Aned Atti Convegno "Fascismo, Foibe, Esodo"

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    Atti del Convegno organizzato dallAssociazione nazionaleex deportati politici e dalla Fondazione Memoria dellaDeportazione a conclusione del XIII Congresso dellANED

    tenuto allinterno della Risiera di San Sabba

    Le tragedie del Confine orientale

    FASCISMO FOIBE ESODO

    AssociazioneNazionaleEx Deportatipolitici

    FondazioneMemoria

    dellaDeportazione

    Trieste - Teatro Miela, 23 settembre 2004

    IT

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    Atti del convegno organizzato dallAssociazione nazionaleex deportati politici e dalla Fondazione Memoria della

    Deportazione a conclusione del XIII Congresso dellAnedtenuto allinterno della Risiera di San Sabba

    Le tragedie del Confine orientale

    FASCISMO FOIBE ESODO

    AssociazioneNazionaleEx Deportatipolitici

    FondazioneMemoria

    dellaDeportazione

    Trieste - Teatro Miela, 23 settembre 2004

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    Tipografia Il Guado - Corbetta (MI) 2005

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    Pubblichiamo in questo volume i testi integrali delle relazio-ni tenute al Convegno di Trieste sulle tragedie del Confine

    orientale.Il Convegno ha concluso i lavori del XIII Congresso naziona-le dellAned.Gli ex deportati e i loro familiari hanno inteso, con liniziati-va presa assieme alla Fondazione Memoria della Depor-tazione, onorare tutte le vittime di quelle tragedie.Prima dellapertura del Congresso delegazioni di ex deporta-

    ti hanno deposto corone nei luoghi maggiormente rappresen-tativi della violenza nazifascista e della tragedia del dopo-guerra.

    Sono stati cos ricordati: la devastazione da parte delle squa-dracce fasciste nel luglio del 1920 dellaNarodni dom, la Casadel popolo degli sloveni a Trieste, conosciuta col nome di

    Hotel Balkan; le centinaia di vittime civili di etnia slovena ecroata deportate nel campo di concentramento di Gonars(Udine), istituito dal governo fascista nel 1941, immediata-mente dopo laggressione alla Jugoslavia; i 71 partigiani fu-cilati a Opicina il 3 aprile 1944; i 4 antifascisti condannati amorte dal Tribunale speciale e fucilati a Basovizza nel 1930; i51 resistenti impiccati, molti dei quali civili, nellaprile del

    1944 in via Ghega, come rappresaglia per un attentato allaCasa del soldato tedesco; i 4 impiccati dalla Guardia civile

    fascista in via DAzeglio; le migliaia di antifascisti italianiebrei e jugoslavi trucidati nella Risiera di San Sabba, unicocampo di sterminio creato dai nazisti sul territorio italiano.

    Corone commemorative dellAned sono state quindi depostealla stazione ferroviaria da cui partirono i convogli di depor-tati diretti ai campi di sterminio nazisti in Germania e alla

    foiba di Basovizza che ricorda uno degli episodi pi atroci deltragico dopoguerra al confine orientale.

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    Presentazione

    Gianfranco Maris

    Presidente dellAned e della Fondazione Memoriadella Deportazione pag. 7

    Il fascismo al confine orientale

    Anna Maria VinciUniversit di Trieste pag.15

    Le minoranze slovene-croate sotto il fascismoMilica Kacin WohinzIstituto di Storia contemporanea di Lubiana pag.33

    Loccupazione italiana nei Balcani

    Teodoro SalaUniversit di Trieste pag.53

    Lesperienza del Litorale adriaticoEnzo CollottiUniversit di Firenze pag.63

    Le deportazioni dalla Risiera di San Sabba

    Tristano MattaIstituto per la Storia del Movimento

    di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia pag.77

    Leredit del fascismo e della guerra:

    dalle foibe allesodo dallIstria

    Raoul PupoUniversit di Trieste pag.95

    Conclusioni

    Oscar Luigi ScalfaroPresidente emerito della Repubblica pag.118

    Indice

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    Con questa relazione lAned vuole sottolineare anche quel-le che saranno le linee di forza della sua azione culturalee critica negli anni prossimi.

    Nella consapevolezza che non sono gli uomini che possonogarantire nel tempo la conoscenza con la loro testimonianza enella consapevolezza che solo la ricerca e la documentazionesono in grado di dare un futuro alla memoria, lAned ha costi-

    tuito la Fondazione Memoria della Deportazione, alla quale isuperstiti viventi dei campi di sterminio hanno destinato, intutto o in parte, lassegno che hanno ricevuto dalla Germaniacome indennizzo per essere stati schiavi.

    Le sezioni dellAned e la Fondazione Memoria della Depor-tazione dovranno avviare, con tutti gli altri Istituti storici del-la Resistenza del nostro Paese una comune attivit sul piano

    delle storie locali, avvalendosi della guida del Comitato scien-tifico della Fondazione.Ci si inserir nella ricca tradizione editoriale dellAned po-sta in essere, soprattutto dalla sezione di Torino.Fermo mantenendo, nelle sue forme e nei suoi contenuti, il

    proprio agire politico, lAned sar sempre attenta alle cosedel nostro Paese, sviluppando le sue potenzialit informative e

    didattiche tramite il suo periodico Triangolo Rosso, conti-nuando, cos, a fare politica e cultura insieme.

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    Gianfranco Maris

    Presidente dellAnede della Fondazione Memoriadella Deportazione

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    Nel suo XIII Congresso nazionale, tenuto a Trieste nel set-tembre del 2004 allinterno del campo di sterminio dellaRisiera di San Sabba, lAssociazione nazionale degli ex de-portati politici italiani ha voluto, innanzitutto, rievocare la lot-ta epocale che le donne e gli uomini di Europa furono chiama-ti a combattere dal 1939 al 1945 per impedire che il folle e cri-minale disegno della guerra fascista facesse retrocedere i po-

    poli in un ordine nuovo di schiavit.La presenza dellAned in San Sabba emblematica della ca-pacit che uomini diversi ebbero di camminare uniti quando lemete della libert e della giustizia lo richiesero.Ma la nostra presenza in questo sacrario dello sterminio nazi-fascista ha voluto essere anche il ricordo del costo della libertpagato da questa terra di confine nella temperie di particolare

    repressione e di violenza durante e sotto il fascismo, nel qua-dro delloccupazione militare italiana della Slovenia e dellaCroazia e delloccupazione tedesca dellAdriatischesKuestenland. Questa terra fu poi travolta nella tragedia cheport alle foibe del 1943 e del 1945 e allesodo lacerantedallIstria della popolazione italiana col residente da secoli.I deportati politici italiani intendono rievocare e condannare

    tutti i massacri e capire tutte le vittime, perch mai, come og-gi, necessario impegnarsi per far capire che violenza, repres-sione, guerra sono sempre distruzione di pensiero, di civilt, dilavoro di tutte le donne e di tutti gli uomini che comunque vi-vono e convivono sotto lo stesso cielo.

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    La comunit della Venezia Giulia, nei 20 mesi dellAdria-tisches Kustenland, conobbe la pi feroce repressione che i na-

    zisti abbiano mai imposto alla popolazione dei paesi occupati.La comunit della Venezia Giulia rispose unita, con una lottaeroica di resistenza che non fu seconda a nessuna altra resi-stenza europea, superando le divisioni che le derivavano dallememorie disunite delle violenze del fascismo prima e delloc-cupazione militare italiana poi.Questa terra, che era stata divisa dalla violenza fascista e dalla

    violenza delloccupazione militare italiana, ritrov lunit nel-la resistenza contro i tedeschi.Nelle strutture di questa vecchia Risiera ha operato un appara-to coercitivo feroce, omogeneo a tutti gli apparati coercitivi dimorte disseminati dal nazismo sul suo territorio e in tutti i pae-si occupati, da Mauthausen a Dachau, da Buchenwald aRavensbrck e ad Auschwitz.La Risiera soltanto una della tante stazioni di morte aperte in

    tutta Europa per annientare gli uomini e spegnere le luci dellacivilt e delle culture dei popoli: strutture che hanno dato un-dici milioni di morti solo nei campi di annientamento e di ster-minio dei politici e degli ebrei.Per organizzare questa struttura il grande Reich invi a Triesteil gruppo pi esperto della sua polizia di sicurezza, che si eraformato nelloperazione eutanasia nel 1941 in Germania, sop-

    primendo 77.000 cittadini tedeschi perch inabili, rami sec-chi che pesavano con le loro bocche inutili sulla comunit te-desca in armi, privi, quindi, di ogni diritto alla vita; che si eraformato a Chelmo, a Belzec, a Sobibor, a Treblinka nello ster-mino degli ebrei polacchi: uomini come Otalio Globoknik,Oberhausen, Allers.Qui i partigiani italiani, sloveni e croati, non furono assassi-

    nati perch, se assassinio definissimo la loro morte qui, use-remmo una semantica eufemistica minimizzante.Nella Risiera i partigiani italiani, sloveni e croati furono sgoz-zati, furono finiti con mazze di ferro, furono gasati in camionermeticamente chiusi.

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    E quelli non sgozzati e non finiti con le mazze di ferro furonodeportati per essere eliminati, con il lavoro e con il gas, a

    Dachau, a Mauthausen, a Buckenwald, ad Auschwitz.Un quarto dei deportati politici italiani caduto qui o da qui partito per il suo viaggio verso la morte.Tutti sono nel nostro cuore e nella nostra memoria, che unvalore solo se diventa una coordinata etica che ci guida e cimuove allazione e non resta soltanto un ricordo sterile: unacoordinata che ci guida nel nostro presente e nel nostro futuro

    e nel nostro agire politico quotidiano.Nel suo XII Congresso nazionale, che si tenne nel 2000 nelcampo di sterminio di Mauthausen, lAned, volendo trarre dal-la memoria del passato lindicazione dei valori guida per il no-stro tempo, affront in quel suo congresso i temi dei cambia-menti in atto nella societ umana e nel mondo e delle tensioniconnesse a questi cambiamenti.Ritenne necessaria una riflessione per capire quale fosse, nel-

    lanno 2000, lagire politico da porre in essere, eticamente fil-trato alla luce della nostra memoria, per affrontare, nella giu-stizia e nella solidariet, i problemi delle immigrazioni, dellesociet pluraliste, dei mercati globalizzati, dei diritti fonda-mentali e di cittadinanza di ogni persona.Ancora oggi questi sono problemi vivi e doloranti nei paesi diun Mediterraneo che conosce la morte per annegamento di

    donne e di uomini e di bambini, che lasciano le loro terre perla fame e che qui non trovano accoglienza.Ma a questi problemi, vivi e doloranti, oggi un altro se ne ag-giunge ancora pi lacerante.Il mondo pieno di lampi e di angoscia per la guerra e per ilterrorismo.Unangoscia che andata crescendo dopo l11 settembre 2001,

    dallAfghanistan allIraq: unangoscia che attanaglia il cuoredegli uomini e sembra paralizzare le intelligenze ed ottunderele coscienze, incapaci di imboccare il sentiero della ragione,nonostante lesperienza e la memoria del massacro della se-conda guerra mondiale.

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    Noi ci siamo illusi che quella fosse stata la lezione indimenti-cabile del mai pi guerre e non abbiamo saputo impedire lo

    stillicidio di una ininterrotta serie di guerre regionali, di vio-lenze locali, che hanno reso la seconda met del secolo scorsonon dissimile dalla sua prima met.Ma langoscia di oggi non quella di prima dell11 settembre.Oggi langoscia ci deriva da una guerra che ben pu definirsiil primo conflitto dellEra globale.Una guerra che ha relegato nella marginalit tutte le violenze

    regionali precedenti, che ha ricadute su tutti i popoli tramiteuna strategia mediatica lugubre, di cui il terrorismo, che laguerra globale esprime, si avvale oltre qualsiasi limite di cru-delt umana, oltre i limiti di tutte le barbarie conosciute.Lorigine e lo sviluppo del terrorismo di oggi ripetono esatta-mente i processi di sviluppo della guerra e del terrorismo nazi-fascista.La guerra e le violazioni contro lumanit, la guerra e il terro-

    rismo, la guerra e le stragi di Marzabotto e di SantAnna diStazzema, la guerra e la Risiera di San Sabba e Mauthausen,la guerra e la scuola di Beslan, la guerra e il metr di Mosca, ilteatro di Mosca, gli aerei di Mosca, la guerra e i cortilidellIraq, gli ostaggi sgozzati, la guerra e le strade di Israele ela stazione di Madrid e la metropolitana di Londra.Non c dubbio, il terrorismo la guerra. Il terrorismo una

    sfida mortale che minaccia tutto il mondo. Nella lotta controquesta minaccia indispensabile essere uniti, non c dubbio.Ma tutti debbono avere lumilt, prima, e il coraggio, poi, diconfrontarsi e di dialogare e di percepire dove matura, doveavviene lincubazione che precede lesplosione del terrorismo.Se le stragi del terrorismo servissero solo per una chiamata al-le armi, significherebbe soltanto che gli uomini retrocedono

    nel buio dei secoli, che si degradano al livello tribale, che nonhanno capito nulla della storia della carneficina della primaguerra mondiale, della carneficina della seconda guerra mon-diale, del terrorismo del nazismo e del fascismo.Le lacrime dellanima non debbono appannare la capacit di

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    capire, di scegliere, di agire tutti insieme. , questa, la condi-zione perch lefficacia contro il male comune sia massima.

    LEuropa con gli Stati Uniti, lEuropa e gli Stati Uniti insiemecon le Nazioni Unite, lEuropa e gli Stati Uniti e le NazioniUnite insieme con i popoli arabi e con lIslam, per convincerei popoli arabi e lIslam che hanno un avvenire diverso da quel-lo del fanatismo, per convincerli che loccidente non vuole im-porre a nessuno i suoi modelli con i bombardamenti, che nonha in animo nessun colonialismo di tipo nuovo per impadro-

    nirsi delle risorse degli altri popoli.Gli ex deportati politici ritengono che sulla comunit italianaincomba da sempre il nodo delle memorie divise, politicamen-te strumentalizzato a fini mistificatori e di delegittimazionedella Resistenza.Una sorta di anomalia della storia, per cui la Resistenza, laLiberazione, la Repubblica, la Costituzione, tutti i momentifondanti di tutta la comunit nazionale, avrebbero prodotto sol-

    tanto memorie divise, confliggenti, antagoniste, che impedi-scono il formarsi di un sistema di valori condivisi, i quali sol-tanto sono il motore del sistema politico democratico.Le memorie divise non sono un male marginale che possa es-sere ignorato.Sono un male che affonda le sue radici nella storia, nella re-pressione violenta della libert per venti anni da parte del fa-

    scismo, nelle responsabilit del fascismo per gli orrori dellaguerra scatenata, per la sua collaborazione con lesercito occu-pante che mise a ferro e fuoco il Paese nel corso delloccupa-zione militare tedesca dal 43 al 45.Le memorie divise sono un male che non pu essere esorciz-zato come molti pacificatori daccatto vorrebbero fare, con as-surde equazioni di eguaglianza.

    I partigiani da una parte e i fascisti dallaltra dicono hannooccupato due trincee contrapposte ma simmetriche, gli uni diqui e gli altri di l, tutti uguali comunque.Ed oggi, dopo aver negato che la Resistenza possa essere ri-cordata e celebrata come liberazione per tutti, si vuole addirit-

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    tura, con una legge dello Stato, equiparare i collaborazionistifascisti ai militari degli eserciti nella seconda guerra mondiale

    belligeranti contro il fascismo e contro il nazismo.Non c dubbio che queste memorie divise non possono esse-re unite per legge, che non possono mai calpestare la storia, ildiritto, letica della responsabilit.Ma non c dubbio anche che queste memorie divise perpetua-no contrapposizioni che si riflettono negativamente sullagirepolitico e sulla vita democratica del Paese.

    Per questo, proprio qui a Trieste, dove il passato continua apesare pi che altrove, abbiamo voluto affrontare questo nododelle memorie divise, che hanno radici lontane e ragioni fortiche perpetuano antagonismi laceranti.Per questo abbiamo avviato, per noi innanzitutto, una rivisita-zione non ideologica di tutti i fatti della storia di questa tor-mentata regione, nella consapevolezza che in tutte le memorievi sono enfasi e silenzi che rendono ciascuna memoria pi ri-

    gida, pi tagliente, pi antagonista.Non c dubbio che la Venezia Giulia ha conosciuto e sofferto,nei primi anni venti del suo nuovo assetto territoriale, dopo laprima guerra mondiale, la repressione di un fascismo di confi-ne intriso di nazionalismo violento, pi violento che in qual-siasi altra parte del Paese, che lacer, negandole addirittura, leminoranze slovena e croata, le quali, nei secoli, hanno sempre

    costituito, con quella italiana, le componenti essenziali di unu-nica comunit plurilinguistica che fu sempre, e che avrebbedovuto sempre essere, considerata come la ricchezza di un in-tero territorio.Questo nazionalismo violento e aggressivo us tutti i mezziper emarginare le minoranze giungendo persino a veri e propricrimini di Stato, alle condanne a morte da parte del Tribunale

    speciale fascista ed alla esecuzione dei condannati nel 1930 aBasovizza e nel 1941 ad Opicina.Questa violenza, derivante anche dalloccupazione militare ita-liana della Slovenia e della Croazia nel 1941, raggiunse poi di-mensione di diffuso annientamento della popolazione civile

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    anche sul territorio italiano, con rastrellamenti, esecuzionisommarie e deportazioni.

    Noi tutti, deportati dal resto dItalia, che dal 1943 al 1945 sia-mo stati lacerati dai lutti, dalle lacrime, dal sangue delle vitti-me dei fascisti e dei tedeschi, noi che abbiamo preso le armiper combattere i tedeschi e i collaborazionisti fascisti, noi cheabbiamo conosciuto la guerra di annientamento dei civili delleterre dove siamo nati, non possiamo non condannare ci chelesercito italiano fu comandato a fare e che ha fatto su altre

    terre. lacerante pronunciare la condanna di ci che ha fatto il tuoesercito, ma pi lacerante tacerlo.Il silenzio non sarebbe solo menzogna. Il silenzio ti priverebbedel diritto di condannare quelli che hanno offeso te e del dirit-to di essere orgogliosi di aver preso le armi contro di loro.Per rispettare la verit storica, debbono essere rivisitate anchele foibe del 1943 e del 1945, per quanto in esse non ricondu-

    cibile nessuna misura di ritorsione umanamente spiegabile conle tante violenze patite in precedenza, per quanto in esse vi fuespressione non di ritorsione per antiche offese ma violenzanazionalista di Stato.Nessun uomo potrebbe mai, senza mortificare la sua stessa di-gnit di uomo, sdoppiare la propria coscienza per condannareil nazionalismo violento dellaltro e per assolvere il proprio.

    solo nella verit che tutte le memorie si purificano e posso-no sublimarsi; quindi, anche senza mai confondersi, senza maiunirsi, possono incontrarsi nella storia senza pi odio in un fe-condo sistema di valori condivisi.Proprio questi temi abbiamo voluto affrontare, a conclusionedel XIII Congresso dellAned, con le relazioni di studiosi af-fermati in un Convegno che si tenuto nel Teatro Miela e che

    stato concluso dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro.Raccogliendo in questo volume le relazioni di questoConvegno gli ex deportati politici intendono portare il lorocontributo, rivolto soprattutto alle giovani generazioni, alla co-noscenza di un periodo tragico della storia del nostro Paese.

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    T roppe volte la concatenazione precisa tra prima guerramondiale, fascismo, guerra, dopoguerra e foibe/esodo nonviene delineata con attenzione. Forse bisogna proprio accetta-re che non sempre e non necessariamente di concatenazioniprecise si tratta: fenomeni di continuit e di discontinuit, siintrecciano sempre nel discorso storico che interpreta gli acca-

    dimenti. Fratture e lacerazioni profonde, rovesciamenti ferocidelle parti sono infatti frequenti sullo sfondo di una perversacontinuit della violenza, che il connotato essenziale del se-colo trascorso: sono fenomeni e ferite aperte che rappresenta-no altrettanti abissi allinterno dei quali necessario guardare.Va poi detto che una riflessione che si inarchi lungo tutto ilNovecento giuliano non mai stata oggetto di seria divulga-

    zione, fuori da contesti sempre sostanzialmente specialistici.Ognuno ritaglia un pezzetto da vicende ingarbugliate e di ognipezzetto fa una sorta di parentesi: la responsabilit, intendia-moci, non solo dei mass-media o della propaganda politicaossessionata dalle riletture legittimanti del passato. Anche tragli specialisti manca, io credo, la volont di rischiare fino infondo un dibattito vero, capace a sua volta di suggerire altre

    piste di ricerca per una storia locale che divora frammenti distoria nazionale e internazionale, spezzoni di storia dellEuropaoccidentale e orientale, lacerazioni-simbolo del XX secolo.Cos, stabilendo di iniziare col fascismo al confine orientale,ben si pu affermare che tale fenomeno resta una nebulosa se

    Anna Maria Vinci

    Universit di Trieste

    Il fascismo

    al confine orientale

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    Anna Maria Vinci

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    non si capisce il contesto da cui nato: il contesto del disastrobellico e postbellico. Va ricordato che il fronte italiano della

    guerra dislocato nellarea Nord, Nord-Orientale dItalia.Qui le distruzioni maggiori, qui gli sconvolgimenti pi radica-li, qui lammassamento di truppe e la presenza di un poteremilitare come potere che sostituisce e di fatto sovrasta il pote-re civile per un tempo troppo lungo.Lelenco presto fatto: anni di assalti e ritirate sul Carso, neipaesi del Friuli orientale e nella stessa Gorizia, occupata e

    liberata pi volte, la rotta di Caporetto, i saccheggi, un veroe proprio terremoto demografico tra evacuazioni, spostamentidi popolazione, fughe, internamenti nelle famose citt di le-gno, le molte dolorose prigionie: al di qua e al di l del fron-te un esilio senza pari, quello che colpisce la popolazionecivile. Di pi: italiani irredenti volontari non amati dalle-sercito dei poveri al fronte; italiani in fuga non amati nella pa-tria italiana affamata e lacera; italiani-cittadini austriaci messi

    di fronte alla difficile scelta di arruolarsi nellesercito italianoper scampare la prigionia in Russia, sentendo di mettere inpericolo le proprie famiglie e sentendo di tradire una lealt an-cora viva verso lImpero.A guerra finita, il senso di spaesamento e linquietudine con-trassegnano il ritorno. Molti non tornano perch, di nazionalitnon italiana, si sentono ora stranieri nella loro patria di un tem-

    po. Ex nemici si ritrovano insieme in uno spazio spaesato. Ilpeso dei morti giovani sulle spalle delle fasce pi deboli dipopolazione (orfani, anziani, vedove). Le ombre lunghe del-limbarbarimento dei costumi, della consuetudine alla morte,lumiliazione di una percezione del s come frammento senzaumanit di una guerra moderna e mostruosa proprio per que-sta sua modernit entrano nella societ con la forza di una con-

    taminazione che dilaga.I vecchi modi di far politica non reggono pi gi al terminedella guerra guerreggiata. Il potere delle armate, ad esempio,va al di l della moderazione dello stesso governatore militare,generale Petitti di Roreto, che ha pure il compito dellammini-

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    strazione civile: il diritto di conquista e conseguentemente didominio assoluto una pulsione forte. Un costume di vita. Ora

    pi che mai i prepotenti nazionalismi nati nel tardo Ottocentoallinterno di un Impero come quello austro-ungarico sono for-ti forme di identificazione che sembrano rassicurare e offrireun rifugio, una giustificazione e una speranza mentre perpe-tuano la durezza dello scontro e delle divisioni; le manifesta-zioni di piazza, daltro canto, rappresentano un continuo auto-riconoscimento, un continuo contarsi, la raffigurazione palese

    di un disagio che la dimensione privata non riesce a contenere.Ed quello della ribellione, del desiderio di palingenesi totale,della critica feroce ad una democrazia inetta, un fenomeno cheattraversa la destra e la sinistra, supera i confini ideologici, me-scola talvolta anche le violenze. Nella Venezia Giulia come al-trove. Molte di quelle manifestazioni-ed ovvio che qui il dis-corso dovrebbe farsi pi lungo-diventano lugubre esibizionedella morte (i numerosi uccisi nella pace guerreggiata), come

    se lesperienza appena vissuta dovesse trasformarsi ora in ge-sto di sfida, simbolo di un sacrificio che chiede risarcimenti.Ma bisogna andare oltre. I poteri forti (militari, ma anche eco-nomici) puntano ad una vittoria senza limitazioni, non muti-lata, n verso lesterno n verso linterno. Lurlo dannunziano gi nella gola di strateghi ben pi solidi.Prospettive di penetrazione economica in unarea resa debole

    dal crollo dellImpero austro-ungarico diventano lambizionepi viva di lite locali abituate a muoversi agevolmente allin-terno di un mondo che ben conoscevano e che forse si illudo-no di poter ricomporre ora con facilit. In tal senso cercano diconvincere gli interlocutori della patria italiana, pronta a vesti-re i panni della grande potenza vincitrice, anche se del tuttoincapace di reggere progetti di conquista ed egemonia econo-

    mica: i gruppi finanziari ed industriali italiani, del resto nonhanno fiato sufficiente per unampia impresa, pur tentati digiocare in qualche modo la partita. Di certo, tutti i miti dellir-redentismo sembrano sbattere contro il muro di gomma dellarealt: un po stupisce, ad esempio, il fatto che gi nel 1921

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    Anna Maria Vinci

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    llite economica triestina, per bocca di alcuni suoi rappresen-tanti, si interroghi su uno dei cavalli di battaglia dei nazionali-

    sti pi vicini agli ambienti economici locali: la naturale attra-zione del porto di Trieste verso lentroterra, sotto qualunquecielo e a qualunque condizione. Lidea-mito attraversa il ven-tennio inarcandosi nei discorsi di propaganda. Nel sottofondo,tuttavia, i dubbi appaiono fin da subito: saranno poi i pi fer-venti irredentisti di un tempo (da Fulvio Suvich allalto fun-zionario dello Stato, Iginio Brocchi, capo gabinetto del mini-

    stro delle Finanze Volpi) a ricucire alle spalle del porto, alme-no fin dove ci sar possibile, la trama dei rapporti laceratadalla guerra e non pi in grado di funzionare come polmoneper la citt. Strana ironia della sorte per quei non pochi ferven-ti patrioti italiani di educazione austriaca: immediata la tra-sposizione della vecchia immagine del nemico (laustro-tede-sco) nelluniverso dei necessari e stimati collaboratori.Sulla magra realt di un panorama economico europeo com-

    pletamente diverso dal passato, in cui la potenza dItalia puappunto giocare solo una debole (ma non per questo non peri-colosa) partita a scacchi, tutti i vecchi miti (della guerra, dellavittoria, della romanit) si ripropongono sotto vesti cangianti.Al sogno imperiale di conquista sulle vie dellespansione nei

    Balcani e nel Levante non si rinuncia, in unEuropa semprepi divisa: Trieste la nuova trincea dItalia per la sua ne-

    cessaria espansione verso il mondo danubiano, levantino, bal-canico.Il bisogno dordine e di rapidi riassestamenti economici e so-ciali diventano a questo punto il grimaldello che pu essereusato (con diverse responsabilit e a diversi livelli) per frantu-mare il contesto dello Stato liberale e di diritto. I nuovi lin-guaggi della politica puntano ad una continua escalation di

    fantasmi e di paure: il nemico esterno proietta la sua ombraminacciosa e vivida allinterno dello Stato italiano. La paura,di fatto, annusa un potenziale pericolo, un continuo turba-mento lungo frontiere non ancora definite e fortemente conte-se. Gli sloveni e croati rimasti allinterno del nuovo confine

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    nazionale in via di definizione non sono gli avversari di sem-pre, sono le quinte colonne del Regno dei S.H.S. I socialisti a

    loro volta sono le quinte colonne della rivoluzione sovietica.Le fonti documentarie prodotte dagli Uffici Ito dellesercito(Informazione truppe operanti) che nel primo dopoguerra han-no anche compiti di sorveglianza sulla popolazione civile of-frono a tale proposito lesempio pi significativo di un lessicodellesclusione e del sospetto, che non annuncia la pace tra ipopoli. Limmagine che essi disegnano dellarea di frontiera

    esce dai circoli locali, per giungere ai centri decisionali del-lautorit governativa. La pace comunque armata dalluna edallaltra parte: lidea del nemico che si va costruendo conspezzoni presi da opposti schieramenti ha la forza di un vorti-ce comune, che attrae tutte le parti politiche, tutte le nazionali-t. Anchessa serve a ricomporre inquiete identit.Un altro tema che va considerato sia per il confronto tra lem-pito dei miti di vittoria e di potenza e la spigolosa ruvidit del

    risveglio, sia in relazione allinquieto vivere di queste terre senza dubbio quello particolarmente contorto della cittadi-nanza: il diritto principe da riconoscere alle popolazioni entroi nuovi confini europei, ridisegnati dopo la prima guerra mon-diale. Inutile dire che ogni caso presenta la sua peculiarit eche la stessa definizione di cittadinanza aprirebbe qui lun-ghe discussioni. Ma non su questo terreno che mi voglio ad-

    dentrare. Per rimanere ancora una volta ancorata ai mille rivo-li delle fonti, molto utile prendere in considerazione un inte-ro fondo denominato Cittadinanza esistente proprio pressolArchivio di Stato di Trieste. Il Trattato di Saint Germain chedipana (o inizia a dipanare), ad esempio, il contenzioso tranuovo Stato austriaco e potenze dellIntesa, interessa ovvia-mente anche lItalia ed in prima battuta ilpunctum dolens del

    confine orientale o quanto meno di una sua parte. Le clausolerelative alla cittadinanza determinano alcuni punti fermi(Chiunque abbia la pertinenza in un territorio che faceva par-te dei territori dellantica monarchia [] acquister di pienodiritto, ad esclusione della cittadinanza austriaca, la cittadi-

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    nanza dello stato che esercita la sovranit sul territorio pre-detto), ma si coronano poi di una serie di sottili distinguo

    quando quel diritto pu diventare tale solo per elezione, perscelta: allora necessario il vaglio di apposite Commissioni.La ratio delle clausole dei Trattati indubitabilmente punta aduna riconfigurazione dei territori dellex Impero austro-unga-rico che abbia una sua compattezza etnico-linguistica; gi pri-ma della firma dei Trattati (di Saint Germain, e poi quello diRapallo nel novembre del 1920) gli eserciti occupanti, almeno

    per quel che riguarda proprio larea al confine orientale, ave-vano provveduto ad epurazioni-espulsioni di persone di altralingua e razza non politicamente gradite. anche vero, tut-tavia, che lattivit di quelle Commissioni, dopo la carica suo-nata dagli eserciti, deve procedere con una nuova cautela. E dicerto ci accade non perch persone di altre razze risultinoora pi ben accette. Innanzitutto molte di quelle Commissioniconsultive istituite per circondario e restate in vigore fino al

    1927 sono composte, contro ogni altisonante proclama, ancheda eminenti personaggi sloveni e croati, scelti tra i moderati.In secondo luogo la complicata traduzione burocratica dellenorme del trattato in questione (e dei trattati successivi) impo-ne numerose deroghe, in senso positivo, rispetto agli elenchidegli inclusi nella cerchia dei cittadini italiani: la lentezza esa-sperante delle pratiche, lignoranza incolpevole degli interes-

    sati che non si destreggiano tra codici e codicilli, il numero deiricorsi diretti a diverse autorit istituzionali, forza le maglie diun ingresso che indubbiamente era stato pensato con maggiorrigore selettivo.C tuttavia dellaltro: vanno considerati i vuoti lasciati dachi si vede rifiutata la domanda di cittadinanza per diritto dipertinenza, elezione o opzione e che possono di certo essere

    colmati da altre presenze di nazionalit italiana e non sospettipoliticamente: vi comunque un reticolo di professioni (ancheminute) che rischia di strapparsi a danno di tutti. I commer-cianti, ad esempio, che a lungo vagano nellincertezza (siamogi nel 1926) di un conferimento certo di cittadinanza (neces-

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    sario per ottenere i passaporti), inevitabilmente interromponoil regolare svolgimento degli affari, che non sono solo affari di

    carattere privato.Ancora pi significativa la vicenda del clero allogeno: nel1923 su 63 domande di cittadinanza, ne vengono respinte 41 ela prefettura, col parere delle Commissioni, crede di aver fattoegregiamente il suo dovere, fino a quando non giunge un ri-chiamo dal ministero dellInterno, sollecitato da alcuni vesco-vi della Venezia Giulia. certo gi in pieno corso il lungo iter

    di riavvicinamento tra il mondo cattolico e il mondo laico esono gi in vista le trattative per il Concordato: ci che colpi-sce in una lettera del vescovo di Pola a Mussolini, del gennaio1923, lequivalenza clero/mantenimento dellordine, anzi delnuovo ordine nazionale nonch il fiorire degli stereotipi. Lecesure, gli strappi, incidono su un tessuto di autorit ricono-sciute: senza di esse il pericolo non solo religioso, ma mora-le e politico. Le popolazioni slave e rurali hanno bens deidifetti, ma nella loro massa sono buone ed affezionate ai lo-ro pastori spirituali. I difetti di quelle popolazioni sono noti;serpeggiano in diversi punti il concubinato [], lo spergiuroe soprattutto la vendetta con i rispettivi danni ed assassini[]. Le masse delle popolazioni slave amano lordine e la re-ligione[]frequentano la chiesa ascoltano volentieri la pa-rola di Dio. Il leit-motiv noto: lattacco alla rete ecclesiale

    respinto dai vescovi giuliani contendendo allautorit civileuna parte del suo stesso vocabolario di legittimazione (ordine,pace, nazionalizzazione). Il ministero degli Interni, almeno perquesta volta, chiede cautele alle periferie pi riottose ed il pre-fetto della provincia di Trieste, sebbene a malincuore, co-stretto a segnalare che solo uno dei ricorsi presentati dai 41 sa-cerdoti cui non stata conferita la cittadinanza italiana stato

    accettato. Per il resto si affida allo stesso ministero degliInterni. La categoria della convenienza e non quella della mo-derazione quella che si attaglia meglio a definire tali scelte:di fatto il tessuto dei popoli conviventi da secoli sullo stessoterritorio non pu essere strappato del tutto. Sullo scenario

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    europeo lo sradicamento di intere popolazioni agli albori: iprimi esperimenti gettano (caso greco-turco), forse, il seme

    per un futuro non lontano. Ad ogni modo, nel lungo e difficilepercorso che lidea di cittadinanza stava compiendo nel tem-po dEuropa, la pace di guerra degli anni Venti impone pesan-ti freni e inevitabili retrocessioni (dalla cittadinanza alla suddi-tanza), scatena radicalismi violenti, si porta dietro la tentazio-ne dellomologazione di nazione e di razza. Non sono detta-gli che restano chiusi dentro stretti confini.

    Rispetto alle altre regioni dItalia, nella Venezia Giulia il fasci-smo conosce dunque un precoce successo, perch sa innestarsicon indubbia abilit politica nei conflitti sociali e soprattuttonazionali che continuavano ad imperversare da decenni in que-starea e che la guerra rilancia. Soprattutto esso sa fare tesorodel clima di incertezza diffusa, esasperato dalle difficolt e daimolti fantasmi che una situazione magmatica, come quella ap-pena descritta, suscita.

    Carattere distintivo del fascismo di frontiera infatti lepo-pea della difesa del confine nazionale, accompagnata dallaforte aggressivit contro i nemici esterni ed interni.Le squadre fasciste, guidate dal toscano Francesco Giunta, san-no appunto cogliere questo ribollire della societ civile cheben si coniuga con lacuto senso della guerra non finita e danon finire dei poteri militari e con il desiderio di molta parte

    dei ceti dirigenti che temono lincandescente intreccio di ribel-lione sociale e ribellione nazionale. Sono molte le squadre ar-mate, capaci di spostarsi da Trieste da un capo allaltro dellaregione; raccolgono i disorientati, gli inquieti, masse di perso-ne rifiutate da altri schieramenti. La loro violenza quella del-la devastazione, secondo quanto affermano le stesse fontidellepoca. Devastazione una parola forte, un termine milita-

    re che contiene modelli e tipologie organizzative di caratterebellico. La federazione del fascio di Trieste conta gi nel 1921circa 14.000 iscritti: la pi importante dItalia. Il 13 lugliodel 1920, con lincendio delNarodni Dom sede delle princi-pali organizzazioni slave della citt e collocata nel centro di

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    Trieste accompagnato da paralleli atti di violenza a Pola ePisino rappresenta una data simbolica di svolta. Quelle fiam-

    me ritornano nei discorsi di propaganda degli anni successivi esono da subito unimmagine emblematica diffusa dalla stampanazionale. Le fiamme che si elevano dagli edifici, e tutte leoperazioni dassalto che ne causarono le distruzione, apronocon tutta evidenza lo scenario dellalleanza in corso tra i nuoviportatori di violenza e parti importati dello Stato, non pi dis-poste a rispettare le tradizionali regole della convivenza socia-

    le e politica. Dalla Venezia Giulia deve muovere la riscossa. un Piave perfetto la nostra regione: Francesco Giunta cherichiama un mito nazionale forte e insiste ancora: La VeneziaGiulia ha il posto che nel Medioevo ebbero le marche di confi-ne, contro linvasione straniera.Valenza nazionale, valenza simbolica, linguaggio guerresco: lesquadre organizzate da Giunta giocano cos le loro carte, inter-pretano cos il loro ruolo su una scena locale che vuol essere

    laboratorio e insieme modello per tutta lItalia. Il loro progetto un coacervo didee, ma non senza idee: sono ideologiecomposite che chiedono insieme ordine e ribellione, gerarchiaed eversione per una nuova idea di nazione e di patria.La dittatura necessaria come imperio della parte pi sanadella nazione sui partiti degenerati, come imposizione neces-saria e violenta dellordine: con queste parole, invece, non

    uno squadrista, ma un esponente molto vicino alla borghesiaagraria e industriale friulana, Piero Pisenti, futuro ministro diSal, sembra sancire la confluenza tra il vecchio ed il nuovo,tentando di tenere a bada la corda pazza della violenza. LoStato forte la sirena che ormai incanta anche le seconde file.Sono poi queste a gestire la fase successiva dellassalto, spes-so attraverso percorsi complicati che puntano ad avere nella

    vecchia guardia nazionalista, pi colta e preparata, il riferi-mento privilegiato. Sono proprio questi uomini coloro che con-tribuiscono a rendere solide le basi dello stesso Stato fascista(basti ricordare la figura di Alberto Asquini, allievo di AlfredoRocco) e a rappresentare, nel contempo, lavanguardia della

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    presenza fascista nella stessa Austria e nei Balcani: la meta diuna penetrazione economica e di un controllo politico in quel-

    larea non mai abbandonata, nemmeno negli anni in cui lal-leanza italo-tedesca trionfa. I ceti medi, intanto, gli avvocati, imedici, gli impiegati, gli insegnanti trovano un varco apertoper rivendicare impieghi e carriere, nella politica contra bar-baros, che il primo fascismo sta propalando ai quattro ventiper ottenere spazi e visibilit. Il primo fascismo, tra laltro,sa accodarsi molto bene alla frantumazione di quelle sicurezze

    sociali che lImpero aveva saputo dare ad una parte della po-polazione: esso riesce cos a solleticare in molti casi le ambi-zioni di alcune categorie professionali (i medici, ad esempio).Dopo la conquista del potere, leversione fascista si fa violen-za di Stato, che ha tra i suoi obiettivi prioritari, volendo incar-nare lidea di forza e di potenza, quello di distruggere lidenti-t nazionale delle popolazioni slovene e croate, ormai partedella patria italiana: tutto ci in memoria di antichi contrasti, e

    quindi con un forte senso di rivincita, ma anche in odio versoqualsiasi forma di diversit possibile allinterno di uno Statogerarchico e dittatoriale, uscito da una guerra vittoriosa.Lomologazione delle minoranze avanza, con diversi siste-mi, in tutti gli Stati europei: in Italia, la dittatura d una parti-colare coloritura a tale meta, che forse rappresenta un progettoimperfetto, ma pur sempre rivelatore di una mentalit, di

    unideologia. Su questo obiettivo converge sia la legislazionerepressiva applicata contro gli oppositori del fascismo sia unaserie di misure specificatamente mirate alla bonifica etnicadella regione, fra le quali si distinguono i provvedimenti diret-ti ad impedire luso pubblico della lingua slovena e croata(abolizione della stampa slava, soppressione dellinsegnamen-to in lingua slovena e croata, chiusura dei circoli culturali) ri-

    tenuti premessa indispensabile per lassimilazione degli allo-geni. Unica cultura, unica lingua: la lingua e la cultura dellacivilt superiore. Tutto ci nella complessa articolazionedella politica antislava spesso presentato come un dono, o,se provoca sofferenza, come una sofferenza necessaria.

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    Sofferenza necessaria certo quella dellitalianizzazione deinomi e dei cognomi. Una significativa differenza viene intro-

    dotta dalla legislazione proprio a tale riguardo. La legge del 10gennaio 1926 prevede che si debbano restituire i cognomi informa italiana (cancellando i segni di linguaggi appartenentiad una civilt inferiore), ma che la loro riduzione (e ri-scrittura) in italiano sia facoltativa: in realt questo un picco-lo esempio che aiuta a capire come agiscano in accordo le or-ganizzazioni fasciste e lapparato dello Stato, ancora vincolato

    al vecchio Statuto Albertino, pur rivisto e forzato in pi pun-ti. Le autorit istituzionali provvedono alla restituzione di fat-to e dautorit ed esplicitamente si affidano al Pnf per la ri-duzione (ed il ricatto verso gli incerti o i ribelli).A tali provvedimenti si accompagna la persecuzione degli ele-menti ritenuti capaci di fungere da coagulo per le comunitnazionali slovene e croate, in primo luogo i preti, i maestri, icapi-villaggio. Infine, la liquidazione del tessuto cooperativo e

    creditizio slavo, gi in prepotente ascesa in epoca asburgica,frena bruscamente le vive speranze di affermazione sociale de-gli sloveni e dei croati. La borghesia slava della Venezia Giulia(o quello che ne era rimasto, dopo i molti provvedimenti diespulsione e le molte fughe avvenute gi alla fine della guerra)viene drasticamente ridimensionata e di fatto sostituita, negliuffici pubblici, nelle professioni e nelleconomia privata, da

    homines novi di provata fede italiana, in tutti i casi in cui ta-le operazione possibile e vantaggiosa. Bisognava infatti ren-dere appetibili, ad esempio, a italiani delle vecchie province lecariche di podest senza compenso in territori isolati e scomo-di. Bisognava giocare sul filo del rasoio della repressione vio-lenta e del mito della civilt superiore, tra un modello di esclu-sione ed uno di inclusione condizionata.

    Nelle campagne e nei piccoli borghi, era pi difficile tale ope-razione di sostituzione e, spesso, lespulsione del ceto dirigen-te o dei ceti medi sloveni e croati ivi esistenti si rivelava soloun ostacolo pesante per il funzionamento delle stesse istituzio-ni. Non mancano del resto tentativi di corruzione, di adesca-

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    mento da parte dello Stato fascista; n le comunit slovene ecroate (urbane e contadine) danno tutte compattamente la stes-

    sa risposta di ripulsa al regime dittatoriale. Cedimenti e com-promessi, adattamenti e consensi non sono rari. Lopposizionenon sempre veste i panni dellantifascismo consapevole (maquanti sono gli antifascismi?). Non va comunque mai dimenti-cato che i sistemi di polizia hanno, lungo il corso del venten-nio, unazione deterrente di grande rilievo (i moltissimi prov-vedimenti di ammonizione e di confino, le carcerazioni e le

    condanne a morte comminate dal Tribunale speciale per la di-fesa dello Stato), mentre vengono creati ad hoc proprio sul fi-nire degli anni Venti altri istituti, come lIspettorato specialedel Carso, guidato dal capo fascista Emilio Grazioli, con finidi controllo capillare dellarea periferica urbana: essi riesconoa funzionare molto meglio di tutti gli altri tentativi compiuti,per mezzo delle organizzazioni del Pnf e delle istituzioni stata-li, con particolare riferimento sia alle trasformazioni economi-

    che indispensabili per il retroterra carsico e per lIstria pove-rissima sia allassistenza ed al soccorso dei pi miseri.Lesempio di rapporti inusuali tra Stato e societ diventa og-getto di consapevole esibizione. E per molti versi tali modellidi comportamento incarnano proprio la modernit di uno statodittatoriale.La carenza di mezzi finanziari blocca poi la maggior parte dei

    progetti, mentre la costruzione di miti propagandistici (il mitodi Roma, la potenza salvifica della civilt latina, ad esempio)non riesce a trasformarsi in modelli di vita da proporre ai di-versi: nemmeno lesaltazione della modernit e della ruralit,spesso indicate come schemi culturali che possano conviveresenza difficolt, raggiunge risultati duraturi; il disprezzo versogli allogeni e le misure repressive smascherano facilmente il

    volto suadente del fascismo benefico. Del resto interessan-te notare come il discorso della snazionalizzazione assumadentro di s coloriture razziste che dilatano i confini dei vecchistereotipi con nuove tipologie di linguaggio supportate da unapropaganda via via pi violenta soprattutto nel momento in

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    cui cominciano a soffiare i venti di guerra. Allora il fascismobonificatore non solo quello che deve migliorare le condi-

    zioni economiche e morali delle popolazioni allogene ma, ap-punto, alla fine degli anni Trenta quello che deve bonifica-re il territorio al confine e saturare quelle terre con la pre-senza della nostra razza. Quel lessico politico si avvia a di-menticare la distinzione paternalistica tra il buon popolo con-tadino ed i suoi capi perversi; lo stigma razziale inscritto nel-limmagine di truculenta malvagit e bruttura che la stampa ri-

    manda, soprattutto in determinate occasioni (nel momento del-le plateali celebrazioni dei processi del Tribunale speciale aTrieste, nel 1930 e nel 1941, ad esempio); il determinismo raz-ziale parla, in questi casi, attraverso i corpi dei ribelli condan-nati. Si pu ipotizzare una sorta di razzismo coloniale nelcaso dei rapporti tra italiani, da una parte, e sloveni e croati,dallaltra: una civilt superiore contro una non civilt, perconnotare la quale emergono dalla tradizione sedimentata del

    razzismo di inizio secolo (in Italia e altrove) gli strumenti ne-cessari. Razza e difesa nazionale, razza e modernit, nel con-testo del confine orientale cos prossimo allo scenariodellEuropa orientale: su questi temi, a proposito dei quali hagiustamente insistito Enzo Collotti, molto ancora c da inda-gare e sarebbe bene venissero valorizzate pienamente, accantoalle fonti orali, anche le fonti minori per un arco di tempo lun-

    go (dallopuscolame propagandistico, alle riviste di varia natu-ra, ai quaderni di scuola, ai giornaletti per ragazzi fino alle pre-diche in chiesa), stabilendo un saldo confronto con la storio-grafia slovena e croata e ricostruendo nel dettaglio lincrociotra composizione sociale ed etnia nella Venezia Giulia neglianni del fascismo. E ancora: quanto pesano tutti questi razzi-smi su un regime generalmente considerato pi mite e ma-

    gnanime rispetto ad altri modelli?In ogni caso, quandanche si scopra che il corpus ideologicofascista, in relazione al razzismo antislavo, rappresenta solo uncoacervo di idee disorganiche e che le teorie furono spessocontraddette da una realt ben pi complicata, la sua devastan-

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    te efficacia indubbia sul piano dei rapporti tra popoli convi-venti. La permanenza dellintolleranza e dellodio ne sono in-

    diretta testimonianza: i linguaggi aspri della politica, le sceltedi violenza, i processi di denigrazione e di delegittimazionereciproca scavano unoffesa profonda, frutto di una incom-prensione cresciuta a dismisura nellarco di un secolo, in cui ilfascismo gioca un ruolo decisivo.Si pu ben dire a questo punto che la Venezia Giulia si confi-gura come un luogo, in cui sono messi alla prova peculiarit

    diverse e contrastanti dello Stato fascista: la ricerca del con-senso spesso veste i panni della magnanimit del pi forte,mentre lascia sempre in mostra larma della repressione picapillare; la modernit nasconde linconsistenza finanziariadel paese; il valore pregnante dei miti mostra la sua forza e lesue belle vesti cangianti, pur restando spesso sulla soglia diuna casa contadina, fuori dalle relazioni e dalle logiche deimondi di paese; luomo nuovo stenta a crescere; larroganza

    e lorgoglio nazionalista e imperialista su cui il regime puntamolte delle sue carte non si sciolgono tuttavia come neve alsole soprattutto per la formazione dei giovani italiani, cresciu-ti durante il ventennio.Che il regime crei qui, con tale politica, compatti schieramenticontrapposti poi un assunto che va discusso: perch lantisla-vismo non appunto lunico strumento di esclusione e di mar-

    ginalizzazione che esso assume e impone. La disarticolazionedella societ civile passa ancora attraverso molti canali ed trasversale, spesso, alla contrapposizione nazionale: dopo il1938 tale processo diventa molto evidente.Per avviarmi alle conclusioni, va detto comunque che le co-munit slovene e croate, prova tangibile di diversit nonomologate, continuano ad apparire come realt che hanno

    punti di riferimento significativi, che fungono da protezione diunidentit comunitaria peculiare: si tratta soprattutto dei sa-cerdoti, coloro che gi in epoca austriaca avevano svolto unruolo non da poco nel processo di costruzione dellidentit na-zionale slovena e croata e che, nelle mutate condizioni del ven-

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    ta dal governo fascista nel 1939 e basato sulla lingua duso,sembrerebbero dimostrare che alla vigilia della seconda guerra

    mondiale la consistenza della popolazione slava presente entroi confini del Regno dItalia fosse in calo, sia pur in terminicontenuti e diversificati tra citt e campagna. Lemigrazione ele politiche dellodio e dellesclusione avevano dunque avutoil loro peso; il fatto poi che la stessa fonte rimarcasse, nono-stante tutto, la presenza di circa quattrocentomila alloglotti al-la vigilia della guerra al confine orientale suonava come una

    precisa minaccia per il regime e, nello stesso tempo, come lanon compiuta snazionalizzazione delle popolazioni slave. Allesoglie della guerra, quando il problema delle minoranze nazio-nali diviene lesca propagandistica che fa scattare la trappoladella guerra in Europa, la paura dei dirigenti e dei consiglie-ri del Pnf molta: fusione e unificazione della razza [] neiterritori di frontiera, la proposta di un ex mazziniano passa-to ormai da tempo nelle file fasciste.

    Ci vogliono tuttavia politiche di forte impatto, investimenti fi-nanziari significativi per raggiungere lobiettivo, di un confineche sia anche un confine razziale: in questo nuovo modellorazziale fascista, contaminato dalle spinte antisemite ormai inatto sul territorio nazionale, c ancora posto per unidea di as-similazione, stravagante solo in apparenza.Si pu ancora pensare, sottolinea lestensore della relazione

    appena citata, ai matrimoni misti, tra donne slave dellIstria edel Carso, con militari italiani o uomini della Milizia: le donneslave, potenzialmente pericolose per la capacit di trasmetterela lingua nazionale ai figli, sono poste in realt in questa ge-rarchia sociale al gradino pi basso, secondo una concezionedi puro disprezzo e secondo i canoni di una tradizione del do-minio maschile corroborata dallidea della forza virile del-

    luomo militarizzato.Il frutto avvelenato di ventanni di lacerazioni ed insipienzeviene cos lasciato in pasto alle nuove violenze che solo laguerra in grado di alimentare: una nuova ondata di intolle-ranza che accomuna questa volta slavi ed ebrei scuote fin dal

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    1941 (e dallinvasione della Jugoslavia in particolare) la cittdi Trieste. Squadroni della morte si aggirano nello spazio

    urbano, portando con s una violenza aggiuntiva rispetto aquella dello Stato, esibita anchessa secondo i canoni del ter-rore, il terrore di uno Stato tirannico che ha ormai scoperto leformule proprie dello Stato totalitario.Alcuni anni fa ricerche condotte sulla base delle testimonianzeorali, riportavano le espressioni di gioia di uno sloveno cheguardava dalla periferia i bombardamenti su Trieste: unim-

    magine icastica e simbolica insieme.Dalla periferia, tenuta lontana e divisa dalla citt quasi ad oc-cupare uno spazio simbolico di estraneit e di non esistenzasi profilava lo spettro della vendetta. Gli slavi, i vicini scono-sciuti o denegati dei piccoli centri interni dellIstria e di tuttalarea del goriziano, si preparavano a voltare pagina.Basta tuttavia questa osservazione che delinea un contesto pre-ciso a spiegare quanto accadde nel secondo dopoguerra, con il

    dramma delle foibe e dellesodo? Secondo me un forte ele-mento di discontinuit si apre nel 1945: la tragedia della guer-ra e delloccupazione fascista in Jugoslavia, ricordata qui daglialtri relatori, va confrontata con altri progetti di violenza e conaltri abissi dodio che nessuno volle o fu in grado di controlla-re. La vendetta fu spesso solo un pretesto, mentre la viola-zione dei diritti delluomo fu una realt che nessuna promessa

    di un mondo migliore, in futuro pi o meno lontano, potevagiustificare o rendere degna. La necessit di creare dei contestiche spieghino il perch degli accadimenti non deve toglierenulla alla rilevanza di questi ultimi, alle nuove fratture e lace-razioni che tali eventi drammatici aprivano in modo tale che ilpassato veniva capovolto ma con le stesse logiche di disuma-nit. Spiegare non serve, se non c questa presa di coscienza

    che anche smarrimento.

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    LItalia, vincitrice nella prima guerra mondiale, concluseil proprio processo di unificazione nazionale inglobandonel contempo circa mezzo milione di popolazione slava nellaVenezia Giulia. La popolazione slava, chiamata ufficialmenteallogena, era composta secondo il censimento del 1910 da cir-

    ca 327.000 sloveni e 152.000 croati. Assieme ai 34.000 slove-ni della Slavia veneta, gi presenti nello stato italiano dal 1866e censiti nel 1921, gli sloveni in Italia erano 360.000 e rappre-sentavano quasi un quarto dellintero popolo sloveno con al-trettanto territorio. Queste terre (assieme alla citt di Zara e alSud Tirolo con circa 200.000 tedeschi) vennero attribuiteallItalia con il patto di Londra, concluso, con gli alleati, nel-

    laprile del 1915. Con il patto il governo italiano adott un pro-gramma di espansione che accanto ai motivi nazionali inclu-deva anche ragioni di carattere geografico e strategico. Da ci,credo, scaturirono tutti i conflitti tra i due popoli e tutte le tra-giche conseguenze, di cui nemmeno oggi ci si rende comple-tamente conto. Per gli sloveni della Slavia veneta la crescitadel numero di sloveni presenti in Italia non influ sulla loro si-

    tuazione politico-nazionale. Ritenuti ormai assimilati, non ven-ne pertanto loro riconosciuto alcun diritto nazionale. Nel 1934,con un decreto prefettizio, fu loro tolto anche il diritto alla pre-ghiera nella lingua materna.Nel periodo di occupazione militare della Venezia Giulia, tra il

    Milica Kacin Wohinz

    Istituto di Storia contemporaneadi Ljubljana

    Le minoranze

    sloveno-croatesotto il fascismo

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    novembre 1918 e lannessione del gennaio 1921, le autorititaliane presero numerosi provvedimenti restrittivi, che pena-

    lizzarono la ripresa della vita culturale e politica della compo-nente slovena e croata. L Italia non era preparata ad affrontarei delicati problemi nazionali e politici dei territori occupati,abitati anche da sloveni e croati che aspiravano allunione conla propria madrepatria e che avevano gi compiuto la pro-pria acculturazione socio-politica nel plurinazionale statoasburgico. Nel 1918, finita la guerra, il capo di Stato maggiore

    generale Pietro Badoglio diede istruzioni politiche per il tratta-mento della popolazione slava in tre progetti riservati, elabora-ti per ordine del ministro degli Esteri Sidney Sonnino. Da unaparte veniva decisa lazione concreta mirante alla dissoluzionedel nuovo stato jugoslavo il Regno dei serbi, croati e sloveni, dallaltra si forniva alle trattative per la definizione del nuo-vo confine tra i due stati un quadro politicamente italiano del-la regione. Al terzo punto delle istruzioni del 29 novembre si

    leggeva: Escluso ogni riconoscimento esteriore dello Statojugoslavo e dei suoi pretesi organi, tale Stato, il suo territorioe i suoi organi in quanto tengono un contegno contrario agliinteressi e ai diritti dellItalia e dellEsercito occupante, sa-ranno considerati come nemici coi quali in vigore un armi-stizio e saranno trattati in conformit.Lirremovibilit delle delegazioni italiana e jugoslava alla con-

    ferenza di Parigi ritard la stabilizzazione dei territori occupa-ti acuendo i contrasti nazionali e costruendo il terreno idealeper laffermazione del fascismo di confine, che coagul leforze nazionaliste sul piano dellantislavismo combinato conlantibolscevismo. Lincendio delNarodni dom a Trieste nelluglio 1920, non fu che il primo atto di una lunga serie di vio-lenze nella Venezia Giulia. Secondo lo storico triestino Carlo

    Schiffrer fu compiuto nellintento di mettere in difficolt letrattative; secondo il socialista Aldo Oberdorfer distrusse perun lungo periodo tutti i ponti che esistevano per una conviven-za pacifica tra i due gruppi nazionali. Al comizio elettorale delBlocco nazionale italiano, il primo maggio 1921, il leader fa-

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    scista Francesco Giunta si present cos: Il mio programmalo conoscete... Per me iniziato... con lincendio del Balcan ...

    Oggi non si tratta solo di vincere la battaglia politica... bensdobbiamo vincere alle porte orientali dItalia la battaglia na-

    zionale... Il nemico sta solo due passi fuori dalle mura dellacitt.Il trattato di Rapallo, stipulato tra i due stati il 12 novembre1920, non vincol lItalia al rispetto delle minoranze slovena ecroata; diede per tutti i diritti alla minoranza italiana in

    Dalmazia rimasta nella Jugoslavia. Pi tardi, nel 1923, il mini-stro degli Esteri Carlo Sforza in una lettera a Giovanni Giolittiscrisse: A Rapallo gli jugoslavi erano sullorlo della dispera-

    zione... Con il consenso dei vicini abbiamo trasformato in ita-liani mezzo milione di jugoslavi, ottenendo privilegi specifici

    per alcune migliaia di italiani rimasti in Dalmazia. Mi chiede-vano precise garanzie per gli slavi in Italia. Rifiutai decisa-mente. Dissi che i nuovi stati devono garantire la tutela delle

    minoranze ma per uno stato forte come lItalia la garanziasta nella sua propria civilt e tolleranza. (Avevo enormementesbagliato! Eppure era uno sbaglio fortunato). Perci allaCamera, a Roma, i deputati dei partiti democratici protestaro-no chiedendo la reciprocit nel trattamento delle due minoran-ze. Solo dopo questo intervento la Camera dei deputati italianaapprov un ordine del giorno con cui si assicurava ai gruppi

    etnici slavi il rispetto della propria identit e ampie garanzieper la promozione della propria lingua e della propria cultura.Garanzie verbali vennero offerte da diversi statisti e dallo stes-so sovrano. Laspetto pi rilevante della mozione era senzal-tro il riconoscimento formale della presenza di una secondaetnia nella Venezia Giulia.Clausole riguardanti la tutela degli slavi nella Venezia Giulia

    non vennero incluse nemmeno nei successivi atti, nelle con-venzioni di Nettuno del 1925, o nei trattati politici del 1924 edel 1937 stipulati per avviare da parte jugoslava buoni rappor-ti con il potente vicino. Laccordo di amicizia e collaborazionetra lItalia e la Jugoslavia del gennaio 1924 fu il premio, dicia-

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    mo un riconoscimento, alla Jugoslavia per aver ceduto lo Statoindipendente di Fiume allItalia, ma non arrest lazione sna-

    zionalizzatrice degli jugoslavi in Italia, colpiti proprio alloradalla riforma Gentile che segn la fine di tutte le scuole in lin-gua slovena e croata nella Venezia Giulia. La politica esteradel fascismo sincammin sulla via dellegemonia adriatica edel revisionismo, assumendo crescenti connotati anti-jugosla-vi. Tale orientamento fu sostenuto anche da gruppi capitalisti-ci, non solo triestini, decisi a espandersi nei Balcani e trov

    non pochi consensi nella popolazione italiana della VeneziaGiulia.Nel periodo dellamministrazione militare e nella prima metdegli anni Venti gli sloveni ed i croati non opposero resistenza.Essa invece prese a manifestarsi allinterno del movimento ri-voluzionario operaio, al quale gli sloveni avevano aderito mas-sicciamente, nella convinzione che la rivoluzione in Italiaavrebbe risolto con la questione sociale anche quella naziona-

    le. Tale fatto contribu a unificare nella definizione di slavo-comunisti o slavo-bolscevichi i due concetti di slavo, ri-ferito alletnia, e comunista, riferito allideologia politica,inducendo il fascismo a giustificare contemporaneamente epretestuosamente il terrore contro due avversari. Il fascismocement le forze nazionaliste italiane della Venezia Giulia ri-chiamandosi allantislavismo e al ruolo di tutore degli interes-

    si italiani al confine orientale. Intendeva cos identificarsi conlitalianit e a sua volta identificare lo slavismo con lantifa-scismo. Ancor prima dellannessione ufficiale, nella regione sierano create le condizioni che poi avrebbero accompagnatotutto il ventennio. Le forze politiche si polarizzarono su basenazionale, il movimento operaio si radicalizz in gran partenel movimento comunista. A questa radicalizzazione lo avreb-

    bero portato, secondo le autorit italiane, gli slavi che ancorprima dellannessione avevano aderito al Partito socialista ita-liano.La politica degli esponenti sloveno-croati della Venezia Giuliafu improntata al lealismo nei confronti dello Stato italiano. I

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    cinque parlamentari della lista jugoslava, eletti nel 1921 allaCamera dei deputati di Roma, ebbero a dichiarare: Come ab-

    biamo il diritto di chiedere la cura pi gelosa e il rispetto perquanto attiene la nostra coscienza nazionale, cos ne assumia-mo anche tutti gli obblighi, non solo quelli imposti dalle leggi,ma pure quelli derivanti dal fatto della convivenza statale...Vogliamo e ci sentiamo in dovere di essere il ponte di riconci-liazione tra la Jugoslavia e lItalia, lelemento spirituale che

    possa ravvivare in queste terre i sentimenti di una superiore

    solidariet umana. A questa politica di lealismo rimasero fe-deli anche dopo lavvento del fascismo. Non aderirono nem-meno allopposizione dellAventino, ritenendo che la comuni-t sloveno-croata avrebbe dovuto affermare i propri interessinazionali nel rapporto diretto con il popolo italiano e non con ipartiti politici. I politici sloveni, di sentimenti irredentisti edantifascisti, videro nellappello al principio della lealt e dellalegalit la sola possibilit di conservare lidentit nazionale

    della propria minoranza, anche dopo la soppressione di tutte leproprie istituzioni, compresa la rappresentanza al parlamento,e fecero sentire la propria voce a livello del Congresso dellenazionalit europee. Il Congresso, istituito nel 1924 dalla Legadelle nazioni, adott nel 1935 il principio di collaborazione inmateria di tutela delle minoranze con tutti, anche con i regimitotalitari, a patto che questi riconoscessero la loro esistenza.

    Fu il triestino Josip Wilfan a presiedere il Congresso, per tuttala sua durata, appunto per la sua esperienza acquisita nella po-litica minoritaria in un regime totalitario. La storia delCongresso delle nazionalit europee (che ha funzionato sino al1938) stata purtroppo trascurata nella storiografia europeadel periodo tra le due guerre. Altrettanto nella storiografia ju-goslava. Eppure il Congresso significava, secondo la defini-

    zione di Wilfan: lembrione della futura Europa unita, chesoltanto oggi si realizzata.La battaglia parlamentare dei rappresentanti della minoranzasloveno-croata per la tutela dei diritti nazionali, condotta incomune con i deputati della minoranza tedesca dellAlto

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    Adige, non diede alcun risultato, anzi il regime fascista si im-pegn a fondo, anche per via legislativa, nella snazionalizza-

    zione di tutte le minoranze nazionali. Durante i governi demo-cratici in Italia queste avevano rinnovato le proprie istituzionidellanteguerra, comprese le rappresentanze politiche ed am-ministrative. Nel rinnovo delle istituzioni autonome comuniesisteva una garanzia per uno sviluppo libero, in particolarenellIsontino dove nella rinnovata Dieta straordinaria provin-ciale, presieduta da Luigi Pettarin, il rapporto fra gli italiani e

    gli sloveni era di 6 a 5. Minori erano le prospettive per gli slo-veni a Trieste ed i croati in Istria gi nel periodo dei governidemocratici. Con lavvento del fascismo invece, grazie allaviolenza esercitata da questo con il sostegno delle autorit sta-tali, le prospettive per la minoranza nazionale divennero dram-matiche, poich la distruzione del patrimonio esistente venivasistematicamente perpetrata sin dal 1922. Le prime a risentir-ne furono proprio le Diete straordinarie di Gorizia e di

    Bolzano. Sino al 1928 nella Venezia Giulia vennero progressi-vamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croa-te, tutte le scuole furono italianizzate, gli insegnanti furono, ingran parte, trasferiti, pensionati o costretti ad emigrare.Vennero posti limiti agli slavi per laccesso al pubblico impie-go, cos come vennero soppresse centinaia di associazioni cul-turali, sportive, giovanili, sociali, professionali, centinaia di

    cooperative economiche e istituzioni finanziarie, case del po-polo, biblioteche e proibito luso pubblico della lingua mater-na. I partiti politici, cio le associazioni Edinost di Trieste edi Gorizia la prima di matrice nazional-liberale, la secondacristiano-sociale e tutta la stampa periodica, vennero postifuori legge alla fine dellanno 1928. E solo in virt dellaccor-do politico del 1924 con la Jugoslavia, ancora in vigore, ma

    che Mussolini non voleva prolungare, sopravvissero per altridue anni alla soppressione, decretata nel 1926, degli altri parti-ti non fascisti in Italia. Per lo stesso motivo i due deputati slo-veni alla Camera di Roma, Wilfan e Besednjak, non furonoespulsi nel novembre 1926 quando, in conseguenza delle leggi

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    speciali per la difesa dello Stato, furono defenestrati tutti i de-putati oppositori e proibiti i loro partiti. Gli sloveni, come an-

    che i tedeschi, cessarono il proprio mandato alla fine del 1928con la scadenza dellultima (XVII) legislatura eletta. I due de-putati non si stancarono mai di esprimere la loro fiducia nellademocrazia del popolo italiano e nella ragionevolezza deglistatisti. Ancora nel novembre 1926, dopo le leggi eccezionali,Wilfan cerc di convincere Mussolini a trasformare la politicadi assimilazione in politica di conservazione della minoranza,

    argomentando che essa avrebbe favorito gli interessi supremiitaliani aprendo al paese la strada verso i Balcani. Pochi stati-sti italiani, Carlo Schiffrer li defin mosche bianche, si ren-devano conto di quanto fosse controproducente la violenza distato. L ambasciatore a Belgrado generale Bodrero fu buonprofeta nello scrivere al capo della polizia Crispo Moncada(primo prefetto della Venezia Giulia): Se continueremo inquesto modo... ci troveremo di fronte a qualche amara delu-

    sione; il rispetto dei diritti nazionali, invece, avrebbe creatosimpatie anche tra gli sloveni in Jugoslavia e avremmo trovatoin loro un magnifico veicolo di penetrazione nostra nel centroEuropa. Di uguale parere fu il ministro degli Esteri DinoGrandi.Ogni anno i deputati delle minoranze nazionali sfruttavanoloccasione dellapprovazione del bilancio per attaccare la po-

    litica del governo. Non si stancarono di attaccare la riformascolastica del 1923 giacch una conquista culturale raggiun-ta dal nostro popolo dopo mezzo secolo di lotte e di sacrificiimmensi e continui e stata distrutta nel volgere di 24 ore conun decreto-legge... Non si tratta solo di violazione dei dirittinaturali ma bensi violazione dei diritti dell umanitaA simili accuse il ministro dellIstruzione Casati nellagosto

    del 1924 rispondeva che esistono mete politiche perfettamen-te definite, e cio la snazionalizzazione delle minoranze nazio-nali. Meta... non e forse che tutta la generazione a venire im-

    pari litaliano, ma bens di fare degli alunni degli italiani na-zionalmente coscienti. Ancora nel 1927 seguirono le parole

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    profetiche di Besednjak: Abolite le nostre scuole e destituiti imaestri ogni famiglia si trasformer in una scuola, e tutti, ma-

    dri e padri di famiglia diventeranno maestri che tramanderan-no di generazione in generazione la nostra lingua... e la co-scienza della stirpe. Le leggi degli stati sono mutevoli, i popo-li vivono in eterno. Nellultimo intervento alla Camera, nelmarzo del 1927, Besednjak concluse cos: Resisteremo comenel passato. Se ci siamo difesi vittoriosamente contro la seco-lare germanizzazione austriaca, siate sicuri che... sopportere-

    mo oggi con successo pi sicuro anche il peso della vostra po-litica snazionalizzatrice. Nel dicembre dello stesso anno con-segnarono al governo un memoriale suddiviso in pi capitoliriguardanti tutte le questioni e ben 21 richieste concrete. Tralaltro leggiamo: Sopprimendo le societ non si soppressoil bisogno di associazione degli slavi che si radunano cionon-dimeno in forma privata e senza controllo alcuno da parte del-lo Stato. Allora Mussolini ordin a Francesco Giunta di rice-

    vere i deputati slavi e, separatamente, i due tedeschi Tinzel eSterbach. Poi, il 10 febbraio 1928, radun al palazzo delViminale tutte le autorit che possano apportare elementi digiudizio per la soluzione della questione. Il testo del verbaledi questa riunione purtroppo non noto, sono noti solo i suoirisultati, e cio: nessun ripristino dei diritti nazionali.Eliminata la possibilit di qualsiasi rappresentanza delle mino-

    ranze nazionali, queste cessarono di esistere come forza politi-ca e i loro rappresentanti fuoriusciti continuarono ad operarein esilio nel menzionato Congresso delle minoranze europeeed in Jugoslavia, cooperando cos allimpostazione di una po-litica generale per la soluzione delle problematiche minorita-rie.Limpeto snazionalizzatore per and oltre la persecuzione po-

    litica, nellintento di arrivare alla bonifica etnica, che su sca-la nazionale significava il complesso dei provvedimenti anti-slavi, provvedimenti miranti a semplificare drasticamente lastruttura della societ sloveno-croata. Negli archivi centrali diRoma esiste un vastissimo materiale che testimonia lopera

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    del regime sotto diverse terminologie: assimilazione, italia-nizzazione, penetrazione, nazionalizzazione, snaziona-

    lizzazione, bonifica nazionale, bonifica etnica, bonificamorale ma anche epurazione etnica. Sono termini riportatinei documenti, nelle relazioni dei prefetti e dei gerarchi fasci-sti delle Nuove province, nelle circolari governative riservate,nei progetti, consigli, telegrammi, nelle proposte e nelle richie-ste a livello locale e nazionale. La commissione mista storico-culturale italo-slovena nella relazione finale cos defin que-

    stopera: Ci che infatti il fascismo cerc di realizzare nellaVenezia Giulia fu un proprio programma di distruzione inte-grale dellidentit nazionale slovena e croata.Un primo programma del governo riguardante le Nuove pro-vince stato riprodotto da Renzo De Felice nella sua storia delfascismo. Si tratta della circolare riservata di Mussolini del 10novembre 1925 nella quale il Duce critica la politica dei go-verni liberali, poich avrebbero considerato il confine orienta-

    le soltanto come confine strategico e sarebbero stati perci fa-vorevoli allautonomia delle Nuove provincie, accontentando-si di avere l una popolazione docile e sottomessa, anche seestranea alla nazione. Al contrario il governo fascista pose abase del suo programma verso le popolazioni allogene... il fat-to che sia per la geografia che per la storia tutte le terre chein seguito alla guerra sono state annesse allItalia fanno parte

    integrale dellItalia e che soltanto per unarbitraria e violentaazione di governi stranieri da una parte di tali terre venne invari modi tolto il carattere dellitalianit, il quale ora che loStato italiano ha acquistato la forza del suo diritto, deve esse-re pienamente integrato. Per realizzare tale programma eranecessario, scondo Mussolini, da una parte reprimere le mani-festazioni anti-italiane, dallaltra invece suscitare nella popola-

    zione, con adeguate concessioni e atteggiamenti benevoli, ilsenso della convenienza della loro appartenenza allItalia.La politica del fascismo nei confronti degli slavi appartenentinazionalmente a uno stato debole ed odiato come quello ju-goslavo era diversa da quella prevista nei confronti dei 200.000

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    tedeschi del Sud Tirolo/Alto Adige, che avevano alle spalleuna nazione potente. Lo dimostra una diversa circolare di

    Mussolini dedicata allAlto Adige, anche pubblicata da DeFelice, con la quale veniva pianificata la modifica della strut-tura etnica attraverso limmigrazione di popolazione italiana,mentre per la Venezia Giulia era prevista la pi completa ita-lianizzazione. Cos litalianizzazione dei toponomi, dei cogno-mi e nomi personali sloveni o croati si accompagnava alla pro-mozione dellemigrazione, a trasferimenti di professionisti ed

    operai nellinterno del paese e nelle colonie, allavvio di pro-getti di colonizzazione agricola interna da parte di elementiitaliani, a provvedimenti economici mirati a semplificare dra-sticamente la struttura della societ sloveno-croata, eliminan-done gli strati superiori in modo di renderla conforme allo ste-reotipo dello slavo incolto e campagnolo, ritenuto facilmenteassimilabile dalla superiore civilt italiana.A tali disegni di pi ampio respiro si accompagnava una poli-

    tica repressiva assai brutale anche perch lintolleranza nazio-nale si aggiungeva alle misure totalitarie del regime. Dopo loscioglimento di tutte le istituzioni nazionali slave il Popolo diTrieste scrisse in settembre 1927 che le ultime offensive con-tro le istituzioni slave non erano state decise in risposta a co-spirazioni degli allogeni che, a suo parere, gli slavi non eranonemmeno in grado da fare, ma dalla pura esigenza di elimina-

    re una minoranza per la quale nell Italia fascista non cera po-sto perch la nazione italiana vuole essere armonica, monoliti-ca, con una sola disciplina, senza eccezioni. (Ecco, ad esem-pio, qualche frase o titolo dai programmi dei leader fascisti lo-cali: ludinese Piero Pisenti elabor nel 1925 un intero volumeProblemi di confine: il clero slavo; il triestino Giuseppe CobolGigli nel 1927 nella rivista Gerarchia scrisse: Non esiste un

    problema allogeno... ma invece un problema di penetrazioneitaliana fascista, c la necessita di affermare in pieno lauto-rita dello stato.... Il goriziano Giorgio Bombig: Di una poli-tica verso gli allogeni non si dovrebbe pi parlare; non perchil problema non esista, ma perch si correrebbe il rischio di

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    dare a una popolazione, che per numero meno di un terzo diquella totale della regione, e per valore morale, politico, so-

    ciale conta molto meno ancora, unimportanza che certamen-te non merita.). Nel 1929 nel noto volume Politica di confinedel triestino Livio Ragusin Righi, analizzato da Elio Apih ginegli anni Sessanta, si afferm che al confine orientale nonesisteva alcuna minoranza nazionale, ma soltanto gruppi spar-si di allogeni, di popolazione che non ha una propria storiane legata ad alcuna civilt, come non ha un proprio senti-

    mento di nazionalit e non ha una cultura nazionale; essa costituita da raggruppamenti rurali e vi si nota subito lassen-za di una classe intellettuale e della pi modesta istruzione...Privi di una propria convinzione e di qualsiasi coscienza na-

    zionale, essi sono sempre guidati o con la forza e lintimida-zione oppure con le lusinghe e le illusioni. E cos le cose do-vrebbero restare anche in futuro. La soluzione gli sembravasemplice: colonizzazione sullesempio di Roma antica realiz-

    zabile in tre fasi: ripulire lambiente di tutte le influenze ester-ne, insediamento di funzionari italiani scelti e di militari neicentri pi grossi e trasformazione etnica della regione, ossiaassimilazione completa con la diminuzione del numero degliallogeni in seguito al loro trasferimento nellinterno dellItalia.Il direttorio del Pnf triestino, ossia Carlo Perusino, nel 1930,dopo il primo processo di Trieste contro lorganizzazione clan-

    destina nazional-rivoluzionaria, che provoc le fucilazioni diquattro patrioti sloveni a Basovizza constato che la scopertadel complotto e le rivelazioni del processo hanno spazzato leillusioni e le speranze... di una facile opera di assimilazionedegli slavi... Questopera di assimilazione ha rivelato in tutti isettori un bilancio meschino se non addirittura negativo: il

    problema etnico della Giulia si riaffaccia nella sua integrit s

    da rendere neccesaria un profonda revisione della politica sinqui seguita... LItalia... deve per forza di cose accettare loscontro di razza. Proponeva lazione da svolgersi in due dire-zioni: al di l del confine, in Jugoslavia, per impedire lo svi-luppo del nazionalismo slavo e al di qua del confine, in Italia,

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    con misure forti per bonificare la regione. Simile era il pro-gramma del segretario del Fascio per lIstria Giovanni Relli

    che chiedeva mezzi energici e forti, quali lo sfruttamento dellasituazione economica, cioe lestrema miseria e lindebitamen-to dei contadini slavi pretendendo il pagamento in blocco ditutti i debiti. Cosi le propriet ipotecarie andrebbero all incan-to e potrebbero essere comperate a prezzi bassi. Sicuramentequesti programmi sollecitarono il governo che il 14 agosto1931 costitui lEnte per la rinascita agraria delle tre Venezie

    col compito di espropriare le propriet terriere che si trovava-no in possesso degli allogeni per poi cederle ad agricoltori excombattenti o fascisti. Riguardo la scuola apprendiamo, dalPopolo di Trieste dello stesso periodo, che la popolazione allo-gena ha una forte coscienza nazionale, non ha analfabeti, ognifamiglia ha giornali, almanacchi, romanzi ecc. e che i padrisono in grado di imparitre ai figli listruzione elementare, perquesta ragione listruzione scolastica viene annullata nelle fa-

    miglie. La scuola media italiana, invece, secondo la stessa fon-te, educa gli avanguardisti del movimento nazionale sloveno,crea degli intellettuali slavi anzich degli italiani. Dalla scuolaescono apparentemente italianizzati, ma in realt sono spiri-tualmente pronti a sacrificarsi per la patria slava. Rari sono ineutrali, ancora pi rari sono i filoitaliani. Perci, secondoIlPopolo, non dobbiamo in nessun costo favorire listruzione

    media fra i nostri sloveni... Abbandoniamo... ogni idea di dif-fondere per ora la cultura media e universitaria tra gli slo-veni e concentriamo sullincontro tutti i nostri sforzi per da-re incremento alla cultura elementare.Quanto modesti fossero i risultati di questi intenti lo dimostra-no i nuovi programmi elaborati allinizio del secondo conflittomondiale. Nel 1938 il triestino Angelo Scocchi scriveva:

    Lapplicazione del criterio linguistico nelle recenti modifica-zioni delle frontiere cecoslovacche... crea un precendente nonfavorevole al nostro Paese... si rende pi urgente la necessitdi provvedere che i nostri confini politici rispondano non sol-tanto ai concetti geografici, storici, economici e strategici, ma

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    anche a una realt linguistica. Per raggiungere lo scopo pre-vedeva anche di mandare le ragazze slave quali domestiche

    presso le famiglie italiane, dato che Scondo Scotti erano ge-neralmente apprezzate per robustezza, laboriosit, ordine, di-sciplina, e quindi tutelarle moralmente e materialmente pres-so i loro padroni a scopo matrimoniale. Gli ultimi suggeri-menti al Duce li fece il capodistriano Italo Sauro raccoman-dando: Quello che pi importa premesso che a noi non ne-cessita la pacificazione degli slavi e tanto meno il loro isola-

    maneto e litalianizzazione del confine orientale, giacch fi-no a quando vi saranno gli slavi su questo confine, si avr ra-gione di temere disordini e perturbazioni... Forza e giustiziasono gli elementi sui quali gli slavi, come i popoli primitivi,

    fanno poggiare i troni; la forza soprattutto dovr essere pre-sente per reprimere con la massima severit: con gli slavi laclemenza debolezza.Lazione snazionalizzatrice si diresse anche contro la Chiesa

    cattolica giacch fra gli sloveni, dopo lesilio dei quadri diri-genti e intellettuali, fu il clero ad assumere il ruolo di conser-vare la coscienza nazionale. Riguardo la lingua prescritta nellascuola i sacerdoti sloveni decisero che non si presteranno maia snazionalizzare bambini sloveni mediante listruzione reli-giosa in una lingua straniera e che Le autorit statali nonhanno nessun diritto di degradare listruzione religiosa a mez-

    zo per la snazionalizzazione e litalianizzazione. Secondo lerelazioni dei prefetti delle Nuove provincie al ministero degliInterni tutto lo slavismo, tutto lirredentismo, tutta lopposi-zione alle organizzazioni fasciste e alla penetrazione sarebbestata opera del clero sloveno. Perci il basso clero divenne og-getto di aggressioni e provvedimenti di polizia, ma forti pres-sioni vennero dirette anche nei confronti della gerarchia eccle-

    siastica di Trieste e Gorizia, nella quale i nazionalisti italianivedevano una solida forma di austriacantismo e filo-slavismo.Tappe fondamentali delladdomesticamento della Chiesa diconfine furono la rimozione del vescovo di Trieste AndreaCarlin (nel 1919), dellarcivescovo di Gorizia Francesco

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    Borgia Sedei, nel 1931, e del vescovo di Trieste-CapodistriaLuigi Fogar nel 1936. I loro successori applicarono le direttive

    romanizzatrici del Vaticano, in conformit con quanto avve-niva anche nelle altre regioni italiane ove esistevano comunitalloglotte, come pure nelle realt europee caratterizzate dallapresenza di fenomeni simili: tali direttive infatti miravano adoffrire il minimo di occasioni di ingerenza in materia ecclesia-stica ai governi, totalitari e non, e a compattare i fedeli attornoa Roma, in difesa dei principi cattolici, che la Santa Sede rite-

    neva minacciati dalla civilt moderna. Nella Venezia Giuliaquesti provvedimenti comportavano in via di principio laboli-zione delluso della lingua slovena e croata nella liturgia e nel-la catechesi; essa tuttavia fu mantenuta in forma clandestinasoprattutto in ambito rurale, a opera dei sacerdoti organizzatinella corrente cristiano-sociale. Tale situazione provoc gravitensioni tra i fedeli e i sacerdoti slavi da un lato, e i nuovi ve-scovi dallaltro, e le difficolt furono acuite dal diverso modo

    dintendere il ruolo del clero, al quale gli sloveni attribuivanouna funzione prioritaria nella difesa dellidentit nazionale,che appariva invece agli ordinari diocesani italiani frutto diuna deformazione nazionalista. Gli sloveni e i croati si forma-rono cos la convinzione che la gerarchia ecclesiastica stessedi fatto collaborando con il regime ad unopera di italianizza-zione che investiva ogni campo della vita sociale.

    Daltro lato il regime fascista cercava il consenso tramite entisociali, culturali e di beneficenza. La fascistizzazione di ampistrati della popolazione delle campagne fu il principale stru-mento per lassimilazione. Tra gli sloveni le maggiori adesionialle organizzazioni fasciste ci furono negli anni Trenta ed av-vennero soprattutto per la necessit di sopravvivere. Secondole fonti italiane nel 1940 il 49,8% dellintera popolazione del-

    la Venezia Giulia aderiva alle organizzazioni fasciste, tra lequali la Giovent italiana del Littorio-Gil includeva circa il95% dei giovani in et scolare. Il segretario federale del Pnfdella provincia di Trieste Emilio Grazioli scriveva, nel 1933,che nel Carso la rete dei fasci era quasi completata, che di essa

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  • 8/13/2019 Aned Atti Convegno "Fascismo, Foibe, Esodo"

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    faceva parte il 45,2% della popolazione e che la penetrazionedel PnfF era costante e decisa; aggiungeva per che lorganiz-

    zazione dei scolari-Balilla, durante le vacanze estive, non fun-zionava, perch la giovent era sviata dai genitori e dai sacer-doti, tanto che lorganizzazione registrava una perdita del 79%e quindi il lavoro svolto non d quasi nessun frutto.Ci furono anche esempi di collaborazionismo. Allindomanidella marcia su Roma a Gorizia venne creato il partito fascistasloveno Vladna stranka (Partito governativo)