Anno 1 - Numero 8-9-10

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EDITORIALE Anno 1 – Numero 8 – 9 - 10 Aprile – Maggio - Giugno 2013 Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli Sulle ote dello Spirito «I talenti sono ricchezze al servizio del Regno di Dio» I doni che il Signore ci offre non sono per noi, per il nostro successo, la nostra vanità, l’esibi- zione del nostro valore. I talenti della parabola sono ricchezze poste nelle nostre mani perché possano servire al suo Regno, sono strumenti d’amore che dobbiamo utilizzare per la gloria di Dio e l’edificazione dei fratelli. La nostra più grande gratificazione consiste proprio nell’instancabile impegno per la realiz- zazione dell’opera di Dio, affinché i talenti porti- no i loro frutti a vantaggio di tutti. Occorre vivere con gioia ed entusiasmo il lavoro per il Regno di Dio, consapevoli che la nostra vita, con i doni di cui il Signore l’arricchisce ogni giorno, è il bene più prezioso, sia per noi che per tutti gli uomini. Chi compie la volontà di Dio con gioia, ado- perandosi per Lui con operosità fedele, realizza la sua esistenza in modo pieno e vive la gioia profonda di essere collaboratore di Dio nell’im- presa mirabile della redenzione del mondo. Sarà bello alla fine della vita sentirci dire da Dio con un sorriso: «Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore». Area Carismatica Adoratori in Spirito e verità 1. Notizie pratiche sul ministero dell’ani- 2. matore La liturgia per una chiesa che evange- 1. lizza Cantare la liturgia 2. Il canto e la musica nella liturgia attuale 3. Il Papa e la musica 4. Area Tecnica Area Liturgico - Musicale Teoria musicale: Nozioni di base 1. Impariamo a suonare un canto 2. 424. Il canto del tuo popolo Gli strumenti musicali nella Liturgia Indice dell’annata Musica Sacra: Strumenti musicali 1. Tutti gli articoli inseriti nei vari numeri per Aree Specifiche Animazione Domenicale Canti per il Tempo Liturgico 1. Al Servizio della Parola: 2. Salmodie

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Aprile - Maggio - Giugno 2013

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EDITORIALE

Anno 1 – Numero 8 – 9 - 10Aprile – Maggio - Giugno 2013

Foglio di collegamento a cura delServizio Diocesano Musica e Canto

Diocesi di Napoli

SulleotedelloSpirito

«I talenti sono ricchezze alservizio del Regno di Dio»

I doni che il Signore ci offre non sono per noi, per il nostro successo, la nostra vanità, l’esibi-zione del nostro valore.

I talenti della parabola sono ricchezze poste nelle nostre mani perché possano servire al suo Regno, sono strumenti d’amore che dobbiamo utilizzare per la gloria di Dio e l’edificazione dei fratelli.

La nostra più grande gratificazione consiste proprio nell’instancabile impegno per la realiz-zazione dell’opera di Dio, affinché i talenti porti-no i loro frutti a vantaggio di tutti. Occorre vivere con gioia ed entusiasmo il lavoro per il Regno di Dio, consapevoli che la nostra vita, con i doni di cui il Signore l’arricchisce ogni giorno, è il bene più prezioso, sia per noi che per tutti gli uomini.

Chi compie la volontà di Dio con gioia, ado-perandosi per Lui con operosità fedele, realizza la sua esistenza in modo pieno e vive la gioia profonda di essere collaboratore di Dio nell’im-presa mirabile della redenzione del mondo. Sarà bello alla fine della vita sentirci dire da Dio con un sorriso:

«Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore».

Area Carismatica Adoratori in Spirito e verità1. Notizie pratiche sul ministero dell’ani-2. matore

La liturgia per una chiesa che evange-1. lizzaCantare la liturgia2. Il canto e la musica nella liturgia attuale3. Il Papa e la musica4.

Area Tecnica

Area Liturgico - Musicale

Teoria musicale: Nozioni di base1. Impariamo a suonare un canto2. 424. Il canto del tuo popolo �

Gli strumenti musicali nella Liturgia

Indice dell’annata

Musica Sacra: Strumenti musicali1.

Tutti gli articoli inseriti nei vari numeri �per Aree Specifiche

Animazione DomenicaleCanti per il Tempo Liturgico1. Al Servizio della Parola:2. Salmodie �

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di Gianfranco Pesare, membro della Comunità Magnificat Dominum di Foggia. Già membro del Ministero Nazionale della Musica e del Canto del RnS per più di 20 anni, già coordinatore regionale RnS Puglia. Autore e Compitori di canti editi dal RnS ed in uso anche nel repertorio paraliturgico. Svolge attualmente una intensa attività di annuncio in modo particolare rivolto ai giovani. Anziano della Comunità Magnificat Dominum; Coordinatore regionale RnS dal 2001 al 2011.

ADORATORI IN SPIRITO E VERITÀ1.

Come adorare il Signore, come lodarlo?

Nei due capitoli precedenti abbiamo riflettuto sulla chiamata ad essere sacerdoti del tempio di Dio, partendo dall’esperienza che abbiamo avuto con Gesù nella nostra vita, per arrivare a proclamarlo Signore e padrone di ciò che siamo e abbiamo. Il passo successivo adesso sarà scoprire cosa significhi adorare Dio in spirito e verità. Ci aiuta in questo Tertulliano.

La preghiera è il sacrificio spirituale che abolisce i sacrifici antichi. A che mi servono tutti i vostri sacrifici? Dice il signore. Sono sazio di olocausti di montoni e di grasso di vitelli. Il sangue di tori, agnelli e capri, non lo gradisco (Is 1,11) ... Il Vangelo ci dice quello che Dio desidera: Viene il tempo in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio è spirito (Gv 4,23.24), e vuole che gli uomini lo adorino nello spirito. Noi siamo veri adoratori e veri sacerdoti quando, pregando in spirito, offriamo a Dio in sacrificio la nostra preghiera, l’unica vittima, che gli sia adeguata e perciò gradita quella stessa che egli ha desiderato e che si è lungamente preparata. Questa vittima, offerta dal

profondo del cuore, nutrita dalla fede, cresciuta nella verità, intatta e innocente, integra e pura, coronata dall’amore, dobbiamo presentarla all’altare di Dio accompagnata dalle nostre opere, con salmi e inni, ed essa ci otterrà tutto da lui.Come può Dio rifiutare qualcosa alla preghiera che gli è rivolta in spirito e verità, dal momento che l’ha voluta lui stesso? Quante testimonianze della sua efficacia leggiamo, sentiamo raccontare e accogliamo nella fede! Già la preghiera antica liberava dal fuoco, dalle belve della carestia; eppure Cristo non l’aveva ancira inforamata di sé. Quanto più profonda è dunque l’efficacia della preghiera cristiana! Essa non invia angeli a spegnere le fiamme (cfr. Dn 3,24ss), non chiude le fauci dei leoni, non sottrae il cibo ai contadini per portarlo altrove (cfr. Dn 14,31ss), non conferisce una grazia particolare che annulli la sofferenza, ma fa crescere nella pazienza quelli che soffrono, così che in loro la grazia, nel coraggio della sopportazione, si dilata, ed essi, avvertendoche questa sofferenza è per il Signore, percepiscono nella fede la felicità che Dio riserva loro....Un tempo, la preghiera si rivolgeva a Dio perchè egli castigasse gli uomini, disperdesse gli eserciti nemici, facesse cessare le pioggie. Ora invece la preghiera fatta nella verità tiene lontana la colera di Dio, veglia in favore del nemico e supplica per i persecutori. Deve forse

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stupire che essa possa ottenere dal cielo l’acqua della rigenerazione, se una volta ha potuto farne scendere il fuoco? Solo la preghiera può vincere Dio. Cristo l’ha voluta incapace di chiedere il male, ma onnipotente nel bene...Tutte le creature pregano. Pregano, piegando le ginocchia, gli animali domestici e le bestie selvagge: uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano verso il cielo e fanno vibrare l’aria con i loro gridi, come se volessero dire qualcosa. Anche gli uccelli, quando si alzano a volo verso il cielo, stendendo le ali in forma di croce, come mani di un orante, ed esprimono qualcosa che somiglia a una preghiera. Che cosa ci resta ancora da dire per sottolineare la grandezza della preghiera? Il Signore stesso ha pregato: a lui gloria e potenza per i secoli dei secoli.

Tratto da: i quanderni di Venite e Vedrete

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Convertirsi per servire Dio

Penso sia opportuno riassumere in poche parole quanto detto nei capitoli precedenti.

Il signore ci chiama ad un radicale cambiamento della nostra vota, perché diventi completamente dedita al servizio di Dio, senza compromessi con il peccato! Se vogliamo essere dei veri adoratori, sacerdoti del tempio di Dio, veri animatori dobbiamo prima di tutto far ordine nella nostra vita, togliere tutte le impurità, gli ostacoli al nostro cammino spirituale, perché altrimenti non solo non saremo mai dei veri animatori, ma non erediteremo il regno di Dio:

“Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio! Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effemminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, nè rapaci erediteranno il Regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!” (1 Cor 6,9-11).

Non c’è un’altra strada, dobbiamo abbandonare l’uomo vecchio che è in noi per vestirci dell’uomo nuovo, l’uomo rinnovato dallo

Spirito di Dio.

Ricevere la vita nuova è possibile solo se abbiamo un incontro personale con Gesù, è Lui che può trasformare la nostra vita. È nella nostra preghiera personale che possiamo conoscere meglio lo sposo, proprio come i fidanzati si conoscono stando sempre insieme.

La preghiera personale è indispensabile per un animatore. Se non so entrare alla presenza di Dio nella mia stanzetta, non saprò farlo neanche nell’assemblea. È lì che posso esercitare il mio talento di musicista che diventerà carisma man mano che saprò entrare nell’adorazione. Per essere abile nel suonare in Chiesa, devo esercitarmi nella mia preghiera personale. Tom Inglis, nel suo libro Il salmista 8edizioni Kainonia) dice:

“la tua casa dovrebbe conoscerti come adoratore più di quanto non ti conosca il tuo gruppo”.

di Gianfranco Pesare, membro della Comunità Magnificat Dominum di Foggia. Già membro del Ministero Nazionale della Musica e del Canto del RnS per più di 20 anni, già coordinatore regionale RnS Puglia. Autore e Compitori di canti editi dal RnS ed in uso anche nel repertorio paraliturgico. Svolge attualmente una intensa attività di annuncio in modo particolare rivolto ai giovani. Anziano della Comunità Magnificat Dominum; Coordinatore regionale RnS dal 2001 al 2011.

NOTIZIE PRATICHE SUL MINISTERO DELL’ANIMATORE2.

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Visto sotto questa luce, il nostro ministero acquista una considerazione diversa da parte delle nostre realtà di gruppo o comunitarie. Non si assisterà più atteggiamenti del tipo «Sei giovane, vai nel ministero della musica...»; «Sai suonare un pò la chitarra: vai nel ministero della musica....», «Non hai niente da fare? Vai nel ministero della musica....».

Per far parte di questo ministero, oltre al talento naturale, bisogna aver fatto un incontro personale con Gesù, aver deciso nel proprio cuore di seguire solo Lui, aver purificato il cuore da tutte le impurità. Solo così possiamo essere sicuri che il Signore non ci dirà:

“Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni, anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni...lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo!” (Am 5,21-23).

Il Signore non cerca persona che sappiano suonare o cantare. Lui cerca Adoratori. Questo non significa tralasciare l’aspetto del talento. Il Signore ha bisogno di bravi musicisti, di bravi cantori, perché a lui va data sempre la parte migliore di ogni cosa. Dobbiamo però darew semprte la priorità all’unzione, alla spiritualità, al carisma. Solo se pretico l’adorazione, la preghiera personale, il mio talento naturale può diventare ministero unto da Dio.

Talento e carisma

Occupiamoci adesso della differenza che c’è tra talento e carisma o unzione. Questo chiarimento può servire valutare meglio le persone che vengono candidate per il nostro ministero. Il talento è un dono naturale che Dio dà, sia a credenti che a non credenti. È un dono che non tutti posseggono e che, nonostante l’esercizio e lo studio continuo, non può essere posseduto da tutti allo stesso livello. Ricordando la parabola dei talenti (cfr. Mt 25,14ss.) possiamo solo metterci nella disposizione d’animo di far fruttificare il nostro talento, senza nasconderlo, ma, dato che si tratta di un dono di Dio, è per lui che abbiamo il dovere di impiegarlo. Al Signore non importa quanto valore abbia, o quanti siano: lui vuove che siano messi a frutto. Chi non li fa fruttificare perde anche quello che aveva. Non ci sono scuse che tengano né la timidezza, né i troppi impegni che già si hanno. Il fatto di possedere un talento ci impegna davanti al Signore.

Chi possiede un talento, tuttavia non ha automaticamente l’unzione, il carisma. Questo va proprio al di là della nostra bravura. È la potenza di Dio che opera attraverso il nostro talento, è la sua consacrazione. Il carisma parte dal talento e cresce man mano che lo esercitiamo per accrescere la gloria di Dio.

La scelta dei candidati al Ministero della Musica e del Canto

Quando si è chiamati a scegliere qualcuno per il ministero, è importante preliminarmente sapere che si sta facendo un discernimento spirituale, non si possono accettare «autocandidature», si tratta di riconoscere da parte dei responsabili, l’eventuale carisma presente in un fratello o una sorella. Non può essere il singolo a valutare il proprio talento o carisma. È una chiamata di Dio. Non ci si trova in un ministero per caso o – peggio – perchè abbaimo le «conoscenze giuste»....

Il carisma, poichè non serve a chi lo esercità, ma per l’utilità comune, deve sempre essere sottoposto ai responsabili. È possibile che essi, non essendo troppo competenti in talento musicale o nel canto – data l’importanza che anche tale aspetto riveste in questo particolare ministero –, possano affidare il discernimento ad una persona competente che goda della loro fiducia.

Nell’Antico Testamento, quando si parla della Tenda di Davide – luogo in cui il popolo di Israele celebrava le lodi del Signore – chi faceva parte dei cantori, doveva aver ricevuto una speciale investitura, uno speciale rito di iniziazione, e tutti sapevano che il suo compito era quello della musica e del canto. La scelta non veniva fatta a caso, ma dopo un oculato discernimento sia sul

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talento che sull’unzione. Venivano scelte persone che sapevano cantare o suonare, e che avevano una certa spiritualità. Queste persone all’interno della comunità facevano solo questo: la loro vita era spesa nella preghiera e nella preparazione per il culto di Dio.

Nel Ministero Nazionale della Musica e del Canto, così come nei nostri gruppi e nelle nostre comunità, impieghiamo solo persone che abbiano già ricevuto la preghiera di effusione, non perchè questa sia una sorta di «diploma» o di «bollino blu» abilitante ai ministeri, ma per essere sicuri che abbiano iniziato un cammino serio di conversione. Non si deve avere fretta di imporre le mani dice la Prola di Dio (cfr. 1Tm 5,22). Per questo è bene che i candidati al ministero abbiano già fatto un’autentica esperienza di Dio. Ci possono essere delle “eccezioni” perchè dobbiamo sempre essere aperti allo Spirito, a non diventare “legalisti”. Si lasci discernere a chi di competenza, ricordando comunque che solo di un’eccezione si tratta.

Tratto da: i quanderni di Venite e Vedrete

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di Mons. Antonio Parisi,

GUIDA DEL CANTO DELL’ASSEMBLEA3.

Una nuova figura nelle nostre celebrazioni

Vorrei richiamare rapidamente il n. 18 del documento dei Vescovi Italiani “Evangelizzazione e Ministeri, prima di trattare dei vari ministeri all’interno della celebrazione, che hanno rapporto con il canto. Così si esprime: avvertiamo “l’esigenza vivissima… di una Chiesa tutta ministeriale, tutta dotata e preparata, tutta compaginata e mobilitata con la molteplicità delle sue membra al servizio della propria missione nel mondo”. Tale ministerialità permetterà alla Chiesa una fruttuosa e seria opera di evangelizzazione e promozione umana.

Il ministero è allora un servizio che si rende alla Chiesa e quindi a Cristo; è un impegno-servi-zio-missione che si compie in un determinato settore della vita della Chiesa. Sono quindi alcuni servizi concreti, che hanno un’importanza vitale per la Chiesa e comportano un impegno, una preparazione ed una responsabilità, esercitata in modo relativamente stabile e sono riconosciuti dalla chiesa locale.

I ministeri si dividono in ministeri ordinati:

vescovo, presbitero e diacono –

ministeri istituiti:

lettorato e accolitato –

ministeri di fatto:

“sono ministeri che senza titoli ufficiali compiono, nella prassi pastorale, consistenti e –costanti servizi pubblici alla Chiesa” (Evangelizzazione e ministeri, 67).

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Dopo queste precisazioni, vorrei brevemente delineare la funzione e i compiti della guida del canto dell’assemblea.

Chi è? È l’animatore del canto dell’assemblea e dovrebbe coordinare tutti gli interventi cantati e strumentali all’interno della celebrazione. Il suo ruolo e la sua presenza è diversa dal direttore di coro, dal commentatore, dal lettore, dal salmista. È bene che l’animatore del canto lo faccia per quanto riguarda appunto, i canti.

C’è proprio bisogno di questa nuova figura nelle nostre celebrazioni? Certo, un’assemblea ha bisogno di essere guidata, diretta, aiutata, sostenuta, per partecipare in maniera viva e signifi-cativa col canto. L’assemblea dovrà intervenire al punto giusto, tenere l’andamento esatto, non rallentare il tempo, rispettare l’alternanza con il coro o con il solista; tutte queste attività non sono semplici né scontate: ecco quindi l’utilità e il bisogno di avere una guida.

Tale ruolo fa riferimento da una parte all’assemblea e dall’altra parte alla celebrazione che si sta svolgendo. Anche per questo ministero laicale, si richiede competenza, preparazione, spirito di servizio. La celebrazione non è il momento per esibire se stessi o le proprie manie, né tantomeno il luogo per imitare il grande direttore d’orchestra preferito. Umiltà, discrezione, correttezza, rispetto, semplicità, garbo, dovranno essere le qualità di una buona guida del canto.

Capacità e compiti della guida

Queste le sue capacità: competenza biblica, preparazione liturgica, preparazione musicale adeguata, spiritualità profonda. Quali i suoi compiti:

PRIMA: conoscere il programma rituale nei dettagli; conoscere i canti che l’assemblea dovrà cantare; provare i canti prima della celebrazione: un ritornello, un’antifona, un’acclamazione, ripetere un canto difficile; aver concordato con il coro e con gli strumentisti i vari interventi.

DURANTE: introdurre con sobrietà il canto dell’assemblea, indicandone le modalità esecu-tive; aiutare l’assemblea ad entrare con il canto nella celebrazione; dirigere con chiarezza il canto evitando gesti inutili o goffi.

Cito un antico proverbio cinese: “Quando basta una parola, evita il discorso; quando basta un gesto, evita la parola; quando basta uno sguardo, evita il gesto; quando basta il silenzio, evita an-che lo sguardo”.

DOPO: è sempre utile verificare con il gruppo liturgico la celebrazione, i vari interventi canori dell’assemblea, eventuali riti da perfezionare.

Inoltre, qualora mancasse il gruppo guida dei cantori, dovrà cantare quelle parti previste per il solista, per esempio le strofe di un canto, o il versetto dell’Alleluia, o intonare l’inizio di un canto.

Non un semplice cantore

Si comprende bene allora che non basta chiamare un semplice cantore o, peggio, un cristiano qualsiasi e investirlo di questo ufficio, si richiede una persona preparata e matura. Occorre perciò una attenzione particolare per comprendere l’urgenza e la necessità della presenza di una simile figura ministeriale; in secondo luogo scegliere una persona all’altezza del compito che dovrà svol-gere. Qual è la persona più adatta a questo compito? Un uomo o una donna con le qualità adatte, con una certa autorevolezza nei confronti di un’assemblea varia per età, condizione sociale e cul-turale; insomma una persona con una sua maturità umana, religiosa e musicale. Animare: avrà il compito di condurre per mano l’assemblea, tirare fuori l’anima e renderla attenta e partecipe, dare un’anima alla celebrazione. L’animatore deve essere percepito non come un estraneo, ma come

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uno che partecipa all’azione liturgica; deve aiutare l’assemblea ed orientarla verso il mistero che si sta celebrando: Gesù Cristo.

Concludendo, oggi questa figura non è ancora del tutto compresa e attuata, e qualche volta è rimessa in discussione. Spesso, egli si trova al centro dell’attenzione e potrebbe provocare distra-zione fra i fedeli, altre volte può diventare ingombrante e inopportuna la sua presenza. Occorre perciò che il suo ruolo venga ben definito, la sua preparazione sia di buon livello, la sua autorevo-lezza sia da tutti percepita come un servizio al buon svolgimento della celebrazione. Da quanto detto prima, si evince con chiarezza che si tratta di un ministero di fatto che deve essere ricono-sciuto dall’assemblea con il proprio presbitero a capo; non si tratta dunque di mettersi a cantare dentro al microfono o agitare le mani da un leggio, ma di svolgere un servizio liturgico all’interno della celebrazione, armonizzandosi sempre con gli altri animatori.

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Quello di Joseph Gelineau, gesuita francese, è un nome molto noto a chiunque si occupi di liturgia e in particolare di musica per la liturgia. P. Gelineau è stato ospite dell’Istituto Diocesano di musica e liturgia di Reggio Emilia, sabato 13 settembre 1997, per una giornata di studio e di riflessione con gli insegnanti dell’Istituto e poi con gli animatori dena liturgia, provenienti dalla diocesi e anche da fuori. Nell’intervista che segue, realizzata da d. Daniele Gianotti per la redazione diocesana di “Radio Pace”, sono toccati molti dei punti su cui p. Gelineau si è soffermato nei suoi interventi. La riproponiamo in queste pagine, a modo di sintesi dell’intenso lavoro che la sua presenza ci ha permesso di svolgere nel settembre scorso.

Padre, sono passati più di trent’anni dalla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano Il, e nel 1998 si celebrerà il 30° anniversario della promulgazione del “Messale di Paolo VI”, il nuovo rito della Messa, quale noi la celebriamo oggi: come vede il cammino percorso dalla liturgia della Chiesa in questi ultimi trent’anni?

Si è trattato di una cosa straordinaria. Il Concilio fu una cosa inaspettata, quando è arrivato; già il Movimento liturgico era in corso nei nostri paesi, ma è chiaro che la Costituzione sulla Liturgia, che fu il primo documento del Vaticano II, è stata una cosa straordinaria; in particolare, fu decisiva l’apertura alla Parola di Dio diretta, nelle lingUe moderne: perché, per noi cristiani, è la chiave della fede: è la Bibbia, la rivelazione; e poi, l’uso della lingua locale per la preghiera e il canto: e questo ha cambiato le cose in tutto il mondo. Ma, forse, non si deve mai dimenticare che i grandi concili della storia hanno avuto bisogno di tempo per fare la loro opera: un secolo è necessario. Adesso, dopo che sono state fatte le prime riforme, c’è una certa esitazione sulla strada da fare; p. es. la grande questione che è stata accennata dal Concilio, e che è sempre ribadita dal Papa attuale, la questione dell’inculturazione, non è ancora attuata: si intravedono alcune cose, ma non si sa come fare, siamo in corso di attuazione.

Lei ha fatto riferimento alla Parola di Dio; una delle sue prime produzioni, che le ha dato notorietà internazionale, sono stati i celebri Salmi, cantati nelle lingue correnti, e anche con una modalità espressiva abbastanza inconsueta, nel panorama musicale degli anni ‘50, nei quali furono pubbli. cati. Perché è nato in lei il desiderio di lavorare sul Salterio, e che cosa rimane, a suo giudizio, di questo lavoro?

Si trattò di una cosa “naturale”, al momento: ero giovane, e i giovani non misurano le cose di cui sono interpreti. Sono arrivato alla coscienza adulta di cristiano, da studente gesuita, al momento di tutti i granèli rinnova menti di quegli anni: il movimento biblico (ricordo l’inizio della Bibbia di Gerusalemme, le prime traduzioni rinnovate), il movimento patristico, il movimento pastorale e anche quello della pastorale li turgica ... Sembrava assolutamente naturale che la gente dovesse poter capire e partecipare. La Bibbia, l’intelli genza e la partecipazione: tutto ciò richiedeva il canto dei Salmi da parte del popolo; ma all’epoca non esisteva nulla, da parte cattolica, per questo.

E che tipo di scelte musicali fece, per quei salmi?

A dire il vero, non ho fatto una scelta. Per me era evidente che per far cantare il popolo nelle chiese di lingua francese, si doveva prendere la lingua religiosa comune di questo popolo: cioè un fondo di canto gregoriano (il plain chant); poi, il vero canto religioso popolare in Francia, costituito dalle Messe di Dumont: è musica del 1600, risale al rinnovamento controrifonnistico, per far cantare il popolo in latino: ma era radicato nella sensibilità del popolo; il gregoriano era pure un

Intervista a P. JosePh Gelineau (Fonte: Celebrare cantando - n. 14 - Febbraio 1998)

LA LITURGIA PER UNA CHIESA CHE EVANGELIZZA1.

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po’ cantato, insieme con alcune canzoni religiose popolari, delle quali ero impregnato. Su questo fondo, ho cercato la cosa più semplice possibile: la mia sola “invenzione” riguardava il ritmo, tratto dai proverbi francesi e che corrispondeva miracolosamente con quello della salmodia ebraica; si trattava di riprendere, nella salmodia, un ritmo che seguisse le parole. Il tutto è stato poi subito trasportato in inglese, dove va molto bene, e anche in italiano, dove pure funziona abbastanza bene, e in altre lingue.

La sua opera principale di musicologia liturgica, tradotta anche in italia no con il titolo Canto e musica nel culto cristiano, fu scritta prima del Concilio; in che modo le ricerche fatte in quegli anni influenzarono le scelte fatte dal Concilio e poi anche in seguito, per quanto riguarda la musica nella liturgia?

Si trattava di un bene comune, perché negli anni ‘50 -’60 il movimento liturgico era internazionale. lo ho fatto questo libro, in quanto partecipavo di questo movimento.

Lei è stato anche tra i fondatori del movimento internazionale Universa Laus, movimento che ancora oggi continua a operare nel campo della musica liturgica. Nella storia di questo movimento, quali sono, a suo giudizio, i contributi e le scelte più significative?

All’inizio, si trattò principalmente di un apporto per i liturgisti, sulle questioni musicali: si trattava di cosa non facile, perché al momento in cui fu pubblicata la Costituzione sulla liturgia, c’era un’opposizione fortissi ma, da parte dei musicisti, contro la lingua volgare. I liturgisti chiedevano un ripensamento di fondo sull’intera questione. Ci siamo riuniti, amici di diversi paesi – italiani, tedeschi, svizzeri, francesi. .. – per rispondere alla domanda e dare un appoggio al lavoro dei liturgisti. Nei primi anni, si trattò di diffondere i mezzi per mettere in opera tutto questo program ma. In seguito, sono venute ricerche sulle scienze umane, che hanno modificato questo ripensamento; successivamente, è venuto qualcosa di ancora più profondo, relativo alla partecipazione di tutto l’uomo nell’atto del canto e del canto religioso in particolare. È un movimento che “va da sé”, nel senso che l’unica “legge” era che chi voleva venire veniva, a condizione di pagarsi il viaggio e il soggiorno, e di venire per lavorare! Il movimento si è rinnovato, e attualmente ci sono molti giovani, che affron tano le cose in modo attuale, diverso rispetto all’epoca del Concilio, perché è profondamente cambiato il rapporto tra religione e società.

Lei, padre, fino a pochi mesi fa è stato parroco di cinque piccole parrocchie nell’Ile de France. La sua esperienza di parroco, come si è incontrata con la sua competenza di liturgista e musicista?

È stata la cosa più importante di tutta la mia vita. Con queste piccolissi me comunità locali, cinque parrocchie al sud della regione parigina, dove vive la gente ordinaria francese, di tutte le religioni e provenienze, ho capito che la questione fondamentale era quella dell’evangelizzazione; ma l’evangelizzazione non può essere fatta profondamente, nell’essere del l’uomo, senza la liturgia. E la liturgia è anche il solo luogo per ricreare o creare vere comunità cristiane, delle chiese locali. Là ho capito che era attraverso l’assemblea della domenica che si poteva costruire un nuovo volto di Chiesa. Necessariamente ciò influisce sul comportamento liturgi co. Ho cercato a lungo i canti popolari, adatti a questa gente. La conclusio ne non è stata quello che si pensa in genere, che si debbano cantare le musiche che vanno per la maggiore sui mezzi di comunicazione.

E dunque, quale musica?

Una musica che sia più a livello dell’azione che si fa, una musica che tocca il fondo dell’uomo, ma senza artifici di tipo ritmico o strumentale, ma in un modo profondo, semplice, veramente popolare, adatto a tutti. Per me, compositore, è stato affascinante cercare questo; e ho ritrovato il fondo della musica popolare francese; spontaneamente la gente vi si ritrova, anche se viene

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da altri paesi, perché il gruppo trova un accordo di fondo sul modo di cantare la lingua francese attuale in una celebrazione, con la gente che è là: e tutti cantano.

Al di là di questo aspetto musicale, nella vita sacramentale e liturgica di una parrocchia, in base alla sua esperienza, quali sono le cose da valoriz zare? Lei ha già accennato all’assemblea domenicale, come momento fondamentale; in Francia – e del resto incomin cia a essere una realtà anche da noi – si pone la questione dell’accesso ai sacramenti di ragazzi o di adulti che non sono ancora stati battezzati. Lei come ha affrontato questo tipo di realtà.

Per me la cosa fondamentale è di ricreare una vera iniziazione cristiana, perché l’abbiamo perduta nel V secolo, e non è mai stata ritrovata. Dopo il Concilio di Trento si è fatto il catechismo per insegnare la religione, ma era qualcosa di separato dal culto e dai sacramenti. Attualmente, è assolutamente necessario riprendere l’evangelizzazione. La mia convinzione è che il punto di partenza sono le narrazioni bibliche, che hanno un grande valore immaginativo, che si collega immediatamente con la liturgia, con i sacramenti. È questo fondo simbolico, che tocca la profondità dell’uomo, che deve essere evangelizzato. Si tratta di incominciare un cammino di tipo catecumenale: alcuni sono battezzati, altri no, ma tutti hanno bisogno di seguire lo stesso cammino. È un cammino lungo, che richiede tempo.

Tornando al campo musicale: ci sono alcune esperienze della musica Uturgica (e non solo) francese, che sono abbastanza conosciute anche in Italia -penso in particolare ai canti di Taizé, esperienza alla quale lei stesso collabora; quali sono, in Francia, a suo giudizio, le esperienze più significative, e quale può essere l’apporto di una comunità come quella di Taizé o di altre comunità simili? .

L’apporto di Taizé deriva soprattutto dall’ambiente, non tanto dal tipo di canti, che sono fatti per grandi masse di gente di provenienze diverse, ciò che non era assolutamente la situazione delle mie parrocchie. Se la forma di questi lunghi canti, con ostinati ecc., non potrebbe andare bene in una situazione di parrocchia, va colto invece lo spirito: che è quello di mettere, come base fondamentale, l’atto di preghiera; e di farlo con mezzi sempli cissimi; e anche l’importanza dell’aspetto comunitario di quest’atto, in un atto di fede nel quale ciascuno si situa nel modo più personale. Questo è molto importante. Per il resto, in Francia attualmente ci sono correnti musicali molto diverse: quella dei movimenti carismatici, ecc.

Ogni tanto, qui in Italia – ma penso anche altrove – ritorna la discussio ne, e a volte anche la polemica, sul fatto che la Chiesa, nel rinnovamento liturgico, avrebbe lasciato cadere tutto il ricco patrimonio del canto litur gico proprio della Chiesa latina, il canto gregoriano, poi la polifonia, ecc. A suo giudizio, come si può valutare questa critica, e qual è il contributo che ancora oggi può dare questo patrimonio della musica liturgica tradi zionale della Chiesa?

La questione è difficilissima, per me: mi sono formato in questa tradizio ne, l’ho ricevuta, ma ritengo – lo dico in modo un po’ brutale – che non abbia nessuna influenza sulle nostre piccole comunità cristiane. È un patrimonio, culturalmente parlando, di “ricchi”: e la nostra Chiesa non può essere che povera, per essere accogliente verso tutti; e non si deve supporre che sia necessario, per loro, conoscere questo e questo e quest’al tro. Il nostro programma è già troppo carico: il cammino deve essere limpido, semplice, ma profondo. Non vedo nessuna ragione per cui le cose semplici non possano essere profonde come quelle dei nostri padri. Le fonne di espressione sociali, culturali e artistiche erano diverse: le fonne popolari sono ,perdute; quelle che sono rimaste sono forme eccezionali, di alta cultura. E proprio questo il cammino necessario, oggi, per diventare cristiano? La mia ammirazione per Bach e Mozart è senza limiti, ma non direi mai che questo è un cammino necessario per divenire cristiano.

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Il che ci riporta a un’altra domanda: noi viviamo, nelle rwstre società, in un contesto molto variegato e pluralista, dal punto di vista culturale e intellettuale. La liturgia dà forse l’impressione di essere qualcosa per “pochi eletti”: suppone la conoscenza di un certo linguaggio, la comprensio ne di certi segni, ecc. Come è pensabile una liturgia che sia sempre la liturgia della Chiesa, proposta a tutte le comunità cristiane, in un mondo così variegato?

Si tratta appunto di riprendere sul serio i simboli fondamentali della Bibbia e dei sacramenti: questo vale per tutti, Se il Signore ha preso il lavarsi o il mangiare come fondamento dei sacramenti, è perché questo è fondamentale in tutta l’umanità; ma quando ci si limita a versare tre gocce d’acqua sulla testa per significare l’immeTsione con Cristo nella morte e nella risurrezione; quando si fa la comunione nel modo in cui lo si fa di solito; quando il gesto fondamentale che, all’origine, dava il nome a tutta l’Eucaristia, cioè la frazione del pane, non è più un gesto centrale delle nostre celebrazioni domenicali, ecc., allora le cose non vanno. Noi andiamo a cercare troppo lontano: abbiamo a disposizione tutto ciò che ci vuole per ricostruire in verità una liturgia per tutti e per i nostri contem poranei. Ci vuole solo un po’ di verità e di immaginazione, per fare questo.

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di PhiliPPe RobeRt (Adattamento italiano di Pierangelo Ruaro)

CANTARE LA LITURGIA2.

Introduzione

Questa guida è destinata anzitutto a color che, per il loro mini stero liturgico, sono chiamati a scegliere i canti per la liturgia. Per partire, è opportuna una domenda: qualsiasi canto può trovare posto nella celebrazione liturgica?

La Liturgia: un’azione rituale

Per rispondere a questa domanda, cominceremo con il ricordare che la liturgia è un’azione rituale che ci permette di celebrare nella fede l’Alleanza che Dio ha stabilito col suo popolo. Questa azione liturgica, espressione sensibile del mistero di Dio e del suo amore per tutti gli uomini, prende forma attraverso gesti legati alla nostra vita di uomini e donne di oggi. Alcuni gesti «profani», tra cui l’atto di cantare, vengono allora messi da parte.

Essi diventano «Sacri», poiché, nel quadro rituale della liturgia, esprimono più che se stessi: permettono di dire la profondità delle implicazioni delle celebrazione liturgica. Questi gesti diventano l’espressione sensibile della fede cristiana. Per mezzo di essi, accediamo all’ineffabile e all’indicibile.

Il canto liturgico è un canto simbolico

Il canto, quando è utilizzato nella celebrazione liturgica diventa un elemento di questo insieme rituale e simbolico. È l’espressione deIla gioia di un popolo che si rallegra nel Signore. «E vera-mente cosa buona e giusta renderti grazie, Signore, nostro Dio...». Ogni dialogo tra il presidente della celebrazione e l’assemblea diventa segno del dialogo tra Dio e il suo popolo. Come tradur-re meglio l’unita del popolo radunato se non invitandolo a can tare «a una sola voce»? Così si traduce in maniera sonora la comunione dei credenti riuniti. Il canto diventa simbolo del Corpo di Cristo risuscitato.

Canto religioso, canto sacro, canto liturgico?

Non tutti i canti rispondono alle esigenze della liturgia. «Cantare la liturgia» non significa semplicemente cantare un certo numero di canti «religiosi» o «sacri» nel corso della celebrazione liturgica.

Questi due termini, religiosi e sacro, non sono fra l’altro dei buoni criteri per parlare del canto liturgico. Ogni canto che si ispi ri in qualche modo ad elementi propri alla religione diventa neces-

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sariamente un canto «religioso». Ora, se ogni canto liturgico appartiene all’universo abbastanza vasto del canto religioso, che comprende per esempio la canzone religiosa il canto catechistico, non tutti i canti religiosi trovano comunque posto nella Liturgia!

Non è neanche l’appartenza alla categoria del «sacro» che può garantire a un canto di trovare posto in una celebrazione Iiturgica. La categoria del «canto sacro» è complessa. lnnan zitutto, non disponiamo di alcun criterio musicale per stabilire che una musica è sacra e un’altra non lo è. Questo termine è apparso alI’inizio del XVII secolo nell’ambiente luterano della Germania del Nord per distinguere il repertorio della musica da chiesa da quello della musica profana. Non si basava affatto a quell’epoca su caratteristiche di ordine musicale.

La nozione di musica sacra a cui facciamo riferimento in questi anni risale piuttosto alla seconda metà del XIX secolo e aIl’inizio del XX. È il momento in cui nasce il desiderio di rifor mare la musica da chiesa e di darle un carattere che la distingua dalla musica profana, dalla musica del mondo. Sotto l’influenza delle ricerche storiche, ci si rivolge principalmente alle musiche del passato. La conseguenza concreta si può vedere nel Motu proprio Inter sollicitudines promulgato da Pio X nel 1903 che pre senta il canto gregoriano e la polifonia di

Palestrina (XVI secolo) come i modelli della musica sacra. La questione del «sacro», quindi, è legata più ad uno stile di scritture musicale che ad un rapporto tra un canto e un’azione liturgica. Vale la pena di ricordare anche che il modo di celebrare la liturgia prima del Concilio Vaticano II era ben diverso da quello che noi conoscia mo oggi. La messa era innanzitutto un’azione del celebrante: il popoIo si accontentava di assistervi. A volte, assisteva tanto alla messa quanto a un concerto dato da un coro o da un organista. Obiettivo della musica era di condurre a una spiritualità piuttosto che a una partecipazione attiva dei membri dell’assemblea.

Aggiungiamo anche che la musica sacra supera largamente il quandro della musica cristiana!Se il Concilio Vaticano II parla ancora di «Musica sacra», la definizione che ne dà nella

Costituzione sulla sacra liturgia (Sacrosanctum Concilium) è comunque molto diversa da quella conosciuta fino ad allora:

«La musica sacra sarà tanto più sana quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica» (SC 112).

Riappare qui la concezione che sant’Agostino aveva del «canto ecclesistico»: un canto la cui qualità principèale è la sua «attitudine» a compiere la funzione liturgica che ci si attende da esso. Per questo oggi si preferisce parlare di canto «rituale», cioè in rapporto stretto con l’azione rituale presente nella liturgia.

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Il canto rituale dei cristiani

Il concetto di «canto rituale» ci permette di superare quello di «canto sacro» che non ha più senso oggi nel quadro della liturgia postconciliare. Esso ci permette anche di relativizzare la dimensione estetica del canto poiché il criterio di opera d’arte, e a fortiori di capolavoro, non è più il criterio primo del canto liturgico. Esso deve comunque garantire sempre una buona qualità e offrire all’assemblea un’opera giusta – adeguata – e bella.

«È la celebrazione liturgica stessa che, nelle sue azioni e nelle sue parole, nei suoi riti e nei suoi testi, deve trovare la sua forma lirica e musicale».

Occuparsi di scegliere dei canti per la liturgia, significa comunque e prima di tutto conoscere la liturgia! «Essa è un’azione complessa, composta da una grande varietà di tipi di parole e di gesti: proclamazioni, dialoghi, acclamazioni, salmodie, antifone, litanie, tropari, inni, che intervengono in processioni, letture, preghiere di supplica o di lodi, nell’offertorio, la comunione, ecc».

Cantare la liturgia

Nella prima parte di quest’opera, dopo aver riflettuto sui criteri di scelta di un canto a partire dal suo testo e dalla sua musica, percorriamo i diversi momenti della celebrazione eucaristica. Per ognuno, cominceremo col vedere ciò che propongono i Praenotanda del Messale romano (MR) per compiere al meglio il rito e in maniera varia. Vedremo in seguito come ciò può prendere forma in diverse realizzazioni dell’azione rituale.

In una seconda parte, cercheremo di precisare il ruolo dei diversi attori del canto in una celebrazione liturgica.

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In una terza e ultima parte, ci interrogheremo sul posto del canto in altre celebrazioni diverse dall’Eucarestia. Considereremo il canto in occasione di un battesimo, di un matrimonio e di un funerale. Daremo anche alcuni suggerimenti per un’assemblea domenicale in assenza del prete, per celebrare la Liturgia delle Ore in parrocchia e per la realizzazione di un concerto spirituale.

La maggior parte degli esempi faranno riferimento a Nella Casa del Padre (NCP) e al Repertorio Nazionale di Canti per la liturgia (RN).

Il Canto d’ingressoLA DEFINIzIONE DEL MESSALE ROMANO

«25. Quando il popolo è riunito, mentre il sacedorte fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri».

Ouverture

Il canto d’ingresso è innanzitutto una «ouverture» della celebrazione. Alla stessa maniera di una ouverture d’opera esso non dice tutto: casomai evoca, dà il tono. È anche il momento preciso del passaggio tra ciò che non è ancora iniziato e l’azione stessa, di cui fa già parte.

La funzione del canto d’ingresso è di permettere l’unione dei fedeli radunati. Sappiamo che il cantore costituisce un potente mezzo di comunione tra coloro che vi partecipano. Ecco il motivo per cui l’insieme dei fedeli deve poter unire la sua voce a questa azione cantata!

Iniziazione

Il teso e la musica di questo canto devono permettere una «iniziazione» al ministero celebrato. Ricordiamoci che ogni domenica è un’evocazione della Pasqua settimanale, della convocazione dei cristiani, della preghiera nello Spirito e della nuova creazione. Quando si tratta di un tempo liturgico o di un canto d’ingresso che introduca al senso del ministero di quel tempo o di quella festa. Se si canta dopo il saluto del celebrante, la stessa monizione dìapertura potrà diventare l’introduzione al canto.

Ingresso

Notiamo come nel Messale la funzione di accompagnare la processione d’ingresso appaia all’ultimo posto: Certo, si tratterà per la maggior parte del tempo di un canto processionale – e bisognerà tenerne conto per quanto riguarda la scelta del tempo di esecuzione – ma non è questa la funzione principale del canto d’ingresso.

«Un canto d’apertura è un gesto comunitario e festoso in cui l’assemblea si lega, prende corpo, comincia a celebrare attraverso ciò che fa. Si situa davanti a Dio attraverso quello che dice».

Forme possibili

Esistono diversi tipi di canti d’ingresso: il tropario, l’inno, il canto e la litania.

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L’atto penitenzialeLA DEFINIzIONE DEL MESSALE ROMANO

«29. ...Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la comunità mediante la confessione generale, e si conclude con l’assoluzione del sacerdote.

30. Kyrye, eleison. Dopo l’atto penitenziale, ha inizio il Kyrye, eleison, a meno che non sia già stato detto durante l’atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore.

Ogni acclamazione di solito si dice due volte; ma non si esclude che, in considerazione dell’indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari, sia ripetuto un maggior numero di volte, o intercalato da un breve “tropo”. Se il Kyrye, eleison non viene cantato, si recita».

Occorre cantare l’atto penitenziale

La questione merita attenzione. Infatti, questa azione rituale si inserisce all’interno dei riti di introduzione, che comprendono anche il canto di ingresso e il «Gloria». Si corre il rischio di avere un’inflazione di canti in apertura della celebrazione.

Il Messale Romano (MR), risponde proponendoci per l’atto penitenziale due modelli di canto. Quando si esamina il trattamento musicale di questo testo, ci si rende conto di essere ben lontani da un «canto» come noi lo intendiamo abitualmente quando utilizziamo questo termine. Siamo molto più vicini a una «parola cantata»; siamo in presenza della cantillazione di un testo. La parola viene proferita su una corda di recita leggera ornata.

Una forma più occasionale: la litania

Si potrebbe aprire la celebrazione con un grande canto in forma litanica, per esempio CF 213 Litania (Dio ci ha chiamati). La litania ha bisogno di durare; occorrerà dunque darle il tempo di diventare una vera litania. Alcuni tempi liturgici, come la quaresima o l’avvento, suggeriscono di iniziare qualche volta la celebrazione in questo modo. In tal caso, si dovrà tenere conto per equilibrare l’insieme dei canti che compongono il rito di apertura. È forse preferibile cominciare la litania dopo il saluto del celebrante e terminarla con la preghiera di apertura. In questo modo, il canto d’ingresso avrebbe anche la funzione di litania penitenziale.

Alcune domande per scegliere

Testo: Il testo del canto, come ci introduce nel ministero del tempo, del giorno, della festa? Quali sono i suoi legamni con la Scrittura?Forma: Quale forma scegliere: un inno, un tropario, un cantico a ritornello? E perché non la litania?Partecipazione: Quale spazio offre questo canto alla partecipazione dell’assemblea? Re-alizza l’unione dei cuori – senza cadere nel sentimentalismo? Il suo linguaggio musicale permette il canto di tutti? È un canto ben conosciuto dalla comunità che celebra?Celebrazione: Questo canto come si colloca nell’insieme dei riti di apertura e nell’insieme di tutta la celebrazione?

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All’interno di questo rito di apertura esistono, dunque, diversi modi di cantare, diversi gesti vocali. È importante rispettarli se non si vuole uniformare la varietà delle azioni rituali cantate in occasione di una celebrazione liturgica. È questa varietà a dare rilievo e ritmo all’azione liturgica.

Valorizzazione del rito penitenziale

Come abbiamo ricordato presentanto il canto d’ingresso, esso può a volte essere di forma litanica. I tempi liturgici dell’avvento e della quaresima si prestano bene a questa valorizzazione della litania penitenziale. In questo caso, dopo il canto, si può passare subito alla preghiera di apertura. Per concludere merita un ricordo il Trisagion, il più antico canto di ingresso delle liturgie cristiane. Una versione corrispondente si può trovare in NCP 211.

«Dio santo, Dio santo e forte, Dio santo e immortale,Kyrye eleison.Tu che hai sofferto per noi sulla Croce,Christe eleison.Ricordati di noi quando sarai nel tuo Regno,Kyrye eleison».

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Per conglobare meglio H vasto tema affidatemi, preferisco partire un po’ da lontano, vale a dire dal suono.

Suono-canto-musica sono “segni che appartengono ad ogni persona”, anche se in diversa misura e tipicità. Per arrivare a celebrare “i Santi Misteri” in modo coerente e fruttuoso, dobbiamo prima chiederci se conosciamo compiutamente i mezzi che abbiamo tra le mani...

SUONO E LITURGIA

Il suono è l’elemento “primario” che abbiamo “tra le mani” nel celebrare sonoro. È dunque indispensabile rendersi conto di alcuni aspetti fondamentali che riguardano, talvolta molto da vicino, tutti noi.

La comunicazione sonoraConoscenza dei parametri di base dei suo-no

La scienza dell’Acustica ha avuto un enorme sviluppo in questi ultimi decenni. Nonostante questo c’è ancora chi, parlando di suono, con-fonde “piano” con “adagio”, oppure “alto” con “forte”, oppure “melodia” con “armonia”, ecce-tera. È bene perciò cominciare chiedendoci se usiamo sempre i termini esatti nel riferirci ai parametri-base del suono. Ci sono poi quattro situazioni del suono da tener presenti:

I - come nasce;II - come si trasmette;III - come si propaga;IV - come viene percepito.

Del primo aspetto sarebbe sufficiente dire che se non c’è corpo sonoro non ci può essere suono. Ma è anche doveroso dire che molte volte non sospettiamo di avere attorno a noi corpi sonori vibranti ed emettenti suono, mentre invece non soltanto ci sono, ma addirittura hanno su di noi un certo tipo di influsso. Ad esempio, in una chiesa ci possono essere candelieri, vasi di porcellana, riflettori, lampadine, altri corpi che, molte volte, vibrando “per simpatia” con altre fonti sonore (e possono essere anche soltanto i nostri pas-si sul pavimento), emettono suoni non coordinati che giungono inavvertitamente a noi (al nostro orecchio, alla nostra pelle, al nostro subconscio, in ogni modo a noi) e ci possono influenzare psicosomaticamente. Metteremo a punto il II e III aspetto quando prenderemo in considerazione il rapporto suono-ambiente. Il IV aspetto, cioè la percezione del suono, si verifica attraverso il nostro orecchio.

Tralasciando un’analisi di costitutività e di funzionamento, dico soltanto che il nostro orecchio è un trasduttore naturale (vedremo più avanti il significato di trasduttore) e che l’avvenimento base

di Giovanni MaRia Rossi

IL CANTO E LA MUSICA NELLA LITURGIA ATTUALE3.

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della percezione consta dell’eccitazione del liquido dell’orecchio interno, con movimenti vorticosi procurati dalle frequenze d’onda del suono e dalla trasmissione di questa sensazione al cervello, attraverso la stimolazione di un piccolo gruppo di terminazioni nervose.

Va detto però che il fenomeno dell’udito è molto complesso. Infatti, in molti casi c’è assoluta interdipendenza fra aspetti di natura puramente fisiologica ed altri dovuti alla percezione psico-logica del suono. Ma ci sono anche altre componenti. Ad esempio, l’udito si avvale pure di una trasmissione trans-ossea dei segnali afferenti, di notevole importanza; vi è poi da tener presente la percezione pressoria dell’evento sonoro per mezzo dei recettori della cute; infine va ricordata la vibrazione interna dovuta all’entrata in risonanza dei grandi organi cavi.

Un’altra importante componente del suono da considerare motto attentamente è il ritmo.Senza addentrarci nei complessi meandri della storia del ritmo teniamo almeno presente que-

ste due grosse differenze, che io preferisco presentare semplicemente così:c’è un – ritmo libero che si basa sul comportamento della parola (sillabe toniche/sillabe àtone), per cui appoggi e distensioni (tesis/arsis, cioè battere/levare) sono dati rispet-tivamente dagli accenti “portanti” del discorso musicale e dai suoni “derivanti”, senza quantificazione precostituita; cosa che vale sia per il cantato che per lo strumentale;c’è un – ritmo misurato che si basa sulla scelta precostituita di una misura di tempo, sud-divisibile numericamente nelle sue frazioni, per cui la durata dei suoni è nettamente misurabile e scandibile in modoartificiale; per tale causa, qualora ci fosse la parola, essa potrebbe venire artata o comunque manipolata a piacere. Un semplice esempio; proviamo a dire “Signore”. Proviamo poi a cantare questa parola, ad esempio sul suo-no dì FA e con metronomo 60 al quarto, dando alla prima sillaba il valore di un quarto, alla seconda di due quarti, alla terza di un quarto. Abbiamo obbligato noi la parola ad atteggiarsi secondo il nostro volere, facendola diventare “allargata”, perciò dandogli altra tipicità

Suono-senso; suono-segno; suono-simbolo

Ora consideriamo alcuni elementi di psicoacustica.È impressionante mettersi in ascolto dei suoni emessi dai vari animali. Ma dovrebbe essere

ancora più importante rendersi conto che la comunicazione sonora animale, compresa quella umana, non è mai priva di senso. Non ci sono suoni emessi a caso. Ogni suono ha un suo spe-cifico significato comunicativo connotativo, anche quando non ha un significato convenzionale denotativo (denotativo = ovvio e primario per tutti; connotativo= specifico e secondario, non ovvio per tutti. Es fanciullo, bambino, bimbo, pupo, denotano la stessa cosa, ma hanno connotati diversi, perché evocano risonanze affettive diverse).

In sostanza, la comunicazione sonora animale è caratterizzata da tre princìpi:

a) ogni emissione sonora deve fungere da segnale;b) ogni segnale è specifico;e) ogni emissione-segnale è in concorrenza con altri rumori e altri segnali (Leroy y., L’universe

sonore animal in “Journal de Psychologie”, 1977).

“In humanis” però intervengono le cosiddette “interpretazioni”, le quali derivano, in genere, dalla conoscenza dei parametri fondamentali del suono e dalla percezione dei suoni filtrata da informa-zioni vaghe, aspecifiche, ambigue, ecc. Per cui, ad esempio, di fronte al segnale specifico dell’al-tezza del suono, visto che l’orecchio umano percepisce maggiormente gli armonici dei suoni bas-si, mentre quelli dei suoni alti sono considerati ‘’ultrasuoni’, tendiamo a dare ai suoni alti il senso di “purezza, limpidezza”, mentre diciamo dei suoni bassi che sono “scuri, densi”. Sono interpretazioni psico-socio-culturali. Tra l’altro il “culturale”, proprio perché tale, procura altra varietà di interpre-

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tazioni. Ad esempio Ujfalussy (L’aspetto musicale della realtà, Budapest 1962) segnala che nella lingua popolare ungherese i suoni acuti vengono detti “sottili”, i bassi “grossi”.

Parecchi etnomusicologi concordano nell’affermare che alcuni accostamenti sono invece co-muni a tutti; ad esempio la serie basso-scuro-pesante viene associata facilmente alla sensazione di cupominaccioso. Se si aggiunge un effetto timbrico deformante diventa facilmente diabolico-terribile.

Questi brevi cenni dovrebbero già esse-re sufficienti a suscitare una prima riflessione: quanto sono faciloni coloro che pensano di usa-re un’amplificazione a “toni scuri”, perché è “più robusta”; o peggio coloro che restano indifferen-ti al “chiaro” o allo “scuro”. Sono ancora troppi coloro che non si pongono domande sul senso dei suoni ; in tal modo, la parola liturgica e il momento rituale non acquistano senso e, ovvia-mente, si fanno celebrazioni... senza senso.

Senso-segno-simbolo del suono, anche in li-turgia, sottostanno al rapporto tra vari elementi (individuali, culturali, biologici, psicologici, ecc.) ed è in conformità a questo rapporto che va stu-diata la relazione suono-rito.

Si vedano, a questo proposito, i vari apporti dì studio del gruppo “Universa Laus”, apparsi nelle varie riviste liturgiche e liturgico-musicali, nazio-nali e internazionali, in questi ultimi 30 anni.

Il rapporto persona umana-suono

La persona umana è sonoro-musicale e vie-ne prima delta musica-oggetto Certamente la relazione persona umana-suono va studiata nelle sue varie dimensioni (antropologiche, psi-cologiche, fisiologiche, sociali). Qui ci si deve limitare ad alcuni punti.

Anzitutto dobbiamo tener presente che il primissimo rapporto della persona umana con il suono è nella persona umana stessa. Le ri-cerche di Tomatis (“L’orecchio e la voce”, BaLdini & CastoLdi, Milano 1993) e di altri autori hanno dimostrato che dal quarto mese della vita intrau-terina il feto coglie, a livello cocleare, i suoni del-la fascia di frequenza media corrispondenti alla voce materna.

Più precoce ancora è la capacità di percepire, attraverso canali vestibolari, i suoni a frequenza bassa prodotti dall’organismo materno (il battito cardiaco, il rumore ritmico della respirazione, i borborigmi gastrici intestinali). Questi stimoli sonori sono chiamati “musica interna”. Essa, dopo la nascita, andrà a collocarsi, dal punto di vista dell’evoluzione percettivo-comunicativa, in un’area intermedia tra immagine e parola, che può promuovere (e richiedere) atti mentali profondamente trasformativi.

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L’altro rapporto della persona umana con il suono si verifica attraverso la “musica oggetto”, ossia quella che sta al di fuori della persona umana, ma che la influenza , soprattutto per i suoi rimandi percettivi e di pensiero, cognitivi ed affettivi, ai processi rappresentativi interni di cui so-pra. Una gestione matura della “musica oggetto” non rischierà mai di portare verso la regressione (ossia farci tornare a livello di feto), mentre un funzionamento mentale di questo tipo caratteriz-

za, ad esempio, una certa sottocultura giovanile (intesa come condivisione di un codice di valori superficiali ed effimeri, legati prevalentemente al bisogno e ai contingente) tendente atta ricer-ca dell’automantenimento, senza critica elabo-razione e consapevolezza (cfr. PostaCChini, PiC-Ciotti, Borghesi, “Lineamenti di musicoterapia”, Ed. La Nuova Italia Scentifica 1997).

Ad esempio, per quanto ci riguarda, può suc-cedere che un gruppo giovanile faccia apparire sulla stampa questo annuncio: “I giovani della Pastorale Giovanile delle parrocchie di... e di..., invitano tutti i giovani amanti della compagnia che hanno voglia dì cantare e d’imparare can-zoni nuove per divertirsi, a ritrovarsi in chiesa ogni mattina della domenica e delle altre feste comandate” (in “Corriere delle Alpi”, 16 ottobre 1996). Ogni commento mi sembra superfluo.

Udire e ascoltareUdire: II suono arriva alla mia persona, ma io

non ne vengo coinvolto in modo totale, perché non mi interessa porre l’attenzione su “quel” suono. Re-sta comunque il coinvolgimento inconscio.

Quanti suoni udiamo? Moltissimi (anche con-temporaneamente) o pochissimi, secondo i luo-ghi in cui siamo. E mentre “udiamo” possiamo compiere anche altre azioni che ci interessa svolgere. Se questo “udire” è voluto come “sot-tofondo”, diventa positivo; diversamente può cre-arci fastidi più o meno consci. È ciò che succe-de molte volte anche durante le azioni liturgiche, specialmente se celebrate all’aperto, allorquan-do siamo attorniati da suoni vari, della città, del-la piazza, della folla incapace di raccoglimento silenzioso, ecc. In questi casi bisogna imparare a difendersi: vedremo qui di seguito come.

Ascoltare: certamente in questo caso ci si mette in ascolto. Ma ci può essere un ascolto attento e uno attentivo. L’attento è ancora passibile di sudditanza a disturbi esterni. L’ attentivo invece co-stituisce la profonda attività dell’attenzione, per cui io ascolto unicamente e soltanto l’ avvenimento sonoro che intendo ascoltare. Ma questo proviene da un insieme di tanti elementi: silenzio inferio-re, distensione, ascolto con tutti i sensi, con le orecchie, (a mente, il cuore, la fantasia, la memoria, le competenze tecniche e culturali; ascoltare per percepire, per una propriocezione totale, per cogliere, capire, sentire, immaginare, pensare, ricordare.

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È dunque proprio l’ascolto attentivo che ci offre la possibilità di isolare i rumori/suoni di fondo; la nostra mente sa fare anche questo. Occorre però allenarsi. Tale atteggiamento servirà soprattutto quando saremo di fronte alla Parola.

Coinvolgimento psicosomatico e spirituale

L’orecchio interno contiene già nella sua struttura un rapporto psicosomatico, essendo il vesti-bolo relato al soma e la coclea alla corteccia cerebrale, la quale, per i neuropsicologi, è la zona della psiche. La concezione classica considera la coclea deputata all’ascolto e il vestibolo all’equi-librio. In ogni caso è un dato di fatto che una vibrazione acustica investe sia i liquidi della coclea sia quelli del vestibolo. La differenza sta nel fatto che a colpire le cellule acustiche della coclea sono le frequenze corrispondenti ai suoni melodici, mentre le onde di pressione sonora pulsativo-ritmica provocano altri movimenti periodici nei liquidi del vestibolo. Da quest’ultimo nasce un riflesso audio-

muscolare, in altre parole un’azione dinamica, che si traduce nel movi-mento del corpo.

Questo avvenimento all’inizio è vissuto inconsapevolmente a livel-lo somatico. Lo si vìve consape-volmente soltanto se si considera l’esperienza in seguito, guardando al passato. Allora può essere còlto nel suo valore estetico: e qui interviene il livello corticale, vale a dire l’ope-razione della psiche (ansaLdi G., “La lingua degli angeli”, Guerini Studio, Milano 1993).

Il coinvolgimento dello spirito dove si colloca? Siamo olistici, dun-que la parte più profonda del nostro essere è intimamente legata alle al-tre. Soma, Psiche, Pneuma, sono insieme un tutt’uno e si influenzano a vicenda.

Dunque il suono che agisce a li-vello psicosomatico agisce pure a livello spirituale. Ma è chiaro che più io dò spazio alla scansione pulsati-va ritmica, magari di tipo isocronico, ad alti volumi, di un corpo sonoro e più sarà stimolato in me il vestìbolo, dunque il riflesso audio-muscolare somatico, con appannamento degli altri due livelli, cioè quello psichico e quello spirituale.

Integrazione, armonizzazione, sintonizzazione

Anche in liturgia l’impiego di suoni-musiche deve essere in grado di favorire nella persona la gestione dei vissuti corporei e delle rappresentazioni mentali che si verificano nei riti. Questo,

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secondo me, a somiglianza di quanto avviene in musicoterapia, può avvenire attraverso l’integra-zione, l’armonizzazione, la sintonizzazione.

Per integrazione si intende una chiarificazione da parte dell’individuo fra costituzione del mondo interno e costituzione del mondo esterno che si attua per gradi e cioè:

consapevolezza di occupare una propria posizione nello spazio (identità corporea e –spaziale);capacità di organizzare rappresentazioni di sé tali da avere chiaro il sentimento di esse- –re e rimanere se stessi nonostante i cambiamenti che contrassegnano il corso dell’esi-stenza;raggiungimento dell’integrazione sociale, cioè capacità di articolare correttamente il –processo relazionale “io/altri”.

Raggiungere l’integrazione fino al massimo livello dovrebbe essere obiettivo di tutti. Per con-seguirlo però bisogna passare attraverso una successione di eventi chiamata armonizzazione, la quale si realizza attraverso una tecnica chiamata sintonizzazione.

Il processo di armonizzazione avviene quando all’interno della persona si compie un’adeguataintegrazione tra sensazioni corporee, stati emotivi e sentimenti. Suono-musica dovranno quindi

aiutare l’armonizzazione degli analizzatori sensoriali e motòri, portando ciascuno di essi a inte-grarsi nell’organizzazione mentale complessiva, in modo che ci sia sufficiente fluidità nei rimandi dal sensoriale al motorio, dal visivo al tattile, dal tattile all’olfattivo, e così via. Ma altrettanto fluido dovrà essere il passaggio tra i momenti di percezione sensoriale e quelli di elaborazione menta-le.

Infatti è senz’altro vero che, nelle esperienze di eccessiva intellettualizzazione, il corpo può es-sere disinvestito pressoché totalmente di significato. Il dualismo mente-corpo deve lasciare il cam-po alla possibilità di integrare le sensazioni corporee negli schemi mentali (PostaCChìnì, PiCCiotti, BorGhesi, op. cit)). Teniamo ben presente questo passo se vogliamo celebrare con suono-musica in modo veritiero.

Ma veniamo alle tecniche sintonizzanti.Secondo la teorizzazione di Stern, le sintonizzazioni costituiscono il fondamento di qualsiasi

modalità di comunicazione non verbale (suono-musica senza parole, dì cui sì fa largo uso anche in liturgìa). Bisogna considerare il fenomeno a partire da ciò che avviene nella primissima infan-zia.

Ad esempio: ad una proposta vocale del bambino, la madre risponde con una carezza; a un toccamente risponde con un sorriso; ecc. Con questo tipo dì comunicazione si pongono le basi percettive delle future operazioni di tipo simbolico. Proseguendo nel suo cammino vitale, la ca-pacità del bambino di sintonizzarsi a proposte materne di tipo verbale, motorio, sensoriale e la armonica corrispondente capacità materna di sintonizzarsi su proposte del bambino, costituisce lì primo evidente emergere dei processi rappresentativi e dell’identità personale. Resterà comun-que sempre nella persona questa radice dì comportamento, per cui le azioni primarie avverranno nell’area del guardare, del sentire, del toccare, cioè nel sensoriale, mentre i processi rappresenta-tivi maturi avverranno nell’area del vedere, dell’ascoltare, del discriminare (stern, “Affetti, natura e sviluppo delle relazioni interpersonal”i, Laterza, Roma-Bari 1987).

Il sonoro utilizzato potrà alimentare i processi di sintonizzazione intra e interpersonale, se si baserà sull’analisi delle qualità parametrali fondamentali e sul loro intelligente impiego. Qualche esempio (tenendo sempre presente, come ho già accennato, che accanto a questi fattori ve ne sono altri di natura più specificamente culturale o inconsci, legati alle vicende emotive dell’età evolutiva dell’individuo). Suoni di elevata velocità, bassa intensità , e breve durata, rimandano a dimensioni spaziali, in questo caso al senso del “piccolo”; viceversa suoni di elevata velocità,

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breve durata, ma forte intensità sono più pertinenti ad esprimere fenomeni aggressivi. Qualora il parametro fondamentale scelto sia il timbro, per aiutare la sìntonizzazione bisognerà tener pre-sente che il fonosimbolismo sottostante è soprattutto imitativo, per cui, ad esempio, un timbro che richiamasse uno sgocciolìo, porterà alla mente immagini relative (PostaCChìnì, PiCCiotti, BorGhesi, op. cit).

Proviamo a fare una veloce applicazione per la liturgia. Un sottofondo con timbri violeggianti non è adatto per aiutare una mia sìntonizzazione intra e interpersonale celebrativa nel contesto di un forte rito acclamatene. Così pure, certamente non mi “sintonizza” un corale organistico dì J.S. Bach costruito su tema ben conosciuto (quindi mi dis-toglie), con contrappunti svolazzanti e suonato con una dinamica “spinta” a “commento” (?) di una pacata e breve “Parola di Dio”, il cui contenuto nulla abbia a che fare con quel tema di corale luterano (è successo nella Cappella Si-stina e proprio durante una celebrazione con un gruppo di esperti che aveva poco prima discusso anche di queste cose!).

Dobbiamo assolutamente chiedercelo: dove porta un certo repertorio, una certa intepretazione del repertorio stesso, una certa voglia di esibizione, una certa dimenticanza delle persone reali e via dicendo? Con i suoni viviamo una liturgia in modo integrato, armonizzato, sontonizzato o non piuttosto schizzoide o perlomeno immaturo?

A questo proposito non si può ignorare che gli immaturi non vanno “eliminati” ma piuttosto aiuta-ti. Una buona soluzione può essere desunta anche per il contesto liturgico, da quanto suggerisce il Prof. o. r. Benenzon (“Manuale di musicoterapia”, Boria, Roma 1992) parlando del trattamento degli immaturi; vanno presi così come sono e al punto in cui sono, con i loro suoni e i loro movi-menti, aiutandoli, gradualmente, a compiere un’integrazione matura della personalità.

A ben vedere questo è esattamente ciò che è stato considerato, prospettato e fatto (e si conti-nua a fare) da parte del gruppo di studio UNIVERSA LAUS, attraverso le proposte per celebrare con i fanciulli, con i giovani, con gli adulti, nel rispetto delle identità oltre che della “unità nella diversità“ (cosa chiaramente illustrata dai documenti conciliari), ma anche nel giusto richiamo e nell’indicazione di ciò che maggiormente può aiutare a raggiungere una buona maturazione dal lato celebrativo.

IL RAPPORTO SUONO-AMBIENTE

Vari tipi di vani/chiesa

Per noi deve essere molto chiaro che il vano/chiesa è una cassa di risonanza e che la tipologia diversificata del vano/chiesa non corrisponde soltanto a un determinato stile, ma a una determi-nata risposta al suono.

Architettura e suono

Tra vani estremamente risonanti e vani anecoidi (cioè privi di qualsiasi, anche minimo, river-bero) è bene trovare l’equilibrio a prò del nostro celebrare. Purtroppo, per molte chiese costruite in tempi di “teologia dell’arcano11 (ma se ne costruiscono ancora oggi così!) non s’è pensato al benché minimo intervento per adattare gli spazi alle celebrazioni post-conciliari.

Celebrare all’aperto

È evidente che un piccolo gruppo non incontrerà problemi in tale situazione. Questi nascono in occasione di celebrazioni di massa. E ormai siamo abbastanza abituati a vederne e magari a ge-stirne. Le soluzioni fondamentali per quanto riguarda la diffusione del suono risiedono nell’amplifi-cazione, che andrà curata sia dal lato della qualità, che della postazione e direzionalità. Evitiamo

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di farci deridere da chi la sa lunga nel mondo dello spettacolo, ma soprattutto evitiamo di rendere un cattivo servizio (H che vuoi dire celebrare per celebrare) alla Parola di Dio.

La nuova frontiera del suono: l’elettronica e il digitale

Un primo suggerimento: diffidiamo di amicizie, conoscenze, persona fidata, l’ha fatto anche il tale. Assicuriamoci piuttosto della sicura affidabilità tecnica, attraverso gli autentici competenti, gli specializzati in materia. Si spenderà qualcosa in più, ma il rispetto per la resa liturgica sarà assicurato. Non mi dilungo: occorrono ottimi microfoni, un ottimo amplificatore, casse acustiche di riproduzione (altoparlanti) che permettano un ascoso ottimale.

Gli elettrofoni

Il più conosciuto è senz’altro il sintetìzzatore dì suoni, munito di una tastiera, simile a quella di un organo o dì un pianoforte, con poche o molte ottave.

A seguito del rapido progresso tecnologico questo strumento ha subito e continua a subire un’infinità di trasformazioni; ne escono in continuità nuovi tipi.

Il Sint. può spaziare nell’intero campo delle frequenze udibili; l’intensità/volume di suono può essere variata a partire dai minimi fino ai massimi valori di soglia; certo molto dipenderà dagli am-plificatori e dagli altoparlanti.

In ambito liturgico il Sint. può essere di grande aiuto, ma può anche diventare, in parte, un apparecchio pericoloso. Strumentisti liturgici non esperti possono “giocarci” e “distrarre dal rito”, usando timbri inopportuni, e magari innestando le percussioni elettroniche da “disco music”. I pa-stori aiutino anche in questo i loro animatori più sprovveduti. Il discorso sulla “maturazione”, di cui sopra, dipende molto da loro.

La “campionatura” (o “campionamento”)

È l’uso del processo digitale nella registrazione e susseguente riproposizione fedele del segna-le registrato. La riproposizione fedele del suono originario è legata alla più o meno perfetta ope-razione di fissaggio, come pure all’amplificazione e alla diffusione. Se l’operazione complessiva di campionamento-amplificazione-diffusione sarà accurata, potremo avere “in casa nostra” i suoni del Principale 8’ del I Manuale dell’organo xy.

Suono e sinestesie (ascoltare-sentire-vedere-fiutare-toccare il suono)

La Sinestesìa genericamente è definita: <trasposizione o scambio di proprietà da un senso ad un altro>. Vista, udito, gusto, olfatto e tatto hanno ciascuna una proprietà specifica. Si verifica in me sinestesia totale se, ad esempio, in un ascolto musicale comune, io dico di non sentire alcun suono, ma piuttosto un odore o una serie di odori, mentre gli altri (o quasi tutti gli altri) sentono sol-tanto i suoni e nessun odore. Oppure, in altro caso, dico di sentire il gusto di un buon dolce mentre ne vedo soltanto la rappresentazione visiva.

Quelle, però, che maggiormente si verifìcano sono le relazioni sinestesiche, Subito un esempio per farmi capire. Ascolto un pezzo musicale con un certo tipo di ambientazione, ad esempio con la presenza di pannelli blu che io osservo. Finito il pezzo tolgo questi e metto dei pannelli rossi.

Riascolto lo stesso pezzo musicale, osservando i pannelli rossi. Il suono è diventato aggressivo.Un’ambientazione diversa procura delle varianti di significato allo stesso identico pezzo musi-

cale.Non è cosa di poco conto se la applichiamo alla liturgia!Certo, ci sono persone più o meno sinestesiche, come pure persone che non proveranno mai

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la sensazione sinestesica, o non avranno il coraggio di manifestarla, perché troppo cerebrali, inca-paci di “lasciarsi andare all’avvenimento”, quasi perennemente in atteggiamento aggressivamente critico.

Nonostante queste grandi possibili diversità di reazione da parte dei partecipanti alle celebra-zioni, non esattamente quantificabili, noi dovremmo comunque sempre stare attenti agli accosta-menti sensoriali durante i riti. Ad esempio: in quanti pensano alla relazione olfatto/suono? Come si fa a cantar bene o suonare cose eccelse in certe chiese graveolenti, buie, in cui c’è di tutto, in cui regna il pacchiano, il “kitsch”?

CANTO E LITURGIA

L’insegnamento delta tradizione primitiva

In quel periodo il suono-canto si limita a “dar voce al testo”, non “usa” il testo come pretesto per divagazioni vocali.

Lo strato fondamentale del canto liturgico romano primitivo è costituito dai recitativi, ossia for-mule, per le orazioni, i versetti salmodici, le acclamazioni, i dialoghi, alcuni tra gli inni più antichi, i prefazi, il Pater noster, le litanie, il Sanctus (XVIII nel “Liber Usualis”), il Te Deum, il Gloria (XV nel “Liber Usualis”), i ritornelli su testi salmici.

Si può notare che tutte queste melodie, di tipo formulistico, sono perfettamente aderenti alla parola e al momento rituale e, compositivamente, sono di un’estrema semplicità. Ben si può ca-pire il perché: appartengono a quel periodo che va fino al sec. V, in cui tutto il popolo partecipava attivamente al canto liturgico.

Con il sec. VI si apre la strada ali’ “élite”, i melòdi e i “cantores”, che creano ed eseguono pezzi sempre più ornati, melismatici, lasciando al popolo le briciole o addirittura ammutolendolo. Siamo dovuti arrivare fin quasi ai 2.000 per “cominciare a raddrizzare la rotta! Convìnciamoci, perciò, che siamo soltanto agli inizi.

Forme vocali in relazione ai vari riti

In contrasto con la pre-conciliare “stilizzazione”, legata al “congelamento rituale”, si rendono ora necessari vari gesti sonoro-vocal-canori. Andrebbero considerati e illustrati uno per uno, ma in questo contesto permettetemi di citarli soltanto, anche perché so che, almeno In parte, sono stati già trattati.

La de-clamazioneLa pro-clamazioneL’ac-clamazione: grido e innoLa cantillazioneForme compositiveLa formula salmodicaII recitativoLa litaniaII TroparioLa monodia contemporaneaPolifonia vocale contemporanea

Canto accompagnato contemporaneo, con coinvolgimento di Assemblea, soli, coro, strumentiTutti questi gesti e forme compositive sono ancora troppo poco applicati in giusta maniera, sia

dai compositori che dalle varie comunità cristiane. La relazione testo-musica è ancora troppo poco curata. Ciononostante vi è un “pusillus grex” che crede fermamente nel rinnovamento liturgico an-

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che dal lato musicale e lavora indefessamente perché il Mistero Pasquale di Cristo sia cantato con tutte le sue differenziazioni e relative forme simboliche richieste, affinché il “segno segni”.

Vi è infatti una piccola ma significante produzione attraverso la quale Presidente, Assemblea, Coro, Soli, Strumenti, si esprimono con canto-suono-musica-movimento, in aderenza ai vari, diffe-renziati riti. Anzi, qualche coraggioso che guarda avanti, legge tra le righe dei documenti e azzarda alcune proposte Irturgico-musicali che paiono particolarmente invitanti e stimolanti, ma comunque al posto giusto, anche se innovative. Tra l’altro non restano a livello di proposta “sulla carta”, ma vengono realizzate, dimostrando così la loro aderenza ad una ritualità più che mai viva, vera e attuale.

Canzone e canzonetta: quali termini di giudizio

Fino verso il 1920 la canzone era ancora molto simile alla “romanza” di fine ‘800, ossia so-prattutto s’ imponeva la melodia ben cantata; stilisticamente la si può porre tra il genere lirico e le ballate del cantastorie.

Negli anni 30/40, specialmente a fine guerra mondiale, anche in Italia si impone decisamente l’influsso nordamericano della canzone molto ritmata, con scansioni sincopate oppure con accentuazioni forti date dalle percussioni. Tra l’altro nasco- no forme di ballo molto movimentate, che si staccano decisamente dalle classiche forme del cosiddetto liscio” (valzer, tango, mazurka, ecc.).

Quel che più si nota è la mutazione della relazione parole/musica. Nella canzone melodica si cantavano testi significativi e magari impegnati, nella canzone ritmica solitamente il testo interessava poco, anche perché tale canzone era soprattutto finalizzata al ballo. Da questa distinzione si pos-sono trarre per il nostro oggi alcuni termini di giudizio.

Anzitutto teniamo presenti alcuni princìpi fondamentali:

“La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico” (SC, n° 123), per cui anche la canzone, melodica o no, ha tutto il diritto dì entrare in liturgìa, “purché corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e alla natura delle singole parti e non impedisca una giusta partecipazione dei fedeli” (IMS, n° 10).

Talvolta, perché il messaggio liturgico della celebrazione sia “incarnato”, per quella comunità, per quelle determinate persone, in quel “qui e ora”, occorrerà proprio che le parole rituali vengano espresse con il linguaggio-canzone e con uno stile melodico. Per un altro rito, ad esempio una situazione molto acclamatoria, sempre per quel tipo di persone, occorrerà un linguaggio-canzone che contempli uno stile a scansione ritmica accentuata.

È qui che si innesta il giudizio: quale melodia? quale scansione ritmica? Mentre preparo la li-turgia (sia dal lato compositivo che di animazione) so vagliare bene se quella melodia è adatta a quel testo per quel rito o la scelgo “perché piace”? E quel ritmo: aiuta l’acclamazione o soltanto mi fa “muovere”, e magari battere le mani, “ma il mio cuore è lontano da Lui” (Is 29,13)? Insomma, si tratta di canzoni per celebrare o di canzonette per far contenti gli allocchi? C’è un altro passo della Parola di Dio che ci scuote: “II culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani” (Is 29,13).

Si potrebbe fare anche un’analisi musicologica dell’artisticità a confronto della banalità (ad esempio si vedano certi procedimenti a base di formulette tipo q e e ripetute infinite volte e bana-lizzanti o addirittura storpianti il testo). Preferisco piuttosto fermarmi al concetto di incarnazione e di aderenza al gesto rituale.

Mi permetto soltanto una breve aggiunta: non fanno certamente una buona cosa quelle comunità o

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ito gruppi che, per essere “moderni” vogliono inserire canzoni nelle loro liturgie, mentre ci si accorge distan-

te un miglio che non è pane per i loro denti. Non sanno rispettare e interpretare le sincopi,rallentano i tempi in modo ridicolo, sghangherano l’accentuazione delle parole e via dicendo.

All’opposto ci sono gli accaniti oppositori della canzone, di qualsiasi genere e stile si tratti. Molte volte ti accorgi che il perché dell’opposizione risiede nel fatto che questi signori non sarebbero nemmeno in grado di compiere, di tale linguaggio, una decente realizzazione, perché mancano di duttilità psicosomatica, non possiedono, neppure in minima parte, la sensibilità swing e demo-nizzano il sincopato semplicemente perché lo conoscono soltanto teoricamente. È un po’ la storia della volpe che non arriva a prender l’uva...-.”Tanto, è acerba”...

Dal “bel canto” alla “vocalità per celebrare i santi misteri”

L’esposizione vocale della “bella voce” o della cosiddetta “voce impostata”, sia solistica che co-rale, sia del presidente e dei ministri, che dei vari solisti e coristi, è uno stile che si è instaurato anche nella liturgia, attraverso la maggior parte delle interpretazioni delle famose “Messe can-tate” perosiane e simili, e dei vari “mottetti”, interpretazioni che si rifacevano alla vocalità liricomelodrammatica, così cara alla maggioranza degli italiani fino a non molto tempo fa.

In realtà molte volte, purtroppo, non si trattava nemmeno (e non si tratta, visto che ci sono ancora tali “esecuzioni”, qua e là) di “bel canto”, ma di “emissione a tutta voce” in cui è appunto la voce e non la parola a primeggiare. Talvolta si sentono ancora frasi allusive: “Quelle sì che erano belle Messe”...

Nell’immediato post-Concilio Vaticano II vi fu una ribellione da parte dei giovani e qualcuno andò all’opposto. Nacquero vocalità volgari e sguaiate anche nella liturgia, che ora paiono scomparse. Penso che per “essere segno”, celebrando “i santi misteri”, un “ministro del canto” debba decisamente prendere coscienza anche di questo problema. Dovrebbe curare una vo-calità pariatacantillata-cantata che punti sul modo migliore per rendere il segno rituale vero e significante, affinchè diventi effi-cace.

Il canto degli attori della celebrazione

Il Presidente, l’assemblea, il coro, il salmista, il solista, il diacono e il lettore, hanno, ciascuno, un ruolo specifico e perciò dovrà essere contemplata una loro modalità specifica di intervento gestuale e cantato (o comunque vocale), perché i! gesto celebrativo risulti veritiero. Si tenga però presente che vale comunque sempre il concetto basilare secondo il quale suono-canto-musica-movimento sono patrimonio celebrativo di tutti, anche quando è uno solo o pochi o un gruppo a intervenire.

Quanto al gesto canoro appropriato per ciascuno si deve far riferimento ai gesti e alle forme vocali di cui abbiamo fatto cenno pocanzi.

Cosa significa: “Rispetto della tradizione”

Riflettendo bene su ciò che dicono i documenti, in sostanza si può dire che qui si tratta di de-cidersi a capire che non ci vien detto di riprendere in mano tout-court il repertorio del passato, se non per situazioni a cui accennerò in seguito. Si tratta invece di ispirarsi ad esso. Cosa significa?30

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oMi pare di poter dire che sia il gregoriano del fondo romano-franco, sia la polifonia rinascimen-tale, possono costituire quella ‘tradizione” a cui legarsi, se ne scorgiamo alcune particolarità a cui agganciarci, pur guardando avanti, ossia componendo per le nostre odierne celebrazioni, con un linguaggio e uno stile che non ne ripeta pedissequamente le tipicità.

Quali sono queste particolarità? Consistono in quel <humus>, o <sapore>, o <immagine com-plessiva> che può ispirare oggi ancora le nostre architetture musicali, così come alcune linee ar-caico/classiche ispirano ancora oggi gli architetti per le forme architettoniche delle nuove chiese.

Scrive Cettina Militello: “II nostro secolo muoverà alla ricerca di nuove forme, [°] volto - dopo il Concilio Vaticano II - alla fatica di adeguare lo spazio a un modello ritrovato di chiesa comunione.

Sì, perché il mutare delle forme ci conduce sempre e comunque a recepire un modello e un’istanza dì comunione o ad allontanarla additando come preferenziali i percorsi disgiuntivi di laici e chierici.

Le forme sempre e comunque sottolineano tutto ciò. La storia dell’edificio cristiano è storia delrapporto del popolo di Dio al suo interno; è storia della sua non

facile trasparenza, del suo scacco o della sua vittoria nel segno in-clusivo di una comunione prossima a quella comunità delle origini che con la gioia nel cuore spezzava il pane nelle case”.

È una buona linea anche per suono-canto-musica. Pure noi di Universa Laus abbiamo pariate di “modelli operativi”. Un solo esempio. Da gregoriano e polifonia proviamo a desumere le mo-venze intervallari e le sovrapposizioni di 4a e dì 5a; “giochiamole” poi dal lato ritmico, melodico, armonico, contrappuntistico, dispo-nendole intelligentemente in base alle richieste rituali; distribuiamo il “gioco” tra i vari attori della celebrazione, riservando a ciascuno una parte ritmica, melodica, armonica, contrappuntistica, che gli possa convenire, e il segno della comunione, espresso in forma at-tuale, ma in legame di radice con la tradizione, si sarà realizzato.

E magari, come compositore, ne avrai anche gratificazione, quando ti sentirai dire: “II tuo linguaggio musicale è nuovo, ma non sconvolgente”. Che è poi la richiesta conciliare e postconciliare dei documenti ufficiali: si creino musiche nuove, ma non strane, anzi, scaturiscano, in qualche maniera, dalle forme già esistenti (MS, cap. VII).

MUSICA E LITURGIA

Da musicista “perla liturgia” quale sono ho provato a discutere con qualche “musicista-solo-musicista”: mi sono preso del “liturgologo”, del “traditore della musica”, con l’aggiunta della solita frase: “Una volta la Chiesa era protettrice delle arti”. Come se il grande, attuale Papa non avesse parlato agli artisti e come se la Chiesa, nella Liturgia delle Ore (vedi i Vespri del Martedì della III Settimana) non avesse scritto: “Agli artisti affidi la missione di rivelare lo splendore del tuo volto: fa che le loro opere portino all’umanità un messaggio di pace e di speranza”. Evidentemente vale sempre il detto: “Non c’è più sordo di chi non vuoi sentire”. Purtroppo si deve costatare che al musicista impegnato soprattutto nell’arte non interessa sapere e approfondire qual’è il vero scopo di suono-musica-movimento nella liturgia odierna. A lui interessa la salvaguardia dell’arte intesa a modo suo, ossia “l’arte per l’arte” ( già condannata da Pio XII nell’enciclica Musicae sacrae di-sciplina ). E allora ti capita di sentire ancora la grande definizione laica: “Dal momento che è arte, automaticamente va da sé che sia anche sacra”.

Quale musica allora per l’oggi della Liturgia? Non posso fare altro che delineare alcuni punti - 31

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base, frutto della riflessione fatta sui documenti aggiornati vale a dire sui Prìncipi e norme (IGMR, 1983; IGLH, 1970), che sono apparsi nei vari documenti per la Chiesa universale e per la nostra Chiesa italiana, e ai quali, in parte, mi sono già riferito nei primi due punti trattati. In realtà il fon-damento è la conoscenza di questi lineamenti, la quale purtroppo solitamente manca, per cui si discute all’infinito basandosi su idee e sensazioni personali.

a) C’è ancora posto per la cosiddetta “grande musica” ore-conciliare?

Cito una splendida puntualizzazione dell1 acuto e sempre attentissimo musicologo liturgico, Mons. Felice Rainoldi: Suono-canto-musica “ partecipano della dimensione sacramentale della liturgia; sono elementi simbolici di realtà essenziali e non ornato esteriore; sono incarnazione in strutture comunicative della Parola e delle parole del dialogo salvifico e non ingredienti vagamente misticoestetici di un culto religioso” (F.rainoLdi, in: “Canto e musica”, Nuovo Dizionario dì Liturgia, Ed. Paoline, Roma 1994). Quindi attenzione a certe celebrazioni che sanno più di manifestazio-ne della “grandeur”, che non dì celebrazione dei Santi Misteri. Esempio sintomatico (meglio, mal-esempio, che spero proprio non si ripeterà più) I’ “esecuzione” (tra virgolette!) in S. Pietro (la “chie-sa madre” che dovrebbe essere esemplare!) di una “Messa” di Mozart, diretta da Von Karajan. Nessun commento. La cosa poi ti lascia perlo-meno perplesso quando vieni a sapere che per festeggiare un 5O° di ordinazione presbiterale si risfodera ancora una “Messa” di Mozart, facen-do di una festa di popolo al e con il pastore illu-minato (era persona impegnata anche a livello di animazione liturgica!) una “Messa concerto”. Per noi semplicemente s-concertante!

b) Confronto tra il “solismo” pre-conciliare e il post-conciliare

“Criticate tanto i solisti delle Messe precon-cilìari mentre anche voi avete tutti questi salmisti e solisti vari nelle vostre canzoni”. È una delle critiche che ci siamo sentiti rivolgere, specialmente nei primissimi tempi del cammino liturgico riformato.

La risposta è semplice: le “arie” e i solismi mottettistici preconciliari si riferivano soprattutto a una scrittura e a una modalità esecutiva che appartenevano più all’esibizione artistica che alla interpretazione di un “gesto sonoro” per uno specifico contesto rituale. Quanto al canto, poi, era importante che ci fosse un “superdotato vocale” a interpretare “la parte”; non bastava una persona intonata che sapesse pronunciare bene il testo ed esprimesse bene il momento rituale. Oggi il solista, anziché primeggiare con lo splendore vocale, deve piuttosto nasconderei dietro la parola: spetta ad essa il primato.

c) Quale “grande musica” del nostro oggi per /’ attuale liturgia riformata

Dobbiamo fare una breve panoramica: in che cosa consistono il festivo e il celebrativo di grandi

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avvenimenti; quali forme, linguaggi, stili e formazioni vocali-strumentali possono esserne implicati Festivo/solenne vuoi dire “pomposo” o non piuttosto maggiore partecipazione attiva articolata? È infatti quest’ultima la regola postconciliare: “ Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di un’assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede” (MS 16).

Certo nei grandi avvenimenti si coinvolgeranno maggiori forze sia vocali sia strumentali, ma solo perché esprimono più compiutamente la ricchezza di espressioni di tutta un’assemblea in festa.

Ecco allora la varietà di forme, dì linguaggi e di stili per i vari riti, con il coinvolgimento di tante persone che cantano e suonano nel rispetto dei loro ruoli: il presidente, il diacono, gli eventuali concelebranti, la parte di assemblea che sta nella navata (navate), il coro (più o meno polifonico) che sta nel suo luogo vicino alla navata , il salmista, i solisti (che possono essere diversi secondo i vari riti), gli strumentisti (con differenziazione di strumentazione in base alla significatività dei vari riti, alla fonica del luogo in cui si celebra e al tipo di assemblea/coro/soli da sostenere e accom-pagnare). Ci sarà naturalmente la scelta di repertorio. Questo potrà anche essere “impegnato”, se

l’assemblea è in grado di farlo proprio, ossia di immedesimarsene per celebrare.

d) Il melodico feriale; il polifonico feriale; lo strumentale feriale

L’esempio di questo modo di procedere ci viene anch’esso dalla tradizione ed è senz’altro un buon esempio: è bene conservarlo.

In troppe comunità , per il vero, si fa poca differenza a riguardo di “ferialità-festività”. Ad esempio c’è chi canta e suona beatamente anche durante le grandi ferie di Quaresima. Al contrario, c’è chi “dice” pigramente un Messa di Pasqua o di Pentecoste. Non sia mai che lo si faccia per la notte di Natale: lì si scatenano tutte le spifferate possibili e immaginabili, soprattutto con le “cante” legate alla tradizione (del paese o della parrocchia: altro che gregoriano!); per cui

ti capita magari di sentire il parroco che, dopo le due consacrazioni (del pane e del vino), si rivolge all’assemblea e dice, in dialetto: “Adesso ci sediamo tutti e ascoltiamo la pastorella, perché è nato Gesù”!

È bene perciò chiarirci le idee. Vediamo cosa ci insegna la “tradizione genuina”:

il melodico feriale è più “asciutto”, ossia è sillabico, non ornato; –il polifonico feriale è in riferimento ad alcuni momenti rituali in cui si può intervenire con –armonie semplici;lo strumentale feriale è riferito al limitato numero di strumenti e all’assenza di preludi e –interludi strumentali di una certa consistenza.

Mi piace qui ricordare che una delle cose che mi sono sempre rimaste scolpite nella mente (e hanno inciso sulla mia identità sonoro-musicale-liturgica) è senz’altro la diversificazione dei segni sonori, per diversificare Tempi e Feste, così come era agita nella mia Parrocchia S.Andrea a Mila-no (eravamo negli anni del Parroco Bernareggi, fratello del liturgista Mons. Adriano!).

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ito Un piccolo esempio: in Quaresima, se proprio si dovevano accompagnare i canti, lo si faceva

con l’armonium.L’organo, poderoso anche da vedersi (anzi, oggi è, secondo me, anche troppo invasivo), era un

segno dichiaratamente “festivo”. Per cui a Pasqua, quando tornava con i) suo suono esuberante, faceva notare quanto era stato “feriale” il suono dimesso dell’armonium (un piccolo “Tubi”).

e) Gli strumenti musicali: caratteristiche specifiche, volumi e timbri nel solo e nell’insieme.

“Ogni tentativo dì teorizzare, e praticare, un non so quale cervellotico uso degli strumenti, che risulterebbe più <pio>, o <religioso>, o <sacro>, va ascritto fra le fantasie malsane”. È una simpa-tica asserzione di E. Costa (“Celebrare cantando” Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 1994) che faccio mia. È invece importante il “saperci fare” e la conoscenza delle caratteristiche e della significatività sonoro-timbrica degli strumenti (nei solo o/e nell’insieme), per saper impegnare quelli giusti, nel modo giusto, per un determinato rito.

Cito brevissimamente alcune particolarità:

il tanto glorificato organo a can- –ne può ammazzare il canto invece di sostenerlo (ricorderò sempre un forsennato organista francese che impiegava ripieni e ance per...ac-compagnare un’assemblea di po-che persone cantanti...; forse voleva stimolare le tante “mute”?!?); può viceversa rendersi insufficiente e dannoso se i registri scelti non sono adatti per accompagnare il canto (ad esempio “unda maris” e “voce cele-ste”); un flauto amplificato può soste-nere da solo la melodia cantata da una grande assemblea, mentre tre o quattro chitarre che facciano soltanto gli accordi, sono in grado di accom-pagnare esclusivamente un piccolo gruppo, il quale, penò, deve essere a conoscenza perfetta della melodia; va aggiunto comunque che motto di-pende dall’ambiente e dal tipo distrumento: una chitarra molto sonora o addirittura am-plificata, in un ambiente che rìsuoni bene, è sufficente a sostenere un gruppo anche di consistenza notevole;

rimanendo alla chitarra: gli accordi sgranati e rari sulle parole “portanti” durante la parte –cantillatoria di un salmo responsoriale vanno benissimo: in primo piano la PAROLA; se invece lo stesso testo viene accompagnato obbligandolo in un ritmo scandito dallo strumento in modo precostituito, non basato sul ritmo-parola, evidentemente si altera il rito, perché non è più la PAROLA ad essere in primo piano, bensì il ritmo imposto dalla chitarra;

sempre a proposito di cantillazione solistica si tenga presente che è preferibile accom- –34

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opagnarla con uno strumento dal suono toccato e subito rilasciato che non da uno stru-mento a lunga tenuta di suono; quest’ultimo infatti è meno adatto a lasciare alla parola la preminenza; unica buona soluzione è dare l’intonazione sufficientemente sentita ma poi accompagnare con un deciso pianissimo;

f) Preludi, interludi, postludi

La dote principale di uno strumentista liturgico è senz’ altro quella di saper improvvisare in base al rito che si celebra. È ovvio che per fare ciò occorre una completa preparazione basata su seri studi liturgico-musicali. Ricordare bene che non basta il “grande musicista11 ; costui finirà sempre per andare “peri fatti suoi”. Talvolta servirà anche tenere pronto un apposito repertorio già scritto (soprattutto per preludi e postludi) che però sia stato già composto sui temi del canto usato nella tale o tal’altra liturgia, come canto d’inizio o di “post-communio”.

g) Impasti vocali-strumentali

Devono essere studiati sempre in riferimento alla realtà celebrativa; quindi per “quella festivi-tà”, per “quel” momento rituale, per “quell’ As-semblea”, per “quelle” sensibilità, in riferimento a “quelle voci”, unisone o polifoniche, poche o tante, di sole voci medio-acute (donne e bambi-ni) o di soli maschi, con alternanza o meno e via dicendo. La riflessione e l’attenzione di cui s’è fin’ora parlato, qui devono essere più che mai messe in opera.

Alcune puntualizzazioni generali.

C’è chi parla dì “abusi” che vanno stroncati; ma gli abusi non si combattono con dei contro-abusi!

Dice ancora Mons. Weakland: “Purtroppo con l’infelice decisione di Papa Giovanni Paolo II - presa, ne sono sicuro, con molta angoscia - di accordare, nel 1984, l’indulto che consentiva al rito tridentino di riprendere vigore”, i fautori del latino e della salvaguardia del repertorio co-siddetto <sacro> hanno ripreso la loro battaglia,

“fino a pretendere di rovesciare le riforme liturgiche del Concilio”. Da che parte sta la verità: dalla parte dell’unione nell’unico rito latino riformato o dalla parte della divisione in due riti? C’è già molto spazio per una giusta creatività e questa è più che sufficiente per aiutare ogni comunità a celebra-re i Santi Misteri secondo la propria tipicità comunitaria. Dico comunitaria perché è inconcepibile una Liturgia che non sia così. L’azione liturgica non è mai unicamente opera del singolo, ma sem-pre e innanzitutto un gesto di Cristo Sacerdote e della sua Chiesa. Nell’Istruzione sulla Liturgia delle Ore si legge che pur celebrando le Ore in privato, si deve cogliere questo aspetto (IGLH, 32), pur tenendo presente che la celebrazione in senso pieno non si avverte effettivamente se non c’è un’assemblea.

Inoltre è urgente dirsi che né la “Sacrosantum Concilium”, né la “Musicam sacram” sono <l’ul-tima parola > conciliare sulla musica per la liturgia; infatti sono emerse nuove e sempre più det- 35

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ito tagliate norme e disposizioni particolari, che si trovano nei libri liturgici rinnovati e nei “Principi e

norme” per il loro uso. Ciò vale in modo particolare per le premesse al Messale (IGMR, 1983) e alla Liturgia delle Ore (IGLH, 1969), di cui abbiamo già parlato.

*Va poi onestamente riconosciuto che nella datata Costituzione “SC.” (4 Die. 1963: un abisso per il nostro tempo vertiginoso) c’è comunque già almeno una ricerca di equilibrio tra la dottri-na tradizionale ribadita(latino/gregoriano/polifonia) e un nuovo sentire liturgico, più aperto al fatto celebrativo in sé, un po’ meno centrato sulla musica. Si sottolinei molto bene la famosa e nuova frase in cui si dice che la musica per (a liturgia “sarà tanto più santa, quanto più strettamente unita all’azione liturgica”. Quanto poi al gregoriano viene.richiesta la “parità di condizioni” perché venga preferito in una celebrazione. Ma questa frasina: “ceteris paribus”, cioè: “a parità di condizioni”, viene quasi totalmente ignorata. Questa io la chiamo “manipolazione dei documenti”. Semmai, di un documento, si fa una circostanziata critica. Manipolarlo è operazione indegna. * A questo punto è bene chiederci: in che misura il repertorio del passato è oggi con facilità accessibile al Popolo di Dio, più direttamente coinvolto nei riti rinnovati? C’è il rischio reale di un ri-uso poco intelligente, non contestualizzato, al di fuori di una programmazione che tenga presente festa / riti / persone / ruoli. Infatti, ad esempio, si stanno purtroppo continuamente creando cori, più o meno parrocchiali, che si riappropriano di tutto lo spazio cantato della celebrazione. Si torna ad un “far musica perla musica”, che, il più delle volte, è non soltanto ben distante dall’adesione ai riti, ma addirittura anche dall’arte per l’arte! Ci fosse almeno quella!

Come conclusione mi piace citare una frase del grande liturgista benedettino, Mons. Magrassi, che fu vescovo di Bari fino a qualche anno fa: “Purtroppo si son cambiati i testi ma non le teste”. Certo, la conversione del cuore è la più difficile; più facile rimanere nel proprio trantràn, accam-pando varie ragioni puramente cervellotiche, senza andare alla radice della questione che è la celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo.

Ecco un breve campionario: “si è sempre fatto così”; “nella mia chiesa e con la mia gente so io come fare: i liturgisti hanno il buontempo”; “bisogna far cantare l’Assemblea, quindi il Coro è inutile”; “per la partecipazione attiva basta l’ascolto, quindi basta il Coro”; “una volta si poteva suo-nare tanto durante la Messa, adesso cosa ci sta a fare l’organista se non suona i suoi pezzi?”; “le chitarre hanno profanato le chiese, perciò io non vado più in chiesa”. E potremmo continuare.

Purtroppo, se badate bene, in tutte queste frasi manca il sostegno della “radice”, mancano le “teste pensanti” che, “con-vertite”, sappiano mettere il “Cristo vivente” al centro. È chiaro dunque che non saranno le soluzioni musicali tecniche a risolvere primariamente i nostri problemi litur-gicomusicali, bensì una faticosa ricerca catechetico-liturgica. I nostri Vescovi, qualche anno fa, avevano così titolato un loro documento: “Cantiamo la nostra fede”. Eh già, in ultima analisi non si tratta di arte, ma proprio di fede.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI 4. PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA

Aula Paolo VI Sabato, 10 novembre 2012

Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi accolgo, in occasione del pellegrinaggio organizzato dall’Associazio-ne Italiana Santa Cecilia, alla quale va anzitutto il mio plauso, con il saluto cordiale al Presiden-te, che ringrazio per le cortesi parole, e a tutti i collaboratori. Con affetto saluto voi, apparte-nenti a numerose Scholae Cantorum di ogni parte d’Italia! Sono molto lieto di incontrarvi, e anche di sapere – come è stato ricordato – che domani parteciperete nella Basilica di San Pie-tro alla celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Arciprete Angelo Comastri, offrendo naturalmente il servizio della lode con il canto.

Questo vostro convegno si colloca intenzio-nalmente nella ricorrenza del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. E con pia-cere ho visto che l’Associazione Santa Cecilia

ha inteso così riproporre alla vostra attenzione l’insegnamento della Costituzione conciliare sulla liturgia, in particolare là dove – nel sesto capitolo – tratta della musica sacra. In tale ricorrenza, come sapete bene, ho voluto per tutta la Chiesa uno speciale Anno della fede, al fine di promuove-re l’approfondimento della fede in tutti i battezzati e il comune impegno per la nuova evangelizza-zione. Perciò, incontrandovi, vorrei sottolineare brevemente come la musica sacra può, anzitutto, favorire la fede e, inoltre, cooperare alla nuova evangelizzazione.

Circa la fede, viene spontaneo pensare alla vicenda personale di Sant’Agostino – uno dei gran-di Padri della Chiesa, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo - alla cui conversione contribuì certamente e in modo rilevante l’ascolto del canto dei salmi e degli inni, nelle liturgie presiedute da Sant’Ambrogio. Se infatti sempre la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto natu-ralmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed al cuore – non c’è dubbio che la musica e soprattutto il canto possono conferire alla recita dei salmi e dei cantici biblici maggiore forza comunicativa. Tra i carismi di Sant’Ambrogio vi era proprio quello di una spiccata sensibilità e capacità musicale, ed egli, una volta ordinato Vescovo di Milano, mise questo dono al servizio della fede e dell’evangelizzazione. La testimonianza di Agostino, che in quel tempo era professore a Milano e cercava Dio, cercava la fede, al riguardo è molto significativa. Nel decimo libro delle Confessioni, della sua Autobiografia, egli scrive:

«Quando mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nel-la mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica» (33, 50).

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ito L’esperienza degli inni ambrosiani fu talmente forte, che Agostino li portò impressi nella memo-

ria e li citò spesso nelle sue opere; anzi, scrisse un’opera proprio sulla musica, il De Musica. Egli afferma di non approvare, durante le liturgie cantate, la ricerca del mero piacere sensibile, ma riconosce che la musica e il canto ben fatti possono aiutare ad accogliere la Parola di Dio e a pro-vare una salutare commozione. Questa testimonianza di Sant’Agostino ci aiuta a comprendere il fatto che la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegna che:

«il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» (n. 112).

Perché «necessaria ed integrante»? Non certo per motivi puramente estetici, in un senso su-perficiale, ma perché coopera, proprio per la sua bellezza, a nutrire ed esprimere la fede, e quin-di alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra (cfr ibid.). Proprio per questo vorrei ringraziarvi per il prezioso servizio che prestate: la musica che eseguite non è un accessorio o solo un abbellimento esteriore della liturgia, ma è essa stessa liturgia. Voi aiutate l’intera Assemblea a lodare Dio, a far scendere nel profondo del cuore la sua Parola: con il canto voi pregate e fate pregare, e partecipate al canto e alla preghiera della liturgia che abbraccia l’intera creazione nel glorificare il Creatore.

Il secondo aspetto che propongo alla vostra riflessione è il rapporto tra il canto sacro e la nuova evangelizzazione. La Costituzione conciliare sulla liturgia ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli (cfr n. 119). Ma anche proprio nei Paesi di antica evangelizzazione, come l’Italia, la musica sacra – con la sua grande tradizione che è propria, che è cultura nostra, occidentale - può avere e di fatto ha un com-pito rilevante, per favorire la riscoperta di Dio, un rinnovato accostamento al messaggio cristiano e ai misteri della fede. Pensiamo alla celebre esperienza di Paul Claudel, poeta francese, che si convertì ascoltando il canto del Magnificat durante i Vespri di Natale nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi:

«In quel momento – egli scrive – capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla».

Ma, senza scomodare personaggi illustri, pensiamo a quante persone sono state toccate nel profondo dell’animo ascoltando musica sacra; e ancora di più a quanti si sono sentiti nuovamente attirati verso Dio dalla bellezza della musica liturgica come Claudel. E qui, cari amici, voi avete un ruolo importante: impegnatevi a migliorare la qualità del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia ha due delle espressioni più alte, come afferma lo stesso Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium, 116). E vorrei sottolineare che la partecipazione attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica sacra. Voi, che avete il dono del canto, potete far cantare il cuore di tante persone nelle celebrazioni liturgiche.

Cari amici, auguro che in Italia la musica liturgica tenda sempre più in alto, per lodare degna-mente il Signore e per mostrare come la Chiesa sia il luogo in cui la bellezza è di casa. Grazie ancora a tutti per questo incontro! Grazie. 38

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TEORIA MUSICALE: NOZIONI DI BASE1.

La musica, il suono e i silenzi

La musica è un'arte e come tutte le forme di arte ha valore universalmente riconosciuto. Può es-sere definita come una successione di suoni e silenzi.Il suono è il prodotto della vibrazione di corpi elastici: nel caso della chitarra tali corpi elastici sono le corde.Tre sono i caratteri del suono e, precisamente, l'altezza, l'intensità ed il timbro.L'altezza è il carattere che ci consente di distinguere i suoni più alti da quelli più bassi o, per usare espressioni più corrette dal punto di vista musicale, i suoni acuti da quelli gravi.Le leggi dell'acustica stabiliscono che l'altezza dipende dal numero di vibrazioni di un corpo sono-ro e cioè dalla frequenza. Ad esempio le corde della chitarra sono corpi sonori che vibrano quando le pizzichiamo con le dita. Se pizzichiamo una corda molto sottile le vibrazioni saranno elevate ed il suono prodotto sarà acuto. Se, invece, pizzichiamo una corda spessa, questa farà fatica a muoversi e le sue vibrazioni saranno lente e poche: di conseguenza il suono sarà basso (grave). La frequenza della corda che vibra dipende anche dalla lunghezza della corda stessa. Più lunga è la corda più grave sarà il suono prodotto; più corta sarà la corda e più acuto sarà il suono prodotto. La tecnica costruttiva del manico della chitarra si fonda su quest'ultimo principio: infatti, quando il chitarrista preme le corde sui tasti della chitarra non fa altro che ridurre o aumentare la lunghezza della corda consentendogli di ottenere, rispettivamente, suoni più acuti o più gravi.

L'intensità è quel carattere che ci permette di distinguere i suoni forti dai suoni deboli.

Il timbro è quel carattere che ci permette di riconoscere la fonte del suono. Grazie al timbro siamo in grado di capire da quale strumento proviene il suono.

I nomi delle note

Per indicare le note vengono utilizzati due sistemi: la notazione alfabetica e la notazione sillabi-ca.La notazione alfabetica utilizza le lettere dell'alfabeto per identificare le note: A, B, C, D, E, F, G. Questo sistema è utilizzato nei paesi anglosassoni.La notazione sillabica identifica le note con le seguenti sillabe: DO RE MI FA SOL LA SI.

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ito La corrispondenza tra i due sistemi è la seguente:

A=LAB=SIC=DOD=REE=MIF=FAG=SOL

Le sette note vengono chiamate anche gradi. I gradi sono, ovviamente, sette anche se diventano otto con l'aggiunta dell'ottavo grado che è il primo grado in posizione più acuta.

Le note musicali, poste in successione, formano una scala che può essere ascendente o discen-dente:

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oLa notazione musicale

La notazione musicale è un metodo di scrittura musicale completo ed autosufficiente, universal-mente riconosciuto, che permette di trasmettere la musica senza la necessità dell'ascolto. La sua conoscenza permette da un lato di suonare un pezzo musicale senza mai averlo ascoltato prima e, dall'altro, di trascrivere e rendere riproducibile una qualsiasi idea musicale.Per notazione musicale, nello specifico, si intende l'insieme di simboli utilizzati per scrivere musi-ca. Ogni simbolo avrà un suo preciso significato ed un suo effetto sulla riproduzione strumentale.

Alla base della notazione musicale vi è il Rigo Musicale chiamato anche Pentagramma. Il termine pentagramma deriva dal greco pente=cinque e gramma=linea: ed, infatti, è costituito da cinque linee parallele ed equidistanti che formano quattro spazi. La posizione delle note sul pentagramma indicherà l'altezza della nota stessa: più alta è la nota e più in alto sul pentagramma verrà riportato il relativo simbolo.

Il primo simbolo che si incontra sul rigo musicale è la cosiddetta chiave. In questa sede ci occu-peremo solo della chiave di violino o chiave di Sol che individua la posizione della nota Sol, posta sulla seconda linea, in relazione alla quale vengono di conseguenza determinate le posizioni di tutte le altre note. Sia il violino che la chitarra vengono suonati in chiave di Sol.Il secondo simbolo rappresenta la notazione del tempo: nell'esempio C=4/4.I simboli sui righi e negli spazi rappresentano le note.Le stanghette verticali servono a delimitare le battute o misure in cui si divide il pentagramma.

I tagli addizionali

Le note sui righi e negli spazi del pentagramma non sono sufficienti a rappresentare tutti suoni che la chitarra può emettere. Con la chitarra si possono eseguire suoni più gravi e più acuti di quelli 41

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Le alterazioni

Le alterazioni sono dei simboli che vengono posti davanti ad una nota e servono ad aumentare o diminuire l'intonazione della stessa. Esse sono il diesis ed il bemolle a cui si aggiunge il bequadro. I rispettivi simboli sono riportati nello schema seguente.

che il semplice pentagramma può rappresentare. Ecco allora che diventa essenziale l'uso dei co-siddetti tagli addizionali che servono, appunto, a rappresentare tali suoni.

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oIl diesis altera la nota di un semitono ascendente;Il bemolle altera la nota di un semitono discendente;Il bequadro annulla una precedente alterazione riportando la nota allo stato naturale.

Appare evidente che, con l'introduzione delle alterazioni, la gamma dei suoni e delle note aumenta notevolmente. Grazie alle alterazioni le note passano da sette a dodici:

Di seguito viene riportata una rappresentazione grafica della scala con dodici suoni:

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ito Le note indicate con le frecce a doppia punta sono posizionate alla stessa altezza nella scala ed

hanno, quindi, la stessa intonazione. Trattasi di note con nome diverso che producono lo stesso suono. Queste note si dicono enarmoniche mentre i relativi suoni si dicono omofoni (o omologhi).

Quindi: Do#=Reb; Re#= Mib; Fa#=Solb; Sol#=Lab; La#=Sib.

Si noti, infine, che tra Mi e Fa e tra Si e Do intercorre naturalmente un semitono e, quindi, non vi è enarmonia.

Diesis e bemolle possono anche essere indicati all'inizio del pentagramma andando a costituire la cosiddetta notazione in chiave. La notazione in chiave determina la tonalità di un brano. Un Fa diesis in chiave indica che tutti i Fa che incontrerò nel brano saranno alterati a meno che tale alte-razione non venga annullata da un bequadro.

L'intavolatura per chitarra

La notazione musicale tradizionale non va confusa con l'intavolatura. Anche quest'ultima rappre-senta un sistema di scrittura musicale utilizzato, però, solo per la chitarra e per altri strumenti a tasti. In passato veniva utilizzato per scrivere musica per il liuto. Anche questo sistema ha subito notevoli evoluzioni nel corso del tempo.E' costituita da sei linee che rappresentano le corde della chitarra. Il rigo superiore è il Mi cantino 44

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oe, scendendo verso il basso, si hanno il Si, il Sol, il Re, il La ed il Mi basso. I numeri riportati sui righi indicano il tasto su cui la corda va premuta. Anche in questo caso le stanghette verticali de-limitano le battute.

L'intavolatura è un ottimo sistema pratico di lettura della musica per chitarra. Tuttavia, essa non deve esimere il chitarrista dalla conoscenza delle note che si trovano su tutta la tastiera. Per que-sto nell'immagine che segue riporto la tastiera della chitarra con l'indicazione di tutte le note, su tutte le corde, dal 1° al 12° tasto.

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ito I valori delle note e delle pause

Come detto sopra, la musica può essere definita come una successione di suoni (note) e silenzi (pause). I suoni e i silenzi non hanno sempre la stessa durata ma, anzi, hanno una durata variabile. In musica vengono utilizzati appositi simboli grafici per rappresentare la diversa durata dei suoni e delle pause:

I valori delle note (schema sopra) e delle pause (schema sotto) sono i seguenti:Semibreve = Intero = 4/4Minima = Metà = 2/4Semiminima = Quarto = 1/4Croma = Ottavo = 1/8Semicroma = Sedicesimo = 1/16Biscroma = Trentaduesimo = 1/32Semibiscroma = Sessantaquattresimo = 1/64

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oI segni di prolungamento del suono

È possibile aumentare il valore di una nota oltre la durata attribuitagli dalla sua figura. Per fare questo si usano i seguenti segni: la legatura di valore, il punto di valore e la corona.La legatura di valore è una linea curva che unisce due o più note dello stesso nome e della stessa altezza: l'effetto è che la prima nota prolunga la sua durata, oltre che per il proprio valore, per il valore delle altre note ad essa legate.

Il punto di valore è sempre posto a destra della nota ed aumenta la nota stessa di metà del suo valore; produce lo stesso effetto se posto a fianco ad una pausa.

La corona è una linea curva in mezzo alla quale vi è un punto. Messa sopra una nota o una pausa ne aumenta la durata a piacimento dell'esecutore

La terzina

La Terzina è un gruppo di tre note, di uguale durata, suonate nello spazio di due. In pratica, in una 47

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Altri simboli musicali

Lo staccato è rappresentato da un punto posto sopra o sotto la nota che ne dimezza il valore. So-litamente lo staccato si usa quando le note su cui è posto debbono essere eseguite ben separate tra loro.

Il portato è rappresentato da un trattino orizzontale posto sopra o sotto una nota. Ha il significato opposto a quello dello staccato. Il portato sta ad indicare che la nota su cui è posto va mantenuta per tutta la sua durata, lasciando il minimo spazio tra essa e la nota seguente.

L'accento è rappresentato da una punta di freccia posta sopra la nota e sta ad indicare che essa va accentata ed enfatizzata. Questo nella chitarra avviene pizzicando la corda con più forza.

terzina di crome, il tempo che si impiega ad eseguire due ottavi verrà impiegato anche ad eseguire le tre note della terzina.

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Le indicazioni dinamiche

Le indicazioni dinamiche non attengono tanto alla ritmica in senso stretto bensì al volume con cui suonare una successione di note.

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ito IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA2.

di Marcello Manco (musicista e compositore)

In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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1. PRINCIPI

1. Anche se in teoria tutti gli strumenti musi-cali possono essere utilizzati nella Liturgia (ad esempio La Messa presso la Basilica di San Pietro a Roma il 29 giugno 1985, con coro, so-listi e orchestra sinfonica), sia tutti insieme in orchestra o in piccoli gruppi (di archi o a fiato), o soli (una tromba, un flauto, un violino, una chitarra, una fisarmonica), tuttavia nella pratica potranno essere utilizzati solo quegli strumen-ti che di fatto compiono la funzione che hanno nella Liturgia, cioè, accompagnare e sostenere il canto, e, in certi momenti riempire qualche si-lenzio dell’azione liturgica elevando lo spirito dei partecipanti in essa.

2. Questo si basa sull’applicazione combinata di due criteri che danno i documenti della Chiesa.Un criterio dice: “Gli strumenti musicali posso-no essere molto utili nelle celebrazioni sacre sia che accompagnino il canto, sia che intervenga-no soli”. L’altro criterio dice: “Gli strumenti musi-

cali che, qui e ora, cioè quelli che secondo il senso comune e l’uso normale, solo sono adeguati per la musica profana, siano esclusi da qualsiasi azione liturgica così come dagli atti pietosi”.

3. Per questo l’Episcopato, dal suo punto di vista su questa materia, divide gli strumenti musicali in: adatti, meno adatti e non idonei per l’uso liturgico.

4. La Chiesa, in tutti i suoi documenti stabilisce che lo strumento più adatto all’uso sacro è l’organo a canne, e in misura minore, i suoi derivati: l’organo elettrico e l’armonium. E così il Vaticano II, ri-conoscendo la sua idoneità, dice dell’organo, che il suo suono, non solo come accompagnamento del canto, ma anche suonato da solo, può apportare un notevole splendore alle cerimonie liturgi-che ed elevare con forza le anime a Dio e verso le realtà celesti. (SC N° 120) Questo riconosci-mento non è basato su ragioni sentimentali o nostalgiche, ma su motivi artistici e tecnici. Questo strumento è l’unico che può produrre nello stesso momento una struttura armonica completa con suoni acuti, medi e gravi: ha inoltre una grande versatilità di timbri e di volumi, quindi il suo suono continuo fornisce un supporto sicuro sia ad un solista che ad un coro che a tutto il popolo. Esso ha inoltre il vantaggio di richiedere solo un esecutore.

2. NORME

1. Che in tutte le chiese principali della Diocesi (Cattedrale, Basiliche, Chiese parrocchiali) si pos-sa contare su un organo (se non è possibile a canne, almeno elettronico) con il quale si accompa- 53

GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIAS

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ito gnino le cerimonie liturgiche. Ciò comporta l’assunzione di un organista adeguatamente formato

tecnicamente e liturgicamente, che usi lo strumento d’accordo con il significato della Liturgia e con le norme della Chiesa.

2. Nell’uso dell’organo nelle azioni sacre, il parroco come responsabile e l’organista come esecu-tore devono tenere in conto quanto segue:

a) Data la grande varietà di risorse musicali e la versatilità dell’organo, soprattutto ora di quello elettronico, bisogna evitare l’uso di quei registri (ad esempio il tremolo), di quelle armonizzazioni di sapore profano e ogni modo o caratteristica che disdice l’Atto Sa-cro.

b) Se non si canta, i momenti nei quali si può suonare l’organo solo, sono i seguenti:

Ingresso del Celebrante –Presentazione delle offerte –Comunione –Uscita del Celebrante. –

5. Evitare assolutamente il suono dell’organo o dello strumento quando il celebrante o l’assemblea recita, legge o dice qualcosa ad alta voce, anche come sottofondo musicale.

6. Si permette l’utilizzo di strumenti come fisarmonica, chitarre, ecc. in luoghi o chiese dove non c’è un organo, o anche dove, anche avendolo, non si può contare sull’organista addestrato per il suo uso secondo il significato della Liturgia e le norme della Chiesa. Ma anche in questi luoghi bisogna cercare di trovare il modo di arrivare ad avere ciò che la Chiesa considera più adeguato per accompagnare il canto nella Liturgia, che è l’organo o i suoi derivati.

7. Gli strumenti a percussione (batteria, ecc) solo sono permessi negli Atti Liturgici se formano parte integrante dell’orchestra o insieme a strumenti, e se si suonano in forma discreta, cioè, che non risaltano nell’esecuzione come succede nell’uso profano. (Però tenere sempre presente che tali strumenti, anche se a prima vista sembrano riempire il ruolo degli strumenti nella liturgia, tut-tavia, con essi sempre si corre il rischio di rubare l’attenzione dei fedeli che partecipano nell’Atto Liturgico, e quindi, di convertire l’Atto Sacro in qualcosa di puramente profano).

8. L’uso dei mezzi elettronici (dischi, cassette, ecc.) per supplire il canto del popolo di Dio, del coro, del celebrante o di altri ministri è totalmente escluso dagli Atti Liturgici. E’ tollerato in luoghi total-mente privi di elementi musicali umani e solo per sostenere il canto del popolo, però mai senza di esso, visto che l’officio di cantare o di organista è un officio liturgico che non può essere esercitato da un dispositivo che produce musica. Si potrebbe usare prima delle celebrazioni per fini di prova o di ambientazione.

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ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI

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CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI 1. APRILE

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

06 APRILE - II DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

14 APRILE - III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

21 APRILE - IV DOMENICA DI PASQUA (Anno C)

28 APRILE - V DOMENICA DI PASQUA (Anno C)

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ito CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI 1. MAGGIO

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

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05 MAGGIO - VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

12 MAGGIO - ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

19 MAGGIO - PENTECOSTE (Anno C)

26 MAGGIO - SANTISSIMA TRINITÀ (Anno C)

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CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI 1. GIUGNO

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

02 GIUGNO - SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C)

09 GIUGNO - X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

16 GIUGNO - XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

23 GIUGNO - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

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30 GIUGNO - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

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CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI 1. LUGLIO

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

07 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

14 LUGLIO - XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

21 LUGLIO - XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

28 LUGLIO - XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

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AL SERVIZIO DELLA PAROLA2.

Il salmo responsoriale è strettamente legato alla prima lettura. Si presenta come un’eco di essa.

Si tratta di un testo poetico che si esprime ritmicamente e che ha bisogno di calma, pause, silenzio. Ecco perché è bene differenziare il lettore della prima lettura da chi proclama o canta il salmo. Si tratta di due stili diversi: uno in prosa, in narrazione, l’altro in poesia pregata (o preghie-ra poetica). Il salmo non deve apparire come una lettura supplementare, ma una risposta lirica dell’assemblea alle meraviglie che Dio sta realizzando in lei. Il salmo e, in particolare, il ritornello ripetono per lo più una o l’altra delle parole che sono state proclamate. Il popolo risponde al Si-gnore riutilizzando le Sue parole appena ascolta- te. Il ritornello introduce il salmo e gli dà il suo colore, dando anche la chiave di interpretazione principale della lettura appena proclamata (nel contesto liturgico).

Il salmo normalmente sia cantato, possibilmente sia nel ritornello (solista con assemblea) che nella strofa (solista). Ma almeno il ritornello sia sempre cantato la domenica e nelle solennità. È possibile prevedere alcune “melodie-tipo” che possono adattarsi a diversi ritornelli. Potrebbe es-sere la soluzione di partenza, da superare poi, pian piano, con l’impegno di insegnare e cantare melodie diverse per ogni salmo (ecco il senso della raccolta diocesana dei Salmi).

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07 APRILE – II DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 177 – Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sem-pre.

Dica Israele:«Il suo amore è per sempre».Dica la casa di Aronne:«Il suo amore è per sempre».Dicano quelli che temono il Signore:«Il suo amore è per sempre».

La pietra scartata dai costruttoriè divenuta la pietra d’angolo.Questo è stato fatto dal Signore:una meraviglia ai nostri occhi.Questo è il giorno che ha fatto il Signore:rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!Benedetto colui che viene nel nome del Signore.Vi benediciamo dalla casa del Signore.Il Signore è Dio, egli ci illumina.

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14 APRILE – III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 29 – Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,della sua santità celebrate il ricordo,perché la sua collera dura un istante,la sua bontà per tutta la vita.Alla sera ospite è il piantoe al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,Signore, vieni in mio aiuto!Hai mutato il mio lamento in danza,Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

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21 APRILE– IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 99 –Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.

Acclamate il Signore, voi tutti della terra,servite il Signore nella gioia,presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:egli ci ha fatti e noi siamo suoi,suo popolo e gregge del suo pascolo.

Perché buono è il Signore,il suo amore è per sempre,la sua fedeltà di generazione in generazione.

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28 APRILE – V DOMENICA DI PASQUA (Anno C)

Tratto dal Salmo 144 – Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

Misericordioso e pietoso è il Signore,lento all’ira e grande nell’amore.Buono è il Signore verso tutti,la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue operee ti benedicano i tuoi fedeli.Dicano la gloria del tuo regnoe parlino della tua potenza.

Per far conoscere agli uomini le tue impresee la splendida gloria del tuo regno.Il tuo regno è un regno eterno,il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.

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05 MAGGIO – VI DOMENICA DI PASQUA (Anno C)

Tratto dal Salmo 66 – Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,su di noi faccia splendere il suo volto;perché si conosca sulla terra la tua via,la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,perché tu giudichi i popoli con rettitudine,governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,ti lodino i popoli tutti.Ci benedica Dio e lo temanotutti i confini della terra.

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12 MAGGIO – ASCENSIONE DEL SIGNORE (Anno C)

Tratto dal Salmo 46 – Ascende il Signore tra canti di gioia.

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Popoli tutti, battete le mani!Acclamate Dio con grida di gioia,perché terribile è il Signore, l’Altissimo,grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,il Signore al suono di tromba.Cantate inni a Dio, cantate inni,cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,cantate inni con arte.Dio regna sulle genti,Dio siede sul suo trono santo.

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19 MAGGIO – PENTECOSTE (Anno C)

Tratto dal Salmo 32 – Su tutti i popoli regna il Signore.

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Il Signore annulla i disegni delle nazioni,rende vani i progetti dei popoli.Ma il disegno del Signore sussiste per sempre,i progetti del suo cuore per tutte le generazioni.

Beata la nazione che ha il Signore come Dio,il popolo che egli ha scelto come sua eredità.Il Signore guarda dal cielo:egli vede tutti gli uomini.

Dal trono dove siedescruta tutti gli abitanti della terra,lui, che di ognuno ha plasmato il cuoree ne comprende tutte le opere.

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26 MAGGIO – SANTISSIMA TRINITÀ (Anno C)

Tratto dal Salmo 8 – O Signore nostro Dio, quanto è mirabile il tuo amore su tutta la terra!

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Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissato,che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,il figlio dell'uomo, perché te ne curi?

Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,di gloria e di onore lo hai coronato.Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi.

Tutte le greggi e gli armentie anche le bestie della campagna,gli uccelli del cielo e i pesci del mare,ogni essere che percorre le vie dei mari.

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02 GIUGNO – SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO (Anno C)

Tratto dal Salmo 109 – Tu sei sacrdote per sempre, Cristo Signore.

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Oracolo del Signore al mio signore:«Siedi alla mia destrafinché io ponga i tuoi nemicia sgabello dei tuoi piedi». Lo scettro del tuo poterestende il Signore da Sion:domina in mezzo ai tuoi nemici!

A te il principatonel giorno della tua potenzatra santi splendori;dal seno dell'aurora,come rugiada, io ti ho generato.

Il Signore ha giurato e non si pente:«Tu sei sacerdote per sempreal modo di Melchìsedek».

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09 GIUGNO – X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Tratto dal Salmo 29 – Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

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Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,della sua santità celebrate il ricordo,perché la sua collera dura un istante,la sua bontà per tutta la vita.Alla sera ospite è il piantoe al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,Signore, vieni in mio aiuto!Hai mutato il mio lamento in danza,Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

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16 GIUGNO – XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Tratto dal Salmo 31 – Togli, Signore, la mia colpa e il mio peccato.

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Beato l’uomo a cui è tolta la colpae coperto il peccato.Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delittoe nel cui spirito non è inganno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,non ho coperto la mia colpa.Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia,mi circondi di canti di liberazione.Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!

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23 GIUGNO – XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Tratto dal Salmo 62 – Ha sete di te, Signore, l’anima mia.

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O Dio, tu sei il mio Dio,dall’aurora io ti cerco,ha sete di te l’anima mia,desidera te la mia carnein terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,guardando la tua potenza e la tua gloria.Poiché il tuo amore vale più della vita,le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:nel tuo nome alzerò le mie mani.Come saziato dai cibi migliori,con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,esulto di gioia all’ombra delle tue ali.A te si stringe l’anima mia:la tua destra mi sostiene.

30 GIUGNO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Tratto dal Salmo 15 – Sei tu, Signore, l’unico mio bene.

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Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;anche di notte il mio animo mi istruisce.Io pongo sempre davanti a me il Signore,sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuoreed esulta la mia anima;anche il mio corpo riposa al sicuro,perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,gioia piena alla tua presenza,dolcezza senza fine alla tua destra.

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07 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Tratto dal Salmo 65 – Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Acclamate Dio, voi tutti della terra,cantate la gloria del suo nome,dategli gloria con la lode.Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».

«A te si prostri tutta la terra,a te canti inni, canti al tuo nome».Venite e vedete le opere di Dio,terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;passarono a piedi il fiume:per questo in lui esultiamo di gioia.Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,e narrerò quanto per me ha fatto.Sia benedetto Dio,che non ha respinto la mia preghiera,non mi ha negato la sua misericordia.

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14 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Tratto dal Salmo 18 – I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,rinfranca l’anima;la testimonianza del Signore è stabile,rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,fanno gioire il cuore;il comando del Signore è limpido,illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,rimane per sempre;i giudizi del Signore sono fedeli,sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,di molto oro fino,più dolci del mielee di un favo stillante.

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21 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Tratto dal Salmo 14 – Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,pratica la giustiziae dice la verità che ha nel cuore,non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimoe non lancia insulti al suo vicino.Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usurae non accetta doni contro l’innocente.Colui che agisce in questo modoresterà saldo per sempre.

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28 LUGLIO – XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Tratto dal Salmo 137 – Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:hai ascoltato le parole della mia bocca.Non agli dèi, ma a te voglio cantare,mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;il superbo invece lo riconosce da lontano.Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.

La tua destra mi salva.Il Signore farà tutto per me.Signore, il tuo amore è per sempre:non abbandonare l’opera delle tue mani.

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ito Area Carismatica

Anno 0 - Numero 0 Cantare a dio con arte (tratto da PUF rns - LiveLLo Base v CaPitoLo)Anno 0 - Numero 0 L’importante del canto nella preghiera della comunità cristiana (di L. viLLani)

Anno 0 - Numero 1 Cantare a dio con arte (tratto da PUF rns - LiveLLo Base v CaPitoLo)Anno 0 - Numero 1 Musica e canto: un carisma profetico (di L. MonaCo)Anno 0 - Numero 1 Chiamati a servire Davide e Maria (di a.t. FranCia)

Anno 0 - Numero 2 Chiamati a servire Davide e Maria (di a.t. FranCia)

Anno 0 - Numero 3 Chiamati a servire Davide e Maria (di a.t. FranCia)Anno 0 - Numero 3 L’evangelizzazione con la musica e il canto (di M. CiaMei)

Anno 0 - Numero 4 La musica e il canto profezia dell’amore (di L. MonaCo)

Anno 0 - Numero 5 Etica ed estetica della musica (di L. Leone)

Anno 0 - Numero 6 La lode nel giubilo: il cuore si apre a una gioia senza parole e la gioia si dilata immensamente (aa.vv.)

Anno 0 - Numero 7 La musica dono o tentazione (di L. Leone)Anno 0 - Numero 7 La danza negli insegnamenti dei Padri della chiesa (di aa.vv)

Anno 0 - Numero 8-9-10 Cantiamo al Signore con gioia (di n. MontUori)Anno 0 - Numero 8-9-10 Maria conosce il segreto dell’evangelizzazione (di s. Martinez)

Anno 1 - Numero 1-2 Cantori alla presenza del re (di FaUsto niCoLi e aLBerto Civitan)Anno 1 - Numero 1-2 Cantare la penitenza (Aa.Vv.)

Anno 1 - Numero 3-4 Musica ed evangelizzazione (di doMeniCo visConti)Anno 1 - Numero 3-4 Il canto del benedictus (di niCoLa MontUori)

Anno 1 - Numero 5-6-7 La lode stile di vita (di Matteo CaLisi)Anno 1 - Numero 5-6-7 Il canto: non fine ma mezzo (di MarCo GUstini)

Anno 1 - Numero 8-9-10 Adoratori in Spirito e verità (di GianFranCo Pesare)Anno 1 - Numero 8-9-10 Notizie pratiche sul ministero dell’animatore (di GianFranCo Pesare)Anno 1 - Numero 8-9-10 Guida del canto dell’assemblea (di Mons. antonio Parisi)

Area Liturgico-MusicaleAnno 0 - Numero 0 Il potere di comunicare (di M. Frisina)Anno 0 - Numero 0 Dieci parole per la musica liturgica “ecclesiale” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 0 Il canto Gregoriano (aa.vv.)Anno 0 - Numero 0 Il papa è la musica sacra: L’arte musicale al servizio del culto divino (di aa.vv.)

Anno 0 - Numero 1 Sacro e liturgico (aa.vv.)78

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Anno 0 - Numero 1 Dieci parole per la musica liturgica “Eccellente” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 1 La spiritualità del canto gregoriano (aa.vv.)Anno 0 - Numero 1 La musica sacra per la chiesa è di grande ecc. ecc. (aa.vv.)

Anno 0 - Numero 2 Canto Liturgico (aa.vv.)Anno 0 - Numero 2 Dieci parole per la musica liturgica: “Eccedente” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 2 Valorizzare il canto gregoriano (di e. sottiLe)Anno 0 - Numero 2 Lo sviluppo della musica sacra deve essere fedele alla tradizione e dare dignità alla liturgia (di a. de CaroLis)

Anno 0 - Numero 3 Avvento in musica: Sette antifone tutte da riscoprire (padre M. GiLBert)Anno 0 - Numero 3 La promessa a noi vacillanti: “Ci sarò domani, e sempre” (di M. Corradi) Anno 0 - Numero 3 Canto liturgico (aa.vv.)Anno 0 - Numero 3 Dieci parole per la musica liturgica: “Estetica” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 3 Introduzione ai brani di canto gregoriano per il tempo di avvento (di M° e. sandretti)Anno 0 - Numero 3 La musica un’arte familiare al Logos di Benedetto XVI (di J. ratzinGer)

Anno 0 - Numero 4 Dieci parole per la musica liturgica: “Edificante” (di a. PorFiti)Anno 0 - Numero 4 Metodo di canto Gregoriano (aa.vv.)Anno 0 - Numero 4 Il Papa ribadisce che il concilio vaticano II impone il primato del canto Gregoriano, il quale non può essere considerato superato (di M. introviGne)

Anno 0 - Numero 5 Dieci parole per la musica liturgica “Elegante” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 5 Canto Gregoriano come canto dell’assemblea (di M. doLores aGUirre)Anno 0 - Numero 5 Cantare la Quaresima (di d. saBaino)Anno 0 - Numero 5 Tempo di Quaresima (di don d. Piazzi)Anno 0 - Numero 5 Le ragioni della musica...ad alta voce (di don a. Parisi)Anno 0 - Numero 5 Papa Benedetto XVI e “L’arte musicale al servizio del culto divino” (di J. ratzinGer)

Anno 0 - Numero 6 Dieci parole per la musica liturgica “Educante” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 6 Il canto Gregoriano e la liturgia tradizionale (di r. MaMeLi)Anno 0 - Numero 6 Il Papa ribadisce che il concilio vaticano II impone il primato del canto Gregoriano, il quale non può essere considerato superato (di M. introviGne)

Anno 0 - Numero 7 Dieci parole per la musica liturgica “Espandente” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 7 Quando la preghiera diventa canto “Regina Coeli” (di aa.vv.)Anno 0 - Numero 7 Questa sinfonia è un grande inno di lode a Dio (di J. ratzinGer)

Anno 0 - Numero 8-9-10 Cantiamo al Signore il canto dell’amore (aa.vv.)Anno 0 - Numero 8-9-10 Dieci parole per la musica liturgica “Espressiva” (di a. PorFiri)Anno 0 - Numero 8-9-10 Lettera apostolica di Motu Proprio “Quaerit Semper” del sommo pontefice Benedetto XVI (di J. ratzinGer)Anno 0 - Numero 8-9-10 Il Motu Prprio di Pio X (1903): una persistente attualità (di a. Corno)Anno 0 - Numero 8-9-10 Lettera di Giovanni Paolo II agli Artisti (Giovanni PaoLo ii)

segue Area Liturgico-Musicale

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ito Anno 1 - Numero 1-2 Cantare e suonare nella liturgia (di Don PieranGeLo rUsto)

Anno 1 - Numero 1-2 Il canto che riposa nel fondo delle cose (di raMon saiz-Pardo hUrtado)Anno 1 - Numero 1-2 Le forme musicali del canto liturgico (di GUerrino orLandini)Anno 1 - Numero 1-2 Criteri per la scelta dei canti (di Giovanni Maria rossi)Anno 1 - Numero 1-2 Criteri per la scelta dei canti (di PaoLo Lotti)Anno 1 - Numero 1-2 Criteri per la scelta dei canti (di Giovanni MareGGiani)Anno 1 - Numero 1-2 Viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante (aa.vv.)

Anno 1 - Numero 3-4 Il tempo di avvento: Attendere e vegliare (aa.vv.)Anno 1 - Numero 3-4 Il tempo di Natale: Si manifesta la gloria di Dio (di danieLa Piazzi)Anno 1 - Numero 3-4 Il tempo di Avvento e il tempo di Natale (aa.vv.)Anno 1 - Numero 3-4 Prospettive musicali a partire dalla terza edizione del Messale Romano (di Mons. FeLiCe rainoLdi).Anno 1 - Numero 3-4 Il motu proprio di Pio X (1903): Una persistente attualità (di anGeLo Corno)

Anno 1 - Numero 5-6-7 Cantare nella liturgia (di Don PieranGeLo rUaro)Anno 1 - Numero 5-6-7 Cantare il Tempo Ordinario (aa.vv.)Anno 1 - Numero 5-6-7 Preparare la Quaresima (aa.vv.)Anno 1 - Numero 5-6-7 Il canto Gregoriano non è un canto: appunti per un paradosso (di MassiMo Lattanzi)Anno 1 - Numero 5-6-7 Di fronte agli angeli voglio cantarti: la tradizione di Ratisbona e la riforma liturgica (di J. ratzinGer)

Anno 1 - Numero 8-9-10 La liturgia per una chiesa che evangelizza (di P. JosePh GeLineaU)Anno 1 - Numero 8-9-10 Cantare la liturgia (di PhiLiPPe roBert)Anno 1 - Numero 8-9-10 Il canto e la musica nella liturgia attuale (di Giovanni Maria rossi)Anno 1 - Numero 8-9-10 Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Italiana Santa Cecilia.

Area Tecnica

Anno 0 - Numero 0 Il fenomeno “voce” definizione e produzione (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 0 Canto: Rallegratevi nel signore (di M. CoLUCCi)Anno 0 - Numero 0 Come leggere una tablatura (aa.vv.)

Anno 0 - Numero 1 Il fenomeno “voce” definizione e produzione (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 1 Canto: Sono qui a lodarti Canto: Io credo in te Gesù

Anno 0 - Numero 2 Impariamo a conoscere la musica (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 2 Canto: Alzati

Anno 0 - Numero 3 La legatura e il punto di valore (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 3 Canto: Mi basta la tua grazia

Anno 0 - Numero 4 Le caratteristiche della voce: Estensione e timbro (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 4 Scrivere e leggere le note (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 4 Canto: Quale gioia è star con te80

INDICE DELL’ANNATA

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osegue Area Tecnica

Anno 0 - Numero 3 La legatura e il punto di valore (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 3 Canto: Mi basta la tua grazia

Anno 0 - Numero 4 Le caratteristiche della voce: Estensione e timbro (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 4 Scrivere e leggere le note (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 4 Canto: Quale gioia è star con te

Anno 0 - Numero 5 Vocalità (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 5 Laboratorio di lettura della musica (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 5 Canto: Per sempre re di gloria

Anno 0 - Numero 6 La classificazione delle voci in base all’estensione e al timbro (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 6 La danza negli insegnamenti dei Padri della chiesa (di aa.vv)Anno 0 - Numero 6 Canto: Celebriamo il Signore

Anno 0 - Numero 7 La corretta produzione delle vocali nel canto (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 7 canto: Alzati

Anno 0 - Numero 8-9-10 Difetti nell’uso della voce (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)Anno 0 - Numero 8-9-10 Canto: Diamo gloria al SignoreAnno 0 - Numero 8-9-10 Canto: Lodate il Signore

Anno 1 - Numero 1-2 La voce infantile (aa.vv.)Anno 1 - Numero 1-2 Ecco degli utili consigli per chi lavora o ha problemi con la voce (aa.vv.)Anno 1 - Numero 1-2 Canto: Io credo in te Gesù

Anno 1 - Numero 3-4 La voce e il canto (aa.vv.)Anno 1 - Numero 3-4 I 4 parametri fondamentali del suono (aa.vv.)Anno 1 - Numero 3-4 Canto: Loderanno i popoli

Anno 1 - Numero 5-6-7 Struttura dellanno liturgico (aa.vv.)Anno 1 - Numero 5-6-7 Schema per l’analisi di un canto (aa.vv.)Anno 1 - Numero 5-6-7 Canto: Apri i miei occhi SignoreAnno 1 - Numero 5-6-7 Canto: Su lodiamo

Anno 1 - Numero 8-9-10 Teoria musicali: Nozioni di base (aa.vv.)Anno 1 - Numero 8-9-10 Canto: Il canto del tuo popolo

Gli strumenti musicali nella liturgia

Anno 0 - Numero 0 L’uso degli strumenti musicali nella liturgia (di Mons. a. Parisi)

Anno 0 - Numero 1 Si abbia in grande onore l’organo a canne (di a. PorFiri)81

INDICE DELL’ANNATAS

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Anno 0 - Numero 2 L’organo e la chitarra (aa.vv.)

Anno 0 - Numero 3 Chitarra e liturgia (di P. rUaro)

Anno 0 - Numero 4 Come accompagnare un canto con la chitarra (di P. rUaro)

Anno 0 - Numero 5 Quando il chitarrista è l’unico strumentista accompagnatore (aa.vv.)

Anno 0 - Numero 6 Quando vi sono due o più chitarristi (aa.v.v.)

Anno 0 - Numero 7 Accompagnare i Salmi (aa.vv.)Anno 0 - Numero 7 Cenni storici: Le origini - i Padri - Medio Evo - Oggi (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)

Anno 0 - Numero 8-9-10 Cenni storici: Le origini - i Padri - Medio Evo - Oggi (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)

Anno 1 - Numero 1-2 Liturgia e chitarra parliamone (di anna vezzani)Anno 1 - Numero 1-2 L’uso liturgico della chitarra ( di FranCesCo LoMBardi)Anno 1 - Numero 1-2 Strumenti musicali per la liturgia (di MoniCa riva)

Anno 1 - Numero 3-4 L’amplificazione della chitarra (aa.vv.)Anno 1 - Numero 3-4 Il decalogo del chitarrista (aa.vv.)

Anno 1 - Numero 5-6-7 Poesie musicabili per i riti cristiani (di Don GianFranCo PoMa)

Anno 1 - Numero 8-9-10 Musica sacra: strumenti musicali (aa.vv.)

Gli strumenti musicali nella bibbia

Anno 0 - Numero 0 La musica nella bibbia (di Suor M. CeCiLia Pia ManeLLi)

Anno 0 - Numero 1 La musica nella bibbia (di Suor M. CeCiLia Pia ManeLLi)

Anno 0 - Numero 2 Lo Shofar (aa.vv.)

Anno 0 - Numero 6 Cenni storici: Le origini - i Padri - Medio Evo - Oggi (UFF. nazion. LitUrG. MUsiCaLe Cei)

Anno 1 - Numero 3-4 Arpa e Cetra, gli strumenti dell’Antico Testamento (aa.vv.)Anno 1 - Numero 3-4 Conoscere il repertorio (aa.vv.)

Animazione Domenicali

Anno 0 - Numero 6 Il Salmo responsoriale (di L. GUGLieLMi)

segue Gli strumenti musicali nella liturgia

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SulleotedelloSpirito

INDICE DELL’ANNATA

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oNumero Speciale Aprile 2012 La Santa Pasqua

Nel cuore della sacralità: il Triduo Pasquale (di s. MarsiLi) Preparare e Celebrare Il Triduo Pasquale (di d. Piazzi) Cantare la passione del Signore (aa.vv.) Cantare la veglia Pasquale (di F. GoMero) Cantare la messa nella cena del Signore (di F. GoMero)

Inserto Speciale

da Maggio 2012 Manuale di improvvisazione per chi suona la chitarra a orecchio (di R. VillaRi)

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Progetto grafico e impaginazione: Francesco Angioletti