Anno 1 Lez. 1 1 - UNITRE Torino · 2019. 1. 31. · divenne l'amante di Margherita di Valois...

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  • 1Anno 1 Lez. 1

  • Lo sviluppo, nel secolo del Rinascimento, di un pensiero umanistico critico e individualistico, volto alla verifica delle

    acquisizioni culturali ereditate dal passato, provocò la messa in discussione dei principi dogmatici della religione cristiana.

    Per sostenere le guerre i re di Francia, fin dal secolo precedente, erano ricorsi a prestiti, alla vendita delle cariche pubbliche e

    alla tassazione. Ciò portò all'aumento dei prezzi e all'impoverimento delle classi popolari urbane: operai, artigiani, bottegai.

    Negli anni quaranta ciò portò a proteste contro il fisco e alla rivolta di Bordeaux, repressa nel sangue. L'aumento dei prezzi

    colpì anche la piccola nobiltà di provincia (la nobiltà di spada) che ricavava il reddito dal censo pagato dai contadini.

    Le idee protestanti ebbero impatto non solo per l’aspetto religioso, ma anche come una Riforma della società. Al calvinismo

    aderirono soprattutto i ceti urbani, operai, artigiani, la borghesia e quella parte della nobiltà che sperava nella confisca delle

    proprietà ecclesiastiche per rimediare al suo crescente impoverimento. Si diffuse soprattutto nel Sud-Ovest.

    Il Calvinismo si diffuse in parte anche nell'alta nobiltà francese. Questa ricopriva le cariche di governo nelle province e

    comandava le forze armate, usufruiva di enormi possedimenti fondiari e gradiva poco la centralizzazione dello Stato; la

    accettava solo in quanto difesa delle proprietà feudali e dei propri privilegi fiscali e distributrice di lauti stipendi e pensioni.

    Godendo di larga influenza politica, le potenti famiglie nobili - i Guisa, i Montmorency, i Borbone, gli Châtillon, i Valois,

    gli Anjou - avevano intessuto una rete di relazioni clientelari con la piccola nobiltà, la quale, spesso impoverita e in cerca di

    protezioni e denari, si stringeva attorno a questo o quel nobile, favorendo i suoi interessi e appoggiandolo con le armi.

    A differenza dell'alta aristocrazia feudale, la piccola nobiltà di spada in decadenza, i cui appartenenti prestavano servizio

    come ufficiali nell'esercito, guardava con favore al crescente potere reale, che nell'esercito aveva l'indispensabile garante,

    sperando di guadagnare i benefici che aveva perduto.

    Ma la monarchia francese, con l'assolutismo garante dell’unità della nazione, non trascurò di favorire l'ascesa economica

    della borghesia, con una politica economica protezionistica e favorendo le esportazioni, (ad es. accordi con la Turchia),

    eliminando all'interno una parte dei dazi doganali, unificando pesi e misure e rendendo parzialmente più omogenei in tutto il

    Paese il diritto e la legislazione.

    In ascesa appariva la nobiltà di toga (borghesi divenuti proprietari terrieri, entrati nella nobiltà per i meriti acquisiti

    nell'amministrazione dello Stato: sempre più ricca, estendeva le sue proprietà e accresceva l'influenza nel Consiglio del Re,

    fornendogli l'apparato burocratico per il funzionamento di una macchina statale sempre più complessa. Essa era Fedelissima

    al re e alleata della borghesia, urbana e provinciale, dalla quale proveniva.

    La chiesa cattolica e la corona di Francia avevano dei rapporti di amore ed odio, ma la grande politica estera francese era

    sovente in contrasto con quella pontificia e disposta ad alleanze "empie".

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  • Essendo troppo giovani Enrico III e Carlo IX per regnare, furono tre i grandi clan familiari che entrano in

    concorrenza fra di loro per conquistare l'egemonia politica:

    I Montmorency, una delle famiglie più potenti della Francia, grazie al connestabile Anne de Montmorency

    che esercitò grande influenza su Enrico II. Pur essendo divisi fra loro in cattolici e protestanti, i

    Montmorency si unirono per contrastare il crescente influsso dei cattolici Guisa. Il loro scontro fece delle

    guerre di religione una guerra privata. I Montmorency furono i grandi sconfitti del conflitto: una parte dei

    suoi membri morì in combattimento o assassinati, un'altra parte fu imprigionata o costretta all'esilio.

    I Guisa (ramo cadetto della Casa di Lorena, con radici nella dinastia dei re Capetingi di Francia, insigniti del

    titolo duchi di Guisa per le guerre combattute col re Francesco I) furono i principali esponenti del partito

    cattolico, raggiunsero il vertice della loro parabola politica grazie a Claudio e a Francesco di Lorena, i due

    primi duchi di Guisa, e a Maria Stuart, regina di Francia dal 1559 al 1560. Nella famiglia si misero in luce il

    cardinale di Lorena, Enrico di Guisa e Charles de Mayenne. Nel 1588 giunsero a cacciare re Enrico III dalla

    capitale, destituendolo l'anno dopo. Malgrado la loro successiva sconfitta, con la sottomissione a Enrico IV,

    la loro potenza rimase intatta, obbligando il re a destreggiarsi con cautela nei loro confronti.

    I Borboni erano principi della casa reale di Francia in quanto discendenti diretti di Luigi IX di Francia.

    Alcuni suoi membri parteggiarono per i protestanti, come Luigi I di Borbone-Condé e il figlio Enrico I di

    Borbone-Condé, Antonio di Borbone e il figlio Enrico III di Navarra. Famiglia divisa al suo interno, non

    riuscì a darsi un capo ma, per quanto a fatica, Enrico IV alla fine riuscì a imporsi e, grazie alla morte

    dell'ultimo dei Valois, ad ereditare anche la corona francese.

    Spagna e Inghilterra intervennero, la prima sostenendo i cattolici rappresentati dai Guisa, e la seconda i

    protestanti capitanati dai Montmorency.

    Le otto Guerre di religione in Francia:

    prima guerra (1562–1563), seconda guerra (1567–1568), terza guerra (1568-1570), quarta guerra (1572–1573),

    quinta guerra (1574–1576), sesta guerra (1576–1577), settima guerra (1579–1580), ottava guerra (1585–1598)

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  • Dopo una pace di quattro anni, il regno di Francia fu nuovamente percorso da armati. La ripresa delleostilità nel 1567 si spiega con tre motivi:

    - il fallimento dell’Editto di Amboise, che di fatto permetteva la libertà di culto solo ai nobili,

    - il tempestoso contesto internazionale: all’esterno la situazione era grave. Nella scorsa lezione abbiamovisto che le Fiandre si erano sollevate a Filippo II a partire dal 1565, la rivolta protestante (detta deipezzenti) era stata rapidamente soffocata dagli Spagnoli del Duca d’Alba che era giunto con un grossoesercito marciando lungo le frontiere francesi. Una tale minacciosa vicinanza ravvivò i timori del refrancese che decise di preparare molti battaglioni svizzeri per prevenire un eventuale attacco spagnoloalla Francia. La leva suscitò l’inquietudine dei protestanti francesi, diffidenti soprattutto dopo l’incontrodi Bayonne fra Caterina, la figlia Elisabetta (regina di Spagna) e l’inviato di Filippo II, il duca d’Alba,la cui conclusione era stata tenuta segreta e fu interpretato come un accordo dei due regnanti ai lorodanni. I moti iconoclasti dei Fiamminghi e la deludente esperienza di Maria Stuart (nacque nel palazzodi Linlithgow, nel Lothian Occidentale, l'8 dicembre 1542, dal re Giacomo V di Scozia e dalla suaseconda moglie, la duchessa francese Maria di Guisa) in Scozia ravvivarono le passioni tra le duefazioni francesi.

    - La rivalità fra il principe di Condé e il giovane fratello del re, il duca Enrico d’Anjou, futuro re EnricoIII. L'ambizioso Condé si adombrò dell’ascesa politica di un principe di soli 16 anni e lasciò la corte adimostrazione della sua ostilità.

    La seconda guerra scoppiò il 28 sett. 1567 quando il principe di Condé tentò d’impadronirsi dellafamiglia reale con la forza, un episodio chiamato la sorpresa di Meaux. Questa rottura della politica diconcordia fu effettivamente una sorpresa e l’attacco del principe, nel quale Caterina aveva riposto lesue speranze di riconciliazione, apparve un tradimento. Il giorno successivo, il 29 sett. 1567, si ebbe ilmassacro di monaci e chierici perpetrato dagli Ugonotti a Nimes, durante la festa della Michelade (chesi tiene a Nimes il giorno di San Michele).

    La reggente decise di ricorrere all’uso della forza: le città protestanti del Mezzogiorno si sollevarono e idue eserciti si affrontarono nuovamente. Alla testa dell’esercito protestante Condé si stabilì a Saint-Denis (appena a nord di Parigi), deciso a conquistare Parigi per fame, ma il 10 novembre fu respinto difronte alla capitale in una battaglia che ebbe esito incerto e nella quale morì il connestabile Anne deMontmorency.

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  • Il resto della campagna militare si svolse nel Sud-Est della regione parigina, tra la Loira e la Mosa, in

    un faccia a faccia senza scontri. Da novembre 1567 a febbraio 1568, il duca d’Anjou cercò di affrontare

    l’esercito protestante ma Condé e Coligny rifiutarono d’impegnarsi in combattimento e, attendendo

    rinforzi tedeschi dal Palatinato, si diressero in Lorena. Da parte sua l’esercito reale attendeva anche lui

    forze mercenarie dalla Sassonia. Scaramucce a parte, non successe nulla. Uniti ai tedeschi, i protestanti

    scesero in Borgogna, attraversarono la Loira a La Charité, risalirono verso Parigi e presero Blois e

    Chartres. La mancanza di denaro da entrambe le parti portò infine alla pace, firmata a Longjumeau da

    Carlo IX e Caterina de’ Medici il 22 marzo 1568, che rinnovava l'editto di Amboise, confermando

    libertà e privilegi per gli Ugonotti e imponeva l’allontanamento di tutte le truppe mercenarie straniere.

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  • Per gli ugonotti fu una piccola vittoria, che alla lunga si rivelò dannosa. La regina madre non attribuiva

    infatti alcuna importanza alle scelte religiose e quindi, al contrario di molti cattolici, non si era mai

    sentita minacciata dai riformati. Ora invece temeva che questi mirassero a disarmare la monarchia e che

    portassero un paese indebolito allo scontro con la Spagna. Appena firmata la pace, Caterina sconfessò

    Michel de L'Hôpital, favorevole a un accordo politico con gli ugonotti, e si appoggiò nuovamente ai

    Guisa e in particolare al cardinale di Lorena, che le propose di organizzare un grande "partito", da

    affidare a Enrico d'Angiò, figlio prediletto della regina madre. Quest'ultima sperava quindi di poter

    pacificare la Francia, grazie alla forza dei Guisa. Nel giro di pochi mesi sorsero invece nuove difficoltà.

    Nel 1568 morì Elisabetta di Valois e la regina madre perse così il suo miglior agente alla corte

    spagnola. Inoltre la nuova politica religiosa fece salire la tensione del paese. Nell'autunno vennero

    emanati due editti (28 settembre e 22 dicembre) che prevedevano una sola religione, quella romana, pur

    concedendo la libertà di coscienza. I riformati protestarono e il Consiglio del re, dominato dai Guisa,

    decise d'imprigionare Condé e Coligny, che fuggirono a La Rochelle.

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  • Fu l’inizio della terza guerra di religione. Questa volta le truppe regie vinsero le battaglie di Jarnac (13

    marzo 1569) e di Moncontour (3 ottobre 1569): nella prima morì Luigi di Condé (capo dei protestanti),

    ucciso a tradimento per ordine di Enrico d'Angiò (quarto figlio di Enrico II e di Caterina de' Medici).

    Gli ugonotti furono inizialmente ridotti sulla difensiva, poi Coligny riuscì ad avvicinarsi a Parigi,

    obbligando gli avversari a trattare. La corona infatti non aveva più denaro per pagare i mercenari. Per di

    più l'entourage della regina era preoccupato per l'espansionismo spagnolo e offeso perché Filippo II

    aveva sposato la figlia maggiore dell'imperatore Massimiliano II (Anna), lasciando a Carlo IX soltanto

    la minore (Elisabetta). I Guisa avrebbero potuto opporsi alla pace, ma il giovane duca Enrico di Guisa

    divenne l'amante di Margherita di Valois (regina Margot nome inventato da Alexandre Dumas), sorella

    del re (ma Caterina de Medici ne vietò le nozze), e Carlo IX lo scacciò da corte, visto lo scandalo,

    anche il cardinale di Lorena pensò, prudentemente, di recarsi a Roma. Si giunse così all'ennesima

    tregua: l'editto di Saint-Germain-en Laye dell'8 agosto 1570 che rinnovava le concessioni dell'editto di

    Amboise e concedeva quattro nuove piazzeforti ai protestanti.

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  • Enrico di Guisa (detto il “Balafrè”, lo sfregiato) era figlio primogenito di Francesco I duca di Guisa

    assassinato nel 1563 da un gentiluomo protestante e di Anna d’Este. Enrico fu messo sotto la tutela di

    suo zio Carlo di Guisa, cardinale di Lorena che si incaricò della sua istruzione. Interessato al suo

    apprendistato militare, il cardinale lo spinse a viaggiare in Europa per acquisire esperienza. Al suo

    ritorno in Francia, il duca di Guisa, ormai adulto, si preparò a diventare il capo della casa di Guisa che

    rappresentava l'opposizione cattolica di fronte al partito protestante. Partecipò attivamente alla seconda

    e terza guerra di religione, al fianco di Enrico duca d'Angiò distinguendosi nelle battaglie di Jarnac e

    Moncontour ed acquisì notorietà senza tuttavia superare quella del duca d’Angiò. Già molto ambizioso

    a 20 anni, Enrico di Guisa sperava di sposare la principessa Margherita di Valois ma questo matrimonio

    non si fece per l'opposizione della regina madre, Caterina de' Medici. Nel 1570 Enrico sposò poi

    Caterina di Clèves, figlia del duca di Nevers, dalla quale ebbe 14 figli.

    Margherita di Valois era la settima figlia di Enrico II e di Caterina de' Medici. Con sua madre Caterina

    ebbe rapporti distanti, provando per lei un misto di ammirazione e di timore: «Non soltanto non osavo

    parlarle, ma bastava un suo sguardo a farmi trasalire per il timore di aver fatto qualcosa a lei sgradito».

    Questo timore reverenziale era anche legato a un profondo risentimento, poiché Caterina non faceva

    mistero della preferenza che nutriva per Enrico duca d'Angiò. E fu anche uno dei motivi che spingerà la

    futura regina di Navarra ad allearsi con il fratello Francesco Ercole, duca d'Alençon.

    Tra la giovane Margherita ed Enrico di Guisa nacque una relazione romantica; l'idillio venne scoperto

    dal duca d'Angiò, che riferì alla madre tutta la vicenda. Poiché i Guisa erano sostenitori di una

    monarchia in grado di prendere misure radicali contro gli ugonotti (politica contraria a quella della

    famiglia reale), un matrimonio tra Margherita e il giovane duca era assolutamente impensabile. La

    reazione della famiglia reale fu molto violenta e, come abbiamo detto, Enrico di Guisa fu scacciato da

    corte.

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  • Il 26 novembre 1570 Carlo IX aveva sposato l’arciduchessa d’Austria Elisabetta d’Asburgo, quinta

    figlia (la seconda femmina) del futuro imperatore Massimiliano II e di Maria di Spagna (che era anche

    sua cugina perché figlia di Carlo V). Il matrimonio era stato voluto da Caterina de' Medici, che reggeva

    le fila della politica francese. La regina madre aveva dapprima desiderato per il figlio Carlo la sorella

    maggiore di Elisabetta, l'arciduchessa Anna, andata invece in sposa a Filippo II di Spagna, ma, poiché

    la Francia aveva assolutamente bisogno di un matrimonio cattolico per contrastare l'ascesa del partito

    protestante, si accontentò infine della più giovane e bella principessa Elisabetta. Il matrimonio fu

    celebrato a Mézières-en-Champagne (l'attuale Charleville-Mézières), un piccolo villaggio di confine

    dove la corte francese si era recata, vista la brutta stagione, per accogliere la giovane principessa.

    All’inizio il matrimonio sembrò felice ma poi il re fece ritorno alla sua amante di vecchia data, Marie

    Touchet, dalla quale ebbe nel 1573 un figlio, Carlo, che venne riconosciuto dal padre e divenne in età

    adulta un importante personaggio della corte francese con il titolo di duca d’Angoulême.

    Caterina tenne la giovane nuora e regina lontana dalla politica affidandole pochi compiti di

    rappresentanza. Il 27 ottobre del 1572 nacque l'unica figlia di Carlo ed Elisabetta, Maria Elisabetta

    (1572-1578), cui vennero dati i nomi sia della moglie sia dell'amante del re. Fu l’ultima discendente dei

    Valois e morì nel 1578 a soli 6 anni.

    Dopo la morte di Carlo IX, avvenuta nel 1574, Elisabetta tornò a Vienna e dedicò la sua vita ai poveri

    e agli ammalati. Morì il 22 gennaio 1592 per una pleurite, in odore di santità.

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  • Nel 1572 il fiammingo Ludovico di Nassau (1538-1574) (una delle figure chiave della rivolta dei

    calvinisti olandesi contro gli spagnoli e fratello minore di Guglielmo I d’Orange “il Taciturno” capo

    indiscusso dei rivoltosi), profugo in Francia, allestì, con il tacito consenso del re di Francia Carlo IX e

    degli ugonotti, molte bande armate che nel maggio conquistarono agli spagnoli le città di Mons

    (Belgio) e Valenciennes (Francia); mentre il fratello operava in Olanda. Sembrò che questi fatti

    potessero determinare una nuova guerra tra Francia e Spagna con possibilità che il conflitto si riaprisse

    anche in Italia. Emanuele Filiberto fu interpellato dal governatore di Milano, Louis de Requeséns (già

    comandante in seconda di don Giovanni nella battaglia di Lepanto) perché si dichiarasse in favore della

    Spagna. Il duca, colpito dal tono imperioso con cui questa richiesta era stata formulata, rispose

    seccamente che le clausole del Trattato di Cateau Cambresis gli proibivano di schierarsi in una guerra;

    il Ducato sabaudo doveva rimanere neutrale tra i contendenti. Pertanto egli si sarebbe chiuso nelle sue

    fortezze ed avrebbe atteso gli eventi. La guerra non scoppiò e Carlo IX, su cui era caduto il sospetto di

    aver appoggiato il colpo di mano di Ludovico di Nassau, sconfessò l’iniziativa e dichiarò di volere la

    pace; l’Europa fu quindi preservata da un’altra sanguinosa guerra.

    Nel luglio del 1572 Emanuele Filiberto fu colpito da un violento attacco di calcoli biliari e,

    nuovamente, corse pericolo di vita. Ancora una volta si constatò come, nella possibilità di una sua

    scomparsa, la Spagna fosse pronta a raccogliere truppe ai confini del Ducato per occupare il Piemonte.

    Fortunatamente, Emanuele Filiberto guarì e a metà settembre fu già in grado di riprendere le redini

    dello Stato.

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  • La pace di Saint-Germain (1570) aveva messo fine a tre anni di terribili guerre civili tra cattolici eprotestanti, ma fu precaria, perché i cattolici intransigenti non l'accettarono in quanto contrari ad unritorno dei protestanti a Corte. Ma la regina madre Caterina de' Medici e il figlio Carlo IX, coscientidelle difficoltà finanziarie del regno, erano decisi a impedire la ripresa delle ostilità. Per concretizzare ilmantenimento della pace tra i due partiti religiosi, Caterina progettò il matrimonio tra la figliaMargherita di Valois e il principe protestante Enrico di Navarra, erede del regno di Navarra epretendente alla corona di Francia dopo i Fils de France (Il titolo di fils de France ("figli di Francia")era dato ai figli maschi dei re e delfini di Francia. Le figlie femmine erano conosciute come filles deFrance (figlie di Francia). Il medesimo trattamento era concesso ai figli del delfino). Enrico di Navarraera il X successore di Luigi IX il santo a cui si dovette risalire per la legge salica. Alla notizia delmatrimonio, Margherita accettò l'ordine della madre (pare dopo aver rifiutato, forse convintasuccessivamente dall'ambizione di salire al trono e dall'ottimismo che si stava diffondendo sulle nozze),ribadendo però la sua adesione convinta al Cattolicesimo. Il suo attaccamento alla fede fu contrappostoalle richieste della madre di Enrico, Giovanna III (Jeanne) d'Albret (1528-1572), regina di Navarraunica figlia di Margherita d’Angoulême e Enrico II di Navarra e vedova di Antonio di Borbone, laquale essendo convinta ugonotta, all’inizio delle trattative, 1572, rifiutò il matrimonio. Poi pose comecondizione la conversione al calvinismo della sposa. Margherita rifiutò e Giovanna, spinta dal partitoprotestante e dietro insistenza della consuocera, accettò di ritirare la condizione dando il suo assenso efirmò il contratto di nozze il 12 aprile 1572. Giovanna non riuscì a vedere il matrimonio perché morì il3 giugno del 1572 di tubercolosi, dopo aver ceduto al figlio il regno di Navarra.

    Lo sposo arrivò a Parigi, accompagnato da 800 gentiluomini vestiti a lutto per la morte della reginaGiovanna, nel luglio 1572. Le nozze furono celebrate il 18 agosto 1572 dal cardinale Carlo di Borbone-Vendôme, zio di Enrico, davanti alla Cattedrale di Notre Dame. Per il matrimonio non fu attesa ladispensa papale, che si era resa necessaria perché il rito riguardava fedeli di due religioni differenti, fral'altro cugini di secondo grado fra loro. Alle nozze, definite "unione esecrabile” dai gesuiti e seguite datre giorni di festeggiamenti, non presero parte ambasciatori provenienti da nazioni cattoliche nécomponenti del Parlamento di Parigi

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  • Mentre fervevano i preparativi per il matrimonio di Enrico di Navarra, Coligny iniziò a raccogliere un

    esercito privato. Caterina, temendo che queste truppe fossero utilizzate in Francia e non nei Paesi Bassi

    e, in ogni caso, ritenendo rischioso lo scontro con gli spagnoli, decise di sbarazzarsi del Coligny.

    L'attentato, pare, venne concordato con Enrico d’Angiò e con Anna d'Este e il figlio Enrico di Guisa

    che volevano vendicare l’assassinio del marito e padre Francesco di Guisa.

    Occorre anche sottolineare che, dopo la vittoria cristiana a Lepanto e il ritrovato prestigio della Spagna,

    le forze cattoliche in Francia avevano rialzato la testa ed erano pronte a promuovere nuovi attentati.

    I congiurati attesero la fine dei festeggiamenti per le nozze ma fallirono il colpo. Il 22 agosto 1572 il

    sicario Maurevert ferì soltanto l'ammiraglio al braccio sinistro.

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  • Il mancato assassinio di Coligny scatenò un regolamento di conti. Caterina ed Enrico d'Angiò paventarono unarappresaglia dei capi ugonotti ancora a Parigi. Dopo essersi consultati con i consiglieri più fidi, rivelarono tutto aCarlo IX, che si era recato al capezzale di Coligny. Carlo IX, debole di mente e pieno di paura gridò incollerito:«Ebbene, sia! Li si uccida! Ma tutti! Che non ne resti uno che me ne si possa rimproverare!»; si decise cosìl'eliminazione dei capi protestanti, con l'esclusione dei principi di Navarra e di Condé. Le autorità municipali diParigi ebbero ordine di chiudere le porte della città e di armare i borghesi. La fazione cattolica, con a capo i duchidi Guisa e appoggiata dal Re, dal fratello Enrico d’Angiò e da Caterina, nella notte tra il 23 e 24 agosto (notte diSan Bartolomeo) scatenò la caccia agli ugonotti. Sembra che il segnale d'inizio sia stato dato delle campane dellachiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois, vicina al Louvre, abitazione di molti nobili protestanti. L'ammiraglio deColigny fu ucciso nel suo letto e scaraventato dalla finestra; i corpi degli uccisi furono ammassati nel cortile delLouvre.

    Il massacro di migliaia di ugonotti durò più giorni. Molti cadaveri furono gettati nella Senna, come quello delColigny, poi ripescato, evirato e impiccato. Il re di Navarra e Enrico di Condé, furono obbligati ad abiurare la lorofede e graziati perché principi di sangue. Si dice che Elisabetta d'Austria, svegliata dalle urla, chiese se il Re nefosse informato, e si sentì rispondere che l'ordine proveniva da lui: chiese allora perdono a Dio per il marito. Lastrage non restò confinata tra mura parigine: la notizia si diffuse e i cattolici si scagliarono contro i protestantianche in molte altre città della Francia.

    Gli ugonotti si riorganizzarono rapidamente. Il massacro rafforzò la loro coesione e li liberò da ogni legame versola corona. La leadership ugonotta del decennio precedente, composta da nobili fedeli al re e abituati a pensare intermini non solo religiosi, era scomparsa. A Montauban, a Nîmes, nelle Cevennes e a La Rochelle i riformati sistrinsero ai pastori e proclamarono lotta senza quartiere contro i Valois e nel settembre 1572 iniziò la quarta diguerra di religione. Venne rimessa in discussione l'autorità del potere reale, sia con la costituzione dell'Unione deiprotestanti del Midi, una sorta di governo parallelo, che imponeva imposte, organizzava gli Stati generali,manteneva un proprio esercito e intendeva trattare col governo centrale, contestando il principio d'ereditarietà dellamonarchia e la legittimità della reggenza, particolarmente se tenuta da una donna straniera. Due mesi dopo tutto ilMidi protestante era in armi, mentre le truppe regie cercavano invano di piegare la resistenza dei centri riformati.

    Nello stesso periodo, a Péronne, nel nord, si costituì la Lega cattolica, per iniziativa dei Guisa, cui aderirono nobilie borghesi della Francia settentrionale, ma a cui capo era l'alta nobiltà, che intendeva approfittare delle difficoltàdel governo per indebolire l'autorità reale. Le enormi spese per finanziare le continue guerre, unite alle devastazioniportate dagli eserciti, avevano ancor più aumentato la pressione fiscale, il governo regio, non potendo ulteriormentetassare le campagne, si era volta a esigere denaro anche a quelle città che godevano ancora di autonomiaamministrativa. Il risultato fu una crescente ostilità contro la dinastia dei Valois.

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  • Il duca pensò di trarre profitto da questa grave situazione prodottasi in Francia per cercare di ottenere

    dalla regina madre, Caterina de’ Medici, dal figlio, il re Carlo IX, e, in particolare, dal fratello minore

    del re, Enrico duca d’Angiò, la restituzione delle piazze piemontesi ancora in mano francese. Ma le sue

    richieste non trovarono attuazione in quanto i Francesi dichiararono che per lasciare Pinerolo e

    Savigliano avrebbero preteso lo sgombero contemporaneo della città di Asti e di Santhià, occupate

    dagli Spagnoli.

    Emanuele Filiberto dovette affrontare in quell’anno anche altre vertenze di politica estera, in particolare

    vi fu l’azione diplomatica tesa a scongiurare una grave minaccia ad est dei suoi confini: cioè la

    possibilità che il Duca di Mantova cedesse alla Spagna le sue terre monferrine in cambio di Cremona e

    del suo circondario, che facevano parte del Ducato di Milano. Se il contratto fosse stato stipulato, il re

    di Spagna sarebbe venuto in possesso di territori vicinissimi a Torino e inseriti nel cuore della zona

    astigiana. Emanuele Filiberto si rivolse direttamente a Filippo II e all’Imperatore, esponendo

    chiaramente le sue ragioni e rivendicando i suoi diritti su quelle terre; riuscì così a strappare la

    promessa che nessuna trattativa sarebbe stata avviata senza prima averlo consultato.

    Un’azione altrettanto preoccupante era stata compiuta dal nuovo governatore di Milano, il Duca

    d’Albuquerque, verso il marchesato di Finale, antico feudo imperiale. Questi lo aveva fatto occupare

    dalle truppe spagnole per timore di vederlo annesso alla Francia che stava operando occultamente per

    prenderne possesso. Il duca scrisse a Madrid e a Vienna, deplorando la manovra arbitraria del

    governatore e pretendendo lo sgombero delle truppe spagnole; vi riuscì solo dopo due anni e il Finale

    tornò ad essere un dominio dipendente direttamente dalla lontana Vienna.

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  • L’11 maggio del 1573 Enrico (18 anni), duca d’Angiò, terzogenito della regina Caterina, venne eletto

    re di Polonia dalla Dieta di Varsavia. Caterina, in effetti, poco prima della morte senza eredi dell’ultimo

    degli Jagelloni, Sigismondo Augusto, aveva inviato a Varsavia il migliore dei suoi diplomatici, Jean de

    Monluc vescovo di Valence, per perorare la causa di quel figlio, che era il suo prediletto. Ponendo sul

    trono di Polonia uno dei suoi principi, la Francia contava di farsene un’alleata contro gli Asburgo. Il

    duca d’Angiò era stato scelto per la sua fama di valoroso condottiero guadagnata nelle battaglie di

    Jarnac e Montcontour: in Polonia c’era una minoranza assai numerosa di riformati.

    Il 30 maggio 1574 però il re di Francia Carlo IX morì di tubercolosi, attorniato da intrighi e tragedie,

    alla giovane età di 24 anni! Sul letto di morte il re aveva firmato un’ordinanza che decretava la

    reggenza a Caterina de’ Medici. La corona passava al fratello, col nome di Enrico III, che era già stato

    luogotenente del re ed ora, come detto, era diventato re di Polonia.

    Enrico III, appena appresa la notizia della morte del fratello, volle far ritorno a Parigi il più presto

    possibile. Non potendo lasciare ufficialmente un trono da così poco tempo conquistato, nella notte tra il

    18 e 19 giugno 1574 si diede alla fuga.

    15Anno 1 Lez 8

  • Il 22 giugno1572 Enrico III scrisse alla madre dicendo che: «Dopo aver visitato la Germania andrò in Italia, mi recherò aVenezia, e infine dal Signore di Savoia, incontrerò Madama la qual cosa mi procura grandissimo piacere».

    Emanuele Filiberto aveva sempre avuto ottimi rapporti con il Duca d’Angiò, probabile successore di Carlo IX; quando Carlomorì, il duca di Savoia gli offrì i suoi servigi e, sebbene appena uscito da un attacco di febbre, per la qual era inconvalescenza a Savona, decise di raggiungerlo a Venezia: sperava di ottenere da Enrico la restituzione delle piazzefortiancora occupate dai Francesi e cedeva alle suppliche di Caterina de’ Medici che temeva che il figlio non fosse abbastanzaprotetto da intrighi o incidenti. Emanuele Filiberto raggiunse in lettiga Torino e il 15 luglio si imbarcò sul Po. RaggiuntoEnrico a Venezia, partecipò a grandi festeggiamenti: era la prima volta che Venezia riceveva la visita di un re di Francia.

    Dopo 10 giorni di feste, il 27 luglio zio e nipote lasciarono Venezia. Il corteo toccò Padova, poi Ferrara, dove Alfonso IId’Este offrì festeggiamenti; un terremoto abbreviò la sosta ferrarese; Re e Duca giunsero quindi presto a Mantova, accoltidal duca Guglielmo Gonzaga. Il viaggio proseguì per via d’acqua lungo il Po, ma non toccò Pavia, per evitare il ricordo dellasconfitta di Francesco I. Quindi Enrico III, anziché recarsi a Milano dove lo attendeva don Giovanni d’Austria, si fermò aMonza dove incontrò il cardinale Carlo Borromeo. Emanuele Filiberto ripartì da solo per Torino per ultimare i preparatividella fastosa accoglienza che voleva riservare al nipote, già portati avanti e curati personalmente dalla duchessa Margherita.

    Il 12 agosto il re di Francia attraversò il Sesia su un ponte di cavalletti ed entrò in territorio ducale. Le preoccupazioni delDuca per la sicurezza del Re diminuirono: grazie alla polizia segreta, le strade erano sicure, anche se malagevoli perl'abbandono; i ponti mancavano e il Re passò i fiumi sopra ponti di legno sorretti da barconi o da carri messi per traverso. AVercelli Enrico fu salutato da 4000 uomini schierati: erano le truppe della milizia paesana, istituita anni prima dal Duca. IlRe giunse il 13 agosto a Chivasso, dove ricevette il saluto di altri 4000 uomini. Grande fu la sorpresa del Re e deigentiluomini del seguito. A Torino arrivò il 15 agosto e fu accolto fastosamente dalla Duchessa, dalla zia Margherita, dalCarlo Emanuele (quasi 13 anni) e dalle istituzioni del Ducato. Anche a Torino i festeggiamenti furono sontuosi. Il Duca, nei12 giorni di permanenza a Torino del Re, gli mostrò la splendida Cittadella “la cosa più preziosa per il duca dopo il figlio” el’arsenale, nella piazza davanti al Palazzo Ducale, che produceva armi da fuoco e bianche. Enrico, pur mostrandosienigmatico e impenetrabile, avvertì l’ammonimento tacito che lo zio gli voleva dare, mostrandogli la sua forza militare.

    La duchessa era affezionata al nipote e fu felice di rivederlo. Mise in atto le sue doti diplomatiche per convincerlo adapplicare le clausole del trattato di Cateau-Cambrésis e dunque a restituire le piazzeforti ancora occupate. Ma il Re evitò difare promesse. Emanuele Filiberto non volle affrontare l’argomento fino a che Enrico III era suo ospite.

    Il re partì da Torino senza che la questione di Pinerolo, Savigliano e la Perosa fosse stata toccata. Il duca di Savoia, cheaveva appena avuto una colica renale, insisté per accompagnare il nipote fino a Lione, anche per affrontare con lui ilproblema delle piazzeforti; troppo provato per montare a cavallo viaggiò in lettiga. La Duchessa avrebbe dovutoraggiungerli a Lione, dove arrivarono il 6 settembre trovandovi Caterina de’ Medici; Il progetto saltò per una malattia delprincipino; il duca venne anche a conoscenza di una grave indisposizione di Margherita e decise di tornare a Torino.Nell’incontro di commiato con il Re e Caterina, il Duca ebbe il sollievo di apprendere che Enrico aveva deciso diriconsegnargli le tre fortezze. Ma la sua gioia era profondamente turbata dalle dolorose notizie che gli giungevano da Torino.

  • Margherita, per quanto affaticata dal soggiorno del re di Francia e dai festeggiamenti fatti in suo onore,non si era mai allontanata dal capezzale del figlio. Dopo pochi giorni la febbre del bambino scese, mala duchessa ne fu affetta a sua volta. Il 10 settembre scrisse al marito: «La mia salute non è quella chevorrei per poter seguire vostro figlio, infatti ho avuto la febbre ieri e quasi tutta la notte, ma grazie aDio stamani mi sento meglio e ho potuto recarmi a far visita a vostro figlio, dove mi trovo ora». Ma ilsuo stato peggiorò rapidamente: febbri, dolori anginosi, violente emicranie, mentre la contessa diPancalieri, Maria Gondi de Retz, governante del principino, si ammalava anch’essa con gli stessisintomi. Si trattava sicuramente di un’epidemia di influenza. Il 12 settembre i medici dichiararono chenon c’era più nulla da fare. Nonostante l’estrema debolezza, Margherita trovò ancora la forza di dettareuna lettera per il consorte, ammirevole per forza d’animo e generosità. Di lì a due giorni, dopo averconfessato umilmente all’arcivescovo di Torino le colpe che pensava di aver commesso nella vita, ellaricette dalle sue mani l’estrema unzione. Il mattino del 15 si tentò un ultimo salasso; la duchessa rimaselucidissima e diede le ultime disposizioni. Alle nove di sera si spense dolcemente, senza il conforto delmarito e del figlio, tanto amati. Aveva 51 anni. Margherita sin dalla tenera età aveva sofferto diproblemi bronchiali: senza dubbio spirò a causa di una pleurite, complicazione dell’influenza contratta.

    Emanuele Filiberto ricevette la notizia a Chambéry, ove era stato costretto a mettersi a letto, colpito daun’altra colica renale. Ancora troppo sofferente per muoversi, egli poté partire per Torino solo la nottedel 21 settembre. Il duca decretò che per la consorte fossero celebrati solenni funerali nel duomo diTorino. Vi fu un immenso concorso di popolo che dimostrò quanto la duchessa avesse saputoaccattivarsi gli animi dei suoi sudditi. Pochi mesi dopo Enrico III ordinò di officiare una messa funebrea Notre-Dame a Parigi. Caterina de’ Medici fu sconvolta nel veder sparire così all’improvviso colei cheattendeva a Lione con grandissima impazienza e che, forse, era stata la sua vera ed unica amica.

    Il corpo di Margherita fu tumulato a Chambéry (secondo altre fonti nell’Abbazia di Hautecombe).Oggi, da più di un secolo le ceneri di Margherita di Francia, Duchessa di Savoia, sono sepolte nellaSacra di San Michele; qui nel maggio 1974, nel 4° centenario della morte, fu celebrato un solenneservizio funebre alla presenza dell’Arcivescovo di Torino, dei Vescovi di Chambéry e Susa.

    17Anno 1 Lez 8

  • Il Ducato sabaudo corse un grave rischio nel novembre dello stesso anno: si temeva che la scomparsa

    della duchessa Margherita avrebbe ritardato la riconsegna delle terre piemontesi. La Francia, infatti,

    perduta la sua forte interlocutrice a fianco di Emanuele Filiberto, si sentiva non più vincolata dagli

    impegni già assunti; solo la fermezza di Enrico III, che aveva dato il suo assenso a restituire le piazze

    prima della morte della duchessa, si impose sulla forte corrente contraria capeggiata da Ludovico

    Antonio Gonzaga duca di Nevers, governatore dei paesi occupati. Il duca, come già in passato, fece

    largo uso dell’arma del denaro; il Nevers fu convinto a tornarsene in Francia; venne sostituito da Enrico

    d’Angoulême, fratello illegittimo di Enrico III, il quale firmò a Torino, il 14 dicembre 1574, il trattato

    di restituzione di Pinerolo, dell’Abbadia, della Perosa, di Savigliano e di Genola, che ebbe poi luogo il

    28 dicembre.

    Il duca richiese quindi alla Corte di Madrid la restituzione di Asti e Santhià; ogni rifiuto dopo le

    decisioni della Francia sarebbe stato impossibile. Pur tuttavia gli Spagnoli, sull’esempio francese,

    cercarono di ritardare lo sgombero delle guarnigioni e avanzarono perfino pretese per ottenere, in

    cambio di Asti e Santhià, le piazze ducali di Desana e Felizzano. Essi miravano ad ottenere anche Alba

    e San Damiano, terre monferrine, dai duchi di Mantova. Gli inviati ducali a Madrid non furono ricevuti

    e solo accontentati con vaghe parole. L’attesa del duca fu lunga e la pazienza che mise nei riguardi

    della Spagna non fu certo inferiore a quella coi francesi. Finalmente, il 30 luglio 1575, Filippo II

    impartì l’ordine di ritiro al governatore di Milano; due mesi dopo, il 28 settembre, il conte di Masino e

    il conte di Ponderano ricevettero Asti e Santhià dagli spagnoli.

    Dopo oltre 16 anni dalla pace di Le Cateau, il Duca poté rientrare in possesso di tutte le piazze occupate

    da Francesi e Spagnoli: la questione con le potenze occupanti poteva dirsi finalmente risolta!

    18Anno 1 Lez 8

  • Il 15 febbraio del 1575, due giorni dopo essere stato incoronato re di Francia a Reims, Enrico III avevasposato Luisa di Lorena-Vaudémont, nobile francese che apparteneva ad un ramo cadetto dei Guisa.Questo matrimonio non era piaciuto a Caterina de’ Medici. Luisa di Lorena (1553-1601) era di salutecagionevole, non riuscì mai a dare un figlio al marito, che fu assassinato il 2 agosto 1589. Finì così ladinastia dei sovrani Valois, a cui seguirono sul trono di Francia i Borbone con Enrico IV di Francia.

    • Caterina de' Medici avrebbe voluto per lui una principessa reale, ma le trattative con Elisabetta Id'Inghilterra fallirono per motivi religiosi. Il principe era innamorato della bellissima Maria diClèves (1553-1574) moglie di Enrico principe di Condé. Sembra che Enrico III volesse farladivorziare per poi sposarla, ma Maria morì prima di parto.

    • Enrico III era un uomo di contrasti con molte sfaccettature: quella di uomo fiero e solenne, maanche quella di uomo stravagante e amante del piacere. Sotto l’apparente dolcezza nascondeva unanimo che lo portava ad avere accessi di collera. Possedeva la grazia e la maestà di un re; ricercatonell'eleganza e amava la moda, curando molto il suo aspetto. Detestava la violenza ed evitava lebattaglie. Inoltre non amava l'attività fisica, pur essendo una delle migliori "lame" del regno. EnricoIII era un re più adatto a discutere con i ministri che ad agire sui campi di battaglia. Era moltointelligente, ma debole di carattere; profondamente cattolico; con l'età, la sua devozione aumentò.Piuttosto emotivo, credeva che le sue sfortune, in particolare l'assenza di eredi, fossero dovute aisuoi peccati. Per espiarli si ritirava per giorni nei monasteri od in ritiri spirituali.

    • Proseguì la politica della madre nell'escludere dagli affari dello Stato i nobili delle grandi famigliearistocratiche che non avevano mai cessato di scontrarsi per il potere. Promosse al rango della cortegli uomini della piccola nobiltà, uomini nuovi a cui si appoggiò nella sua attività di governo,affidando loro grandi responsabilità. La corte di Enrico III si compose quindi di una schiera difavoriti che conobbero una carriera folgorante e che saranno chiamati i mignons. Questi ricevetterodal Re ricompense enormi che fecero aumentare vertiginosamente i debiti del regno, ma per il Re larestaurazione del potere reale restava l'obiettivo primario. Enrico III fece diverse riforme importanti,soprattutto quelle monetarie per sistemare i problemi finanziari del regno. Enrico III rese anchel'etichetta di corte più rigida, anticipando così quella di Versailles di un secolo più tardi.

    19Anno 1 Lez 8

  • Malgrado il “Modus vivendi” del 1570 con Ginevra, Emanuele Filiberto aveva mantenuto osservatori

    nella città per conoscerne le novità e le mosse politiche; su queste il Duca era informato anche dai

    diplomatici di Spagna, che voleva accrescere la sua influenza nella regione elvetica. Giunsero notizie

    che Ginevra, con l’appoggio dei Bernesi e della Francia, aveva aperto trattative con i cantoni cattolici di

    Soleure e Friburgo per un’alleanza. La Spagna, la Santa Sede e il duca di Savoia lavorarono abilmente

    negli altri cantoni cattolici, avversi a Ginevra, per scongiurare l’alleanza tra la città eretica e i due

    cantoni cattolici. Alla fine, le trattative fallirono, soprattutto per le difficoltà economiche dei ginevrini.

    Emanuele Filiberto era riuscito a bloccare gli sforzi della Francia volti ad ottenere che cantoni cattolici

    proteggessero Ginevra; ora toccava a lui fare una mossa per allearsi con i cantoni cattolici.

    Abbiamo già detto che i “Waldstätte” si erano mostrati inquieti quando Emanuele Filiberto aveva

    sottoscritto il “Modus vivendi” con Berna e Ginevra. Quattro anni dopo il Duca riprese le trattative con

    i cinque cantoni cattolici. Queste furono complesse perché la Francia lavorava in senso contrario; i

    cantoni cattolici erano riluttanti a rigettare le proposte francesi in quanto creditori della Francia di forti

    somme per truppe fornite: una rottura con la Francia avrebbe significato la perdita di quelle somme.

    L’ambasciatore sabaudo vinse la battaglia grazie al denaro che il Duca gli inviava: non si presentava

    mai agli incontri a mani vuote e vinse le resistenze dei cantoni. Dopo Unterwalden, Lucerna, Uri,

    Schwyz e Zug aderirono all’alleanza con il Duca. Solo il cantone di Soleure, già firmatario di

    un’alleanza con il duca nel 1560, non fu più interessato. Friburgo non era stato inserito nel trattato di

    alleanza del 1560 per le controverse sulla contea di Romont; il mezzo decisivo utilizzato dal Duca per

    portare dalla sua parte Friburgo fu proprio la cessione di Romont. Così Friburgo entrò nella Lega

    antiprotestante conclusa tra il Duca e i “Waldstätte”. Quest’alleanza dispiacque moltissimo alla Francia

    che si era assunta il ruolo di protettrice di Ginevra; Enrico III era furibondo: in caso di invasione della

    Savoia, si sarebbe trovato di fronte i forti contingenti di sei Cantoni svizzeri. Anche Filippo II era

    scontento del trattato, perché aveva capito che il Duca aveva imboccato la strada dell’indipendenza

    senza mostrare, a suo dire, riconoscenza per la restituzione degli stati occupati.

    20Anno 1 Lez 8

  • Nel 1578 la questione ginevrina si riaprì per un incidente diplomatico causato da Jacques di Savoia-Némours, cugino di Emanuele Filiberto e duca del Genevese: uomo ambizioso, riteneva di avereereditato dai Conti del Genevese dei diritti su Ginavra e aveva più volte dichiarato che la città dovevadiventare sua. Emanuele Filiberto aveva avvertito l’ambizioso cugino che le sue pretese eranoincompatibili con gli interessi dei Savoia. Ma Jacques aveva continuato a tramare contro Ginevra; nel1567, al passaggio dell’armata spagnola sul Rodano, si era offerto di difendere la città; la secca rispostadei ginevrini ricordò al duca di Némours quanto fossero assurde le sue pretese su Ginevra.

    Nel 1577 Jacques trovò l’aiuto di Enrico di Guisa (figlio di Francesco, assassinato nel 1563 e la cuivedova, Anna d’Este, Jacques aveva sposato). Enrico di Guisa, duca di Lorena e capo dei Liguerscattolici, persuaso della facilità dell’impresa e animato dalla volontà di distruggere il focolaio ereticoginevrino, aveva fatto affluire in zona sue truppe. Il duca di Némours aveva ammassato altri soldati.Emanuele Filiberto aveva avvertito Ginevra del pericolo e aveva offerto truppe valdesi; ma Ginevraaveva provveduto diversamente. Venuta a mancare la sorpresa, Jacques e Enrico di Guisa rinunciarono,ma Ginevra accusò il duca di Savoia di aver partecipato al tentativo, perché tra i partigiani del duca diNémours vi erano dei savoiardi. I Bernesi minacciarono di inviare 12000 uomini sulle terre deiNémours e savoiarde. Al Duca servirono grande diplomazia e 5000 scudi per calmare le acque: iBernesi lo invitarono a punire Jacques e chi lo aveva aiutato. Emanuele Filiberto fu deciso nellarepressione, ma non riuscì a convincere pienamente i ginevrini. Anche Enrico III fu accusato di averfavorito l’impresa, provocando forti attriti tra lui ed Emanuele Filiberto.

    Poco dopo il Duca seppe che il cugino stava di nuovo riunendo truppe. Molti pensarono che Jacquesvolesse ritentare con Ginevra, ma Emanuele Filiberto capì che l’obiettivo era il suo stesso stato; agìallora con decisione, muovendo truppe verso il Genevese, inviando ad Annecy Andrea Provana conordini tassativi, rinforzando i forti dell’Annunziata e di Rumilly. Jacques capì quanto stava rischiandocon il suo sovrano; la sua consorte Anna d’Este, interessata dal duca di Savoia, lo convinse a fermarsi.Poi ella stessa comunicò ai Bernesi che il marito avrebbe trascorso un lungo periodo in Francia. Pocodopo un gentiluomo di Jacques prestò atto di fedeltà al duca di Savoia, in nome del suo signore.

    21Anno 1 Lez 8

  • Nel 1578 ci fu un avvenimento di grande importanza politica e religiosa per il Ducato di Savoia: il

    trasferimento definitivo della SS. Sindone da Chambéry a Torino. Già da 15 anni Chambéry era stata

    privata del rango di capitale del Ducato in favore di Torino; il provvedimento che aveva colpito il

    sentimento popolare dei savoiardi avrebbe avuto un seguito ancor più doloroso con la partenza

    definitiva del Sacro Lino verso la nuova capitale. La reliquia era il più prezioso tesoro di casa Savoia e

    durante l’occupazione francese si resero necessari numerosi spostamenti legati ai continui trasferimenti

    della Corte e dei Duchi di Savoia che portarono sempre con sé quello che consideravano il loro

    supremo bene. Nel 1561 la Sindone, dopo un periodo di permanenza a Vercelli, era tornata a

    Chambéry.

    Emanuele Filiberto aveva in animo di richiamare la Sacra Reliquia presso di sé, in modo che i suoi

    discendenti ne ereditassero, insieme alle cure dello Stato, anche il grande senso di venerazione degli avi

    e ne perpetuassero l’impegno di custodirla. L’occasione si offrì al duca appunto nel 1578: il Cardinale

    Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, aveva fatto un voto di recarsi a Chambéry per venerare la

    Sindone, da lui invocata durante la terribile peste, ricordata come peste di San Carlo, che aveva colpito

    Milano negli anni 1576-77. Ma le cure pastorali del Borromeo avevano fatto ritardare di molto il

    viaggio che poté essere stabilito solo per la fine dell’estate del 1578. Il duca di Savoia, per evitare al

    presule una parte del viaggio, decise di fargli trovare la Sindone a Torino.

    22Anno 1 Lez 8

  • San Carlo Borromeo (1538 - 1584) cardinale, Arcivescovo di Milano e dottore della Chiesa, fu proclamato beatonel 1602 e nel 1610; la ricorrenza cade il giorno dopo la sua morte, il 4 novembre.

    Figlio di Gilberto II Borromeo e Margherita Medici di Marignano, crebbe in una famiglia nobile e ricchissima;divenne abate all’età di 12 anni in quanto, come figlio cadetto della famiglia, era destinato alla carrieraecclesiastica. Studiò e si laureò brillantemente in diritto canonico e civile all’Università di Pavia. Nel 1560 ilfratello della madre, Giovan Angelo Medici di Marigliano fu eletto papa col nome di Pio IV. Carlo si trasferì aRoma dallo zio; alla morte del fratello maggiore Federico gli fu consigliato di lasciare l’ufficio ecclesiastico e disposarsi per non estinguere la famiglia; ma lui rifiutò per impegnarsi nelle opere religiose. Alla Corte pontificia funominato protonotario apostolico e fu creato cardinale con importanti incarichi. Così all’età di ventidue anni era inpratica l’uomo di stato più importante della corte papale. Ordinato sacerdote nel 1563 e subito dopo consacratovescovo, partecipò alle ultime fasi del Concilio di Trento diventando uno dei maggiori promotori dellaControriforma; partecipò in larga parte alla stesura del Catechismo Tridentino (Catechismus Romanus).

    Dal 1565 fu Arcivescovo di Milano. In conformità ai desideri del Papa, visse in grande splendore, ma la suatemperanza e la sua umiltà non furono mai messe in discussione. Lasciata la corte pontificia, si stabilì nella diocesidi Milano, dove da 80 anni mancava un vescovo residente e dove era radicata una situazione di degrado, con prelatipoco preparati, dediti alle mondanità e spesso "scostumati". Qui si spese per rafforzare la moralità e la preparazionedel clero, per rilanciare le attività pastorali e di carità. Rinunciando a rendite e benefici e vendendo beni propri,finanziò nuove iniziative pastorali e assistenziali, in controtendenza rispetto alle abitudini correnti dell'alto clero.Costruì nuove chiese, scuole e collegi nella diocesi milanese, si impegnò nelle visite pastorali, curò la stesura dinorme importanti per il rinnovamento dei costumi ecclesiastici. Tra i suoi grandi meriti vi fu quello di obbligare iparroci delle parrocchie del milanese a tenere dei registri aggiornati e precisi circa i battesimi, i matrimoni e lemorti dei fedeli, uno dei primissimi passi al mondo nel tentativo di stabilire i diretti antenati delle moderneanagrafi.

    Nonostante le Diete di Ilanz del 1524 e del 1526 avessero proclamato la libertà di culto nella Repubblica delle TreLeghe in Svizzera, egli combatté il protestantesimo nelle valli svizzere, imponendo rigidamente i dettami delConcilio di Trento. Nella sua visita pastorale in Val Mesolcina in Svizzera fece arrestare per stregoneria oltre 150persone. Dopo le torture quasi tutti abbandonarono le fede protestante, salvandosi così la vita; 12 donne ed ilprevosto furono invece condannati al rogo nel quale furono gettati a testa in giù.

    Fornì assistenza in particolare in occasione della durissima carestia nel 1570 e nel periodo della terribile peste del1576-1577.

    Morì il 3 novembre 1584 al rientro a Milano da una visita pastorale sul lago Maggiore.

    23Anno 1 Lez 8

  • Il Duca fece portare la Sindone a Torino, per un itinerario segreto (forse il Moncenisio, forse le valli diLanzo); dovette promettere ai canonici di Chambery che lo spostamento sarebbe stato solo provvisorio.La Sindone arrivò al castello ducale di Lucento il 5 settembre 1578, poi fu spostata nella chiesa di SantaMaria del Presepe: una modesta chiesa che nel 1666 sarà trasformata nella grandiosa chiesa di SanLorenzo da Guarino Guarini, per i padri Teatini. Il 29 settembre fu esposta in Cattedrale.

    Carlo Borromeo giunse a piedi il 9 ottobre, dopo quattro giorni di viaggio, duramente provato nelfisico: benché solo quarantenne, aveva salute delicata, probabilmente per i molti digiuni.

    Venerdì 10 ottobre il Cardinale di Milano celebrò la Messa all’altare di San Lorenzo, poi, dispiegato suun grande tavolo nel coro della cattedrale, gli fu presentato il Sacro Lino. Domenica 12 ottobre il SacroLino fu esposto all’aperto, in piazza Castello, sopra un palco improvvisato. Ben 11 Vescovi lodispiegarono e lo sollevarono alcune volte agli occhi di una folle enorme.

    Quell’autunno era giunto a Torino, “pedone e male in arnese”, Torquato Tasso, genio poetico dell’Italiadel tempo. Il Tasso, di 34 anni e con la mente già scossa, aveva lasciato la corte di Ferrara per timore diaver scontentato Alfonso II d’Este. Dopo varie peregrinazioni aveva scritto al duca di Savoia, offrendoi suoi servigi. Mescolato tra la folla, poté assistere all’arrivo del cardinale Borromeo e all’ostensionedella Sindone. L’ospitalità del marchese Filippo d’Este e la benevolenza del Duca lo rasserenarono perbreve tempo, tanto che scrisse alcune poesie di circostanza fra cui una deliziosa canzonetta per la figlianaturale di Emanuele Filiberto, Maria d’Este. La tregua fu effimera: in breve tempo la sua “malinconiaerrante” ebbe il sopravvento e il Tasso lasciò Torino per Ferrara nel 1579.

    Carlo Borromeo ripartì il 17 ottobre, dopo cordiali incontri con il Duca che cementarono ancor di più lastima reciproca tra i due personaggi. Il Duca prese poi la decisione di trattenere la Sindone a Torino;principe leale, egli ricordava le premesse fatte a Chambery, ma volle evitare il rischio che essa fossedanneggiata dagli eretici francesi e svizzeri, che erano troppo vicini alla capitale della Savoia.Emanuele Filiberto progettò di far erigere alla Sindone un degno santuario; il suo desiderio fu esauditosolo un secolo dopo, quando Guarino Guarini elevò la bellissima cappella accanto al Duomo di Torino.

    24Anno 1 Lez 8

  • Elisabetta I (1533-1603), figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, salì al trono d’Inghilterra e d’Irlanda il

    17 novembre 1558 alla morte della sorellastra Maria. I suoi primi impegni furono quelli di rafforzare il

    regno, sottraendolo all’influenza spagnola di Filippo II, e la Chiesa d’Inghilterra. A partire dal 1559

    iniziò il lungo confronto con la regina di Scozia Maria Stuart che, appoggiata dalle forze cattoliche, si

    era proclamata regina d’Inghilterra. I contrasti dureranno molti anni e avranno fine con la condanna a

    morte di Maria Stuart nel 1587.

    Elisabetta I aiutò segretamente le rivolte dei riformati nelle Fiandre e gli Ugonotti di Francia.

    Nella sua lotta contro Filippo II favorì le azioni corsare di Francis Drake e Charles Howard contro le

    navi spagnole che portavano ingenti ricchezze dalle nuove colonie d’America. Si determinò così una

    rottura totale con Filippo II che porterà alla guerra tra Inghilterra e Spagna.

    In Inghilterra, dopo un periodo di tolleranza religiosa favorito dalla stessa regina, Elisabetta I dovette

    reprimere rivolte cattoliche, ispirate da Filippo II, da Maria Stuart e dallo stesso papa Pio V, che la

    scomunicò nel 1569.

    25Anno 1 Lez 8

  • Ferdinando I, fratello minore di Carlo V (1503-1564) regnava sui territori appartenenti agli Asburgo:

    Austria, Boemia e Ungheria (ereditata dalla sorella Maria, vedova del re d’Ungheria Luigi II). Nel

    1558, in seguito all’abdicazione di Carlo V, fu eletto Imperatore del Sacro e Romano Impero. Fervente

    cattolico, si dimostrò tuttavia tollerante con i Principi tedeschi e con i riformati. Ferdinando dovette

    combattere lungamente sui confini orientali contro l’Impero ottomano che, nel 1529, era riuscito ad

    assediare Vienna. Impotente di fronte alla supremazia dell’esercito turco, fu, in seguito, costretto a

    firmare un accordo in base al quale l’Ungheria centrale sarebbe passata sotto il dominio turco.

    Si dedicò, con fermezza, alla riorganizzazione dello Stato in tutti i territori soggetti alla sua sovranità

    con un ordinamento, che salvo alcune modifiche, restò in vigore fino alla caduta dell'Impero Austro-

    Ungarico.

    Prima di morire Ferdinando I volle dividere i suoi territori ai tre figli: a Massimiliano II la corona

    imperiale, l’Austria, la Boemia e l’Ungheria; a Ferdinando il Tirolo; a Carlo la Stiria, la Carinzia e la

    Carniola. Morì a Vienna nel 1564, lasciando un’Austria forte, potente, degna della Corona imperiale e

    della gloria che avrebbe avuto nei secoli a venire.

    Il suo successore fu Massimiliano II (1527-1576) che sposò la cugina Maria (1528-1603), figlia di

    Carlo V e sorella di Filippo II, rafforzando così il legame tra gli Asburgo d’Austria con quelli di

    Spagna. Anche lui si dimostrò molto tollerante con i riformati, concedendo la libertà religiosa ai nobili

    luterani e cavalieri in Austria, non consentendo la pubblicazione dei decreti del Concilio di Trento.

    Riapparsi ai confini orientali i turchi, mobilitò un grande esercito per difendere i suoi territori, ma

    nessuno scontro decisivo ebbe luogo e fu firmata una tregua nel 1568. L’Imperatore continuò così a

    rendere omaggio al sultano come prezzo della pace nelle zone occidentali e settentrionali dell’Ungheria

    sotto il controllo degli Asburgo.

    Il legame con la Spagna si rafforzò ulteriormente con il matrimonio tra sua figlia Anna e Filippo II,

    avvenuto nel 1570. Massimiliano II morì nel 1576 e il suo successore fu Rodolfo II.

    26Anno 1 Lez 8

  • La Spagna, sotto il regno di Filippo II, era la più potente nazione d’Europa grazie alle ricchezze delle

    sua colonie d’oltreoceano. Ma le guerre con la Francia, la rivolta delle Fiandre, la successiva guerra con

    l’Inghilterra e, soprattutto, la cattiva amministrazione, indeboliranno poi il regno. Filippo II si dimostrò

    un re orgoglioso, austero, accentratore e lento a decidere (rey prudente). Viveva appartato, quasi come

    un monaco, nella sua reggia monastero dell’Escorial. Fu un cattolico intransigente: combatté i riformati,

    sterminò in Andalusia i moriscos e cacciò gli Ebrei. Sotto il suo regno i Tribunali dell’Inquisizione

    ebbero immenso potere.

    Filippo II rimasto vedovo per la terza volta di Elisabetta di Valois nel 1570 e senza eredi maschi al

    trono (Don Carlos era morto nel 1568 a soli 23 anni), si sposò con la nipote Anna d’Asburgo (1549-

    1580), figlia di Massimiliano II, che gli diede 5 figli; l’unico che raggiungerà l’età adulta sarà l’infante

    Filippo che diventerà, alla morte del padre nel 1598, Filippo III.

    27Anno 1 Lez 8

  • Il monastero dell'Escorial, anche detto di San Lorenzo del Escorial, si trova in Spagna vicino a Madrid.

    Fu fatto costruire da Filippo II come residenza e pantheon dei re di Spagna e in ricordo della battaglia

    di San Quintino fu dedicato a San Lorenzo. La pianta dell'edificio ha la forma di una graticola in

    ricordo del supplizio di morte subito da San Lorenzo, arso vivo. L'impressione che si ricava è di austera

    freddezza nonostante la sua grandiosità e rispecchia l'ortodossia cattolica e la grandezza imperiale di

    Filippo II che ne seguì le fasi della costruzione. Il re amava riposare in questo luogo e vi volle

    trascorrere i suoi ultimi giorni fino alla morte, avvenuta nel 1598.

    28Anno 1 Lez 8

  • Nell’inverno-primavera del 1581 Emanuele Filiberto assistette, con evidente sconcerto, alla

    dissoluzione del Regno di Portogallo ed al suo assorbimento da parte della Spagna. Il 4 agosto 1578 il

    re Sebastiano, ultimo discendente del casato di Aviz, che regnava in Portogallo dal 1385, era morto alla

    giovane età di 25 anni combattendo contro i Marocchini.

    L’erede al trono fu il vecchio zio, il cardinale Enrico ma, essendo questi senza prole, la successione

    scatenò molte avidità. In assenza di eredi diretti Filippo II ed Emanuele Filiberto (figlio secondogenito

    maschio di Carlo II di Savoia (1486 – 1553) e di Beatrice del Portogallo (1504 – 1538)), entrambi

    nipoti del grande Emanuele I, potevano rivendicare la corona del Portogallo. Ma il Duca di Savoia

    sapeva benissimo di non avere alcuna possibilità di far valere i propri diritti. Sperò tuttavia di ottenere

    dal re di Spagna qualche ricompensa territoriale, magari la Sardegna o il Monferrato di Mantova, ma la

    risposta di Madrid fu del tutto negativa: la Sardegna apparteneva al Regno di Aragona e il Monferrato

    era un feudo imperiale dei Gonzaga di Mantova da poco elevato al rango di Ducato.

    Il 31 gennaio 1580 il re Enrico di Portogallo morì e Filippo II decise di impossessarsi del territorio

    portoghese: gli Spagnoli piegarono con la forza la resistenza dei sostenitori del pretendente della casa di

    Braganza. Il 25 marzo del 1581 la bandiera del re di Spagna si arricchiva dello scudetto dell’antico

    regno lusitano. Passavano così nelle mani di Filippo II, oltre al Portogallo, tutti i ricchi possedimenti

    coloniali: le miniere del Brasile, i ricchi possedimenti su entrambe le sponde dell’Africa, gli

    stabilimenti e colonie delle isole delle Spezie, le isole Azzorre e le Indie orientali. Solo 60 anni dopo i

    Portoghesi, con la rivoluzione di Lisbona del 1640, riusciranno a scrollarsi di dosso il dominio degli

    Spagnoli.

    29Anno 1 Lez 8

  • Risolti i confini a nord, Emanuele Filiberto iniziò ad interessarsi, a metà degli anni settanta, ai confini a

    sud del ducato ed in particolare ai territori del Marchesato di Saluzzo (di fatto in mano ai francesi), al

    Monferrato (dei duchi di Mantova) e a quelli verso il mare (contea di Oneglia e di Tenda). Nella bella

    carta, disegnata a mano dal gen. Guido Amoretti, sono evidenziati i territori a sud del ducato di Savoia.

    30Anno 1 Lez 8

  • La Signoria di Oneglia, sin dal secolo XIII era stato un feudo di un ramo dei Doria genovesi; dal 1568

    ne era diventato signore Girolamo Doria che era frequentemente in lite con i suoi sudditi e quindi

    costretto a mantenere una onerosa guarnigione nel castello. Nel 1575 Girolamo, per liberarsi del

    governo della città, offrì Oneglia alla Repubblica di Genova, ma questa non venne ad alcun accordo per

    motivi finanziari. A fronte della modesta offerta genovese, intervenne Emanuele Filiberto che, per

    mezzo di alcuni emissari (Andrea Provana in primis e poi Stefano Doria, signore di Dolceacqua, legato

    al Duca da alcuni anni di servizio e Lazzaro Baratta, castellano del Maro), riuscì a convincere Girolamo

    Doria a cedergli il territorio onegliese in cambio di 41000 scudi d’oro e del feudo di alcune terre

    piemontesi come Ciriè e Castellamonte (in seguito scambiata con Maro).

    Il contratto fu stipulato il 30 aprile 1576, la cospicua cessione territoriale arricchì il Ducato di un nuovo

    sbocco sul mare per il trasporto del sale in Piemonte. C’era un unico inconveniente: i suoi limiti

    settentrionali non toccavano le terre piemontesi per cui i viaggiatori che da Oneglia salivano al Colle di

    Nava erano costretti ad attraversare una striscia di territorio genovese, la conca di Pieve di Teco; uno

    svantaggio economico in tempo di pace, per il pagamento di pedaggio, un aspetto assai negativo in caso

    di guerra con la “Superba”. E’ da notare che Genova fu molto sdegnata contro Girolamo Doria per

    l’avvenuta vendita di Oneglia al Duca e lo bandì dal suo territorio, confiscandogli ogni proprietà.

    31Anno 1 Lez 8

  • Più vantaggioso fu il contratto per l’acquisto della Contea di Tenda, nelle valli Roja e Vermenagna: erauno stato indipendente che si estendeva a sud di Tenda, verso Briga e Fontaine, e incudeva l’omonimocolle, discendendo con i suoi domini verso Limone e Vernante, in direzione di Cuneo. Il piccolo statoalpino viveva con i pedaggi sulle merci che viaggiavano tra Nizza e Piemonte.

    A quei tempi la contea era sotto il dominio dei discendenti di Renato di Savoia (1468-1525) detto“grand bâtard de Savoie” (il Gran Bastardo di Savoia) uomo di grande senno ed abilità. Era questifiglio naturale del Duca Filippo II e di Libera de’ Portoneri, nobildonna di Carignano. Il padre, che loamava, gli aveva concesso feudi e lo aveva nominato luogotenente generale del Piemonte.

    Filippo II di Savoia morì nel 1497, e salì al trono il figlio Filiberto II, giovane di 8 anni, egli si giovòsubito del fratellastro Renato che aveva già mostrato grande abilità e doti diplomatiche. Per questoFiliberto gli dimostrò gratitudine concedendogli in feudo la contea di Villars, nella Bresse. Renatoincoraggiò Filiberto a sposare Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Massimiliano I.

    La nuova Duchessa impose la propria volontà al consorte, e volle dare una decisa svolta filo-imperialealla politica del Ducato; non tollerava le ingerenze di Renato che voleva invece una politica diequilibrio, anche per i suoi legami con la Francia. Renato dovette lasciare il Ducato nel 1502,rifugiandosi a Parigi dalla sorella Luisa di Savoia; fu privato dei suoi incarichi dei territori a lui affidati.

    Presto Renato divenne un importante personaggio alla Corte di Francia e un fedele del re Luigi XII.Nel 1501 Renato aveva sposato Anna di Tenda (1487-1555) di antica famiglia nizzarda che avevaassunto per matrimonio il nome dei Lascaris, imperatori di Bisanzio. Anna ereditò dal padre GiovanniAntonio Lascaris, conte di Tenda, un blocco di feudi sui due versanti delle Alpi (Tenda, Limone,Vernante, Maro, Prelà). Alla corte di Francia Renato e Anna trovarono affetto e comprensione. Dalmatrimonio nacquero due figli maschi, Claudio e Onorato, entrambi legati alla Francia e tre femmine,Maddalena (poi sposa del conestabile Anne di Montmorency), poi Isabella e Margherita.

    Nel 1519, Francesco I conferiva allo zio Renato i titoli di Gran Siniscalco e Governatore di Provenza edi Gran Mastro di Francia; il principe sabaudo era cioè ben radicato in Francia: l’ultimo suo testamento,del 1521, assegnava i suoi domini di Tenda al primogenito Claudio e quelli posti in Savoia (Villars) alsecondogenito Onorato. Alla battaglia di Pavia, nel 1525, Renato e il figlio Claudio combatterono alfianco di Francesco I contro le truppe di Carlo V e con il Re caddero prigionieri degli spagnoli: Renatoera però ferito e morì il 31 marzo 1525. I suoi resti riposano a Tenda.

    32Anno 1 Lez 8

  • Da Claudio, divenuto siniscalco di Provenza, erano nati Onorato (prime nozze con Maria de Chabannes,

    cattolica fanatica) e Renato (seconde nozze con l’ugonotta Francesca di Foix-Candale). Pare che Francesca

    fosse riuscita a convertire il marito alla Riforma: di qui la sua politica tollerante verso gli Ugonotti che attirò

    il risentimento di Caterina de’ Medici che gli tolse la carica di siniscalco di Provenza e l’affidò a Onorato I.

    Claudio si rifiutò di cedere la carica al figlio; tra i due si arrivò a una vera e propria guerra in cui Claudio

    sembrò prevalere, ma il padre volle risparmiare il figlio e si ritirò nella contea di Tenda insieme con il

    secondogenito Renato. Volle però punire Onorato, e nel 1563, nel testamento cedette ai Savoia i feudi di

    Maro e Prelà, e la contea di Tenda a Renato. Quando Claudio morì, nel 1566, Onorato non riconobbe il

    testamento paterno e iniziò nei territori di cui si riteneva legittimo erede una repressione contro il calvinismo.

    Il fratellastro Renato, erede indicato dal padre, si era trasferito in Provenza, dove aveva organizzato la

    resistenza ugonotta. In via verso Tenda, Renato cadde in un’imboscata nei pressi di Frejus (1568) e fu ucciso

    dai sicari del governatore di Frejus, solidale con Onorato. Onorato continuò nel suo incarico in Provenza,

    fino alla sua morte (1572), forse avvelenato dagli ugonotti per vendicare la strage di San Bartolomeo. Poiché

    Onorato I non aveva avuto figli maschi, il titolo di conte di Tenda passò allo zio, Onorato II, che come già

    detto era il secondo figlio di Renato di Savoia il gran Bastardo. Egli era marchese di Villars e aveva il titolo

    di “Amiral” di Francia, ma Renata di Savoia-Lascaris, anche lei figlia di Claudio, si era fatta avanti per la

    successione alla contea di Tenda:. Tra lo zio Onorato e la nipote Renata si fa mediatore Emanuele Filiberto.

    Emanuele Filiberto, in breve, riuscì a volgere a suo favore e a trarre massimo vantaggio dalla situazione:

    acquisì da Onorato la contea con la convenzione di Nizza del 10 aprile 1575 e le terre di appartenenza a

    Renata (il Maro, la Prelà, Procassio e Carpasio) furono riscattate con lauto compenso.

    Superate altre difficoltà ereditarie (la figlia di Onorato II Enrichetta, moglie di Carlo di Lorena, duca di

    Mayenne, aveva rinunciato a Tenda nel 1579) l’intera Contea entrò infine a far parte del Ducato. Così

    nell’ottobre del 1579 il Duca, con paziente e abile lavoro diplomatico, era riuscito ad acquisire importanti

    territori nella zona ligure. Grazie al collegamento diretto con il Piemonte, attraverso la Val Roja, Nizza e il

    porto di Villefranche crebbero notevolmente di importanza.

    33Anno 1 Lez 8

  • La questione ai confini settentrionali aveva a lungo occupato il Duca, ma non gli aveva fatto

    dimenticare quella del Marchesato di Saluzzo, terra che per oltre 350 anni era appartenuta alla dinastia

    ligure dei del Vasto, marchesi di Saluzzo dal 1175. Il Marchesato, che si estendeva a sud di Pinerolo e

    nelle valli confinanti con il Delfinato, era stata una secolare ambizione dei Savoia che vantavano

    antichi diritti. Spesso dilaniata da discordie interne, Saluzzo ebbe un buon periodo nel XV secolo, sotto

    Ludovico I e Ludovico II: il primo, con una politica neutrale, seppe ottenere la stima dell‘Imperatore e

    del re di Francia; ma il secondo, cercando la gloria in battaglia, fu ripetutamente sconfitto e fece

    declinare il Marchesato. Alla sua morte, nel 1504, i quattro figli si contesero il trono, distruggendo le

    campagne e prosciugando le finanze. Quando si riuscì a ristabilire l'ordine era tardi: la Francia aveva

    messo gli occhi sul Marchesato; dopo la deposizione (1548) e l’avvelenamento del marchese Gabriele,

    Saluzzo fu annessa alla Francia di Enrico II. L’epoca non era favorevole a una mossa sul Marchesato

    da parte di Carlo II di Savoia, impegnato a rivendicare i suoi territori occupati. Ma ora Emanuele

    Filiberto sapeva che la presenza dei francesi a Saluzzo e Carmagnola (terra distaccata del Marchesato)

    non avrebbe garantito la sicurezza al Ducato: per le valli saluzzesi i francesi avevano facile accesso alla

    pianura del Po e potevano minacciare Torino.

    Lo stato di semi-anarchia della Francia in quegli anni suggeriva al Duca la più viva attenzione, per

    cogliere ogni occasione di prendersi il Marchesato. Dal 1559 al 1572 i francesi avevano affidato

    Saluzzo al governatore Ludovico Birago (1509-1572), di origine milanese. Questi era stato un abile

    capitano delle armate francesi in Piemonte; con il cugino Renato (cancelliere di Francia e poi cardinale)

    era legato al partito della Lega Cattolica. Nei 13 anni di governo il Birago ebbe fama di uomo saggio.

    Si disse che nutrisse simpatie per la Riforma; in realtà la sua politica verso i riformati fu di volta in

    volta tollerante e repressiva, ma sempre attenta a bilanciare il peso delle varie forze politiche che

    agivano sul Marchesato.

    34Anno 1 Lez 8

  • La guerra si riaprì con il complotto dei Malcontenti, detti anche i Politici, il partito dei cattolicimoderati che era molto più preoccupato delle conseguenza politiche che le continue guerre arrecavanoalla Francia, piuttosto che delle conseguenze religiose. Di fronte all'appoggio dato dal re agli estremistidel partito cattolico, i Malcontenti si raccolsero intorno al figlio minore di Caterina, Francesco ducad'Alençon, contro il re Carlo IX e l'altro fratello, il duca d'Anjou, la cui influenza politica era al culminedopo la strage di San Bartolomeo e la sua assenza dalla Francia, essendo egli partito per prenderepossesso del trono polacco, favorì numerose speculazioni politiche.

    Al complotto dell'Alençon, ordito con la speranza di eliminare il fratello duca d'Anjou dalla successioneal trono francese, si unirono i protestanti della casa dei Montmorency e del re di Navarra. Vi furonoanche appoggi all'estero: il principe di Condé era in Germania per cercare aiuti mentre Gabriele I diMontgomery preparava uno sbarco in Normandia con l'aiuto degli inglesi. Essi godevano anchedell'appoggio di Ludovico di Nassau e del Turenne.

    Ma il complotto fallì e vennero arrestati il maresciallo François de Montmorency e il Cossé-Brissac,Gabriele di Montgomery fu catturato in Normandia; soltanto Enrico I di Montmorency, fratello diFrancesco di Montmorency e governatore della Linguadoca, riuscì a mantenere la sua libertà protettoda armati protestanti.

    Quando Enrico d'Anjou, alla morte del fratello Carlo IX, lasciò il trono polacco per assumere quello diFrancia, incontrò a Torino, con la mediazione di Emanuele Filiberto, il Damville, che reclamò laliberazione del fratello, senza ottenerla. Il Damville allora invocò la riforma della monarchiadisconoscendo i diritti di Enrico. Nel settembre 1575 però il duca di Alençon riuscì sorprendentementea fuggire dal Louvre, aiutato dalla sorella Margherita (la futura regina Margot) e si accordò con ilDamville. Sarebbe forse stato possibile evitare un’altra guerra se il Re avesse concesso qualche

    privilegio al fratello cadetto e al Damville, ma il Re e Caterina optarono per una soluzione di forza .

    35Anno 1 Lez 8

  • Scoppiò così la quinta guerra di religione. L'esercito del Re era costituito prevalentemente da mercenari

    stranieri; quello dei riformati da soldati francesi, ma godeva anche dell'appoggio di Giovanni Casimiro,

    figlio del conte palatino del Reno, chiamato in soccorso dal principe di Borbone-Condé, che invase lo

    Champagne.

    Uno scontro molto cruento si ebbe a Dormans, nello Champagne, il 10 ottobre 1575, tra le forze

    cattoliche reali di Enrico di Guisa e quelle protestanti di Enrico Borbone-Condé. Malgrado la vittoria

    del duca di Guisa, che comandava le truppe reali, la minaccia su Parigi dell’esercito di Giovanni

    Casimiro, fece sì che Enrico III firmasse il 6 maggio 1576 l’editto di Beaulieu che aumentava la libertà

    di culto ai protestanti, riabilitava la memoria del Coligny e, soprattutto, concedeva al fratello duca

    d’Alençon (mediatore della pace, per questo anche detta la “pace di Monsieur”) ed ai capi protestanti,

    vasti territori e forti somme a carico del Re.

    Ma Enrico III aveva dilapidato nei suoi due anni di regno somme enormi, gettate nelle feste e per i

    “mignons”, e non poteva far fronte agli oneri finanziari sottoscritti; cercò quindi di procurarsi il denaro

    in ogni maniera. A questo punto Emanuele Filiberto si offrì di aiutare finanziariamente il Re, purché gli

    venisse concessa un’ipoteca sul Marchesato di Saluzzo. I negoziati parevano a buon punto quando si

    interruppero e si venne a sapere che Enrico e la regina madre stavano trattando la vendita del

    Marchesato ai Cantoni svizzeri protestanti! Questo progetto era inaccettabile per il Duca, poiché egli

    non poteva tollerare la presenza in Piemonte dei Riformati, che avrebbero dato man forte agli ugonotti

    francesi e ai Valdesi confinanti. Per esperienza sapeva quanto fosse difficile raggiungere accordi con

    gli Svizzeri per la concessione di terre. Per fortuna la vendita non ci fu, anche per la tempestiva azione

    fatta dal Duca su Berna e sulla Spagna. Ma la questione di Saluzzo rimaneva sempre aperta.

    36Anno 1 Lez 8

  • Nel 1577, nella Francia meridionale, due personaggi erano diventati gli arbitri della situazione. Uno era

    il governatore della Linguadoca (che comprendeva il Marchesato di Saluzzo) Enrico de Montmorency

    signore di Damville (Ugonotto), e l’altro era Ruggero di Saint-Lary, maresciallo di Bellegarde

    (Ugonotto), governatore di Carmagnola e Revello. L’accordo tra i due spesso mancò e sorsero

    contrasti: il Marchesato, promesso dal Re al Damville, fu invece affidato a Carlo Birago, fratello

    minore di Ludovico. Nel 1579 il Bellegarde, raccolte truppe protestanti tra gli Svizzeri e i Valdesi,

    invase il Marchesato, scacciando il Birago e insediandosi come principe indipendente. Il colpo di mano,

    reso possibile dal caos politico in Francia, ebbe il segreto appoggio di Emanuele Filiberto e di Filippo

    II. Caterina de’ Medici scoprì però la complicità del duca di Savoia: per reazione concluse il trattato di

    Soleure (1579) tra Francia e i Cantoni protestanti (più quello di Soleure, che era cattolico) per la

    protezione di Ginevra, contrapponendosi all’alleanza stipulata tra Emanuele Filiberto e i Cantoni

    cattolici del 1577. Fu un grave colpo per il duca di Savoia e si rischiò una guerra con la Francia, ma

    Emanuele Filiberto diede prova di realismo abbandonando ogni velleità sul Marchesato di Saluzzo e

    propose i suoi servigi a Caterina per concludere un accordo con il Bellegarde.

    Non essendo in grado di prendere le armi contro il Bellegarde, Caterina accettò negoziati, che non

    avrebbero portato a nulla senza l’aiuto di Emanuele Filiberto come mediatore. Nell’agosto 1579 il Duca

    incontrò Caterina a Grenoble: si trattarono diverse questioni, e si decise che il Bellegarde avrebbe

    incontrato Caterina a Montluel (in Bresse) in presenza del duca di Savoia.

    Il Bellegarde temeva insidie e trabocchetti: per convincerlo all’incontro il Duca dovette dargli in

    garanzia il proprio figlio naturale Amedeo, conte di Saint Rambert. Il maresciallo fu accolto

    cordialmente da Caterina, che parve perdonargli il colpo di mano su Saluzzo e lo nominò governatore

    del Marchesato. Ma, appena rientrato a Saluzzo il Bellegarde fu colto da un male misterioso che lo

    portò alla tomba; ovviamente si sospettò l’avvelenamento.

    37Anno 1 Lez 8

  • Morto il Bellegarde, il figlio Cesare e i suoi maggiori luogotenenti avrebbero voluto conservare il

    Marchesato ma Enrico III decise diversamente inviando Bernard di Nogaret, duca de la Valette, a

    recuperare il Marchesato che era destinato a suo fratello Jean-Louis Nogaret de la Valette, futuro duca

    di Epernon, uno dei “mignons” di Enrico. Le turbolente milizie del defunto maresciallo davano

    preoccupazione per non aver ricevuto le paghe; Emanuele Filiberto, dopo aver accolto Bernard de

    Nogaret a Torino, anticipò 10000 scudi di soldo arretrato. L’inviato del re si incontrò poi a Carmagnola

    con il figlio di Bellegarde e il capitano Pierre Frangier, signore di Anselme, affidando a Cesare il

    governo della piazza e a Pierre Frangier quello di Centallo.

    Tutte le questioni sembravano ormai risolte e le truppe stavano per essere congedate e rinviate i Francia

    e Svizzera, quando l’Anselme, uomo privo di scrupoli come lo scomparso maresciallo di cui era stato il

    più fedele luogotenente, il 2 marzo 1580, occupò improvvisamente Carmagnola e Saluzzo, asportò le

    artiglierie per portarle a Centallo, sequestrò le somme versate dal duca di Savoia e prese in custodia il

    giovane Cesare Bellegarde. Il de la Valette fu costretto a fuggire: era una situazione di completa

    anarchia. Il duca non doveva essere all’oscuro delle manovre dell’Anselme, ma non è chiara la parte da

    lui avuta.

    Certo Emanuele Filiberto comunque era preparato perché solo sei giorni dopo inviò un corpo di

    spedizione sabaudo composto da 2000 fanti e 200 cavalli, a cui si aggiunsero 500 francesi, che rioccupò

    Saluzzo con il consenso della Corte di Francia. In tempi brevissimi il Marchesato fu nelle mani delle

    truppe di Emanuele Filiberto ed i paesi furono governati da ufficiali ducali, in nome del re di Francia.

    Tale era la situazione a metà marzo del 1580 nelle terre saluzzesi, una situazione di attesa che non

    sarebbe sfociata in favore dei Savoia.

    38Anno 1 Lez 8

  • Dopo la morte della duchessa Margherita, Emanuele Filiberto condusse un’esistenza piuttosto ritirata;

    all’epoca pare che nessuno avesse sospettato del suo legame con Jaquéline d’Entremont, vedova

    dell’ammiraglio Coligny, da cui avrebbe avuto, nel 1577 o 1578, una figlia che venne chiamata

    Margherita. Il duca aveva spesso manifestato il desiderio di rinunciare ai suoi impegni «e il suo spirito

    privo di ambizioni ormai era spinto unicamente verso la devozione e gli esercizi spirituali». Aveva

    lasciato la capitale per andare ad abitare in campagna, nelle ville del Valentino e di Lucento, ove,

    seguito dai suoi fedelissimi, «meditava la morte preparandosi a una vita migliore sull’esempio di tanti

    grandi principi che, verso la fine dei loro giorni, avevano cercato di ritirarsi in solitudine». Come il suo

    lontano predecessore, Amedeo VIII, pensava di ritirarsi nel Castello di Ripaille, sul lago di Ginevra,

    circondato dai cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro, ove avrebbe terminato i suoi giorni in

    meditazione e in pace, seguendo in tal modo l’esempio del suo grande zio Carlo V che tanto aveva

    ammirato.

    Ma il Ducato continuava ad impegnarlo duramente e ogni giorno era costretto a rientrare in città per

    occuparsi degli affari più importanti con l’aiuto di Carlo Emanuele, riservando a sé l’incombenza delle

    trattative diplomatiche più complesse. Nel 1579, ad esempio, il giovane Carlo Emanuele, di appena 17

    anni, aveva avuto un ruolo molto importante nei negoziati riguardanti il Marchesato di Saluzzo e spesso

    aveva rappresentato il padre esercitando, con competenza, la carica di luogotenente generale in sua

    assenza.

    Ricordiamo che Emanuele Filiberto aveva creato, nel ricordo di Amedeo VIII, l’Ordine di San

    Maurizio (1572), poi aveva decretato l’unione di questo con quello di San Lazzaro. Il duca divenne

    Gran maestro del doppio Ordine. L’Ordine creò poi ospedali e servì assai nella vita interna dello Stato,

    divenendo un mezzo per onorare sudditi illustri segnalatisi in special modo per i servizi militari.

    39Anno 1 Lez 8

  • Emanuele Filiberto soffriva di calcoli renali, come i suoi antenati, e spesso era soggetto a coliche renaliaccompagnate da febbre altissima. Il disturbo era aggravato dalle pessime abitudini alimentari: nienteverdura o frutta e molta carne, con forti vini spagnoli, che egli sosteneva di bere per rafforzare lostomaco, contro il parere dei medici. Inoltre, non si era mai ripreso del tutto dalla malattia, forsemalaria, contratta nel 1573. Nel 1578 il suo corpo cominciò a gonfiarsi; i medici temettero l’idropisia egli prescrissero una dieta, ma poiché il gonfiore era privo di sintomi ad eccezione di una sete continua,il Duca non cambiò abitudini alimentari, né ritmi di lavoro. Nella primavera del 1580 i malesseritornarono; si pensò al cosiddetto “male del montone” o ”del castrone”, in quei mesi assai diffuso (intermini moderni, influenza) ma a inizio agosto, comparve una febbre «altissima …. accompagnata daun abbondante catarro polmonare…. complicata da violente emorragie dei seni nasali». I salassi nonfecero che indebolirlo; per sei notti fu sfibrato da emorragie; il gonfiore agli arti inferiori aumentò e illato destro del corpo era paralizzato. Dopo un breve miglioramento, la febbre tornò, e si capì che nonc’erano speranze.

    Il Duca chiese i Sacramenti; l’Arcivescovo di Torino, della Rovere, lo vide pallido, privo di forze, quasiesangue, col viso smagrito, la barba imbrattata di sangue, e rimase ammutolito dal dolore.All’Arcivescovo il Duca dichiarò di pentirsi di tutto ciò che aveva potuto fare a offesa del Signore e siaffidò alla misericordia divina. Quindi chiamò il figlio e, dopo avergli raccomandato di difendere lareligione cristiana, di obbedire alla Chiesa Romana e di esercitare equamente la giustizia; gliraccomandò il Signore di Leynì e don Amedeo (figlio naturale del Duca). Dopo si rivolse ai suoiministri e disse che gli sarebbe piaciuto vivere più a lungo, per essere utile alla cristianità e ai suoiamici, ma che moriva senza rimpianti poiché lasciava i suoi Stati in pace, i sudditi devoti e fedeli eun figlio dotato delle più alte virtù e pronto a regnare.

    Queste furono le sue ultime parole; alle due pomeridiane del 30 agosto 1580 il duca di Savoia chiuseper sempre occhi: era vissuto 52 anni e 50 giorni e il suo Regno era durato 27 anni, di cui 5 in esilio. Labella pagina della ricostruzione dello Stato sabaudo si era dunque chiusa dopo un immenso lavorodurato 22 anni!

    40Anno 1 Lez 8

  • L’autopsia fu fatta immediatamente; per l’imbalsamazione fu necessario asportare 60 libbre di grasso.

    Secondo ciò che riferì l’ambasciatore veneziano: «venne trovato un polmone tutto marcio, la milza

    tumefatta al punto che, invece di essere di forma allungata era diventata rotonda come una palla,

    completamente guasta, il fegato… tutto indurito e bruciato». Fu scoperta anche la causa della sete

    continua che aveva tormentato il Duca negli ultimi anni di vita: un’insufficienza cardiaca e renale, e

    una cirrosi epatica.

    Il corpo del Duca fu avvolto nel manto dell’Ordine Mauriziano ed esposto in una cappella del Duomo. I

    cronisti scrissero che vi fu un grande afflusso di popolo, ma è doveroso sottolineare che, per il

    durissimo governo del Duca, i suoi sudditi non lo avevano mai sinceramente amato.

    I funerali furono modesti, così come il Duca aveva disposto. Il corpo fu collocato nella chiesa di S.

    Domenico, alla quale E. Filiberto era particolarmente legato. Vi sarebbe rimasto più di un secolo, fino

    al trasporto nella nuova Cappella della Sindone, eretta dal Guarini per volontà del pronipote, Carlo

    Emanuele II. Lì riposano le ceneri di Emanuele Filiberto, in onore del quale, nel 1842, Carlo Alberto

    fece costruire un sarcofago dallo scultore Pompeo Marchesi.

    L’omaggio più bello fatto al Duca fu probabilmente quello di Filippo II, i cui interessi dal 1559 erano

    stati spesso molto diversi da quelli del cugino, forse in ricordo della comune giovinezza e delle ore

    trascorse insieme nelle Fiandre nel 1555, quando il duca di Savoia, più giovane di lui di un anno,

    andava a cercarlo la sera per correre ad un ballo o a una mascherata, gli unici anni probabilmente in cui

    il re di Spagna aveva conosciuto l’allegria e i piaceri della sua età. Apprendendo la notizia della morte

    di Emanuele Filiberto, il sovrano spagnolo dichiarò dall’Escorial che aveva perduto «il miglior amico,

    il soldato più valoroso del tempo, il sostegno della cristianità, che si era molto distinto sia nella vita

    privata sia alla guida delle armate, parimenti degno di lode per saggezza e moderazione nella buona e

    nella cattiva sorte».

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  • Sul trono dei principi sabaudi salì, undicesimo duca di Savoia, Carlo Emanuele I, poco più che

    diciottenne.

    42Anno 1 Lez 8