ANGELO CARDINALE, AUTORE DI BEST-SELLER SCOLASTICI · Carlo Ramondetta: “Questo ragazzo vuole...

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1 ANGELO CARDINALE, AUTORE DI BEST-SELLER SCOLASTICI Prof. Savino Carrella Mentre anche i più modesti romanzi o saggi presentano in quarta di copertina o sui risvolti notizie sull’autore, chissà perché i testi scolastici non forniscono mai notizie su chi li ha scritti. E così milioni di studenti sudano per anni sulle pagine di autori senza volto, dei quali non si conoscono né carriera né studi né provenienza. È anche per questo che pubblichiamo questa lunga chiacchierata con Angelo Cardinale, in rappresentanza di tutti gli autori che faticano anni per approntare i libri di testo per le nostre scuole. Angelo Cardinale è nato a Palazzolo Acreide (Siracusa) nel 1938 ed è autore di numerosi testi scolastici, tra cui i corsi di lingue classiche I greci e noi e Le ragioni del latino, entrambi pubblicati da Ferraro e adottati anche nella nostra scuola. Ma i legami tra Angelo Cardinale e Palma Campania, compreso il nostro liceo, sono, come vedremo, molto stretti e significativi. Fino a quando sei rimasto a Palazzolo Acreide? Fino alla quarta elementare. Poi è morta mia madre e mi hanno mandato in collegio. Sul letto di morte mia madre raccomandò a un nostro parente, un servo di Maria, padre Carlo Ramondetta: “Questo ragazzo vuole studiare, portalo con te”. Mio padre invece avrebbe voluto che io lavorassi nell’azienda di famiglia. Mi ritrovai così a Villa Carrella, sede dei Servi di Maria a Saviano. Ma poi sei venuto a Palma. Sì, a Saviano sono rimasto pochi giorni perché non mi trovavo bene. Sono così arrivato al collegio dei Servi di Maria di Via San Felice. Qui hai frequentato la quinta elementare? No, mi fecero un esamino e stabilirono che potevo frequentare direttamente la prima media. Così non ho mai conseguito la quinta elementare. È la prima anomalia della mia carriera di

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ANGELO CARDINALE,

AUTORE DI BEST-SELLER SCOLASTICI

Prof. Savino Carrella

Mentre anche i più modesti romanzi o saggi presentano in

quarta di copertina o sui risvolti notizie sull’autore, chissà

perché i testi scolastici non forniscono mai notizie su chi li ha

scritti. E così milioni di studenti sudano per anni sulle pagine

di autori senza volto, dei quali non si conoscono né carriera né

studi né provenienza. È anche per questo che pubblichiamo

questa lunga chiacchierata con Angelo Cardinale, in

rappresentanza di tutti gli autori che faticano anni per

approntare i libri di testo per le nostre scuole.

Angelo Cardinale è nato a Palazzolo Acreide (Siracusa) nel

1938 ed è autore di numerosi testi scolastici, tra cui i corsi di

lingue classiche I greci e noi e Le ragioni del latino, entrambi

pubblicati da Ferraro e adottati anche nella nostra scuola. Ma i

legami tra Angelo Cardinale e Palma Campania, compreso il

nostro liceo, sono, come vedremo, molto stretti e significativi.

Fino a quando sei rimasto a Palazzolo Acreide?

Fino alla quarta elementare. Poi è morta mia madre e mi

hanno mandato in collegio. Sul letto di morte mia madre

raccomandò a un nostro parente, un servo di Maria, padre

Carlo Ramondetta: “Questo ragazzo vuole studiare, portalo

con te”. Mio padre invece avrebbe voluto che io lavorassi

nell’azienda di famiglia. Mi ritrovai così a Villa Carrella, sede

dei Servi di Maria a Saviano.

Ma poi sei venuto a Palma.

Sì, a Saviano sono rimasto pochi giorni perché non mi trovavo

bene. Sono così arrivato al collegio dei Servi di Maria di Via

San Felice.

Qui hai frequentato la quinta elementare?

No, mi fecero un esamino e stabilirono che potevo frequentare

direttamente la prima media. Così non ho mai conseguito la

quinta elementare. È la prima anomalia della mia carriera di

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studente, che sarà caratterizzata da grandi salti e grandi

recuperi.

Quindi al collegio di via San Felice hai frequentato i tre

anni della scuola media?

Sì, e per l’esame andammo alla Madonna dell’Arco. Fui

rimandato in disegno (perché al collegio era una disciplina

che non si studiava) e dovevo riparare. Mio padre non mi

permise di farlo e così non ho mai conseguito neanche la terza

media. Questo però non m’impedì di seguire il quarto e il

quinto ginnasio, sempre al collegio.

Ricordi qualche

professore?

Erano quasi tutti

interni, integrati da

qualche esterno.

Padre Carlo Ruocco

insegnava Italiano e

Greco, padre

Giuseppe Portesine

era un ottimo

professore di latino.

Padre Cirillo Perucatti

era invece un genio della matematica.

Avevi dei compagni di Palma?

L’unico che ricordo si chiamava Iannone e il padre aveva

un’officina di fronte alla chiesa di Mater Dei.

Quanti frati c’erano nel convento?

Direi una decina, più un frate laico, Fra Fortunato Frattin. I

collegiali erano settanta-ottanta.

Com’era la vita al collegio?

Molto povera e molto severa.

C’erano punizioni?

Eccome, bastava una parolaccia o presunta tale. Una volta,

giocando a bocce, mi scappò un “non me ne frega niente”. Un

compagno che era stato già segnalato, mi appioppò subito il

catenaccio.

Il catenaccio?

1. Angelo Cardinale

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Sì, chi diceva una parolaccia doveva portare in mano un

pesante catenaccio e poteva liberarsene solo se qualcun altro

commetteva la stessa infrazione. Io non ero d’accordo, per me

“fregarsene” non era una parolaccia e così andammo dal

nostro arbitro, fra Fortunato, di origini venete. “Ostreghetta, è

una parolaccia” – sentenziò. E come si dovrebbe dire in

italiano corretto? “Si deve dire «che non me ne stropiccia»”.

Restai allibito, ma chi non riusciva, a fine giornata, a liberarsi

del catenaccio era costretto a cenare a pane e acqua al centro

del refettorio, inginocchiato davanti ad una sedia messa lì a

mo’ di tavola.

E questo solo per le parolacce.

Per le infrazioni più gravi si beccavano sonori schiaffi. Una

volta fui scambiato per un

“ladro” della dispensa e ne

presi un sacco e una sporta. In

quel caso ero innocente, anche

se qualcosa dalla dispensa

talvolta eravamo soliti andare

a rubarla di notte.

Com’era scandita la

giornata?

Dunque, sveglia alle 6.30 e

preghiera nella Cappella. Alle

7.30, colazione e alle 8 in

classe. Lezioni fino alle 12.30.

Pranzo e ricreazione. Dalle

14.00 studio. Alle 17.00

un’ora di ricreazione. Dalle

19.00 alle 20.00 ancora studio.

Poi cena e ricreazione. Alle 21.00 si andava a dormire nelle

camerate, che erano due, una per piano con 30-40 letti. Questi

orari saltavano quando eravamo impegnati come chierichetti

per i funerali.

2. Cappella del Collegio dei Servi di

Maria di Palma (anni trenta)

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3. Lo studio del collegio dei Servi di Maria di Palma

Campania (anni trenta)

Come valuti complessivamente la tua esperienza al

collegio?

Come in tutte le cose, c’erano momenti tristi e momenti

piacevoli. Ricordo ancora di quando m’intrufolavo nelle

stanze dei frati per ascoltare alla radio i risultati delle partite.

Nel 1955 la tua strada s’incrocia col liceo Rosmini?

Sì, sono stato uno dei primi studenti del Rosmini. Ho

sostenuto gli esami come privatista.

E l’anno dopo?

È stato un anno di noviziato. Mi hanno mandato a Firenze,

non ho studiato ma ho solo pregato. Lavoravo alla

conservazione degli incunaboli, li lucidavo con la pietra

pomice. L’altra occupazione era la preparazione del famoso

liquore aromatico Gemma d’Abeto, che noi bevevamo

direttamente dal rubinetto della botte.

E poi?

L’anno dopo mi hanno mandato al Collegio Internazionale dei

Servi di Maria di Firenze in via dei Mille. Qui ho frequentato

il liceo. I docenti erano tutti di ottimo livello.

Come professore di filosofia c’era Padre Davide Maria

Turoldo (che è stato anche teologo, scrittore e un poeta molto

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importante) e il grande grecista Dino Pieraccioni, Padre

Giorgio Francini (allievo di Attilio Momigliano) e il conte

Mancuso Prizzitano, uno dei primi italiani a lavorare anche

per la NASA.

Dopo il liceo ti sei iscritto all’università?

No, ho frequentato il biennio filosofico sempre a Firenze.

Durante il biennio filosofico i libri erano in latino e l’esame si

svolgeva in lingua latina.

Perché, in sostanza, il tuo corso di studi preludeva ai voti.

Sì, tutto il mio percorso aveva come sbocco naturale la

tonaca, ma poi abbandonai questa strada, mollai tutto e

m’iscrissi a Lettere classiche a Napoli. Siamo nel 1962.

4. Angelo Cardinale (a sinistra) e Savino Carrella

Chi erano i tuoi docenti più prestigiosi?

Non ho frequentato molto perché ero uno studente lavoratore.

Lavoravo già come insegnante presso il liceo degli Scolopi

“Calasanzio” a Campi Salentina, in provincia di Lecce.

Comunque, i miei docenti sono stati Marcello Gigante,

Francesco Arnaldi e Salvatore Battaglia. Quest’ultimo fu

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veramente molto buono con me non appena notò che ero

siciliano come lui. Una volta laureato, ho cominciato a

lavorare nelle scuole statali. Insegnavo alle medie di Portici.

Poi vinsi il concorso per Latino e Greco e andai a finire in

provincia di Benevento, a Solopaca. Poi ho ottenuto il

trasferimento al Liceo Classico “Quinto Orazio Flacco” di

Portici, dove sono rimasto fino alla pensione.

Come hai cominciato la tua attività di autore di libri

scolastici? In genere, un docente che decide di scrivere il

manuale che vuole adottare è perché è insoddisfatto di

quelli in commercio.

No, non è il caso mio. Il primo

libro che ho pubblicato è stato

Akrai e nasce da una situazione

diversa. Sergio Ferraro mi

disse: “Ma è possibile che non

si riesca a trovare un professore

di greco in grado di preparare

un testo di versioni greche per

il ginnasio?” Decisi di

raccogliere la sfida e preparai

in pochissimo tempo il libro.

Come nasce il tuo libro forse

più fortunato, I greci e noi,

poi riedito con vari titoli?

Dunque, il mio maestro Dino

Pieraccioni mi contattò più

volte perché voleva che io rivedessi insieme a lui la sua

classica grammatica di lingua greca. Io ero molto perplesso.

“Ma se mi sono rivolto a te – mi replicava – è perché ho

fiducia in te.” Alla fine il progetto non si concretizzò perché il

professore morì con il desiderio di scrivere un libro insieme.

Ma oramai il dado era tratto. Così preparai, ispirandomi alla

celebre grammatica di Pieraccioni, che conosco a memoria, il

mio manuale di greco.

Ti sei poi dedicato al latino.

La figlia del professor Calamaro, Adriana, non riusciva a

trovare un collega col quale rivedere il libro del padre.

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All’inizio non volevo accettare perché avevo già un contratto

per un mio corso di latino, quasi pronto. Alla fine ho deciso di

imbarcarmi in quest’altra avventura. Si è trattato in sostanza

di rifare completamente la parte pratica, mentre mi sono

limitato solo a ritoccare la parte teorica.

Che effetto ti ha fatto usare i tuoi libri in classe?

Quando “I greci e noi” è stato pubblicato per me non è

cambiato molto perché già usavo in classe il manoscritto e

accoglievo i suggerimenti e le osservazioni degli studenti. Un

giorno i miei studenti mi hanno portato in classe La

Repubblica e mi hanno fatto notare che I greci e noi, insieme

al Tantucci e al libro di matematica della Zanichelli era nella

top ten dei bestseller scolastici.

Come vivevano i tuoi studenti la circostanza che

studiavano sul manuale del loro stesso professore?

I miei studenti erano molto orgogliosi ed erano anche contenti

del fatto che molti altri studenti, quelli per esempio che

incontravano sulle viarie spiagge d’Italia durante le vacanze,

studiavano sul mio libro perché erano stati rimandati. Io il

libro l’ho scritto ma poi, in certo senso, l’ho dimenticato.

Beh, habent sua fata

libelli. I libri sono come i

figli, una volta cresciuti se

ne vanno per la loro

strada. Raccontami di

quella soddisfazione che

hai avuto a quel convegno

a Napoli.

Mi trovavo all’Istituto per

gli Studi Filosofici di

Napoli per un convegno

dedicato alla didattica del

greco. Avevano invitato

Ezio Mancini, Vittorio Citti

e altri autori. Nella

conversazione, un relatore,

parlando della nuova

edizione del suo manuale,

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precisò che aveva espunto una parte perché gli studenti la

trovavano troppo complicata. Intervenne una collega di greco,

che io non conoscevo affatto e che non sapeva che io ero in

sala. La collega spiegò che lei aveva in adozione la mia

grammatica e che la parte in questione era trattata molto bene

e che quindi lei la continuava tranquillamente a proporre. Fu

per me fu un motivo di grande soddisfazione, avrei voluto

avvicinare la collega e ringraziarla, ma nella confusione non

riuscii ad incontrarla (vorrei ringraziarla ora per allora!).

Cosa pensi della tradizione nordeuropea, ovvero di corsi

come Famiglia romana di Orberg, dell’Oxford Latin

Course e del Cambridge Latin Course, dove il latino viene

presentato con un approccio simile alle lingue straniere,

presentando cioè fin dalle prime pagine una storyline, la

vita di Orazio l’Oxford e la vita di Caecilius, banchiere a

Pompei, nel Cambridge?

Come insegnante, negli anni sessanta, ero malvisto perché

cercavo di non fare apprendere mnemonicamente regole ed

eccezioni, perché avevo appreso dal mio maestro Pieraccioni

l’importanza di capire prima il testo

e dal testo ricavare poi le regole.

Pregavo i miei alunni di avere un

quadernetto dove segnare le frasi

che esemplificavano le regole. Ma

avevo dei dubbi perché, per

esempio, quando si studia il

pianoforte si comincia dal solfeggio.

Ho cercato quindi di trovare una via

di mezzo. Così dicevo ai miei

ragazzi del ginnasio: “Io queste cose

non ve le chiedo, però le dovete

sapere, perché sicuramente al liceo

troverete dei docenti che insistono su queste eccezioni.”

Comunque, non disprezziamo la nostra scuola e la nostra

tradizione didattica perché quando i nostri studenti

partecipano ai certamina di solito almeno sette si classificano

sempre tra i primi dieci. Io ho partecipato innumerevoli volte

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al Certamen Ciceronianum di Arpino e gli studenti italiani si

sono sempre distinti.

Non credi che lo studio del latino e del greco dovrebbe

essere reso più accattivante?

Certamente, nei miei corsi, per esempio, ci sono molte schede

sulla civiltà, etimologie, curiosità e tante versioni di

approfondimento.

Credi che, al liceo classico, lo studio del greco e del latino

andranno sempre a braccetto oppure ad un certo punto si

opterà in favore del solo latino?

Devono stare insieme, il greco non potrà essere eliminato. Il

greco si deve studiare di pari passo con il latino.

Il liceo classico è ancora oggi l’indirizzo più formativo in

assoluto?

È poco ma sicuro, perché il

latino e il greco insegnano a

ragionare, ad organizzare il

pensiero. Il problema non è se

si devono insegnare, ma come

si devono insegnare. Quindi

mettiamoci al lavoro

seriamente e troviamo delle

soluzioni che potrebbero essere

simili a quelle delle lingue

straniere, senza mai perdere di

vista però l’importanza dei

testi.

Anche per chi sceglie facoltà

scientifiche?

L’Accademia dei fisici sostiene

che i migliori studenti siano quelli che vengono dal liceo

classico.

Dimmi i motivi per cui un giovane, che fa ancora molta

fatica a capire l’importanza di una lingua internazionale

come l’inglese, debba studiare il latino e il greco.

Negli USA, ritengono che il greco sia molto importante per

tutti gli studenti, come ho letto più volte su riviste americane.

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Credo che lo studio del latino sia fondamentale per conoscere

a fondo l’italiano.

Se ne avessi la facoltà, quali sono le cose che cambieresti

nel liceo classico?

Mi piacerebbe inserire la storia dell’arte fin dal primo anno.

La geografia l’affiderei al docente di scienze.

Secondo te, in che modo è cambiato il lavoro del docente

nel corso degli anni? I ragazzi oggi sono diversi, forse s’impegnano di meno, anche

se c’è sempre un certo numero di alunni che sono molto

motivati. Oggi è più difficile lavorare in classe perché gli

studenti tendono a distrarsi.

A che cosa è dovuta la nostra perdita di prestigio sociale?

La perdita di prestigio dei professori è un processo cominciato

da molto tempo: già i ragazzini delle elementari di tanti anni

fa, quando il maestro chiedeva cosa volevano fare da grande,

non avevano nessuna voglia di intraprendere la carriera del

docente.

Come mai tanti studenti trovano tante difficoltà nello

studio delle lingue classiche?

Perché non conoscono la grammatica italiana, ignorano

l’analisi logica e hanno una conoscenza lessicale

estremamente ridotta. Una volta ho fatto un esperimento: ho

dato ai miei studenti una lista di dieci parole. Ebbene, otto non

le conoscevano affatto e solo di due hanno dato una

definizione molto approssimativa. Oggi l’abitudine alla

pagina scritta è molto ridotta.

In una recente intervista, il critico George Steiner ha detto

che l’immagine ha distrutto la cultura occidentale.

È vero, un ragazzo abituato soprattutto all’immagine, si trova

in grave difficoltà posto davanti ad una pagina scritta in greco

o in latino.

Com’è questa storia che hai usato anche degli

pseudonimi?

Ho pubblicato il libro Tradurre greco, una voluminosa

raccolta di versioni usate anche per i concorsi a cattedra dove

si deve tradurre dal greco in latino, sotto lo pseudonimo di

Adriano Quasta. Adriano perché era il mio nome in collegio e

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Quasta perché è il nome della località in Sicilia dove ho

ereditato dei fondi.

Una collega, che aveva adottato il libro, mi chiese una volta

chi fosse questo Quasta. Scherzando, risposi Qua sta, cioè

sono io. Pensa che ci sono anche dei testi che risultano di

Quasta e Cardinale.

Da quando sei in pensione, che cosa ti manca di più del tuo

lavoro?

Gli studenti ed anche i colleghi.

Di che cosa fai invece volentieri a meno? Dei presidi.

A che cosa stai lavorando?

A tre edizioni commentate: Omero, i lirici greci e alcuni passi

dei dialoghi di Platone.

Mi hai detto che, impegnato a scrivere i tuoi libri, non hai

mai trovato il tempo per familiarizzare col computer. Ma

allora come li scrivi i tuoi libri?

A mano, non uso neanche la macchina per scrivere. Ho la

fortuna di avere una grafia

particolarmente chiara, anche

se sono consapevole che in

questo modo faccio molta più

fatica di chi usa la

videoscrittura.

Da professore d’inglese,

quello che ho spesso notato

è che, mentre il più

modesto corso d’inglese ha

un libro dell’insegnante

altrettanto voluminoso del

libro di testo, ricco di

osservazioni, verifiche già

pronte ed altro, i corsi di

latino ne sono quasi privi.

Questo era vero soprattutto per il passato. Oggi anche i corsi

di latino sono affiancati da libri per l’insegnante molto ricchi

e puntuali.

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Ho notato, sia parlando con te sia dando uno sguardo alla

tua bibliografia, che hai una predilezione più per il greco

che per il latino.

È vero. Io vengo da una delle due città più greche d’Italia,

ovvero Siracusa. L’altra città non è Napoli, come pensi tu, ma

Lecce, dove si parla ancora il neogrico, che è stato studiato da

un giovane glottologo, Oronzo Perlangeli. A Sternatia, in

provincia di Lecce, dove ho insegnato, i ragazzi lo capiscono,

anche se oramai non lo parlano più. In questa cittadina ho

anche incontrato uno dei più grandi studiosi dei dialetti

italiani, Gerhard Rohfls, autore della fondamentale

Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti.

Conosco anche il professor Vittorio Aprile, che ha fondato

un’associazione per il recupero del neogrico.

Tra l’altro, uno dei libri di cui sei più orgoglioso è Il

modello greco, una storia ed antologia in tre volumi.

Sì, perché è un testo che si rivolge anche alle persone di

cultura e agli studenti universitari.

Come vorresti chiudere questa chiacchierata?

Ricordando il mio motto personale, che è di Gregorio Magno:

“Quod imperitia negat, caritas ministrat”, ovvero laddove non

si arriva con le capacità ci si può arrivare con l’amore e la

volontà.

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