anno 2 - numero 1 MAGGIO 2009 I nostri...

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BOLLETTINO D’INFORMAZIONE DELLA FONDAZIONE LUCHETTA-OTA-D’ANGELO-HROVATIN O.N.L.U.S. POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2 E 3, CNS TS I nostri angeli N E W S L E T T E R ANNO 2 - NUMERO 1 MAGGIO 2009 Così lontani così vicini Un computer, una webcam e ti senti a casa I militari che ci aiutano Vita da volontario

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B o l l e t t i n o d ’ i n f o r m a z i o n e d e l l a f o n da z i o n e l u c h e t ta - o ta - d ’ a n g e l o - h r ovat i n o. n. l . u. s.

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I nostri angeliN E W S L E T T E R

anno 2 - numero 1MAGGIO 2009

Così lontani così viciniUn computer, una webcam e ti senti a casa

I militariche ci aiutano

Vita da volontario

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Editoriale

Perché la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin è nata a Trieste? A me, non triestino

interessato a Trieste, la morte a Mo-star dei tre giornalisti non sembra la ragione, ma l’occasione. Le cose, in un corpo sociale, accadono quando sono mature. Altri colleghi hanno perso la vita sul lavoro. Ma dal loro ricordo non è nato alcun pubblico bene. A Trieste, quel seme è germo-gliato e produce frutti. Solo perché Marco, Alessandro, Dario e Miran ave-vano amici di cuore e intraprendenti? Ne avevano anche gli altri.Lo spirito dei tempi si coglie sulle frontiere. È così in fisica, chimica, biologia e, a maggior ragione, nel so-ciale: “Le cose succedono ai confini”. È una delle leggi-guida del nostro uni-verso. Più vicini ai luoghi e ai fattiE Trieste è il margine più sensibile d’Italia. Qui le frontiere erano muri e fossati per dividere, lungo le quali ci si affrontava per distruggersi. Oggi, la paura del passato che può tornare, amplificato dall’aumentata potenza dei mezzi di offesa, ci ren-de più cauti, se non più saggi. Così, ora, in Europa (e non solo), le fron-tiere sono diventate cicatrici: il segno di vecchie ferite che non fanno più male; cerniere che uniscono quel che dividevano. Lo spirito del tempo è cambiato, a partire dalla frontiera. E la perdita di due amici genera a Trie-ste la Fondazione, il bene che nasce dal male. Oggi, dopo dieci anni, sem-bra naturale, ma quando l’iniziativa partì, il rombo dei cannoni arrivava all’uscio, le pulizie etniche cancellava-no l’“altro”, i profughi raccontavano l’inferno. Qui, per la sensibilità prodotta dalla storia e dalla geografia, alcuni capi-rono e si mossero prima, perché più

Ma l’aria migliore la cogli ovunque. È più facile, per me, che vado e vengo da fuori, percepirne i segni e gli avan-zamenti. Ogni giorno, per via della Fondazione, chi si sarebbe creduto inconciliabile è costretto a capirsi e a operare insieme, per il bene di bam-bini mai visti prima. E si apprezza e si ammira. Così, azioni giuste distruggo-no idee sbagliate, perché il pregiudi-zio di pensiero e parola è vinto dal po-sitivo giudizio su quel che si fa, si vede fare all’altro. E non è questa l’essenza della buona cittadinanza, della buona politica, intesa non come scontro da vincere, ma come ricerca del miglior incontro possibile? Siamo in debitoAllora, ripeto: chi è che più dà e chi è che più riceve, attraverso la Fonda-zione: i bambini o Trieste? Quei pic-coli saranno uomini grazie ai triestini. Sono già centinaia, e migliaia i paren-ti, in tanti Paesi. E altri ne arrivano, per tornare risanati. Il legame con chi li ha curati, li ama, continua ad assi-sterli a distanza, non si spezza. Trieste sparge nel mondo i migliori ambasciatori possibili. Comincia a sembrarmi ingiusto rice-vere così tanto, in cambio di così poco (cosa c’è di più ovvio che curare un bambino malato?). Siamo in debito.Bisognerà fare qualcosa, per sdebitar-si. Ne riparleremo.

avanti, proprio nel senso di più vicini ai luoghi e ai fatti. Cosa fanno? Ospitano bambini mala-ti, senza più speranze, per restituirli alla vita. È già bello così. Ma più forte è il significato metaforico del luogo e dei gesti: Trieste è una città che vive di ricordi; salvandoli, salva la propria identità (multi)etnica e (multi) cul-turale. I bambini sono gli uomini di domani. Così (sintesi), in una città che ritrovava se stessa nella difesa del proprio passato, si risana il presente e si costruisce il futuro. E si tessono relazioni su basi solidali: come po-tranno non comprendersi gli uomini di domani, se avranno da condividere un bene così grande?Così, Trieste fa del bene agli altri. E soprattutto a se stessa. L’inclinazio-ne a superare le divisioni è il motore della Fondazione; ma c’era già, nella città, altrimenti non sarebbe emersa. L’opera della Fondazione la rinforza. Più le persone si avvicinano alla Fon-dazione, più si educano alla solida-rietà. A questo modo, essa svolge un ruolo di formazione, nella comunità triestina, più rilevante, se possibile, di quello a beneficio dei suoi piccoli ospiti. L’attenzione ai bisogni dell’al-tro è un muscolo: cresce con l’uso. E la città migliora se stessaLa Fondazione ha ormai diverse case a Trieste, decine di volontari; con parenti e amici. Una rete del bene si allarga nella comunità, il cui primo passo è capire come rivolgersi a chi viene, per bisogno e con fiducia, da un altro Paese, un’altra lingua, cultu-ra, religione, dieta. Tutta questa ginnastica civile rimane a Trieste. Dunque chi è che davvero dà e chi riceve? Non dico che certi mutamenti di clima dipendano solo da questo (la Fondazione è uno dei frutti del mutato spirito del tempo).

Perché a Trieste?lo spirito dei tempi si coglie sulle frontiere. dove la storia impone divisioni e differenze attecchisce pure il seme per ricomporle: la solidarietà. e chi più dà più riceve.

di Pino Aprile

3 Lettere alla Fondazione 4 I volontari 5 Visti da lontano 6 e 9 I nostri bambini 8 Una giornata con... 12 Da Trieste al Venezuela 13 Copertina 14 Le attività

S o m m A r i o

Pino aprile disegnato dai bambini di via Valussi

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Era e Pranvera (Albania) Abbiamo ricevuto dall’Albania questa let-tera di Era ed è con grande affetto che la condividiamo con i nostri lettori.Giunta da lontano l’anno scorso per guarire dal suo male, Era è guarita e ora, che è tor-nata a casa, lei e la sua mamma Pranvera rimarranno sempre nei nostri cuori!

>> Ciao a tutti, vi saluto con gran-de amore spero di trovarvi benissssim-moo. Sapete che sento tanto la vostra mancanza sia io che la mia famiglia vi vogliamo tanto tanto bene a tutti e vi sentiamo vicini ogni giorno col cuore. Io ho appena finito il primo semestre e sono tutti contentissimi della mia pa-gella, visto che sono uscita con la me-dia del 9.Di salute vado bene, solo che queste ultime settimane sono stata con la in-fluenza e con la tosse, ma non mi pos-so lamentare, visto che faccio tutto ciò che posso per stare bene, sia fisicamen-te che felicemente.Ci tengo tanto che vada tutto bene, an-che perché tutti ce la stanno mettendo tutta. Sia gli insegnanti che i miei ami-ci fanno tutto quel che loro possono, anche perché ci sono giornate che mi sento veramente giù e che sembrano non finire mai. Diciamo, però, che me la cavo, anche se non è il massimo, per-ché sto tutto il giorno a casa sola: fuori fa freddo e di certo non ci sono i di-vertimenti come lì, però insomma devi essere contento di ciò che hai, senza la-mentarti e trovare quello che ti rende felice anche lì dove, a volte, credi che non ci sia mai bene. Spero di scrivervi nuovamente e lo farò, promesso, però anche voi, se potete, mi raccomando! Tanti saluti e baci a tutti, vi voglio bene, spero di vedervi presto, non sapete la gioia e la felicità che provo quando sono vicina a voi, perché so che sarete sempre al mio fianco e ci credete in me Baci a tutti con grandissimo amore la vostra Era

Visite in via Valussi >> Finalmente domenica scorsa sono riuscita a passare in via Valussi: sono stata accolta da tre gentilissime persone alle quali ho consegnato i ve-stitini e quant’altro vi avevo detto. Vi faccio le congratulazioni per la bellis-sima iniziativa ed auguro ogni bene ai “cuccioli” che, grazie a voi, trovano un aiuto concreto e tanto affetto.Roberta

Gli occhi di una mamma

>> Ciao! Voglio ringraziare tutto il personale per l’accoglienza che mi ha riservato, ero molto emozionata, sono felice di aver conosciuto Faton (Laura ha contribuito alle spese mediche per la guarigione di Faton, 12 anni, dal Ko-sovo n.d.r.) e la sua mamma, avrei vo-luto chiedere molte cose, ma vedere il sorriso della mamma e i suoi occhi, mi hanno spiegato tutto. Spero che possa-no essere sereni e sono sicura che mio marito da lassù proteggerà tutti i vostri bambini.Siete meravigliosi. Un grandissimo ba-cio a tutti voi !Laura Cecchini

Amo tutti >> Amo tutti i bambini, i vecchi e gli ammalati del mondo - siano loro bianchi, rossi, neri, gialli. E prego gli Angeli che li proteggano sotto le loro ali bianche! Anonimo (ma di buon cuore)

Lettere alla Fondazione

I nostri angeli newsletter - 3

Il terzo numero del notiziario della Fon-dazione esce quando maturano quin-dici anni dalla scomparsa di Marco Lu-

chetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo, uccisi a Mostar il 28 gennaio 1994 e di Mi-ran Hrovatin, ucciso in Somalia il 20 mar-zo dello stesso anno. Erano giornalisti ed operatori che realizzavano per la RAI dei reportage in due zone di guerra. La Fon-dazione è sorta per onorarne la memoria ed è stata, da subito, “pensata” come uno strumento per aiutare i bambini, soprattut-to quelli che direttamente o indirettamente erano vittime della guerra.è stato un gruppo di amici, essenzialmen-te di Marco Luchetta, a dare l’iniziale im-pulso, in un anelito comune di ricordare lui ed i suoi colleghi e di fare qualcosa di buono, che desse vita, luce e speranza a chi, innocente ed inconsapevole, era co-stretto a subire - più di altri - la devastazio-ne delle armi e la desolazione del “dopo”.Tutto è nato con lo slancio e l’entusiasmo dei neofiti, anche con una certa compo-nente d’incoscienza nell’assumere obbli-gazioni senza l’adeguata copertura, confi-dando nella generosità della gente. Ed è proprio con il supporto di tanti privati cit-tadini che la Fondazione si è consolidata, è cresciuta e continua a reggersi tutt’oggi, potendo anche contare su strutture ade-guate, gestite da un gruppo estremamente efficiente di volontari. Sicuramente i soci fondatori non avevano minimamente ipo-tizzato le dimensioni quantitative e qualita-tive dell’attuale organizzazione.Sono tante centinaia i bambini, che in questi 15 anni sono stati presi in carico da noi; sono stati accolti e curati in ospedali specializzati; rimanendo assieme ai loro familiari nelle nostre case per periodi an-che molto lunghi; per poi essere aiutati a rimpatriare, continuando comunque ad essere sempre seguiti dalla Fondazione nei percorsi di recupero.Sono bambini, provenienti da ogni par-te del mondo che, affetti da traumi e da gravi patologie di vario tipo, nei loro Paesi avrebbero avuto il destino inesorabilmente segnato. Per mancanza di ospedali, di me-dici, di farmaci. In tantissimi, qui da noi, ce l’hanno fatta.Collaboriamo tutti assieme, voi e noi, per ridare loro il sorriso, per ridare serenità a famiglie distrutte: ognuno di voi e di noi, con i suoi piccoli gesti d’amore, ha con-tribuito a migliorare questo strano mondo.

di Enzo AngioliniPresidente della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin

Nel loro ricordo, da 15 anni.

L’anniversario

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I volontari

«Èuna esperienza molto vici-na all’affido allargato. Io mi occupo di bimbi in gran

parte malati gravi, molti sono affetti da leucemia. Arrivano da ogni parte del mondo, e qui si giocano la loro ultima carta. Il mio è un impegno su più fronti: col bimbo, con la mamma o i parenti. E con me stessa». Moira Viezzoli racconta la sua esperien-za con i bambini della “chemio” all’ospe-dale pediatrico Burlo: «È il mio modo di essere mamma». Vita da volontaria. Una strada che Moi-ra, impiegata di banca, sposata, senza figli, ha intrapreso quasi per caso, am-mette. E che l’ha portata a occuparsi dei bambini della Fondazione 6 anni fa, dopo un incontro col presidente, Enzo Angiolini.«I bimbi», dice, «li considero miei figli. Comunicare è il mio punto di partenza, e poi ascoltarli, sapersi mettere da parte. A loro dò il mio tempo, da loro ricevo un dono ben più grande, quello di riu-

scire a vedere il mondo attraverso altre chiavi di lettura. Mi hanno regalato un nuovo metro per misurare la vita, per arrivare a scelte personali ancora più definitive. Da quando vivo con loro e per loro, molte cose di questa nostra vita di tutti i giorni, frenetica e distratta, mi stanno sempre più strette». Una passione, quella verso i più piccoli, sentita da sempre. Bambini che ora Moi-ra assiste al Burlo nei lunghi calvari del-le cure chemioterapiche. Rappresenta, per loro e le loro famiglie un riferimen-to e un sostegno sicuro.Per loro rinuncia a feste e ferie. Davanti a loro deve nascondere le lacrime, e di-ventare mamma e confidente, anche se non parla nemmeno la loro lingua. Il volontariato, per Moira, è diventato una ragione di vita, e le ha cambiato la vita. Era solo un impegno limitato a una volta alla settimana, è diventato pre-sto totalizzante. Il part time in banca, e, dalle 14, subito al Burlo, o nelle case di accoglienza per i piccoli, in via Valussi,

o in via Rossetti, anche il sabato e la do-menica, anche a Natale e a Capodanno. «Con le mamme e i papà devo fare qua-si da “contenitore”: di dolori e lutti, di problemi di comprensione e inserimen-to; di disagi psicologici ingigantiti dalla difficoltà di parlare lingue diverse. Biso-gna avere i tempi giusti, per avvicinarsi ai genitori e specialmente per farsi “sce-gliere” dal bambino». In questi anni Moira ha seguito più di cento bimbi. Li ha visti vivere, lottare, al-cuni li ha dovuti salutare per sempre; al-tri li ha potuti seguire in una vita nuova, agguantata magari per miracolo all’ulti-mo momento. Come accadde nel 2007, per un bimbo serbo di 12 anni, arrivato con un epatite fulminante. Solo un tra-pianto poteva salvarlo. «Quando arrivò la notizia che il fegato c’era, a Bergamo, e stava arrivando, la gioia fu immensa, condivisa, come poche altre volte mi è accaduto. Sono esperienze difficili da raccontare e comunicare fino in fondo, per chi non le vive con te e non ha fatto il tuo stesso percorso». L’impegno verso se stessi, si diceva, ap-punto. «La propria vita va messa da par-te», racconta ancora Moira. «Bisogna saper ascoltare, aiutare. La più grande gratificazione: il forte legame che riesco a creare con questi bimbi. La frustrazione più pesante: i pensieri che ogni sera mi porto a casa, i pianti sen-za lacrime che faccio. I dolori più gran-di: vivere in contatto quotidiano con la morte e non avere il tempo per elabora-re i lutti. Tutto questo ha cambiato il mio rapporto con la gioia e con la tristezza. I bambini malati non ti fanno mai pesare il loro dramma, lo affrontano con una dignità incredibile, ti insegnano a capire il vero senso della vita». Quella di una volontaria, arrivata quasi per caso a percorrere una strada che dà senso a un’intera esistenza.

Il mio modo di essere mammamoira viezzoli racconta la sua esperienza con i bambini della “chemio” al Burlodi marinella Chirico

4 - I nostri angeli newsletter

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Visti da lontano

i nostri militari dal Kosovo con amore

I nostri angeli newsletter - 5

A sinistra. Luca Tondo con Mazec e la piccola Altina.Sopra. Momenti di svago prima della partenza.

Un grande sostegno alle iniziative della Fondazione vie-ne dai nostri militari impegnati in operazioni di pace in zone devastate da guerre o altri disastri. In partico-

lare, dal Kosovo. A loro, noi e i nostri bambini in difficoltà dobbiamo un enorme grazie. Quanto allo spirito con cui lo fanno, ecco cosa ci scrive, per esempio, Luca Tundo che, as-sieme a Giovanni Teofilo e Tommaso Ferrarese, ha operato in Kosovo nei mesi scorsi, nella Forza di Pace, come cellula Cimic (Civil-Military Cooperation):

>> Grazie a tutti voi sono riuscito a rivivere tutto ciò che avevo lasciato quattro mesi fa in Kosovo. Ho potuto ammirare gli occhi della meravigliosa Ariella che per otto mesi della mia missione immaginavo chi sa come, invece… tutta lì piccoletta, due occhioni azzurri che non avevo mai visto prima e si sono riempiti di lacrime; come i miei (anche adesso ho un nodo alla gola). Con le parole non si riesce a esprimere tutto quello che i nostri occhi vedono nelle zone dei nostri teatri operativi. Infinitamente grazie a voi di esi-stere, perchè con il vostro lavoro tanti piccoli sorrisi possono diventare grandi.Luca

CiMiC è l’acronimo che sta per Civil Military Cooperation, un’entità ad alto livello di coordinamento, che vede unità militari che provengono da varie Nazioni, Organizzazioni Governative (Ministeri, Sanità, etc), Organizzazioni Interna-zionali (es. UN, EU, etc) e Organizzazioni non Governative (NGOs) lavorare insieme per ristabilire i servizi essenziali in ambienti operativi (paesi che hanno subito disastri naturali, guerre, etc).Il CiMiC Group South, creato il 1 Gennaio del 2002, vede la partecipazione di Grecia, Ungheria, Portogallo, Romania. Stati Uniti, Slovenia e Bulgaria. Da parte nostra è doveroso sottolineare il contributo essen-ziale che viene dato dai contingenti italiani nell’aiutare i bambini. Ad esempio nel 2008 abbiamo conosciuto le “ragaz-ze” e “ragazzi” del nuovo contingente in Kosovo che, coman-dati dal maggiore Giuseppe Bavaro (Peppino, come spesso si firma nelle numerosissime email che quasi quotidianamente

ci scambiamo), sono ancora più attivi nel segnalarci casi di bambini che da noi possono guarire e che invece non po-trebbero ricevere cure altrettanto efficaci nella loro terra.Nel nostro caso invece il caporal maggiore “Maria Grazia” non ci pensa due volte: lettera di garanzia della Fondazione, lettera del Burlo e richiesta di “visto” piombano sul tavolo dell’Ambasciata italiana che provvede in tempi brevi a forni-re tutte le autorizzazioni. Poi tutti sul primo volo aereo per l’Italia… e a seguire tocca a noi ed alle strutture mediche che accolgono i piccoli pazienti.Davvero degli impagabili amici.E non solo quelli oltremare: da qualche tempo ormai si è consolidata una forte collaborazione ed amicizia con il co-mando dei Carabinieri di via Hermet a Trieste.Il comandante, maggiore Stefano Brighi, è venuto spesso a trovarci assieme alla famiglia e ad un suo collaboratore par-ticolarmente attivo in quanto anche volontario della Croce Rossa, il carabiniere scelto Felice Loddo.Sono stati i primi a darci immediata e incondizionata col-laborazione in alcuni momenti, nei quali eravamo davvero in difficoltà con i trasferimenti e le pratiche burocratiche di alcuni nostri piccoli pazienti che dovevano arrivare a Trieste il più presto possibile o ripartire per tornare guariti a casa con un volo militare, il cui decollo, per motivi di sicurezza, ci poteva essere comunicato solo all’ultimo momento e, caso vuole, con partenza da Roma.Grazie a loro nel giro di 24 ore le cose si sono tutte risolte positivamente!Nei mesi scorsi il contingente CiMiC del maggiore Giu-seppe Bavaro è stato avvicendato dagli uomini del tenente Massimo Caputi. Ma sono bastati pochi giorni affinché tutti i contatti e le procedure si riallacciassero completamente, permettendo di far ripartire la catena di solidarietà che lega i nostri due gruppi.

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I nostri bambini

Un triste giorno una brutta malat-tia ha tentato di deturpare per sempre quel piccolo fiore, per

il quale però il destino aveva in serbo un incontro importante: quello con la dottoressa Roberta Marzorati di Mila-no che, in missione umanitaria a Ula-anbaatar l’anno scorso, ha incontrato la piccola Deghi che, in una discarica, rovistava tra i rifiuti assieme ad altri bambini. Ecco la sua testimonianza: «Ero a Tolgoit,» narra Roberta, «una baraccopoli di 12.000 abitanti. Vivono della raccolta differenziata dei rifiuti.

Alla tenda ambulatorio è arrivata un giorno la zia di Deghi con delle lastre in mano: quelle di una gamba della ragaz-zina. Aveva un’osteomielite cronica e nella sua storia un intervento per aspor-tare il tessuto morto dell’ osso. Così ho conosciuto Deghy, che ha regalato un braccialetto fatto da lei a me e alla mia amica fisioterapista Franca, perché non ci dimenticassimo. Tornata in Italia, ho contattato il consolato della Mongolia, che mi ha dato il suo appoggio per il Burlo e tramite il dott. Tamburlini sono arrivata a Francesca (dott.ssa Gobbo del Burlo Garofolo di Trieste, n.d.r.).

Ma restava un problema: rintracciare la bambina là...e così ho scritto alla mia interprete laggiù. Il resto lo conoscete». Poi l’arrivo a Trieste, curato da Patrizia Cester, referente della Spedalità Stra-nieri del Burlo, seguito dal successivo intervento a Padova (durante il qua-le le siamo sempre stati vicini anche con continui viaggi in treno di Kata, la nostra volontaria, e Tuja, una ragaz-za mongola che è stata vicina a Deghi nei primi periodi) e il nuovo ricovero a Trieste per la degenza. Assieme alla piccola è arrivata in Italia la zia materna Bat Erdene, che per mo-

Deghi, “Fiore che sboccia”ulaanbaatar, Padova, trieste: dalla mongolia all’italia, il resoconto di un viaggio emozionante, una storia straordinaria, un sorriso per sconfiggere il dolore

6 - I nostri angeli newsletter

Nanjiddorj Delgertsetseg…..è il suo nome completo, quasi impronunciabile, che signifi-

ca: “Fiore che sboccia”. Nata 14 anni fa e vissuta vicino al deserto dei Gobi, assieme alla fa-miglia nomade, si è dedicata fin da piccola alle attività tipiche di quei posti lontani. In groppa al suo piccolo caval-lo correva nelle praterie e badava agli animali, poi alla sera, nel caldo della sua Yurta (tenda tipica delle popolazioni nomadi di quei paesi) beveva il tè mongolo “allungato” con latte di Yak e sale.

Nanjiddorj

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tivi familiari abbiamo ben presto fatto rientrare in Mongolia, mentre la dott.ssa Francesca Gobbo diveniva “affidata-ria” della piccola Deghi per il suo perio-do di cure in Italia. «Ho proposto il sostenimento delle spe-se a Sergio Balbinot Presidente dell’“As-sociazione bambini del Danubio” con cui lavoro come volontaria», ci scrive Francesca, «ed egli (interpretando in modo molto personale il corso del fiu-me Danubio...!) ha accettato subito. Dopo lungo ed impegnativo iter buro-cratico, abbiamo ottenuto i visti e Deghi con la zia è venuta in Italia. Ho coinvolto anche Giulio mio marito, perché quando la zia se ne è andata noi due siamo diventati genitori affidata-ri della piccola. Giulio era fortemente determinato ad accogliere Deghi a casa nostra ed è rimasto molto deluso quan-do ha saputo che sarebbe venuta in Fondazione. Io al contrario sono stata molto grata della notizia.»Per tutto il periodo della degenza al Burlo Garofolo (agosto e settembre 2008) i nostri volontari si sono alter-nati ogni giorno nella sua stanzetta, insegnandole l’italiano, provvedendo alla sua igiene personale, al cibo ma, soprattutto, al conforto della persona che piano piano diventava parte della nostra piccola famiglia di via Valussi. Le abbiamo insegnato cos’è un compu-ter e lei, attraverso le immagini satelli-tari, ci ha condotto, seguendo strade a lei ben note, fino alla sua valle in mezzo alle imponenti montagne della Mongo-lia occidentale. Le abbiamo insegnato ad usare i tele-foni cellulari e da subito ha potuto ri-manere in contatto con i suoi familiari, con i quali riprende spesso il suo tipico sorriso talvolta offuscato da un velo di

malinconia tipico del ”fiore che sboccia lontano dalla sua zolla di terra”. Gra-zie alla collaborazione del Consolato di Mongolia a Trieste siamo riusciti a mettere in contatto la piccola Deghi con una persona, che sarebbe divenuta ben presto uno dei suoi riferimenti: Ba-jana, una cittadina mongola trasferitasi a Monfalcone per lavoro. Da subito si sono scambiate il numero di cellulare (che nel frattempo Francesca ha dona-to a Deghi) e ben presto Bajana è diven-tata più che l’interprete, la confidente della bambina. Ecco una delle prime lettere dei geni-tori che Bajana ci ha tradotto: «Caro Mauro, chiede a Deghi come che sta, hanno visto foto di Deghi, dice che: ti vedo bene, sei diventata più bella, noi tutti stiamo bene, e anche parenti che stanno in paese, la sorella, tutta la fami-glia ha nostalgia di Deghi. Dice a Deghi di prendere cura di se stessa, dice di dire Grazie sempre con sorriso, e non dimenticare i loro nomi. Deghi sarà fe-lice di ricevere questa lettera.»...e lo è stata davvero, come erano vere le lacri-me sgorgate improvvisamente dai suoi occhioni a mandorla!Malumori, gioie, necessità e desideri transitano attraverso Bajana, che im-mediatamente ne dà comunicazione ai volontari che provvedono praticamente in tempo reale a risolverli. Se vogliamo, si tratta un po’ di un’ano-malia comportamentale da parte del-la Fondazione, ma in questo caso è la prima volta che una piccola paziente ci viene affidata senza i genitori e il no-stro gruppo di volontari l’ha letteral-mente adottata.Da qualche tempo infine abbiamo in-staurato un prezioso rapporto di col-laborazione con un’associazione di

mediatrici culturali multietniche deno-minata “La tenda della Luna” che, du-rante uno dei primi incontri, abbiamo sottoposto ad una sfida: trovare un’in-terprete da affiancare a Deghi con una precisa cadenza settimanale. Ebbene, la coordinatrice Uwa ha impiegato meno di 24 ore a trovare Arjuna, una ragazza mongola giovane ed estremamente af-fidabile che da allora trascorre con De-ghi alcune ore della giornata per ben tre volte alla settimana, curandola per-sonalmente nel proseguimento delle lezioni di italiano, nella cura della sua persona e del suo morale. Da sottolineare la cura, dimostrata con tutte le attenzioni che la situazione richiede, con cui le mamme di via Va-lussi hanno accolto Deghi, cucinando, lavando le sue cose e mettendosi a sua disposizione (grazie alla collaborazione del dott. Colleoni oggi la piccola beve il tè mongolo originale e mangia il suo apprezzatissimo formaggio di Yak!).I bambini di via Valussi si recano soven-te nella sua stanzetta e assieme guar-dano qualche DVD di cartoni animati (Deghi ci ha messo pochi attimi a ca-pire come azionare un DVD o saltare i capitoli!) e giocano assieme a lei. In occasione della scorsa “Barcolana”, Deghi ha trascorso l’intera giornata presso lo stand della Fondazione e, grazie alla collaborazione dei Vigili del Fuoco, ha potuto vedere e toccare per la prima volta in vita sua un elicottero.Nella stessa giornata è stata accolta dall’equipaggio di Shosholoza che, ca-pitan Sarno in testa, ha posato per una foto di gruppo. Deghi ha poi donato allo skipper Paolo Cian la maglietta della Fondazione: per il grande velista, forse, un ricordo più bello di uno dei suoi tanti trofei.

Nell’altra pagina. La piccola Deghi con l’equipaggio al completo di Shozoloza.A sinistra. Deghi telefona continuamente ai parenti in Mongolia.Sopra. Grazie all’aiuto dei volontari è sempre in ordine e profumata come a casa propria.

I nostri angeli newsletter - 7

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Una giornata con...

Incontri in via Valussi

8 - I nostri angeli newsletter

Sopra. Faton appena arrivato, subito circondato dalla solidarietà dei nuovi amici.A sinistra dall'alto. Giochi, ginnastica, il concerto per i bambini del Trio Contempo e un altro piccolo ospite.Sotto. Con Sebastiano Somma, per una volta attore non protagonista.

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I nostri bambini

Se n’è andata a soli 13 anni.Era entrata come un raggio di sole, meno di un anno fa, nella vita e nel

cuore dei nostri volontari della Fondazio-ne Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin.La segnalazione che la riguardava era ar-rivata dal contingente italiano di Pec, in Kosovo, cui è affidata la Forza Multinazio-nale West, al confine con il Montenegro, Albania e Serbia, nell’ambito dell’Opera-zione Joint Enterprise.Arjeta era arrivata al “CiMiC Health” di Villaggio Italia un caldo giorno di prima-vera; zoppicava, era tormentata da una febbre misteriosa che non le dava pace.Con lei, a sorreggerla, letteralmente, i ge-nitori, disperati. Ad accoglierla il maggio-re Giuseppe Bavaro, responsabile di que-sta struttura che fa da ponte con l’Italia per curare e aiutare i bambini considerati incurabili in Kosovo.Tra i referenti più puntuali e affidabili (sono parole dei nostri militari impegnati in quelle aree, sotto la guida del Generale Agostino Biancafarina) c’è la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin. Che viene subito contattata.È chiaro a tutti che la situazione è grave.La complessa macchina burocratica si mette in moto. L’8 giugno Arjeta atterra a Ronchi, con la mamma. Subito il ricove-ro in ospedale a Udine dove si mobilitano Pediatria, Neurochirurgia, Terapia Inten-siva. Arjeta continua però a peggiorare. Il suo sospetto tumore è come un ragno che aggredisce il cervelletto. Non si può operare, dicono i medici, che lottano contro il tempo per capire la vera causa di questa agonia.Arriva anche il papà, con un visto straor-dinario. A casa ad aspettare e a pregare per Arjeta ci sono altri tre fratelli.Anche in Italia sono in molti a pregare per la dolce ragazza di Pec.«Sono nel vostro paese”, diceva ,”in Italia i bambini li salvano. Io vivrò».

Parlava inglese, voleva studiare lingue.Le sue passioni: la scuola, la musica, la danza. Mai un pianto, mai un lamento, in un mese e mezzo di cure e di agonia.Quando perde anche l’uso della parola, comunica con strizzate d’occhi e strette di mano. Anche per i volontari, da sem-pre in prima linea sul tragico confine tra la vita e la morte, è un calvario durissimo da affrontare.«Arjeta», dicono, «è come una piantina di rose che appassisce, un sole che si spe-gne, un volto che hai la sensazione di aver già visto e amato».L’ultima speranza cade il 22 luglio, con la diagnosi definitiva: virus da morbillo, implacabile, incurabile, un’encefalite che non lascia scampo, nemmeno se presa in tempo.Arjeta muore in ospedale a Udine alle 14.13 del 27 luglio.«Quelli che vivono li dimentichi, quelli che muoiono sono croci che si conficca-no nel cuore».Se n’è tornata a casa vestita di bianco, su un volo militare. Il primo giorno di scuola, compagni e insegnanti hanno fatto una grande festa per ricordarla, per ricordare Miss Kosovo, così la chiamava-no, questa ragazza speciale che tutti ama-vano, che voleva studiare per vedere il mondo. I genitori (lui guardia carceraria, lei casalinga) hanno voluto mantenere i contatti con la Fondazione, che Arjeta considerava la sua seconda famiglia.«Desideriamo che questa lettera trovi bene voi e le vostre famiglie», si legge in una delle tante missive inviate ai volontari della nostra Fondazione. «Noi e la nostra famiglia vi abbiamo nella nostra mente e nel nostro cuore, per quanto avete fatto per la nostra amata creatura… il destino ce l’ha portata via, ma lei vivrà sempre…voi e il popolo italiano farete per sempre parte della nostra vita. Ancora grazie a tutti, dal padre e dalla madre di Arjeta.»

Arjeta non c’è più«anche stavolta ce la faremo, tutti insieme»: c’era sempre speranza, nelle frenetiche email tra trieste e Pecdi marinella Chirico

I nostri angeli newsletter - 9

Egr. dott. ScarpaNon ho ancora a disposizione tutti i dati che vi devo sulla povera Arijeta.Stiamo lavorando ancora con l’ospe-dale Spallanzani (Istituto Nazionale per le Malattie Infettive) di Roma sul materiale biologico inviato perché vi sono ancora dei risultati controversi.Non appena il lavoro sarà completa-to o saranno esaurite le risorse dia-gnostiche disponibili vi farò senz’al-tro pervenire la relazione definitiva.La ringrazio per l’invio della lettera dei signori Muzlijaj e non nego che la visione della bella fotografia di Ari-jeta in tempi felici ci ha veramente commosso. Credo di poter dire a nome di tutto il personale dell’ospe-dale che ha seguito il caso quanta sincera tristezza vi sia stata e morti-ficazione di fronte agli sforzi vani di salvarla.Credo che non dimenticheremo anche la dignità con cui la famiglia ha affrontato questo grande dolore e l’educazione e rispetto con cui si è sempre comportata: un insegna-mento per tutti.Colgo l’occasione per dirvi quanto, nonostante tutto, sia stato per me un privilegio lavorare per così dire fian-co a fianco con voi e in particolare con Ariella e Marino Andolina, com-prendendo in modo diretto quanto grande sia la passione, l’impegno, il disinteresse che ponete in questa impresa. Lo considero per me un periodo di passione professionale e di vera crescita umana.In attesa di risentirci un caro e affet-tuoso saluto.

Dr. Giovanni CrichiuttiClinica pediatrica Santa Maria

della Misericordia, Udine

La testimonianza

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I nostri bambini

Joseline, diario di una mamma

10 - I nostri angeli newsletter

Joseline si ammalò come qualsiasi bambino della sua età. La portammo da vari specialisti e

tra esami e terapie per il dolore furono notate delle malformazioni nel suo viso che giorno dopo giorno au-mentavano. Così come aumentavano la paura e la disperazione di non sapere che cosa avesse nostra figlia.

Era difficile far finta di niente nel ve-derla con la sua faccina così gonfia con un occhio che usciva dall’orbita men-tre l’altro era totalmente ostruito. La sua tristezza e la sua depressione au-mentavano sempre di più. I medici decisero di fare una risonanza magnetica ed una biopsia ad uno dei gangli che si erano ingrossati. Gli otto

giorni in attesa della consegna dei ri-sultati furono estenuanti per tutta la famiglia. Il 12 di maggio ci recammo a ritirare i risultati ed a parlare con il medico che ci comunicò la diagnosi: era un “Lin-foma N.O.” che avanzava con molta rapidità. In quel momento tutto precipitò e la paura si impadronì di tutti noi. Quin-di andammo a fare un day-hospital all’ospedale di Specialità Pediatrica dove il dottore ci aveva procurato un appuntamento con un oncologo. Il giorno seguente, 13 maggio, Joseline fu ricoverata. Fu qualcosa di totalmente spavento-so vedere la quantità di bambini che soffrivano di questa malattia: era un mondo completamente sconosciuto nel quale mai pensavamo che ci sarem-mo potuti trovare. La parola “cancro” non si smetteva di sentirla in alcun mo-mento, la storia delle altre famiglie, ed il pianto. Furono giorni molto duri e dolorosi, tanto per noi quanto per Jo-seline, che era quella che viveva nella propria carne questa infermità. Molti esami, risonanze, aspirazioni, fu-rono realizzati nuovamente per darci il responso finale: “Linfoma N.O. con infiltrazione midollare - stadio IV”. È duro accettare ed assimilare questa situazione. In quel momento ci mise-ro in contatto con la “Fondazione dei

«fu qualcosa di spaventoso», racconta, «vedere quanti bambini soffrivano di questa malattia: un mondo completamente sconosciuto nel quale mai pensavamo che ci saremmo potuti trovare»di Jackeline del Carmen, mamma di Joseline

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bambini malati di cancro”, che ci pro-curava tutti i medicinali e le analisi di cui Joseline aveva bisogno.Erano trascorsi cinque mesi dall’inizio del trattamento, con tutte le sue con-seguenze: febbre, “neutropenia”, valori bassi, perdita di sangue, eccetera. Furo-no dure tutte queste settimane, vedere come se ne andavano da questo mon-do tanti bambini che avevano condivi-so momenti di gioco, di tristezza e di allegria con Joseline e comportarsi in modo che lei non se ne accorgesse per evitarle dolore, sofferenza e paura. In uno di quei giorni, al consulto, la dottoressa Betty mi iniziò a parlare del-la possibilità di fare a Joseline un tra-pianto di midollo osseo. Tutto questo mi confuse, io pensavo che Joseline po-tesse uscire dalla malattia con il tratta-mento di chemioterapia. La dottoressa mi spiegò che quello di Joseline era un cancro molto aggressivo e volevano evi-tare una possibile ricaduta. Dopodichè ci misero in contatto con la “Fondazio-ne del Midollo Osseo”, che si incaricò del trasferimento per il trapianto, il viaggio. Fecero ai nostri altri due figli la prova della compatibilità e grazie a Dio Joseph Anny risultò compatibile al 100 per cento. Nel dicembre del 2006 era già tutto pronto per il viaggio a Trieste (Italia). Joseline uscì dal trattamento quello stesso mese e di nuovo fece degli esami per verificare che non ci fossero residui della malattia. Tutto va bene. Il 22 di febbraio partimmo per la città di destinazione. Con le lacrime agli oc-chi ci accommiatammo dai miei fratel-li, dai miei genitori, da mio figlio Toni, dagli amici, nipoti e familiari che ci erano sempre stati vicini. È difficile de-scrivere i sentimenti di quel momento, la tristezza di separarsi dalla tua fami-glia, da tuo figlio ed allo stesso tempo la speranza e la gioia di offrire a tua fi-glia una migliore qualità di vita. Arrivammo il 23 pomeriggio all’ae-roporto di Trieste, dove ci aspettava il dottor Andolina. Entrammo il 26 all’Ospedale Burlo Garofolo. È stato difficile stare lì da soli, senza saper par-lare la stessa lingua. Joseline cominciò a ricevere la chemio-terapia e le valutazioni per il trapianto. Il 13 di marzo, giorno del trapianto, mio marito José e Joseph Anny presto per effettuare l’estrazione del midollo, perché poi Joseline lo potesse ricevere da sua sorella. Tutto fu molto più veloce di quanto non immaginassi. I primi giorni dopo il trapianto com-

parvero febbre, diarrea, vomito, “neu-tropenia”, ma tutto era normale. Yo-selyn iniziò a reagire positivamente. Grazie a Dio che l’ha fortificata. Tra poco ritorneremo in Venezuela, con una serie di precauzioni che do-vremo adottare per il recupero totale di Joseline. Vogliamo ringraziare infinitamente la “Fondazione del bambino malato di cancro” e la “Fondazione del Midollo Osseo”: senza la loro collaborazione non si sarebbe realizzato questo mera-viglioso miracolo. La “Fondazione Luchetta” per averci dato la sua ospitalità e la sua preoccu-

pazione per nostra figlia e per tutti i bambini del mondo. Allo stesso modo, al dottor Andolina, alla dottoressa Natascia e a tutto il personale che la-vora nel reparto di onco-ematologia dell’ospedale Burlo Garofolo, grazie. Alla nostra famiglia, parte fondamen-tale della nostra vita, ai nostri amici, sempre, incondizionatamente con noi. Grazie a Dio e alla Santissima Vergine di Fatima, grazie per tutto quello che abbiamo ottenuto nel nostro cammi-no, grazie per tutte quelle persone che abbiamo conosciuto e sono state così generose con noi, grazie. Per il miracolo della vita….GRAZIE.

I nostri angeli newsletter - 11

La sua lotta contro il male terribile si è conclusa tristemente qualche giorno fa, proprio mentre stavamo

scrivendo del Venezuela. Kimberling ha combattuto fino alla fine con coraggio e determinazione, sostenuta dall’amore incrollabile del- la mamma Luisa, che da settimane si era chiusa con lei nella stessa stanza d’isolamento dell’ospedale infantile Burlo Garofolo.

Kimberling non c'è riuscita

La famiglia di Marcos Antonio ha vo-luto battezzare il piccolo, in fase di net- ta guarigione, nella chiesetta dell’o-

spedale infantile Burlo Garofolo di Trieste. Lasciandoci, alla partenza per il Venezue-la, con queste parole: “Un saludo beso y abrazo a todos los miembros y volunta-rios de la Fundación, por todo su apoyo en la recuperación y en la cura de mi

hijo Marco Antonio; siempre estaran en nuestro corazón, que Diós los bendiga, y que sigua por siempre la Fundación, por que muchos ninos los necesitan. En verdad, son parte de mi familia. Franklin Montilla”. Per molti dei volontari questo è stato il primo battesimo di uno dei nostri bambini e il suo ricordo resterà a lungo nei nostri cuori.

Il Battesimo di Marcos Antonio

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12 - I nostri angeli newsletter

Il pediatra Marino Andolina è uno dei riferimenti chiave della Fon-dazione Luchetta Ota D’Angelo

Hrovatin, dove opera come volontario e come tramite con il Burlo Garofolo, dove è responsabile del Centro Tra-pianti Midollo Osseo. Oltre ad assistere i bambini della Fondazione nei centri d’accoglienza assieme alla moglie Ariel-la, sfrutta i giorni di ferie per missioni umanitarie in Iraq, Afghanistan, Li-bano, Somalia, Darfur, India, Bosnia, Serbia e Kosovo. Ha eseguito, primo in Italia, un trapianto di midollo osseo in reparto pediatrico nel 1984. Nel 1986, primo italiano, ha eseguito un trapian-to utilizzando i genitori quali donatori, ovviando alla carenza di donatori com-patibili. Parte della sua attività si svolge all’estero. Ha aiutato a eseguire i primi trapianti iracheni, russi e serbi. Ora, il Venezuela. La storia a lieto fine di Joseline (e di tanti altri bambini) porta il suo nome. E nasce da un pro-getto congiunto, partito due anni fa,

tra la "sua" Fondazione e la Fundación para el transplante de medula osea, che da 10 anni organizza i cosiddetti “viag-gi della speranza”, per i bambini mala-ti del Paese. In Venezuela ci sono solo due centri per i trapianti, uno privato e uno pubblico. Insufficienti, economica-mente onerosi. Grazie ad Andolina, dunque, si avvia una collaborazione che porta alla fir-ma di un protocollo di intesa, sia per curare a Trieste bimbi malati, sia per aiutare il governo venezuelano a crea-re più centri di trapianti sul territorio. Con i fondi della Regione Friuli Vene-zia Giulia, parte il progetto accoglienza, che ha già portato a Trieste una decina di bimbi leucemici, tra cui Joseline. E partono anche i corsi di formazione per dottori e infermieri in Venezuela, dove, a fronte di una richiesta di oltre 500 tra-pianti l’anno, se ne fanno meno di cen-to. I bimbi venezuelani curati all’estero sono circa 60. Per gli altri, la malattia è una condanna senza appello. Così a Maracaibo, Andolina avvia il progetto per la creazione presso l’ospedale loca-

le di un Centro di Trapianti di Midollo e di Ematologia Pediatrica. All’ospedale universitario di Caracas, diventa consu-lente per i trapianti, in attesa di supera-re gli ostacoli burocratici per la nascita di un centro trapianti, con fondi italiani e sostegno dell’ambasciata italiana, del ministero della Sanità e la collaborazio-ne di una ditta di costruzioni italiana. Per consentire al Venezuela di arrivare a un'autonomia di almeno 250 trapianti l’anno. Tre le missioni compiute da An-dolina in Venezuela, mentre i contatti online sono continui. Al Burlo attual-mente è ricoverato Richard, di 6 anni. Per le famiglie c’è il supporto logistico della Fondazione. Per ogni assistito, a Trieste, sono previsti 3 mesi di degenza al Burlo e 55mila euro di spesa, coper-ta da fondi regionali (ora bloccati per problemi legislativi). Poi c’è la degenza post ospedaliera di qualche settimana. Dal Venezuela arrivano i malati più gra-vi, rifiutati da altri Centri: le leucemie con recidive, senza donatore, che han-no il 10% di possibilità di guarigione. Un trapianto “facile”, come una talas-semia con donatore compatibile, toc-ca anche il 90%. Ma Trieste, grazie ad Andolina, primo in Italia a effettuare trapianti non compatibili, con i genitori dei piccoli malati, resta all’avanguardia, anche sul fronte del dolore e della mor-te, sul quale si sono combattute batta-glie che sembravano impossibili. Come quella di Joseline. Andolina è da poco rientrato dal Venezuela, dove ad acco-glierlo e fargli da autista, ha trovato il papà di Joseline. Lo ha portato a casa sua, trattato come un fratello, aiutato e guidato. «Quello che noi facciamo», diceva Madre Teresa di Calcutta, «è dav-vero solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo, l’oceano avrebbe una goccia in meno!».

di marinella Chirico

Da Trieste al Venezuela

MarinoAndolinala solidarietà come scopo, la professione come mezzo.e l’umanità, come medicina universale

Direttore responsabilePino AprileSegreteria e RedazioneFondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatinvia Milano, 15 - 34132 TriesteTel. +39 040 3480098Fax +39 040 [email protected] grafica e ImpaginazioneLeonardo Servizi e ComunicazioneStampaTipografia Stella - Trieste

Registrato presso il Tribunale di Triestedd. 9/7/2008 n°1178Sped. abb. post. comma 20, lettera B, art. 2, legge 23.12.96 n. 662 Filiale di Trieste

I nostri angeli newsletter

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I nostri angeli newsletter - 13

Copertina

Immaginatevi: soli in un paese stra-niero, isolati in una stanzetta di una seppur accogliente casa della Fonda-

zione, potendo vedere il proprio papà e la sorella donatrice del vostro nuovo mi-dollo solo per pochi istanti e con tutte le precauzioni per evitare possibili contami-nazioni batteriche che potrebbero avere conseguenze drammatiche; stanchi, spossati dalla malattia e dalla cura, tristi, soli…con la mamma, preoccupata, a mi-gliaia di chilometri di distanza… e soli…«Dobbiamo fare qualcosa», ci siamo det-ti durante un incontro.Problema: comunicareSoluzione: nuove tecnologie.Attuazione: rapida riunione di coloro che, ognuno per le proprie competen-ze, poteva mettere in atto tale soluzione.È stato così che abbiamo deciso di rea-lizzare un’infrastruttura tecnologica di comunicazione che ha permesso, in po-chi giorni, di mettere in contatto audio e video il nostro amico Leutrim con la sua mamma e i suoi amici in Kosovo.Naturalmente non potevamo entrare nella stanzetta di Leutrim ed era quin-di impensabile portarvi un cavo per la linea dati.La tecnologia wireless è apparsa subito la più idonea a risolvere il problema, e così è stato.Non servono altri dettagli tecnici… ci basta ricordare lo sguardo di Sherif, il padre del ragazzo, quando è sceso dalla cameretta annunciandoci con lacrime di commozione che «funzionaaaaa! Leu-

trim parla con la mamma che lo vede bene!». Un successo enorme per i nostri volontari “informatici”!La sorella stessa ha poi cominciato a col-legarsi in audio, video, chat e web per sentirsi più vicina a casa e rimanere in contatto con le amiche.In pochissimi giorni tutti gli ospiti han-no iniziato ad utilizzare questo sistema di comunicazione, anche coloro i quali, frequentando le scuole italiane, ne trag-gono beneficio per la loro attività di ri-cerca e formazione.Rimaneva quindi da risolvere un ultimo problema: la disponibilità di un solo per-sonal computer (peraltro vecchiotto e molto lento) a disposizione di tutti.Ma noi della Fondazione non siamo soli e c’è sempre qualche “Angelo grande” dietro l’angolo pronto ad aiutarci.Durante una serata di uno spettacolo di beneficienza a nostro favore, abbia-mo incontrato il direttore regionale dell’Ansa dott. Alfonso di Leva e gli ab-biamo esposto questo nostro problema. Il destino ha voluto che proprio in quei giorni negli uffici di Trieste avessero am-modernato tutto il sistema informatico e quelle, che per loro erano macchine divenute ormai “vetuste”, facessero in re-altà benissimo al caso nostro.Il passo è stato breve: dopo 24 ore le macchine erano già nei nostri uffici e dopo un paio di giorni necessari all’ade-guamento di alcuni dettagli hardware (wireless, webcam etc) e software (prote-zioni e sicurezze informatiche adeguate)

sono state installate nelle case. Nel con-tempo abbiamo attivato l’ADSL wireless anche presso la casa di accoglienza di via Rossetti ed installato una postazione gemella negli uffici di via Milano, tutte equipaggiate con apposita casella perso-nalizzata di posta elettronica, account di messaggistica istantanea e numero per-sonalizzato di video comunicazione.Oggi possiamo comunicare e scambiare dati (richieste, aggiornamenti e perfino la lista della spesa!) con tutte le nostre strutture, mentre i giovani ospiti posso-no tranquillamente chattare o videoco-municare con casa propria (ormai dav-vero tutto il mondo) e con i loro nuovi amici triestini nelle nostre altre sedi.Naturalmente anche i genitori ne hanno tratto immediato beneficio; «possiamo finalmente leggere e sentire le notizie del nostro paese» ci dicono ora con rico-noscenza « e vedere i servizi televisivi dei nostri telegiornali o anche solo ascoltare gli ultimi successi musicali dei nostri can-tanti preferiti!».Da qualche tempo via Valussi e via Ros-setti sono ormai in contatto continuo con Venezuela, Kosovo, Albania, Mon-golia, Francia, Germania e tanti altri pae-si... i parenti e gli amici dei nostri piccoli pazienti, delle loro mamme e papà sono sempre più vicini per aiutarli a superare i lunghi momenti della guarigione... e con loro i nostri volontari, che conosco-no così nuove famiglie e realtà etniche.Da oggi siamo tutti ancora più vicini... a casa!

Anche la tecnologiaha un cuore grandeun computer, una webcam, una connessione veloce:e ti senti a casa anche a migliaia di chilometri di distanza

di mauro Utel

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Le attività

Sono stati per noi della Fondazio-ne tre giorni pieni di entusiasmo nell’incontrare le migliaia di per-

sone che hanno assistito a questo magni-fico spettacolo “Bora... soffio d’Amore” al Palachiarbola di Trieste. Tre giornate durante le quali abbiamo potuto appro-fittare del palco messoci a disposizione da Mario, Elvia e David Vitta per raccon-tare, ogni volta in modo diverso, quello che la Fondazione ha fatto, sta facendo, e soprattutto è intenzionata a fare. In-contri scanditi dai filmati e dalle foto raccolte in quest’ultimo anno dai nostri volontari e inserite nel dvd “Momenti 2007-2008” che in tanti hanno apprez-zato. Momenti che ricordano le decine di bambini ospitati nelle nostre foreste-rie, le tante persone che ci vengono a trovare per trascorrere qualche ora in compagnia o a rasserenare coloro che la gioia della guarigione non l’hanno ancora ritrovata. Momenti dolorosi, nei quali ci stringiamo assieme per ricorda-re chi, più sfortunato degli altri, non ce l’ha fatta a vincere il male. Momenti che rimarranno per sempre nei nostri cuori. Hassan e Hussein con il papà Hadi, presenti allo spettacolo nel quale siamo stati ospiti con i nostri bambini, sono già ripartiti, guariti, per l’Iraq, loro ter-ra natale, ma prima di farlo ci hanno tanto raccomandato di fargli avere le foto dell’esibizione. Uno spettacolo si-mile non l’avevano mai visto! Abbiamo obbedito senza indugio, e ci siamo en-tusiasmati per la loro felicità quando, a poche ore dalla partenza di un lungo viaggio (ci hanno messo una settimana per tornare a casa!) abbiamo visto assie-me il dvd con le sequenze fotografiche dello spettacolo. “Grazzie mile Mau’ro” hanno detto men-tre ci scambiavamo i classici tre baci mu-sulmani di chi si dichiara grande amico! E appena arrivati a casa, vicino a Bagh-dad, hanno fatto vedere il dvd alla mam-ma… poi ci hanno telefonato (!) per ringraziarci ancora una volta. Ecco que-sti sono i momenti indimenticabili di chi davvero “vive” la Fondazione.Un grandissimo ringraziamento e un’af-fettuosa riconoscenza da parte nostra a tutti coloro che si sono prodigati per il successo della manifestazione, e ci han-no sostenuto acquistando i nostri gad-gets (per inciso sono stati davvero tantis-simi!) e un arrivederci a presto a Mario, Elvia e David.

La Bora che soffia dal cuore

14 - I nostri angeli newsletter

Mercoledì 28 gennaio 2009, 15° anniversario della strage di Mostar: in questa simbolica

giornata riparte il Premio giornalistico Marco Luchetta, giunto alla VI edizione, istituito e promosso dalla Fondazione Luchetta, Ota, D’Angelo, Hrovatin per i bambini vittime della guerra” in collabo-razione con la RAI, a ricordo del sacrifi-cio della troupe composta dai giornalisti Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo, vittime a Mostar di una grana-ta, e del cineoperatore Miran Hrovatin, assassinato a Mogadiscio assieme alla giornalista Ilaria Alpi. Attraverso il Premio Luchetta, dedicato alle “prime linee” dell’informazione in Italia e nel mondo, un ideale filo rosso congiunge quei tra-gici eventi a centinaia di corrispondenze pervenute in questi anni alla giuria del Premio: articoli, servizi tv e reportage fo-tografici che, dall’Europa e dall’Asia, dal Medio Oriente, dalle Americhe e dal con-tinente africano, raccontano di guerre e scontri etnici, di un’umanità spesso invi-sibile e silenziosa perchè non fa notizia. Reportage che sempre più spesso de-nunciano, ovunque nel mondo, le storie dell’infanzia violata: proprio come stava facendo, a Mostar la troupe RAI di Trie-ste, impegnata nella realizzazione di uno speciale per il TG1, per proporre i bam-bini vittime della guerra balcanica quali candidati al premio Nobel per la pace.

Dalla prima edizione, datata 2004, il Premio Luchetta ha consolidato la sua dimensione internazionale, per la capil-larità dei fronti d’indagine che ispirano i servizi e reportage in gara: evidenzian-do spesso inchieste su temi scottanti, come il reportage sulla tratta dei bambi-ni maschi in Cina di Clare Dwyer Hogg, Premio D’Angelo 2008, o il servizio sui bimbi di Kinshasa accusati di portare il malocchio, del Premio Luchetta 2008 Stefano Liberti. Il Premio è come sempre rivolto ai gior-nalisti, ai telecineoperatori e fotoreporter che, nell’ambito della loro professione, si siano distinti per “l’opera di sensibilizza-zione sui bambini vittime di ogni forma di violenza, ponendo l’accento sui valori di solidarietà, pace e fratellanza”. La cerimonia di premiazione sarà ripresa e trasmessa da Raiuno, e come sempre ospiterà personaggi di spicco del mondo della cultura, dell’informazione e dello spettacolo. Sono previsti inoltre specia-li riconoscimenti, riservati a personalità che si sono distinte nella valorizzazione degli ideali ispiratori del Premio: come Ettore Mo e Vittorio Zucconi, due presti-giose firme del giornalismo italiano pre-miate nelle edizioni 2007 e 2008. Anche per l’edizione 2009, il Premio Lu-chetta sarà preceduto da Antepremio, consueto approfondimento sull’informa-zione del nostro tempo.

La Vi edizione del Premio Giornalistico Luchetta

Le storie che fanno notizia

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Le attività

Negli ultimi sette anni ho organizzato diversi eventi internazionali per bam-bini e ragazzi per dare loro visibilità internazionale e per permettere loro di sviluppare una prospettiva internazio-nale e una visione globale e diventare così attori della trasformazione sociale, promotori di unità e pace nel mondo.Dovremmo abbandonare tutte le forme di pregiudizio e inculcare nei bambini l’impegno per la fratellanza universa-le e la pace mondiale e sviluppare una prospettiva globale. I vestiti nuovi non si fanno con quelli vecchi. Sono sin-ceramente felice che la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin stia intraprendendo il cammino necessario ad assicurare un futuro a tutti i bambini del mondo.Durante la mia visita al centro ho osser-vato un approccio sperimentale, basato

Una importante affluenza di pub-blico e un grande successo per il service “Suoni e sapori - degu-

stazioni a ritmo di jazz” che il Rotary

su valori veri e incentrato sui bambini, che incoraggia queste creature vulnera-bili a scoprire il loro potenziale e qualità nascoste aiutandoli in ultima analisi a ri-definire il senso della loro vita. Noi co-nosciamo il terribile destino che hanno subito questi bambini, feriti nel corso della guerra, bambini che non saranno mai capaci di crescere e diventare adulti sani, bambini inermi di fronte agli orro-ri della guerra, per i quali questa sarà l’unico ricordo della loro infanzia.La Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin è particolarmente unica e di trascendentale importanza perché si oc-cupa di salvaguardare il futuro dei bam-bini del mondo, di quelli nati e di quelli

Club Monfalcone, assieme agli amici del Lions Club Alto Adriatico, ha pro-posto a favore della Fondazione Lu-chetta Ota D’Angelo Hrovatin e del Fondo di Giò, per la ricerca dei tumori cerebrali. Nell’area del porto San Rocco a Mug-gia, venerdì 13 febbraio scorso, un ine-dito percorso è stato offerto a oltre tre-cento persone. Il concerto di musica jazz della Ragtime Jazz Band di Trieste ha fatto rivivere, con l’ensamble e gli assoli dei singoli, le emozioni dei suo-ni delle orchestre e di band, dagli anni Venti al secondo dopoguerra. La musi-ca è stata preceduta dalla degustazione guidata di ricercati vini e di miele del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia, nonché di prelibati salumi e formaggi della Sardegna, accompagnati dai dol-ci dell’antica tradizione sarda. È stato un evento che ha riunito, attor-no all’obiettivo del sostegno ai bam-bini vittime delle guerre, numerose aziende agroalimentari, professionisti e artisti che hanno aderito con sponta-nea gratuità e grande professionalità. È proprio con il riunire attività e per-sone di diverse regioni e Paesi che l’or-

non ancora nati. Questa visita è stata per me una riconferma del mio impegno a sostenere i diritti di ogni bambino così come dichiarato nella Dichiarazione di Ginevra sui Diritti dei Bambini del 1924 e nella Dichiarazione delle Nazioni Uni-te sui Diritti del Bambino del 1959. Nella casa della Fondazione Ota, Lu-chetta, D’Angelo, Hrovatin vedo un mondo libero da violenza e paura, un mondo fatto di generosità e rispetto dove prevale la legge divina. Soprattutto vedo un luogo di luce, dove le menti si illuminano e i cuori diventano più leg-geri. La presenza di questa luce è una benedizione per la vita di quei bambini che vivono in situazioni difficili.

ganizzazione ha voluto caratterizzare l’evento dimostrando «che il forte spi-rito di fratellanza tra compagini e per-sone votate a progetti concreti di servi-zio può superare ogni distanza», come è stato sottolineato negli interventi dei due presidenti: Marino Boscarol del Rotary Club di Monfalcone e Giorgio Berni del Lions Club Alto Adriatico. Nella serata, il service ha raccolto oltre 5.000 euro che contribuiranno concre-tamente al percorso di guarigione dei bambini provenienti da tutto il mon-do, colpiti da malattie spesso definite “terminali” ma che (come l’attività del-le Fondazioni da tre lustri a questa par-te sta dimostrando) se seguiti e curati con professionalità e amore, superano le difficoltà e possono ritornare guariti alle proprie case. L’esempio di sabato, dove in tanti, tra aziende, imprese, professionisti, artisti, soci e amici dei Club si sono dimostrati uniti da un obiettivo condiviso, ci esor-ta a continuare nel far germogliare, nei limiti delle nostre possibilità, i semi dell’accoglienza ai più deboli, della convivenza pacifica, del diritto alla sa-lute per tutti i bambini del mondo.

Una speranza per bambini svantaggiati

Suoni e Sapori: in trecento per la Fondazione

di Nsiksk obot Ekanem (Nigeria)Premio Internazionale di Poesia "Castello di Duino" 2006, Medaglia d'argento del Presidente della Repubblica

di Sergio Pischiottin

I nostri angeli newsletter - 15

Page 16: anno 2 - numero 1 MAGGIO 2009 I nostri angelifondazioneluchetta.eu/wp-content/uploads/2016/02/... · la guarigione di Faton, 12 anni, dal Ko-sovo n.d.r.) e la sua mamma, avrei vo-luto

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