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ANMDO Piemonte e Valle d’Aosta Governance clinico Assistenziale e Direzione Sanitaria Bozza Documentale ad uso interno Ottobre 2008 Segreteria Scientifica Regionale ANMDO Sezione Regionale Piemonte e Valle d’Aosta GOVERNANCE CLINICO ASSISTENZIALE E DIREZIONE SANITARIA ANALISI, MODELLI ORGANIZZATIVI E RUOLI DELLA DIREZIONE SANITARIA Bozza documentale ad uso interno Seconda versione Ottobre 2008 Segreteria Scientifica Regionale

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Bozza Documentale ad uso interno Ottobre 2008 Segreteria Scientifica Regionale

ANMDO Sezione Regionale

Piemonte e Valle d’Aosta

GGOOVVEERRNNAANNCCEE CCLLIINNIICCOO AASSSSIISSTTEENNZZIIAALLEE EE DDIIRREEZZIIOONNEE SSAANNIITTAARRIIAA

AANNAALLIISSII,, MMOODDEELLLLII OORRGGAANNIIZZZZAATTIIVVII

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Bozza documentale ad uso interno Seconda versione

Ottobre 2008 Segreteria Scientifica Regionale

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11.. IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE

Negli ultimi decenni, i sistemi sanitari di tutti i Paesi sviluppati sono stati sempre più incalzati da importanti sfide dovute all’aumentata pressione economica, alla crescente complessità della scienza e delle tecnologie sanitarie, a mutamenti demografici inattesi ed all’aumento della prevalenza e dell’incidenza delle patologie croniche.

Per molti anni l’organizzazione del sistema sanitario si è basata su una nozione implicita di qualità imperniata sul principio che l’arruolamento di personale adeguatamente formato e la disponibilità di strutture ed attrezzature adeguate fossero sinonimo di un elevato livello assistenziale.

L’esplosione delle conoscenze, la parcellizzazione degli approcci troppo orientata alla tecnologia, la razionalizzazione dei costi e gli aumentati bisogni di salute hanno minato questa nozione di qualità delineando la necessità di un approccio sistemico al problema dell’assistenza, cioè un bisogno di miglior governo del sistema.

A tal fine, durante gli anni ’80, gli amministratori e i responsabili politici del sistema sanitario hanno enfatizzato la necessità di applicare anche al settore sanitario le metodologie gestionali del total quality management (TQM) e del miglioramento continuo della qualità, che avevano dato buona prova nel mondo industriale.

Tuttavia, questi approcci, sviluppati in settori molto diversi da quello sanitario, non hanno avuto grande successo in ambito clinico, probabilmente per lo scarso coinvolgimento dei professionisti e per l’orientamento fortemente centrato solo sugli aspetti gestionali-amministrativi, senza una chiara identificazione del ruolo svolto dai clinici, ma sicuramente per l’aver sottostimato la complessità dell’Assistenza sanitaria moderna.

La complessità si esprime attraverso la molteplicità dei problemi assistenziali posti dai pazienti, che per le loro caratteristiche, richiedono forme di assistenza per bisogni ed esigenze che sono sempre meno di pertinenza esclusiva di singole professionalità e sempre più spesso invece necessitano di risposte multidisciplinari e multiprofessionali.

La complessità dell’Assistenza moderna è rappresentata anche dall’elevato e crescente grado di sofisticazione tecnologica presente nelle specifiche modalità di diagnosi e cura adottate, con l’ovvia implicazione di richiedere non soltanto professionalità adeguate al loro corretto impiego ed alla lettura dei risultati, ma anche contesti assitenziali sufficientemente attrezzati sul piano organizzativo; in tale contesto risulta evidente come sia diventato prioritario affrontare il problema del governo delle innovazioni che si basi sui risultati della neonata medicina traslazionale.

I mutamenti dell’assetto professionale degli operatori sanitari, voluti dal decisore politico nell’ultimo decennio, hanno altresì creato un incremento esponenzialle della complessità dal momento che viene richiesto un rapido passaggio da una rappresentazione dell’organizzazione di tipo verticistico a modelli gestionali più orizzontali (cioè fondati sui gruppi), più dinamici e adattabili alla varietà dei contesti, più partecipativi e responsabilizzanti.

Complessità e suo errato approccio, ecco le cause di una qualità dell’assitenza da cui originano sia la percezione di un livello qualitativo delle performance sanitarie non corrispondente alle risorse investite sia l’insoddisfazione degli operatori.

L’approccio appropriato invece permette di costruire entro le organizzazioni sanitarie, un sistema di

relazioni che consente il sostegno e la promozione dei comportamenti professionali virtuosi e, comtemporaneamente, la precoce identificazione di quelli invece non coerenti o non compatibili con l’esigenza di garantire la sostenibilità dell’assitenza.

La “Clinical Governance”, termine introdotto per la prima volta nel libro bianco “The new NHS: modern and dependable” dal governo inglese nel 1997, nasce, in effetti, per rivendicare il primato degli obiettivi di salute e del miglioramento continuo della qualità all’interno di un sistema di un governo partecipato e condiviso, riproponendo i concetti della corporate governance come insieme di norme finanziarie e regole di condotta verificabile e trasparente.

Il complesso concetto della Clinical Governance viene dagli anglosassoni succintamente sintetizzato come “azioni poste in essere per dirigere la società verso obiettivi identificati e condivisi” mentre Roberto Grilli nel suo libro “Governo Clinico” (il Pensiero Scientifico Editore, 2004) ne caratterizza mirabilmente i contorni affermando che si tratta di ” un approccio integrato al problema della qualità (ed equità, ndr) dell’assitenza, che riconosce l’importanza di non intervenire solo sulle singole decisioni cliniche per orientarle verso una

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migliore appropriatezza, ma anche di fare in modo che i sistemi assistenziali nel loro insieme siano orientati verso questo obiettivo”

L’essenza sta nell’attuazione di meccanismi di governo che non si basino esclusivamente sull’autorità e sulle sanzioni, ma sulla corresponsabilizzazione e partecipazione dei professionisti. Per tali motivi, la corretta traduzione in lingua italiana è diversa da “Governo clinico”, termine che enfatizza aspetti dirigistici ed approcci “top-down”.

Il termine governance deve intendersi quindi come la gestione dei processi di consultazione e concertazione per il raggiungimento degli obiettivi. In tal senso, la governance non può essere imposta dall’alto o dall’esterno, ma consegue all’interazione di molteplici attori che si autogovernano, influenzandosi reciprocamente. Il termine governo corrisponde all’inglese government e definisce il potere normativo esercitato dalle istituzioni.

Secondo le indicazioni del GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata Sulle Evidenze) si propone di tradurre / interpretare Clinical Governance in “Governance Clinico Assistenziale” (GCA) che sottolinea:

. la non traducibilità del termine Governance;

. la maggior riduttività del termine ‘clinico” rispetto a clinical, che caratterizza tutte le professioni sanitarie e non solo quella medica.

Ne consegue che la GCA richiede la rivalutazione dei ruoli tradizionali e dei confini tracciati fra le professioni sanitarie, fra medico e paziente e fra amministrativi e clinici e “fornisce il mezzo per dimostrare al pubblico che il sistema sanitario non può tollerare che l’eccellenza”. Si tratta di costruire le condizioni che rendano possibile un agire in modo coordinato e coerente sull’insieme dei determinati della pratica clinica e quindi della qualità di quest’ultima attraverso :

a. La formazione dei professionisti, che dovrà essere indirizzata ad essere funzionale ad una attenzione continuativa alla qualità dell’assistenza, quest’ultima riconosciuta come parte integrante dei percorsi educativi dei professionisti,

b. Il monitoraggio dei processi assitenziali, che così esce dalla carenza metodologica e dalla autoreferenzialità cui è relegato dalla tradizione che lo vede praticato (esclusivamente all’interno delle professioni) come strumento di confronto tra pari sulla base di criteri impliciti di valutazione dei singoli casi, per diventare uno strumento integrato nell’organizzazione sanitaria e, quindi, dotato della capacità di influire nelle scelte di governo ai diversi livelli decisionali.

c. La gestione del rischio clinico presente nei processi assitenziali, che deve abbandonare l’impostazione esclusivamente reattiva per acquisire caratteristiche di proattività, sistematicità, capillarità e coinvolgimento che permettano di affrontare con successo la complessità dell’assitenza moderna..

Un esempio qualificato di approccio integrato e sistematico alla gestione della qualità e del rischio clinico,

viene dai sei obiettivi per il miglioramento dell’assistenza, descritti nel volume “ Crossing the quality chasm” e cioè:

1) Sicurezza. I pazienti hanno il diritto di sentirsi sicuri quando entrano in una struttura sanitaria, almeno quanto lo sono a casa propria.

2) Efficacia. Il sistema sanitario deve basarsi su quella, che con accezione più europea, si chiama “Medicina basata sulle prove di efficacia o EBM”.

3) Centralità del Paziente. Il sistema sanitario deve essere tarato sul paziente e sul rispetto della cultura, dei bisogni, delle scelte del paziente.

4) Tempestività. Il sistema deve abbattere i tempi morti e di attesa, le cause di ritardi inappropriati ed ingiustificati.

5) Efficienza. La riduzione degli sprechi e dei costi ingiustificati dev’essere un progetto continuo, anche per poter dimostrare che le risorse sono investite in modo accurato.

6) Equità. Il sistema deve assicurare l’accesso a tutti i cittadini indipendentemente da questioni di sesso e razza ed il sistema deve distribuire risorse sulla base dell’appropriatezza (Etica Distributiva).

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22.. II MMOODDEELLLLII OOPPEERRAATTIIVVII EE DDEETTEERRMMIINNAANNTTII DDEELLLLAA CCLLIINNIICCAALL GGOOVVEERRNNAANNCCEE

Per realizzare il necessario cambiamento culturale entro le organizzazioni sanitarie, la Governance ha da una parte la necessità di fondarsi su principi e valori condivisi che la legittimino le conferiscano la necessaria credibilità, dall’altra di identificare precisi ambiti di responsabilità per la sua traduzione operativa.

La politica di attuazione della GCA richiede un approccio di “sistema” e va realizzata tramite l’integrazione dei seguenti determinanti che, soltanto ai fini descrittivi vengono considerati, insieme ai relativi modelli operativi, separatamente, mentre essi sono tra di loro interconnessi e complementari e richiedono un approccio integrato:

MODELLI OPERATIVI DETERMINANTI • Audit clinici • Gestione dei reclami e dei contenziosi • Gestione del rischio clinico

Imparare dall’esperienza

• Definizione di piani di Formazione continua mirata a qualità, etica, responsabilità, • Certificazione all’eccellenza

Sviluppo Professionale

• Contestualizzazione delle evidenze sulla base di un lavoro multidisciplinare e multiprofessionale

• Facoltà di accesso ad informazioni scientifiche primarie e secondarie sulla efficacia degli interventi sanitari

Medicina ed Assistenza basate sull’Evidenza: EBM,

EBHC

• Elaborazione di analisi dei bisogni per la definizione di Linee guida cliniche e percorsi assistenziali • Collaborazione multidisciplinare • Comunicazione ed interrelazione

Condivisione

• Valutazione degli esiti • Coinvolgimento dei pazienti • Ricerca e sviluppo • Sviluppo delle reti informative ed informatiche • Definizione indicatori, standard, variabilità

Responsabilizzazione

Tabella 1

33.. IILL MMEETTOODDOO La complessità delle realtà sanitarie e soprattutto la varietà sempre maggiore dei bisogni socio-sanitari impone l’utilizzo di un metodo che si basa su pochi, ma fondamentali aspetti:

• la fiducia e la responsabilità (accountability, ovvero rendere conto di ciò che si fa), • il coinvolgimento, • l’analisi dei processi • l’investimento e la professionalità • l’etica e il valore del lavoro, • il collegamento ed l’integrazione • la convinzione del commitment

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1. Il modello relazionale deve basarsi sulla fiducia, la cui rilevanza è ormai largamente riconosciuta non soltanto nella vita sociale genericamente intesa, ma anche nella vita e nel funzionamento delle organizzazioni complesse. La fiducia come aspettativa che gli altri si comportino in modo coerente con quanto ci attendiamo indipentemente dalla adozione di meccanismi coercitivi o di controllo, è infatti da tempo individuata come un elemento importante di quello che viene definito come capitale sociale, quella ricchezza rappresentata dall’insieme di relazioni che gli individui tessono tra loro e che sono funzionali al raggiungimento non solo sul piano strettamente individuale, ma anche su quello sociale e delle pubbliche amministrazioni. La sua importanza è stata anche sottolineata in riferimento allo specifico delle organizzazioni sanitarie, nel tentativo di individuare modelli di relazione che non si riducano alla mera e fallace imposizione di meccanismi di verifica e controllo calati dall’alto. In un contesto di fiducia il professionista sanitario accetta la valutazione di efficacia, appropriatezza, efficienza, dei processi assistenziali da lui scelti per sopperire ai bisogni curativi o preventivi dell’utente, anzi ricercherà tale verifica in quanto momento di crescita professionale; al contrario in un clima di sfiducia, dedicherà ogni sua risorsa al sottrarsi al confronto, perdensosi nei meandri dell’autoreferenzialità corporativa e della medicina difensiva.

2. La necessità di una piena partecipazione delle competenze professionali che devono essere aggiornate e tarate sulle novità, sul piano della organizzazione del lavoro nei servizi ed infine sul piano della acquisizione di elementi empirici di verifica dell’impatto che tali innovazioni potranno avere sui diversi aspetti della qualità dell’assitenza. Per affrontare adeguatamente i problemi della formazione del personale, dell’organizzazione sanitaria, della valutazione della qualità, le organizzazioni sanitarie hanno innanzi tutto la necessità vitale di trovare strumenti che valorizzino il contributo delle competenze professionali cliniche, senza il quale risulterebbe sostanzialmente impossibile lo stesso riconoscimento di queste implicazioni e la conseguente definizione delle problematiche formative, clinico-organizzative e valutative che dovrebbero essere oggetto dell’iniziativa aziendale. Il tema dello sviluppo delle aziende sanitarie è in larga parte misura declinabile in termini di sviluppo di una capacità di adeguamento a delle condizioni di permanente instabilità, prevedendone ed anticipandone quindi i possibili andamenti evolutivi e l’impatto sui modelli assistenziali in funzione delle dinamiche di sviluppo tecnico-organizzzativo.

3. La governance si basa sulla conoscenza dei processi ed in particolare sull’uso di sistemi che permettano di conoscere nell’intimo le attività e identificare le aree di debolezza, le responsabilità e i loro confini. Il prinicipio fondamentale che dovrebbe diventare parte della cultura degli operatori del SSN è, nel caso del risk management, che ciò che non è scusabile non è l’aver commesso un errore, ma piuttosto il continuare ad operare in un servizio che non fa abbastanza per prevenirlo attraverso un sistema proattivo di conoscenza del Rischio, che altro non è che il prodotto della Probalità per la Gravità. Per le professioni questo significa passare da un regime finalizzato alla mera identificazione di singoli casi di malpractice, ad un regime in cui il mantenimento e perseguimento di una buona qualità dell’assistenza è responsabilità assunta dai singoli team di operatori e professionisti nei confronti del sistema all’interno del quale operano ( e dei suoi utenti). Nessuno meglio degli operatori è ingrado di definire con oggettivtà e affidabilità i determinati dell’evento avverso.

4. Ulteriore indicazione è che per essere efficaci, gli approcci alla governance non possono basarsi esclusivamente sull’improvvisazione, sul “buon senso” e sulla “buona volontà”. L’esempio del sistema aeronautico insegna che per rendere maggiormente sicure ed efficaci le attività c’è necessità di formazione, di metodo, programmazione ed investimenti.

5. Il “sistema dei silos” rende impossibile interventi efficaci. Con questo termine, Degeling e collaboratori identificano la gestione isolata dei vari processi che concorrono a determinare l’assistenza, come l’arruolamento e la formazione del personale, i sistemi qualità, la sicurezza, l’ingegneria clinica e l’HTA (valutazione delle tecnologie sanitarie), l’information technology, il controllo di gestione e gli altri servizi amministrativi. La governance per essere tale, invece, deve necessariamente collegare ed integrare tutte queste funzioni ed attività, all’interno di un processo volto ad assicurare la centralità del paziente e l’eccellenza del sistema assistenziale.

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La Clinical Governance non va confusa con la Governance dell’Azienda Sanitaria. E’ una delle Governance esistenti e deve integrarsi con le altre Governance quali la Research Governance, Information Governance, la Financial Governance, la Technical Governance..., l’Innovation Governance in un’ottica d’integrazione che prende il nome, appunto, di Integrated Governance.

6. In tutto questo progetto, il commitment della Direzione Strategica ossia l’impegno convinto a perseguire questi obiettivi, deve essere forte, evidente e continuativo e deve tradursi anche nell’attivare sistemi premianti per sostenere il cambiamento.

44.. GGLLII SSTTRRUUMMEENNTTII

All’interno di ogni modello operativo i decisori strategici e gli operatori delle diverse aree avranno altresì il compito di scegliere ed utilizzare i vari strumenti della Governance Clinico Assitenziale;

- non dovrebbero essere utilizzati in maniera sporadica e/o afinalistica

- non dovrebbero essere confinati esclusivamente nell’ambito professionale, ma essere integrati in tutti i processi di governo aziendale: strutturali - organizzativi, finanziari e professionali

Di seguito ne puntualizziamo gli obiettivi minimi al fine di omogeneizzare le attese rispetto al loro utilizzo:

4.1. Evidence-Based Practice

• Diffondere I’EBP core-curriculum tra i professionisti sanitari, che dovrebbero essere in grado di:

- Formulare quesiti clinico-assistenziali;

- Ricercare, con la massima efficienza, le migliori evidenze disponibili;

- Conoscere i principi del critical appraisal:validità interna, rilevanza clinica, applicabilità;

- Integrare le evidenze nelle decisioni clinico - assistenziali.

4.2. lnformatlon Management

• Acquisire a livello istituzionale:

- Strumenti per la gestione delle informazioni scientifiche: banche dati, editoria elettronica, internet software di archiviazione bibliografica;

- Competenze per valutare criticamente studi primari e secondari: revisioni sistematiche, linee-guida, HTA reports, analisi economiche, analisi decisionali.

4.3. Data Management

• Migliorare l’interazione e la comunicazione fra i diversi sistemi informativi aziendali. • Sviluppare i database clinici, tenendo come riferimento gli standard internazionali 4.4. Linee Guida e Percorsi Assistenziali

• Sviluppare metodologie per l’adattamento locale di linee guida (LG) e la costruzione di percorsi assistenziali (PA) abbandonando definitivamente l’ambizione di LG teoriche . • Al fine di definire PA evidence-based, condivisi fra i professionisti ed adattati al contesto locale,

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il GIMBE, nel suo ultimo position statement, ha elaborato un frame work che prevede diverse fasi: - Definizione delle priorità, - Costituzione del gruppo di lavoro aziendale multiprofessionale, - Ricerca, valutazione critica ed eventuale integrazione delle LG, - Analisi del contesto locale, adattamento delle LG e costruzione PA, - Definizione delle strategie di diffusione e implementazione dei PA, - Definizione del panel degli indiacatori di processo e di esito, - Verifica dell’impatto dei PA attraverso la pianificazione, conduzione e reporting del clinical audit.

4.5. Health Technology Assessment • Utilizzare modelli e report internazionali di HTA per riorganizzare le modalità di gestione

aziendale(acquisto,manutenzione,dismissione,) delle tecnologie sanitarie, in particolare quando esistono input regionali al governo delle tecnologie)

• Promuovere la diffusione delle tecnologie efficaci e la dismissione di qualunque tecnologia di efficacia non documentata e comunque obsoleta. 4.6. Clinical Audit • Pianificare e condurre audit clinici che, confrontando l’assistenza erogata con gli standard definiti, permettano di:

a. identificare le in appropriatezze, sia in eccesso sia in difetto; b. verificare i risultati conseguenti al processo di cambiamento, in termini di processo e, se possibile di

esito. 4.7. Risk Management

• Considerare l’errore come difetto di sistema e non del singolo professionista. • Pianificare ed implementare programmi aziendali di gestione del rischio clinico 4.8. Formazione continua, training, accreditamento professionale

• Consolidare tra gli operatori sanitari la cultura della formazione continua, intesa come parte integrante della pratica professionale.

• Inserire le attività di ECM (in particolare, la formazione sul campo) nelle strategie multifattoriali mirate alla modifica dei comportamenti professionali.

• Sviluppare strumenti per misurare la qualità tecnico- professionale, sino a definire criteri di training e accreditamento, standardizzando la valutazione di conoscenze, competenze e attitudini.

4.9. Research & Development

• Diffondere tra i professionisti la cultura e gli strumenti della ricerca clinica e sui servizi sanitari, con particolare enfasi allo sviluppo della ricerca indipendente.

• Governare le modalità di coinvolgimento nella ricerca sponsorizzata, al fine di garantirne utilità sociale, metodologia, etica e integrità.

4.10. Staff management

• Definire le strategie di management degli staff per valorizzare le risorse umane, in relazione alle attitudini, conoscenze e competenze dei singoli professionisti.

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4.11. Partecipazione degli utenti

• Coinvolgere i cittadini nella valutazione e nelle modalità di erogazione di servizi e prestazioni sanitarie, sia perché costituisce un loro diritto, sia perché il loro contributo può ridurre l’inappropriatezza della domanda.

55.. AASSPPEETTTTII OORRGGAANNIIZZZZAATTIIVVII

Nel pieno rispetto dei riferimenti normativi di politica sanitaria nazionale e regionale, è utopistico definire un modello organizzativo unitario per l’attuazione del GCA. Alla luce della consistente variabilità delle Aziende sanitarie, la proposta ANMDO PIEMONTE deriva da un ragionevole compromesso tra: - la ponderata valutazione dei riferimenti normativi; - le evidenze scientifiche sull’attuazione del GCA; - l’esperienza maturata dall’ANMDO nella realizzazione di progetti aziendali di GCA in Piemonte e Valle

d’Aosta.

5.1. Il modello organizzativo ANMDO PIEMONTE

• In assenza di una Direzione Strategica e di un Collegio di Direzione motivati e convinti della necessità di sviluppare politiche di Governance Clinico Assistenziale nonché di un modello dipartimentale ben strutturato e funzionante, non sussistono i pre-requisiti organizzativi per la completa attuazione aziendale della GCA.

• La Governance richiede che le persone giuste vengano collocate nei posti giusti, in caso contrario possono verificarsi gravi equivoci. Per persone giuste si intendono professionisti conoscitori della complessità, formati sul metodo e sugli strumenti, motivati all’integrazione multiprofessionale, con esperienza manageriale consolidata e pluriennale. Il percorso formativo assicurato dagli studi igienistico - organizzativi e l’apporto esperienziale derivante dalla quotidiana pratica prevenzionale e manageriale garantiscono, agli specialisti in Igiene e Medicina Preventiva e dell’Organizzazione, un notevole vantaggio nello svolgimento delle funzioni di responsabilità degli uffici di staff funzionali alla Governance, pur nella convinzione che tali attività possano essere proficuamente svolte da figure dirigenziali che alla competenza clinica abbiano affiancato un corposo percorso formativo in ambito specifico (Qualità, Risk Management, Tech. Ass., Igiene Ospedaliera, Controllo di gestione, OSRU, ecc.).

• La complessità e la gestione dei determinati e del metodo della Governance Clinico Assistenziale nelle organizzazioni sanitarie rende invece indispensabile che il Responsabile della Governance Clinico Assistenziale sia il Direttore Sanitario Aziendale; la necessità di interpretare le molteplici istanze provenienti dalle aree cliniche, prevenzionistiche, amministrative, formative rende, inoltre, imprescindibile che la figura del DSA sia ricoperta da uno specialista in Igiene e Medicina Preventiva dal momento che la formazione e le scelte lavorative di questo professionista meglio garantiscono le funzioni di interprete attivo della complessità e facilitatore propositivo dei progetti, tanto necessarie per la corretta implementazione della GCA.

L’onere principale derivante da tali ultime asserzioni appare essere quello che il Direttore Sanitario Aziendale deve conoscere, per interpretarle ed integrarle, i “linguaggi” degli altri Attori della GCA e questo deriverà una continua ed assidua volontà di aggiornamento.

E’ altresì chiaro come l’uso eccessivo della delega di aspetti critici della professione (igiene ospedaliera, gestione del personale, contrattualistica, valutazione, progettazione, ecc.) contrasti con questa visione olistica della professione dell’igienista organizzatore.

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Il Direttore Sanitario di Azienda deve ideare i piani applicativi della GCA e promuoverne l’implementazione in tutte le realtà aziendali (servizi ospedalieri, distrettuali e di prevenzione), inizialmente mediante un’attenta attività ricognitiva, seguita da un’intensa attività formativa protesa a fare emergere nel personale una cultura positiva di apprendimento e di collaborazione, culminata nella valutazione di efficacia delle azioni intraprese. La Direzione Sanitaria Aziendale è responsabile dell’organizzazione dei servizi sanitari, intendendo per servizi sanitari non solo quelli francamente sanitari, a direzione medica e infermieristica, ma anche quelli comunque rivolti alla promozione e al mantenimento della salute degli operatori, dei pazienti, della popolazione in generale. La Direzione Sanitaria Aziendale deve quindi definire il modello organizzativo dei vari sistemi interessati alla CGA e attivare le strategie necessarie a renderlo operativo. La DSA disegna, quindi, l’albero decisionale in materia , istituisce e gestisce Comitati, gruppi operativi, gruppi di lavoro, applicando le logiche tipiche della programmazione per obiettivi, cioè organizzare un sistema di interrelazioni tra i diversi attori che faciliti la comunicazione, la comprensione dei problemi, la messa in atto di soluzioni applicabili, che tengano conto dei vari aspetti del problema e delle conseguenze delle soluzioni stesse, la trasparenza delle decisioni, la redazione di istruzioni facilmente comprensibili, promuovere il processo di valutazione dei rischi e la sua gestione, promuovere una cultura positiva di segnalazione degli eventi avversi e di apprendimento dagli errori (ricerca del perché e del come, non delle colpe). Al DSA pervengono le indicazioni della Direzione Strategica e del Collegio di Direzione ed egli riferisce in tema a tali organismi in maniera sia puntuale sia organica con una relazione annuale sullo stato di avanzamento progettuale.

• Dal canto suo il Direttore Sanitario di Area (presidio ospedaliero, distretto territoriale, dipartimento di prevenzione) la cui professionalità è tutelata dalla regolamentazione di accesso agli incarichi di struttura complessa, è ugualmente interprete dei diversi “linguaggi” presenti nel presidio sanitario da lui diretto ed è il garante dell’applicazione operativa sistemica.

Deve operare concretamente sugli episodi e mettere in atto iniziative sistemiche e preventive mediante l’analisi dei bisogni assistenziali ed organizzativi prioritari, elaborando programmi complessivi di continuità assistenziale, appropriatezza, sicurezza, prevenzione per la gestione del rischio clinico e prevedendo specifici interventi di formazione, di rinnovo tecnologico, di revisione dei percorsi assistenziali, di informatizzazione dei processi assistenziali, di revisioni o modifiche organizzative quali - quantitative. Soprattutto la continuità assistenziale e la prevenzione degli eventi avversi richiedono espressamente un approccio multidisciplinare che il medico igienista di direzione sanitaria, forte delle sue specifiche competenze, favorisce insieme il dialogo tra i diversi professionisti della rete assistenziale, conoscendo la necessità di non prevaricare o sostituirsi ai professionisti stessi, e interpretando spesso, suo malgrado, il ruolo certamente non facile di metodologo e facilitatore.

• Considerato l’insuccesso dei progetti di GCA a performance “top-down”, è indispensabile attuare gli strumenti della GCA con modalità “bottom-up”, previa costituzione delle reti Reti Trasversali Tematiche multiprofessionali per la GCA.

• Pur rispettando la libertà organizzativa delle singole Aziende, appare consigliabile che le Reti Trasversali Tematiche siano coordinate da strutture snelle in cui poche figure professionali preparate e motivate si interfacciano quotidianamente con i referenti periferici; tale modello garantisce una buona sostenibilità ed una quotidiana conoscenza della realtà decentrata.

• In una prima fase, l’evidenza scientifica prevede la costituzione di una rete dipartimentale dei facilitatori di GCA; successivamente la rete dove essere ampliata a livello delle UO. Nel territorio le reti devono essere sempre innestate sulle strutture organizzative esistenti: distretti, nuclei di cure primarie.

• Le reti per la GCa (flg. 3) devono essere strutturate in unità trasversali di supporto alle attività di GC ed il ruolo dei facilitatori dove essere istituzionalizzato e riconosciuto.

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• Per ottimizzare il coordinamento delle reti e dei progetti di GCA, gli uffici di staff (qualità, formazione, accreditamento) devono essere riqualificati e sottoposti ad un processo di riorganizzazione.

• La definizione degli obiettivi e delle attività di GCA dovrebbe essere effettuata in maniera esplicita in occasione della concertazione di budget.

Direttore Sanitario Aziendale Responsabile Governo Clinico

STAFF (Qualità, Rspp, Risk, Osru, Urp, Formazione, ecc.)

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Collegio di Direzione

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Direttore Medico di Presidio Responsabile Gestione

Governance Clinico Assistenziale

Direttore Area Territoriale (Direttore Dipartimento cure primarie)

Responsabile Gestione Governance Clinico Assistenziale

Direttore Dip.Prev. Responsabile Gestione Governance Clinico

Assistenziale

Direttore Sanitario Aziendale Responsabile Governance Clinico Assistenziale

STAFF (Qualità, Rspp, Risk, Osru, Urp, Formazione, ecc.)

DG

DA

Collegio di Direzione

RREETTEE TTRRAASSVVEERRSSAALLEE

TTEEMMAATTIICCAA

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• In un’Azienda sanitaria possono essere identificati due livelli di attuazione della GCA:

• I Comitati di Dipartimento e di Distretto devono programmare incontri periodici per la pianificazione e valutazione delle attività della GCA.

• L’Azienda deve evitare la proliferazione incontrollata dei progetti di GCA, altamente predittiva di insuccesso. Quali indicazioni generali di sostenibilità:

- a livello macro, attuare 2-3 progetti/anno, spesso su committment regionale; - a livello meso, coinvolgere tutti i dipartimenti in almeno 1 progetto (mono o interdipartimentale), evitando di impegnare ciascun dipartimento in più di 3 progetti/anno.

66.. LLEE ““AABBIILLIITTÀÀ”” DDEELLLLAA DDIIRREEZZIIOONNEE SSAANNIITTAARRIIAA

“….. quanto più un lavoro è complesso, tanto più conta l’intelligenza emotiva, se non altro perché una carenza in queste abilità può ostacolare l’uso dell’expertise tecnica e delle doti intellettuali, per quanto pronunciati essi siano.”

D. Goleman, “Lavorare con intelligenza emotiva”, BUR, XII edizione, 2006.

La Direzione Sanitaria appare delineata quindi come una funzione di leader professionale capace di leggere, interpretare la complessità dei sistemi sanitari moderni al fine di garantire il più alto di livello di qualità sostenibile in un determinato contesto storico, culturale ed economico. Come ormai delineato in maniera certa dalla letteratura, il raggiungimento di simili obiettivi è funzione del possesso di capacità intellettuali e tecniche importanti accompagnate da un buon bagaglio di competenze emotive in parte innate all’individuo, in parte coltivate con un percorso formativo e culturale specifico. Secondo la ricerca americana ”le attitudini di cui si ha bisogno per essere efficaci nella professione cominciano dall’intelletto, ma occorre anche competenza emotiva per far emergere compiutamente le potenzialità tecniche. La ragione del perché non otteniamo il pieno potenziale dalle persone, va ricercata nell’incompetenza emotiva”.

6.1 L’intelligenza emotiva

La nozione di intelligenza emotiva , già descritta da Howard Gardner nelle due forme, intrapersonale e interpersonale, è stata tuttavia sviluppata nei suoi molteplici componenti e conseguenze pratiche da Daniel Goleman , il quale distingue due principali sottocategorie:

a. Le competenze personali , riferite alla capacità di cogliere i diversi aspetti della propria vita emozionale;

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b. le competenze sociali , relative alla maniera con cui comprendiamo gli altri e ci rapportiamo ad essi. 6 a. L'intelligenza emotiva personale Comprende la consapevolezza di sé, che ci porta a dare un nome e un senso alle nostre emozioni negative, aiutandoci a comprendere le circostanze e le cause che le scatenano; più in generale essa permette una autovalutazione obiettiva delle proprie capacità e dei propri limiti, così da riuscire a proporsi mete realistiche, scegliendo poi le risorse personali più adeguate per raggiungerle. Anche l'autocontrollo fa parte delle competenze personali. Esso implica la capacità di dominare le proprie emozioni, il che non vuol dire negarle o soffocarle, bensì esprimerle in forme socialmente accettabili. L'incapacità di gestire le proprie emozioni, può portare infatti ad agire in maniera inopportuna, e magari a forme di esagerata aggressività nei confronti degli altri, offrendo di sé un'immagine ben poco lusinghiera. Chi è padrone di sé, riesce di solito a comportarsi in maniera appropriata alla situazione, tenendo conto delle regole del vivere sociale, riconoscendo le proprie responsabilità e i propri errori, rispettando gli impegni presi e portando a compimento i compiti assegnatigli. Tra le competenze personali può essere inoltre collocata la capacità di alimentare la propria motivazione, mantenendola anche di fronte alle difficoltà o quando le cose non vanno come avevamo previsto o speravamo. La capacità di motivarsi è formata da una giusta dose di ottimismo e dallo spirito di iniziativa, attituidini che spingono a perseguire i propri obiettivi, reagendo attivamente agli insuccessi e alle frustrazioni. 6 b. L'intelligenza emotiva sociale E' costituita da quell'insieme di caratteristiche che ci permettono di relazionarci positivamente con gli altri e di interagire in modo costruttivo con essi. Una delle componenti più importanti di questo aspetto dell'intelligenza è costituita dall'empatia , ossia dalla capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti negli altri, ponendoci idealmente nei loro panni e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di vista, gli interessi e le difficoltà interiori. Essere empatici significa percepire il mondo interiore dell'altro come se fosse il nostro, mantenendo tuttavia la consapevolezza della sua alterità rispetto ai nostri punti di vista. La comunicazione , altra attitudine "sociale", è invece la capacità di parlare agli altri, facendo coincidere il contenuto esplicito dei messaggi (trasmesso dalle parole) con le proprie convinzioni ed emozioni (involontariamente rivelate attraverso il linguaggio del corpo). Comunicare in maniera efficace è anche saper ascoltare e fare domande, mantenendo una reale attenzione alle risposte emotive dei nostri interlocutori.

Secondo Goleman , l'intelligenza emotiva si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento, diretto soprattutto a cogliere i sentimenti e le emozioni, nostri e altrui, indirizzandoli in senso costruttivo. Se, infatti, l'intelligenza legata al QI (Quoziente Intelletivo) tende a stabilizzarsi intorno ai 16 anni (per incominciare lentamente a declinare negli anni della maturità), l'intelligenza emotiva può essere migliorata nel corso di tutta la vita

6.2 Le Competenze Emotive

L’intelligenza emotiva determina la nostra potenzialità di apprendere le capacità pratiche basate sui suoi cinque elementi: consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali. La nostra competenza emotiva dimostra quanto, di quella potenzialità siamo riusciti a tradurre in reali capacità pronte per essere messe in atto nella professione. Il semplice fatto di essere dotati di intelligenza emotiva non garantisce di acquisire le competenze che davvero contano nella professione, significa solo che si hanno le massime possibilità per apprenderle. Le competenze emotive possono essere classificate in gruppi, ciascuno dei quali fondato su una particolare capacità dell’intelligenza emotiva. Le capacità fondamentali dell’intelligenza emotiva sono di vitale importanza affinché gli individui riescano ad apprendere le competenze professionali necessarie per avere efficacia nella professione. Se un professionista è carente nelle abilità sociali, ad esempio, non riuscirà a persuadere o a ispirare gli altri, né ad assumersi la leadership di un team o a catalizzare il cambiamento. Chi ha scarsa consapevolezza di sé tende a dimenticare le proprie debolezze, e allo stesso tempo non avrà la fiducia in se stesso che deriva dalla sicurezza sui propri punti di forza.

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6.3 L’expertise

La nostra competenza nella vita quotidiana, oltre che dal QI, è determinata dalle capacità pratiche e dalle abilità tecniche di cui siamo padroni. Indipendentemente dal nostro potenziale intellettuale, è l’expertise (la totalità di informazioni specialistiche e abilità pratiche di cui disponiamo) a darci la competenza per svolgere un determinato lavoro. In larga misura l’expertise consiste anche, in una combinazione fra il buon senso e le conoscenze e le capacità specialistiche che andiamo raccogliendo nel fare qualsiasi lavoro. L’expertise è l’apprendimento in trincea; è la consapevolezza dei trucchi del mestiere, quell’autentica conoscenza sul come fare una professione che deriva solo dall’esperienza. Gli studi recenti hanno tuttavia dimostrato che l’intelligenza pratica rappresenta raramente il principale determinante della superiore efficacia di una prestazione professionale. L’expertise è una competenza di base che è fondamentale per ottenere un determinato incarico e portarlo a termine, ma la qualità della prestazione è determinata dal modo in cui vengono svolte le attività. Chi, come la direzione sanitaria, è per esempio, incaricato della supervisione del lavoro svolto da altri professionisti e tecnici, deve possedere un certo grado di expertise nel settore specifico; sarebbe impossibile svolgere una simile attività senza una ragionevole comprensione di ciò che le persone da controllare stanno facendo. D’altra parte, quell’expertise è solo un requisito soglia in quanto anche in campi eminentemente tecnici, i supervisori eccellenti non si distinguono per le loro abilità tecniche, ma per la capacità di confrontarsi con le persone.

6.4 Le competenze professionali

Le organizzazioni sanitarie, come molti altri sistemi organizzativi che animano le società contemporanee, stanno passando, fra difficoltà e resistenze di ogni sorta, da un tipo di gestione uniformante, indifferenziata ed omogenea, ad una gestione capace di cogliere le unicità dei molteplici interlocutori dell’ospedale, interni ed esterni. Questa transizione dall’idea di massa ad un tessuto intricato di soggettività organizzativa sta delineando una nuova ecologia delle organizzazioni, multidimensionale e complessa. I fattori immateriali come la conoscenza, i servizi, le informazioni, le relazioni personali ne costituiscono le componenti essenziali in questa nuova ecologia ospedaliera l’esperienza organizzativa è il risultato di pratiche operative fra attori che interagiscono fra loro in relazioni molteplici dislocate in localismi diversi. Sono stimolati dal responsabile del governo clinico che orchestra, nell’ambito di un sistema a rete caratterizzato dalla non-linearità e dalla tendenza all’auto-organizzazione tipica dei sistemi complessi, gli effetti originati dalla loro mutua interazione. Il direttore sanitario aziendale ed il direttore medico di presidio ospedaliero, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, assumono oggi un ruolo nuovo che si caratterizza per compiti di governo di grande importanza, che richiedono una formazione culturale specifica e ben diversa dai canoni tradizionali ma solidamente innestata in una formazione igienistica. L’approccio preventivo-proattivo sta progressivamente puntando all’identificazione, alla misura e al controllo dei più svariati fattori critici potenzialmente presenti nel contesto delle organizzazioni sanitarie, nonché alla realizzazione di livelli tecnologici ed organizzativi in grado di rispondere alle necessità dettate dai bisogni. In una organizzazione ben diretta l’effettiva comunicazione con tutto lo staff della visione e dei metodi della Governance Clinico Assistenziale è di importanza fondamentale, fornisce un linguaggio ed un sentire comune, chiarisce gli obiettivi e le aspettative. In particolare, le capacità di indirizzo, coordinamento, supporto e verifica del direttore sanitario di azienda e quelle organizzative, gestionali ed operative del direttore medico di presidio ospedaliero garantiscono il rafforzamento del lavoro di squadra, creano una cultura aperta e sensibile e assicurano che la gestione quotidiana e quella verso cui si tende rimangano parte integrale di ogni servizio clinico. Dall’insieme delle funzioni ci pare sia opportuno porre particolare accento sulle articolate competenze del direttore sanitario, aziendale e di presidio ospedaliero, che sono essenzialmente quattro:

• una di tipo manageriale, riconducibile alla funzione di “Responsabile della Governance” • una seconda di tipo organizzativo,

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• una terza di tipo igienico-sanitaria e di prevenzione, promozione della salute • una quarta orientata al sistema di valutazione e della qualità dell’assistenza.

Così delineate e descritte, le principali abilità della Direzione Sanitaria in termini di Governance possono essere riassunte nello schema successivo, precisando che, a seconda del ruolo svolto (aziendale o di presidio/area), della complessità aziendale, del contesto storico e del momento culturale, esse potranno essere variamente “coltivate” ed utilizzate dal professionista di direzione sanitaria chiamato a gestire la complessità sanitaria.

CCUURRRRIICCUULLUUMM FFOORRMMAATTIIVVOO

Determina il modo in cui controlliamo noi stessi Laurea Medicina e chirurgia

Specializzazione Igiene e medicina preventiva

Master dottorati, corsi pluriennali

Organizzazione dei servizi sanitari, gestione delle risorse professionali,

valutazione di risultato, analisi di processo, technology assessement.

Ricerca Partecipazione a studi pluricentrici, a benchmarking settoriali, definizione di

linee guida o percorsi assistenziali, pubblicazione dei risultati su riviste

specialistiche e atti congressuali

Docenza Presso scuole di specialità, corsi di laurea per medici e professionisti sanitari,

presso master specialistici o scuole professionali.

CCOOMMPPEETTEENNZZAA PPRROOFFEESSSSIIOONNAALLEE

Determina il modo in cui controlliamo noi stessi

Manageriale

Valutazione dei bisogni

Programmazione

Valutazione dell’appropriatezza ed efficacia

Lettura della complessità

Benessere organizzativo

Gestione del contenzioso

Valutazione della sostenibilità

Organizzativo

Progettazione ed utilizzo delle reti informative ed informatiche

Sistemi di classificazione delle prestazioni

Modelli organizzativi delle aree sanitarie

Integrazione interaziendale ed extraziendale

Rapporti con gli Stakeholder

Certificazione

Igienico-sanitaria e di prevenzione, promozione della salute

Igiene delle strutture sanitarie

Edilizia Sanitaria

Comunicazione

Metanalisi

EBP

Valutazione e della qualità dell’assistenza

Analisi dei processi

Audit e strumenti di analisi proattiva

Gestione dell’innovazione (tech. Assessement, valutazione di impatto)

Medicina traslazionale

Controllo di gestione (Balanced Score Card, definizione panel indicatori, ecc)

Interpretazione dei risultati

Trasparenza e tutela dell’organizzazione sanitaria

EBM, EBHC

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CCOOMMPPEETTEENNZZAA PPEERRSSOONNAALLEE Determina il modo in cui controlliamo noi stessi

Consapevolezza di sé

Comporta la conoscenza dei propri stati interiori — preferenze, risorse e intuizioni

• Consapevolezza emotiva: riconoscimento delle proprie emozioni e dei loro

effetti

• Autovalutazione accurata: conoscenza dei propri punti di forza e dei propri

limiti

• Fiducia in se stessi: sicurezza nel proprio valore e nelle proprie capacità

Padronanza di sé

Comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse

• Autocontrollo: dominio delle emozioni e degli impulsi distruttivi. • Fidatezza: mantenimento di standard di onestà e integrità.

• Coscienziosità assunzione delle responsabilità per quanto attiene alla propria.

prestazione .

• Adattabilità flessibilità nel gestire il cambiamento.

• Innovazione: capacità di sentirsi a proprio agio e di avere un atteggiamento. aperto di fronte a idee, approcci e informazioni nuovi.

Motivazione

Comporta tendenze emotive che guidano o facilitano il raggiungimento di obiettivi

• Spinta alla realizzazione: impulso a migliorare o a soddisfare uno standard

di eccellenza. • Impegno: adeguamento agli obiettivi del gruppo o dell’organizzazione.

• Iniziativa: prontezza nel cogliere le occasioni.

• Ottimismo: costanza nel perseguire gli obiettivi nonostante ostacoli e

insuccessi.

CCOOMMPPEETTEENNZZAA SSOOCCIIAALLEE

Determina il modo con cui gestire le relazioni con gli altri

Empatia Comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui

• Comprensione degli altri: percezione dei sentimenti e delle prospettive altrui; interesse attivo per le preoccupazioni degli altri.

• Assistenza: anticipazione, riconoscimento e soddisfazione delle esigenze del cliente.

• Promozione dello sviluppo altrui: percezione delle esigenze di sviluppo degli altri e capacità di mettere in risalto e potenziare le loro abilità. Sfruttamento della diversità saper coltivare le opportunità offerte da persone di diverso tipo.

• Consapevolezza politica: saper leggere e interpretare le correnti emotive e i

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rapporti di potere in un gruppo.

Abilità sociali Comportano abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri:

• Influenza: impiego di tattiche di persuasione efficienti • Comunicazione: invio di messaggi chiari e convincenti • Leadership: capacità di ispirare e guidare gruppi e persone • Catalisi del cambiamento: capacità di iniziare o dirigere il cambiamento • Gestione del conflitto: capacità di negoziare e risolvere situazioni di disaccordo • Costruzione di legami: capacità di favorire e alimentare relazioni utili • Collaborazione e cooperazione: capacità di lavorare con altri verso obiettivi comuni • Lavoro in team capacità di creare una sinergia di gruppo nel perseguire obiettivi comuni

77.. PPRROOBBLLEEMMAATTIICCHHEE AAPPEERRTTEE

7.1. Generali

• Aspettative non sempre convergenti fra professionisti e manager. • Assenza di un approccio epidemiologico alla pianificazione sanitaria. • Peso limitato delle evidenze scientifiche nelle macrodecisioni aziendali, specie se esistono tensioni tra appropriatezza e volumi (e conseguenti rimborsi) delle prestazioni sanitarie. • Contrasti fra “interessi” aziendali, dipartimentali, di UO e professionali. • Difficoltà nel conciliare gli obiettivi dell’Azienda Ospedaliera (produzione) con quelli dell’Azienda USL (committenza).

7.2. Relative alle reti per il GC • Qualificazione professionale sugli strumenti della GCA, tramite l’acquisizione del core-curriculum. • Definizione di nuove responsabilità e ruoli professionali. • Necessità di “tempo dedicato”.

7.3. Relative agli uffici di staff • Necessità di qualificazione e riorganizzazione degli uffici di staff (qualità, formazione, accreditamento,

ecc),strettamente connessi alle attività di GCA. • Possibili tensioni con le reti per la GCA. • Necessità di integrazione fra attività di GCA e formazione, in particolare lriguardo alla “formazione sul

campo”.

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