AngoloPoesiaN31

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Sovera edizioni angolo della poesia n. 31

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ASSIOMI DEL NEGEBdi Renzo Piccoli

È appena uscito questo testo poetico in forma assioma-tica, come dice il titolo.Renzo Piccoli ci ha avvezzati a un versificare non bana-le, sempre più raffinato, denso di simbolismo e di sen-so. Di lui si potrà dire che essere prossimo al verticedella liricità, non l’ha reso inaccessibile al lettore.A differenza di quanto disse un amico di partito di Al-do Moro, che avrebbe raggiunto il sublime quandofosse divenuto incomprensibile a se stesso. Il lettore siavvantaggerà da una prima visione del testo e da suc-cessive riletture. Come in un caleidoscopio si avvicen-deranno le immagini e i significati.Negli Assiomi del Negeb prosegue e si perfeziona il lin-guaggio aforistico che si rileva in Si fa per dire. NellaProtasi l’autore fissa alcuni principi base della propriapoetica. Tra cui il ruolo della Donna per scoprire l’in-treccio “tra ciò che si ritiene reale e le forze immagina-rie”. Inoltre, “l’esigenza di enucleare la verità”.Sono in tutto ventinove composizioni di cui venticin-que scritte nel breve periodo tra un 7 ottobre e un 29dicembre, in vari contesti. Per lo più di viaggio o du-rante spostamenti del poeta fuori della città di Bolo-gna. L’autore segna puntualmente l’ora e il minuto incui è stato ispirato.

Le ultime quattro composizioni portano date tra giu-gno e settembre.Si ipotizza dell’anno appena trascorso o chi sa? Se ilpoeta avesse voluto, lo avrebbe precisato. Il fatto di es-sere state vergate, si presume, di getto e in condizioniprecarie, alla stazione, al bar, in viaggio, al teatro…spiega l’incisiva immediatezza del testo. Come chi ècolto da ispirazione creativa. Per questo, forse, il titolo di Assiomi dato all’insieme.Tuttavia, il contenuto è assai elaborato e denso, fruttodi una lunga incubazione. Così le rappresentazioni e isignificati si susseguono vorticosamente, vestiti da unlinguaggio immaginifico.Un esempio per tutti, i versi di chiusura dell’ultimacomposizione:

Sostienimi, odioamata terra,se da quassù il barlume solennespezza diacroniche certezzee proietta industredesideri di irrefrenatabellezza.Solo la poesia riesce a concentrare e condensare tantesuggestioni ed evocazioni, con tale incisività e forza. Ilpoeta, colto da raptus divino, il daimon, se ne fa por-tavoce universale.

S.M.

L’ANGOLODELLA POESIA

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Da silloge inedita di Luciano Tricarico.

La mia terraApluvia,

antica come antico ne è il ricordo,sei suolo di conquista,

crocevia di popoli,lembo estremo dell’italico stivale,

fole e leggende si intrecciano sul tuo passato,

come serpi in amore.Arsa terra rossa

dai secolari ulivi contorti,sei cinta dal verdazzurro del mare,

che come un canto di sirenainvita ad immergersi in esso.Generoso compagno a voltea volte implacabile nemico,

amato dalle sue genti,forgiate alle durezze del vivere.

Affascinante femmina dal velato mistero,incanti il viandante

ottenebrandone i sensi.Oh terra mia

ti fui portato lontano,dove il sole è flusco di nebbie,

ed il mare ha il colore del plumbeo temporale,

raro il sorriso.Ti lasciai terra mia,

nel corpo e nel ricordo,rincorrendo il senso

di un’immagine riflessa,nel concavo specchio del tormentato animodi un io sconosciuto.In là ti ho ritrovata, hai aperto le braccia

accogliendomi al pettodolce amante,

baciando le mie labbra come la giovane sposa

al ritorno del suo marinaio.I piedi il tuo suolo

non calcano ancora,ma nel mio cuore ti porto,

come il battito.Presente.

Il poeta Luciano Tricarico è già stato apprezzato per lasilloge Alterni momenti, pubblicata con Sovera nel2011, che ha ottenuto riconoscimenti. La lirica La mia terra riprende un tema caro, quale iltrapianto per necessità in una regione del nord-est, chenonostante il felice attecchimento, non basta a lenire lanostalgia e il rimpianto per la natia Puglia, baciata dalsole e lambita dal mare. Delicatezza di espressione e commozione pervadono iversi.

S.M.

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RIENTRO (1992)

L’alba che incalzavaSpense gli ultimiLumi della notte

Sopra la cittàChe ancora dormiva

Attorno al cuore Delle mura millenarie

Ed io randagio Uscii diretto ai Colli

Fermai a un bar

Per un caffèE caldi croissant

Lì meditaiQuel che avevo Appena vissutoUn incontroUn amore

Un commiato

Il poeta rende l’atmosfera sognante del passaggio dallanotte al giorno rielaborando l’esperienza appena vissuta,della quale rimane una traccia dolceamara di nostalgia.

TEOLOGIA IN VERSI“ di Raniero Seri

È appena uscito, con l’Editore Sovera, questo testo diliriche dal contenuto religioso, una sorta di poetico ca-techismo divulgativo.La tradizione popolare e la letteratura italiana è ricca diesempi di testi sacri sotto forma di Cantiche o SacreRappresentazioni. Basta citare Francesco d’Assisi con ilsuo Cantico delle Creature. Per purezza e liricità si puòfare riferimento al biblico Cantico dei Cantici, fram-mento insuperato per intensità sensuale e ricchezza diimmagini.Altro esempio di testi, nel primo sorgere del volgare,sono le Laudi di Iacopone da Todi. Il lettore che acco-sterà le composizioni di Don Raniero Seri potrà trova-re eccessivi questi confronti. Credo che soprattuttoverso la poesia occorra avere un atteggiamento scevroda pregiudizi e spocchia intellettuale. Per ogni formadi creatività l’indice di gradimento spetta al fruitore.Diversamente, non resteremmo incantati di fronte allepitture rupestri dei nostri antenati di ottomila anni fa.Don Seri lascia fluire l’ispirazione a ruota libera, senzapreoccupazioni formali, interessato più a comunicareal lettore un significato immediato. È persona colta,come deve esserlo il sacerdote che predica ai fedeli, par-ticolarmente ferrato su tematiche religiose e sui testisacri, Bibbia e Nuovo Testamento.A questi egli dedica la maggiore attenzione. La devo-zione popolana non lo riduce al bigottismo o alla sem-plice acquiescenza al dogma e ai principi religiosi. Qua e là traspare qualche lieve irriverenza, inaspettata(ma non troppo) in un sacerdote. Del resto, nella tra-dizione popolare questa irriverenza è nota e, a volte,

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coltivata. Com’è nel caso esemplare del rapporto tra iNapoletani e San Gennaro. Don Raniero Seri allarga losguardo anche a temi conflittuali come quello del ruo-lo della Chiesa ufficiale. Nella composizione “ Il Vati-cano “ si legge:

Si biasima tanto, perché non è santo, lo stato villaggio, che offre vantaggio.E dopo l’impero che è detto romano,ci viene il governo del gran Vaticano.Tesori sicuri su tutti quei muri,…

Da buon parroco, l’autore affronta problemi dottrinarilegati alla fede cristiana. Altro tema sono i Sacramenti,tra cui il battesimo e il matrimonio, e la pratica dellaeucaristia. Tutto non si riduce a una semplice celebra-zione, ma ad una convinta riaffermazione dei capisaldisu cui si regge la fede. In primo luogo c’è il principiodell’amore e della solidarietà verso il proprio simile.L’opera in versi di Don Seri non è quindi mera celebra-zione rituale, ma tentativo di riproporre in modo popo-lare e accessibile le verità cristiane. È un ritornare alleorigini, quando Gesù parlava il linguaggio degli umili.Sulla sua scia i primi apostoli ed evangelizzatori. Solodopo, si passa a disquisizioni dottrinarie sempre piùsottili, ma tali da creare profonde lacerazioni tra i cri-stiani. Si bolla di eretici gli avversari. Così la fede, nataper rendere tutti fratelli, scatena le più sanguinose guer-re in nome della purezza dei principi. Si giustificanospedizioni contro eretici e infedeli. Fino a che il simbo-lo delle croce assume la forma della spada dei Crociati.La poesia di Don Seri pare piuttosto evocare il pacificoDiscorso della Montagna: “Beati gli umili, beati coloroche soffrono ...”. Ecco l’unica giustificazione della fede:lenire la sofferenza e dare una speranza. Soprattutto sti-molare alla fratellanza universale. Da questo punto divista, il generoso tentativo dell’autore può essere accol-to con simpatia e favore. Perché usa il veicolo della poe-sia, semplice e accessibile, anziché il sermone dotto,pieno di condiscendenza verso l’uditore.

S.M.

IL FILO

L’ho mescolato con altri fili quello che mi sembrava ilpiù bello, il più forte. Era un filo nodoso, inserito sul-

la parte alta della fronte, per dar vigore ai miei occhi.Poi si è staccato e mi ha mostrato un orizzonte sbiadi-to, in mezzo a macchie scure che vagavano libere den-tro il vitreo che sostiene la pupilla. Ha fatto così, si èmostrato come il gambo leggero di un fiore dai petaliesili, colorati di cerulo sfumato dentro i miei occhi. Poiuna, due piccole pozze nere, ad impedire la vista allosguardo, o a metterlo in gioco, per vedere cosa mai po-teva succedere a un paio d’occhi qualunque di unadonna qualunque. È successa una cosa incredibile, il mio occhio sinistro èdiventato un foglio bianco segnato da fiocchi grigi, ditanto in tanto un segmento marrone univa i punti di-stanti e nella fretta gli angoli e le geometrie affaticate,provavano a rincorrersi, come ragnatele impazzite. Eadesso, pensavo io? Ma ecco che un angolo si apre e ve-do chiaramente, fra quei segni, la montagna che mi stadi fronte. Strizzo forte l’occhio mentre penso che quel-le righe se ne sarebbero andate, ma quel grumo scom-posto insiste, concedendomi un vicolo stretto che mioffre ancora la montagna imbiancata. Mi spiace per lamontagna che meritava un altro guardare e l’occhio si-nistro sa di essere inadeguato. Forse per rispondere al-la sua domanda d’aiuto, l’occhio destro lo ha imitato.E il suo vitreo ha catturato due linee rette calpestate dipunti neri, simili a rondini immobili in cima ai cami-ni, in attesa di un cenno del cielo. La montagna è ri-masta ferma ad osservare l’evento, intuendo che pupil-le rigate avrebbero attraversato il suo corpo per la pri-ma volta. E non sapeva se dispiacersene o rallegrarsene.Il vitreo dell’occhio sinistro ha mostrato movenze dan-zanti, silenzi d’acqua stagnante abitati da piccoli pescidisperati nella ricerca d’ossigeno. Come menti allo sbando nella caccia di un ricordo ve-ro, le macchie abbracciate in un batter d’ali fosfore-scenti, veloci come merli acquatici scaltri, osservano ilmondo come storpi che vogliono correre. Gli artiscomposti mimano le movenze sicure del tuo incedere,che mai riusciranno ad imitare. Merli menomati den-tro i miei occhi, presi al laccio dal filo, che li fa prigio-nieri.E la montagna ora è lontana, la neve si è sciolta e ilbianco allontanandosi ha liberato i merli dai miei oc-chi sollevati nel lasciare i fili. I vitrei hanno adattato ilcorpo, pregustando il tempo di una nuova cronicità.Attendono pazienti il ritorno della neve, che bianca eserena li accarezzi piano. Resta un mondo di cose mac-chiate di nero e di lampi, a spiegare all’occhio la suaeutanasia.

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€ 6,00 - Autorizzazione Tribunale di Roma 153/2004 dell’8/04/2004

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