, definite di tipo α che generalmente si manife-stano alla prima somministrazione del farmaco biologico (26). Dal punto di vista clinico è doveroso ricordare che una pronta identificazione dei sintomi nonché la conoscenza dei meccanismi patogenetici che sostengono il quadro clinico è fondamentale per valutare i rischi di successive esposizioni e quin-di instaurare strategie di prevenzione.Per quanto concerne le reazioni di ipersensibilità anticorpo-dipendenti, queste possono essere sostenute da anticorpi IgE e non-IgE anche se non clinicamente distinguibili (Figura 4) (27). Le reazioni anticorpo-dipendenti ne-cessitano ovviamente di una fase di sensibilizzazione per cui non si realiz-zano alla prima somministrazione del farmaco ad eccezione di casi particola-ri in cui esistono anticorpi pre-esisten-ti. Esempio è costituito dagli anticorpi IgE anti-cetuximab, farmaco biologico chimerico utilizzato nel trattamento delle patologie oncologiche intestina-li, in cui l’epitopo riconosciuto dalle IgE è costituito dalla componente oligosaccaridica (galattosio-α-1-3-galattosio) presente sulla molecola del farmaco e presente anche in proteine animali (manzo, agnello) a cui il sog-getto può essere sensibilizzato (8).Una correlazione tra la presenza di anticorpi IgE o la positività delle prove cutanee e la comparsa di rea-zioni infusionali, è stata dimostrata per vari farmaci biologici (28). Cer-

tamente interessante la discussione, ancora non conclusa, sul ruolo de-gli anticorpi IgG nell’induzione di anafilassi nell’uomo. Del resto, tito-li elevati di anticorpi IgG sono stati descritti in pazienti che sviluppano reazioni anafilattiche nel corso del trattamento con infliximab (4). Quando gli ADA interferiscono con l’efficacia del farmaco biologicoL’uso dei BA espone il clinico ad una serie di “challenge”, tra i quali quello della perdita di efficacia del farmaco. Infatti, dati epidemiologici complessi-vi riportano che circa il 50% dei pa-zienti trattati, dopo un iniziale bene-ficio, divengono dei “non responder” (totali o parziali) alla terapia (29). I meccanismi che sottendono la perdita di efficacia possono essere molteplici e spesso non noti. In alcuni casi la non risposta al farmaco può essere dovuta ai meccanismi patofisiologici che sot-

Figura 4 Classificazione patogenetica

delle reazioni avverse immediate ai farmaci biologici

NON ANTIBODY-MEDIATED adverse

➤ Complement - mediated

➤ Cytokine release syndrome (CRS)

ANTIBODY-MEDIATED adverse reactions

➤ IgE - mediated

➤ Non IgE - mediated

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conclusioni

L’immunogenicità dei farmaci biologici è un processo complesso condizionato da molteplici fattori e che in una no-

tevole percentuale di pazienti si associa ad importanti outcome clinici quali la perdita di efficacia del farmaco e l’insor-genza di eventi avversi. La gestione dei farmaci biologici nelle patologie croni-

che infiammatorie non può prescindere dalla valutazione dell’immunogenicità e dal suo monitoraggio al fine di evitare l’uso di terapie non appropriate e otti-mizzare quindi l’uso di tali farmaci.

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Bibliografia

Parte PrimaPRIMA CHE FACCIA SERANote e racconti di un medico

1. Semel Scout, Semper Scout2. Le signore “schizzate”3. Un abbraccio da Tolstoj4. Raganelli, micilli e …5. La casa delle ragazze di vetro6. Saper campare in Magna Grecia7. Vincere (nonostante) l’asma8. Il medico e il mare9. Allergici a Facebook10. Amore per gli aforismi11. Un nobel “atipico”12. Quando i baroni… barano13. L’acaro non è un animale domestico14. La memoria dell’acqua15. Il detective dei pollini16. Un temporale da brividi17. Ogni limite ha una … carenza18. A proposito di vaccini

19. “Rapiti” dall’ecstasy20. Se Superman soffre d’asma21. Nubi nere sulla città22. Vite disfunzionali23. La mia cassetta degli attrezzi

Parte secondaFROM A DEADLINE TO ANOTHERAppunti sparsi di viaggio24. MERLUZZI E AZZURRE LONTANANZEL’isola di Sylt e Cape Cod25. SUL CAMMINO DELLE CONCHIGLIESantiago de Compostela26. DON’T FORGET ME, ARGENTINADa la Plata alla Fine del Mondo27. SULLE TRACCE DI MARCO POLOLe molte anime dell’Asia28. CARTOLINE DAL COMMONWEALTHAustralia e Canada29. NON SI FINISCE MAI DI IMMIGRAREAvventure di un “doc” negli U.S.A.30. PHILEAS FOGG TORNA A CASAIn tour nel vecchio continente

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introduzione L’immunoterapia allergene specifica (AIT) rimane al momento l’unico trat-tamento allergene-orientato e capace di indurre una profonda immunomodula-zione. L’AIT induce infatti una devia-zione verso il fenotipo Th1, a scapito del fenotipo Th2 tipico dell’allergia, provo-cando numerose variazioni di risposta all’allergene nel sistema immunitario. Il particolare meccanismo di azione la di-stingue dai farmaci tradizionali, che agi-scono solitamente come antagonisti di recettori o mediatori, con un’azione im-mediata, ma di breve durata (1). L’AIT nacque come approccio totalmente em-pirico per il trattamento della “febbre da fieno” (allergia a pollini) circa un secolo fa. Nonostante le premesse fisiopatolo-giche fossero errate, l’efficacia clinica fu immediatamente confermata, anche nei primi studi controllati a partire dagli anni 1950. L’individuazione del mecca-nismo IgE mediato della reazione aller-gica ha successivamente consentito di

Erminia Ridolo (1), Cristoforo Incorvaia (2),Marcello Montagni (1), Gianenrico Senna (3),Giovanni Passalacqua (4)

(1) Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Parma, (2) Allergologia e Riabilitazione Polmonare, Ospedale ICP, Milano,(3) Unità di Allergologia, Ospedale – Università, Verona, (4) Apparato Respiratorio e Allergologia; IRCCS S. Martino-IST-Università di Genova

Le "immunoterapieorfane"

The problem of "Orphan immunotherapies"

riassunto

Parole chiave e sigle• immunoterapie orfane • AIT immunoterapia allergene specifica • SCIT immunoterapia sottocutanea • SLIT immunoterapia sublinguale • allergia professionale • allergeni rari

L’immunoterapia allergene specifica (AIT) è clinicamente efficace nelle malattie IgE-mediate, come dimostrato dale numerose revisioni e meta-analisi. L’AIT sottocutanea e sublinguale è indicata nelle allergopatie respiratorie dovute ai più comuni allergeni. Esistono comunque al-lergie dovute a cause più rare: epiteli animali (diversi dal gatto), muffe, allergeni professionali. Per tali allergeni, l’AIT è poco studiata e gli estratti per la vaccinazione non sono solitamente disponibili. Da qui il termine di “immunoterapie orfane”. Per l’allergia alimentare esiste un’ab-bondante letteratura, mentre diverso è il caso dell’allergia alla zanzara, alla zecca, al cane e per gli allergeni da ambiente lavorativo. Per questi esistono solo studi con piccoli campioni o case report sparsi, generalmente con risultati positivi.La condizione di immunoterapia orfana è associata ad una insufficiente evidenza sperimen-tale, alla convinzione che determinati allergeni siano di importanza secondaria, ed a ragioni farmacoeconomiche (non investimenti da parte dei produttori in terapie per allergeni rari, che richiederebbero costosi studi registrativi).Tuttavia, data la non trascurabile importanza del problema clinico, estratti appropriati per gli allergeni orfani dovrebbero comunque rimanere disponibili.

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espandere le conoscenze sui dettagli del meccanismo di azione. A partire dagli ultimi anni del 1900, per l’AIT sottocu-

tanea, sono state via via confermate l’ef-ficacia e la relativa sicurezza d’impiego, nella rinocongiuntivite allergica associa-

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ta o meno ad asma. In parallelo è stata sviluppata la via di somministrazione sublinguale (SLIT), che attualmente è riconosciuta nelle line guida internazio-nali come alternativa alla sottocutanea. Per la SLIT sono disponibili studi spe-rimentali rigorosi, condotti su grandi numeri di soggetti, che confermano la dose-dipendenza, l’efficacia ed il profilo di sicurezza (2-4). Al momento attuale, le Linee Guida raccomandano come indicazione all’AIT (sia sottocutanea che SLIT) la rinocongiuntivite allergi-ca con o senza asma allergica, mentre per l’allergia a veleno di imenotteri è raccomandata solo la somministrazione sottocutanea. Sono indispensabili per

di azione è identico a quello delle rico-nosciute come comuni o molto diffuse, ma per tali sorgenti allergeniche non è stato possibile arrivare alla produzione o sintesi di estratti standardizzati. Inoltre, data la bassa prevalenza, la valutazione clinica dell’AIT è rimasta sempre in secondo piano. Allergeni come gli epi-teli animali (diversi dal gatto), muffe, e sensibilizzanti professionali non hanno avuto l’opportunità di essere standardiz-zati. Per tali AIT è stato coniato il ter-mine di immunoterapie orfane (orphan immunotherapies) (Tabella 1).Sicuramente l’allergia alimentare, in quanto strettamente IgE mediate è un aspetto estremamente promettente per l’utilizzo dell’AIT. Gli studi sono nume-rosi ed in rapido aumento; nonostante la desensibilizzazione ad allergeni ali-mentari non sia compresa nelle Linee Guida, essa non può essere considerate “immunoterapia orfana” e se ne farà solo un breve cenno.

le evidenzesperimentali

■ Allergia alimentareL’allergia IgE mediata a determinati alimenti rappresenta una delle princi-pali cause di morbilità, specialmente in età infantile. Attualmente, l‘unica tera-pia efficace è il totale evitamento degli allergeni, ma questo non è in pratica sempre applicabile, per la presenza nei cibi di allergeni nascosti come conta-minanti. Inoltre, la necessità di dover sempre disporre di adrenalina autoiniet-tabile e/o di terapie di emergenza, limi-ta notevolmente la qualità di vita dei

summaryKey words and Acronyms• orphan immunotherapy • AIT allergen immunotherapy • SCIT subcutaneous immunotherapy • SLIT sublingual immunotherapy • occupational allergy • rare allergens

Allergen immunotherapy (AIT) is clinically effective, as confirmed by numerous reviews and meta-analyses. Both subcutaneous (SCIT) and sublingual immunotherapy (SLIT) are indicated in allergic rhinitis and asthma due to common inhalant allergens. Other allergies, related to animal dander (other than cat), such as dog, molds, occupational allergens and insects are well recognized. For these allergens, AIT is poorly studied and extracts are often unavailable. Thus the definition of “orphan immunotherapies” is appropriate. The available studies for orphan immunotherapies were selected essentially if they were ran-domized/controlled/blinded. In the remaining cases, case reports are also mentioned. The literature on food desensitization is abundant, but for other orphan allergens such as mosquito, Argas reflexus, dog, or occupational allergens, there are only few and small studies or case reports, all consistently describing a beneficial effect, as expected in IgE-mediated diseases. The condition of “orphan immunotherapy” is associated to an insufficient evidence of effi-cacy from controlled trials, to an erroneous belief of the limited importance of some allergen sources and to the unlikelihood for producers to have profits from commercial extracts (with an expensive process for registration). It should be taken into consideration that adequate preparations should be available also for orphan allergens.

la prescrizione di AIT la dimostrazione certa del meccanismo IgE mediato e la chiara individuazione dell’allergene per cui si vuole vaccinare. L’AIT dispone di numerosi estratti terapeutici stan-dardizzati per la maggior parte degli allergeni responsabili di manifestazioni allergiche. Tra questi ricordiamo: grami-nacee, betulla, parietaria, acari della pol-vere, olivo, cipresso, ambrosia, epitelio di gatto. Per alcune di queste sorgenti allergeniche sono al momento dispo-nibili prodotti commerciali considerati farmaci a tutti gli effetti, ed approvati per il commercio sia dall’EMA che dalla FDA (5). Vi sono molte “sorgenti al-lergeniche”, per le quali il meccanismo

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paziente e dei famigliari (specialmente nel caso dei bambini). Il latte vaccino, l’uovo ed in minor misura le arachidi la soia ed i crostacei, sono le principa-li sorgenti allergeniche. La desensibi-lizzazione orale (somministrazione di dosi crescenti dell’allergene fino alla tolleranza) rappresenta al momento un approccio estremamente promettente. Data l’abbondanza dei dati sperimenta-li, l’immunoterapia per allergia alimen-tare non può essere considerate come “orfana” (6-8). Al momento, I risultati degli studi controllati con latte, uovo ed arachidi sono favorevoli: si ottiene la desensibilizzazione in circa ¾ dei pa-zienti, a prezzo però di una procedura che richiede tempo e risorse mediche. Inoltre, gli effetti collaterali in corso di desensibilizzazione sono frquenti, e non è tuttora chiaro se la desensibilizzazione, una volta acquisita, sia permanente. Per tali motivi, la “oral immunotherapy” è ancora da considerarsi sperimentale.

■ Allergia a derivati animali (diversi dal gatto)L’allergia respiratoria indotta da allerge-ni di origine animale è da considerarsi abbastanza commune. Le proteine sen-sibilizzanti sono solitamente contenute nell’orina, nella saliva e nelle secrezioni ghiandolari dell’animale, e si deposi-tano sul pelo e sulla forfora per essere poi disperse nell’aria respirata. Al mo-mento esistono dati controllati sull’ef-ficacia dell’AIT per l’allergia al gatto, mentre per altri animali (cane, cavallo, coniglio), i risultati sono inconsisten-ti e di bassa qualità sperimentale. Per I derivati epiteliali di cane esiste un

solo studio controllato (9), nonostan-te la sorgente allergenica sia una causa frequente di manifestazioni allergiche. Anche l’allergia indotta da animali di laboratorio rimane una causa di pato-logia professionale, specialmente tra i lavoratori dell’industria farmacologica e tossicologica (10). Uno studio data-to, in aperto ha riportato risultati posi-tivi utilizzando estratti per topo, ratto e coniglio, con 12 controlli. 9/11 dei trattati attivamente riportavano un be-neficio clinico soggettivo (11). Hansen et al. hanno trattato con AIT pazienti allergici ai derivati epiteliali del ratto, con rinocongiuntivite ed asma (12) , ottenendo un chiaro beneficio clinico. Anche gli allergeni derivati dall’epitelio di cavallo possono causare allergia re-spiratoria grave, fino all’anafilassi (13). Uno studio non controllato, condotto in 24 pazienti allergici ai derivati del

cavallo ha confermato l’efficacia e la sicurezza della desensibilizzazione. In tale studio sono stati impiegati estratti purificati, applicati con induzione clu-ster o convenzionale e mantenimento per 3-5 anni (14) con significativa ri-duzione dei sintomi.L’AIT con estratti di epitelio di cane risulta, in generale, meno efficace di quella con estratti di gatto (15), ma bisogna considerare che esiste una no-tevole variabilità nel contenuto protei-co e potenza allergenica degli estratti commerciali (16). Recentemente, è stata sintetizzata una molecola tetra-merica contenente le lipocaline Can f 1, Can f 2, Can f 4 and Can f 6 (17), capace di indurre IgG bloccanti ad alto titolo. Anche in questo caso, nonostan-te I buoni risultati sperimentali, non è disponibile un estratto standardizzato per l’utilizzo clinico.

Tabella 1 Allergeni “orfani” e relative molecole sensibilizzanti

Specie Allergeni principali

• Topo, Ratto (Mus nusculus, Rattus norvegicus) Mus m 1-4; Rat n 1 Rat n 4, Rat n 7

• Cavallo (Equus caballus) Equ c 1

• Coniglio (Oryctolagus cuniculus) Ory c 1-4

• Cane (Canis familiaris) Can f 1, Can f 2, Can f 4

• Cavia (Cavia porcellus) Cav p 1-4, Cav p 6

• Zanzara (Aedes aegypti) Aed a 1, Aed a 2, Aed a 4

• Zecca (Argas reflexus) Arg a 1

• Alternaria (Alternaria alternata) Alt a 1

• Cladosporio (Cladosporiun herbarum) -

• Aspergillo (Aspergillus fumigatus) Asp f 1

• Farine (Triticum aestivum, Secale cereale, Tri a 1, Tri a 14, alfa gliadina Hordeum vulgare)

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■ Allergia alla puntura di zanzareLe reazioni allergiche alla puntura di zanzara non sono particolarmente rare, e sono descritti casi di orticaria genera-lizzata, angioedema, asma ed anafilassi (18-20). Le reazioni possono essere do-vute sia a sensibilizzazione IgE specifi-ca alle proteine contenute nella saliva dell’insetto, ma anche a risposta media-ta da IgG e T linfociti (20). Esistono al momento poche descrizioni di AIT in questa situazione (21). Ariano et al. riportano in 20 pazienti con reazioni estese da puntura di zanzara, un signifi-cativo beneficio clinico utilizzando un estratto di corpo intero (22). Uno stu-dio randomizzato e controllato su 40 soggetti, trattati per 1 anno con estrat-to di Culex quinquefasciatus riporta un miglioramento clinico e funzionale sta-tisticamente significativo (23) con un incremento delle IgG4 specifiche.

■ Allergia a puntura di zecche Il morso della zecca del piccione (Argas reflexus) può provocare una reazione in-fiammatoria locale (tossica) ma anche anafilassi. A. reflexus è una zecca con ciclo vitale che arriva ai 10 anni e che si nutre di sangue solo una o due volte l’anno. Dato l’aumento dell’infestazio-ne di piccioni in molte regioni dell’Eu-ropa Centrale e Meridionale, il ruolo di Argas reflexus sta assumendo propor-zioni rilevanti, anche perchè il parassita prolifera senza difficoltà anche nell’am-biente umano (24). Le reazioni allergi-che ad A. reflexus non sono comuni, ma neanche particolarmente rare. Uno stu-dio condotto in 13 pazienti con anafi-lassi ha consentito di individuare uno

specifico allergene, Arg r 1 (25). Anche in questo caso, come per la zanzara, è stata sperimentata una AIT con estrat-to di corpo intero (26), ma anche in questo caso, non è garantita la presen-za in quantità sufficiente dell’allergene maggiore.

■ Allergia a funghiAnche l’allergia alle spore fungine non è particolarmente rara, e tale sensibiliz-zazione è spesso stata messa in relazio-ne con l’asma grave. Sono attualmente riconosciuti almeno 107 molecole al-lergeniche (27,28), ma sono state stu-diate dal punto di vista dell’allergia e dell’AIT solo poche specie (29). Oltre all’allergia respiratoria classica (rinite ed asma), I funghi sono implicatI an-che nella fisiopatologia della rinosinu-site, dell’apergillosi polmonare e della dermatite atopica. In realtà ci sono po-chi studi controllati sull’effetto clinico dell’allergia a funghi, solitamente con Alternaria e Cladosporium. Uno dei pri-mi trial clinici in pazienti monosensibi-lizzati a Cladosporium è stato condotto con un mantenimento della durata di un anno. In tale studio si è osservata una differenza statisticamente significa-tiva tra attivi e placebo per i sintomi di asma e rinite (30). Per quanto riguarda la rinosinusite fungina esistono solo po-chi studi, quasi tutti in aperto (31,32). Tabar et al. in uno studio osservazionale (33) ha riportato un effetto clinico po-sitivo a fronte del 35% di eventi avversi (34), ripetendo tali risultati in un altro trial randomizzato. Cortellini et al. in uno studio randomizzato e controllato hanno osservato un miglioramento si-

gnificativo dei sintomi solo nel gruppo attivo (35). La revisione più recente della letteratura in proposito conta in totale, in circa 50 anni, meno di 200 pazienti studiati (29)

■ Allergia a farina di cereali L’allergia respiratoria (rinite e/o asma) è comune nei lavoratori impiegati in panetteria o produzione di prodotti da forno. Sono solitamente coinvolti: farina di grano, orzo, riso, e mais. L’asma del panettiere è uno dei più frequenti casi di allergia professionale o lavoro-correlata (36). Le prove di efficacia dell’AIT in questo contesto si basano essenzialmen-te su studi datati. L’unico studio con-trollato e randomizzato disponibile ha coinvolto 30 pazienti asmatici, trattati con estratto acquoso di farina per oltre un anno (37). In detto studio si è osser-vata una riduzione dei sintomi e della broncoreattività nonchè della reattività cutanea. Vi sono poi alcuni case report ed uno studio retrospettivo (38,39), tut-ti con risultati positivi. Permane tuttavia l’assenza di estratti standardizzati, alla quale si aggiunge l’incertezza sul ruolo delle molecole realmente sensibilizzanti.

conclusioni

La definizione di “immunoterapia or-fana” è essenzialmente empirica, basata sulla diffusione epidemiologica della patologia e, in conseguenza, sulla di-sponibilità di estratti per la vaccinazio-ne e sulla dimostrazione sperimentale della loro efficacia. Dal punto di vista epidemiologico, molte delle fonti aller-geniche (funghi, epiteli animali, aller-

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geni occupazionali) sono considerati rari pur non essendolo, e l’informazio-ne specialistica per tali allergeni rimane difettiva. In conseguenza, non sono di-sponibili estratti sufficientemente stan-dardizzati, e la ricerca in tal senso ri-

sulterebbe troppo costosa nei confronti dell’utilizzo pratico. E’ anche vero che, nei casi di allergia professionale, dove gli allergeni sono relativamente ben in-dividuate e dove intervengono proble-mi medico-legali rilevanti, una ricerca

più intensiva sarebbe meglio giustifica-ta, con preparazioni adeguate (40). In generale, le “immunoterapie orfane” potrebbero mantenere un ruolo alme-no come “named patient product”, per le condizioni cliniche più rare.

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introduzione

Gli anticorpi di classe IgE forniscono una delle prime linee di difesa contro le infezioni parassitarie - in particolare da elminti - che sono le infezioni prevalenti nei paesi meno sviluppati e che ancora oggi colpiscono circa 1/3 della popola-zione mondiale. Tuttavia, nei paesi indu-strializzati, dove tali infezioni sono quasi del tutto eradicate, le IgE sono primaria-mente coinvolte nell’induzione e nella regolazione delle reazioni allergiche. In risposta all’assunzione di un allerge-ne, la sintesi delle IgE è promossa dal differenziamento preferenziale e derego-lato della sottopopolazione dei linfociti T helper 2 (Th2) anche se recentemente è stato dimostrato il contributo di altre sottopopolazioni di linfociti T (Th1 e Th17) e di linfociti dell’immunità inna-ta (1). I linfociti Th2 instaurano una co-operazione con i linfociti B attivati dallo stesso allergene e, mediante la produ-zione delle interleuchine 4 e 13 (IL-4 e IL-13), promuovono la sintesi e la secre-

Rosa Molfetta, Rossella Paolini

Dipartimento di Medicina Molecolare Sapienza Università di Roma.

Il recettore ad alta affinità per le IgE

The high affinity receptor for IgE

riassunto

Parole chiave e sigle• IgE • FceRI=recettore ad alta affinità per le IgE • ubiquitinazione • endocitosi• DC=cellule dendritiche • Hrs=Hepatocyte growth factor-Regulated tyrosine kinase Substrate • ITAM=Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif

Gli anticorpi di classe IgE svolgono un ruolo chiave nel mediare le reazioni allergiche poiché regolano un “network” molecolare che prevede il principale coinvolgimento del recettore ad alta affinità per le IgE (FceRI) espresso su un’ampia gamma di cellule del sistema immunitario e su cellule strutturali dei tessuti delle vie aeree.Questo articolo descrive i principali meccanismi implicati nella regolazione dell'espressione del recettore FceRI espresso su mastociti e basofili. In particolare, sarà discusso come il solo legame con le IgE monomeriche rappresenti un meccanismo di regolazione a feedback positivo mentre, l’ubiquitinazione dei complessi recettoriali aggregati dal legame IgE/antigene multi-valente, rappresenti un meccanismo di regolazione a feedback negativo fornendo un segnale importante per l’endocitosi e la degradazione dei recettori ingaggiati.

Not Allergol 2015; vol. 33: n.3: 113-120.

zione delle IgE da parte dei linfociti B. Come tutte le altre classi anticorpali, le IgE sono presenti in due forme: una for-ma di membrana e una forma secreta. Entrambe le forme sono dotate di una regione variabile deputata al riconosci-mento dell’allergene e di una regione costante che a livello delle catene pesanti

è costituita da 4 domini costanti. Le due forme differiscono strutturalmente solo a livello della porzione transmembrana e citoplasmatica, presenti unicamente nella regione costante della forma di membrana, ed eliminate, in seguito a splicing alternativo, per consentire il ri-lascio della forma secreta.

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Le IgE di membrana, espresse sui linfo-citi B attivati dall’allergene, hanno come unica funzione quella di legare l’allerge-ne e di trasdurre, grazie all’associazione con le catene invarianti Iga e Igb, un segnale intracellulare che promuoverà il differenziamento dei linfociti B in pla-smacellule e quindi il rilascio delle IgE in forma secreta.Le IgE rilasciate entrano in circolo e le-gano recettori specifici per la loro por-zione costante espressi sulla superficie di mastociti e basofili. Le cellule “sen-sibilizzate” da tale legame rispondono all’allergene specifico rilasciando me-diatori immagazzinati nei loro granuli e sintetizzando mediatori lipidici che danno inizio alla fase precoce della rea-zione allergica. Alcuni di questi media-

immunorecettori multimerici caratte-rizzati dalla presenza di subunità, di-stinte per ogni recettore, utilizzate per il riconoscimento del ligando e altre che condividono motivi citoplasmatici conservati, responsabili dell’attivazio-ne cellulare. Il complesso recettoriale è privo di attività enzimatica intriseca, ma trasduce i segnali intracellulari attraver-so l’associazione con proteine tirosino-chinasi citoplasmatiche. In particolare, il recettore FceRI è costitutivamente espresso su mastociti e basofili in for-ma tetramerica. Esso è formato da una subunità a responsabile del legame all’IgE, una catena b che attraversa la membrana quattro volte e due subunità γ identiche tra loro tenute insieme da un ponte disolfuro (2). Entrambe le subu-nità b e γ sono dotate, nella loro coda citoplasmatica, di un dominio conser-vato chiamato motivo di attivazione basato sulla presenza di tirosine (Immu-noreceptor Tyrosine-based Activation Motif, ITAM) che, dopo aggregazione recettoriale, viene fosforilato da una tirosino-chinasi della famiglia Src, Lyn, associata costitutivamente alla subunità recettoriale b (2, 3). Entrambe le catene cooperano nella trasduzione del segnale intracellulare: la fosforilazione della su-bunità γ rappresenta un segnale autono-mamente in grado di promuovere atti-vazione cellulare anche in assenza della subunità b, la cui presenza, tuttavia, amplifica l’intensità del segnale attivato-rio oltre a controllare il corretto assem-blaggio del complesso multimerico (4).Nell’uomo è stata anche dimostrata la presenza di una forma recettoriale tri-merica, priva della catena b prevalente-

summaryKey words and Acronyms• IgE • FceRI=the high affinity IgE receptor • ubiquitination • endocytosis• DC=Dendritic cell • Hrs=Hepatocyte growth factor-Regulated tyrosine kinase Substrate • ITAM=Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif

Over the last decades, IgE has been recognized as central mediator of allergic responses, re-gulating a network that mainly involved the high affinity IgE receptor (FceRI) expressed on a broad array of immune cells and also on airway tissue structural cells.The ligation of allergen to FceRI-bound IgE on mast cells and basophils initiates a signaling ca-scade leading to the release of preformed and de novo synthesized mediators. These events pro-mote the so-called “early phase” of the allergic reaction characterized by vasodilation, increased vascular permeability, up-regulation of adhesion molecules and contraction of smooth muscle cells. Upon prolonged stimulation, a “late phase” reaction leads to the production of cytokines and chemokines that orchestrate the recruitment and activation of several immune cells.This article describes the main mechanisms involved in the regulation of FceRI expression on mast cells and basophil. In particular, we will describe a positive-feedback regulation mecha-nism provided by monomeric IgE in the absence of allergen cross-linking, and, upon receptor engagement, a negative-feedback regulation mechanism provided by receptor ubiquitination that represents an important signal for the internalization and delivery of engaged receptor complexes to lysosomes for degradation.

tori di nuova sintesi insieme a numerose citochine pro-infiammatorie, promuo-vono e sostengono la fase tardiva della reazione caratterizzata dal reclutamento e dall’attivazione di leucociti, tra cui lin-fociti T e granulociti eosinofili. Tenendo conto di quanto detto si evince come le IgE svolgano un ruolo crucia-le nel coordinare la reazione allergica mediante l’attivazione di un “network” molecolare che prevede il primario coin-volgimento del recettore ad alta affinità per le IgE (1).

il recettore ad alta affinità per le ige (fceri)

Il recettore ad alta affinità per le IgE (FceRI) appartiene ad una famiglia di

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mente espressa sulla membrana di mo-nociti/macrofagi e cellule dendritiche (DC) di soggetti atopici (5,6).

principali attivitàbiologiche promosse

dal network ige/fceri

Utilizzando il loro recettore ad alta af-finità, i basofili che sono cellule circo-lanti, intercettano facilmente le IgE in forma monomerica, mentre i mastociti, pur essendo cellule residenti nei tessu-ti connettivi e nelle mucose, sono lo-calizzati in prossimità dei vasi e grazie a questa posizione strategica hanno la possibilità di emettere propaggini che si insinuano tra le cellule endoteliali con la finalità di andare alla ricerca delle IgE presenti in circolo (7). L’emivita delle IgE nel siero è di soli 2-3 giorni, ma una volta che le IgE hanno interagito con il loro recettore ad alta affinità, esse rimangono stabili per mesi sulla superficie dei mastociti.Il “cross-linking” recettoriale indotto in seguito all’interazione specifica tra l’allergene e le IgE legate ai mastociti e basofili promuove eventi di fosforilazio-ne responsabili della propagazione del segnale intracellulare che culmina con il rilascio dei mediatori preformati e di nuova sintesi (2,3). La piena attivazione promossa dall’ag-gregazione di due o più recettori richie-de la ri-localizzazione del complesso recettoriale nei “raft” lipidici, regioni specializzate della membrana plasmatica caratterizzate dalla presenza di quantità elevate di colesterolo e glicosfingolipi-di (8). Dopo stimolazione recettoriale

i “raft” lipidici si fondono tra loro per formare strutture più grandi e più stabili che concentrano al loro interno i com-plessi recettoriali aggregati facilitando la loro interazione con molecole di se-gnalazione (9). Le subunità recettoriali b e γ fosforilate forniscono un sito di ancoraggio per la chinasi citoplasma-tica Syk che viene a sua volta attivata dopo fosforilazione. L’utilizzo di inibi-tori specifici e di linee cellulari prive di Syk hanno dimostrato un ruolo chiave di tale chinasi nella propagazione del se-gnale mediato dal recettore FceRI (10). Una via di segnalazione complementare

è innescata da un’altra chinasi della fa-miglia Src, Fyn, e coopera con la via di Lyn/Syk nella propagazione del segnale attivatorio (11). I mastociti attivati rilasciano una vasta gamma di mediatori pro-infiammatori preformati e di nuova sintesi (2,3). I principali mediatori preformati inclu-dono l'istamina, l'eparina, enzimi prote-olitici e numerosi fattori chemiotattici, mentre quelli di nuova sintesi sia media-tori lipidici (leucotrieni, prostaglandine, trombassani ed il fattore di attivazione delle piastrine) che numerose citochine e chemochine (IL-1, IL-3, IL-4, IL-5,

Figura 1 Effetti indotti dal legame delle IgE al recettore FceRI

Il legame IgE monomerica/FceRI aumenta la densità dei recettori occupati espressi sulla su-perficie dei mastociti e promuove proliferazione, sopravvivenza e sintesi di citochine. L’aggre-gazione di due o più complessi recettoriali indotta dal legame tra IgE e antigene multivalente inizia la trasduzione di un segnale intracellulare responsabile della degranulazione e della sintesi di mediatori lipidici e di numerose citochine pro-infiammatorie.

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IL-6, IL-8, GM-CSF e il TNF-a). Il rilascio dei mediatori preformati ri-chiede solo pochi secondi dall’aggrega-zione recettoriale IgE mediata, la sintesi di mediatori lipidici richiede qualche minuto mentre la sintesi ed il rilascio di citochine necessita di alcune ore.Recentemente è stato dimostrato che la qualità della risposta indotta dall’azio-ne di questi ultimi mediatori dipende dall’affinità di legame tra allergene e IgE specifiche. Infatti, nel caso di un lega-me ad elevata affinità viene promossa la sintesi preferenziale di citochine, men-tre nel caso di legami a minore affinità si assiste ad una prevalente produzione di chemochine (12). Ciò dipendereb-be dall’utilizzo di differenti adattatori transmembrana e quindi dall’attivazio-ne di tirosino-chinasi diverse. A differenza della maggior parte del-le cellule del sistema immunitario che dopo attivazione vanno incontro a mor-te cellulare programmata, i mastociti at-tivati possono rimpiazzare il contenuto dei loro granuli nel giro di pochi giorni e possono sopravvivere per lunghi perio-di se ricevono stimoli adeguati. Come anticipato nel paragrafo prece-dente, mastociti e basofili non sono però le uniche cellule a esprimere il recettore ad alta affinità per le IgE. Infatti, una forma trimerica di tale recettore può essere indotta, in particolare dall’IL-4, in numerose cellule del sistema immu-nitario inclusi monociti/macrofagi e DCs (5,6). Come dimostrato da nume-rosi studi condotti nell’uomo, i livelli di espressione della forma trimerica sono molto variabili e correlati allo stato di atopia. In particolare, l’analisi effettuata

a livello di DCs derivate da precursori isolati da sangue periferico, dimostra come l’espressione del recettore trimeri-co sia molto bassa, o in alcuni casi as-sente, in soggetti non atopici, ma risulti up-regolata in pazienti asmatici (6). Si ritiene che sia nel caso di pazienti affetti da asma allergico che nel caso di pazien-ti affetti da dermatite atopica l’aggrega-zione del recettore trimerico promossa da IgE e allergene sulle diverse sotto-popolazioni di DC umane trasduca un segnale intracellulare che, pur essendo meno potente di quello indotto dalla forma tetramerica, è responsabile della sintesi di citochine pro-infiammatorie coinvolte nel reclutamento e nell’attiva-zione di leucociti. Inoltre, tale recettore svolge un ruolo importante nel facilitare la captazione e la presentazione degli al-lergeni ai linfociti effettori Th2 (1). I recettori ad alta affinità per le IgE sono stati recentemente riscontrati anche su cellule strutturali delle vie aeree, tra cui le cellule della muscolatura liscia, a livel-lo delle quali contribuiscono alla produ-zione di fattori di crescita che hanno un ruolo centrale negli eventi di rimodella-mento delle vie aeree (13).

meccanismi implicati nella regolazione

positiva dell’espressionedi fceri

La maggior parte degli studi finalizzati all’identificazione dei meccanismi im-plicati nella regolazione dell’espressione del recettore FceRI sono stati condotti a livello di mastociti e basofili. È stato riscontrato che l’interazione tra IgE ed il

suo recettore FceRI oltre ad aumentare l’emivita delle IgE, stabilizza l’espressio-ne in membrana dei recettori occupati (14 e 15). In particolare, è stato riporta-to che mastociti isolati da topi “knock-out” per l’IgE esprimono livelli molto bassi di recettore in membrana. Vicever-sa, in topi normali ripetute esposizioni a uno specifico allergene, stimolando la produzione di IgE, aumentano sia i livelli sierici dell’anticorpo che l’espres-sione in membrana di complessi recet-toriali occupati. Una situazione analoga è presente negli individui atopici che hanno un più ele-vato contenuto di IgE nel siero rispetto ai soggetti normali (16).Ciò rende la risposta più versatile poiché i mastociti e i basofili rispondono a uno spettro più ampio di antigeni; più sen-sibile, in quanto anche una dose molto bassa di antigene può promuovere la loro completa attivazione; più potente, in quanto viene rilasciato un numero maggiore di mediatori per cellula. Il meccanismo alla base di questa regola-zione dipende da un alterato “turnover”: i complessi recettore/IgE rimangono stabilmente espressi in membrana e non sono più soggetti a internalizzazione e degradazione (14). Inoltre, il legame con l’IgE induce la sintesi di nuove cate-ne recettoriali con un conseguente pro-gressivo accumulo del recettore sulla su-perficie del mastocita. In particolare, la densità dei recettori occupati dalle IgE nei basofili umani aumenta in maniera proporzionale alla concentrazione delle IgE totali presenti in circolo (16).Nel 2001 è stato riportato da due grup-pi indipendenti che il legame con l’IgE

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in forma monomerica, in assenza di stimolazione da parte dell’allergene, è anche in grado di promuovere una ri-sposta funzionale che include sopravvi-venza e proliferazione dei mastociti e la neo-sintesi di numerose citochine e di mediatori pro-infiammatori (17,18). Tali effetti però non sono sempre ripro-ducibili e questo può essere ricondotto al fatto che non tutti gli anticorpi IgE generati in vivo nel corso di una rispo-sta policlonale hanno la stessa abilità di promuovere una risposta funzionale.

Gli anticorpi in grado di farlo sono sta-ti definiti citochinergici, a indicare che hanno un’azione simile a quella delle citochine: ad un estremo dello spettro vi sono anticorpi IgE, definiti altamen-ti citochinergici, in grado di attivare i mastociti promuovendo sopravvivenza, adesione, migrazione e secrezione di mediatori pro-infiammatori, ed all’altro estremo anticorpi debolmente citochi-nergici perché sostanzialmente incapaci di svolgere tali funzioni (19). In parti-colare, studi condotti nell’uomo hanno

dimostrato come basofili e mastociti stimolati in coltura con IgE ad attività citochinergica rilascino citochine (IL-6) e chemochine (IL-8), ma anche istami-na e leucotrieni (20). E’ stato inoltre proposto che l’attivazione mastocitaria indotta da anticorpi IgE citochinergici sia in grado di promuovere la sintesi di IL-4 e IL-13 che possono agire diret-tamente sui linfociti B contribuendo a potenziare la sintesi di IgE mediante un meccanismo a feedback positivo. A tale proposito è interessante sottoli-neare che le IgE altamente citochiner-giche sono anticorpi polispecifici: oltre a legare l’allergene che ne ha indotto la produzione mostrano una reattività spiccata nei confronti di antigeni self, tra cui catene di DNA a singolo e dop-pio filamento e tireoglobulina (19). Pro-prio grazie alla loro auto-reattività esse riescono, anche in assenza di allergene, a promuovere aggregazione recettoriale e quindi a consentire la propagazione del segnale attivatorio e la risposta fun-zionale. In sintesi quindi, il legame delle IgE al recettore FceRI promuove funzioni antigene-indipendenti che stabilizzano il complesso in membrana, aumentano la densità dei complessi occupati, ma promuovono anche segnali di sopravvi-venza e di proliferazione abbassando la soglia di attivazione dei mastociti e dei basofili. La loro piena attivazione richie-de il legame con l’antigene multivalente che, promuovendo un elevato grado di “cross-linking” recettoriale, induce de-granulazione e la sintesi di un ampio spettro di mediatori lipidici e di nume-rose citochine (Figura 1).

Figura 2 La via dell’ubiquitina

Rappresentazione schematica della via dell’ubiquitina e principali funzioni dei diversi tipi di ubiquitinazione.

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meccanismi implicati nella regolazione

negativa dell’espressionedi fceri:

la via dell’ubiquitina

La complessa serie di eventi molecolari responsabili dell’attivazione dei masto-citi e basofili è controbilanciata da mec-canismi inibitori altrettanto complessi e sofisticati.Un importante meccanismo di regola-zione a feedback negativo consiste nella rimozione dei recettori ingaggiati dalla superficie cellulare e nel loro trasporto in compartimenti lisosomiali responsa-bili della loro degradazione. Studi morfologici hanno dimostrato come l’internalizzazione del recettore FceRI avvenga prevalentemente me-diante endocitosi clatrina-dipendente (21). Il nostro gruppo ha più di recente dimostrato che per una rapida ed effi-ciente internalizzazione del recettore aggregato è necessaria la presenza di un complesso ternario contenente adatta-tori implicati nella via di endocitosi cla-trina-dipendente (22). In assenza di tali adattatori, interviene una via di endoci-tosi alternativa a quella clatrina-dipen-dente che richiede il coinvolgimento dei “rafts” lipidici (23). Indipendentemente dalla via endocitica coinvolta (clatrina- o raft-dipendente), l’attivazione della via dell’ubiquitina è richiesta affinché si ab-bia un efficiente down-regolazione dei complessi recettoriali ingaggiati (24).L’ubiquitinazione è una modificazione post-traduzionale che consiste nel lega-me covalente di una o più molecole di

ubiquitina, una proteina di 8 kDa alta-mente conservata, ad una proteina ber-saglio mediante l’azione specifica di tre classi di enzimi che agiscono in maniera sequenziale: E1, E2 ed E3 (25) (Figura 2). Mediante una reazione ATP-dipen-dente, l’enzima E1 attiva l’ubiquitina formando un legame tioestere con la sua glicina carbossil-terminale. L’ubiquitina attivata si lega all’enzima E2 mediante una reazione di transtiolazione che coin-volge nuovamente la regione carbossil-terminale dell’ubiquitina stessa. Infine, la terza classe di enzimi, costituita dalle ligasi E3, catalizza il trasferimento dell’u-biquitina dall’enzima E2 a un residuo di lisina della proteina bersaglio. Essa può essere modificata dall’aggiunta di una singola molecola di ubiquitina o di più molecole di ubiquitina, si parla nel pri-mo caso di mono-ubiquitinazione e nel secondo caso di multi-ubiquitinazione, oppure può essere soggetta a poli-ubiqui-tinazione qualora leghi covalentemente una catena di poliubiquitina (Figura 2). La poli-ubiquitinazione promuove la degradazione selettiva della proteina modificata operata dal proteasoma (25). La mono- o multi-ubiquitinazione di re-cettori di membrana agisce da segnale in grado di promuovere sia l’internalizza-zione del recettore modificato che il suo successivo trasporto all’interno di com-partimenti endocitici fino a guidarne l’ingresso nei lisosomi, compartimenti in cui il recettore viene, infine, degra-dato (26). A tale proposito, il nostro gruppo ha dimostrato come l’adattatore molecolare Cbl oltre ad essere implicato nella trasduzione del segnale intracellu-lare, sia anche in grado di agire da E3

ligasi promuovendo sia l’ubiquitinazione delle subunità recettoriali b e γ che della tirosino-chinasi Syk (27). In particolare, l’ubiquitinazione del recettore FceRI, evento che richiede l’integrità dei “raft” lipidici, promuove l’endocitosi antigene-dipendente del complesso recettoriale mediante interazioni specifiche con di-versi adattatori endocitici contenenti motivi d’interazione con l’ubiquitina (28). Nell’ambito dei diversi adattatori coinvolti un ruolo cruciale nel controlla-re il trasporto dei recettori internalizzati nei lisosomi è svolto da Hrs (Hepatocyte growth factor-Regulated tyrosine kinase Substrate): la deplezione selettiva di tale adattatore promuove, infatti, l’accumulo dei recettori internalizzati negli endoso-mi e previene la loro degradazione liso-somiale. In Figura 3 è schematizzato il modello proposto dal nostro gruppo che illustra come l’ubiquitinazione Cbl-dipendente del recettore FceRI regoli l’endocitosi e la degradazione lisosomiale del com-plesso recettoriale ingaggiato.

conclusione e considerazioni cliniche

Le nozioni esposte legate al ruolo fisio-logico delle IgE e ai meccanismi che re-golano l’espressione del recettore FceRI consentono di comprendere, dal punto di vista meccanicistico, come trattamen-ti farmacologici che interferiscono con il network delle IgE siano in grado di ini-bire la reazione allergica.In particolare, l’anticorpo monoclona-le umanizzato omalizumab, appartiene a tale categoria di farmaci. Esso lega le

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IgE libere indipendentemente dalla loro specificità ed è somministrato nelle for-me di asma severo ai pazienti refrattari a trattamenti convenzionali. Un primo importante effetto diretto dell’omalizumab è la neutralizzazione dell’IgE libera che, non potendo più le-gare il recettore FceRI espresso sui ma-stociti e basofili, provoca il “disarmo” dei principali effettori cellulari della reazio-ne allergica. Inoltre, alle dosi raccomandate, l’oma-lizumab, riducendo drammaticamen-

te i livelli di IgE libere, promuove una graduale perdita del numero di recet-tori ad alta affinità rendendo i basofili e i mastociti meno sensibili alla stimo-lazione da parte dell’allergene. Risultati analoghi sono stati anche riscontrati nel caso di sottopopolazioni di DC derivate da precursori isolati da sangue periferico di pazienti asmatici trattati con omalizu-mab. La riduzione del numero di recet-tori sulle DC è associata ad una ridotta proliferazione dei linfociti T specifici per l’allergene.

E’ importante, inoltre, considerare che gli effetti dell’omalizumab non sono ristretti alle sole cellule del sistema im-munitario. Infatti, l’omalizumab, inter-cettando le IgE libere, agisce anche ini-bendo il legame con il recettore per le IgE espresso sulle cellule muscolari lisce delle vie aeree bloccando la produzione IgE dipendente di citochine e fattori di crescita.In conclusione, il trattamento con l’o-malizumab interferisce con le principali funzioni biologiche mediate dal network delle IgE contribuendo in maniera effi-cace a ridurre il rilascio di mediatori flo-gistici e la risposta infiammatoria. Tuttavia, l’unico trattamento in grado di modificare la storia naturale della ma-lattia è l’immunoterapia specifica (ITS) o iposensibilizzante introdotta per la prima volta dall’inglese Leonard Noon nel 1911. Essa rappresenta una sorta di vaccino terapeutico ed è indicata nei pa-zienti affetti da allergie respiratorie (rini-te e asma da moderata a lieve) e allergie da imenotteri. La procedura consiste nel somministrare, per via sublinguale o sottocutanea, quantità progressivamente crescenti dell’allergene purificato, setti-manalmente o mensilmente per un pe-riodo che dura dai 3 ai 5 anni. Questo schema terapeutico devia gradualmente la risposta allergica innescata dai linfo-citi Th2 verso una risposta predominata dai Th1 che induce un’aumentata pro-duzione di anticorpi IgG e una ridotta produzione di IgE. Si assiste inoltre allo sviluppo di linfociti T regolatori che, mediante secrezione di citochine anti-infiammatorie, contribuiscono a ridurre la risposta allergica.

Figura 3 Endocitosi ubiquitina-dipendente del recettore FceRI

In seguito ad aggregazione recettoriale l’adattatore Cbl, reclutato in prossimità del com-plesso recettoriale ingaggiato, ubiquitina le subunità b e γ. Il complesso recettoriale ubiqui-tinato viene riconosciuto da adattatori endocitici che ne promuovono l’internalizzazione ed il successivo trasporto in compartimenti endocitici (endosomi precoci e tardivi) ed infine nei lisosomi. Modificato da: Molfetta et al. Molecular Immunology, 2010.

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introduzione

E’ assodato da tempo il ruolo determi-nante della vitamina D (VD) nei mec-canismi di assorbimento intestinale del calcio e le sue complesse azioni sul tessu-to osseo (interazione con i recettori per VD (VDR) espressi dagli osteoblasti, induzione della sintesi dell’osteocalcina e produzione di RANKL con secondaria attivazione degli osteoclasti). Il metabo-lita attivo della VD è rappresentato da 1,25-diidrossivitamina D3 che svolge le sue funzioni legandosi ad uno specifico VDR nucleare o situato a livello delle membrane cellulari. E’ probabilmen-te improprio parlare di “vitamina D”, nell’accezione classica del termine, in quanto VD è in realtà un ormone seco-steroideo, svolgendo svariate e comples-se funzioni nell'ambito di diversi organi e apparati. Non è quindi sorprendente che numerose patologie, tra cui malattie delle alte e basse vie respiratorie (asma bronchiale, BPCO e rinite allergica), malattie autoimmunitarie (diabete

Carlo Lombardi

Unità Dipartimentale di Allergologia-Immunologia Clinica & Pneumologia, Istituto Ospedaliero Fondazione Poliambulanza – Brescia;Membro Direttivo Nazionale Società Italiana di Allergologia-Asma & Immunologia Clinica (SIAAIC);North-East Allergy Network (NEAN);President Italian Chapter of Interasma.

Vitamina D e allergopatie:un rapporto affascinante, ma ancora controverso

Vitamin D and allergic diseases:a fascinating relationship, but still controversial

riassunto

Parole chiave e sigle• VD=vitamina D • VDR=recettore vitamina D • rinite allergica • asma bronchiale • dermatite atopica • allergia alimentare

E’ assodato da tempo il ruolo determinante della vitamina D (VD) nei meccanismi di assorbi-mento intestinale del calcio e le sue complesse azioni sul tessuto osseo. VD è un ormone seco-steroideo e svolge svariate e complesse funzioni nell'ambito di diversi organi e apparati. Non è quindi sorprendente che numerose patologie, tra cui malattie delle alte e basse vie respiratorie (asma bronchiale, BPCO e rinite allergica), malattie autoimmuni, patologie dermatologiche, cardiovascolari e oncologiche, siano state associate ad un deficit di 25-idrossivitamina D3. VD e i suoi recettori sembrano infatti implicati nella regolazione di molteplici funzioni immuno-logiche e in processi antinfiammatori, antinfettivi e antiproliferativi. La seguente review ha lo scopo di analizzare le recenti evidenze correlate alle complesse interazioni fisiopatologiche nell’ambito delle allergopatie. Considerando nel loro insieme i dati disponibili in letteratura non è ad oggi possibile accettare o rifiutare a priori un nesso causale; vi sono infatti troppe variabili (genetiche, epigenetiche, ambientali) e fattori di confondimento interferenti. Ulteriori studi, in particolare d’intervento con disegno DBPC e prospettici di popolazione, saranno necessari in futuro per una migliore definizione del ruolo della VD nelle allergopatie. Dai dati riportati emerge però complessivamente un possibile coinvolgimento della carenza di VD nell’asma bronchiale, nella dermatite atopica e nelle allergie alimentari. Più controversa è invece l’as-sociazione con la rinite allergica. In quest’ottica appare comunque fondamentale garantire adeguati livelli ematici di VD, in particolare nei soggetti in età pediatrica. Anche durante il periodo della gravidanza sembra determinante un adeguato apporto di VD per evitare gli ef-fetti successivi sui nascituri “time depending” per quanto riguarda lo sviluppo di allergopatie.

Not Allergol 2015; vol. 33: n.3: 121-133.

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mellito di tipo I, sclerosi sistemica), patologie dermatologiche (dermatite atopica), cardiovascolari e oncologi-che, siano state associate ad un deficit di 25-idrossivitamina D3. VD e VDR sembrano infatti implicati nella regola-zione di molteplici funzioni immuno-logiche e in processi antinfiammatori, antinfettivi e antiproliferativi. Alla base di questa disregolazione potrebbe essere presente una modificazione del segnale della via VD/VDR indotta da fattori quali un ridotto apporto, una ridotta attivazione, o un alterato meta-bolismo della VD.

la pigmentazione, l’area cutanea espo-sta e l’età. Le più ricche fonti naturali di VD sono rappresentate dall’olio di fegato di merluzzo e da pesci di acqua salata come sardine, aringhe, salmone e sgombro. Uova, carne, latte e latticini contengono a loro volta piccole quan-tità di VD. Oltre all’assunzione della VD dalla dieta e dall'attivazione cutanea indotta dall’esposizione solare, le diffe-renze interindividuali del livello di VD nel sangue dipendono dalla variabilità di un singolo nucleotide in geni codifican-ti per gli enzimi coinvolti nel metaboli-smo della VD e per la proteina legante la VD nel plasma. Nell’organismo VD biologicamente inattiva viene converti-ta in un prodotto attivo mediante due successive idrossilazioni: a livello epatico, dove una 25-idrossilasi catalizza la sinte-si di 25-idrossivitamina D (25(OH)-D) (calcidiolo), e nel tubulo renale dove l’1-α-idrossilasi catalizza la sintesi di 1,25 (OH)2-D3 o calcitriolo, il metabolita biologicamente attivo (Figura 1). A livello renale la 25(OH)-D può essere idrossilata anche in posizione 24 dando origine alla 24,25(OH)2-D; ma il ruolo fisiologico di questo metabolita non è tuttora stato ben definito. L’emivita del-la 25(OH)-D è di circa 20 giorni, la sua concentrazione sierica è compresa tra 10 e 50 ng/ml (25-125 nmol/l) e la sintesi di 1,25(OH)2-D3 è invece la tappa li-mitante del processo di attivazione della VD ed è strettamente regolata. L’emivita della 1,25(OH)2-D3 è di 3-5 giorni e la sua concentrazione sierica è compresa tra 20 e 76 pg/ml (48-182 pmol/l). L’1-α-idrossilasi è presente non solo a livello renale, ma anche in alcuni tipi di cellule

summaryKey words and Acronyms• VD=Vitamin D • VDR=vitamin D receptor • allergic rhinitis • bronchial asthma • atopic dermatitis • food allergy

It has long been known the decisive role of vitamin D (VD) in the mechanisms of in-testinal calcium absorption and its complex actions on bone. VD is a secosteroid hor-mone and plays varied and complex functions within various organs and systems. It is therefore not surprising that many diseases, including diseases of the upper and lower airways (bronchial asthma, COPD and allergic rhinitis), autoimmune diseases, skin di-seases, cardiovascular and neoplastic diseases, have been associated with a deficiency of 25-hydroxyvitamin D3. VD and its receptors seem involved in the regulation of many immunological functions and anti-inflammatory, anti-infective and anti-proliferative processes. The following review has the aim of analyzing the recent evidence related to the complex pathophysiological interactions in the context of allergic diseases. Consi-dering together the data available in the literature to date is not possible to accept or reject a priori a causal link: there are too many variables (genetic, epigenetic and envi-ronmental) and confounding factors interfering. Interventional DBPC and prospective population studies will be needed in the future for a better definition of the role of VD in allergies. Today, a possible involvement of VD in bronchial asthma, atopic dermatitis and food allergies may be possible. More controversial is instead the association with allergic rhinitis. In this prospective view it appears however essential to ensure ade-quate blood levels of VD, particularly in pediatric subjects. Even during pregnancy it seems determining an adequate supply of VD to avoid subsequent effects on the unborn regarding the development of allergies.

vie metaboliche ed azioniormonali della vd

VD comprende due secosteroidi che si comportano come pro-ormoni, la vita-mina D3 colecalciferolo), sintetizzata a livello cutaneo dalla radiazione ultra-violetta a partire dal 7-deidro-coleste rolo, e la vitamina D2 (ergocalcifero-lo), che deriva invece dall’irradiazione solare dell’ergosterolo dei vegetali e che viene assunta quindi con la dieta. Nu-merosi fattori possono influenzare la sintesi di VD, quali: l’altitudine, la sta-gionalità, l’inquinamento ambientale,

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del sistema immunitario, come mono-citi, cellule dendritiche (DC) e anche a livello della parete bronchiale. I meta-boliti della VD sono escreti con la bile ed esiste un loro circolo enteroepatico. Il calcitriolo, similmente ad altri ormo-ni steroidei, si lega nei tessuti bersaglio a recettori citoplasmatici che traslocano l’ormone nel nucleo. L’interazione del complesso VD -VDR con la cromatina influenza i processi di trascrizione e pro-muove la sintesi proteica. L’1,25 (OH)2-D3 modifica il legame tra la calmoduli-na e la miosina 1, una proteina presente nei villi intestinali dove si lega all’actina e alla membrana plasmatica. Il comples-so calmodulina-miosina 1 favorisce l’in-gresso del calcio nella cellula intestinale, mentre il trasporto intracitoplasmatico dello ione richiede l’intervento della calbindina, una proteina caratterizzata da elevata affinità con il calcio e la cui sintesi è sotto il controllo della VD. Sti-molando l’assorbimento intestinale di Ca, P e Mg, il calcitriolo fornisce al tes-suto osseo i substrati necessari per la sua mineralizzazione. Non è invece ancora chiaro se i metaboliti della VD influen-zino direttamente il metabolismo osseo. Il calcitriolo sinergizza con il PTH nel promuovere il riassorbimento osseo e inibisce in vitro la formazione della matrice proteica. E’ stato invece dimo-strato che l’1,25 (OH)2-D3 è in grado di inibire direttamente la sintesi e la se-crezione del PTH. La presenza di VDR in numerosi tessuti, non direttamente coinvolti nel controllo del metabolismo minerale, quali cute, mammella, gona-di, pancreas, ipofisi, muscoli, cervello e tessuto emopoietico, suggerisce che l’or-

mone possa avere numerosi altri effetti fisiologici. Il miglior indicatore sierico della VD è il 25-(OH)D (colecalcifero-lo), più stabile, con emivita più lunga e

direttamente correlato con l’entità della esposizione ai raggi UV (Tabella 1 a pa-gina 124). In base alle Linee guida della Società Italiana dell’Osteoporosi, del

Figura 1 VD: vie metaboliche

Tratta da: Holick MF. Vitamin D deficiency. N Engl J Med 357: 266-81, 2007, con modificazioni

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Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) il fabbi-sogno di vitamina D varia da 1.500 UI/die (adulti sani) a 2.300 UI/die, consi-derando che esso aumenta con l’età, la massa corporea, la massa grassa e l’ap-porto di calcio. In Italia l’apporto diete-tico fornisce in media circa 300 UI/die, di conseguenza quando l’esposizione so-lare è virtualmente assente è necessario garantire supplementi per 1.200-2.000 UI/die. Il latte materno ha uno scarso contenuto di vitamina D (circa 20 UI/l) e le donne carenti ne forniscono ben poco ai loro lattanti. Secondo l’Institute of Medicine al di sotto di un anno di età è preferibile un introito giornaliero di 400 UI, da au-mentare a 600 UI dopo l’anno. Questo apporto può aumentare se il bambino non è sufficientemente esposto alla luce solare e nei mesi invernali. Il fabbisogno di VD è assicurato per il 90% dalla quo-ta sintetizzata a livello cutaneo e solo in minima parte da quella alimentare. No-nostante la latitudine del nostro Paese favorisca numerose ore di sole, e quindi un minor rischio teorico di ipovitami-

nosi D, l’Italia si colloca tra i Paesi con maggior incidenza di ipovitaminosi D insieme a Spagna e Grecia (Figura 2 nel-la pagina accanto). La carenza di VD è frequente negli an-ziani, ma anche in un terzo delle donne in età pre-menopausale, soprattutto se obese e residenti nelle regioni meridio-nali. Infatti l’86% delle donne italiane sopra i 70 anni presenta livelli ematici di 25-idrossivitamina D3 inferiori a 10 ng/ml alla fine dell’inverno. L’esposizione solare si riduce con l’aumentare dell’età, così come la produzione cutanea di VD si riduce con l’età a parità di esposizione ultravioletta. Peraltro, l’ ipovitaminosi D non è esclusiva della popolazione an-ziana, perché anche il 30% e il 65% dei giovani ha valori carenti, corrispondenti rispettivamente a 25-idrossivitamina D <20 ng/ml e <30 ng/ml. La VD è for-temente liposolubile, viene rapidamente assorbita a livello duodenale e digiuna-le e distribuita attraverso la circolazio-ne linfatica quasi totalmente al tessuto adiposo, da cui viene liberata in piccole quantità rispetto alla quota immagaz-zinata. Pertanto una maggiore massa adiposa “diluisce” la VD, il che spiega perchè il rischio della sua carenza sia più elevato nei soggettiobesi. L’aumentato spessore del tessu-to adiposo sottocutaneo rende inoltre difficile la penetrazione dei raggi UVB, impedendo l’attivazione della VD. Altre patologie frequentemente caratterizzate da ipovitaminosi sono rappresentate da celiachia, morbo di Crohn, insufficienza pancreatica e malattie colestatiche. An-che epatopatie evolute determinano una ridotta attivazione epatica o un’aumen-

tata inattivazione della VD, come anche nefropatie che portano a una ridotta at-tivazione renale. Come le cause, anche le conseguenze della carenza di VD sono molteplici e non sono solo rappresenta-te dal ridotto assorbimento di Calcio e Fosforo (Figura 3 a pagina 126).

effetti extrascheletricidella vd e interazioni

col sistema immunitario

Come in precedenza sottolineato, la VD, oltre alle note funzioni nell’ambi-to dell’omeostasi ossea, svolgerebbe un importante ruolo nella regolazione delle funzioni immunitarie e nella produzio-ne di antimicrobici endogeni. Nel san-gue, la VD è legata alla VD-binding pro-tein (DBP), proteina carrier con diverse funzioni la cui variabilità genetica è in qualche modo associata alla vulnerabili-tà nei confronti di malattie respiratorie e autoimmuni. Tessuti diversi dall’osso come mammella, cervello, prostata e co-lon, nonché cellule del sistema immu-nitario, sono risultati sensibili all’azione dell’1,25-diidrossivitamina D3 in quan-to dotati di recettori per la VD e alcune cellule hanno nel loro corredo enzimati-co anche l’1-alfa-idrossilasi. L’1,25-diidrossivitamina D in modo diretto o indiretto, controlla più di 200 geni, tra cui anche quelli implicati nella regolazione di processi apoptotici, pro-liferativi, e di differenziazione cellulare. La 1,25-diidrossivitamina D3 è anche potente immunomodulatore in quanto in grado di stimolare alcune cellule del sistema immunitario, come macrofagi e monociti, a produrre la catelicidina, un

Tabella 1Interpretazione

dei livelli ematici di 25-(OH) D

Definizione nmol/L ng/ml

➤ Carenza < 50 < 20

➤ Insufficienza 50-75 20-30

➤ Sufficienza > 75 > 30

➤ Eccesso > 250 > 100

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peptide antimicrobico nei confronti del M. tubercolosis e altri patogeni (Figura 4 a pagina 127). Se le concentrazioni sieriche della 25-idrossivitamina D3 scendono sot-to i 20 ng/ml (50 nmol/l), i monociti e i macrofagi non sono più in grado di attuare questa risposta immunitaria. E’ interessante ricordare che l’efficacia della vaccinazione con BCG per la tu-bercolosi è stata correlata con la latitudi-ne; è noto che l’elevata latitudine viene considerata “proxy” sia per i bassi livelli di radiazione ultravioletta (UVR) che di bassi livelli ematici di VD. Studi sperimentali hanno permesso di dimostrare che la VD è in grado di mo-dulare l’attività di svariate cellule immu-nitarie, quali monociti, macrofagi, lin-fociti e cellule dell’epitelio respiratorio (Figura 5 a pagina 128). Molte cellule del sistema immunitario, come macrofagi, cellule dendritiche, T e B linfociti, possono convertire 25(OH)D a 1,25(OH)2D mediante l’attività CYP27B1 e quindi produrre elevati li-velli locali di 1,25(OH)2D. L’attività antimicrobica dei macrofagi nei con-fronti del M. tubercolosis aumenta in presenza di 1,25-idrossivitamina D3 in seguito alla stimolazione con i ligandi del Micobatterio. L’attivazione del Toll-Like receptor 2 (TLR2) da parte del M. tubercolosis determina un’ incrementa-ta espressione di VDR e CYP27B che favorisce a sua volta un’incrementata conversione della 25-idrossivitamina D in 1,25-diidrossivitamina D3 con conseguente espressione del peptide antimicrobico catelicidina tramite la via del VDR. La catelicidina è prodotta

dai neutrofili, macrofagi, mastcellule, cellule NK e dalle cellule epiteliali della cute, del tratto respiratorio e gastroin-testinale. Questo peptide antimicrobi-co mostra un’attività nei confronti dei batteri Gram+, Gram-, virus e miceti determinando una rottura delle mem-brane. Il trattamento con VD porta ad un’up-regulation dell’mRNA della cate-licidina in numerose linee cellulari, tra cui cheratinociti, macrofagi e neutrofili. Bassi livelli di VD sono anche stati ri-scontrati in pazienti con sepsi ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva, quando confrontati con i controlli sani. In que-

sti pazienti, il livello sierico di 25-idros-sivitamina D3 correlava direttamente con la concentrazione sierica di cateli-cidina, suggerendo che i livelli sistemici di questo peptide potrebbero essere re-golati dalla VD. Questo potrebbe essere importante anche nel controllo delle in-fezioni, come nella rinosinusite cronica e nelle esacerbazioni asmatiche.Una delle principali funzioni accertate della VD nell’ambito della risposta im-mune adattativa è la modulazione della proliferazione e delle funzioni dei Linfo-citi T. Il metabolita attivo 1,25-diidros-sivitamina D3 inibisce la proliferazione

Figura 2 Carenza di Vitamina D in Europa

Tratta da: www.vitaminad.it/la-carenza-di-vitamina-d-in-italia

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dei Linfociti Th e favorisce l’espressione delle citochine dipendenti dalla rispo-sta Th2 quali l’IL-4, l’IL-5 e l’IL-10. Nonostante la 1,25-diidrossivitami-na D3 sembri essere in grado di agire direttamente sui linfociti T attraverso l’intervento della differenziazione delle cellule T, dati recenti indicano che la 1,25-diidrossivitamina D3 esercita la sua influenza sull’immunità adattativa modulando l’attività delle cellule den-dritiche (DCs). 1,25-diidrossivitamina D3 inibisce la maturazione delle cellule dendritiche e incrementa l’espressione di citochine come l’IL-10, inducendo quindi tolleranza attraverso la soppres-

sione dei linfociti Th1 e l’induzione di cellule T regolatorie. La VD è in grado anche di inibire l’espressione dell’IL-12, rilasciata dalle cellule dendritiche, che favorisce la differenziazione dei linfociti T. L’IL-12 stimola lo sviluppo dei linfo-citi T helper di tipo 1 (Th1) e inibisce invece i linfociti Th2. Infine, le cellule dell’epitelio bronchiale esprimono gli enzimi del metabolismo della VD e sono in grado di convertire la 25-idros-sivitamina D3 nel metabolita attivo 1,25-diidrossivitamina D3. Queste cellule sono una ricca fonte di 1,25-dii-drossivitamina D3 che induce l’espres-sione della catelicidina o del CD14

dalle cellule dell’immunità innata. Poi-chè l’epitelio respiratorio rappresenta il bersaglio primario dei patogeni respira-tori e la catelicidina possiede un’attività antibatterica e antivirale, una riduzione stagionale della risposta immunitaria VD-mediata, potrebbe contribuire ad un aumento delle infezioni delle basse vie aeree durante l’inverno.Probabilmente una delle principali azio-ni modulatorie dell’1,25-diidrossivi-tamina D3 è il suo effetto sulle cellule T regolatorie (T regs) che prevengono l’attivazione periferica di cellule T auto-reattive. In assenza dell’1,25-diidrossivi-tamina D3 le cellule T regolatorie sono ridotte sia funzionalmente che nume-ricamente, contribuendo con ciò allo sviluppo di malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla e il diabete mellito tipo I. E’ probabile che il deficit di VD possa influenzare il sistema immune an-che in base al “timing” in cui si verifica tale condizione di carenza; è infatti sta-to documentato che bassi livelli di VD o basse esposizioni ambientali a UVR durante il periodo in utero o nel corso dell’infanzia si possono associare a pato-logie immuno-correlate. Recentemente è stata anche sottoline-ata la possibile complessa relazione fra microbioma e VD. Il microbioma è costituito dall’insieme dei batteri com-mensali che colonizzano gli apparati gastrointestinale e respiratorio e la cute. In modelli murini 1,25(OH)2D è stata in grado di sopprimere l’infiammazio-ne tissutale mediante un’alterazione del microbioma. La carenza di VD aumenta infatti la severità della colite e il numero dei batteri a livello del colon. Analoghi

Figura 3 Rappresentazione schematica delle maggiori cause di carenza di vitamina D e suoi effetti /conseguenze

extrascheletrici

Tratta da: Holick MF, and Chen T C Am J Clin Nutr 2008;87:1080S-1086S, con modificazioni

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effetti sono stati rilevati anche nel trat-to respiratorio di ratti con allergopa-tia respiratoria dove un deficit di VD ha prodotto un incremento dell’in-fiammazione polmonare e del nume-ro dei batteri intraluminali. In studi sull’uomo, un incremento dell’appor-to dietetico di VD ha determinato un cambiamento della composizione del microbiota fecale. In modelli animali è stato anche dimostrato che i probioti-ci possono upregolare l’espressione del VDR nel colon, riducendo l’infiam-mazione e ritardando la transizione da displasia a neoplasia. L’insieme di questi dati suggerisce quindi che non solo è possibile che la VD possa modu-lare l’infiammazione tissutale mediante modificazioni del microbioma, ma che possa avvenire anche il contrario, ov-vero che il microbioma e l’infiamma-zione cambiano a loro volta la risposta dei tessuti alla VD mediante una rego-lazione dell’espressione dei VDR.

vd e dermatite atopica

E’ stata volutamente inserita una bre-ve disamina sulla dermatite atopica (DA) in quanto trattasi di patologia che largamente antecede lo sviluppo di allergia alimentare, rinite allergica e asma bronchiale (“allergic or atopic march”). Vi sono ormai numerosi dati sperimentali che hanno confermato gli effetti molecolari della VD sulla cute. 1,25 diidrossi-VD determina infatti la differenziazione dei cheratinociti. VD riduce inoltre i livelli cutanei di IL-1α, IL-6 e RANTES determinando un ri-

duzione dei processi di infiammazione. Bassi livelli di proteine necessarie per la formazione dello strato corneo, tra cui la fillagrina, sono stati rilevati in ratti

null per l’espressione di 25-OH-VD-1α-idrossilasi. Infine una carenza di VD può determinare un incremento delle sovrainfezioni batteriche e virali, tipiche

Figura 4 Trasformazione della 25-idrossivitamina D3 in 1,25-diidrossivitamina D3 in relazione alle funzioni

del sistema immunitario.

Tratta da: Holick MF- Vitamin D deficiency. N Engl J Med 357: 266-81, 2007, con modificazioni.

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nel decorso della DA, per riduzione dei livelli cutanei di peptidi antimicrobici (AMP), come la catelicidina. L’insieme di questi dati sembra quindi indicare un ruolo fondamentale della VD a livello cutaneo (effetto antinfiammatorio, pro-cessi di integrità di barriera, attività an-tinfettiva) sostanziando un razionale per la supplementazione di VD nei pazienti con DA. In effetti, è stato osservato un ruolo patogenetico e/o un effetto favo-revole della VD in numerose patologie cutanee, come psoriasi, vitiligo, acne e rosacea. Sebbene non tutti concordanti (Back et al., 2009; Hata et al., 2014), in

letteratura esistono numerosi lavori che correlano livelli insufficienti di VD con la DA e Sidbury et al. hanno dimostrato che la supplementazione di VD riduce i sintomi della DA inverno-correlati (22).Tali dati sono stati recentemente con-fermati anche da Camargo et al. (2014) in uno studio DBPC condotto in Mon-golia su bambini con riacutizzazione della DA nei mesi invernali. Sebbene uno studio italiano (Peroni et al.,2010) abbia documentato che i livelli sierici di VD siano più elevati nei pazienti pedia-trici con DA lieve rispetto a quelli con forme più severe, mediante valutazio-

ne con lo SCORAD index, altri lavori hanno dimostrato che questo trend è presente esclusivamente nei soggetti con sensibilizzazioni allergeniche (29).

vd e allergie alimentari

Le allergie alimentari e i casi di anafilassi correlati sono incrementati drammati-camente nelle ultime due decadi, sia in età pediatrica che adulta. Per spiegare tale aumento, in particolare durante l’infanzia, sono state avanzate numero-se ipotesi; tra cui la cosiddetta “hygiene hypothesis”, il tipo di intake alimenta-re delle madri durante la gravidanza, la non adeguata utilizzazione dell’allatta-mento materno e, più recentemente, il ruolo patogenetico della VD. Uno studio australiano ha analizza-to l’associazione tra i livelli sierici di 25-OH-VD e allergie alimentari. La va-riabile che modificava questa associazio-ne era rappresentata dal Paese di nascita dei genitori (p = 0.03); tra i neonati con genitori australiani quelli con livelli sie-rici insufficienti di 25(OH)VD avevano più probabilità di essere allergici agli ali-menti. Questa associazione non era in-vece evidente per i neonati i cui genitori non erano nati in Australia. Nascere in autunno o in inverno sem-bra essere un fattore di rischio per lo sviluppo di allergia alimentare. In uno studio condotto a Boston, i bambi-ni afferiti a PS a causa di una reazione allergica correlata ad assunzione di ali-menti erano più frequentemente nati in autunno/inverno rispetto a primavera/estate (P=0.002). Ciò può riflettere una

Figura 5 Le complesse azioni della VD sul sistema immunitario

Tratta da: J. Yawn, et al.- Vitamin D for the treatment of respiratory diseases: Is it the end or just the beginning? J. Steroid Biochem. Mol. Biol. (2015), con modificazioni.

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ridotta esposizione a UVR e quindi più bassi livelli di VD. In effetti, elevati tassi di prescrizione di adrenalina auto iniettabile e di allergia alimentare sono rilevabili in aree con elevata latitudine (Australia, Nord America). E’ stato an-che dimostrato che soggetti di razza nera hanno un’elevata prevalenza di allergie alimentari; ciò sembra riflettere la nota scarsa attivazione cutanea della VD da parte delle UVR in questi pazienti. An-che l’obesità rappresenta un fattore ri-schio sia per bassi livelli di VD che per lo sviluppo di allergia alimentare (26). I bassi livelli di 25(OH)VD sembrano inoltre determinare pattern diversi di sensibilizzazione agli alimenti. Nel Na-tional Health and Nutrition Examina-tion Survey (NHANES 2003–2006) è stata ad esempio dimostrata un’associa-zione inversa fra livelli di 25(OH)VD ed allergia ad arachidi e gamberetti, ma non con uova o latte vaccino. Anche avere elevati livelli plasmatici di VD è stato correlato in alcuni studi con una maggiore incidenza di allergia alimen-tare. Per conciliare questi risultati appa-rentemente conflittuali è stato proposto che sia alti che bassi livelli di VD pos-sano predisporre all’allergia alimentare; questa ipotesi è stata denominata “u-shaped association”. La supplementazione di fish oil, che rappresenta un’ottima fonte alimenta-re di VD, durante la gravidanza è stata correlata ad una minore incidenza di allergia alimentare nei nascituri in al-meno 3 studi d’intervento randomizzati controllati. Studi recenti sembrano in-dicare che livelli sufficienti di VD svol-gano un ruolo protettivo nei confronti

delle allergie alimentari nel primo anno di vita. Sono invece necessari ulterio-ri approfondimenti circa il ruolo della VD nell’ambito delle allergie alimentari dell’adulto. Un meccanismo plausibile per spiegare l’associazione tra VD e allergia alimen-tare potrebbe essere la mancanza dell’in-duzione da parte della VD delle difese epiteliali innate (come la catelicidina) o una disregolazione delle proteine costi-tuenti le tight junction. Questi mecca-nismi determinerebbero una compro-missione nella funzionalità di barriera a livello intestinale o una modificazione nella composizione microbica gastroin-testinale VD-mediata. Il potenziale ef-fetto della VD nella promozione della tolleranza alimentare negli individui sensibilizzati potrebbe essere spiegata grazie alla capacità della VD di indurre l’espressione delle cellule T regolatorie che secernono IL-10.

vd e asma bronchiale

L’asma bronchiale è una malattia cro-nica delle vie aeree caratterizzata da ostruzione bronchiale, solitamente re-versibile spontaneamente o in seguito alla terapia, ed è sostenuta da una ri-sposta infiammatoria con inappropriata attivazione dei linfociti Th2. A partire dagli anni ’60 si è assistito ad un pro-gressivo incremento della prevalenza dell’asma e il deficit di VD è stato spes-so indicato come un possibile fattore contribuente dell’epidemia asmatica; ciò in base soprattutto all’osservazione che le più elevate prevalenze dell’asma

sono riscontrabili in Paesi lontani dall’e-quatore. Va anche ricordato che la VD contribuisce alla crescita/sviluppo pol-monare e alla sintesi di surfattante da parte delle cellule alveolari di tipo II. In lavori sperimentali su modelli mu-rini, il trattamento con VD ha ridotto l’iperreattività bronchiale e l’infiltrato eosinofilo bronchiale. Inoltre è stata di-mostrata una anomalia genetica (SNP) in nuclei famigliari di soggetti asmatici per il coinvolgimento di vie metaboli-che per la VD e per la regolazione dei livelli plasmatici della VD. Poiché però l’asma è una patologia immuno-mediata e la VD svolge azioni molto complesse sul sistema immunitario, sono stati ef-fettuati numerosi studi, sia sperimentali che clinici, per documentare una pos-sibile correlazione fra deficit di VD e asma. VD sembra interagire con l’asma a vari livelli. Varianti del VDR sono sta-te associate quale fattore di rischio per l’insorgenza di asma, collegando quin-di la VD alla patogenesi dell’asma. Un ampio studio longitudinale ha mostrato che la scarsa assunzione di VD e basse concentrazioni sieriche di VD sono as-sociate con il deterioramento della fun-zionalità polmonare negli adulti e risul-tati analoghi sono stati evidenziati negli adolescenti. Pazienti con bassi livelli di VD presentano anche un’aumentata condizione di iperreattività bronchiale e ridotta risposta alla terapia steroidea. La VD sembra inoltre associata ad un’au-mentata espressione dell’IL-4. La capacità della VD di incrementare le difese immunitarie potrebbe ridurre, come avviene per la broncopneumopa-tia cronica ostruttiva (BPCO), i fattori

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che scatenano le esacerbazioni asmati-che causate dalle infezioni delle vie re-spiratorie.I glucocorticoidi sono gli antinfiamma-tori più efficaci disponibili per il trat-tamento dell’asma e in alcuni pazienti la resistenza o la non responsività alla terapia corticosteroidea rappresenta un rilevante problema. E’ stato dimostrato che l’associazione di VD al trattamen-to corticosteroideo in pazienti resistenti alla terapia, ha determinato un’aumen-tata responsività al desametasone, gra-zie al ripristino della risposta difettiva dell’IL-10 ai glucocorticoidi attraverso i linfociti T CD4+. Una resistenza alla terapia steroidea è stata anche osservata in bambini asmatici con bassi livelli di VD portando, di conseguenza, ad un

più consistente utilizzo di questi farmaci e a più elevati rates di ospedalizzazione e valutazioni presso PS per esacerbazioni asmatiche. Una peculiarità delle alterazioni fisio-patologiche dell’asma è rappresentata dai fenomeni di “remodeling” delle vie aeree con un incremento del numero/massa delle cellule muscolari lisce. MMP-9 è l’enzima principale coinvol-to nel rimodellamento delle vie aeree ed è espresso ad elevati livelli nei pa-zienti con restringimento severo e irre-versibile delle vie aeree. Anche un’altra metalloproteinasi (ADAM33) è re-sponsabile dell’aumentata suscettibilità nei confronti dell’insorgenza dell’asma e del rimodellamento delle vie aeree. La sua espressione correla con lo sviluppo

e la severità dell’asma e una sua dimi-nuzione con un adeguato approccio terapeutico.Studi in vitro hanno dimostrato che l’1,25-diidrossivitamina D3 ha un effet-to diretto antiproliferativo sulle cellule muscolari lisce dell’epitelio respiratorio umano ed è in grado di inibire l’espres-sione sia di MMP-9 sia di ADAM 33 suggerendo un potenziale ruolo della VD nella prevenzione del remodeling e nel trattamento dell’asma. NF-KB p65 è inibito dalla VD3; ciò porta a ritene-re che l’inibizione di questa via possa essere uno dei principali meccanismi con cui la VD attenua i fenomeni di remodeling. Trials clinici d’intervento hanno valutato se la supplementazione di VD potesse essere efficace nel tratta-mento dei pazienti asmatici. Nel 2014 sono stati pubblicati i risultati, non in-coraggianti, di uno studio statunitense multicentrico randomizzato-controllato denominato “VIDA” (Vitamin D3 add-on therapy enhances corticosteroid responsiveness in asthma). Sono stati ar-ruolati 408 adulti con asma sintomatico e livelli di 25(OH)VD inferiori a 30 ng/ml; i pazienti sono stati suddivisi in 2 gruppi; uno trattato con una dose inizia-le unica di carico orale di colecalciferolo (100.000 IU) seguita da terapia orale continuativa giornaliera per 28 settima-ne con 4000 UI, l’altro con placebo; tali interventi erano associati al trattamento standard con cicloesonide (320 µg/die). Se l’asma veniva ben controllato, cicloe-sonide veniva ridotta ad un quarto della dose iniziale. L’outcome primario dello studio era il tempo intercorso alla pri-ma esacerbazione (non modificato nel

Figura 6 Carenza di VD e allergopatie

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gruppo trattato con VD). Un altro out-come secondario (dose totale inalata di steroide) è stato invece favorevolmente modificato dalla VD. Altri studi, pub-blicati sempre nel 2014, hanno peraltro documentato un miglioramento dei parametri di funzionalità respiratoria dopo l’aggiunta alla terapia antiasmatica di VD3. Uno studio randomizzato con-trollato condotto su bambini asmatici trattati con budesonide (800 µg/die) ha valutato l’effetto dell’ aggiunta di VD3 (500UI/die di colecalciferolo), versus placebo, sui sintomi asmatici. I bambi-ni trattati anche con VD3 hanno avu-to un minor numero di esacerbazioni asmatiche. Un altro lavoro ha valutato l’efficacia dell’immunoterapia allergene-specifica in bambini asmatici in relazio-ne ai livelli sierici di VD dimostrando che, se i livelli di 25-OH-VD erano su-periori a 30 ng/mL, gli outcomes finali ottenibili con l’immunoterapia specifica (induzione di FOXp3 e effetto steroid-sparing) erano migliori in questo grup-po di pazienti. Importanti appaiono gli studi che hanno valutato l’intervento con supplementazione di VD in donne gravide sul successivo sviluppo di asma nei nascituri. Sebbene i dati disponibili non siano tutti univoci, un’associazio-ne inversa tra l’assunzione di VD in gravidanza e sviluppo di asma precoce nell’infanzia è stata documentata in stu-di condotti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Questi studi inducono a rite-nere che la VD possa svolgere un effet-to modulatorio “time dependent” sulle funzioni immunitarie nell’asma. Va pe-raltro segnalato un recentissimo studio di follow-up, durato tra i 20 e i 25 anni,

in cui sono stati valutati gli effetti di elevati, o viceversa bassi, livelli ematici di VD durante il periodo di gravidanza sui figli, in cui non è stato dimostrato un effetto protettivo della VD sullo svi-luppo successivo di asma e sui parametri di funzionalità respiratoria; anzi, bassi livelli di VD nelle madri gravide riduce il rischio successivo di ospedalizzazioni per asma e l’uso dei farmaci antiasmatici (31). Una recente revisione sistematica ha in-vece incluso solo studi epidemiologici che misuravano le concentrazioni sieri-che di 25(OH)VD in pazienti asmatici (32). Sono stati identificati un totale di 340 articoli di cui 23 studi sono stati inclusi nella revisione finale (2 studi caso-controllo, 12 studi di coorte e 9 studi trasversali). Le conclusioni degli Autori sono state che è possibile il ruo-lo della VD nelle esacerbazioni asmati-che nei bambini, ma sono ancora poche le evidenze per un dimostrato effetto sull’incidenza dell'asma. Nella maggior parte degli studi che avevano valutato il ruolo della 25(OH)VD nella prevalen-za e nella gravità dell’asma nei bambini e negli adulti, è stato osservato che non vi era alcuna associazione tra bassi livelli sierici di VD e asma. Gli Autori affer-mano che, anche se sono conosciute le raccomandazioni per la concentrazione ottimale della VD, queste non possono essere applicabili per il controllo dei sintomi asmatici. La VD sembra quindi avere un ruolo a vari livelli nell’asma: 1) nei meccanismi di esordio precoce della malattia; 2) nella sua patogenesi e nei processi di remodeling; 3) nella pre-venzione delle esacerbazioni, in parti-

colare quelle dovute ad agenti infettivi; e 4) nel ripristino della sensibilità agli steroidi nell’asma steroido-resistente con bassi livelli di IL-10, ma saranno necessari ulteriori studi per confermare queste iniziali osservazioni. Un recente studio ha infine documentato un ef-fetto della VD nel ridurre della com-ponente infiammatoria eosinofila della mucosa bronchiale in pazienti con asma non atopico ma caratterizzato da severa flogosi eosinofila bronchiale associato a un lieve miglioramento sul controllo dell’asma (33). Non è stata invece evi-denziata una riduzione della compo-nente neutrofilica valutata con lo sputo indotto. Non vi è peraltro dubbio che la supplementazione di VD negli asmatici che fanno lungamente uso di steroidi possa avere un effetto protettivo nei confronti dei fenomeni di demineraliz-zazione ossea jatropatica (34).

vd e rinite allergica

Poiché anche nella rinite allergica è presente un Th2 skewing è ipotizzabi-le un ruolo immunomodulatorio della VD anche in questa patologia. La VD potrebbe avere un effetto soppressivo dell’infiammazione a livello della muco-sa nasale, influenzando, quando carente, lo sviluppo e il persistere della rinosinu-site cronica. Per quanto riguarda un’e-ventuale correlazione fra deficit di VD e rinite allergica, i dati disponibili in letteratura sono però piuttosto scarsi e anche contradditori. Uno studio corea-no ha dimostrato una possibile corre-lazione tra bassi livelli di VD e rinite

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Bibliografia

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a controlli sani (5.1%). Erkkola et al. hanno infine documentato che l’inta-ke di VD durante la gravidanza è stato negativamente associato a rischio sia di asma che di rinite allergica (19). E’ quindi probabile che, anche per la rinite allergica come per l’asma, il “timing” d’intervento potrebbe essere cruciale nell’azione protettiva della VD.

conclusioni

Considerando nel loro insieme i dati disponibili in letteratura sui comples-si rapporti tra VD e allergopatie non è ad oggi possibile accettare o rifiutare a priori un nesso causale; vi sono infatti troppo variabili (genetiche, epigeneti-che, ambientali) e fattori di confondi-mento interferenti. Ulteriori studi, in

particolare d’intervento con disegno DBPC e prospettici di popolazione, saranno necessari in futuro per una migliore definizione del ruolo della VD nelle allergopatie. Dai dati ripor-tati emerge però complessivamente un possibile coinvolgimento della carenza di VD nell’asma bronchiale, nella der-matite atopica e nelle allergie alimenta-ri (Figura 6). Più controversa è invece l’associazione con la rinite allergica. In quest’ottica appare, quindi e comunque, fonda-mentale garantire adeguati livelli ema-tici di VD, in particolare nei soggetti in età pediatrica. Anche durante il pe-riodo della gravidanza sembra determi-nante un adeguato apporto di VD per evitare gli effetti successivi sui nascituri “time depending” per quanto riguarda lo sviluppo di allergopatie.

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Buon 2016

Giuseppe GuidaClaudia PetrarcaRiccardo Asero

Gennaro D’AmatoIsabella Annesi-Maesano

Lorenzo CecchiCarolina Vitale

Gennaro LiccardiAnna Stanziola

Alessandro SantuzziAntonio MolinoMaurizia Lanza

Alessandro VatrellaMaria D’Amato

Mario Zanca

Giuseppe PingitoreCarla LombardoPatrizia BonadonnaAlessandra VultaggioAndrea MatucciEnrico MaggiErminia RidoloCristoforo IncorvaiaMarcello MontagniGianenrico SennaGianni PassalacquaRosa MolfettaRossella PaoliniCarlo LombardiMassimo Landi

Agli Autori

Ai LettoriCon la speranza che ci seguano

con lo stesso interesse anche il prossimo anno.

Auguri da Gianni Mistrello, Fabrizio Ottoboni e Maura Fattorini

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considerazionigenerali

Durante i due ultimi decenni, gli in-teressi scientifici riguardo il sistema vitamina D sono progressivamente au-mentati; a parte il ben noto ruolo di questa vitamina nel metabolismo del calcio e delle ossa recenti osservazioni hanno suggerito un suo possibile ruo-lo immuno-modulatore anche nelle malattie allergiche, asma compresa (1). Questo aspetto potrebbe assumere una particolare rilevanza nei pazienti pedia-trici. Un numero crescente di letteratura ha sottolineato che la vitamina D svolge un ruolo importante nella funzione / re-golazione generale del sistema immuni-tario, specialmente per quanto riguarda la funzione dei linfociti, segnalazione e attivazione dei recettori delle cellule T e produzione di citochine (2,3). Sulla base di queste osservazioni, la vitamina D è stato valutata come un potenziale fattore che influenzi l'incidenza, la gra-vità e il corso dell’ asma e delle malattie

Massimo Landi

Pediatra di famiglia Asl To1 TorinoCollaboratore di ricerca Allergologia e Pneumologia pediatricaIstituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare CNR di Palermo

Vitamina D: focus sui pazienti pediatrici allergici

Vitamin D: focus on allergic pediatric patients

riassunto

Parole chiave e sigle• Vitamina D • malattie allergiche • immunomodulazione • supplementazione • asma • rinite • Pediatric allergy • prevenzione primaria

Negli ultimi anni, l'interesse del mondo scientifico verso la vitamina D è gradualmente aumen-tato, e sono stati condotti diversi studi per analizzare il suo possibile ruolo nella modulazione dello sviluppo/de corso delle malattie allergiche. Inoltre, la supplementazione di vitamina D è stata valutata come un approccio utile per il trattamento delle allergie ma i dati sono eteroge-nei. Una ricerca della letteratura è stata fatta in modo indipendente dagli Autori, individuando articoli per una revisione narrativa. La vitamina D svolge un ruolo chiave nel metabolismo del calcio e del fosfato, ed è essenziale per la salute delle ossa in neonati, bambini e adolescenti. Tuttavia, non vi sono prove attualmente sufficienti per sostenere la supplementazione di vi-tamina D per la prevenzione o il trattamento delle malattie allergiche nei neonati, bambini e adolescenti, in materia di rinite allergica, asma, allergie alimentari e dermatite atopica.

Not Allergol 2015; vol. 33: n.3: 135-137.

Ipotesi correlazione bassi livelli di Vit D ed aumento allergie

Alcuni dati supportano l’esistenza di un rapporto tra latitudine e livelli di esposizione solare e conseguente livello di 25(OH) D e prevalenza di malattie allergiche. I dati sono tuttavia contrastanti

Correlazione tra assunzione Vit D nelle gravide e prevenzione malattie allergiche non evidenziata

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allergiche in generale (4,5) giocando un possibile ruolo anche di tipo preventivo. Tuttavia è anche vero che alcuni studi hanno suggerito che alti livelli sierici di vitamina D possono aumentare il ri-schio di disturbi allergici di (6,7).Il Colecalciferolo, e i suoi metaboliti, sono più propriamente ormoni che pos-sono essere sintetizzati dal corpo umano (Figura 1).I supposti effetti antiallergici della vita-mina D possono in parte essere ricon-ducibili all'azione sulle cellule dendriti-che, favorendo la produzione di IL-10 e riducendo la produzione di IL-12 (8). Un livello sierico di VD≥ 50 nmol / L è considerato sufficiente, valori <50 nmol / L insufficienti, e <40 nmol / L forse a rischio di malattie. Per garantire un ade-guato apporto di vitamina D, l'Ameri-can Academy of Pediatrics ha aumenta-

to la dose giornaliera raccomandata per i bambini e adolescenti (9), ad una dose di 400 UI fino a 12 mesi di età e di 400-600 oltre i 12 mesi (10), raccomandan-do che tale integrazione deve iniziare durante i primi giorni di vita. Per quan-to riguarda le malattie allergiche, gli stu-di disponibili forniscon risultati contra-stanti. Certamente, altri fattori possono giocare un ruolo cruciale nella sviluppo di allergie e asma, tra cui l'ambiente e la genetica. A questo proposito, un aspetto interessante sembrerebbe avere la latitu-dine (11): alte latitudini, che sono carat-terizzate da una irradiazione ultravio-letta inferiore, possono essere associate ad una frequenza inferiore di allergia, mentre una esposizione ai raggi ultra-violetti superiore (latitudini più basse), è

summaryKey words and Acronyms

• Vitamin D • allergic diseases • immunomodulation • supplementation • asthma • rhinitis • pediatric allergy • primary prevention

In recent years, the interest of the scientific world towards vitamin D gradually increased, and several studies have been conducted to dissect its possible role in modulating the deve-lopment/course of allergic diseases. Also, Vitamin D supplementation has been assessed as a beneficial approach for treating allergies in some, but not all studies. We reviewed herein the available and relevant literature concerning the possible links between Vitamin D, its supple-mentation and allergic diseases. A literature search was made independently by the Authors, identifying articles for a narrative review. As per literature, Vitamin D plays a key role in cal-cium and phosphate metabolism,and it is essential for bone health in infants, children and adolescents. However, there is pre-sently insufficient evidence to support vitamin D supplementation for prevention or treatment of allergic diseases in infants, children and adolescents, concerning allergic rhinitis, asthma, food allergy and atopic dermatitis.

Figura 1 Metabolismo della Vitamina D

7- dehydrocholesterol 25OH Vitamin D calcidiol

1-25OH Vitamin D calcidiol

Bone resorptionIncreased Ca abssorption

Decreased phosphate excretionIMMUNOMODULATION

Vitamin D3cholecalciferol

Vitamin D2ergocalciferolDIETARY INTAKE

(herring, salmon, codfish, tuna, milk, egg yolk)

SUPPLEMENTS

skin

UV

kidney

Tratta da Della Giustina A, Landi M, Bellini F et al. - Vitamin D, allergies and asthma: focus on pediatric patients World Allergy Organ J. 2014;7(1):27.

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stata associato con una maggiore proba-bilità di avere una storia di rinite allergica o asma o entrambe le condizioni durante l'infanzia. Studi interventistici con Vita-mina D in pazienti con malattie immu-no-mediate non sono completamente esaustivi. Il grado di coinvolgimento del-la vitamina D dipendente sull’omeostasi e la regolazione del sistema immunitario nelle malattie allergiche deve ancora esse-re esplorato (12).

osservazioni conclusive

Considerando l’insieme della letteratu-ra disponibile , non è ad oggi possibile confermare o smentire il ruolo diretto del Vit D nelle malattie allergiche in età pediatrica: sono infatti presenti ancora molti fattori confondenti. Dati speri-mentali forniscono prove che la Vit D agisca sulla funzione immunitaria ma la

complessità di questo sistema, non può applicarsi alla popolazione generale. Inoltre, non è ancora possibile racco-mandare in assoluto strategie per l'uso della Vit D nella terapia dell'asma e nelle malattie allergiche o nella preven-zione (13,14). Sono necessari ulteriori studi clinici prospettici per meglio com-prendere il meccanismo molecolare che possa influenzare i disturbi immunolo-gici ed il loro sviluppo (15).

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Bibliografia

è socialseguici su:

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recens ion i

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causa la beta-talassemia. Il risultato è stato inferiore alle attese: su 71 zigoti sopravvissuti alla procedura, in 28 le mutazioni erano state eliminate e soltanto in 4 la cellula aveva sostituito il gene HBB. Inoltre ci sono state numerose mutazioni “fuori bersaglio”, introdotte da un’azione del complesso CRISPR/Cas9 su altre parti del genoma.Il lavoro ha scatenato ovviamente una montagna di critiche, ma anche entusiasmo, perché solleva problemi filosofici, etici e morali ma non alle sei aziende private che hanno finanziato la ricerca cinese, e le università elencate nell’articolo quali titolari di brevetti che essa ha utilizzato e le Big Farm che stanno tirando fuori centinaia di milioni di dollari… e i cinesi continuano (Figura 1)L’acronimo sta per l’enzima prodotto dal gene Cas9 e i Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, le ripetizioni palindromiche di gruppi di Dna estraneo disposti a intervalli regolari. I CRISPR fanno parte del sistema immunitario dei batteri, si era scoperto dodici anni fa in quelli dello yogurt. Sono anche dei “redattori genetici” grazie all’endonucleasi Cas che riconosce l’RNA nel quale il DNA virale si traduce per replicarsi. L’enzima Cas si appropria di quell’RNA, così riconosce esattamente i pezzi di DNA virale e li elimina tutti. La correzione resta nel genoma del batterio ed è ereditato dalle cellule figlie.

Editing del genoma con CRISPR/Cas 9

CRISPR/Cas9-mediated gene editing in human tripronuclear zygotes

Liang P, Xu Y, Zhang X e 13altriProtein & Cell May 2015:6(5):363-372.

L a scoperta più importante del 2015 secondo una com-missione di scienziati è stata l’applicazione della tecnica

CRISPR/Cas 9 per correggere o modificare il genoma vegeta-le e animale. Questa tecnica è stata inventata negli States nel 2012 da Jennifer Doudna, Emmanuelle Charpentier e Feng Zhang (a cui è stato attribuito il brevetto, sotto contestazione da parte delle altre due scienziate).Il 16 marzo è stato pubblicato il lavoro cinese che ha utilizzato ovuli fecondati umani, scartati per la fecondazione assistita perché avevano 3 copie di ogni cromosoma. Il gruppo cinese ha cercato di sostiuire in 86 zigoti il gene HBB, che se mutato

138

Figura 1Figura 1 I macachini ottenuti con CRISPR

Xiangyu G, Xiao-Jiang L - Targeted genome editing in primate embryos, in Cell Research 2015 DOI:10.1038/cr.2015.64

Figura 1Figura 2 CRISPR/Cas 9 system

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recensioni

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Cloro della piscina e allergia

Chlorinated pool attendance, airway epithelium defects and the risks of allergic diseases in adolescents:

Interrelationships revealed by circulating biomarkers

Bernard A, Nickmilder M, Dumont XEnvironmental Research 2015;140:119–126.

A lfred Bernard dell’Università Cattolica di Lovanio in Belgio da molti anni studia gli effetti dannosi del cloro

sulla salute umana, in particolare nei bambini e adolescenti.Il ricercatore fa notare che il cloro e suoi derivati, usati per disinfettare l’acqua delle piscine può irritare la pelle, gli occhi e le vie respiratorie superiori, e provocare alcuni cambiamenti delle vie aeree e quindi promuovere lo sviluppo di malattie allergiche. Ovviamente le evidenze epidemiologiche sono scarse. In questo studio trasversale Bernard e coll. hanno esaminato 835 adolescenti misurando le concentrazioni sieriche di CC16 (Club cell protein), di SP-D (surfactant-associated protein D), delle IgE sia specifiche che totali. Il rapporto di concentrazione sierica di CC16 / SP-D è un indice che integra i cambiamenti nella permeabilità (SP-D) e nella funzione secretoria (CC16) dell’epitelio delle vie aeree.In entrambi i sessi, il nuoto precoce in piscine clorurate è emerso come il predittore più forte di basso CC16 e del rapporto CC16/SP-D nel siero. Tra le ragazze un basso rapporto CC16/SP-D era associato ad una elevata probabilità di sensibilizzazione agli animali domestici (OR 2.97, 95% CI 1,19-8,22) e per rinite allergica in quelle sensibilizzate ai pollini (OR 4.12, 95% CI 1,28-14,4). Tra i ragazzi, un basso rapporto CC16 / SP-D è stato associato ad un aumento della probabilità di essere allergici agli acari della polvere di casa (OR 2.01, 95% CI 1,11-3,73), di avere rinite allergica se sensibilizzati agli acari (OR 3.52, 95 % CI 1,22-11,1) e l’asma in soggetti sensibilizzati a qualsiasi aeroallergene (OR 3.38, 95% CI 1,17-11,0) o a pollini (OR 5,82, 95% CI 1.51- 27.4). Gli Autori concludono che questi dati supportano l’ipotesi che collega lo sviluppo di malattie allergiche a disordini degli

E l’Europa? La Gran Bretagna ha da settimane autorizzato la manipolazione di embrioni umani con questa tecnica per stu-diare i meccanismi alla base degli aborti spontanei frequenti nella prima settimana di sviluppo.Le applicazioni di CRISPR/Cas9 sono infinite (Figura 3). In campo medico cito solo la possibilità di utilizzare i maiali per gli xenotrapianti, che stavolta si possono fare e una proba-bile cura della sindrome di Duchenne mediante la produzione di una distrofina più corta ma capace di ristorare un parziale recupero della forza e della funzionalità muscolare dell’ani-male. In campo agrario la possibilità di avere piante resistenti alla siccità o agli insetti, non OGM perché il gene modificato viene introdotto col ”taglia e cuci” senza vettori batterici o virali. Il mondo cambierà in meglio grazie a CRISPR/Cas9… F.O.

Figura 1Figura 3 Alcune applicazioni di CRISPR/Cas9

Il primo lavoroWiedenheft B, Sternberg SH, Doudna JA

RNA guided genetic silencing systems in bacteria and archaea.

Nature 2012;482(n7385):331–8.DOI:10.1038/nature10886

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Asma come fattore di rischio per herpes zoster negli adulti

Asthma as a risk factor for zoster in adults: A population-based case-control study.

Kwon HJ, Bang DW, Kim EN et al.J Allergy Clin Immunol. Published online December 28, 2015.

L' herpes zoster (fuoco di S. Antonio) si presenta classicamente come un arrossamento doloroso e pruriginoso su un lato

del corpo. Le complicazioni vanno dalla nevralgia posterpetica, a cicatrici, a problemi visivi, a infezioni secondarie e paralisi. E’ il risultato della riattivazione del virus varicella zoster latente.L’equipe di ricercatori americani aveva già dimostrato in uno studio precedente l’esistenza di una relazione tra l’asma e il rischio di zoster nei bambini asmatici (OR= 2,07; IC95%= 1,24-3,52).Nel nuovo studio gli Autori hanno valutato se lo stato asmatico fosse associato con il rischio di zoster questa volta nell’adulto.I ricercatori hanno censito 371 casi di herper zoster e 742 controlli. L’ asma era presente nel 23% dei casi (87 soggetti) e nel 15% dei controlli.Gli adulti asmatici avevano un rischio di sviluppare herpes zoster superiore del 70% rispetto agli adulti non asmatici (OR=1,73; IC95%= 1,26-2,39; p<0,001) anche dopo aggiustamento dei dati in base ai potenziali fattori confondenti identificati nell’analisi univariata. Gli Autori sottolineano che l’asma determina un innalzamento del rischio di infezioni microbiche serie e comuni e che ciò può essere in parte spiegato dal funzionamento sub-ottimale dei meccanismi delle risposta immunitaria innata ed adattativa.Poiché l’asma rappresenta un fattore di rischio non riconosciuto di herpes zoster nell’adulto, i clinici dovrebbero prendere in seria considerazione la necessità di vaccinare i soggetti asmatici di età uguale o superiore ai 50 anni come categoria a sé stante.

epiteli delle vie aeree causati da fattori di stress ambientali tra cui il cloro delle piscine che può provocare danni permanenti all’epitelio. F.O.

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Per saperne di più

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Taglio cesareo e ripristino del microbioma nel neonato mediante tampone vaginale

Cesarean section and disease associated with immune function

Kristensen K, Henriksen L JACI 2016;137(2):587–590.

Partial restoration of the microbiota of cesarean-born infants via vaginal

microbial transfer

Dominguez-Bello MG, De Jesus-Laboy K, Shen N et al.Nature Medicine 2016 doi:10.1038/nm.4039

D urante il parto naturale il bebè incontra i suoi primi mi-crobi di origine materna che lo colonizzeranno, insieme

a quelli che riceverà poi con l’allattamento al seno. Questo microbioma raggiungerà negli anni successivi una completa maturazione e svolgerà funzioni essenziali per il benessere del bambino. La corretta colonizzazione del neonato è influenzata negativamente da diverse pratiche quali il taglio cesareo, l’uso di antibiotici perinatali, l’alimentazione con latte artificiale. L’incremento del ricorso al taglio cesareo negli ultimi trenta anni ha interessato tutto il mondo occidentale, con notevole variabilità da paese a paese: da un minimo incremento, atte-statosi sul 12-14% nei paesi scandinavi, passando per un 20%

L'altro lavoroKim B-S et al.

Increased Risk of Herpes Zoster in Children with Asthma: A Population-Based Case-Control

Study.

The Journal of Pediatrics 2013;163(3):816–821.

di Stati Uniti e Canada, fino al 38% dell’Italia.Il primo lavoro descrive accuratamente le conseguenze del parto cesareo e di come incrementa il rischio di malattie as-sociate con il non corretto funzionamento del sistema immu-nitario, su una casistica di 750569 bambini danesi, nati tra il 1997 ed il 2012. Nascere con i ferri porta ad un maggior rischio di asma, laringite, gastroenterite, colite ulcerativa, ce-liachia, infezioni delle basse vie respiratorie e di artrite giova-nile idiopatica.Il secondo lavoro fatto da scienziati del Mount Sinai School of Medicine in New York è uno studio preliminare, 4 casi, su come simulare nei bambini nati col cesareo l’esposizione batterica cui sono sottoposti i neonati partoriti naturalmente. L’idea è semplice: un’ora prima dell’intervento chirurgico nel-la vagina della partoriente veniva inserita una garza sterile, che nei 60 minuti si riempiva dei microbi vaginali. Rimossa poco prima dell’intervento e conservata in modo opportuno, entro 2-3 minuti dalla nascita, veniva usata per tamponare occhi, bocca, naso, orecchie e cute del neonato. A vari intervalli nel primo mese sono stati raccolti campioni, oltre 1500, su varie aree del corpo dei bambini e delle loro madri e con tecniche di DNA sequencing sono state identificate le comunità microbi-che dei nati naturalmente e col cesareo. Il risultato è stato sorprendente: i bambini nati col parto

Tratta da: http://www.gvinculo.com.br/2012/06/indicacoes-reais-e-ficticias-para.html

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recensioni

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cesareo e immediatamente “tamponati” coi microbi vaginali materni avevano un microbioma arricchito in batteri, i.e. Lac-tobacillus e Bacteroides, come nei bambini nati naturalmente. L’esperimento ha scatenato l’entusiasmo degli scienziati che hanno già organizzato uno studio più ampio, circa 90 parto-rienti, con un più lungo monitoraggio delle comunità micro-biche e dello stato sanitario dei bambini. Immagino la conten-tezza dei produttori di probiotici… Buona fortuna. F.O.

Tratta da Reid G, Younes JA, Van der Mei HC et al. - Microbiota re-storation: Natural and supplemented recovery of human microbial communities. Nat Rev Microbiol. 2011;9:27–38.

Allergia ad Anisakis in Sicilia

High prevalence of Anisakis simplex hypersensitivityand allergy in Sicily, Italy

Heffler E, Sberna ME, Sichili S et al.Ann Allergy Asthma Immunol 2016;116:146-150.

H effler e colleghi di Catania hanno voluto investigare la prevalenza della sensibilizzazione ed allergia ad Anisakis

simplex in 3419 pazienti consecutivi, giunti alla loro osserva-zione durante un periodo di 22 mesi. Nella Sicilia orientale è pratica diffusa consumare piatti a base di pesce crudo o marina-

to con aceto/limone. Tutti i soggetti sono stati intervistati per i loro problemi clinici di allergie cutanee, respiratorie, alimentari e successivamente sottoposti a test cutanei con A. simplex, aero-allergeni, micofiti, acari, forfore animali e allergeni alimentari. I soggetti con test cutaneo positivo ad A. simplex sono risultati 527 su 3419, indicante una prevalenza del 15,4% nella popo-lazione. 66 pazienti avevano una storia suggestiva di reazioni allergiche dopo l’ingestione di pesce crudo o marinato e 29 di questi lo erano. La distribuzione dei sintomi allergici è indicata nella figura 2.Un’interessante scoperta è emersa dal lavoro catanese: un’alta prevalenza di sensibilizzazione alle muffe e agli acari tra allergici all’A. simplex e questo potrebbe indicare secondo gli Autori che l’allergia a muffe ed acari è un fattore di rischio per sviluppare successivamente un’allergia al parassita. F.O.

Acciuga infestata da Anisakis

Figura 1Figura 2 Distribuzione dei sintomi allergici

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cur ios i tà

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L’asma negli uomini famosiQuesta e la prima descrizione di un attacco asmatico. Quasi tre-mila anni fa Omero utilizzò per primo il termine asma (asthma:

respiro breve) per indicare l’atroce soffo-camento che affliggeva Ettore disteso sul campo di battaglia senza che alcuno dei nemici lo avesse colpito. Ebbene sì, anche persone straordinarie possono soffrire di asma bronchiale, una patologia che afflig-ge anche i piu grandi: in realtà, anzi, piu i ricchi dei poveri, dato che l’ipotesi igieni-ca ci dice che quando si vive in condizioni igieniche non ottimali ci si difende di più dall’allergia. Fin da quando studiavo me-dicina, e quindi ancor prima della laurea, mi affascinava il poter curare l’asma di cui soffrivano alcuni amici e i loro figli. De-sideravo impegnarmi a far passare l’ansia, la paura di morire per il blocco del respiro che inevitabilmente questa malattia induce. Di asma hanno sofferto, e soffrono, grandi campioni dello sport, scrittori, attori, uo-mini politici...Chissà se Marcel Proust, affetto da asma con crisi ricorrenti di ostruzione bronchiale anche grave, avrebbe reagito, magari scri-vendo in modo diverso il suo À la recherche du temps perdu. Tra le sue pagine, il lettore attento riesce a intuire quanto Proust avver-tisse l’asma come una patologia condizio-nante. Da bimbo era portato a Combray dalla nonna per l’elioterapia marina estiva, e ogni volta che si trovava a Parigi nel Bois de Boulogne, aveva tosse o asma. Molto probabilmente egli soffriva di allergia di tipo perenne con riacutizzazioni stagionali da Graminacee, ma ai suoi tempi non esi-stevano test in grado di diagnosticarne la sensibilizzazione allergica. Un giorno, Proust scrisse alla madre di avere sofferto di “un attacco d’asma d’incredibile violenza e tenacia: tale e il bilancio deprimente della notte che ho dovuto trascorrere in piedi”.

Gennaro D'Amato

Altro grand’uomo affetto da asma (non certo l’unica patologia a minarne il fisico) fu Giacomo Leopardi, poeta e scrittore su-blime. Proprio mentre componeva la stu-penda poesia La ginestra nella villa vesuvia-na dell’amico Antonio Ranieri, lontano da Napoli per lo scoppio del colera nella capi-tale partenopea nel 1833, Leopardi ebbe una crisi di cui scrisse: (sono stato colpito) “per la prima volta, da un vero e legittimo attacco d’asma che mi ha impedito di cam-minare, di giacere, e di dormire.” E difficile dire quanto l’asma abbia influenzato la pro-duzione poetica di Leopardi, ma certamen-te la comparsa dell’“atroce divinita”, come egli chiamava la sua malattia, contribui a incrementare la sua visione, gia pesante-mente negativa, dell’esistenza. Afflitto dalle sofferenze, il poeta di continuo invocava quella morte che arrivo in un pomeriggio d’estate. Il 14 giugno 1837, dopo aver det-tato Il tramonto della luna, Leopardi si av-vicinò alla tavola per mangiare una granita. Non l’aveva ancora finita, però, che lo si senti esclamare, tenendosi il petto: “Mi sen-to crescere l’asma!” Un’asma verosimilmen-te bronchiale e cardiaca insieme, che lo portò a morte. Grazie all’interessamento di Antonio Ranieri le sue spoglie non furono gettate in una fossa comune, come le nor-me igieniche del periodo prevedevano cau-sa colera, ma trasportate nella chiesa di San

Vitale a Fuorigrotta. Oggi riposano nel par-co virgiliano di Piedigrotta, nella tomba dichiarata da tempo monumento naziona-le. Ad avere sofferto di asma sono anche grandi di vari altri contesti, incluso il piu insospettabile: lo sport. Superando le diffi-coltà respiratorie indotte dalla patologia d’asma, molti di loro hanno saputo conqui-stare allori importanti, non ultimo il più importante di tutti: l’oro olimpico. Tra quanti sono arrivati tanto in alto, uno gran-dissimo rimane il nuotatore Mark Spitz. Nell’estate del 1972 ero un giovane medico di guardia presso il Pronto Soccorso dell’O-spedale Ruggi D’Aragona di Salerno, pros-simo a trasferirmi al Cardarelli di Napoli. Un giorno, mentre assistevo un paziente arrivato con una terribile crisi asmatica ma ormai, per fortuna, in via di miglioramen-to, un infermiere entrò tutto trafelato di-cendo che alle Olimpiadi di Monaco alcuni terroristi avevano ammazzato degli atleti israeliani. Tremai non sapendo se avessero colpito solo atleti iscritti alle gare sotto la bandiera con la stella di David (come, in effetti, avvenne) o potessero aver ucciso an-che Mark Spitz, americano di religione ebraica che aveva appena finito di vincere ben sette medaglie d’oro pur soffrendo di asma bronchiale da quando era un bambi-no. Una medaglia dopo l’altra, un record assoluto, battuto solo da Michael Phelps,

Nella pianura vede Ettore disteso, intorno a lui sono fermi i suoi uomini egli è preda di un atroce soffocamento, ha perso conoscenza: non e stato toccato dall’ultimo degli Achei.

Omero Iliade, canto XV

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curiosità

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un altro statunitense, che ne vinse otto alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Curiosa-mente, Phelps soffriva a sua volta di un di-sturbo potenzialmente invalidante, l’ADHD (sindrome da deficit di attenzione e iperattività) ma a quanto pare non se ne fece condizionare: alle Olimpiadi di Atene aveva già vinto sei ori e due bronzi, e altri quattro ori conquistò ai Giochi di Londra nel 2012. E' proprio per gli sport acquatici che dovrebbe optare in primis chi, affetto da asma bronchiale, desideri praticare atti-vita agonistica. Nessuna disciplina è co-munque preclusa, nemmeno quelle che si svolgono in ambiente freddo (e dunque potenzialmente piu minaccioso) come ad esempio lo sci. E proprio in questa discipli-na, e per la precisione nello sci di fondo, che l’italia ha un testimonial di prestigio tra i campioni che soffrono di asma: è Giorgio Di Centa, campione dei 50 km alle Olim-piadi invernali di Torino 2006 e portaban-diera azzurro nella cerimonia di apertura dei XXI Giochi invernali, a Vancouver nel 2010. Tra gli altri sport che vantano testi-monial asmatici c’è il basket: alfiere dei ce-stisti affetti da questa patologia e Dennis Rodman, campione estroverso molto ap-prezzato dal gentil sesso. Vincitore di 5 tito-li NBA, e poi wrestler e attore cinematogra-fico, aveva come motto: “L’importante non è vincere, ma gareggiare senza perdere nè pareggiare”. Tra gli atleti affetti da asma o allergopatie respiratorie e che ho conosciu-to personalmente c’è Totò Antibo. Il gran-de fondista era allergico ai pollini di Grami-nacee e Parietaria, circostanza che gli rendeva particolarmente preziosi i calendari pollinici che gli preparavo, adattando i far-maci antiasmatici alle presenze in atmosfera e agli stimoli stagionali degli allergeni, tan-to più in coincidenza dei momenti clou della sua stagione agonistica. Nel 1988 vin-se la medaglia d’argento sui 10.000 metri alle Olimpiadi di Seoul e, in successione,

stabilì i record italiani dei 5.000 e poi 10.000 metri, le stesse distanze su cui il “ca-vallino di Altofonte” si aggiudicò a Spalato, nel 1990, i titoli europei. Non solo sport: tra i tanti altri personaggi famosi che hanno sofferto di asma ricordiamo il comandante Ernesto “Che” Guevara, che fu affetto da questa patologia fin da piccolo. Proprio per questo la sua famiglia, in Argentina, si tra-sferì da Rosario in una località montana vicino a Cordoba, dove el Che visse per ol-tre dieci anni e studiò aiutato dalla madre, poiché l’asma gli impediva di frequentare la scuola; non i campi da rugby, tuttavia, sport nel quale eccelleva. Quando in segui-to i Guevara si trasferirono a Buenos Aires, Ernesto s’iscrisse a medicina: la sua tesi di laurea fu proprio sull’asma allergica, pregio che in parte emenda il vizio del fumo del Che: i sigari cubani certamente non fanno bene ai bronchi di chi è affetto da asma bronchiale! Anche almeno due geni della musica sono nel novero dei grandi asmatici: Fryderyk Chopin e Ludwig van Beethoven. Il primo, uno dei più talentuosi composito-ri e pianisti di tutti i tempi, fu affetto da tubercolosi polmonare e da asma per tutta la vita, con violenti attacchi di ostruzione delle vie aeree che lo resero sempre più de-bole e fragile. E' facile pensare che nella stupenda musica che creava avesse parte la malattia polmonare che si traduceva, attra-verso la sua mente estremamente sensibile, in note di struggente delicatezza: pause e sospensioni delle sue opere sembrano se-guire il ritmo delle sue crisi, e trarne ispira-zione. Sebbene l’aria gli mancasse all’im-provviso e i medici gli avessero consigliato di riguardarsi, Chopin faceva l’impossibile per continuare a suonare e tenere concerti anche in pubblico, essendo ovviamente la sua musica molto amata e richiesta. Altro titano delle sette note affetto da asma bron-chiale fu Ludwig van Beethoven. Si apprez-za ancora di piu la sua grandezza, se si pen-

sa alle tante patologie di cui soffrì il grande compositore: oltre all’asma, c’erano i reu-matismi e la gotta cui si unirono successiva-mente la cirrosi epatica, e soprattutto la sordità, la menomazione in assoluto più invalidante per un musicista. Il primo at-tacco d’asma insorse con violenza quando aveva 16 anni, facendogli mancare improv-visamente l’aria nel contesto di un evento febbrile (verosimilmente un’influenza) che lo colpì subito dopo la morte della madre. Provato dallo straziante stimolo emotivo derivato da una così grande perdita, in quell’occasione Beethoven scrisse: “Dal mio ritorno a Bonn ho goduto poche ore serene. Tutto questo tempo sono stato af-flitto dall’asma. A questa si è aggiunta la malinconia che per me è una sofferenza grave quasi quanto la malattia stessa.” Fin dall’inizio, quindi, l’asma di Beethoven si presentò strettamente interconnessa con le sue emozioni, tanto più in coincidenza di quegli stati d’ansia che non di rado lo co-glievano. “La musica deve fare sprizzare il fuoco dallo spirito degli uomini” soleva dire, ma nel 1802 – ad appena 33 anni – cominciò a prendere coscienza della sordità che, inesorabilmente, s’avviava a divenire totale. Costretto al progressivo isolamento – per non dover rivelare in pubblico il suo handicap – Beethoven si guadagnò una re-putazione di misantropo che lo fece soffrire fino al termine dei suoi giorni. Fortunata-mente la sua creatività non si arrestò e, con coraggio e grande forza di carattere, conti-nuò a produrre pagine immortali di musi-ca. Il 26 marzo 1827, infine, cedendo ai mali che da troppo tempo lo affliggevano, il grande compositore alzo le mani al cielo – come vuole un’immagine ro mantica – e morì nel mezzo di un furioso temporale. Non aveva che appena cinquantasette anni e si stringe il cuore a pensare che, con le attuali terapie antiasmatiche, avrebbe potu-to comporre ancora tanta musica divina.

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I l Notiziario Allergologico è una pubblicazione quadrimestrale di ag-giornamento nel campo della Allergologia e delle discipline ad essa correlate, rivolta ai Medici ed ai Ricercatori. Il Notiziario Allergologico

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BIBLIOGRAFIALa bibliografia verrà scritta in base alle indicazioni riportate di seguito:

• Lavori comparsi in periodici: cognome e iniziale del nome degli Autori, titolo del lavoro, titolo abbreviato del periodico, anno, numero del volume, pagina iniziale e finale.Es: Holt PG - Mucosal immunity in relation to the development of oral tolerance/sensitization. Allergy 1998;4:16-19.

• Monografie e i trattati: cognome e iniziale del nome degli Autori, tito-lo, editore, luogo e anno di pubblicazione.Es: Errigo E - Malattie allergiche. Etiopatogenesi, diagnostica e terapia. Lombardo Editore, Roma, 1994.

• Lavori pubblicati come capitoli di volumi: indicare cognome e ini-ziale dei nomi degli Autori, titolo del capitolo, titolo del volume in cui il lavoro è pubblicato, preceduto dall’indicazione del Curatore, e seguita da quella dell’Editore, luogo e anno di pubblicazione, pagina iniziale e finale del capitolo citato.Es: Philips SP, Whisnant JP - Hypertension and stroke. In: Laragh JH, Brenner BM (Eds.) Hypertension: pathophysiology, diagnosis and ma-nagement. 2nd ed., New York, Raven Press, 1995, p. 465-478.

La bibliografia verrà ordinata in ordine di citazione nel corso del testo e ogni citazione verrà contrassegnata da un numero progressivo di identifi-cazione. In casi particolare, quando la bibliografia sia composta da riviste sintetiche, trattati, monografie e sia limitata a poche voci, non verrà citata nel testo ma raggruppata alla fine del lavoro sotto il titolo “Letture consi-gliate”. I titoli delle riviste dovranno essere abbreviati secondo le indicazioni del Cumulated Index Medicus.

CITAZIONI DI SPECIALITÀOgni composto farmaceutico deve essere citato in base al suo nome chimi-co e/o alla sua denominazione comune internazionale, evitando di citare il nome del marchio. Quest’ultimo potrà essere indicato solo se inevitabile e con la lettera iniziale in maiuscolo.

ABBREVIAZIONIAbbreviazioni e simboli usati, secondo gli standard indicati in Science 1954; 120: 1078.Una volta definiti, essi possono venire usati come tali nel corso del testo.

BOZZELe prime bozze verranno inviate al primo Autore, a meno che non venga altrimenti indicato. Le seconde bozze verranno corrette in Redazione. Le bozze dovranno venire restituite nello spazio di sette giorni dalla data di arrivo, con l’approvazione dell’Autore.

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