Anno 2, numero 1 novembre 2015 · 5 novembre 2015 Lo Sport e gli Adolescenti pag. 1 Sushi Pacinotti...
Transcript of Anno 2, numero 1 novembre 2015 · 5 novembre 2015 Lo Sport e gli Adolescenti pag. 1 Sushi Pacinotti...
Anno 2, numero 1
5 novembre 2015
Caporedattrice:
Angela Forti
affè
Pacinotti
A.A.A
Cercasi disperatamente disegnatore per nuova scritta;
fino a che non l’avremo trovato le nostre copertine rimarranno alquanto
improbabili.
5 novembre 2015
Lo Sport e gli Adolescenti pag. 1
Sushi Pacinotti pag. 1
Eine Kleine Nachtmusik
#Truestoryofavicii pag. 3
X-Factor Revolution! pag. 4
Insight
I Knew pag. 5
Ad Extra
Boccaccio e la via oltre la morte pag. 6
Vendendo Shakespeare un tanto al chilo
Mr. Horner pag. 8
Sezione mostre pag. 12
Se facessimo un sondaggio chiedendo ai ragazzi e
alle ragazze se praticano attività sportiva, il 90% di
loro risponderebbe di sì. Ultimamente lo sport è un
passatempo che piace molto ad una fascia di età che
va dai 12 ai 18 anni, ovvero gli adolescenti. Questi
ultimi in alcuni casi hanno iniziato a fare sport in età
infantile e con il tempo hanno fatto della loro attività
un vero e proprio impegno. Nonostante questa forte
preferenza, ci sono stati molti dibattiti per provare a
stabilire se lo sport faccia bene o male ai ragazzi, sia
dal punto di vista fisico che morale. Per esempio
molti psicologi e professori ritengono che la pratica
frequente di sport comprometta un buon rendimento
scolastico. Spesso infatti si sottrae tempo allo svol-
gimento dei compiti o allo studio per svolgere gli
allenamenti. Anche alcuni dottori si oppongono allo
sport specialmente se praticato in quantità eccessiva
perché mette a rischio la salute e può provocare dan-
ni fisici in età di sviluppo. Questi danni, meglio co-
nosciuti come infortuni, sono tendiniti, contratture o
strappi muscolari, distorsioni e nei casi più gravi
anche scoliosi o mutamenti sbagliati della postura.
Per fortuna tutti questi danni solitamente non sono
molto gravi e possono essere curati o
corretti facilmente. Tuttavia altri medici sostengono
una tesi contraria: fare attività fisica costantemente
aiuta l'adolescente nella crescita e nello sviluppo di
ossa, tessuti e muscoli. Inoltre si acquisisce una
maggiore agilità e coordinazione dei movimenti,
fattori utili anche nella vita quotidiana. Dal punto di
vista psicologico, invece, lavorare con coetanei che
condividono la stessa passione aiuta un adolescente
a crescere ed essere più maturo nel modo di rappor-
tarsi con essi. Se addirittura un ragazzo trova lo
sport che gli piace e lo pratica con serietà, questo
può diventare una passione. Quando uno sport viene
praticato con una certa regolarità e impegno, posso-
no arrivare anche delle soddisfazioni che contribui-
scono ad aumentare il livello di autostima dell'ado-
lescente. È importante credere in se stessi e nelle
proprie abilità per vincere nello sport come nella
vita. In conclusione possiamo dire che lo sport è
come una medicina. In generale fa bene ma se non
lo si sa amministrare nel modo corretto o viene pra-
ticato con troppa frequenza può essere nocivo. "Può
avere degli effetti indesiderati anche gravi. Leggere
attentamente le avvertenze. Se il sintomo persiste,
sospendere la somministrazione e consultare un me-
dico".
Caffè Pacinotti
Lo sport e gli adolescenti Di Sofia Olivari, I^C
Pagina 1
SUSHI
PACINOTTI
Sushi Pacinotti Di Camilla Vaccarini, I^C e Niccolò Harder, I^A
Salve! Sono Camilla e mi occupo di
questa rubrica dedicata alle culture orien-
tali per chi, come me, ne è appassionato.
Oggi, come primo articolo, scriverò dieci
curiosità sulla Terra del Sol Levante:
il Giappone .
Pulizia! La sfaccettatura più affascinante
del Giappone? I giapponesi, decisamen-
te. Educati fin da piccoli al rispetto
dell’ambiente, nelle strade è impossibile
trovare una carta per terra, i locali
risplendono e nelle scuole è ignota la
figura del bidello. Gli studenti di ogni età, infatti,
dopo la fine delle lezioni rimangono in classe e pu-
liscono finché questa letteralmente non luccica. To-
kyo è, incredibilmente, pulita (almeno nei luoghi
turistici), nonostante vanti una popolazione, assie-
me ai comuni minori, di 43 milioni di abitanti.
Puntualità! I mezzi pubblici (così come le persone)
sono perfetti sia nella pulizia che nella puntualità,
basti sapere che se alla stazione, durante l’ora di
punta, l’altoparlante annuncia che lo Shinkansen
(treno superveloce) arriverà tra un minuto, state pur
certi che dopo 60 secondi sarà lì. Se per qualche
disguido, il mezzo dovesse tardare, il direttore do-
vrà rimborsare il biglietto e mandare una lettera di
scuse a tutti coloro che ne hanno subito il ritardo.
Sicurezza! Il Giappone, secondo le statistiche, è
uno dei Paesi più sicuri al mondo, sia in termini di
organizzazioni criminali, dove esiste solo la Yakuza
che generalmente non arriva alle persone comuni,
sia in termini di microcriminalità, quasi assente. E’
totalmente sicuro viaggiare in metro e passeggiare
in centro di notte (solo fino alle tre, però, ora del
coprifuoco), gli abitanti non chiudono casa a chiave
ma usano dei “lucchetti” simbolici, che persino un
bambino saprebbe aprire. Tutto questo perché i
giapponesi sono persone estremamente oneste e
gentili. E’ ovvio che esistono le eccezioni, ma la
loro scuola di pensiero si basa sul fatto che infran-
gere la Legge significa infangare non solo il proprio
nome, ma anche la propria famiglia e i propri cono-
scenti, e la maggior parte dei giapponesi si attiene
ferreamente a quest’idea.
Ordine! Usanza giapponese è quella di formare
continuamente file: sul treno non avremo mai un
gruppo di persone che si spingono per entrare, ma
una lunga fila ordinata con, all’inizio, un addetto
che farà salire tutti, uno dopo l’altro. Facendo così,
quindi, si mantiene l’ordine e si evitano inconve-
nienti “spiacevoli”. In alcune stazioni è vietato l’u-
tilizzo di bastoni per i selfie: secondo loro, possono
essere pericolosi e un gruppo di persone intente a
farsi la foto ostruirebbe il passaggio.
A scuola! All’entrata di ogni scuola, che sia mater-
na, elementare o superiore, prima di entrare (per
questioni di pulizia) bisogna cambiarsi le scarpe.
Ogni studente ha un armadietto dove tiene le sue
scarpe, sia durante le lezioni che per il resto della
giornata. L’anno scolastico comincia ad aprile e
finisce a marzo. Dopo la scuola non obbligatoria, a
6 o a 7 anni si entra nella scuola obbligatoria: ele-
mentare e medie inferiori, rispettivamente sei e tre
anni. La scuola superiore non è obbligatoria e dura
tre anni.
Un Popolo strano e per questo molto affascinante
agli occhi di noi ragazzi, soggetto spesso a molte
contraddizioni.
Inglese? I giapponesi sono uno dei popoli più accul-
turati, sì, ma diversamente da quello che si potrebbe
pensare, ad eccezione di coloro che hanno studiato
all’estero, non conoscono l’inglese, soprattutto gli
adulti; attualmente si sta rendendo obbligatorio lo
studio della lingua inglese nelle scuole. Niente pau-
ra! Se si passeggia per le labirintiche vie di Tokyo e
ci si perde, arriverà un locale che con la sua genti-
lezza a gesti vi farà capire dove andare (disegnando
anche una mappa se necessario).
Washlet! Conosciuti in tutto il mondo sono i wc del
Giappone, delle vere e proprie navicelle spaziali.
Hanno vari tasti, ognuno con funzione diversa: bi-
det (regolabile a diverse intensità), musichetta per
nascondere eventuali “rumori” sgraditi, deodorante
spray per gli odori sgraditi, riscaldamento tavoletta
e molto altro. Sicuramente ci vorrà una laurea per
utilizzarli al meglio… E attenti a non allagare il
bagno! Ormai si sa che il Giappone è il Paese dei
robot e della digitalizzazione, tanto che in molti
locali si ordina attraverso uno schermo e il cibo ar-
riva direttamente al tavolo con un nastro trasporta-
tore. In alcuni ristoranti meno “eleganti” anche il
sushi è fatto dai robot!
Moda! La moda femminile in Giappone è molto
particolare. Alcune adolescenti hanno un modo di
vestirsi alquanto “strano” e potrebbe essere diver-
tente osservare le passanti in città.
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figura del bidello. Gli studenti di ogni età, infatti,
dopo la fine delle lezioni rimangono in classe e pu-
liscono finché questa letteralmente non luccica. To-
kyo è, incredibilmente, pulita (almeno nei luoghi
turistici), nonostante vanti una popolazione, assie-
me ai comuni minori, di 43 milioni di abitanti.
Puntualità! I mezzi pubblici (così come le persone)
sono perfetti sia nella pulizia che nella puntualità,
basti sapere che se alla stazione, durante l’ora di
punta, l’altoparlante annuncia che lo Shinkansen
(treno superveloce) arriverà tra un minuto, state pur
certi che dopo 60 secondi sarà lì. Se per qualche
disguido, il mezzo dovesse tardare, il direttore do-
vrà rimborsare il biglietto e mandare una lettera di
scuse a tutti coloro che ne hanno subito il ritardo.
Sicurezza! Il Giappone, secondo le statistiche, è
uno dei Paesi più sicuri al mondo, sia in termini di
organizzazioni criminali, dove esiste solo la Yakuza
che generalmente non arriva alle persone comuni,
sia in termini di microcriminalità, quasi assente. E’
totalmente sicuro viaggiare in metro e passeggiare
in centro di notte (solo fino alle tre, però, ora del
coprifuoco), gli abitanti non chiudono casa a chiave
ma usano dei “lucchetti” simbolici, che persino un
bambino saprebbe aprire. Tutto questo perché i
giapponesi sono persone estremamente oneste e
gentili. E’ ovvio che esistono le eccezioni, ma la
loro scuola di pensiero si basa sul fatto che infran-
gere la Legge significa infangare non solo il proprio
nome, ma anche la propria famiglia e i propri cono-
scenti, e la maggior parte dei giapponesi si attiene
ferreamente a quest’idea.
Ordine! Usanza giapponese è quella di formare
continuamente file: sul treno non avremo mai un
gruppo di persone che si spingono per entrare, ma
una lunga fila ordinata con, all’inizio, un addetto
che farà salire tutti, uno dopo l’altro. Facendo così,
quindi, si mantiene l’ordine e si evitano inconve-
nienti “spiacevoli”. In alcune stazioni è vietato l’u-
tilizzo di bastoni per i selfie: secondo loro, possono
essere pericolosi e un gruppo di persone intente a
farsi la foto ostruirebbe il passaggio.
A scuola! All’entrata di ogni scuola, che sia mater-
na, elementare o superiore, prima di entrare (per
questioni di pulizia) bisogna cambiarsi le scarpe.
Ogni studente ha un armadietto dove tiene le sue
scarpe, sia durante le lezioni che per il resto della
giornata. L’anno scolastico comincia ad aprile e
finisce a marzo. Dopo la scuola non obbligatoria, a
6 o a 7 anni si entra nella scuola obbligatoria: ele-
mentare e medie inferiori, rispettivamente sei e tre
anni. La scuola superiore non è obbligatoria e dura
tre anni.
Un Popolo strano e per questo molto affascinante
agli occhi di noi ragazzi, soggetto spesso a molte
contraddizioni.
Inglese? I giapponesi sono uno dei popoli più ac-
culturati, sì, ma diversamente da quello che si po-
trebbe pensare, ad eccezione di coloro che hanno
studiato all’estero, non conoscono l’inglese, soprat-
tutto gli adulti; attualmente si sta rendendo obbliga-
torio lo studio della lingua inglese nelle scuole.
Niente paura! Se si passeggia per le labirintiche vie
di Tokyo e ci si perde, arriverà un locale che con la
sua gentilezza a gesti vi farà capire dove andare
(disegnando anche una mappa, se necessario).
Washlet! Conosciuti in tutto il mondo sono i wc
del Giappone, delle vere e proprie navicelle spazia-
li. Hanno vari tasti, ognuno con funzione diversa:
bidet (regolabile a diverse intensità), musichetta per
nascondere eventuali “rumori” sgraditi, deodorante
spray per gli odori sgraditi, riscaldamento tavoletta
e molto altro. Sicuramente ci vorrà una laurea per
utilizzarli al meglio… E attenti a non allagare il
bagno! Ormai si sa che il Giappone è il Paese dei
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robot e della digitalizzazione, tanto che in molti
locali si ordina attraverso uno schermo e il cibo ar-
riva direttamente al tavolo con un nastro trasporta-
tore. In alcuni ristoranti meno “eleganti” anche il
sushi è fatto dai robot!
Moda! La moda femminile in Giappone è molto
particolare. Alcune adolescenti hanno un modo di
vestirsi alquanto “strano” e potrebbe essere diver-
tente osservare le passanti in città. Potreste incon-
trare delle pseudo-principessine gotiche come delle
chiome arcobaleno, cosplay ovunque e molto altro.
Tutto ciò che è eccentrico piace.
Strane domande: Se avete la fortuna di parlare un
minimo di giapponese e incontrate per caso qualcu-
no disposto a parlare con voi, carpe diem! Attenzio-
ne, però: dopo i classici cento inchini e tanti sorrisi
c’è la possibilità che non vi chieda “Da dove vie-
ni?” o “Quanti anni hai?”, ma, piuttosto, “Qual è il
tuo manga preferito?”
I cafè: Particolari sono anche i negozi e i bar. Ci
sono molti tipi di caffetterie, riservati a una certa
fascia d’età. A mio avviso i più interessanti sono i
cosplay cafè, tra cui i maid cafè. Quest’ultimi han-
no come tema principale la maid, cameriera vestita
con una divisa di foggia vittoriana, ornata da pizzi e
merletti. Le maid trattano i clienti come se fossero
appena tornati a casa, come capi, accogliendoli con
un sonoro “Ben rientrato a casa, onorato padrone!”.
Inizialmente nati per una clientela interessata al
mondo fumettistico, attualmente sono molto diffusi
(anche in Italia nelle grandi città) e aperti ad una
clientela più vasta.
Spero che queste mie dieci curiosità sul Giappone
vi abbiano interessati, ( prometto che il mio prossi-
mo articolo sarà più mirato.) Sayounara!
#TRUESTORYOFAVICII di Nicola De Roberto, I^F
Tutto ha inizio in Svezia, di preciso
nella capitale Stoccolma, dove il
giovane Tim Bergling, classe 1989,
inizia a scrivere musica in camera
sua tramite il suo PC. Il talento del
giovane lo porta, nel 2010, alla pub-
blicazione del primo successo inter-
nazionale Alcoholic, sotto il nome
di Tim Berg, seguito lo stesso anno
dal singolo Bromance, con la voce
tratta dal brano del dj italiano
Samuele Santini, Love You Seek
cantato dalla cantante Amanda
Wilson. L’ anno successivo è la
volta di Fade Into Darkness,
clamorosamente plagiata da Leona
Lewis nel brano Collide : la famosa
cantante è costretta, infatti, a
pubblicare il singolo come una
collaborazione con il deejay svede-
se. Nell' ottobre 2011 arriva il
grande successo, il tormentone di
scala internazionale Levels, il cui
ritornello è stato campionato dal
brano di Etta James Something's
Got a Hold on Me; Il brano porta il
dj alla fama internazionale, guada-
gnando il primo posto nelle classifi-
che di Svezia e Norvegia e il quarto
in Italia. Il singolo successivo,
Silhouettes, definito da Avicii come
“Designated follow-up to Levels”,
realizzato in collaborazione con il
cantante Salem Al Fakir, non
EINE
KLEINE
NACHT
MUSIK
Pagina 4 C affè P ac inott i
X-Factor Revolution! di Anna Maggi, IV^E
Salve a tutti pacinottini! Anche quest'anno
intendo portare avanti la mia rubrica sulla
musica, cercando di accontentare tutte le
vostre curiosità e i vostri gusti in merito.
L'argomento che ho deciso di trattare questo
mese è "X-Factor", famoso show televisivo
ideato da Sam Cowell e che quest'anno viene
riproposto in Italia alla 9° edizione. La vera
novità però sono i giudici, un assortimento di
stravaganti artisti che preannuncia una stagio-
ne rivoluzionaria. Ricercando da varie fonti ho
scoperto curiosità davvero interessanti su
ognuno di loro:
il più anziano membro del team è Stefano
Belisari, notoriamente conosciuto col nome di
"Elio"; apparentemente un individuo bizzarro
dai gusti particolari sia nei modi che nei costu-
mi, nasconde in realtà un passato fatto di studi
classici: dopo il diploma conseguito presso il
conservatorio Giuseppe Verdi di Milano in
flauto traverso e la laurea in ingegneria
elettronica presso il politecnico di Milano, si
dedica dapprima alla composizione e poi all'
opera lirica, esibendosi in diversi spettacoli.
Forse non molti sanno che fu proprio lui, acca-
nito fan della squadra, a pubblicare nel 2002 in
singolo "C'è solo l'Inter", canzone che in segui-
to diventerà il nuovo inno.
Il giudice piu "internazionale" è senz'altro
“Mika”, nome d'arte di Michael Holdbrook
Penniman Junior. Ma di internazionale non ha
solo la musica e la fama ,ma anche le origini:
nato a Beirut (Libano) da madre libanese e
padre statunitense, si trasferisce a Parigi all'età
di soli due anni per poi andare a vivere a L
ondra all'età di nove. Lì si cimenta sin da
raggiunge, però, il successo della pubblicazione
precedente.
Ultimo singolo prima del primo album è I Could
Be The One, creato con il contributo del collega
olandese Nicky Romero, produttore di successi
come Toulouse e vincitore del premio per la miglio-
re new entry in DJMag 2012. Il 13 settembre 2013
è il grande giorno per Avicii: è la data di pubblica-
zione di True, il primo album, che vanta di collabo-
razioni con Aloe Blacc (padre di I Need The
Dollar), MO e Nile Rodgers. Wake Me Up, primo
brano dell’album, è la canzone più ascoltata sulla
piattaforma Spotify. Il tour del nuovo album
registra la vendita di più di 500,000 biglietti in tutto
il mondo e 5,000,000 di copie vendute.
Subito dopo True, il dj si dedica ad alcune collabo-
razioni, ad esempio quella con Chris Martin,
cantante dei Coldplay, in A Sky full of stars e
addirittura quella con la ormai 57enne Madonna,
nall’album Rebel Heart.
Dall’ inizio del 2015 Tim ricomincia a produrre
successi come The Days, con Robin Williams, e
The Nights, Entrambi tormentoni dal ritmo
incalzante. A seguire ci sono le pubblicazioni dei
primi singoli che comporranno l’ ancora segreto
secondo album, come Waiting For Love, in collabo-
razione con il produttore Martin Garrix, canzone
dell’ estate 2015. Due singoli, Feeling Good e Pure
Grinding For A Better Day, precedono l’uscita di
Stories ( il primo venerdì di ottobre 2015), che ha
già raggiunto i primi posti nella classifica iTunes.
Pagina 5 C affè P ac inott i
I Knew di Steven Salamone, II^F e Angela Forti, IV^A
“ I Knew” è il nuovo singolo di
Michelangelo Falcone, studente che
incontriamo tutti i giorni nei corridoi
della nostra scuola.
Michelangelo, autore del testo e della
canzone, vince nel 2013 il concorso ca-
noro “ Vocine Nuove di Castrocaro” e
partecipa al programma “ Io Canto 4”
di Canale 5, ottenendo così l’ inseri-
mento nella compilation dello stesso.
Si presenta così, con “ I Knew” , un sin-
golo essential pop dal sound british e
giovane.
Ma da dove deriva tutta questa grinta e
voglia di fare musica? Michelangelo
stesso mi ha raccontato che la sua
subito nello studio del piano e della composizione,
nonostante le molte difficoltà dovute alla dislessia
che gli impedisce di leggere gli spartiti. Benché
insultato dalla maggior parte dei suoi coetanei,
Michael non si arrende e crea un sito Youtube dove
verrà scoperto da un discografico.
L'unica donna sul banco della giuria è Deborah
Anne Dyer, in arte "Skin". Anche sul suo conto le
curiosità non mancano: dopo la laurea ad honorem
in design di interni alla Teesside University of
Middlesbrough, nel 1994 molla il suo prestigioso
lavoro da designer per entrare nel campo della mu-
sica assieme alla sua band "Skunk Anansie", rivolu-
zionando il suo look e il suo timbro vocale.
Occasionalmente posa come modella o appare in
alcuni ruoli secondari di film come, per esempio,
"Strange Days". Nel 2012 si sposa con la sua
produttrice Christiana Wyly presso il Castello di
Campo in Trentino.
La nuova promessa del rapper italiano, genere in
ascesa negli ultimi anni, è Federico Leonardo Lucia
(Fedez), peraltro il giudice più giovane della
competizione. Anche i suoi inizi non furono facili:
nato e cresciuto in un quartiere di periferia a sud di
Milano, cerca di farsi strada nel mondo del rap
partecipando alle più disparate gare di freestyle.
Dopo una lunga gavetta riesce ad entrare in una
casa discografica e comincia a incidere i primi
dischi, cercando di autofinanziarsi svolgendo
diversi mestieri. Con la crescita progressiva della
sua fama, però, cominciano ad arrivare le prime
critiche: rime troppo semplici, metrica scadente e
testi molto generalizzati. Nonostante i numerosi
giudizi contrari, Fedez continua per la sua strada
riuscendo ad arrivare in vetta alle classifiche, dove
rimane tuttora grazie all'ultimo album
"Pop-Hoolista". Oggi in contemporanea con la sua
carriera musicale è diventato anche produttore
discografico, finanziando anche i suoi due compo-
nenti della squadra di x-factor "8 Madh" e Lorenzo
Fragola.
Potranno queste eccentriche star a trovare e
plasmare una nuova icona della musica italiana?
O creeranno il solito artista commerciale ma di
poca sostanza?
INSIGHT
Pagina 6 C affè P ac inott i
Boccaccio e la via oltre la morte parola, onestà e ragione per rifondare la nostra esperienza
Se consideriamo con un colpo d'occhio tutta la
produzione di Boccaccio, andando dalla Comme-
dia delle Ninfe Fiorentine, passando per
l'Amorosa Visione fino al forse noto Decameron
ci possiamo accorgere subito dell'interessante
punto di vista dell'autore su ciò che è il percorso
di formazione dell'uomo dal punto di vista cultu-
rale, sociale ed umano.
Se da un lato Ameto, nella Commedia delle Ninfe
Fiorentine, si purifica nell'acqua di uno stagno e
nell'Amorosa Visione il protagonista giunge a
redenzione dopo un viaggio compiuto nel sogno,
dall'altro lato i protagonisti del Decameron
additano una via ben più pratica, reale ed onesta
che però ha lo stesso obiettivo: purificazione – in
questo caso dalla peste- e istituzione di un modo
di vivere razionale fondato sull'arte della parola e
dell'uomo. La peste, che è il casus per cui i dieci
giovani decidono di rifugiarsi in campagna, non
significa solo la malattia ma anche la caduta di
tutto il complesso di valori e istituzioni sociali
che essa ha comportato. Se leggiamo
l'introduzione alla prima giornata che ha il
sapore delle fervide descrizioni di Paolo Diacono
della Historia Langobardorum capiamo subito il
clima di distruzione da cui partono i giovani
dell'onesta brigata (così la definisce spesso lo
stesso Boccaccio): genitori che
abbandonano i figli morenti,
cadaveri sparsi per la strada,
fame e povertà. La reazione di
questi giovani che si incontrano
fortuitamente è quella di
costituire una brigata, di
scegliere un locus in cui
rifugiarsi di creare una regola di
aspirazione a diventare un cantante l'ha ereditata dal
caro nonno e porta con sé il suo desiderio di cantare
fin dall' età di 8 anni. Da allora, nonostante l’impe-
gno scolastico, quello sportivo e altri vari interessi,
non ha mai smesso di cantare nel tempo libero, in
casa e per beneficenza, fino ad arrivare a scrivere il
suo primo singolo.
Il testo della canzone, composto dallo stesso Miche-
langelo, parla di una storia d'amore tra due ragazzi
durante l'estate. L’arrangiamento è stato composto
da Roberto G. Pellegrino.
l brano, registrato nello studio Riserva Sonora di
Arquata Scrivania, mixato a Londra e Masterizzato
a New York (Sterling Studio), è disponibile dal 28
agosto in tutti i digital store e apparirà sui canali
web e TV accompagnato da un videoclip.
Le ambizioni del giovane cantante sono quelle di
creare un nuovo album di suoi brani insieme all'a-
mico Roberto e, “non sarebbe male”, cercare giova-
ni musicisti con le sue stesse ambizioni per suonare
in giro per il mondo. Purtroppo ancora non dispone
di mezzi necessari per realizzare un progetto così
arduo.
In conclusione, posso esporvi un consiglio dato da
Michelangelo per coloro che vogliono perseguire il
suo stesso cammino: credete sempre in ciò che si
volete fare e non arrendetevi se di fronte a voi si
trovano degli ostacoli, sempre considerando cosa,
per voi, è veramente importante.
AD
EXTRA
Pagina 7 C affè P ac inott i
vita in base alla quale compiere un cammino di
comprensione prima, di redenzione poi. Le novelle
nascono, dunque, come esercizio di abilità ma an-
che di contenuti, di profonda ristrutturazione della
comprensione della realtà. Attraverso il raccontare,
attraverso l'utilizzo della parola l'uomo acquisisce
uno statuto intellettuale ed umano ben più alto e
capace di affrontare la realtà per come si presenta.
Nell'introduzione alla terza giornata Boccaccio de-
scrive con dovizia di particolari il luogo in cui le
donne si spostano per trascorrere il venerdì -giorno
di sospensione dell'attività della brigata- giorno de-
dicato alla memoria della passione di Cristo. La
descrizione è molto accorta:
“Nel mezzo del qual prato era una fonte di marmo
bianchissimo e con maravigliosi intagli: [...] gittava
tanta acqua e sì alta verso il cielo, che poi non senza
dilettevol suono nella fonte chiarissima ricadea,[...].
La qual poi, quella dico che soprabondava al pieno
della fonte, per occulta via del pratello usciva e, per
canaletti assai belli e artificiosamente fatti fuor di
quello divenuta palese, tutto lo ’ntorniava; e quindi
per canaletti simili quasi per ogni parte del giardin
discorrea, raccogliendosi ultimamente in una parte
dalla quale del bel giardino avea l’uscita, e quindi
verso il pian discendendo chiarissima, avanti che a
quel divenisse, con grandissima forza e con non
piccola utilità del signore due mulina volgea.”. La
scena è questa: il luogo ha tutte le caratteristiche del
locus amoenus, bei prati, fiori, alberi e acqua; e fin
qui niente di nuovo sotto il sole. La caratteristica
interessante è proprio la fonte di cui sopra ho ripor-
tato la descrizione. L'acqua che sgorga dalla fonte,
se notate bene, si incanala per “occulta via” verso
valle. Ad un lettore attento questa immagine non
può che suscitare impressione. La cultura e la nuo-
va rettitudine morale promossa dai giovani assume
in un attimo una precisa funzione didascalica e civi-
lizzatrice. I giovani che producono l'acqua della
cultura e dell'umanità (e che è ovviamente anche il
simbolo della vita) permettono che essa discenda a
valle, verso la peste, verso la distruzione con un
unico scopo: ripristinare potenziandolo il valore
umano della realtà.
La conclusione del Decameron è altrettanto interes-
sante. I giovani giunti al punto di aver terminato il
“giro” nel racconto delle novelle discutono su ciò
che avrebbero dovuto fare; se, cioè, iniziare dacca-
po o tornare in città, a Firenze. Sembrano essere
tutti d'accordo, ed è Panfilo a commentare:
“Noi, come voi sapete, domane saranno quindici dì,
per dovere alcun diporto pigliare a sostentamento
della nostra sanità e della vita, cessando le malinco-
nie e' dolori e l'angoscie, le quali per la nostra città
continuamente, poi che questo pestilenzioso tempo
incominciò, si veggono, uscimmo di Firenze; il che
secondo il mio giudicio noi onestamente abbiam
fatto; per ciò che, se io ho saputo ben riguardare,
quantunque liete novelle e forse attrattive a concu-
piscenzia dette ci sieno, e del continuo mangiato e
bevuto bene, e sonato e cantato, cose tutte da incita-
re le deboli menti a cose meno oneste, niuno atto,
niuna parola, niuna cosa né dalla vostra parte né
dalla nostra ci ho conosciuta da biasimare; continua
onestà, continua concordia, continua fraternal dime-
stichezza mi ci è paruta vedere e sentire. Il che sen-
za dubbio in onore e servigio di voi e di me m'è
carissimo. E per ciò, acciò che per troppa lunga
consuetudine alcuna cosa che in fastidio si conver-
tisse nascer non ne potesse, e perché alcuno la no-
stra troppo lunga dimoranza gavillar non potesse, e
avendo ciascun di noi, la sua giornata, avuta la sua
parte dell'onore che in me ancora dimora, giudiche-
rei, quando piacer fosse di voi, che convenevole
cosa fosse omai il tornarci là onde ci partimmo”
Questa soluzione è ricca di informazioni: l'esperien-
za condotta in disparte ha permesso ai giovani di
comprendere al meglio la realtà, di ristabilire i rap-
porti umani e sociali, di creare un messaggio che
potesse avere funzioni di salvazione e di redenzio-
ne. I giovani tornano a Firenze consapevoli che ad
aspettarli è la morte, i giovani che cantano la vita e
la bellezza dei rapporti umani si sono resi pronti per
affrontare la vita e con essa la sua fine. Tutta l'espe-
rienza non è dunque vana: l'esperienza che hanno
condotto, fondata sulla parola, sull'onestà e sulla
ragione, ha creato una linfa vitale che ci conduce
oltre la morte, oltre la disperazione. L'esperienza
Pagina 8 C affè P ac inott i
del Decameron percorre l'uomo nelle sue viscere
più profonde con un unico scopo: ristabilire attra-
verso la cultura, la parola, la ragionevolezza e l'one-
stà intesa come rettitudine, i veri rapporti umani e
sociali.
Andrea Valentini
Per approfondire:
per una rassegna completa della produzione
di Boccaccio
Luigi Surdich, Boccacio. Mulino 2005
per un'analisi puntuale delle novelle e delle
fonti di Boccaccio
Michelangelo Picone, Boccaccio e la codificazione
della novella, Longo Angelo 2008
la peste e la sua descrizione nel tempo:
Paolo Diacono, Historia Langobardorum, Liber II.
Giovanni Boccaccio, Decameron, Introduzione alla
prima giornata
Albert Camus, La Peste
per la funzione della parola in Boccaccio
novella 1,VI “di Madonna Oretta”
novella 2,VI “di Cisti Fornaio”
VENDENDO SHAKESPEARE
UN TANTO AL CHILO Mr. Horner di Claudio Benedetto Maggi, III^C
John May entrò nell’ufficio di Mr. Horner proprio mentre sopra Derry iniziava a piovere. Attraver-
so la larga finestra che si trovava dietro la scrivania poteva vedere Main Street che usciva dallo
Stamford Park e si dirigeva verso il Civic Center. Il traffico era intasato, come di norma in una
giornata piovosa, in un ingorgo che non si sarebbe risolto in meno di tre quarti d’ora. Tuttavia a
John non riuscì di udire alcun rumore: né un clacson, né una singola imprecazione di qualche
automobilista che smaniava di passare l’incrocio. Né d’altronde giungeva alcun rumore dall’ampia
sala d’attesa della “Nottingham House”, al piano di sotto, dove molta altra gente come lui sperava
di ottenere un colloquio di lavoro. L’unico, incessante, suono che udiva proveniva da un giradischi
posto lungo la parete sinistra della stanza: la puntina aveva raggiunto il centro del disco e conti-
nuava a rimbalzare avanti e indietro in attesa che qualcuno la sollevasse e la rimettesse al suo
posto. Chiunque in condizioni del genere avrebbe pensato di essere in una situazione parecchio
scomoda, ma John vi era invece abituato. Tante volte si era ritrovato a dover affrontare dialoghi
impegnativi con persone più importanti di lui senza poter appoggiarsi a nessuno: ad esempio
quella volta che il preside del suo liceo lo aveva convocato nel suo ufficio poiché aveva tappato ogni
gabinetto ed ogni lavandino con la bandiera degli Stati Uniti, o quella volta che aveva partecipato
ad un dibattito in diretta televisiva con il procuratore di Chicago a seguito della pubblicazione di
un suo racconto molto “scomodo” intitolato A Pepsi for a Gun. Insomma se a Mr. Horner fosse mai
venuto in mente di chiederglielo, lui avrebbe risposto che quelle situazioni erano la sua specialità.
Cominciò, come suo solito, ad esaminare la stanza; gli sarebbe tornato utile se la sua conversazione
con Mr. Horner avesse raggiunto dei punti morti. Trovò la stanza molto ben arredata: lungo la
parete sinistra correva un lungo mobile che svolgeva contemporaneamente la funzione di
piano-bar e di impianto stereo; esattamente davanti a lui la larga scrivania di Mr. Horner era
conservata nella maniera più ordinata che John avesse mai visto. Ai lati della finestra dietro di essa
due librerie stracolme di volumi coprivano il restante della parete. Sulla sinistra, infine, un
acquario di notevoli dimensioni e un modellino del Titanic completavano l’arredamento molto
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molto elegante che conferiva alla stanza un aspetto "di altri tempi”, avrebbe detto Richard May.
L’ambiente era, inoltre, reso ancora più accogliente da un’imponente lampada posta giusto accanto alla scri-
vania.In quell’istante un campanile in lontananza batté due colpi, e fu allora che John si accorse che nella
stanza molto stranamente non vi erano orologi. Non ebbe neanche il tempo di realizzarlo che una porta na-
scosta giusto accanto al modellino del Titanic si aprì e Mr. Horner, reggendo in mano una pipa, fece il suo
ingresso nella stanza.
- Ah signor May, mi perdoni se l’ho fatta aspettare, la signorina Anfield, che immagino avrà conosciuto, mi
ha trattenuto per delle questioni burocratiche. - disse in tono pacato, tirando dalla sua pipa.
- Nessun problema Mr. Horner, mi sono solamente concesso un’occhiata allo studio. Complimenti per come
lo ha arredato” rispose John sorridendo. Fu molto lieto di constatare che il suo sorriso fu ricambiato.
- Ah la ringrazio. Sì, devo dire che è stato molto impegnativo ma alla fine è venuto bene. Sa, è mia moglie
che lo ha arredato, a tempo perso si diverte a disegnare intenti. Ma si accomodi pure signor May, non faccia
complimenti - lo invitò.
- La ringrazio sinceramente. E dica a sua moglie che ha un ottimo gusto nell’arredare - rispose John.
Mr. Horner lo ringraziò e si diresse verso il piano-bar. Gli chiese se gradisse da bere ma John rispose educa-
tamente di non averne bisogno. Quando Mr. Horner si sedette davanti a lui, con ancora dipinto sulla faccia il
suo indecifrabile sorriso, John pensò fino a qui tutto bene, caro Mr. Horner, vediamo adesso quanto sei bra-
vo a parole. Lo vide appoggiare la pipa ed un bicchiere di whisky per prendere in mano un fascicolo che re-
cava la scritta “John May” sul retro e cominciare a sfogliarlo. Mentre cercava di nascondere il suo nervosi-
smo, John si accorse che il regolare sbattere della puntina era cessato. Si girò verso il giradischi e notò che
sul piatto ora vi era un 33 giri. Gli ci volle un po’ per riconoscere la canzone che fuoriusciva, seppur ad un
volume basso, dalle casse. E quando finalmente la riconobbe disse: - Pink Floyd, Atom Heart Mother.
Da dietro le lenti rotonde gli occhi di Mr. Horner si spostarono dal fascicolo a John: - Il suo curriculum vitae
non dice che lei è un’amante del rock progressivo.
- Non credevo che avrei avuto occasione di parlarne ad un colloquio - disse John.
- Ha ragione effettivamente - disse riponendo il fascicolo - tuttavia è mia abitudine utilizzare delle suite co-
me sottofondo per i colloqui. Le utilizzo come cronometro.
- Come cronometro? - si ritrovò perplesso a chiedere. - Esattamente: non ritiene anche lei, John, che 23
minuti siano sufficienti per definire le capacità di una persona? - disse.
- Assolutamente d’accordo - rispose John. - Perfetto. Allora direi di cominciare subito, dato che la nostra
amica Lulubelle corre già da un minuto - e qui si fermò. John era sorridente, pronto a ricevere qualsiasi do-
manda.
- Vorrei che lei mi parlasse…di suo padre, signor May - disse e lo guardò dritto negli occhi senza mutare
minimamente il suo sorriso indecifrabile. Quello di John, d’altro canto, crollò come un castello di carte ad un
folata di vento. Gli ci vollero parecchi attimi per riuscire a formulare una frase di senso compiuto.
- Mio padre,…mio padre si chiamava Richard. Era un contadino. Sì, lui aveva della terra poco fuori di una
cittadina vicino a Chicago, a Skokie per l’esattezza. - Gli riusciva estremamente difficile parlare di suo pa-
dre, tanto che non riusciva a guardare negli occhi di Mr. Horner mentre lo faceva. - E lui era, come si può
dire, un semplicione? No semplicione non è il termine adatto, un brav’uomo, piuttosto… - e qui fu interrotto:
- Non ne dubito signor May. Sono sicurissimo che suo padre fosse un brav’uomo, e allo stesso modo che
fosse un contadino dell’Illinois. Ma la cosa che io volevo sapere, e mi scusi se ho formulato male la doman-
da, è che cosa direbbe suo padre se si trovasse qui adesso - disse Mr. Horner riprendendo in mano la sua pi-
pa. John si morse il labbro inferiore. Aveva perso evidentemente la buona posizione che era riuscito a
guadagnare all’inizio con tutti i complimenti sull’arredamento, e doveva assolutamente recuperare.
La musica a quel punto gli venne in aiuto. Si sporse verso la scrivania e provò a sorridere. - Io penso che
direbbe che Atom Heart Mother è proprio un grande album - disse.
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Mr Horner sorrise: - Ah certamente, e su questo saremmo tutti d’accordo. Ma quello che io penso, e la prego
di confermare se non sono in errore, è che se suo padre non fosse morto cinque anni fa, e fosse quindi ancora
nella sua casa a Skokie, nell’Illinois, lei non gli avrebbe mai fatto sapere di essere qui oggi, nel Maine, a
tenere questo colloquio - disse Mr. Horner. E questo fu un altro colpo basso per John, che dovette trattener-
si con tutte le sue forze dall’inveire pesantemente contro quel vecchio “d’altri tempi” che nascondeva tutti i
suoi pensieri dietro ad un sorriso più falso dei Ray-Ban che trovi di solito dai venditori ambulanti al parco.
Abbassò lo sguardo, stette in silenzio per qualche secondo e poi disse: - Nella mia opinione, Mr. Horner, la
risposta alla sua domanda è che se mio padre non fosse morto, cinque anni fa, ora io non sarei qui a chiedere
un lavoro - disse. Mr. Horner annuì: - D’accordo signor May, mi dispiace avere toccato un tasto dolente co-
me questo, ma è stato necessario. Ora se non le dispiace vorrei che lei mi chiarisse un dubbio. Suo padre,
come già abbiamo detto, venne a mancare cinque anni fa, giusto quando lei stava affrontando gli esami di
ammissione alla facoltà di lettere a Yale. Ora, lei è stato ammesso alla facoltà nello stesso anno in cui è stata
registrata la percentuale di ammissione più bassa nella storia dell’università, e di questo mi complimento con
lei. La cosa che però non mi torna, signor May, è che la sua ultima presenza alla facoltà è segnata il 7 Marzo,
esattamente otto mesi fa e 5 anni dopo la morte di suo padre. Quello che voglio sapere da lei è il motivo per
cui uno dei soli millequattrocento alunni ammessi nel marzo del 2012, un alunno brillante come lei, abbia
deciso di lasciare Yale per ritirarsi in una cittadina del Maine che conta meno di 100’000 abitanti. Per suo
padre? - John non sapeva più che cosa dire. Francamente non ricordava che sul suo curriculum vi fossero
scritte tutte quelle cose, eppure il vecchio che gli sedeva di fronte sembrava sapere tutto quello che vi era da
sapere: tutte le più piccole bugie che avesse cercato di propinargli, lui le avrebbe scoperte di sicuro. Ma d’al-
tro canto né Mr. Horner né nessun altra persona al di fuori di John sapeva del libro. Quella era l’unica cosa
che aveva tenuto per sè, e l’unica cosa che valeva la pena proteggere, anche a costo di mentire.
- Sì, fu per la perdita di mio padre che lasciai Yale - mormorò. Mr. Horner si tolse gli occhiali e lo scrutò con
più attenzione: - Ho bisogno che lei sia sincero con me John, solo a distanza di mezzo decennio dall’evento
lei si è convinto che non valeva la pena perseguire negli studi? - gli chiese. E il lieve tono di rimprovero con
cui lo disse bastò affinché John cadesse nella sua trappola. - Sì! - urlò - Esattamente! Le sembra così strano?!
Lei crede che io abbia continuato a vivere nello stesso modo dopo? e che dopo un anno o due mi fossi di-
menticato tutto, solo com’ero e senza nessuno che mi consolasse quando le cose andavano male e che mi
spronasse a fare del mio meglio?! Forse penserà che io sia stato un debole, ma può stare certo che me ne in-
fischio di quello che pensa!
Mr. Horner stette in silenzio per qualche attimo, poi replicò nel suo tono pacato: - Non si scaldi signor May,
non è il caso. Il fatto è che se io non avessi saputo fin dall’inizio che lei aveva intenzione di mentirmi non
avrei insistito tanto a parlare di suo padre Richard. Capisce? - gli chiese.
- No. - rispose John. - Allora le renderò più facile capire. Cosa sa lei di Silvia Hokland? - gli chiese.
John dovette sforzarsi enormemente per non vomitare sulla scrivania di rovere. Mr Horner era riuscito a toc-
care l’unico tasto che John voleva effettivamente tenergli nascosto. Il vecchio si stava aprendo una strada
attraverso il fango, verso il libro.
- Era una studentessa. Fu uccisa brutalmente la notte di capodanno del 2012 in una villetta fuori Chicago.
Mr. Horner sembrò soddisfatto: - Esattamente John. La ritrovarono legata ad un letto, accoltellata, la mattina
del 2 gennaio. Se non sbaglio John lei scriveva per una rivista di attualità a Chicago.
- Sì. Vi scrissi per quattro anni dal 2008 al…
- Dicembre del 2011. Lo so signor May, e so anche che quando il corpo della ragazza fu ritrovato lei si tro-
vava senza che nessuno lo sapesse su un treno diretto nel Connecticut, e sinceramente non credo che questa
sia una semplice coincidenza” disse, e per la prima volta mise mano al drink che si era preparato.
Anche John ne desiderava ardentemente un po’, ma non avrebbe mai osato chiederne. - Lei quindi pensa che
io sia coinvolto nell’omicidio di Silvia Hokland? - gli chiese.
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Per quanto mi riguarda, John, potrebbe averla uccisa lei stesso, ma non è di questo che voglio parlare.
La mia opinione è che quel fatto non l’ha solo spinta a lasciare Chicago, ma anche a lasciare l’università e
venire qui oggi. E’ così? - gli chiese. John lo guardò fisso negli occhi, solamente per riuscire a capire come
fosse possibile che quell’uomo, che non aveva mai visto prima in vita sua, sapesse tutte quelle cose sulla sua
vita. Ogni minimo particolare. Per un attimo si ricordò perché si era recato lì e pensò che la priorità adesso
era ottenere il lavoro.
- Lasciai Chicago perché conoscevo Silvia, anzi avevo una relazione con lei quando fu uccisa. Temevo che
qualcuno troppo avventato potesse pensare di collegarmi con l’omicidio - disse. Mr. Horner gli sorrise e gli
disse: - D’accordo John, vedo che lei è disposto a parlare con me. Ora mi permette di rivolgerle la mia ulti-
ma domanda: quando ha intenzione di lasciare questa città? - John si pietrificò. Non aveva idea di come ri-
spondere a quella domanda, perché se la risposta giusta fosse stata un semplice “non lo so”, Mr. Horner non
gliela avrebbe di certo fatta. Lo scrutò un secondo, perplesso.
- Oh andiamo John! Perché adesso non riesce più a rispondere? Le ho fatto una domanda difficile forse? -
e rise - Lasci che le dica cosa penso, John. Io penso che lei non è come tutte quelle persone che si trovano
adesso al piano di sotto e che aspettano di avere un colloquio con me. Lei non lo vuole questo lavoro, come
non vuole stare in questa città. Lei è qui solamente perché solamente vuole che le facciano poche domande,
che la lascino in pace, perché lei sa qualcosa che gli altri non sanno, qualche cosa che a suo modo la rende
speciale, che la fa sentire importante - e si fermò, sorridendo. John lo fissò dritto negli occhi nello stesso mo-
do con cui un giocatore di scacchi guarda il suo avversario quando è cosciente che il suo re è spacciato. Im-
provvisamente la voglia di mettere le mani addosso a Mr. Horner diventò quasi insopportabile, ma riuscì a
placarsi perché sembrava che il vecchio avesse altro da dire.
- Vuole che le dica di che cosa si tratta? - gli chiese. - Lo so già di che cosa si tratta, signor May. L’ho capito
da come lei a risposto alle mie domande, da come ha cercato fin da subito di non perdere quella spavalderia
tipica del figlio di un contadino che riesce a farsi strada con il suo talento. Di che cosa parla il suo libro
signor May? Di Silvia Hokland? Molto probabilmente una descrizione dettagliata di che cosa è successo la
notte del 31 dicembre del 2011. Cosa voleva dimostrare al mondo, lei, scolaretto ipocrita che preferisce
abbondare la possibilità di laurearsi in una delle università più prestigiose degli stati Uniti? Voleva mostrare
a tutti che il mondo è un posto crudele? Voleva tirare un “pugno nello stomaco” a questa società che lei
ritiene così barbara e meschina? Sicuramente un sacco di cose frullavano dentro la sua testa, le facevano
pensare di essere al di sopra della monotonia della vita ordinaria. Lasci che le dica una cosa, John: io non so
per quanto tempo lei ha creduto di essere speciale, e non so neanche se lei pensa ancora di esserlo, ma per
quanto mi riguarda posso dirle che l’unica occasione che aveva di diventare effettivamente qualcuno, l’ha
buttata via malamente. - Attimi di silenzio seguirono a questo discorso; John era incapace di proferire parola.
A quel punto mister Horner gli avvicinò un modulo di assunzione ed una penna e disse: - Adesso, se io mi
sono sbagliato, John, se non esiste alcun libro, se lei non ha in realtà mai cercato di mentirmi, se lei non è il
tipo di persona che le ho appena descritto: compili pure questo modulo ed il lavoro è suo. - John si ritrovò a
fissare il modulo. Eccola lì, la possibilità che aveva di uscire da quella stanza contento e di lasciarsi alle
spalle tutto, il colloquio, Mr. Horner e le sue accuse infondate. Bastava firmare.
Ma a che prezzo? pensò, il prezzo della verità.
La verità per cui John aveva deciso di lasciare l’università, la verità che voleva raccontare al mondo, quella
che lo avrebbe reso speciale, era una scelta; l’altra era una bugia, una squallida menzogna. Fu allora che pen-
sò a Richard May, a quel buon vecchio contadino dell’Illinois che tanto aveva fatto per lui e a tutte le sue
bugie: Babbo Natale, l’Uomo Nero, la fatina dei denti. Tutte innocenti bugie con cui mascherare la verità. E
allora perché non firmare? Perché non dire solo una piccola bugia per riservarsi ancora la possibilità di esse-
re speciale, magari agli occhi di una moglie, di un figlio. In quel momento avrebbe volentieri sputato in fac-
cia a Mr. Horner, ma più volentieri avrebbe sputato in faccia a tutte le decisioni che aveva preso fino ad
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allora, al libro, a tutto. E quindi firmò.
In conclusione lasciate che vi dica che l’uomo che uscì dall’ufficio di Mr. Horner non era lo stesso che vi era
entrato. Era un uomo sconfitto, che aveva barattato i suoi ideali per una manciata di dollari. L’integrità del
ragazzo volenteroso che si era presentato al colloquio era crollata di fronte alla prospettiva di una battaglia
che, secondo Mr. Horner, non avrebbe mai potuto vincere. E così si ritrovò a convincersi, mentre lasciava la
Nottingham House, che il suo libro effettivamente non sarebbe mai diventato quello in cui lui sperava, anzi
sarebbe diventato al massimo un volume tascabile da vendere negli autogrill.
Ora questo mi da da pensare che molto spesso, anzi troppo spesso, perdere la fiducia in se stessi e rassegnar-
si quando cercano di convincerci di quanto poco valiamo, sia molto facile.
Anzi troppo facile.
Sezione mostre: In questa rubrica segnaliamo le principali mostre sul territorio provinciale e
nazionale a cura di Angela Forti
Dagli Impressionisti a Picasso
I capolavori del Detroit Insitute of Arts
Genova, Palazzo Ducale
25 settembre 2015 - 10 aprile 2016
Bellezza divina tra Van Gogh,
Chagall e Fontana
Firenze, Palazzo Strozzi
24 settembre 2015 - 24 gennaio 2016
Monet
dalle collezioni del Musée d’Orsay
Torino, GAM
2 ottobre 2015 - 31 gennaio 2016
La redazione:
Angela Forti, Anna Maggi, Camilla Vaccarini, Claudio Benedetto Maggi, Davide Patur-
zo, Francesca Bonfigli, Laura Bellettini, Linda Veo, Nicola De Roberto, Sofia Olivari,
Steven Salamone.
Si ringraziano la prof.ssa Sergiampietri, referente del progetto, Andrea Valentini,
Niccolò Harder e Michelangelo Falcone
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Gaugin
Racconti dal Paradiso
Milano, Museo delle Culture
10 ottobre 2015 - 21 febbraio 2016