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F o n d a t o d a l R o t a r y C l u b R i m i n i STORIA ARTE E CULTURA DELLA PROVINCIA DI RIMINI Anno XIX • N. 4 • Luglio / Agosto 2012 LA CAPANNINA DELLA BARAFONDA LA STORIA DEL BORGO MARINA IL BEL CANTO IN DIGITALE PH: F. Compatangelo © 2012 IN CASO DI MANCATO RECAPITO SI PREGA DI RITORNARE ALL’UFFICIO DI RIMINI C.P.O. PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO PAGAMENTO RESI.

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STORIA ARTE E CULTURA DELLA PROVINCIA DI RIMINIAnno XIX • N. 4 • Luglio / Agosto 2012

LA CAPANNINA

DELLA BARAFONDA

LA STORIA

DEL BORGO MARINA

IL BEL CANTO

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LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M . 5

EDITORIALE

SOMMARIO

Fuori onda

VOTO, O NON VOTO: THAT IS THE QUESTIONDico subito, a scanso di equivoci, che non sono mai stato iscritto ad alcun par-

tito. L’unica tessera che mi ha consentito di sfiorare la politica, è quella della “GiovaneItalia”. La presi a 14 anni, nel 1956, in seguito alla rivolta d’Ungheria, e me la ritro-vai in tasca fino ai 17. Da allora non ho più avuto contatti con i partiti e neppure con iloro ammalianti tentacoli. Non per questo ho smesso di parlare di politica, se così si puòchiamare quella strampalata, condita di strafalcioni e sacramenti, “che si fa al bar trauna briscola e un tressette”. Una sorta di “abbaiare alla luna”. Che, tuttavia, mi hasempre spinto al voto, anche se più di una volta mi ha indotto a depositare nell’urna lascheda bianca. Lunga premessa per arrivare a dire che ultimamente ho smarrito quelpoco di chiarezza che mi sembrava di possedere e la confusione che mi frulla in testa mispinge a rendere noto che alle prossime elezioni, siano esse a novembre o a febbraio,non mi recherò al seggio elettorale.

Giulio, l’amico giudizioso, dice che la mia è una protesta inutile, che peggiorala situazione, che favorisce i mascalzoni, gli arrivisti, i voltagabbana… Non importa. Inquesto momento affidarsi ai politici è come chiedere consulto al mago Otelma… proprionon me la sento, con il mio voto, di essere complice di questo ripugnante andazzo.

E a proposito di politici. Ad essi non rimprovero di essersi resi responsabili dellostato in cui è ridotto il Paese; di essere stati disonesti; di avere pensato al proprio inte-resse, a quello della famiglia o del partito; di aver gozzovigliato con il danaro pubbli-co e di aver partorito un regime corrotto, maneggione e parassita, che difficilmentepotrà essere cambiato. Una sola cosa non perdono ai politici: di aver ingannato tantapovera gente che credeva in loro.

M. M.

La cartolina di Giuma

DA MARCELLO DUDOVICH A FRANCESCO BOCCHINIPensa, Andrea, come è cambiato il mondo: una volta, ai tempi di tuo nonno, per pub-blicizzare Rimini ci si affidava ad illustratori internazionali; oggi ci rivolgiamo a quel-li di Gambettola.

IN COPERTINA“Gira l’estate 2012”

di Federico CompatangeloCOSTUME E SOCIETÀ

La Capannina della Barafonda6-11

PAGINE DI VITACorrado Ghini/Il calvario della prigionia (3)

12-15TRA CRONACA E STORIA

I nostri eroi / Umberto e Carlo Alberto RizziNovecento Riccionese

La calda estate del 1922Anni Venti / Il Veglione del Tricolore

17-25VISERBA

La cronaca in pillole26-31ARTE

Il cartone con le “Dolenti” di Achille FuniIl monaco con gli occhiali della Chiesa

di S. AgostinoL’Arte incontra il Parkinson

32-39STORIA DELL’ARCHITETTURA

Borgo Marina (1)40-41

ALBUMA spasso per la città / Le fioraie

42MODA BALNEARE

Le proposte dei vecchi giornali43

MUSICAAl cinema Tiberio il bel canto in “digitale”

46-47LIBRI

“L’approdo del cuore”“La forza del coraggio”

48-49DIALETTALE

Compagnie e personaggi della ribalta riminese

Gogliardo Ricchi50

ROTARYCambio della presidenza

51ARIMINUM

Le bagnanti di Maneglia52

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ella storia del divertimento not-turno della riviera romagnola, un

ruolo non trascurabile spetta al dan-cing “La Capannina”. Parlare deglianni d’oro di questo piccolo, mabrioso locale significa parlare del suopatron, Bruno Buldrini, della suapassione per il ballo e della sua intra-prendenza nel settore dell’intratteni-mento serale, a quei tempi elementoessenziale della vacanza.Quello che Buldrini è riuscito a rea-lizzare nell’arco di un trentennio hadell’incredibile e merita di essereraccontato. Il nostro viaggio dentrola sua memoria prende inizio nel1956. Rimini, a quell’epoca, non harimarginato del tutto le ferire dellaguerra: le macerie che ancora siincontrano lungo il litorale testimo-niano gli orrori dei bombardamenti atappeto delle fortezze volanti alleate.Il turismo, tuttavia, ha ripreso quotae la gente si butta a capofitto in que-sta meravigliosa industria senzaciminiere: si aprono alberghi, pensio-ni, ristoranti, bar, negozi e attivitàcommerciali legati alla bella stagio-ne. Dopo anni di stenti e di privazio-ni, si torna a sorridere alla vita e siparla addirittura di “miracolo econo-mico”, un’espressione che invogliaad investire il proprio futuro sullaspiaggia. I giovani si appropriano dinuovi vocaboli di provenienza ameri-cana: flipper, juke-box, rock and roll.Campione di quest’ultimo ritmoindiavolato è Elvis Presley, un vero eproprio idolo per le nuove generazio-ni; tutti lo imitano e tra questi ancheun giovanotto che sgomita tra lebalere; si chiama Adriano Celentano.Teniamolo d’occhio.Nel giugno di quell’anno Bruno Buldrini,appena venticinquenne, dopo una fugaceesperienza societaria nel settore dellaristorazione, apre a San Giuliano Mare,insieme con i fratelli più piccoli, Giorgio,Sergio e Luciano, “La Capannina”, unadelle prime tavole calde e pizzerie delriminese. Il locale si trova all’estremitàdell’abitato della Barafonda a contatto digomito con la vasta zona deserta dellaSinistra del porto, ancora deturpata dalle

incursioni belliche. Lo stesso terrenodove si assesta La Capannina, preso inaffitto da Bruno, prima di essere utilizza-to necessita di un impegnativo lavoro dilivellamento con il contributo di camio-nate di detriti e terra. A pochi metri dalristorante, tanto per renderci conto delladesolazione del posto, un grosso fossatodelimita il confine della civiltà: chi sispinge oltre lo fa a suo rischio e pericolotra cumuli di sabbia, fenditure di terreno

e sterpaglie; regno di insetti, rane ebisce d’acqua. Fortuna vuole cheproprio in quegli anni una parte diquesta area, quella a ridosso dellaspiaggia, ripulita alla meglio, divieneun camping estivo per gli appassio-nati della tenda. Il ristorante La Capannina, con le suepizze e i suoi piatti di pesce, ingranasubito la giusta marcia racimolandouna clientela da far invidia i piùavviati locali del litorale. Ma le aspi-razioni di Bruno vanno in tutt’altradirezione, il suo sogno non si esauri-sce nel dare da mangiare alla gente;la gente, lui, vuole farla divertire e inquel periodo il divertimento si coniu-ga con il ballo. Buldrini ha una pas-sione sfrenata per la danza, non c’èlocale che non lo abbia visto sgam-bettare al centro della pista. Questasmania gli proviene da uno zio che aMilano gestisce una scuola di ballo:un creativo pieno di risorse, benintrodotto nell’ambiente della musi-ca e dello spettacolo, amico di impre-sari e di cantanti. Bruno, che persopravvivere fa il falegname, la seraindossa lo smoking e si scatena sullepiste con l’allegra brigata dei compa-gni di avventura. Embassy, Casinadel Bosco, Oriental Park… queste lemete preferite delle sue scorribande.Non c’è gara o maratona di ballo chenon lo annoveri tra i concorrenti.Medaglie, coppe, trofei... e tra unpremio e l’altro i piacevoli stordi-menti degli amori giovanili. Buldrininon è solo un provetto ballerino èanche un bel ragazzo e le sottane glisi appiccicano addosso. È propriobazzicando questi luoghi e frequen-tando orchestrali, cantanti e agenti di

spettacolo che comincia a pensare ad unproprio locale. Un’idea folle, per un gio-vane squattrinato, ma tanto affascinante dafrullargli nella testa per anni fino a diven-tare un’ossessione.Un mese dopo l’inaugurazione del risto-rante, a stagione inoltrata, Bruno lascia aifratelli la gestione dell’esercizio ed aprenello spazio libero adiacente al locale ildancing La Capannina. L’ambiente è

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LA CAPANNINA DANCING

QUANDO I BIG DELLA MUSICA LEGGERA ITALIANASCENDEVANO NELLA BARAFONDA

Manlio Masini

N

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /6.

«La fortuna di Bruno Buldrini,

patron del dancing La Capannina,

si chiama Clan di Celentano.

A partire dall’estate del ‘62

riesce a far cantare

nel suo locale tutti i membri

di questa singolare organizzazione canora

creata dalla genialità

del “molleggiato”»

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molto spartano: una pista per il ballo,un palchetto per l’orchestra protettoda una rustica gronda di canne a mo’di capanna, un po’ di luce soffusa quae là per creare atmosfera, zampironiper allontanare le zanzare e poi tavo-lini, sedie e tanto ghiaino cosparsosul terreno per mascherarne le maga-gne. Un arredamento rimediato, allabuona, ma più che nel locale, Brunoconfida nel cartellone serale; in altreparole negli artisti che gli sono statipromessi dalle persone conosciutenelle sale da ballo.L’orchestra che tiene a battesimo ildancing è quella diretta dai maestriTappi e Comandini di Cesena; uncomplesso molto affiatato, compostoda pianista, batterista, chitarrista,sassofonista e cantante-bassista. Ilrepertorio è vario, attinge ai successiradiofonici. I primi anni di attività non sono faci-li; ingranare nel settore delle piace-volezze notturne senza esperienza èun’impresa. Ma Bruno, che haabbandonato definitivamente gliattrezzi da falegname, tiene duro eper intrufolarsi nell’ambiente dellamusica leggera inizia a fare la spolaRimini-Milano: nel capoluogo lom-bardo si avvicina ad artisti, impresa-ri, case discografiche; impara quelloche c’è da imparare, ma soprattutto aconoscere le persone giuste e a tratta-re con esse.In questo periodo, tanto per buttarel’occhio al di là della Barafonda,Celentano partecipa al primo Festivaldel Rock and roll con la canzone“L’orologio matto”, versione italianadi “Rock around the clock”: è l’iniziodella sua scalata al successo (1957).Domenico Modugno vince a SanRemo con la canzone “Nel blu dipin-to di blu”, che passerà alla storia conil nome di “Volare” (1958). La melo-dia all’italiana tramonta e si fannoavanti gli “urlatori”: capofila di que-sti cantanti è Tony Dallara (1959).Mina inizia a muovere i primi passitra le note musicali (1960). Nel giugno del 1961 Bruno Buldrinisposa Argia Biagini, che da quel

momento affiancherà il suo uomo intutte le iniziative serali: una collabo-razione fruttuosa, ma anche un modoper tenere a bada il marito dalleragazze che continuano a bighello-nargli attorno. Quell’anno LaCapannina ingaggia I Corsari, uncomplesso anonimo, ma molto benamalgamato. Bruno, dopo averli“assaggiati”, scommette su di loro eper favorirli promuove una campa-gna pubblicitaria originale e di effet-to: il Publiphono della spiaggia mar-tella in continuazione i vacanzieriannunciando l’imminente arrivo deicorsari sulla costa adriatica, mentreuna lancia carica di bucanieri neiloro caratteristici costumi fa la spolasul mare da Viserba a Miramare spa-rando schioppettanti fuochi d’artifi-cio. I Corsari, anche per questo espe-diente promozionale, ottengono unapopolarità immediata e strepitosa. Il’61 è l’anno del twist, ma è anchel’anno di Celentano: i suoi“Ventiquattromila baci” sono il tor-mentone dell’estate e la canzone èsubito inserita nel repertorio deiCorsari.La fortuna, si dice, aiuta gli audaci.La fortuna di Bruno in questo caso sichiama Clan, l’organismo canorofondato da Celentano il 19 dicembre1961. A partire dall’estate del ‘62sfruttando il giro delle conoscenzemilanesi, Buldrini riesce a far canta-re nel suo dancing tutti i membri diquesta singolare organizzazionecreata dalla genialità del “molleg-giato” a partire da Al Bano, PinoDonaggio, Don Backi, Pilade, RickyGianco, Ico Cerutti …E a proposito di fortuna, Buldrinimostra una lettera che Al Bano gliha scritto nell’estate del 1962 dopoessere stato ospite di richiamo delsuo locale. «Caro Bruno, non hoavuto modo di salutarti prima e lofaccio adesso. Ti ringrazio di tuttocuore e ti auguro tanta fortuna, per-ché sei un elemento che la merita.Saluti Al Bano (del Clan diCelentano)». Lo scritto è inseritonella pagina interna di in pieghevoleche riporta in copertina la seguentefrase: «Se avessi una lira ogni voltache penso alla Capannina avrei unafortuna». Beh, Al Bano, che sembraabbia fatto il suo esordio canoro pro-prio sulla pedana di questo dancing,

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Bruno Buldrini con Gino Paoli e RickyGianco nell’estate del 1964.

Sotto: Gianni Morandi.

Nella pagina precedente Bruno Buldrini.

«Tra i primi a dare lustro alla Capannina

I Ribelli, l’orchestra Guidone

e i solisti: Al Bano, Pino Donaggio,

Don Backi, Gino Santercole,

Ricky Gianco, Pilade, Ico Cerutti…»

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la fortuna l’ha avuta davvero. E forse unabriciola di merito gliela offerta anche illocale della Barafonda e il suo patron.Nella combriccola del Clan c’erano ancheI Ribelli, che nell’arco di pochi mesisarebbero diventati il gruppo musicale diCelentano, rappresentati da DettoMariano (pianoforte), Gianni Dall’Aglio(batteria), Natale Massara (sax), GinoSantercole (chitarra), Giorgio Benacchio(chitarra) e “Giannino” (basso). «Con gli agenti di queste prestigioseugole, anche se agli inizi della carriera, gliaccordi erano stipulati a voce e spesso –ricorda Bruno – persino a distanza, conuna telefonata. Non c’era bisogno di sot-toscrivere impegnativi contratti. Bastavala parola».A due passi da La Capannina, intanto,sulla via Ortigara, si assesta il dancing LaLucciola, che sposta la propria sede stori-ca dalla via Carlo Zavagli. Le due piste daballo iniziano una simpatica competizionebasata sui nomi di cartellone.Naturalmente le conoscenze acquisite inquesto settore da Buldrini non lascianoscampo alla concorrenza. Il dancing LaCapannina, sulla scia degli artisti delClan, è ormai nell’agenda degli impresarie le sue locandine brillano di nomi favolo-si, noti al grande pubblico e all’ambientetelevisivo: Tony Renis, Giorgio Gaber,Mal, Bruno Lauzi, Nicola Arigliano, NicoFidenco e Lara Saint Paul quando ancorasi presentava con il nome di Tanya. Seratememorabili. Con gente che per ascoltarequesti cantanti si muoveva da Ravenna,Pesaro, Cesena e persino da Bologna.

Nel frattempo il locale, stagione dopo sta-gione rinnova il proprio look fino a diven-tare un “giardino incantato”, graditoanche ai nottambuli più esigenti. Quelli,per intenderci, con la puzza sotto il naso,che mai avrebbero pensato di passare unaserata alla Barafonda. Bruno, da semprearbiter eleganthiarum, è molto rigoroso

con il personale e selettivo con la cliente-la. «Siamo nella Barafonda – ripeteva aidirettori di sala –, ma il locale deve impor-si per distinzione, cortesia ed eleganza».Anche per queste severe disposizioni LaCapannina si inserisce di diritto tra i dan-cing di qualità. Di direttori, in quegli annileggendari, il locale ne aveva in caricoquattro e tra i più longevi c’era LucianoBugli, per una ventina d’anni stretto colla-boratore di Buldrini. Bugli si laureerà inlingue e andrà ad insegnare nelle scuole.Il 1964 è un anno esplosivo per LaCapannina. Bruno riesce a mettere inpedana un gruppo di cantanti eccezionali:Gino Paoli, Gianni Morandi, EdoardoVianello, Bobby Solo, Johnny Dorelli,Betty Curtis e altri ormai celebri al picco-lo schermo. Mettiamoli a fuoco nei lorosuccessi. Edoardo Vianello, con “IWatussi”, “Abbronzatissima,“Tremarella” e “Hully gully in dieci” spo-pola tra i giovanissimi. Gino Paoli, giàautore affermato con “Il cielo in una stan-za”, propone “Sapore di sale”: sarà il 45giri più venduto dell’estate. Bobby Solo,considerato il “Presley all’amatriciana”, èl’idolo del momento: al Festival diSanremo si è presentato con “Una lacrimasul viso”, non ha vinto, ma ha venduto unabarca di dischi (trionferà nel 1965 con “Sepiangi, se ridi”). Gianni Morandi è sullacresta dell’onda con la canzone “In ginoc-chio da te”. Johnny Dorelli presenta imotivi dello spettacolo “Johnny Sette”:uno show musicale di alto livello, conBetty Curtis e l’orchestra del maestroPino Calvi composta da 19 elementi. Tragli aneddoti che si legano a questo pattu-glione di vedette uno merita di essere cita-to. Nel giugno di quell’anno la Capanninadà inizio alla stagione con un quartettosconosciuto; lo guida uno spilungone dai

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«... e poi i cantanti Tony Renis,

Giorgio Gaber, Mal,

Bruno Lauzi, Nico Fidenco,

Nicola Arigliano,

Lara Saint Paul, Gino Paoli,

Gianni Morandi,

Edoardo Vianello, Bobby Solo,

Johnny Dorelli, Betty Curtis,

i Nomadi, Romano Mussolini

e il suo Quintet….»

Edoardo Vianello mentre firma autografi.

Sopra a sx. i Corsari, la rivelazione dell’estate 1961;

a dx. Bobby Solo.

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capelli lunghi e arruffati di nomeMaurizio Vandelli. Di questo complessinoBruno conserva il biglietto-promemoriacon le clausole pattuite, dove risulta che ilgruppo percepiva 18 mila lire al giorno edera interamente spesato: i musicisti sog-giornavano in un modesto alberghetto adue passi dalla Capannina. Bene, di lì aqualche mese i “quattro” avrebbe preso ilnome di Equipe 84.Il locale, ricorda Bruno, apriva alle 21 e30 e chiudeva alle due del mattino. Ilbiglietto d’ingresso dava diritto ad unaprima consumazione. L’orchestra proce-deva suonando senza interruzioni cinquebrani omogenei per cadenza, poi c’era unbreve intervallo. «Al momento dello slowquando i piedi si incollavano alla matto-nella, le luci della sala si abbassavano, pertornare a sfolgorare alla ripresa delritmo». A mezzanotte c’era lo show conesibizioni di illusionisti, giocolieri e acro-bati. Quando, però, la serata si concentra-va sull’artista di successo, saltava il varie-tà e i riflettori erano tutti a disposizionedella sua performance. C’erano, poi, lefeste a tema, le elezioni delle miss(Capannina, San Giuliano Mare, Mezzaestate, Sorriso, Eleganza … e persinoMiss Gambe) e le premiazioni dei variconcorsi sportivi. Molto chic quelle delleregate veliche organizzate dal ClubNautico di Rimini. Non mancavano lefeste degli studenti, i matinèe per i bambi-ni e le mostre di pittori debuttanti.Pienoni tutte le sere. «Per entrare si for-mava la fila», rammenta con una punta difierezza Buldrini. A questa carrellata distar ne segue un’altra con artisti e musici-sti speciali: i Brutos, Ric e Gian, Gigi e

Andrea, Giustino Durano, AlighieroNoschese, i Nomadi, Romano Mussolini eil suo Quintet. Le cronache dei giornaliriportano le “notti brave” di questo friz-zante dancing frequentato da stupenderagazze. Nel 1971 una splendida mora diReggio Emilia con una minigonna mozza-fiato, partecipa al concorso di Miss Italiacon la fascia di Miss Capannina. La stampa

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«Nei programmi

de La Capannina le celebrità

più applaudite del momento

e le vedette della tivù:

i Brutos, Giustino Durano,

Alighiero Noschese, Ric e Gian,

Gigi e Andrea…»

La Capannina Dancing sul finire degli anni Settanta.

LA CAPANNINA DANCING NEL RICORDO DI GIULIANO MARONCELLI (GIUMA)

«AVEVO BALLATO CON LA MISS»Molto attaccato ai bei tempi dellaCapannina è Giuliano Maroncelli,acquerellista geniale, noto anche, per lesue esilaranti caricature, con lo pseudo-nimo di Giuma.Maroncelli, inizia a bazzicare il“Dancing della Barafonda” con il grup-petto degli amici nell’estate del 1960:ha appena 17 anni. «Andavamo in quellocale per “imbarcare” – spiegaGiuliano –, ma anche perché c’era dellabuona musica e a noi piaceva ballare». Iricordi di quel periodo sono vividi: «Hoancora in mente la ghiaia tra i tavolini ele sedie, che sporcava di bianco le scar-pe costringendoci continuamente aripulirle col fazzoletto». Il locale erafrequentato da molte ragazze, soprattut-to straniere, clienti degli alberghi di SanGiuliano Mare. «Con le italiane – pro-segue Maroncelli – l’“imbarco” eramolto faticoso, quasi impossibile. Conle nordiche, invece, ogni tanto riusciva.Io, allora, ero molto timido e impaccia-

to e questa insicurezza nell’approccionon mi avvantaggiava. Bastava che unaragazza si rifiutasse di ballare per farmientrate in crisi. Ero fatto così. Gli amici,più disinvolti, mi spronavano e a voltemi prendevano anche in giro. Una sera,però, mi sono preso una grossa rivinci-ta». E a questo punto l’espressione delvolto di Giuliano si illumina. «C’eral’elezione di “Miss Capannina” e il dan-cing era pieno di belle ragazze. Sedutoal tavolino, con i soliti quattro amici,avevo adocchiato una bionda meravi-gliosa; prima che lo facessero altri miprecipitai ad invitarla a ballare. Unadecisione lampo, inconsueta, data lamia riservatezza. La ragazza, un’italia-na di Modena, non solo accettò, marestò in pista con me fino all’inizio delconcorso. Concorso che vinse sfilandoin costume da bagno. Un corpo stupen-do. Beh, da quella sera le mie quotazio-ni salirono. Avevo ballato con la Miss».(M.M.)

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ne parla e il locale balza agli onori dellepagine della calura.Con Romano Mussolini, più volte ospitedella Capannina, Bruno instaura un’ami-cizia che si protrae nel tempo e che conti-nua anche quando il locale spegnerà le sueluci. Una familiarità confermata da unamazzetta di cartoline con i saluti del jazzi-sta. Questa una delle ultime speditadall’Isola d’Ischia: «Caro Bruno, grazieper la tua cortesia. A presto. RomanoMussolini - 5 maggio 1996».Buldrini aveva fiuto, sapeva stare al passocon i tempi della musica leggera. E gliimpresari non gli dicevano mai di no. Esoprattutto i complessini ambivano suona-re nel suo locale. Tanti e tra questiBristol’s, Rizzo, Novaga, Guidone … . Ilperiodo mitico del locale arriva fino allametà degli anni Settanta, quando il diver-timento notturno inizia a cambiare rottaorientandosi sulla rimbombante disco-music; quando il rock, la samba e il cha-cha-cha alternati ai tanghi e ai valzerlasceranno il posto ad esercizi ginnico-atletici che frantumeranno la coppiaaprendo la pista ad una masnada di single.Buldrini, che non tralasciava serata senzaaver fatto la consueta “esibizione” sullapista con la Miss di turno, non se la sentedi ciondolare da solo, senza la dama, traluci psichedeliche e rumori assordanti.Smette di ballare e si rende conto che conl’avvento delle discoteche sparse tra lecolline del riminese un’epoca sta tramon-tando. Nonostante ciò tiene aperto il loca-le e come sfida alle nuove tendenze inse-risce sul depliant del dancing la frase:«Tutte le sere balliamo alla vecchia

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Miss Capannina 1964 con le damigelle d’onore e i direttori di sala Bugli e Monaco.

LA CAPANNINA DANCING NEL RICORDO DI NEVIO MONACO

«SMOKING E SORRISO LATINO»«Davo inizio alla serata – rammenta Nevio –

salutando gli ospiti e presentando i cantanti

e le attrazioni in cinque lingue:

italiano, francese, inglese, tedesco e svedese.

Con le prime tre lingue me la cavavo,

con le ultime due era uno svarione dietro l’altro»

el 1964 fa il suo ingresso a LaCapannina Nevio Monaco. Bruno

Buldrini lo assume come direttore disala e presentatore, ma le mansioni cheil nuovo arrivato sarà chiamato a svol-gere, come avremo modo di spiegaretra poco, saranno le più svariate.Monaco proviene dalla Lucciola, vale adire dal dancing antagonista: per dueestati e per quattro soldi a sera ha fattolo speaker del locale. Buldrini, attraver-so le sue “antenne”, si accorge dellasimpatia che irradia il giovane quandoimpugna il microfono e fa di tutto perconquistarlo. Il “contratto”, che gli pro-spetta, è così allettante che Monaco, 24anni, studente universitario di giuri-sprudenza, non può non accettare. Inquel periodo il giovane si pagava glistudi andando sulla spiaggia a riscuote-re la tassa di soggiorno per contodell’Azienda turistica riminese: unlavoretto estivo snervante e male retri-buito.L’ingaggio si rivela un affare per La

Capannina. Monaco, infatti, si portadietro una scia di amici; inoltre la suaverve e il suo modo di fare esuberante espigliato fa presa sulla clientela femmi-nile. «Davo inizio alla serata – rammen-ta Nevio – salutando gli ospiti e presen-tando i cantanti e le attrazioni in cinquelingue: italiano, francese, inglese, tede-sco e svedese. Con le prime tre lingueme la cavavo, con le ultime due era unosvarione dietro l’altro. Erano le tede-sche e le svedesi, sempre numerose nellocale, che mi scrivevano su dei pezzet-ti di carta quello che avrei dovutoannunciare. La difficoltà era leggerequelle parole. Dalla mia bocca venivanofuori solo strafalcioni. Spesso mi diver-tivo ad accentuarli perché le straniereridevano e applaudivano». Già, le stra-niere, “La Capannina”era il dancingpreferito dalle svedesi: bionde, alte,slanciate e con una gran voglia di“socializzare”. «Per noi giovani – conti-nua Nevio – era una pacchia. Ogni dieci

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COSTUME E SOCIETÀ

maniera con le migliori orchestre». Nel1981 La Capannina festeggia il suoVenticinquesimo compleanno. In sala, tragli ospiti d’onore, alcuni cantanti conqualche capello bianco, capeggiati daVittorio Corcelli, accorsi a ricalcare lavecchia pedana. Sono gli ultimi sprazzi diun amore che si spegne. La Barafonda,intanto, è cambiata, ha subìto una urba-nizzazione selvaggia che ha cementificatoogni spazio libero e un dancing tra condo-mini e alberghi è fuori posto. Bruno tienebotta ancora qualche anno; poi, nel 1989chiude. Di quella favola iniziata nel 1956gli restano solo i ricordi che continuano arivivere nelle foto, centinaia, e un’unicaamarezza: non aver avuto nel suo circocanoro, nonostante le promesse, AdrianoCelentano.

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Estate 1981. Bruno Buldrini e Vittorio Corcelli.

L’ingresso della Capannina Dancing.

giorni c’era il cambio delle turiste. Unrinnovo continuo, che non ti vincolavapiù di tanto nei sentimenti». Monaco ci sapeva fare con le ragazze epoi, c’era lo smoking, il microfono inmano, l’autorevolezza della carica e,non ultimo, il sorriso latino …. Ma eraanche un gran lavoratore. Non si tiravamai indietro, soprattutto se c’era da dareuna mano ai camerieri per il servizio aitavoli o per il riassetto quotidiano dellocale. Nei momenti di calma si trasfe-riva all’ingresso, leggermente fuori dallocale, nel ruolo di “butta dentro”; laqualifica di PR era ancora tutta dainventare. «Il compito più impegnativoe sotto certi aspetti anche divertente –prosegue Nevio – era la pubblicità. Unavolta alla settimana, al termine dellaserata, chiuso il locale, Bruno ed io,quasi sempre in lieta compagnia, parti-vamo con l’Alfa Romeo 1900 (nellafiancata dell’auto spiccava la scritta “LaCapannina Dancing”) e andavamo adincollare i manifesti del locale. Ci spin-gevamo fino a Bellaria da una parte eMiramare dall’altra. Li appiccicavamoproprio nelle vicinanze dei dancing. Lofacevamo come sfida. Volevamo farcapire agli abituali clienti dei locali daballo che genere di attrazioni avevamonoi». E a dormire? «Quando attaccava-mo le locandine gli orari saltavano e illetto in quella circostanza non servivaper riposare. Una volta a casa mi cam-biavo in fretta e furia e mi recavo diret-tamente in spiaggia a compiere il miolavoro per l’Azienda di Soggiorno».«Alla Capannina – racconta NevioMonaco – ho avuto il piacere di cono-scere una sfilza di cantanti straordinari:Gianni Morandi, Bobby Solo, GiorgioGaber, Edoardo Vianello, Betty Curtis,Johnny Dorelli, Gino Paoli e tanti altri».Nel locale di Buldrini Nevio resta unasola stagione: il tempo necessario per

farsi conoscere anche fuori dallaBarafonda. Aldo Savini, proprietario di“El Patio” di Bellaria, gli offre la dire-zione del dancing: Monaco la rifiuta.Segue la proposta di Caterina Rabbia,titolare del Night Club Oriental Park,talmente “indecente” che non può nonaccettare. Monaco va a fare il direttoredi sala del dancing di Piazza Tripoli“per un corrispettivo serale di 8.000lire”; compenso, riporta il contratto,che vale “anche nelle serate di maltem-po, in quanto il dancing dispone diapposita sala coperta”. In monetasonante percepisce 240 mila lire almese! Lo stipendio di un insegnante inquel periodo non raggiungeva le70.000 lire. Bruno Buldrini, non puòfare altro che augurare buona fortuna alsuo direttore.All’Oriental Park Nevio Monaco restadue stagioni. Nel 1966 la svolta che glicambia la vita. Studente fuori corso (lalaurea la prenderà con anni di ritardo)non può sottrarsi all’obbligo della levamilitare. Indossa la divisa da carabinie-re e chiude con i locali notturni.Terminati i diciotto mesi di naia, restanell’Arma e inizia a muoversi nell’in-vestigativa. All’inizio degli anniSettanta il generale Carlo Alberto DallaChiesa lo inserisce nella sua squadraanti terrorismo. Da quel momento lacarriera di Nevio Monaco si riempie diencomi e medaglie che gli consentiran-no di raggiungere, ancor giovane, ilgrado di Tenente colonnello. (M.M.)

Estate 1964. Nevio Monaco, direttore de La Capannina Dancing con Betty Curtis, Jonny Dorelli, Gianni Morandi e Gino Paoli.

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’inizio e la fine della gior-nata, vissuta nel campo di

prigionia, erano scanditi dagliappelli: il primo, quello delmattino, e il secondo nel tardopomeriggio, entrambi eseguitisempre all’aperto con qualsia-si tempo, sole, pioggia o neve,inquadrati per cinque, spessoper la durata di ore e ore.Dopo la sveglia, fissata ognigiorno alle 6,00, la colazioneconsisteva in un infuso ditiglio caldo, il pranzo eracostituito da zuppa di patate opatate e miglio o rape o caroteo cavoli o piselli o barbabieto-le rosse (da ogni baracca delLager a mezzogiorno unasquadra di 5 ufficiali si recavaalle cucine per ritirare imastelli della “sbobba”), men-tre alla sera ci venivano conse-gnati 350 grammi di pane confarina di pioppo, 25 grammi dimargarina o marmellata “tal-volta deteriorata”, o un for-maggio maleodorante, o delsanguinaccio, o pasta di pesceed infine 25 grammi di zuc-chero. I pesi sopra riportatisono quelli indicati nelletabelle, ma in pratica essidevono essere intesi puramen-te indicativi; l’acqua, nonpotabile, non fu sempre pre-sente a causa dei guasti allapompa o per il gelo nei perio-di invernali.I giorni passavano squallida-mente, sempre più uguali; ilfreddo, la fame, la mancanzadi notizie da casa, i malannianche per i pochi indumenti indotazione, non sufficienti peril clima del Nord Europa ed ilunghi appelli, tendevano afiaccare il nostro morale. A rendere ancora più tristi i

nostri pensieri, durante ilperiodo trascorso nel Lager diWietzendorf, c’era la consape-volezza che subito fuori delcampo, in fosse comuni, eranosepolti migliaia di prigionierirussi che avevano occupato in

precedenza le nostre baraccheed erano morti, a quanto sidiceva, di tifo petecchiale.Nelle pause tra gli appelli ed iranci ci si riuniva ove si pote-va per distrarci, confrontarci,vincere l’inedia, la malinconiae le preoccupazioni. Per nostra

fortuna, alcuni benemeritiufficiali appassionati e compe-tenti, sollecitati dalComandante Italiano delCampo, si fecero promotori diiniziative culturali. Nacquerocosì una piccola filodrammati-ca, qualche programma divarietà, un’orchestrina conuna fisarmonica ed altri stru-menti musicali salvati durantele tante perquisizioni, un coro,incontri per arma, associazio-ni, regioni o di città per ricor-dare, ad esempio, le festepatronali, cicli di conferenza,dibattiti e addirittura corsi uni-versitari. Ricordo l’interesseche suscitarono le relazionidel Ten. Avv. Guido Carli diFirenze sugli errori giudiziari.Per dare vita ad un’autentica efraterna solidarietà, nacque la“Fameja Rumagnola”, conincontri generalmente settima-nali. Indimenticabili i raccontiumoristici, le storielle freschedi giornata ed il “Bertoldo par-lato” del Ten. GiovanniGuareschi. Tra gli applausidegli internati vi erano anchequelli della censura tedesca,sempre presente, ma incapacea percepire il vero senso degliinsegnamenti che ne scaturiva-no e le critiche che le satirevolevano esprimere.Anche Gian Enrico Tedeschicontribuì ad alleviare le nostreserate e, proprio a Sandbostel,impersonò per la prima voltaEnrico VIII nell’opera diShakespeare. Sembrerà incre-dibile, ma nei periodi in cui lafame si faceva sentire mag-giormente, trovammo il corag-gio di raccontarci ricette per lapreparazione di cibi prelibatie, grazie alla presenza di per-sone provenienti da diversearee italiane, conoscemmo ipiatti regionali più tipici.Lo spaccio del campo eraquasi sempre sprovvisto di

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PAGINE DI VITA

CORRADO GHINI / IL CALVARIO DELLA PRIGIONIA (3)

FREDDO, FAME, MALANNI E TANTA NOSTALGIA DI CASACorrado Ghini

L

A R I M I N V M /12.

«Durante la prigionia

la preghiera era una esigenza fortemente sentita.

Nei tre campi di Benjaminowo,

Sandbostel e Wietzendorff il servizio religioso

fu svolto con passione ed abnegazione

da diversi cappellani militari,

tra i quali Don Pasa,

Don Amadio, Don Zorzi, Padre Grigoletto

che avevano rinunciato a tornare in Patria

per rimanere al nostro fianco»

Immatricolazione di CorradoGhini al campo di

Benjaminowo.

Nella pagina seguentela targhetta identificativa

di Ghini.

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tutto. I pochi generi che arri-vavano erano in quantitativicosì limitati da dover essereper lo più sorteggiati.Particolarmente sentita eral’assoluta mancanza di carta ditutti i tipi, tanto che io ero sod-disfatto quando riuscivo arimediare dei foglietti di cartaigienica (fra l’altro di coloremarrone) per annotare qualco-sa e tenere gli appunti delleletture fatte o dei corsi orga-nizzati nel campo.La mancanza di sigarette, difiammiferi, la necessità divestiario, di sapone, di lametteda barba e di qualsiasi altrooggetto aveva trasformato laporta d’ingresso dei serviziigienici in un’agenzia di pic-cola pubblicità con scritte diquesto tipo: “Cedo mutandenuove per riso o fagioli”,“Cerco urgentemente Momper tabacco o sigarette”.Nel campo di Benjaminowo sisviluppò un commercio conrussi e polacchi: quando questiuscivano dai recinti trainando icarri botte contenenti gliescrementi delle latrine, porta-vano fuori sterline, orologi,catenine d’oro, fedi; poi rien-trando, nei carri botte vuotinascondevano pane, fagioli,tabacco, patate, o altre coserichieste.Durante la prigionia la pre-ghiera era una esigenza forte-mente sentita. Nei tre campi diBenjaminowo, Sandbostel eWietzendorff il servizio reli-gioso fu sempre svolto conpassione ed abnegazione. Idiversi cappellani militari,Don Pasa, Don Amadio, DonZorzi, Padre Grigoletto e tantialtri che avevano rinunciato atornare in Patria per rimanerea fianco dei loro militari, siinteressarono sempre peravere una baracca adibita acappella per svolgere le fun-zioni come una parrocchia.Bravi artisti curarono l’arredocon disegni, dipinti e alcunilavori, come un magnificoOstensorio e l’incensiere.Su iniziativa del Ten. Prof.Paride Piasenti di Verona, ci

riunimmo in un gruppo com-posto da un centinaio di iscrit-ti all’Azione Cattolica stabi-lendo incontri settimanali dipreghiera e di commento alleEncicliche del Papa.Successivamente si unì a noianche il Prof. GiuseppeLazzati che tenne interessanti

conferenze sulla storia dellaChiesa e divenne Presidentedel gruppo.A disposizione del campoc’era un giornale tedesco e, ditanto in tanto, uno in italiano:“La voce della Patria”, dalquale apprendevamo le notizieammesse.

Alcuni ufficiali, capaci radio-tecnici, possedendo una valvo-la 1Q5, riuscirono a metterinsieme con mezzi di fortuna,un apparecchio radio da noidenominato “Caterina”, capa-ce di captare Radio Londra eRadio Bari. La batteria eracostituita da monetine di rameda 10 cent. completata dadischetti di zinco ritagliatidalle vasche di legno dei lava-toi e da lembi di una copertaimbevuta di aceto dei vasettiarrivati con qualche pacco. Percostruire le altre parti comebobine, antenne, sintonia,variometro auricolare, furonoutilizzati un portasapone dabarba, un filo di rame asporta-to assieme ad alcuni piccolimagneti dalla dinamo dellabicicletta del maresciallo tede-sco e poi cera di candela,lamierino di barattoli, celluloi-de, catrame ricavato dal tettodi una baracca, grafite di mati-ta, stagnola, cartine per siga-rette. La radio, quando era possibile,veniva ascoltata tra le 21 e le23 da una persona di fiduciache cambiava continuamenteposto, nascondendo la valvoladentro una borraccia, alla finedi ogni ascolto. La divulgazio-ne di quanto era stato ascolta-to era affidata a Don Pasa:quando alla sera egli passavatra le baracche per recitare ilRosario, riusciva sempre amescolare tra le litanie, qual-che importante notizia captatanella trasmissione della notteprecedente.La ricerca di una radio clande-stina (risultata però sempreinfruttuosa) fu eseguita daitedeschi con maggior intensitàall’indomani dello sbarco inNormandia: esisteva nelcampo una pozza d’acqua chechiamavamo “laghetto”: quan-do captammo la notizia, alcuniufficiali bontemponi poserosull’acqua un discreto numerodi barchette di carta aventidimensioni e formati diversi eciò rese i tedeschi ancora piùsospettosi.

PAGINE DI VITA

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«Nelle pause, tra gli appelli ed i ranci,

ci si riuniva per vincere l’inedia.

Indimenticabili i racconti umoristici,

le storielle fresche di giornata ed il

“Bertoldo parlato”

del Ten. Giovanni Guareschi....

Anche Gian Enrico Tedeschi

contribuì ad alleviare le nostre serate e,

proprio a Sandbostel,

impersonò per la prima volta

Enrico VIII nell’opera di Shakespeare»

«A rendere ancora più tristi i nostri pensieri,

durante il periodo trascorso nel Lager

di Wietzendorf, c’era la consapevolezza

che subito fuori del campo,

in fosse comuni,

erano sepolti migliaia di prigionieri russi

che avevano occupato in precedenza le nostre

baracche ed erano morti,

a quanto si diceva, di tifo petecchiale»

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vevo concluso il prece-dente libro con un rac-

conto emblematico, quello didue fratelli di Coriano che alvolgere della seconda guerramondiale avevano aderito aidue contrapposti schieramentie che erano caduti entrambinella rispettiva certezza dicompiere il proprio dovere innome dell’Italia.Volendo chiudere altrettantoemblematicamente la serie deiracconti destinati ad esser rac-colti in un libro che prenderàtitolo da quello dato a questafortunata serie e sarà editoentro l’anno a cura del NastroAzzurro riminese e dellaAssociazione Aries, colgol’occasione per parlare diun’altra coppia di fratelli,distintisi entrambi per corag-gio ed ardimento, entrambidecorati ed entrambi annove-rabili fra due opposti schiera-menti posto che l’uno caddecombattendo nei cieli dellaSpagna e l’altro, dopo averanch’esso fatto parte dell’a-viazione legionaria, dopo ilsettembre del 1943 si distinseinvece nei combattimenti con-tro i tedeschi con scelta dicampo quindi del tutto oppo-sta.Questo legittimo e storicodualismo, che occorre prenderatto non è mai venuto menosopravvivendo due oppostisentire anche nell’odiernaItalia, è ben rappresentatoanche dalle vicende occorse aifratelli Umberto e CarloAlberto Rizzi dei quali voglioquindi parlare.Nato il primo a Rimini il 18giugno 1915, probabilmente

affascinato dalla personalità edai tanti avventurosi raccontisentiti dallo zio FedericoGuazzetti, asso dell’aviazionedurante la prima guerra mon-diale e poi Legionario fiumanoe dopo aver da giovanissimoconseguito durante il periodopremilitare la qualifica di pilo-ta, ammesso nel 1936 a ritar-dare il servizio di leva qualestudente di Scuola Mediasuperiore, giunto alla finedegli studi Umberto venivarichiamato ed incorporatonella Regia Aeronautica. Inquel momento l’Etiopiarichiedeva altri piloti e prestouna nuova impresa bellicaavrebbe attratto i più ardimen-tosi fra loro.Già dal 30 luglio del 1936, ilprimo contingente di dodiciaerei SM81 (SavoiaMarchetti) ai quali per evitaretensioni con i paesi europeisimpatizzanti per il GovernoMadrileno erano state cancel-late insegne nazionali e distin-tivi di reparto era infatti parti-to da Elmas, Sardegna, conequipaggi di prim’ordineanch’essi in rigoroso incogni-to.Meta di quella misteriosasquadriglia erano le coste delMarocco verso le quali eradiretta per portare aiuto alGeneralissimo FranciscoFranco de Bahamonde, artefi-ce dell’“alzamiento”, l’insur-rezione antigovernativa chevedeva in terra di Spagna con-trapporsi truppe fedeli allaRepubblica e truppe fedeli aFranco, in particolare quelle distanza oltre lo stretto diGibilterra e nelle Canarie,smaniose di raggiungere ilcontinente per unirsi alle trup-pe del Generale Mola che

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TRA CRONACA E STORIA

I NOSTRI EROI / UMBERTO E CARLO ALBERTO RIZZIUFFICIALI DELL’AERONAUTICA MILITARE ITALIANA

«DUE FRATELLI, DUE VALOROSI... DUE DESTINI »PLURIDECORATI AL VALORE MILITARE

Gaetano Rossi

A

A R I M I N V M /16.

«Due fratelli decorati,

annoverabili fra due opposti schieramenti:

l’uno cadde combattendo nei cieli della Spagna;

l’altro, dopo aver anch’esso fatto parte

dell’aviazione legionaria,

si distinse nei combattimenti

contro i tedeschi»

Carlo Alberto Rizzi.

Sopra. Umberto Rizzi sedutosulla carlinga dell’aereo.

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aveva già preso sotto il suocontrollo la parte nord occi-dentale del paese, in un intrec-cio di scelte che coinvolseroanche dall’interno stessi repar-ti dell’Esercito nazionale edella Guardia Civil.Allorché si ebbe la confermache altre nazioni (Francia,Inghilterra ed UnioneSovietica in particolare)avrebbero copiosamenteinviato uomini e soprattuttomezzi ai Repubblicanos, aquel primo contingente uffi-cioso (presto scoperto quantoalla provenienza) fece rapidoseguito un aperto incrementodi aiuti anche da parte di Italiae Germania, a supporto delleforze nazionaliste. Primo perimportanza, per quanto riguar-dò l’Italia, fu quindi e da subi-to l’apporto dell’aeronautica,con squadriglie di ottimi aereisia da bombardamento che dacombattimento, con equipaggimotivati e di grande abilitàcome dimostrano i successiottenuti e la quantità di mis-sioni portate a termine positi-vamente sia contro la flottarepubblicana, superiore aquella nazionalista, sia controle difese al suolo e le forzeavversarie.Fitte Squadriglie con principa-li basi operative nelle Baleari eche avevano in uso i famosiSparviero (SM79) ed i maneg-gevoli CR 32 Fiat, confluirononell’Aviazione del Tercio deExtranjeros con denominazio-ni famose e temute quali igruppi caccia “La Cucaracha”,“Asso di Bastoni”, “Gamba diFerro” affiancandosi a Stormida Bombardamento Veloce eda Squadriglie d’Assalto.Molto interessante è la storiadi questa guerra dimenticata edenigrata nella quale invecerifulsero le capacita della

nostra pressoché neonata aero-nautica messa spesso a con-fronto con velivoli tecnica-

mente anche superiori ainostri, quali i sovieticiPolikarpov, dei quali la Russia

aveva fornito ai Repubblicaniin gran numero con tanto dicentinaia di esperti piloti especialisti. Né la Francia erada meno in aiuti diretti edindiretti, con il risultato delloscatenarsi di una sorta di guer-ra “per procura” fra due bloc-chi con il pavido consensotacito di chi temeva l’affer-marsi di una repubblica bol-scevica nel cuore dell’Europama non aveva il coraggio diesporsi; blocchi che presto sisarebbero apertamente scon-trati in un ben più esteso edrammatico conflitto.Sta di fatto che il sottotenenteUmberto Ricci si segnalòsubito per capacità operandoattivamente nel 30° gruppo daBombardamento veloce (111°Stormo), di una certa notorietàper il fatto che tre suoi velivo-li parteciparono, nel pomerig-gio del 26 aprile 1937, al bom-bardamento della città bascadi Guernica (notissimo episo-dio che nessuno pone però maia confronto con il bombarda-mento di Dresda parimentidegno di memoria e condanna,per non parlare di quelli suHiroshima e Nagasaki). Il par-ticolare è interessante perchénonostante la totale assenza dinotizie e documentazionefotografica su Umberto ricava-bili dal relativo fascicolo delNastro Azzurro, sono tuttaviariuscito a trovare da altra fonteuna fotografia del SM79 chepilotato in quella occasione daaltro Ufficiale (SottotenenteDagasso) era stato fra i tre par-tecipi di quel bombardamento.La didascalia della foto riportache proprio quello stessoaereo andò perduto il 15 luglio1938 in Val De Linares e poi-ché l’unico SM79 caduto inVal De Linares quel giorno fuquello pilotato da UmbertoRicci, dobbiamo desumerneche proprio questo era il suovelivolo e che, forse, a lui èriferibile quella indistintasagoma che appare sul portel-lone.E’poco, capisco; ma è tutto

TRA CRONACA E STORIA

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .17

«Umberto Rizzi Medaglia d’Argento

al valor militare alla Memoria con la seguente

significativa motivazione:

“Ufficiale pilota abilissimo ed ardito di apparecchio

da bombardamento veloce,

volontario e prescelto per una missione

di guerra in terra straniera

per la difesa e l’asserzione di alti ideali patriottici,

in alcune azioni di guerra superava intensi

e precisi sbarramenti contraerei,

facendo rifulgere pienamente

le sue brillanti virtù militari,

la completa preparazione morale

e professionale. Cadeva in volo di guerra

sacrificando così la giovane vita

per i supremi ideali della Patria.

Esempio mirabile di attaccamento al dovere,

di valore e di alte virtù eroiche.

Val De Linares, 15/VII/1938”»

I FIAT C.R.32 dellaChucaracha, privi di simboli

nazionali.

In alto. La fotografia immortalal’SM79 che cadrà a Val de

Linares; sulla carlinga il mottoFrègatene.

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quello che abbiamoper ricordare uno deinostri combattenti,decorato conMedaglia d’Argentoal valor militare allaMemoria con laseguente significativam o t i v a z i o n e :“Ufficiale pilota abi-lissimo ed ardito diapparecchio da bom-bardamento veloce,volontario e prescel-to per una missionedi guerra in terrastraniera per la dife-sa e l’asserzione dialti ideali patriottici,in alcune azioni diguerra superavaintensi e precisi sbar-ramenti contraerei,facendo rifulgere pie-namente le sue bril-lanti virtù militari, lacompleta preparazio-ne morale e profes-sionale. Cadeva involo di guerra sacri-ficando così la giova-ne vita per i supremiideali della Patria.Esempio mirabile diattaccamento aldovere, di valore e di alte virtùeroiche. Val De Linares,15/VII/1938”.Ad Umberto Rizzi come d’al-tronde ad altri decorati di tuttele guerre, Spagna compresa,sono intitolati vicoli, stradinee vie della nostra città proprioperché chi cadde lealmentecombattendo per un propriolegittimo ideale, ma in realtà,in nome dell’Italia guada-gnandosi decorazioni al valormilitare non può che essermeritevole di ricordo da partedei posteri, come insegna laStoria, la cultura e l’etica, checi accomuna tutti solo quandoè distante da qualunque pre-clusione ideologica.Ben maggiori notizie si hannoinvece del più noto fratello,Carlo Alberto (Buby per gli

amici,così come Buby eral’affettuoso soprannomeanche di Dario Campana, altroeroe della guerra di Spagnadel quale s’è già scritto) siaper aver egli comandato ilprimo reparto aereo dell’aero-nautica regia post 8 settembre1943 (5° Stormo), sia per lasua ben più lunga carriera,finita tragicamente quantoeroicamente nel 1949 propriodalle nostre parti, sia per ilfatto che avendo combattutocontro i tedeschi se ne è mag-giormente coltivato il ricordononostante la sua prima meda-glia – delle 5 che ebbe – risal-ga proprio alla guerra diSpagna con una motivazioneche certo potrebbe angustiarequalcuno: “Volontario in mis-sione di guerra per l’afferma-

zione degli ideali fascisti,affrontava e superava ardueprove dando esempio di pre-clari virtù di comandante e divaloroso combattente. Cielo diSpagna, giugno-settembre1937”. Sempre per la guerradi Spagna, durante la qualerimase anche ferito al viso edalla mano destra in un inciden-te di volo, oltre le consuetemedaglie nazionali comme-morative di partecipazionericevette una Croce al Meritodi Guerra, la Cruz de GuerraSpanola, la Medalla MilitarCollettiva Spanola, la Medallade la Campana Spanola per leoperazioni militari in OMS,tutte concesse per disposizio-ne del Generalissimo Franco.Scoppiata la guerra e data l’e-sperienza maturata in quel

conflitto, nel febbraiodel 1941 assume ilcomando del nucleoaddestramento bom-bardieri a tuffo” consede a LonatePozzolo – e pensareche per i bombarda-menti a tuffo si ricor-dano sempre e sologli Stuka! – e nellostesso anno comandauna propriaSquadriglia (238a)impegnata nelMediterraneo centra-le. Nel dicembreviene decorato conMedaglia d’Argentoal V.M. con la seguen-te motivazione:“Comandante disquadriglia da bom-bardamento a tuffoguidava il proprioreparto nell’impiegodiurno e notturno inarditissime azioni,portate brillantemen-te a termine, su for-mazioni navali e sumunita base del nemi-co (Malta n.d.r.)dando costante provadi grande coraggio edalto senso del dovere.Cielo delMediterraneo, giu-

gno-dicembre 1941”. Fra ilfebbraio ed il marzo del 1942si distingue per operazioni inFrancia, in AfricaSettentrionale (riceve altramedaglia d’Argento) e nelMediterraneo, su Malta edovunque servisse l’impiegodell’ardimentosa squadriglia.Anche la motivazione di talseconda medaglia è significa-tiva: “Pilota d’assalto di dotieccezionali, comandante di unreparto di tuffatori, semprealla testa dei suoi velivoli par-tecipava a rischiose missionibelliche. Nel corso di un’azio-ne di bombardamento a tuffosu munita base nemica, incu-rante della reazione violentadella contraerea e della cac-cia, che abbatteva sei dei

LUGLIO-AGOSTO 2012

TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M /18.

«Carlo Alberto Rizzi

Medaglia d’Argento al valor militare:

“Pilota d’assalto di doti eccezionali,

comandante di un reparto

di tuffatori, sempre alla testa dei suoi velivoli partecipava

a rischiose missioni belliche.

Nel corso di un’azione di bombardamento

a tuffo su munita base nemica,

incurante della reazione violenta della contraerea

e della caccia, che abbatteva sei dei quindici velivoli da lui guidati,

si slanciava contro l’obiettivo centrandolo in pieno,

infliggendo al nemico danni gravissimi”».

SM in azione sul cielo di Spagna.

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quindici velivoli da lui guida-ti, si slanciava contro l’obiet-tivo centrandolo in pieno,infliggendo al nemico dannigravissimi”.Il 1 agosto 1942, con il gradodi Maggiore (conferitogli permerito di guerra) assume ilcomando del 101° GruppoPicchiatelli che tenne fino al 6settembre 1943 essendo nelfrattempo (marzo 1943) nomi-nato Cavaliere dell’Ordinedella Corona d’Italia.L’8 settembre del 1943 lotrova nella base di Manduria,vicino a Brindisi, sì che lascelta, come avvenne per tanti,dipese probabilmente anchedal caso – puramente logistico– di essersi trovato in quellalocalità e non altrove, magarinel nord Italia. In quella occa-sione succede al MaggiorePilota Giuseppe Cenni (cui èdedicato il 5° Stormo, che èstato poi per anni di base aMiramare) abbattuto combat-tendo contro gli angloameri-cani ad “armistizio” (breve)già firmato (3 settembre) manon ancora reso noto, sì cheCenni è quindi uno dei tantivanamente caduti in scontricontro gli impensabili nuovialleati, fra il 3 e l’8 di quelmese.Per aver poi partecipato allaguerra sull’opposto fronte fudecorato di ben trecroci al merito edautorizzato a fregiarsidel distintivo dellaguerra di liberazionepartecipando ad ope-razioni quale mem-bro dello StatoMaggiore della RegiaAeronautica dal 15giugno 1944 al 8maggio 1945. Dopola guerra assunse variincarichi e nel giugnodel 1949 ricoprequello diC o m a n d a n t el’Ufficio operazionidella Prima zonaaerea territoriale diMilano. Nel corso

della settimana aerea interna-zionale alla quale partecipavacome concorrente al comandodi un F.L.3S, nel sorvolare lazona di Cesenatico, bloccatosiil motore, si avvede che l’ae-reo stava precipitando a terraproprio verso un punto dove sitrovava un gruppo di bambini.Senza esitazione riusciva aportare l’aereo sul mare doveil velivolo finiva per schiantar-si dopo pochi istanti. Nel terri-bile impatto Rizzi periva insie-me al compagno di volo,Capitano Mario De Ferrari.Due fratelli (ma ricordo anchei riminesi Guglielmo e PietroMarconi, di cui ho a suotempo scritto) due ugualidestini, due storie diverse, duepersonaggi entrambi egual-

mente meritevoli di tutto ilnostro rispetto. Questo è lospirito che anima da sempre imiei racconti, spesso tesi ariequilibrare scompensi dimemoria non dovendo a mioparere esistere, in un paesecivile, una memoria suddivisafra italiani meritevoli e italianiche non ne son degni; solo unastrumentale faziosità può con-tinuare a far distinzioni anchedopo la morte, come con ele-gante ironia ricordava ilPrincipe Antonio De Curtis –in in arte Totò – in quella suabella poesia dal titolo:A’livella!Maestra in ciò è proprio laSpagna, che pur essendo statatravagliata da quella feroceguerra civile ha poi finito per

raccogliere le spoglie di tutti isuoi figli in un unico cimiteromonumentale dove possonoesser ancor oggi dignitosa-mente pianti senza distinzioni:la “Valle de Los Caidos” (*)nella quale i Caduti di entram-be le parti riposano fianco afianco.Questo è lo spirito con il qualeNastro Azzurro ed ARIES siaccingono a pubblicare questestorie e questo è lo spirito conil quale queste storie dovrannoesser lette da noi e dalle gene-razioni a venire nel solco di unfondamentale principio di tol-

lerante civismo: quel-lo del rispetto dellelibere convinzioni edelle idee altrui.

(*) Abbazia dellaSanta Croce dellaValle dei Caduti:costruito fra il 1940 eil 1958. Si trova a 9km a nord del Mona-stero dell’Escorialnella Sierra di Gua-darrama. Fin da epocaFranchista fu dedi-cato a perpetuoricordo dei caduti dientrambi gli oppostischieramenti.

TRA CRONACA E STORIA

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .21

«Dopo l’8 settembre 1943

Carlo Alberto Rizzi aderisce al Regno del Sud.

E per aver partecipato alla guerra

contro i nazifascisti fu decorato

di ben tre croci al merito

ed autorizzato a fregiarsi

del distintivo della guerra di liberazione

partecipando ad operazioni quale membro

dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica

dal 15 giugno 1944 all’ 8 maggio 1945»Umberto Rizzi.

Sotto. Spagna, Valle Dos Caidos.

Il monumento che riunisce icaduti dei due schieramenti.

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partire dalla fine di lugliodel 1922, ma soprattutto

in seguito alla “sommossapopolare del 24 agosto”(1), ifascisti dilagano per Riccione,“padroni” a tutti gli effetti delterritorio. L’ultima domenicadi agosto «una enorme folla dioperai e sindacalisti in camicianera» sfila incolonnata per «levie principali del paese» dietroai «simboli della Patria» esotto lo sguardo di «uno stra-bocchevole concorso di popo-lo»(2). «Lo spettacolo – riferi-sce il cronista – nuovo perRiccione, abituato alle incom-poste e turbolenti manifesta-zioni rosse, ha segnato laprima data della nuova risurre-zione di questo estremo lembodi Romagna che fu per moltotempo il feudo bolscevico pereccellenza»(3).La sede dei fascisti continuaad essere il Kursaal ed è daqui che il “segretario poli-tico” del fascio Guariniimpartisce disposizioni ai“camerati”(4). Ad affiancarlo,nel “direttorio”, oltre adalcuni villeggianti di “rango”,troviamo i tre figli di FelicePullè, in questo momentocommissario del costituendocomune: Galeazzo, Federicoe Frangiotto di appenadiciotto anni. Assidui fre-quentatori di questo “covo”anche Nello Leardini, Aristo-demo Papini, Carlo Piccioni eGiordano Bruno Galavotti.Insieme con questo gruppettodi “notabili”, non manca «unafolla di giovani operai»(5).L’aria politica che aleggia perRiccione in questo scorcio diestate ce la descrive con spre-giudicata sincerità “La pennafascista” del 4 settembre 1922:«Il nostro movimento procedetravolgente e ogni resistenzanemica è stata sconquassata. IVilla e compagni, che costitui-vano la mala compagnia di

ventura, che senza colpo feriresi era imposta nello sfrutta-mento della ingenua classeproletaria, si sono liquefatticome neve al sole». Il gergo èstrafottente, ma sta anche asignificare che in questomomento i fascisti non hannoavversari in grado di tenerli abada, sia sul campo che sullastampa. Il giornale dei sociali-sti, “Germinal”, ha chiuso ibattenti in luglio; quello deicomunisti, “La lotta di classe”,non ha più corrispondenze daRiccione; quello dei repubbli-cani, “La Riscossa”, continuaa dare addosso ai socialisti;infine quello dei popolari,“L’Ausa”, che per linea edito-riale evita le «controversie di

borgata», ma quando le prendein considerazione, picchiaduro solo sui “rossi”.Nonostante il rullo compres-sore delle forze fasciste, qual-che sacca di resistenza “bol-scevica” resta. «Rimane unasparuta cricca di lestofanti –scrive “La penna” –, chehanno il loro regno a SanLorenzino, la quale tenta nel-l’ombra di inscenare azioniindividuali di sorpresa. Atempo debito sapremo snidarequesti vermiciattoli che stri-sciano fra i pruni del bosco e licolpiremo senza pietà». Adinsistere perché l’azione deiriccionesi sia più risoluta neiconfronti dei “sovversivi”sono i “camerati” di Rimini, i

quali attraverso il loro periodi-co invitano le camicie neredella vicina “borgata” «a noncullarsi troppo negli sbandie-ramenti e nelle sfilate», ma adarsi da fare «instancabilmen-te» a «pulire e a disinfettarel’ambiente», al fine di «forma-re la nuova coscienza riccione-se». Riccione, per i “malate-stiani”, è ancora l’antica“perla rossa”. «Non facciamo-ci illusioni che gli avversarisiano morti – ammoniscono –,noi sappiamo che essi non dis-armano»(6).E dopo le parole i fatti. I primidi settembre in seguito ad unalterco avvenuto fra due fasci-sti, i fratelli Zanni, e l’anarchi-co Conti, scoppiano “strani” eimmediati incidenti: la sera èincendiata la fabbrica di mobi-li dei Villa e nel contempo«alcuni ignoti» penetranonella tabaccheria di ColinoCasali(7). Le indagini su questedue “spedizioni punitive” por-tano all’arresto di sette fascistie tra questi i fratelli Zanni, ilconte Guarini, accusato «diistigazione all’incendio», epersino «due signore bologne-si». La combriccola dopoqualche giorno di detenzione,al termine di una sommariaistruttoria, esce dal carcere edè accolta dagli amici con tuttigli onori. Gli “incidenti” ric-cionesi danno adito ad unafuriosa polemica nei confrontidel sottoprefetto, responsabilecon la sua azione poliziesca diaver gettato «fango e scredito»sul fascismo. «Gli incendi e idanneggiamenti operati dasconosciuti – scrive “Lapenna” – non autorizzano apronunciare condanne moralicontro il fascismo e contro isuoi uomini che si ispirano apurissime finalità. Se vera-mente taluno ha ecceduto, setaluno ha dimenticato dei

LUGLIO-AGOSTO 2012

TRA CRONACA E STORIA

NOVECENTO RICCIONESE / LA CALDA ESTATE DEL 1922

«PER I MASCHI OLIO DI RICINO E PER LE FEMMINE NERO FUMO»Manlio Masini

A

A R I M I N V M /22.

«La sede dei fascisti continua ad essere il Kursaal

ed è da qui che il “segretario politico”

del fascio Guarini impartisce disposizioni

ai “camerati”. Ad affiancarlo, nel “direttorio”,

oltre ad alcuni villeggianti di “rango”,

troviamo i tre figli di Felice Pullè,

in questo momento commissario del costituendo

comune: Galeazzo, Federico e Frangiotto

di appena diciotto anni.

Assidui frequentatori di questo “covo”

anche Nello Leardini, Aristodemo Papini,

Carlo Piccioni e Giordano Bruno Galavotti»

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doveri e dei postulati moralidel fascismo, l’opera dei sin-goli non infirma la purezzadella battaglia e non deve faredimenticare l’opera insanadisastrosa e talora criminosache su vasta scala il sovversi-vismo ha negli ultimi suoianni di vita, compiuto».Insomma, pur mantenendo ledistanze dai responsabili degli«incendi» e dei «danneggia-menti», una certa compiacen-za verso il loro operato ilfoglio fascista la esprime,tanto più che aggiunge: «tuttoquanto è avvenuto non ci dis-piace, poiché valorizza inpieno l’azione fascista che quiin Riccione, ambiente pertroppo tempo infettato dallaluce bolscevica, ha una largazona da bonificare. Ci dispiacesolo che funzionari di poliziao ufficiali dell’esercito si sianoprestati a fiancheggiare i cona-ti di resistenza degli elementisovversivi espressi in falsedenunce, in persecuzioni e indeformazioni della verità»(8).

Dopo le fiamme, il fumo. Il 13settembre la signora Villa,«affetta da malattia bolscevicaalla lingua», viene «pennellataal negrofumo». Il gesto, igno-bile oltre che volgare, rientranella terapia intensiva deglisquadristi, i quali per ripulirel’area dai “rossi” adottano uncriterio: «per i maschi olio diricino e per le femmine nerofumo»(9).

TRA CRONACA E STORIA

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .23

Note1) Cfr. Manlio Masini, Dall’Internazionale a Giovinezza. Riccione 1919-1929. Gli anni della svolta, Panozzo Editore, 2009; pp. 122-126.2) “La penna fascista”, 4 settembre 1922.3) Ibidem.4) Non risulta che Guarini sia stato eletto segretario. Pensiamo che tale cari-ca gli sia stata attribuita per “merito”, dovuto alle sue frequentazioni bolo-gnesi.5) Cfr. “La penna fascista”, 4 settembre 1922.6) Ibidem. Sono i fascisti riminesi ad indicare gli “obiettivi” da colpire: «ARiccione ha il suo domicilio ancora un consigliere provinciale che gironzolain ferrovia e non pensa punto a dimettersi» (il riferimento è a Silvio Mancini).E poi: «A Riccione si contano ancora certe canzonacce che rivoltano lo sto-maco». Anche questa notizia è una chiara sollecitazione ad intervenire.7) Ibidem.8) “La penna fascista”, 25 settembre 1922.9) “La penna fascista”, 17 settembre 1922. L’articolo, qui riprodotto, è trattodal mio libro Dall’Internazionale a Giovinezza. Riccione 1919-1929. Gli annidella svolta, uscito nel 2009 per i tipi della Panozzo Editore.

«I primi di settembre

scoppiano “strani”

e immediati incidenti:

la sera è incendiata

la fabbrica di mobili

dei Villa

e nel contempo

“alcuni ignoti”

penetrano

nella tabaccheria

di Colino Casali.

A metà settembre 1922 il fascio riccionese, formato interamenteda indigeni di provata fede, elegge il suo primo “direttorio” cheporta alla segreteria politica Galeazzo Pullè. La nuova dirigenzapromette di imprimere al movimento «maggior impulso» e nellostesso tempo di disciplinare le domande di ammissione al fasciocon una rigida selezione dei richiedenti. «Se si tenessero aperteporte e finestre potremmo contare sin d’ora qualche centinaio diiscritti», afferma con tono baldanzoso Pullè(1).Con l’approssimarsi dell’autunno l’adesione dei lavoratori alleorganizzazioni sindacali fasciste, coordinate dal legionarioRenato Donini, è massiccia(2). Anche in questo settore la cautela aconcedere la tessera è d’obbligo: «A Riccione – afferma Donini– vi è una folla di fuorusciti che si dice fascista, ma la nuova fedeè tendenziosa»(3). Sul finire di settembre vengono attivati i sinda-cati dei marinai, muratori, facchini, carrettieri e contadini(4).Il 24 settembre il fascio di Riccione inaugura il suo gagliardettocon una spettacolare manifestazione al Kursaal, addobbato perl’occasione con una miriade di bandiere nazionali. La sala è gre-mita. Folla anche fuori dove il via-vai di camicie nere è così fittoda ingombrare buona parte del viale Ceccarini. Sono presenti allacerimonia squadristi marchigiani, romagnoli e del circondario.Tra le squadre d’azione spicca l’“Amarissima” comandata daFederico Pullè e composta da un manipolo di giovani camicienere riccionesi. Cerimonieri dell’evento il federale GiuseppeRicci, il segretario del fascio Galeazzo Pullè e il conte LuigiGuarini, giunto dalla “sua” Bologna nelle vesti di tenente colon-nello. Seduto in prima fila il comitato di signore che ha offerto il

piccolo vessillo del fascio riccionese. La solenne “funzione”patriottica viene descritta da “La penna” con molta sobrietà: «Lacerimonia riuscì composta e significativa... Nessun incidente egrande entusiasmo. I bolscevichi nostrani sono annichiliti»(5).Quest’ultima frase evidenzia lo stato d’animo dei “rossi”, anzidei “sovversivi”. Sì, perché in questo momento o si è fascisti o siè “sovversivi”; con questo termine si bollano tutti coloro chedalla fine della guerra all’estate del 1922 hanno agito, più chealtro a parole, per instaurare in Italia una repubblica di stamposovietico. Dietro a questo vocabolo esplode un nuovo “gioco disocietà”: la «caccia al sovversivo». Le armi usate per queste “bat-tute” sono il manganello e l’olio di ricino. Il “gioco” non è cosìfacile come può sembrare: socialisti e comunisti sono svaniti nelnulla. Quando, però, se ne scova qualcuno “la purga” fa il suoeffetto. La stampa fascista del riminese gongola nel riferire pun-tualmente le azioni delle camicie nere che «con passo militare»vanno a scuotere con delle sonore legnate «qualche testa bolsce-vica troppo dura e recalcitrante»(6). A onore del vero dobbiamodire che in questa nostra indagine, tra i protagonisti delle azioni“punitive” o di “disturbo”, così platealmente sbandierate daigiornali, non abbiamo mai incrociato i fascisti riccionesi. E que-sto per correttezza di cronaca. (M.M.)

IL PRIMO “DIRETTORIO” DEL FASCIO

Note1) “La penna fascista”, 23 ottobre 1922.2) Cfr. “La penna fascista”, 25 settembre 1922.3) “La penna fascista”, 23 ottobre 1922.4) Ibidem.5) “La penna fascista”, 9 ottobre 1922.6) “La penna fascista”, 11 settembre 1922.

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a prima aggregazione fascistafemminile a Rimini sorge nel

1921(1), con lo scopo di aiutare (mate-rialmente e moralmente) il Fascio diCombattimento: le fasciste non hannosede e si riuniscono a casa della fon-datrice, Maria Fernanda Guazzetti inRizzi (sorella del legionario fiumanoed eroe dei cieli Federico e consorte diLeone Rizzi, oltre che una delle piùavvenenti bellezze della Rimini anni‘20). Solo l’anno successivo avvienela costituzione formale del Fasciofemminile riminese. Ne sono l’anima, oltre alla ricordataMaria Fernanda Rizzi (primaSegretaria politica del movimento), lesorelle Tosi (Antonia, Maria e Rosa),Iole Lazzari, la contessa forlivese IldaGuarini in Fowst (consorte diRomolo), Gilda Lancia, MiminaCenci, Gabriella Aliberti, la marchesaMaria Castellani e Cesira Sapignoli. La loro prima apparizioneufficiale avviene il 31 ottobre dello stesso anno, giorno in cui lasalma di Mario Zaccheroni, avvolta nella bandiera della patria,viene esposta in un locale al piano terra della sede del Fascio, tra-sformato in camera ardente; in quella tragica occasione, anche lesignore e signorine del Fascio femminile dividono coi “compa-gni” fascisti l’oradi guardia al fere-tro. L’indomani, aifunerali, fra len u m e r o s i s s i m ecorone svetta quel-la con la scritta«Fascio femmini-le» e nel corteofunebre le fasciste,guidate da MariaFernanda Rizzi,sono in rigorosacamicia e divisanera. Il Fascio femmini-le, con sempre piùnumerose adesio-ni, comincia adessere ormai unarealtà nuova delpanorama socialee politico rimine-se. Il 19 novembre1922 sono propriole fasciste riminesi

Maria Fernanda Rizzi, OrsolinaInnesto, Rosina Tosi, Gilda Lancia,Mimina Cenci, Ilda Fowst e GabriellaAliberti, erette madrine ad hoc, a con-segnare, i gagliardetti del Fascio, deiferrovieri e delle avanguardie, nonchéle fiamme, alle squadre Bosi, Platania,Montanari, Zaccheroni. Il 23 gennaio 1923 le elezioni genera-li per la nomina della nuovaSegretaria e del Direttorio danno iseguenti risultati: segretaria MariaFernanda Rizzi, vice segretariaGabriella Aliberti; Direttorio: TeresaRuggeri vedova Bosi, AntoniaPlatania (madre del martire Luigi e diGiuffrida), Cesira Sapignoli, IoleLazzari, marchesa Maria Castellani. Il 18 febbraio, in occasione del primoanniversario della fondazione delP.N.F. riminese, viene consegnata altenente Morelli, primo segretario poli-

tico del Fascio riminese, una preziosa pergamena ricordo sotto-scritta nominativamente dai “Fedelissimi”, fra cui anche le fasci-ste riminesi al gran completo. Sono proprio le fasciste riminesi,sempre più numerose e rappresentative, a concorrere, con un lorocomitato organizzatore, alla perfetta riuscita del primo “Veglionedel Tricolore” previsto per l’8 marzo 1923 al Politeama

Riminese: comi-tato femminileche si affianca adanalogo comitatomaschile deifascisti riminesi(2). Un articolo appar-so su “La PennaFascista” il 24febbraio suona davera calamita; ilveglione vieneinfatti così pro-spettato dallefasciste, evidente-mente accattivate-si qualche com-piacente redattoredella testata:«Diremo subitoche il veglionesarà fatto perinviti e che saràcurata una severavigilanza sullemaschere delle

TRA CRONACA E STORIA

ANNI VENTI / I PRIMI PASSI DEL FASCIO FEMMINILE

IL VEGLIONE DEL TRICOLOREAlessandro Catrani

L

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /24.

Rimini, 8 marzo 1923 (Politeama Riminese): “Veglione del Tricolore”, organizzato dal Fascio femminile. Da sinistra gli inseparabili Cimbro Mandolesi, Aldo Catrani (l’unico in camicia azzurra da nazionalista), Alberto Savini, Cristoforo Nicolini,Mario Montebelli ed Ermete Valisi. In alto c’è Antero Ario Farneti: è il secondo partendo dasinistra, con il volto di profilo e la mano di un amico sulla spalla destra. Al centro, con le mani in tasca, in prossimità della colonna, elegantissimo troviamo Gianluigi Pugliesi (Gigi), fratello minore dei celebri Cosimo Maria e Lodovico.

Sopra. Maria Fernanda Guazzetti in Rizzi fondatrice, nel 1921, del Fascio femminile riminese.

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TRA CRONACA E STORIA

quali saranno inesorabilmente rimandatequelle non conosciute per serietà e decoro.Saranno dunque ammesse le maschere chepotranno liberamente gettare stelle filanti ecoriandoli durante le danze che verrannoservite da un’orchestra impareggiabile. Ilcomitato ha stabilito la elezione della“Regina del Tricolore” e di due Damigelle.Ogni intervenuto all’ingresso riceverà unascheda di votazione che, una volta riempita,depositerà in apposita urna. Un segreto spoglio di un’appositaCommissione stabilirà i nomi delle elette, le quali con le decora-zioni riceveranno l’omaggio gentile degli elettori ai quali rende-ranno inevitabili sorrisi di riconoscimento. Il “Veglione delTricolore” avrà il suo banchetto con uno scelto menù. Apposititavoli saranno installati tutti intorno nella Galleria delPoliteama in un mare di festoni, di fiori, di tricolori, e di lucimentre in platea continueranno i suoni e le danze. Il “Veglionedel Tricolore” dovrà riuscire una festa magnificamente gentile edi grazia, una serata cordialissima e simpatica che dovrà resta-re, nella memoria degli intervenuti, per lungo tempo. Ed infatti ilcomitato femminile inizierà la festa con un atto di squisita genti-lezza. Ogni intervenuto riceverà, dalle mani delle simpatichedonatrici, un modesto, ma grazioso dono su cui abbiamo il dove-re di tacere. Rimini tutta aderirà al veglione che formerà un cen-simento di buoni cittadini. Non potremmo né sapremmo comun-que giustificare assenze che riuscirebbero assolutamente antipa-tiche e deplorevoli. Il sesso gentilegodrà di un particolare riguardo delnostro cronista che a titolo di onoreriporterà sulle colonne della “Penna”,ottomila copie di tiratura, il nome ditutte le intervenute. Sarà disposto largoservizio di vetture e tram affinché ognicittadino possa liberamente intervenireal “Veglione del Tricolore” che nellamente degli organizzatori vuol essere ilprimo della serie tradizionale deiveglioni tricolori. Siano tutti presenti,concorrano tutti con slancio a formareuna nuova tradizione cittadina, una tra-dizione gentile e simpatica di armonia edi pace». Ebbene, riesce un veglione memorabile,nonostante la pioggia, grazie proprioalla capillare distribuzione degli invitiche le signore e signorine sono riuscitead attuare dopo la pubblicazione di talearticolo.

Questa la cronaca dell’evento: «Nonostanteche Giove pluvio avesse riservato tutte le sueire per la sera di Giovedì, il veglione è mera-vigliosamente riuscito. I palchi addobbati etrasformati, per l’occasione, in una serra difiori, erano degno asilo alle belle signore esignorine che vi erano impegnate in un getti-to così copioso di coriandoli e di dolciumi,da dare un’esatta visione di quella chepotrebbe esser domani, nel campo della real-tà, una battaglia… di donne. Sulla Reginettadella festa, Giuseppina Beltramini, e sulledamigelle d’onore, Maria Tosi e NellaMancini, non aggiungiamo nulla al voto deifestanti, anche per non distrarle da quelli chesono o saranno i rispettivi Re». E ancora: «In seguito ai conti di cassa, abbia-mo constatato che la maggior parte delnumero dei biglietti della nostra veglia dan-zante è stato esitato dal Fascio femminile cheancora una volta ci ha fiancheggiato, nonsolo con la solidarietà, ma anche col suo spi-

rito di iniziativa. Alla solerte segretaria, signora FernandaMaria Rizzi, che è un’organizzatrice instancabile, e a tutte leFasciste che l’hanno coadiuvata, il nostro ringraziamento piùgrato». Circa un mese dopo, il 17 aprile 1923, i fascisti di Rimini, rap-presentati da Leone Rizzi e Averardo Marchetti del Direttorio eda Augusto Vernocchi, si recano a Predappio per regalare aDonna Rachele una composizione floreale come omaggio diRimini fascista. Ad accompagnarli ci sono le donne fasciste rap-presentate da Maria Fernanda Rizzi e da Antonia Platania.

Le cronache raccontano che Donna Rachele gradì molto l’omag-gio, gli auguri e l’espressione della conferma di «assoluta fedel-tà al Duce», specialmente perché offerti da un carismatico toccodi devozione femminile. Ed è così che accettò di buon gradoanche l’invito ad essere ospite a Rimini di un esclusivo banchet-to in suo onore offerto dal Fascio cittadino.

L’evento, sconosciuto alle cronache,avviene il 15 settembre al Palace Hotel.36 i selezionatissimi invitati, fra cuiAverardo Marchetti, Augusto Vincenzi esignora, Carlo Cherici, il sottoprefettoStefano Pirretti, il cavalier EmanueleProtani, il tenente Mario Morelli,Celestino Santarini, Valerio Lancia, l’av-vocato Cosimo Maria Pugliesi eGiovanni Briolini. Di ritorno da San Marino, la consorte delDuce giunge all’albergo dei fratelliMarchetti all’ora di cena, accompagnatadai piccoli Bruno e Vittorio: completanoil seguito 3 chauffeurs ed un milite diservizio. Del resto nulla sappiamo.Un’unica indiscrezione ci proviene dauno sfizioso documento che attesta ine-quivocabilmente la spesa per lo champa-

gne consumato: ben 180 lire(3)!In vino veritas? Probabilmente sì...

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .25

Note:1) Notizia desunta da diversi documenti inediti custoditinell’archivio dell’Autore. Contra, nel senso che il Fasciofemminile sarebbe sorto nel 1923, ma senza indicazionedi fonti e di riscontri, L. Faenza, Il fascismo, in Storiaillustrata di Rimini, Milano, 1990, vol. II, p. 376. 2) Su “La Tutela Commerciale” (mensile diretto daGuerrino Pasquini) del 7 marzo 1923 l’evento mondanoveniva così presentato: «8 Marzo. Veglione Tricolore alPoliteama. Dato il numero dei biglietti d’invito distri-buiti è da ritenersi che riesca una festa importante ecaratteristica come mai fu data a Rimini». 3) Cfr. il documento inedito custodito nell’archiviodell’Autore e, sempre nel medesimo archivio, il diariodel generale Ferrucci sub 15 settembre 1923. Da altrodocumento inedito (sempre dall’archivio dell’Autore)apprendiamo che il pomeriggio, prima del banchetto alPalace Hotel, vi era stata una merenda alla Casa delFascio, sempre con donna Rachele appena giunta da SanMarino, dove furono consumati: 4 bottiglie di champa-gne brut Cinzano; 1 kg. e 300 gr. di Petits Fours; 25paste da 0,40 gr.; 20 paste da 0,50 gr.; 350 biscotti Kri-Kri; 300 gr. di biscotti Frou-Frou; 12 bibite e 6 tè. Il tuttofornito dalla Pasticceria Fratelli Vecchi di piazza Cavour.

Rimini, domenica 19 novembre 1922 (piazza Cavour): la manifestazione per la consegna dei gagliardetti e

delle fiamme fasciste di squadra. La foto ritraeun gruppo di fasciste e di fascisti sotto il portico del Comune. Si riconoscono:

all’estrema destra, sorridente, Valerio Lanciae, alla sua destra, col fazzoletto nel taschino

della giacca, Giuseppe (Beppe) Massani; a sinistra la ragazza sotto i fiori è Orsolina

Innesto; al centro esatto della foto sotto la bandiera, con il basco nero,

Maria Fernanda Rizzi.

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1893 / Festa di S. Antonio Abbate«Alla Viserba, villaggio presso la città, domenica u.s. si è cele-brata la festa di Sant’Antonio Abbate. In tutta la settimana pre-cedente l’egregio Sig. Don Agostino Balducci, Arcip. di MonteColombo ha dato con zelo singolare, come sempre, i SS. spiri-tuali esercizi a consolazione e profitto grande del popolo accor-so in folla dalle vicine parrocchie».La Sveglia della Romagna, 21 gennaio 1893.

1893 / Festa della B. V. del Rosario«Alla Viserba, villaggio a quattro chilometri dalla città, si è cele-brata dom. u.s. la festa della B. V. del Rosario. Oltre laComunione Generale, vi furono la Messa, le Litanie e il Tantumergo in musica, lo sparo dei mortaretti, la solenne processioneseguita dal concerto di S. Mauro, diretto dal bravo M° Sig.Secondo Domenichelli di Pergola; inoltre due doti a vantaggiodei Confratelli della Compagnia; da ultimo i fuochi artificiali diFederico Foschi, e l’illuminazione con palloncini a vari colori diLodovico Contessi, entrambi riminesi».La Sveglia della Romagna, 12 agosto 1893.

1902 / Caccia ai francobolli«Un assiduo ci scrive dalla Viserba osservando che sarebbe beneanzi necessario che nell’ufficio postale si stabilisse un orariomagari di mezz’ora e che la posta fosse sempre provvista di fran-cobolli, perché succede di dover aspettare lunghe ore il postino edi dover riportare a casa le lettere non trovando i francobolli nénello spaccio, né nella posta. Il reclamo è giusto».L’Ausa, 9 agosto 1902.

1907 / In attesa del frigorifero«Da Viserba. Il Sig. Sante Polazzi costruì nello scorso invernouna ghiacciaia per la conservazione di generi alimentari e colprimo luglio sarà aperta al servizio del pubblico».Gazzettino Verde, 23 giugno 1907.

1910 / Paura del morbillo?«A Viserba si domanda l’apertura delle scuole. - Molti padri emadri di famiglie domandano: Perché non si aprono ancora lescuole di Viserba vecchia e Nuova (Abissinia)? Si dice causa ilmorbillo. Quanti casi ci sono stati nel settembre e ottobre?Pochissimi. Quanti bambini morti? Nessuno! Allora? Non si vor-ranno mica aprire le scuole nel 1911? A chi di ragione. F. Elena,madre di famiglia».La Riscossa, 20 ottobre 1910.

1911 / L’atto eroico di un prete“Prete valoroso - Nel pomeriggio del 19 corrente, a Viserba, ilSacerdote Don Primo Bronzetti viserbese, ora cappellano aMigliaro di Ferrara, accortosi che la guardia di finanza CarliAntonio stava annegandosi, si gettava semivestito nell’acqua econ sforzi inauditi riusciva a trarlo a salvamento. Ci rallegriamocon il coraggioso prete e amico carissimo, tanto più che amiamoricordare questo suo atto di valore all’esperienza che del marefece con noi quando l’andare a scuola ci dava ancora il diritto ad

un po’ di vita da bagnanti nelle nostre vacanze».L’Ausa, 22 luglio 1911.

1911 / Non c’è crisi a Viserba“Viserba. La voce che corre della minore affluenza di forestieridegli anni antecedenti alle spiagge marine merita purtroppo dolo-rosa e non smentibile conferma. A ciò fa superlativa eccezione laridente Viserba che preziosa perla dell’Adriatico, in pochi anniha saputo fare miracoli ed ora s’avvia rapidamente a quella gran-dezza e prosperità cui aspira».L’Ausa, 29 luglio 1911.

1911 / Cittadino illustre«Fra i molti volenterosi che tanto si adoperano pel bene diViserba, merita speciale encomio l’Illustre Chimico EmilioUngania di Bologna proprietario di una splendida Villa da luiespressamente costrutta. Egli è il fortunato inventore di quel por-tentoso Specifico contro l’Anemia e Neurastenia, denominatoIschirol, che in pochi anni si è meritatamente acquistata una ripu-tazione mondiale. Già qui a tutti noto pel grandissimo bene fatto,ha già ricevuto anche attestati e sincere lettere di riconoscenza edi ringraziamento dall’Egregio Sig. Cav. Facchinetti Sindaco diRimini a nome dell’intero Municipio e che qui volentieri pubbli-chiamo:Ill.mo Sig. Emilio Ungania, Chimico Farmaceutico, Viserba.

VISERBA

DALLA STAMPA (1893-1915)

LA CRONACA IN PILLOLEa cura di Manlio Masini

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /26.

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VISERBA

Facendo seguito alla mia del 17 corr. N. 7004 e poiché mi risul-ta che Ella ha già disinteressatamente eseguito il proseguimentodella Litoranea dal Villino Augusta Maria a quello di proprietàZavattini, compio il grato dovere di ringraziarla a nome di questaRappresentanza Comunale ed esprimo l’augurio che l’esempiosuo possa essere di sprone ad altre utili iniziative nel supremointeresse delle nostre fiorenti marine. Aggradisca nell’incontroche io le confermi i sensi di tutta la mia stima. Rimini 21.7.1911.(firmato) Il Sindaco G. Facchinetti».L’Ausa, 29 luglio 1911.

1912 / La morte del conte«Viserba, 17 luglio. - Ieri l’altro il Conte Orazio Sagramoso,mentre stava prendendo un bagno malgrado il mare fosse agita-tissimo, fu da una violenta ondata portato al largo. I bagnini cheerano sulla spiaggia, visto il pericolo, si slanciarono nell’acqua edopo sforzi inauditi riuscirono a trarre alla riva il Conte.Furono subito fatti i tentativi per riattivare la respirazione, mapoco dopo il Conte Sagramoso cessava di vivere. Si crede chedurante il bagno l’infelice sia stato colpito da malore. La coloniabagnante è rimasta impressionantissima per questo fatto. Il pove-ro Conte era stato capitano nell’esercito ed attualmente aveva ilgrado di maggiore nella riserva. Ritiratosi a vita privata avevadedicato la sua attività alla riorganizzazione della Croce Rossa diVerona, della quale era da diversi anni vicepresidente».Il Momento, 18 luglio 1912.

1912 / Bruciati mobili per 17 mila lire«Da Viserba. Incendio. Domenica notte in questa ridente borgatasi è sviluppato un violentissimo incendio nella proprietà del sig.Alessio Magrini, negoziante di mobili. Chiamati d’urgenza i

pompieri di Rimini, questi, con la prontezza e l’abnegazione cheli distingue, accorsero subito sul posto. Le fiamme però avevanogià distrutto gran parte dei magazzini, cosicché l’opera dei pom-pieri è riuscita solamente a circoscrivere l’incendio. I danniammontano a circa L. 17.000. Il Magrini è assicurato. In questacome in altre occasioni si è lamentato che il servizio telefonicocessi alle 23, mentre sarebbe utilissimo che funzionasse tutta lanotte».Corriere Riminese, 14 agosto 1912.

1912 / I soliti teppisti«Viserba. - La scorsa settimana due teppisti, dai 15 ai 16 anni, enon del posto, fracassarono i due fanali municipali che illumina-vano la vicinanza della fossa. Denunciati all’arma dei carabinie-ri, questa ha creduto bene di non interessarsi della faccenda. Gliatti vandalici avvenuti quest’anno non si registrano; e il Comunepacificamente paga senza che le autorità provvedano alla puni-zione dei colpevoli».Il Momento, 19 settembre 1912

1913 / Risveglio ladresco«Viserba, 19 marzo. E’ doloroso, ma dobbiamo registrare unimpressionante risveglio ladresco. In pochi giorni sono stati raz-ziati molti pollai e asportati da una cantina parecchi ettolitri divino. E’ vivo desiderio in paese di avere una stazione di carabi-nieri».Il Momento, 20 marzo 1913

1913 / La colpa è delle maestre...«Da Viserba. - Si lamentano diverse manomissioni di fiori fattenei giardini dai bambini che vanno a scuola. Le maestre farannoopera buona e civile ad instillare nell’animo dei loro scolari ilrispetto della roba altrui e a richiamarli severamente».Il Momento, 29 maggio 1913

1913 / ...no, la colpa è delle famiglie«A proposito delle lagnanze contenute nello stelloncino di cro-naca Da Viserba del nostro n° 22, una insegnante ci scrive rile-vando che il rispetto dei campi, orti e giardini non dipende esclu-sivamente dalla buona scuola, ma anche e soprattutto dall’am-biente sociale dove crescono i giovanetti. Siamo d’accordo:osservando però che la scuola è il mezzo più diretto ed efficaceper combattere i difetti della cattiva educazione famigliare, sic-ché non sarà mai abbastanza raccomandata la continua, instanca-bile propaganda di civiltà per opera dei maestri e delle maestre, iquali del resto, rispondono pienamente a questo loro nobile uffi-cio».Il Momento, 5 giugno 1913.

1913 / Impellenti necessità«Viserba, 27. 5 - Rammentiamo ancora al Sig. Commissario lanecessità assoluta di dare almeno una guardia di P. U. stabile eche urge dotare la borgata di qualche orinatoio pubblico».Il Momento, 29 maggio 1913.

1913 / L’ennesima petizione«Viserba, 31 maggio. Pubblici servizi. - Sappiamo che unadomanda diretta al Commissario Prefettizio va coprendosi dinumerosissime firme per ottenere una guardia di PU permanen-te, la sistemazione della levatrice e la Delegazione Comunale».Il Momento, 5 giugno 1913.

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .31

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lle spalle dell’omo-nimo “tempietto”,

il santuario di Sant’An-tonio da Padova più notoai Riminesi come chiesadei “Paolotti” conservaal suo interno un interes-sante ciclo di affreschi,dovuti a più mani. L’edi-ficio ecclesiastico, rico-struito nel 1963 sullemacerie della precedentee più antica chiesaandata distrutta nei bom-bardamenti dellaseconda guerra mon-diale, fu infatti decoratoda affreschi di UmbertoMariani (“Il miracolodei pesci”, 1964) e diClaudio Mariani (“Ilmiracolo dell’eucare-stia”, 1964). Nel registrosuperiore si trova inveceuna “Crocifissione condolenti” affrescata sottola direzione dell’artistaferrarese Achille Funi(1890-1972), coadiu-vato, così come per lefigure nella cupola, daalcuni aiuti e allievi.Questa operazione arti-stica, probabilmente lapiù rilevante nell’imme-diato dopoguerra, nonha mai destato partico-lare entusiasmo e rico-noscimento, nonostantegli affreschi fosserodovuti a un “grande vec-chio” della pittura ita-liana, e si trovino al cen-tro della città, e in unodei luoghi di maggiore epiù fervente devozione.

Nato nel capoluogo ario-steo il 26 febbraio 1890,dopo i primi anni allascuola Dosso Dossi diFerrara, Achille Funi sitrasferì a Milano nel1906, iscrivendosiall’Accademia di Brera.Aderì con entusiasmo alFuturismo. “Tra il 1920 eil 1923 Funi modificòdecisamente il suo mododi dipingere: passò dallereminiscenze futuristeverso modi di nuova soli-dità plastica, in una fis-sità sintetica che traduceil nuovo intimismo inuna lucida trasposizionedei riferimenti al passatoin modi affini allamaniera della nuovaoggettività tedesca”(1). Inseguito fu tra i fondatorie promotori della cor-rente Novecento, e tra il1926 e il 1930 preseparte a tutte le più impor-tanti esposizioni: Bien-nale di Venezia (1926,1928) e II Mostra delNovecento italiano(1929). Durante ilperiodo fascista fu unodegli artisti di punta: lastessa Margherita Sar-fatti curava l’edizioneHoepli della sua mono-grafia del 1925, e inseguito si succedetterocommissioni di grandeimportanza, anche percicli di affreschi inpalazzi pubblici o eccle-siastici, come sarebbeavvenuto poi anche aRimini dopo la cadutadel regime. Dal dopo-guerra diresse l’Accade-mia di Brera a Milano.Francesco Tedeschi,nella voce Funi del

LUGLIO-AGOSTO 2012

ARTE

RITROVATA LA “BOZZA” DI UN AFFRESCO DELLA CHIESA DEI PAOLOTTI

IL CARTONE CON LE “DOLENTI” DI ACHILLE FUNIGiulio Zavatta

A

A R I M I N V M /32.

Achille Funi e collaboratori,

Crocifissione, Rimini, chiesa dei Paolotti.

Sopra: Piazza Tre Martiricon Tempietto e Chiesa

dei Paolotti.

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Dizionario Biograficodegli Italiani nota uncarattere del suo magi-stero che si ritroveràanche a Rimini, doveanzi gli allievi e i “gio-vani” vennero chiamati acollaborare: “In questianni fu molto attivo nel-l’ambito dell’istituzionescolastica, partecipandoa numerose commissionigiudicatrici di concorsi ededicandosi con pas-sione alla formazionedelle nuove generazioniartistiche; dimostrò sem-pre grande apertura neiconfronti delle direzioniartistiche prese dai suoiallievi, a volte moltodistanti dalle sue. Rea-lizzò inoltre molteimprese decorative,come quelle milanesiper l’atrio del teatroManzoni (1946), per laCasa Reise (1948), per lesedi del Banco di Roma(1951) e per la Bancagenerale dei crediti(1959); e quelle berga-masche, tra gli anni Qua-ranta e Cinquanta, per ilcinema S. Marco, per la

Banca popolare di Ber-gamo e per la sala consi-liare del Municipio.Numerose furono anchele commissioni ecclesia-stiche”. Se la sua opera rimineseabbia destato poco inte-resse per una sorta diveto culturale per il suopassato “aderente” alregime fascista, o perl’ampio impiego di colla-boratori, non è datosapere: certo è che questointeressante ciclo è difatto escluso da tutti gliitinerari artistici cittadini.Una breve citazione, invero, si trova nel recentevolume di Stefano DeCarolis, Learco Guerra eRosanna Menghi dedi-cato alla figura di San-t’Antonio “da Riminodetto”(2), dove è peraltropubblicata una bella foto-grafia del fondo LuigiPasquini della Gamba-lunga che ritrae l’artistasui ponteggi mentre assi-ste un allievo. Proprio per questa formadi collaborazione, che haforse finito per minarel’idea di autografia del-l’opera, assume granderilievo la comparsa sul

ARTE

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .33

«Lo splendido

cartone disegnato

da Achille Funi

è a grandezza reale.

L’opera

rappresenta

le due figure

femminili

di dolenti,

che nell’affresco

della chiesa dei

Paolotti si trovano

ai piedi del...

...Cristo crocifisso

nella parte sinistra.

Questa “bozza

preparatoria”,

in verità

estremamente finita,

consente

un confronto

tra l’idea

originale

e la sua

trasposizione

su muro»

«Achille Funi (1890-1972),

di Ferrara, aderì con entusiasmo

al Futurismo e in seguito

fu tra i fondatori

e promotori della corrente Novecento.

Nel dopoguerra

diresse l’Accademia di Brera a Milano.

Realizzò molte imprese decorative

ed ebbe numerose commissioni ecclesiastiche»

Achille Funi, Due dolenti, cartone preparatorio,

ubicazione sconosciuta.

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mercato in tempi recenti, mapurtroppo per breve periodo,di uno splendido cartone pre-paratorio a grandezza reale,disegnato da Funi e passatopoi al “cantiere” gestito dagliallievi sotto sua sorveglianza.Si tratta di una grande opera(cm 275x160, tempera e car-boncino su vari fogli dicarta), ora in ubicazione sco-nosciuta, ma della quale si èpotuta recuperare almenoun’immagine fotografica.Rappresenta, con colori vivi-di e segno marcato, le duefigure femminili di dolenti,che nell’affresco si trovano aipiedi del Cristo crocifissonella parte sinistra. Questanotevole bozza preparatoria,in verità estremamente finita,consente dunque un confron-to – per la prima volta – tral’idea originale e la sua tra-sposizione su muro. I coloridell’affresco, oggi natural-mente più opachi e con qual-che ossidazione, dovevanoessere vivaci e decisi come ineffetti sono, mentre le lineeappaiono letteralmente calca-te, secondo l’usanza antica dipassaggio da cartone a muro.Si tratta di una tecnica che –

al pari della poetica di Funi –guarda ai grandi maestri del-l’affresco, a un’arte senzatempo dove il disegno e il car-tone costituivano la primaidea, il progetto, gli strumentidel mestiere pittorico. Il dise-gno preparatorio, naturalmen-te autografo, è importanteanche perché presuppone l’e-sistenza di ulteriori grandicartoni del Cristo crocifisso edegli altri gruppi di figure,attualmente non noti; opereche ci si augura possano“riemergere” e – perché no? –essere intercettate da qualchebenemerito ente che le riportiin città, riconsegnandocisignificativi frammenti dellanostra storia pittorica delNovecento.

LUGLIO-AGOSTO 2012

ARTE

A R I M I N V M /34.

Achille Funi e collaboratori,Due dolenti, Rimini,chiesa dei Paolotti.

Sotto: Achille Funi sul cantieredegli affreschi dei Paolotti,

da “Sant’Antonio ‘da Rimino detto’”,

Guaraldi, 2010.

A lato: La vecchia Chiesa dei Paolotti.

Note1) F. Tedeschi, Funi, VirgilioSocrate (Achille), in DBI, vol. 50,1998, ad vocem2) S. De Carolis, L. Guerra, R.Menghi, Sant’Antonio “daRimino detto”, Rimini, Guaraldi,2010, pp. 52-56

«…Si tratta

di una tecnica

che – al pari

della poetica

di Funi – guarda

ai grandi maestri

dell’affresco,

a un’arte...

...senza tempo

dove il disegno

e il cartone

costituivano

la prima idea,

il progetto,

gli strumenti

del mestiere pittorico»

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ulla parete destra dell’absidedella chiesa di S. Agostino si

ammira un affresco del Trecentodove è raffigurato un episodio dellavita di S. Giovanni Evangelista che,sbarcato sull’isola di Efeso col suoseguito, compie il miracolo dellaresurrezione di Drusiana. Fra la follache si accalca intorno al catalettomanifestando sorpresa e gioia, si notaun gruppo di personaggi nei quali siriconoscono Dante, voltato di profiloa destra, che indossa una lunga vestecolor olivo, Petrarca col volto di trequarti a sinistra, Pandolfo e CarloMalatesta. Sotto le braccia alzatedella stessa Drusiana si può osserva-re anche un’altra persona dall’aspettoflorido che porta gli occhiali, nell’at-to di trasportare Drusiana al sepolcro:si tratta di una delle testimonianzepiù antiche degli occhiali in un dipin-to.La storia dell’invenzione degliocchiali affonda le sue origininell’Italia del ‘300, non si sa se inToscana o nel Veneto. Si ipotizza lafigura del pisano Alessandro dellaSpina che viene nominato in una cro-naca del convento domenicano di S.Caterina in Pisa: …Frate Alessandrodella Spina, il quale sapeva rifarequel che vedeva fatto. Egli costruì elietamente e volontariamente comu-nicò a tutti, gli occhiali (ocularia)che altri per primo aveva fatto. Inuna predica pronunciata nel febbraiodel 1306 presso la chiesa di SantaMaria Novella in Firenze, il frateGiordano di Rivalto si espresse così…non è ancora venti anni che sitrovò l’arte di fare gli occhiali, chefanno vedere ben; ch’è una dellemigliori arti, e delle più necessarieche ‘l mondo abbia, ed è così pocoche si trovò: arte novella che mai nonfu. E aggiunse …Il vidi colui che

prima la trovò, e favellaigli. Le ulti-me parole si riferiscono forse allostesso Alessandro della Spina, chepertanto avrebbe reinventato gliocchiali verso il 1287.C’è ancora chi rivendicò l’onoredella scoperta a qualche ignotovetraio del Duecento venuto daVenezia a esercitare la sua professio-ne in segreto. Che la regione venetasia stata la culla dell’occhialeria puòprovarsi con l’affermazione che lapiù antica rappresentazione pittoricadegli occhiali sia il ritratto del cardi-nale domenicano Ugo di Saint CherProvenza con gli occhiali a stringi-naso. Il ritratto, dipinto da Tommasoda Modena nel 1352, si trova nellaSala del Capitolo del conventodomenicano di San Nicolò aTreviso. Non è noto se il pittoredipinse gli occhiali perché era certoche Hugues de Saint-Cher, un seco-lo prima, li portava, oppure sempli-cemente perché lo immaginava.Fatto sta che in questo ritratto gliocchiali vengono per la prima voltaraffigurati e riprodotti nei minimiparticolari, compreso il perno che litiene sul naso e che permette dirichiuderli.Molti sostengono che i “dischi pergli occhi”, come furono chiamati iprimi esemplari, siano stati inventatia Venezia, all’apice della sua poten-za e con la tecnologia della lavora-zione del vetro già molto sviluppatae che siano apparsi a Firenze ed aPisa per opera di qualche sconosciu-to e ignoto soffiatore del vetro.Allora solo i soffiatori di vetro diVenezia erano capaci di produrrevetro bianco. Dalle officine del vetro della cele-berrima isola veneziana di Muranovennero anche le prime lenti molate,inizialmente pensate per un soloocchio. Verso la fine dello stessosecolo a qualcuno venne l’idea diinserire due pezzi di vetro molato inun telaio di legno o corno e di creareuno strumento unico. Data la loroforma i dischi di vetro vennero inseguito chiamati «lenti» proprio per

ARTE

TRA GLI AFFRESCHI DELLA CHIESA DI S. AGOSTINO

IL MONACO CON GLI OCCHIALIArnaldo Pedrazzi

S

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /36.

Parete laterale destra dell’abside. A sinistra, sotto la lunetta, è raffigurato

l’episodio della resurrezione di Drusiana.

Sopra: interno della chiesa di S. Giovanni Evangelista, più cono-

sciuta come S. Agostino (2012).

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ARTE

la somiglianza con i piccoli semibiconvessi della pianta della lentic-chia. I primi erano costituiti da due lentiunite insieme che venivano tenutevicine agli occhi con le mani e quin-di non si portavano in modo conti-nuativo. In seguito si ebbe un miglio-ramento quando vennero unite da unamolla che dava la possibilità di tene-re gli occhiali sul naso. Occorreràaspettare però sino al 1727 perchévenga realizzato il primo paio diocchiali con stanghette e sino al 1850circa, quando assunsero l’aspetto chehanno oggi.Inizialmente erano venduti dagli arti-giani nelle loro botteghe e per acqui-starne un paio serviva semplicementeun po’ di tempo e di pazienza per tro-vare la giusta correzione provando eriprovando i vari modelli diversa-

mente graduati; questa consuetudinesi protrasse a lungo nel tempo. Piùsfortunati dei presbiti, i miopi dovet-tero aspettare sino al quindicesimosecolo perché il loro difetto venisserisolto con l’introduzione delle lenticoncave.Ritornando all’affresco di S.Agostino, datato tra il 1345 e il 1350,se le date sono esatte, questa testi-monianza iconografica degli occhia-li precede nel tempo quella diTreviso, e pertanto questa sarebbe laraffigurazione più antica che si cono-sca. Altra singolarità è che qui ne èdocumentato l’uso nelle circostanzeconsuete della vita quotidiana, men-tre gli altri ritratti mostrano personeassociate a momenti di studio.Se l’invenzione della stampa, comescrisse nell’800 Didot, che provenivada una dinastia di stampatori, editorie tipografi francesi, …ha separato ilmondo moderno da quello antico,aprendo un nuovo orizzonte al genioumano, l’avvento degli occhiali hapermesso che tutti potessero osserva-re questo orizzonte: da vicino e dalontano.

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .37

«In un affresco della chiesa

di S. Agostino compare

una persona dall’aspetto

florido che porta gli occhiali

intenta a trasportare

Drusiana al sepolcro:

si tratta di una delle

testimonianze più antiche

degli occhiali in un dipinto»

Particolare del trasporto del cataletto.

Il monaco con gli occhiali.

«Molti sostengono

che i “dischi per gli occhi”,

come furono

chiamati i primi esemplari,

siano stati inventati

a Venezia, all’apice della sua

potenza e con la tecnologia

della lavorazione del vetro già

molto sviluppata»

Treviso, convento di San Nicolò.Il ritratto del cardinale Ugo d

i Saint Cher Provenza, con gli occhialia stringinaso (Tommaso

da Modena 1352).

Sopra: l’abside della chiesa di S. Agostino.

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n evento culturale hapreso forma a Rimini

come mostra d’arte al Palazzodel Podestà nello scorso mesedi maggio col titolo L’Arteincontra il Parkinson.Un’insolita manifestazioned’arte come progetto dell’AIP(Associazione ItalianaParkinsoniani) riminese soste-nuto dal Comune e dall’ASLdella nostra città per sensibi-lizzare il problema di questapatologia nella cittadinanzaanche per il finanziamento disostegno alle numerose terapietramite una prevista venditaall’asta di opere degli artistipartecipanti.Nella mostra aperta il 5 mag-gio erano presenti otto artisticon un discreto numero didipinti e sculture: EnzoBerardi, maestro del nudofemminile, con un disegnoforte e sintetico di immaginicalde, indefinite di pura poesiafemminile; Maria PiaCampagna, artista ricettiva alfascino dei miti che traducecon colori fortissimi di pig-menti e installazioni ove ilsimbolo si fa scenografia;Rossano Guerra vive e lavoranella Valconca ricca di lumi-nosi paesaggi che lui sa farrivivere in opere informali ric-che di spazi cromatici; diUmberto Lunedei cogliamol’alta varietà formale pittoricae scultorea, i fantasiosi assem-blaggi di materie multiformi,il gusto innato di darle un’ani-

ma; Agostino Marchetti,appassionato scultore di atmo-sfere arcaiche, sensibile aimiti mediterranei che plasma

coi gres, che fa convivere este-ticamente una forma modernae uno spirito antico; StefanoMina atmosferizza poetica-

mente il vago, l’indefinitonaturale, le sensazioni eimpressioni più inerte con gliacrilici; Franco Pozzi è un cer-tosino del fare artistico, unaespressività silenziosa e legge-ra, intuizioni alchemiche difigure mutuate dalla storia del-l’arte; Fabio Rossi, una foto-grafia attualissima della nostracittà, ma in chiave giornalisti-ca e avvenirista.L’evento è stato presentato dalresponsabile Provincialedell’AIP Antonio Sapenza,dall’Assessore alla CulturaMassimo Pulini e dal presi-dente nazionale dell’AIPGianni Pezzoli. Il catalogo èstato curato da ErmesVenturini.

ARTE

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .39

COLLETTIVA AL PALAZZO DEL PODESTÀ

L’ARTE INCONTRA IL PARKINSONIvo Gigli

U

Dall’alto in senso orario. Enzo Berardi, nudo.

Agostino Marchetti, Guerriero.Rossano Guerra, Orizzonte.

Ariminum è distribuito gratuitamente nelle edicole della Provincia di Rimini abbi-nato al quotidiano “La Voce di Romagna”. È spedito ad un ampio ventaglio di cate-gorie di professionisti ed è consegnato direttamente agli esercizi commerciali diRimini. Inoltre è reperibile presso il Museo della Città di Rimini (Via Tonini) e laLibreria Luisé (Corso d’Augusto, antico Palazzo Ferrari, ora Carli). La rivista puòessere consultata e scaricata in formato Pdf gratuitamente dal sito del Rotary ClubRimini all’indirizzo www.rotaryrimini.org

DOVE TROVARE E PRENOTARE GRATUITAMENTE ARIMINUM

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Luigi Tonini, che cita loStatuto di Rimini, dobbia-

mo una circoscrizione dei“burgi e subburgi“ di Marina edel porto: una prima area siestendeva “a porta Galliana,nec non a porta Sancti Cataldiusqueadlittusmaris inclusive”[da porta Galliana e da portaSan Cataldo fino alla riva delmare inclusa](1). La descrizionedello statuto parte dalla lineadelle mura verso mare delDuecento, con due delle treporte esistenti due secoli dopo.Queste erano: la porta Galiana,dal XV secolo detta PortaSalara, che aveva alle sue spal-le il sito della più anticaPostierla dei Duchi; è l’unicache esista ancora al lato destrodel canale portuale, seminterra-ta, rifatta da SigismondoPandolfo (signore di Rimini dal1432 al 1468).Non viene citata nello Statutola porta Militum – detta deiCavalieri o di S. Giorgio –, cheera in fondo all’attuale viaGiovanni XXIII, in funzione a partire dal secolo XIV, distruttanel 1860. E infine abbiamo la porta di San Cataldo,che avevasostituito la più arretrata Posterula S. Thomae o Posterula Maior,entrambe le porte scomparse erano site sulla attuale viaGambalunga. Dalla linea muraria duecentesca al mare, che nel‘300-‘400 arrivava all’attuale ferrovia, ecco lo spazio per ilBorgo di Marina e per l’area portuale che i Malatesti iniziaronoa fortificare nel secolo XIV.

L’area del medievale Borgo diMarina o del Porto è racchiusada un ideale quadrilateroABCD. Il lato AB, verso lacittà, è formato dalle strade viaBastioni Settentrionali – con untelo di mura cittadine superstiti– e via Vittime Civili di Guerra.Il lato est BC è un tratto di viaGambalunga. Il lato CD è chiu-so dalla ferrovia, o da parte delpiazzale Cesare Battisti. Il latoDA è via Girolamo Savonarolae parte del canale portuale.Il quadrilatero è attraversato nelsuo mezzo dall’attuale viaGiovanni XXIII, in antico chia-mata via degli Orti del Borgo diMarina e in altri modi; questavia usciva da porta Militum eterminava a porta San Nicolò,aperta in un tratto di fortifica-zioni malatestiane, dov’era lasede dell’ammiraglio o capita-no del porto; da questa si usci-va sulla spiaggia. Via degli Ortiera attraversata da tre stradeparallele i cui nomi medievalisono ricomparsi nella ricerca

poderosa di Oreste Delucca(2). L’attuale via dei Mille si chiamava“via del Postribolo vecchio”, “ubi antiquitus stabant puellae sivemeretrices” [dove una volta stavano le ragazze di vita ossia leputtane]. Anche l’attuale via Goffredo Mameli si chiamava viadel Postribolo vecchio. Via Ravegnani e via Graziani si chiama-vano entrambe “Strata qua itur ad Postribulum” [strada per laquale si va al casino nuovo]. Dalla parte destra, andando verso ilmare, dell’attuale via Giovanni XXIII fino al ‘700 avanzato eanche nell’800 vi erano orti e campi.

STORIA DELL’ARCHITETTURA

BORGO MARINA

ERA IL QUARTIERE DELLE OSTERIE CON SERVIZIO D’AMOREGiovanni Rimondini

A

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /40.

«Lungo il canale o lungo il lato destro del fiume

Marecchia attraccavano le barche da pesca,

da trasporto o passeggeri.

Quello era il porto, e i bordelli e le osterie

con alloggio erano al servizio dei viaggiatori

per mare, dei marinai e dei pescatori, ma erano

aperti, anche agli indigeni che li frequentavano

fingendosi ubriachi»

AB

CD

1 2

3

Disegno del primo ingegnerecomunale Matteo Crudomiglia

del 1830, relativo a un progettodi rinnovo della

Porta di Marina, già Cavalieri, Militum o

di San Giorgio, aperta nel ‘300.

Progetto non realizzato. Dei due disegni dell’ingegnere

comunale esiste una copianell’Archivio Storico Comunale

di Rimini, presso l’Archivio di Stato di Rimini.

Questa immagine appartiene alla Biblioteca A. Gambalunga,

la pubblichiamo grazie alla gentile disponibilità

di Nadia Bizzocchi.

Pianta modernadi Rimini con il quadrilatero ABCD che contornal’area dell’antico BORGO DI MARINA. 1. Sito della Porta di San Giorgio, dei Cavalieri dal 1862 sostituita con laBarriera. 2. Porta Galliana. 3. Porta del Mare.

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STORIA DELL’ARCHITETTURA

Lungo il canale o lungo il lato destro del fiume Marecchia – illato DA – attraccavano le barche da pesca, da trasporto o pas-seggeri. Quello era il porto, e il notevole bordello, sito in osteriecon alloggio o alberghi, era al servizio dei viaggiatori per mare,dei marinai e dei pescatori, ma era aperto, come si capisce dagliStatuti, anche agli indigeni che lo frequentavano fingendosiubriachi. E questi bordelli o osterie con il servizio d’amore occu-pavano uno o due dei tre isolati che componevano il Borgo.

Nel terzo isolato i monaci benedettini Celestini, istituiti dalfamoso papa rinunciatario Celestino V, inviso a Dante, erano statiintrodotti a Rimini nella prima metà del ‘300, probabilmente perdotare l’area portuale anche di un centro religioso.Dell’originaria chiesa celestina dedicata a San Nicola, famosaper il possesso di un’insigne reliquia di San Nicola di Bari, è

rimasta la cappella principale con le volte ad ogiva ornate da restidi affreschi di pittori locali del tardo ‘300(3). Il monastero e la chiesa erano compresi dentro un recinto fortifi-cato, in parte murato con alcune torri, in parte solo difeso da unosteccato e da un fosso. Una delle torri si vedeva ancora ai tempidel Tonini che la giudicava simile a quelle del Borgo SanGiuliano. Queste ultime – di forma poligonale con un’alta scar-pa a tre ordini di cannoniere, disposte a gola aperta su un murocon molte cannoniere vicine, adatte a piccoli pezzi trasportati concarrelli – dovrebbero essere del tempo di Roberto il Magnifico(signore dal 1469 al 1482).Il campanile della chiesa di San Nicolò, prima che aggiungesse-ro nel ‘500 o nei primi del ‘600 la cella campanaria, era la torredel faro del porto riformato da Carlo dei Malatesti (signore dal

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .41

Particolare del disegno del Crudomiglia con lo stato semidemolitodella Porta di Marina la quale risale al ‘300.

Si noti l’arco a tutto sesto che definisce un portale inscritto in un cerchio,

una proporzione questa già rinascimentale.

Particolare del disegno del Crudomiglia con la sezione della Porta di Marina. Lo spessore della volta lascia credere che la portaavesse al di sopra una torre, come si vede nel bassorilievo diAgostino di Duccio nel Tempio Malatestiano, cappella dei Pianeti,capitozzata in seguito.

Viale Principe Amedeo, cartolina dei primi del ‘900 che riproduce in primo piano

i due eleganti portici ionici della Barriera. Vennero costruiti nel 1863 al posto dell’antica porta,

su disegno dei ‘giovani’ Eugenio Sinistrarioe Francesco Bernasconi.

Cartolina dei primi del Novecento con l’area del Borgo davantialla chiesa di San Niccolò riformata dall’architetto Filippo Morollinel 1862. Si noti che l’architetto ha utilizzato la chiesa trecentescacome transetto della chiesa nuova. La facciata della chiesa vecchiaappare adesso, col suo ‘occhio’, in facciata del transetto.Purtroppo la guerra ha distrutto quasi del tutto il sacro edificio.

Segue a pag. 52

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uando, nel 1933,Mussolini donò, al pode-stà Palloni, la statua di

Giulio Cesare, copia di quellarinvenuta nel Foro romano,“consigliò” di porla sul piedi-stallo rinascimentale, ricordodel passaggio in città del con-dottiero, già presente in piazzae, magari, circondarla di fiori.Detto fatto e fu così che cavo-li, carciofi e finocchi furonosfrattati senza pietà dalla piaz-za del mercato (oggi TreMartiri). Al piedistallo rinasci-mentale, consigliato dal Ducee che risultò inadeguato per lamole della statua, fu preferitoun nuovo più e consono basa-mento e il tutto fu posizionatosotto la torre dell’orologio conattorno solo i banchetti deifiori: proprio come “consiglia-to” dal Duce. Per cui GiulioCesare aveva spalle al mare,viso rivolto all’arco, bracciosinistro teso ad indicare Romamentre la destra rimanevalibera per impugnare, all’oc-correnza, la daga.Poi arrivò la guerra che stra-volse tutto. La statua di GiulioCesare fu fortunosamente sal-vata e riposta presso l’omoni-ma caserma in via Flaminia enella ex piazza del mercato,già G. Cesare e diventata,dopo la guerra, Tre Martiri,rimasero i banchetti dei fiori, aquel tempo, attigui alla cap-pelletta di Sant’Antonio asegnare, forse, con discrezio-ne, il luogo dove, nelle ultimeore di guerra, erano stati truci-dati tre giovani partigianiriminesi.Era il 1953 quando Antoniettaed Aldo Morolli, con i figliFranca e Luciano, si trasferi-

rono dalla campagna in cittàdedicandosi, da subito, alcommercio dei fiori in piazzaTre Martiri. In quel tempo, nelcentro di Rimini, si contavano23 banchi di fioraie oltre ainegozi d’èlite quali Palazzi, iltop, sul viale della stazionepresso il passaggio livello cheportava al vialone (il negoziodi piante e fiori è rimasto atti-vo, con alterne vicende, quasifino alla metà degli anniSettanta per poi lasciare spa-zio a collanine, ombrelli edaltro cinesi) e quelli di Fabbriche era, ed è, il vivaista pereccellenza di Rimini. Il nego-zio, più vecchio e grande, erasul lato sinistro di via IVNovembre, poco prima di SanMichelino in Foro; l’altro eraall’inizio di via Garibaldi, sullato destro, prima dell’incro-cio con via Sigismondo.

Franca Morolli, classe 1936,aveva 17 anni quando arriva aRimini ed inizia l’attività disarta, come apprendista, pres-so l’atelier Porcellini, poilavora nella sartoria Vasinicurando “Eleganze Alba” diMilano. Nel 1967 viene menoil padre Aldo e, nel contempo,l’attività della sarta, che orasviluppa in proprio, diventadifficile sia per le difficoltà ditrovare apprendiste che nonpretendessero remunerazionitroppo consistenti sia per laconcorrenza delle confezioni.Così Franca, a 31 anni, lascial’attività di sarta (ed era vera-mente brava) e diventa fioraia.Prima aiuta la mamma in piaz-za poi preleva il banco. Oggiper Franca Morolli sono 45anni di attività tutti svolti inpiazza tra i fiori.Dei numerosi banchetti di fio-

rai di un tempo attualmente, inpiazza Tre Martiri, ne sonosolo rimasti tre, tutti gestiti dasignore già “attempate”, tra lequali la nostra Franca, mentrein città si contano decine dinegozi di fiorai ai quali siaggiungono quelli dei supermarket, del cimitero e dei fur-goni, più o meno, abusivi.Attualmente, da quando ilComune ha rifatto la pavimen-tazione della piazza, le fioraiesono state spostate sull’altraestremità dello stesso latopresso l’ex Credito Italiano,vicino all’edicola. Sono in unpunto quasi “morto” dellapiazza, o, per lo meno, il menofrequentato.Sono passati tanti anni da quellontano 1967, e la signoraFranca ne è cosciente ma èrimasto inalterato in lei ilgusto di confezionare un belbouchet di fiori sempre con unsorriso e, magari, la voglia diricordare i tempi andati conqualche vecchia ed affezionatacliente. Tuttavia, oltre a nonaver un erede disposto a prose-guire il suo lavoro, le rimane ilrimpianto, per non dire l’ama-rezza, di aver svolto per tuttala vita un’attività sottovalutatadalla Amministrazione e che,invece, avrebbe potuto valo-rizzare queste fioraie dandoloro, magari, un piccolo gaze-bo, più ordinato e dignitoso,trasformando, così, i loro fioriin un arredo essenziale, coreo-grafico e decisamente grade-vole della nostra vecchia piaz-za Tre Martiri. Ma, poi, ancheil “povero Giulio Cesare(copia di quella originale evoluta da privati) si trova con-finato tra l’angolo della bancae l’edicola, luogo poco graditoanche ai piccioni, ed è costret-to ad indicare un mare a luicompletamente estraneo.

LUGLIO-AGOSTO 2012

ALBUM

A SPASSO PER LA CITTÀ

LE FIORAIE DI PIAZZA TRE MARTIRISilvana Giugli

Q

A R I M I N V M /42.

Franca Morolli, storica fioraiadi piazza Tre Martiri.

Sopra. Il mercatino dei fiori neipressi del Tempietto

di Sant’Antonio.

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cco il costume da bagnoda indossare nell’estate

del 1897 secondo le indica-zioni de “La Patria”«Il costume da bagno. Seancora non l’avete preparato,o lettrici, fatelo di lana ruvida,che non aderisca al corpo, senon volete parer brutte o inde-centi e correre anche il rischiodi pigliarvi un reumatismo.Scegliete tra i colori quelli chemeglio resistono; non il neroperché l’acqua salsa e il solelo arrossano subito; il bleumarin, il verde cupo, il marro-ne sono i più pratici, ma pocoeleganti; assai carini invece ibianchi guarniti di celeste, o dirosso, o di verde ecc.... Quantoalla forma, tutto il costume siamolto largo per lasciare liberi imovimenti; la blouse un po’scollata (non abbiate paurad’annerire; nulla di più simpa-tico di quell’aria di salute cheacquista una donna baciata...dal solleone) avrà le manichecorte, ma invece lunghe lefalde in modo da nasconderequasi interamente i calzoniche giungeranno appena sottoil ginocchio. I calzoni sino aipiedi sarebbero il colmo delridicolo! Ma la vera eleganzadel costume da bagno sta nel-l’accappatoio; in esso potetefare sfoggio di tinte delicate,di guarnizioni, di ninnoli fin-ché vi piaccia, s’intende, però,con buon gusto. I capelli siraggruppano sull’alto dellatesta... Ed ora lettrici cortesi,buon bagno». (“La Patria”,mercoledì 21 luglio 1897)

Troppe “scollature” e troppe“trasparenze” brontola“L’Ausa” nell’estate del1914«E’ una vergogna! –Intendiamo parlare delle ulti-me acconciature muliebri,diventate addirittura procaci einvereconde. ... L’ultima modaè giunta a tale eccesso vergo-gnoso, che pare non abbia piùlo scopo di vestire elegante-mente, ma piuttosto di svestireindecentemente la donna. Enei teatri, nei caffè, nei salottie nelle piazze siamo spettatoridi queste donne “svestite”,sulla foggia dell’ultimo figuri-no francese, che senza alcunpudore fanno mostra delleproprie... nudità, calpestandoogni legge di onestà ognidecoro.Che dire poi di ciò che avvie-ne sulle spiagge marittime e ingenerale in tutti i luoghi di vil-leggiatura, dove il ritegno e ladecenza han ceduto il luogoall’inverecondia, allo scanda-lo, al malcostume; dove siammirano esposizioni viventitutt’altro che pudiche, che inogni animo onesto destanosdegno e disprezzo; dove èmessa a serio pericolo la carainnocenza dei nostri fanciulli?Ebbene si dia una qualchescorsa a certe spiagge, e a certistabilimenti in alcune ore dellagiornata e della sera, e si vedràse la nostra è esagerazione orealtà. ... Basta con certe “toi-lettes” alla parigina, che altronon sono se non una sfida albuon senso e all’igiene, alrispetto della bellezza comedella morale. Basta con certe...“scollature”, con certi... “tra-sparenti” sommamente provo-canti…». (“L’Ausa”, sabato18 Luglio 1914)

MODA BALNEARE

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .43

DAI GIORNALI D’EPOCA

LE PROPOSTE E LE PROTESTE DELLA BELLA STAGIONE

E

Sfilata di eleganza sulla Piattaforma.

Sopra. Giulio Cumo, “La stagione dei bagni”,

tempera, bozzetto per copertina di libro, 1986 (part.)

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AMARCORD

poi arrivava Settembre. I turisti,con la loro rumorosa presenza, se

ne andavano alla spicciolata e giornodopo giorno la Marina smorzava isuoi bollori immergendosi nella quie-te del suo ripetitivo quotidiano, con ilsilenzio rotto di tanto in tanto dalsuono delle campane dei Salesiani econ la prima nebbia, che riavvolgevadi mistero i luoghi appartati dove gliinnamorati, favoriti dalla semioscuri-tà, erano soliti scambiarsi frettolosecarezze. La gente, riappropriandosidegli spazi ceduti temporaneamenteagli ospiti, tornava ad essere se stessa,con i suoi umori e le sue aspirazioni. Igiorni ristabilivano il loro ordinescandito dai ritmi rassicuranti delpranzo e della cena e la domenica,alla messa delle 9, i maschi occupava-no di nuovo le panche di sinistra e lefemmine quelle di destra. In chiesa e alcinema parrocchiale vigeva la separa-zione dei sessi, ma le occasioni perintrecciare sguardi d’intesa e attimi dicarinerie non mancavano. Per strada,nei negozi e nei caffè si ritrovavano lesolite facce e il dialetto, con il suoarioso fraseggio e le sue saporite bat-tute, tornava ad impreziosire la con-versazione.Erano i primi anni Cinquanta. Nonavevamo ancora metabolizzato deltutto le sofferenze e i disagi della guer-ra, ma avvertivamo barlumi di speran-za e il futuro ci offriva ancora il suosorriso. Quello che scorgevamo sul voltodei nostri genitori.In quel piccolo universo raccolto attornoal campanile, che dall’alto della suaguglia sembrava infondere protezione allenostre modeste dimore, si agitava un’u-manità semplice e di poche pretese.Bastava il saluto del mattino, elargito conampia generosità, perché tutti si sentisse-ro partecipi di un comune percorso di vita,che aveva nella nascita, nel matrimonio enella morte i capitoli di una narrazioneintrecciata di festosità e amarezza.Su questo palcoscenico, dove tutto simuoveva a vista, noi adolescenti formava-no gruppo sulla base dell’età. Era la datadi nascita che ci teneva uniti tra i banchi discuola, nelle attività di oratorio e nellescorribande sui luoghi ancora disastrati

dai bombardamenti. Le condizioni socialidella famiglia erano ininfluenti sullenostre scelte, o perlomeno non avevano laforza di inquinare l’ingenuità dei nostristati d’animo. Del resto le toppe, che esi-bivamo con noncuranza sui capi di abbi-gliamento, erano le stigmate di una comu-ne povertà accettata con dignitosa rasse-gnazione. Non c’erano “amicizie perico-lose”; solo amicizie. Si stava insieme e cisi divertiva con poco; un pugno di giug-giole e una mazzetta di figurine di calcia-tori erano più che sufficienti per rendercifelici. A tonificare l’affiatamento del bran-co era la simpatia. Quella, per esempio,che emanava Sputacci, un nostro amico,che per l’abitudine di sputacchiare in con-tinuazione si era aggiudicato l’autorevoleappellativo. Il soprannome, non sempre

gradevole, era parte del gioco, unpegno da pagare per stare in combric-cola. E Sputacci era della combricco-la. Anche se non frequentava la messadomenicale di don Germano, non tira-va calci al pallone e a scuola era unanullità. Le sue energie creative leriversava tutte per la strada. La suagiornata era una girandola di birichi-nate. Scherzi, sgarberie, persino furta-relli. E il tutto portato a segno per ilpiacere di poterlo raccontare a noi,suoi compagni. Che, invidiando la suasfacciataggine, non ci rendevanoconto di esserne complici, perché piùgodevamo delle sue imprese, più lui sisentiva invogliato ad escogitarne dinuove e di più spericolate.Poi il tempo è passato. E come unotsunami è arrivato il mattone selvag-gio che ha stravolto la fisionomia dellitorale sfigurandone gli equilibriambientali e sociali. La cementifica-zione ha disgregato il senso di appar-tenenza e di solidarietà che affratella-va e quel quartiere di piazza Tripoli,che dopo il fragore dell’estate si risve-gliava con le sue sgocciolature diumanità, si è perso nel trambusto diuna malintesa modernizzazione.Inghiottito dal benessere. Il denaro siè fatto misura di tutte le cose e la sere-nità della gente ha ceduto il passoall’inquietudine e all’insicurezza; ilsaluto è divenuto un optional concessoa pochi. I rintocchi del campanile,

intrappolato da una cerniera di mastodon-tici condomini, sfocano tra i rumori deltraffico e per strada le voci hanno cambia-to registro: la lingua dei padri ha lasciatoil campo a incomprensibili idiomi.Sputacci non c’è più. L’amico delle nostremonellerie ha recuperato il suo nome dibattesimo ed è un anziano e malridottononno alle prese con i nipotini, che adorae che vorrebbe studiosi, educati e persinorispettosi delle regole. Le sue innocuemarachelle hanno lasciato il campo amascalzonate ben più gravi, da meritarepersino i titoloni dei giornali. Del tempoandato è rimasta solo la nebbia, ma lospreco di luci sulla Marina, perennementeaddobbata a luna park, le ha tolto il fasci-no dell’arcano. E Settembre è diventatoun mese come gli altri.

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .45

PIAZZA TRIPOLI NON ERA SOLO UNA PIAZZA

E POI ARRIVAVA SETTEMBRE…Manlio Masini

E

«In quel piccolo universo raccolto

attorno al campanile si agitava

un’umanità semplice e di poche pretese.

Bastava il saluto del mattino,

elargito con ampia generosità,

perché tutti si sentissero

partecipi di un comune percorso di vita,

che aveva nella nascita,

nel matrimonio e nella morte i capitoli

di una narrazione intrecciata

di festosità e amarezza»

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on il termine opera o opera lirica s’in-tende lo spettacolo in cui l’azione tea-

trale si realizza attraverso la musica e ilcanto. Dal momento che si avvale di sce-nografie e spesso di azioni coreografiche,l’opera può essere considerata una dellemanifestazioni artistiche più complete.Per molti anni e per una lunga serie digenerazioni l’opera ha costituito in Italia,in Europa e nel mondo lo spettacolo perantonomasia. Sinonimo di opera è melo-dramma (indicante appunto la fusione tramusica e dramma ) mentre svariati altritermini sono usati per indicare le varieforme di opere fiorite nel corso dei secolie nei vari paesi (così si usano ampiamen-te termini come opera seria, opera buffa,opera comica, Singspiel, opéra comique,grand-opéra, opéra-ballet, opéra-lyrique).Alla fine del ‘500 l’opera ebbe regolareatto di nascita da parte della CamerataFiorentina, che diede il primo manifestoestetico e la prima teorizzazione del rap-porto fra musica e dramma, fra parola ecanto. Subito l’opera si sviluppò in altrecittà, a Mantova, a Venezia, a Napoli, aRoma. Dall’Italia emigrò in Francia e nelresto dell’Europa, dove per oltre tre seco-li divenne una delle forme di spettacolopiù amate e idolatrate. L’opera barocca equella settecentesca produssero numerosicapolavori, ma l’apogeo del melodrammasi raggiunse nell’Ottocento. Anche se nelsuo vasto repertorio non mancano operebellissime prodotte nel Novecento, essedifficilmente raggiungono la popolaritàdel melodramma ottocentesco.Prima della distruzione del suo teatro feri-to mortalmente dai bombardamenti deldicembre 1943, Rimini vantava una diffu-sa cultura operistica estesa a tutti gli stratidella popolazione. In seguito l’interesse eil culto per l’opera è stato vittima dall’in-curia dei riminesi, un’incuria perpetuatasinel tempo, che ha penalizzato gravementela nostra città e ne ha compromesso larinascita culturale. Anno dopo anno, lamancanza del teatro a Rimini ha prodottocome logica conseguenza un crescentedisinteresse per l’opera e le generazioniche si sono succedute hanno perso il con-tatto diretto con un patrimonio d’arte d’i-nestimabile valore. Ciò nonostante ungruppo di appassionati dell’opera, quellipiù autentici, profondi conoscitori del

repertorio, esperti nel riconoscere la vali-dità delle voci, ha saputo coltivare l’amo-re per il bel canto ed è riuscito a creareforme di proselitismo anche nei confrontidei più giovani trasmettendo loro l’entu-siasmo per il teatro musicale. Tramitequesto fervore si è costituito in città ilCircolo degli Amici del Teatro il qualeoltre a promuovere l’interesse e la culturadell’opera in musica con numerose inizia-tive, conferenze ed eventi mirati, seguedal vivo le recite più significative neimigliori teatri italiani, con particolare rife-rimento al teatro alla Scala di Milano, sot-toponendosi frequentemente al sacrificiodi lunghi viaggi in pullman. A volte poi accade che la felice idea deigestori di una sala cinematografica par-rocchiale, la cui capienza assomma a solo170 posti, possa compiere un piccolomiracolo. Mi riferisco all’iniziativa corag-giosa e illuminata del cinema Tiberio, ilquale adottando nel 2008 la scelta del“digitale” agli albori di questa nuova tec-nologia, si è cimentato con convinzionenella programmazione di proiezioni inalta definizione di opere liriche e ballettidai principali teatri del mondo in diretta odifferita. Poco alla volta si è creato unimportante cartellone che ha assunto ladenominazione di Opera Live, RassegnaOpera e Balletto al Cinema. Si è cosìcostituita una vera e propria “stagione”annuale d’opera e di balletto, che parte daimesi autunnali per proseguire con succes-so in inverno e in primavera senza trascu-rare qualche rilevante spettacolo estivo.Così configurata, Opera Live è venutaincontro alle schiere degli appassionatidell’opera, riuscendo a soddisfare a chilo-metri zero le loro aspettative e le lororichieste: annullando le distanze che sepa-rano Rimini dai grandi teatri, ha creato lecondizioni di base per un buon recuperodella cultura dell’opera e del balletto clas-sico nella nostra città. Non solo: questanuova tipologia di spettacoli ha dato lapossibilità di allargare notevolmente ilpubblico tradizionale del Tiberio che conla presenza in città dei cinema multisala,incominciava a dare qualche segnale diflessione. Del resto la tecnologia messa alservizio dell’opera produce risultati incre-dibili: video e audio pressoché perfetti

MUSICA

AL CINEMA TIBERIO LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’OPERA

IL BEL CANTO IN “DIGITALE”Guido Zangheri

C

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /46.

«Opera Live

attraverso proiezioni

in alta definizione di opere

liriche e balletti dai principali

teatri del mondo in diretta

o differita ha annullato

le distanze che separano Rimini

dai grandi teatri,

ha creato le condizioni di base

per un buon recupero

della cultura dell’opera

e del balletto classico

nella nostra città»

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MUSICA

sono in grado di far cogliere al pubblicoaspetti vocali e scenici ricchi di sfumatureespressive. Così d’altra parte i primi pianigiocati con grande abilità sul palcoscenicoriescono a evidenziare sui volti degliinterpreti particolari relativi anche all’e-missione vocale, che ben difficilmentepossono essere notati dalla platea o da unpalco del teatro. In più viene dato oppor-tuno rilievo ai costumi, alla scenografia,alla coreografia, alle parti corali, agliaspetti dinamici dell’azione, in una parolaa tutto ciò che costituisce la regìa dellospettacolo. Non mancano poi le riprese suldirettore d’orchestra, sul suo gesto cheguida l’esecuzione musicale e persino sulgolfo mistico con i professori d’orchestraimpegnati ad accompagnare l’azione sce-nica. Inoltre va segnalata l’iniziativa di farprecedere la proiezione dell’opera coninteressanti conferenze introduttive all’a-scolto, a cura del m° Giovanni Bartoli,direttore d’orchestra, già direttore delConservatorio di Musica “BrunoMaderna” di Cesena e del m° UbaldoFabbri, collaboratore pianistico dei can-tanti al Conservatorio “G. Rossini” diPesaro, all’uopo incaricato da UniversitàAperta “G. Masina e F. Fellini”. OperaLive sta raccogliendo in città entusiasticiconsensi e numerose adesioni e può con-tare su un affezionato pubblico che sotto-scrivendo una settantina di abbonamentigarantisce un’ottima base per sviluppare ilpalinsesto generale del Tiberio.L’avvento del digitale risale dunque al2008 ed è stato promosso dall’ACEC –Associazione Cattolica Esercenti Cinema– che strinse un’importante convenzionecon Microcinema, una delle prime societàcimentatasi nella distribuzione di eventialternativi per le sale cinematografiche.Microcinema è un circuito che collega uncentinaio di cinema, soprattutto piccole

sale o monoschermi, di cui 61 sale dellacomunità – mentre le altre fanno capo adassociazioni o a comuni – che dal 2007trasmettono in diretta satellitare grandieventi e opere liriche. Da segnalare che ilprimo spettacolo ripreso è stato “LaTraviata” con la regìa di Franco Zeffirelli. Tramite questo accordo, il Cinema Tiberioha potuto fruire di una serie di benefit chel’hanno aiutato a compensare il cospicuoinvestimento economico iniziale. La scel-ta del digitale fu un’operazione ponderata,sospinta dalla necessità di individuareforme di spettacolo integrative alla proie-zione cinematografica tradizionale cheriscontrava, come sopra affermato, unaffievolimento nelle presenze e nel con-tempo con l’intendimento di ricercare for-mule apparentemente più economiche. Vasottolineato che l’adesione al digitale daparte del Tiberio ebbe una discreta riso-nanza anche a livello nazionale.Nell’ottobre 2009 nel milanese alla SalaCristallo di Cesano Boscone si tenne unconvegno sul tema “Sala della comunità:le sfide tecnologiche”, al quale il cinemaTiberio era stato invitato dalla delegazioneregionale della Lombardia per portare lasua testimonianza quale esempio di cine-ma parrocchiale virtuoso. In tale conve-gno vennero affrontate le tematiche deldigitale, del film 3D e del temuto e assie-me auspicato superamento delle pellicole,con l’analisi delle esperienze di sale tec-nologicamente all’avanguardia come ilTiberio di Rimini e l’Aquila di Roma.. Il 2gennaio 2010 l’intervento di StefanoTonini, in qualità di responsabile organiz-zativo del progetto culturale della parroc-chia di San Giuliano Martire, fu ripresodalla prima pagina del Sole 24 ore che nepubblicò anche la foto. Nell’aprile dellostesso anno il cinema Tiberio fu invitatoquale relatore ad esporre la sua esperienzaal convegno della CEI ConferenzaEpiscopale Italiana “Testimoni Digitali”.Il Cinema Tiberio, operativo dagli anni‘50, è sempre stato gestito direttamentedalla Parrocchia di San Giuliano Martire:

è lo stesso parroco don Mario Antolini adaverne la titolarità. La sala occupa unaparte del chiostro principale del monaste-ro benedettino, andato distrutto durante laseconda guerra mondiale. I resti del chio-stro sono ancora ben visibili all’internodella sala, emersi dopo i profondi restauriche interessarono il cinema dal 1992 al1994. Oltre ai resti di epoca medievalesono visibili due delle 29 sepolture roma-ne e tardo romane (attraverso vetrate inca-stonate nel pavimento) disseminate sottola platea, oggetto di una specifica campa-gna di scavi curata dalla Sovrintendenzaai Beni Archeologici di Ravenna. La gestione del cinema Tiberio è affidataa un gruppo di volontari della parrocchiache si succedono nelle varie mansioni eattività : oltre al già citato Stefano Tonini,che nella sua veste di delegato delConsiglio Pastorale, ricopre il ruolo prin-cipale, vi prendono parte tra gli altri GianPaolo Bianchi, Paolo Pagliarani, LeoVittori. Le più importanti attività del cine-ma Tiberio, le cui proiezioni di cinemad’essai sono iniziate nel 2003, oltre aOpera Live comprendono nel periodo cheintercorre fra i mesi di ottobre e di marzo,la “Rassegna Junior Cinema”, appunta-mento domenicale con il cinema per tuttala famiglia e la “Rassegna NotoriusRimini Cineclub”, appuntamento infraset-timanale con il cinema d’essai a curadell’Associazione “Notorius RiminiCineclub” (film e cortometraggi, film inlingua originale). A questi appuntamenticonsolidati si aggiungono eventi teatrali,concerti, conferenze e rassegne cinemato-grafiche organizzate da altri enti e ospita-te al Tiberio durante tutto l’anno. Per talimotivi, per la nostra cosiddetta “monosa-la” potrebbe apparire più appropriata ladenominazione di “cinema multi-eventi”.

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .47

Resti di sepolture romane e tardo romane sotto la platea del cinema Tiberio.

Stefano Tonini, responsabile organizzativodel progetto culturale della parrocchia

di San Giuliano.

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n libro scritto solo per gli amici,quelli della vita e del lavoro. Un

libro che ha il sapore della “favola”con tutti gli ingredienti al posto giusto,ben assortiti, ben calibrati. Ecco“L’approdo del cuore” scritto daMaddalena Santucci sotto la guidaattenta del padre Ferdinando.In un paesino dell’entroterra romagno-lo, Montecalbo, nei pressi di Soanne,abitato da brava gente e dove tutti siconoscono e si aiutano, c’è un bambi-no, di sei mesi, divorato dalla febbre diuna broncopolmonite che sembra nondargli scampo. Siamo nel marzo del1939. Ma qualcuno, “al piano disopra” (il destino o Dio lo si chiamicome ognuno preferisce), decidediversamente e lo fa guarire. E’ cosìche inizia la storia di FerdinandoSantucci, cardiologo di fama non sololocale, uomo dal carattere aperto, affa-bile, estroverso, eclettico ma, anche,molto determinato, consapevole deipropri limiti, medico coscienziosoche, pur applicando, nella sua attività,metodi d’avanguardia, ha sempreseguito il principio inderogabile del“meglio perdere il cliente che il mala-to” ammantando, così, d’umanità unaprofessione, quella del medico cardio-logo, che, soprattutto oggi, è fatta,quasi solo, di arida tecnologia e chetrasforma i malati in numeri (anche sepoi, di regola, il paziente deve esserechiamato con il suo nome di battesimoma senza un vero rapporto).Nella storia di Ferdinando giocano unruolo determinante, proprio comenelle favole che si rispettano, alcunipersonaggi quasi fatti su misura. Ecco,

dunque, il nonno: un vecchiosaggio; i genitori, di umile origi-ne, ma che non lesinano sacrificiper far studiare il figlio; una pro-fessoressa di Lettere, tipo libroCuore, che intuisce le potenziali-tà di Ferdinando: lo incoraggia,lo motiva, gli forgia quel caratte-re determinato che lo aiuterà asuperare le difficoltà. Ci sonoanche degli amici che hanno lafunzione del “cacio sui macche-roni” e poi c’è la sua donna dellavita. La giovane Antonietta, dibuona famiglia, agiata, che divi-de con Ferdinando la sua vitanon solo di moglie devota emadre di famiglia, ma anche diconsigliera, di socia. E’ lei ilsostegno determinante nelle suescelte. E’ lei la collaboratrice neimomenti difficili come quellocorrispondente all’inizio dellalibera professione quando man-cano i clienti e che ricorda un

po’, se il dottore ce lo permette,anche per il periodo, la figuradella fidanzata di Alberto Sordinel film “Il medico della mutua”.E poi che dire dell’ambientazio-ne! Si è già detto del borgo natio,poi c’è il paese, Novafeltria, quel-lo delle scuole Medie, che sta cre-scendo ma procura i primi dispia-ceri al nostro protagonista che quisi sente un forestiero, un estraneoappena tollerato. Poi ecco la cittàsulla costa, tanto sognata, tantolontana, alla foce di quel fiumeMarecchia che fa un po’ da filo

LIBRI

“L’APPRODO DEL CUORE”DI MADDALENA SANTUCCI

LA VITA DI UN MEDICO DI SUCCESSOSilvana Giugli

U

LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /48.

«Una “favola”

che vuole essere un esempio

ai giovani che temono

le difficoltà.

Se vi è impegno vero,

se non si cede

alle prime

delusioni, ...

Il dott. Ferdinando Santucci acquerellato da Giuma.

...se non si perdono

le occasioni che ci sfiorano

nella vita e,

soprattutto,

se “al piano di sopra”

qualcuno ci vuole bene,

la meta può essere

raggiunta»

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LIBRI

conduttore a tutta la storia. Città, si fa perdire, perché la Rimini del 1951 è, in real-tà, un grosso paesone che cerca, ancora, di“leccarsi le ferite” lasciate dalla guerra. Edove, con una certa arroganza molto pro-vinciale, la sua società bene, quella autoc-tona, snobba i forestieri, soprattutto, sesocialmente ritenuti non al loro livello.Particolarmente significativo il ricordo delclima che regnava al Liceo ClassicoGiulio Cesare. Liceo “mitico” perché fre-quentato da Fellini e, ancor prima, daPascoli. Certamente alcuni prof. di questoliceo hanno fatto epoca (come del restoaltri dello scientifico “nemico/antagoni-sta” Serpieri). Come pure indimenticabilisono i quadri degli scrutini, spaccati daalcuni allievi, davanti alla porta di casa dicerte professoresse, considerate “tropposevere” e che, pietosamente, il nostro dot-tore non nomina ma ben ricorda. Poi c’è lavera città: Bologna, dotta, permissiva, conla sua università, e la ex capitale: Torino,così chiusa, così selettiva, così “falsa ecortese”, così spigolosa e riservata comele splendide vette delle montagne che lefanno da corona. Il nostro Nando torna a Rimini: ha impa-rato le regole del gioco che non sono trop-po dissimili da quelle di oggi (per non direche sono peggiorate nel tempo): si buttanella mischia e incomincia la sua, inizial-mente, lenta ma progressiva scalata al suc-cesso. Successo che arriva al momentodella completa maturità gratificandolodegli sforzi e sacrifici compiuti. E poi c’èl’apoteosi del successo: la creazione diquel poliambulatorio Valturio, comple-mentare al Sistema Pubblico, con altri col-leghi. E’ questo un vero gioiello per laprofessionalità dei dottori che vi operano,per il servizio reso all’utenza, per la cittàtutta.Santucci, con una punta d’orgoglio, rac-contando la sua “favola”, la sua vita,vuole dare un esempio ai giovani che oggitemono le difficoltà. Ma se vi è impegnovero, costantemente e senza risparmio. Senon si cede alle prime delusioni. Se non siperdono le occasioni che ci sfiorano nellavita e, soprattutto, se “al piano di sopra”qualcuno ci vuole bene, ecco che si puòraggiungere la propria meta. Tanti “se”, èvero, ma sono parte integrante dellavicenda umana. E poi, ancora, se si è lon-tani dal proprio paese e tutto ci fa sentirea disagio e forestieri, si deve andare avan-ti seguendo, magari, il consiglio, semprevalido, del divin poeta Dante: “non ragio-niam di lor, ma guarda e passa”.

isegnare lanascita e lo svi-

luppo del turismoromagnolo di unpiccolo centro, qualè Viserba, attraversola storia di una fami-glia. E’ questo l’o-biettivo del libro diDonata Ciavatti “Laforza del coraggio:una bella storia difamiglia”. Lavoronon da poco che harichiesto amore,tanta pazienza e unagran voglia di rac-contare.Tutto parte da molto lontano, all’epoca incui Roma diventa capitale, e la vicendatrova terreno fertile nel carattere sangui-gno dei romagnoli che, riscaldato ulterior-mente da qualche parola di troppo provo-cata da tante “ombre” (i bicchieri di vinodelle osterie), fa scattare il meccanismoperverso di una giustizia cieca, ottusa, pernon dire asservita al potere, che crea,quasi ad arte, l’errore giudiziario, la trage-dia che sconvolge una intera famiglia. E’risaputo che i romagnoli sono “mangiapreti” ma è anche vero che, a modo loro,hanno una “coscienza” che, prima o poi,fa ritornare le cose al loro posto. Il poi inquestione è lungo 23 anni, quelli che uninnocente ha dovuto patire, aPortolongone, prima di vedere trionfare laverità, ovvero la sua innocenza. C’è, così,un ritorno alla vita, agli affetti familiari,alla società, all’amore e qui l’elementomaschile si sfuma lasciando il campo aquello femminile.Il personaggio più determinante di tutta lastoria non è roma-gnolo ma è unamilanese: Cornelia.Giovane, bella,istruita, intrapren-dente, non dissimiledalla antica matronaromana madre deiGracchi, non esita aimmergersi in unmondo totalmente

diverso dal suo, cit-tadino e settentrio-nale, e ad affrontare,con tenacia e deter-minazione, le avver-sità che la vita nonle risparmia attra-verso l’ignoranza diun “buon medico”condotto che non hatempo e non si rendeconto della gravitàdella ferita provoca-ta da un chiodoarrugginito. Siamonel 1919. Tre annidopo, nel 1922, lamilanese Cornelia,

che nonostante la lontananza dalla suacittà non ha mai dimenticato il dialettomeneghino, parlata così “strana” perquaggiù, né la serietà negli affari e laferma volontà di migliorare e riuscire, ini-zia ufficialmente a gestire la “PensioneCornelia” assicurando un futuro anchealle due figlie: Bianca e Stella.Il ruolo delle donne, nello sviluppo e suc-cesso del turismo romagnolo, è statodeterminante: questo è unanimementericonosciuto senza nulla togliere agliuomini, poco disinvolti nel parlare coituristi e più adatti ad eseguire incomben-ze. La storia della “Pensione Cornelia” èarchetipo di questa realtà che, tuttavia, havisto pagare forti prezzi alle donne alber-gatrici. Come, appunto, Bianca, figlia diCornelia, che al lavoro ha sacrificato tuttala sua dolcezza materna perché troppoimpegnata a controllare, gestire, organiz-zare secondo una ferrea scala di valori epriorità dove il tempo da dedicare allecoccole delle figlie non è mai stato in

“pool position”. Ecco, questo, forse,è l’unica ombranella storia dellamitica “PensioneCornelia”, diventataHotel, e che oggideve fare i conti conun turismo che haben altre esigenze eche non le lascia piùspazio.

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .49

“LA FORZA DEL CORAGGIO”DI DONATA CIAVATTI

UNA BELLA STORIA DI FAMIGLIASilvana Giugli

D

«Il personaggio determinante

di tutta la storia è Cornelia.

Giovane, bella, istruita,

intraprendente…

non esita ad affrontare

con tenacia e determinazione,

le avversità che la vita

non le risparmia … »

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ogliardo Ricchi frequentaun corso dialettale con-

dotto dal commediografoGuido Lucchini ed entra, conentusiasmo, a far parte dellacompagnia Jarmidied. Dopo leprime recite interpreta, daabile dilettante, vari ruolifacendo leva sulla mimica delvolto, sulla gestualità e sull’e-spressione verbale. Sullascena è disinvolto e scrupolo-so con se stesso, ma per deli-neare al meglio il personaggiolo studia per lungo tempo.Nelle prove non gli è difficileimparare anche le parti affida-te ai suoi interlocutori.L’interpretazione prediletta, acui si sente affezionato, èquella del Cavalier Bonfanti,singolare personaggio de “Labutega ad Pitron”di G.Lucchini. Grazie al testo edalla bravura del gruppo sceni-co Jarmidied, la commedia èstata rappresentata più volte,lodata nei vari teatri del rimi-nese. A Ricchi è sempre pia-ciuto il vernacolo, soprattuttonegli aneddoti e nella espressi-vità linguistica; vorrebbe chefosse introdotto nei laboratoridelle scuole, per far conoscereai giovani, attraverso l’usodell’idioma, la storia delleantiche tradizioni. Egli sostie-ne che il dialetto suscita inte-resse e curiosità nei bambini,che non lo conoscono ma chelo sentono parlare dai nonni. Asuo avviso l’abilità di un atto-re amatoriale, oltre che sulladeclamazione, deve basarsi sulcomportamento spigliato datenersi sul palcoscenico.Fra i testi più amati, Gogliardoinserisce “Che generel dla mimoi” di F: Brasini; “La butegaad Patron” di G: Lucchini; “Laroda la zira” di G: Spagnoli.Quest’ultima, grazie alla esila-rante partita a briscolaambientata in una casa di ripo-so, sorretta dalle incalzanti

battute dei giocatori, è stata larappresentazione più citata edapplaudita dalle platee. Lastessa commedia portata allaribalta a Santarcangelo, pressola casa di riposo “A.Franchini”, ha riscosso uncommovente successo fra gli

anziani ospiti, intenerendo glistessi attori. L’efficacia, iltempismo, l’interazione cheoffre il dialetto è un “unicum”insostituibile. Il compito dellediverse compagnie che lo por-tano in scena mira a preservar-ne la cultura, grazie ad una

ricerca di testi di provata qua-lità. Queste opere, oltre ad abi-tuarci al gergo dialettale, cifanno scoprire la Romagna deinostri nonni, i suoi borghi, isuoi palazzi padronali, le suecase coloniche... In qualchecontrada è ancora possibiletrovare famiglie che si espri-mono in dialetto ed altre checustodiscono antichi strumentio macchine agricole, da tempo“in pensione”, quali aratri,vanghe, zappe, seminatrici,tini in legno per la fermenta-zione del mosto. La visita aqualche cascinale ci consenteancora di conoscere, per meri-to della sensibilità di vecchiagricoltori che hanno conser-vato i loro attrezzi del mestie-re, vecchie botti, torchi dilegno, damigiane, zappatrici,macchine rurali... Un patrimo-nio del passato custodito,orgogliosamente, come unmuseo.Ricchi sostiene che il dialettocontinua a vivere non solo gra-zie al teatro e ad alcuni canalitelevisivi che ne promuovonola conoscenza, ma anche per-ché tanti giovani continuanoad usarlo. Ed anche perchétante persone si battono per lasua sopravvivenza. Sonoesempi eclatanti il “PinocchioRiminese” di Amos Piccini,versione bilingue, la lettura dipassi della Divina Commediafatta Lorenzo Scarponi inalcune feste paesane, il con-corso di testi vernacolari cheogni anno si tiene a Longiano.Fra le diverse iniziative nondimentichiamo la “Corale diBellaria, che grazie alla pas-sione della musica e del “belcanto” ha portato al dialetto,con le cante romagnole, oltre iconfini della Romagna.

LUGLIO-AGOSTO 2012

DIALETTALE

COMPAGNIE E PERSONAGGI DELLA RIBALTA RIMINESE

GOGLIARDO RICCHIAdriano Cecchini

G

A R I M I N V M /50.

«Ricchi sostiene che il dialetto

continua a vivere non solo grazie al teatro

e ad alcuni canali televisivi che ne promuovono

la conoscenza, ma anche perché

tanti giovani continuano ad usarlo.

Ed anche perché tante persone si battono

per la sua sopravvivenza.

Sono esempi eclatanti il “Pinocchio Riminese”

di Amos Piccini, versione bilingue,

la lettura di passi della Divina Commedia

fatta da Lorenzo Scarponi in alcune feste paesane,

il concorso di testi vernacolari

che ogni anno si tiene a Longiano…»

Gogliardo Ricchi

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l primo pensiero dopo l’in-vestitura va alle popolazioni

duramente colpite dal terremo-to nella nostra Regione, nei cuiconfronti auspico un interventocoordinato di aiuti. Il secondopensiero va ai soci che nonpossono partecipare alle nostreriunioni a causa di critiche con-dizioni di salute: a loro va l’au-gurio di tornare presto tra noi.Il terzo pensiero va al nostroPresidente Luigi Prioli che haguidato il Club in un anno nonfacile: grazie per l’attività diservizio svolta con impegno epassione, per il tempo dedicatoal Rotary, sottratto alla profes-sione e alla famiglia che lo haoperosamente aiutato. In questo momento sono attra-versato da sentimenti contra-stanti: dal timore di affrontareun impegno gravoso, dallapaura di non soddisfare appie-no le aspettative dei soci, dallaconsapevolezza di dover impe-gnare tutte le mie forze per ser-vire al meglio il Club, dallasperanza di riuscire nell’impre-sa.Insieme ai membri delConsiglio e ai Presidenti delleCommissioni – che ringrazioper la totale disponibilità e perl’elevata competenza – abbia-mo predisposto il Piano diretti-vo di Club e il Piano Strategicotriennale. Abbiamo scelto gliobiettivi annuali in coerenzacon il Piano e abbiamo svilup-pato per ciascun obiettivo pre-cisi piani di azione.Con scrupolo ci stiamo prepa-rando alla visita delGovernatore, la quale, risco-prendo antiche tradizioni, sisvolgerà all’inizio del nuovoanno rotariano, precisamentegiovedì 5 luglio.

Al Governatore illustreremo ilnostro programma, le nostrepriorità e il nostro impegno perfavorire l’affiatamento, la par-tecipazione, lo sviluppo del-l’effettivo e per realizzare qua-lificati progetti di serviziorivolti alla comunità locale einternazionale.Senza nascondere le difficoltàche il nostro Club sta attraver-sando, in un contesto di crisieconomica internazionale, cre-diamo sia necessario e vitaleorientare la nostra azione allasobrietà, alla tolleranza, alrispetto dei valori e delle rego-

le rotariane.Crediamo che il modo miglioredi sviluppare il tema indicatodal nostro Presidente interna-zionale – La pace nel servire –sia quello, nel nostro ambito, diricercare costantemente lasoluzione amichevole dei con-flitti e delle controversie, dimo-strando di adeguare i nostricomportamenti all’etica rota-riana.Abbiamo un disperato bisognodi crescita, di innovazione, difar conoscere lo scopo delRotary alla nostra comunità.Abbiamo bisogno di incremen-

tare la presenza delle donne nelnostro Club, le quali sicura-mente recheranno un contribu-to decisivo alla qualità dellanostra azione; di incrementarela presenza dei giovani, perabbassare l’elevata età mediadei soci e per ricevere il loroindispensabile apporto di ener-gia ed entusiasmo. Abbiamobisogno di persone dotate dibuon carattere, non impegnatea primeggiare, disponibili aservire al di sopra di ogni inte-resse ed ambizione personale.Nel Piano strategico abbiamodelineato le caratteristiche inprospettiva futura del nostroClub e abbiamo sintetizzato inuna frase la visione comune:Un Club di persone capaci diagire, un Club migliore, piùgrande e più dinamico.Sappiamo tuttavia – citando unantico proverbio giapponese –che La visione senza l’azione èsolo un sogno ad occhi aperti.L’azione senza visione è unincubo. La realizzazione delnostro sogno postula, quindi, lacapacità di agire, di operarecon efficacia, di non disperdereenergie a causa di burocraticiadempimenti amministrativi edi conflittualità incompatibilicon gli obiettivi da perseguire.Postula soprattutto la condivi-sione delle scelte, la puntualeinformazione a tutti i soci deinostri programmi, la partecipa-zione attiva, opportunamentesollecitata, di tutti i soci allavita del Club.Sentiamo l’esigenza di onorarel’impegno dei nostri soci fon-datori e dei Dirigenti i quali neltempo, grazie allo spirito diservizio, alle innegabili dotiprofessionali ed umane, ad unostile di comportamento ispiratoalla correttezza ed osservanzadelle regole rotariane, hannofatto acquisire al Club il presti-gio da tutti riconosciuto.

ROTARY

LUGLIO-AGOSTO 2012 / A R I M I N V M .51

LA PAROLA AL NUOVO PRESIDENTE DEL ROTARY CLUB RIMINI

“UN CLUB DI PERSONE CAPACI DI AGIRE,UN CLUB MIGLIORE, PIÙ GRANDE E PIÙ DINAMICO”

Pietro Paone

I

«Crediamo sia necessario e vitale orientare la nostra

azione alla sobrietà, alla tolleranza,

al rispetto dei valori e delle regole rotariane.

Crediamo che il modo migliore di sviluppare il tema

indicato dal nostro Presidente internazionale – La

pace nel servire – sia quello, nel nostro ambito, di

ricercare costantemente la soluzione amichevole dei

conflitti e delle controversie, dimostrando di

adeguare i nostri comportamenti all’etica rotariana»

Rimini, 29 giugno 2012. Luigi Prioli consegna il collarepresidenziale a Pietro Paone.

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LUGLIO-AGOSTO 2012A R I M I N V M /52.

ARIMINUM

Hanno collaboratoAlessandro Catrani, Adriano Cecchini,

Federico Compatangelo (foto), Lanfranco Fabbri, Corrado Ghini,Ivo Gigli, Silvana Giugli, Giuma, Man,

Pietro Paone, Arnaldo Pedrazzi, Giovanni Rimondini,Gaetano Rossi, Guido Zangheri, Giulio Zavatta

RedazioneVia Destra del Porto, 61/B - 47921 Rimini - Tel. 0541 52374

EditoreGrafiche Garattoni s.r.l.

AmministratoreGiampiero Garattoni

Delegato del Rotary Club RiminiAlessandro Andreini

RegistrazioneTribunale di Rimini n. 12 del 16/6/1994

CollaborazioneLa collaborazione ad Ariminum è a titolo gratuito

Distribuzione / DiffusioneQuesto numero è stato stampato in 7000 copie ed è distribuito gratuitamente nelle edicole della Provincia di Rimini abbinato al quotidiano “La Voce di Romagna”. È spedito ad un ampio ventaglio di categorie di professionisti ed è consegnato

agli esercizi commerciali di Rimini. Inoltre è reperibile presso il Museo della Città di Rimini (Via Tonini)

e la Libreria Luisé (Corso d’Augusto, antico Palazzo Ferrari, ora Carli).La rivista è leggibile in formato Pdf sul sito del Rotary Club Rimini

all’indirizzo www.rotaryrimini.orgPubblicità

Piùmedia - Via Acquario, 112. Tel. 0541 777526Stampa e Fotocomposizione

Grafiche Garattoni s.r.l., Via A. Grandi, 25, Viserba di RiminiTel. 0541.732112 - Fax 0541.732259

Bimestrale di Storia, Arte e Cultura della Provincia di RiminiFondato dal Rotary Club Rimini

Anno XIX - N. 4 (109) Luglio/Agosto 2012

DIRETTOREManlio Masini

A R I M I N V M

1385 al 1429), come appare dalla forma architettonica, dall’altaporticella d’accesso e dall’apparato a sporgere o dai beccatellirasi che si notano sul muro sotto la cella.

Decisivi per la trasformazione del Borgo di Marina negli ultimicinque secoli furono tre fenomeni: l’allungarsi secolare nel maredella spiaggia e dell’area portuale, la fondazione delloStabilimento Bagni dei conti Alessandro e Ruggero Baldini nel1842 e l’impianto della ferrovia con la Stazione inaugurata inepoca unitaria ma preparata alla fine del regime pontificio.A metà ’800 la città si aprì esclusivamente verso il mare, il portoe la stazione ferroviaria dapprima lungo l’asse dell’attuale viaGiovanni XXIII. Solo all’inizio del ‘900 fu aperto l’asse da piaz-za Giulio Cesare (oggi Tre Martiri) via IV Novembre – via Dantealla nuova stazione ferroviaria. Al posto di porta San Cataldo nel1863 fu costruita una barriera architettonica solenne, ornata dicolonne ioniche, su disegno dei giovani Eugenio Sinistrario eFrancesco Bernasconi, distrutta dalla guerra –. Il 13 maggio 1862il Consiglio Comunale approvò i suggerimenti di una commis-sione di cui faceva parte Luigi Tonini per cambiare i nomi dellevie cittadine. L’attuale via Giovanni XXIII, già via Marina, fuchiamata via Principe Umberto – partiva nei pressi di piazzaCavour già piazza della Fontana o del Comune –(4). L’attuale viadei Mille, che dopo il periodo dei casini medievali si era chiama-ta contrada grande si chiamò via San Niccolò e più tardi si unìalla nuova strada provinciale per San Marino, futura via Roma.

L’attuale via Mameli, già detta contrada piccola, dopo il periodopostribolare, fu chiamata via Calafati – esistevano in loco in rivaal porto dei piccoli cantieri per riparare le barche –. Alla fine del-l’isolato dei Celestini – soppressi nel 1797 – la via assiale davan-ti al passaggio a livello si apriva a tridente con la via al Porto, viaai Bagni – futura via Principe Amedeo, l’altro figlio di re VittorioEmanuele II – e via alla Stazione.

BORGO MARINAERA IL QUARIERE DELLE OSTERIE...

da pag. 41

Note1) L. Tonini, Rimini dopo il Mille, a cura di P.G.Pasini, Ghigi, Rimini 1975,pp.159-166.2) O. Delucca, L’abitazione riminese del Quattrocento. Parte seconda. La casacittadina, v.I, Stefano Patacconi, Rimini 2006, pp.1382-1399.3) A. Donati, N. Valentini, San Nicola e la reliquia di Rimini, Pazzini, VillaVerucchio 20064) Archivio di Stato di Rimini, Archivio Storico Comunale di Rimini, Verbali deiConsigli Comunali, ad diem.

“Bosco” della stazione.

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