Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura...

43
La Quadreria - Giovanni Francesco Guerrieri Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone Andrea Emiliani Le notizie della prima giovinezza di Giovanni Francesco Guerrieri, nato a Fossombrone nel 1589, sono proprio tutte nelle mani e nelle parole del canonico Vernarecci che fu il primo e, peraltro, il solo a potersi avvalere di un "diario" del pittore, oggi perduto, sembra, irreparabilmente. Più tardi, tra il 1615 ed il 1618, ci assisteranno alcuni documenti abbastanza trasparenti, i soli dai quali può emergere qualche informazione: quali colori prediligesse il pittore, se usava modelli, che tempi di lavoro teneva. Ma i primi anni, quelli di un adolescente che arriva a Roma nel 1606, di quale guida si servono, quale vita consentono: come entra un ragazzo nel vasto giro delle botteghe? Possiamo essere sicuri soltanto del fatto che il Guerrieri, nelle sue prime opere, appare subito legato ad un naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma. Consistenti, ma non facili a riconoscere, sono i punti di appoggio del Guerrieri a Roma. Certo, in lui tornano a far gioco - e non si sono mai spenti, in fondo - quei modelli senza tempo che da Pulzone a Valeriano, e perfino dal vecchio Muziano, o dal Cavalier d'Arpino, hanno portato fino alla luce dell'attualità un seme mesto ma dignitoso, dell'antica protesta di Controriforma. E non tanto di quella ufficiale, decollata nel 1563 e accompagnata dal grosso lavoro programmatico e trattatistico che sappiamo, ma piuttosto dell'altra, più antica, nata in seno ad una ecclesia semper reformanda che si muoveva fin dagli anni della Rinascenza. A un giovane che giungesse dalla provincia del Metauro, figlio di una famiglia di buon ceto amministrativo, il viaggio a Roma era come quello di chi si trascinasse sulle spalle un'enorme memoria storica e anche affettiva, fatta di chiese inerpicate sui monti e di conventi fitti di celle abitate da dedizioni esasperate, di corridoi popolati da santi e da martiri di mite devozione ma anche di efferata crudeltà visiva. Un gigantesco archivio della passione e della pietà, nel quale la Chiesa vinceva non solo con il sacrificio, ma anche per la minuziosa descrizione tassonomica, enciclopedica dei mali, delle trasgressioni colpevoli e delle punizioni inevitabili. Nessuno scrittore tentò mai di opporre la semplice vita, la pura legge naturale, a questa imponente massa di prevenzioni e di ammonizioni, di limitazioni paralizzanti, di castrazioni didascaliche. Nato dall'immagine questo tratteggio doveva essere sconfitto dalla pittura. Il naturalismo caravaggesco è il solo antidoto, esploso addosso e contro questo imponente spessore moraleggiante. Ogni evocazione dei suoi atteggiamenti salvifici, ammesso che si possano così identificare, va prima di tutto a sgomberare il campo visivo da quelle forme inerti e fantomatiche, malinconiche e concettuali, nelle quali la metafora spirituale, l'allegoria beatificante, la trasposizione del mondo dell'occhio in un ossessivo ripiegamento di verità, avevano preso posto, dilagando e coprendo ogni spazio visivo. Visto dalle campagne, e specialmente da quell'obiettivo interessato alla costruzione di una comunità sociale qual era la parrocchia rurale, come del resto la parrocchia urbana, la necessità urgente era quella di rimuovere i detriti dell'intellettualismo manieristico, anche con le sue bellezze mentali, i gioielli della sapienza e le tastiere dell'organizzazione dell'arte retorica, e quei volti muffi, spenti, pallidi, con i quali la nuova comunità parrocchiale continuava a misurarsi, ma disarmata, priva di

Transcript of Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura...

Page 1: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

La Quadreria - Giovanni Francesco Guerrieri

Giovanni Francesco Guerrieri da FossombroneAndrea Emiliani

Le notizie della prima giovinezza di Giovanni Francesco Guerrieri, nato a Fossombrone nel1589, sono proprio tutte nelle mani e nelle parole del canonico Vernarecci che fu il primo e,peraltro, il solo a potersi avvalere di un "diario" del pittore, oggi perduto, sembra,irreparabilmente. Più tardi, tra il 1615 ed il 1618, ci assisteranno alcuni documentiabbastanza trasparenti, i soli dai quali può emergere qualche informazione: quali coloriprediligesse il pittore, se usava modelli, che tempi di lavoro teneva. Ma i primi anni, quelli diun adolescente che arriva a Roma nel 1606, di quale guida si servono, quale vitaconsentono: come entra un ragazzo nel vasto giro delle botteghe? Possiamo essere sicurisoltanto del fatto che il Guerrieri, nelle sue prime opere, appare subito legato ad unnaturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenzaalla narrazione, alla scena della riforma. Consistenti, ma non facili a riconoscere, sono i puntidi appoggio del Guerrieri a Roma. Certo, in lui tornano a far gioco - e non si sono maispenti, in fondo - quei modelli senza tempo che da Pulzone a Valeriano, e perfino dalvecchio Muziano, o dal Cavalier d'Arpino, hanno portato fino alla luce dell'attualità un sememesto ma dignitoso, dell'antica protesta di Controriforma. E non tanto di quella ufficiale,decollata nel 1563 e accompagnata dal grosso lavoro programmatico e trattatistico chesappiamo, ma piuttosto dell'altra, più antica, nata in seno ad una ecclesia semperreformanda che si muoveva fin dagli anni della Rinascenza.A un giovane che giungesse dalla provincia del Metauro, figlio di una famiglia di buon cetoamministrativo, il viaggio a Roma era come quello di chi si trascinasse sulle spalle un'enormememoria storica e anche affettiva, fatta di chiese inerpicate sui monti e di conventi fitti dicelle abitate da dedizioni esasperate, di corridoi popolati da santi e da martiri di mitedevozione ma anche di efferata crudeltà visiva. Un gigantesco archivio della passione e dellapietà, nel quale la Chiesa vinceva non solo con il sacrificio, ma anche per la minuziosadescrizione tassonomica, enciclopedica dei mali, delle trasgressioni colpevoli e dellepunizioni inevitabili. Nessuno scrittore tentò mai di opporre la semplice vita, la pura leggenaturale, a questa imponente massa di prevenzioni e di ammonizioni, di limitazioniparalizzanti, di castrazioni didascaliche. Nato dall'immagine questo tratteggio doveva esseresconfitto dalla pittura.

Il naturalismo caravaggesco è il solo antidoto, esploso addosso e contro questo imponentespessore moraleggiante.Ogni evocazione dei suoi atteggiamenti salvifici, ammesso che si possano così identificare,va prima di tutto a sgomberare il campo visivo da quelle forme inerti e fantomatiche,malinconiche e concettuali, nelle quali la metafora spirituale, l'allegoria beatificante, latrasposizione del mondo dell'occhio in un ossessivo ripiegamento di verità, avevano presoposto, dilagando e coprendo ogni spazio visivo. Visto dalle campagne, e specialmente daquell'obiettivo interessato alla costruzione di una comunità sociale qual era la parrocchiarurale, come del resto la parrocchia urbana, la necessità urgente era quella di rimuovere idetriti dell'intellettualismo manieristico, anche con le sue bellezze mentali, i gioielli dellasapienza e le tastiere dell'organizzazione dell'arte retorica, e quei volti muffi, spenti, pallidi,con i quali la nuova comunità parrocchiale continuava a misurarsi, ma disarmata, priva diquel parallelo, ovvero paragone che era così necessario alla biblia pauperum; la ricerca della

Page 2: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

quel parallelo, ovvero paragone che era così necessario alla biblia pauperum; la ricerca dellacertezza del mondo.

Così, il naturalismo d'avvio e di adolescenza del Guerrieri è subito di quel carattere che devetrovare mediatori forti, dotati, in grado di dare soluzioni a molti problemi in Roma e giàintorno al 1607-8. A quel punto, il Guerrieri aveva sedici, diciassette anni soltanto,e'l'impatto con una città che il giubileo del 1600 aveva nominata capitale d'ogni fortuna,commessa, bottega o gruppo di lavoro, dovrebbe essere stato guidato da qualcheindividualità o atelier di cui in realtà nulla sappiamo. A quelle date, fatta ovvia eccezione peril temibile Caravaggio, del resto già bandito dalla città dopo l'uccisione del Tomasoni, leemozioni cui riservarsi oscillano tra quelle giuste, di prima fila, come quelle indirizzate alleopere del Gentileschi, del Borgianni, o del Saraceni e per certi versi di Mao Salini; oppure sisvagano tra le combinazioni non sempre corrette, ma certo seducenti, del Manfredi, delBaglione. Per certi altri aspetti, era anche attiva quella specie di archeologia cattolica che, apartire dalla scoperta del corpo di Santa Cecilia e dalla statua famosa di Maderno nella chiesadella Santa, in Trastevere, aveva creato attorno alle proposte di Cesare Baronio un vero eproprio parco di attitudini naturalistiche, ma belle ed emendate, preludio a quell'idealismomoderno che Guido, da un lato, e il Domenichino, dall'altro, porteranno a compimentonell'età aldobrandiniana. Anche questa era una verità attenta, solo che non sfociava in quellanuova, ribaltante anche se talora rozza, capacità di umanesimo. Il piacere per il nostrogiovane pittore sarà insomma quello di guardare alla natura, e di saper dipingere bene lecose dal naturale, ma raccontandolo.

A dire la verità, il Guerrieri era giunto a Roma con una piccola carriera alle spalle. I datiacquisiti dal Vernarecci e verificati dalla Cellini, lasciano conoscere per certa una sua attivitàappena adolescente. Essa è testimoniata da un'opera, a tutt'oggi conservata, la Vergine colBambino di Montebaroccio, che è ancora là, in quella Residenza comunale che, nei primianni del Seicento (1602), ebbe a podestà proprio Ludovico, il padre di Giovan Francesco. Nonsi tratta, certo, di un gran quadro. È piuttosto un segnale, organizzato su modelli grossomodo alla Samacchini, che si direbbe eseguito con un artigianato inesperto ma virtuoso,derivato forse da un'incisione di Agostino. Ma certe attenzioni particolari, soprattutto certenotazioni di paesaggio e poi quell'aria trasparente che avvolge le figure, rassicurano almenosu di una schietta volontà di coltivare ancora, caparbiamente, quella vocazione acerba. Ilpaesaggio affonda la sua forma in un tramando che dovremmo chiamare "adriatico" e chelontano enuclea anche Lorenzo Lotto e la sua mite avversione al classicismo.

Il ritratto, così, si apre in modo curiosamente moderno. Sulla pista tracciata dal diarioautografo, possediamo l'immatura opera prima di un artista ancora fanciullo. Si tratta di unevento piuttosto raro, salvato a noi da una condizione speciale e che ci esibisce un'operagerminale non assoggettata in alcun modo ai filtri della scuola o del magistero. C'è di più,Guerrieri non ha maestri, e qui si vede. Non ne cita alcuno nel suo diario ed è il canonicoVernarecci, giustamente in caccia di alberi genealogici in mezzo a tanta oscurità di origini,che se ne duole. Dopo questo esercizio minuto ed anche un po' pasticciato nel tocco,dobbiamo dunque immaginare che il maestro, o i maestri, il giovanissimo fossombronese seli vada a cercare a Roma, addirittura nel 1606, a diciassette anni.

Poiché ci mancano i pezzi della scacchiera, almeno fino al 1611, molte cose devono dinecessità essere ricomposte sull'induzione, e per giunta camminando all'indietro. Ed è ciòche faremo, quando dovremo finalmente affrontare le prime tele, eseguite - come laMaddalena penitente - nel 1611, e poi le altre successive del 1612 e del 1614, operecresciute e che vengono sempre più scoprendosi ricche di afflussi culturali. La ricerca di unpunto solido sul terreno di partenza è ancora oggi insoddisfatta, anche perché questi sonoanni che a Roma contano molto, frequentati dalla prima generazione dei caravaggeschi diavanguardia, i cui eventuali contatti avrebbero dovuto lasciare il segno. Di uno tra essi, ecioè di Orazio Gentileschi, l'intera vita poetica del Guerrieri sarebbe rimasta segnata, anchese la perfezione di quella pittura di profilo altissimo e degno assai più di una corte che d'unastrada romana, fu poi per lui un'aspirazione, una tensione, ma non quella mondana, perfinoterrestre rivelazione della natura narrata, della natura dipinta per gli altari delle chiese

Page 3: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

terrestre rivelazione della natura narrata, della natura dipinta per gli altari delle chieseparrocchiali e destinata alla comprensione della gente. Infatti, allorché nel 1615 e per treanni, il Guerrieri affrontò la commessa forse più promettente della sua vita, quella delledecorazioni in Palazzo Borghese a Campo Marzio, fu proprio il Gentileschi a ritornare allasua mente visiva per soddisfare quel bisogno immediato di una specie di parco archeologicodelle antiche metafore poetiche e delle allegorie più vetuste, ma anche "belle".

Poi, l'improvviso ritorno a casa, sul Metauro, è uno stacco senza rirorno verso la vita e illavoro. Verso un genere ed un metodo di lavoro che hanno in quegli anni un solo obiettivo, ecioè quello di assicurare - all'interno di quel modello sociale addensato attorno al rapportocittà-campagna - una verità particolare, una verosomiglianza che altrove, e cioè a Roma e aBologna, avevano investito tutto l'orizzonte figurativo. Ciò secondo metodi e modelli diversi,intensamente differenziati, per molti aspetti autonomi. La verità dei naturalisti romani, purscavando anche nel profondo della tradizione, era quella scoperta da un lampo, da unbagliore che non concedeva troppo tempo alle meditazioni: era la cronaca, spesso la cronacanera, di una città di grandi contrasti, abitata da artisti di mezzo mondo, centro diavanguardia di un'arte nella cui immagine perfino il potere più spregiudicato, come quellodei grandi pontefici o dei cardinali nipoti, si lasciava coinvolgere. Qui, e non altrove, è natala società arristica moderna. Da queste strade e da questi atelier, fitti di artisti senza troppimezzi e anche senza troppi scrupoli, s'è mossa una specie di libertà che puntavadirettamente sulla drammatica scelta della ricerca della certezza, piuttosto che su quella diuna verità teologica. E cerrezza, in pittura, vuoi dire sperimentazione, tanto più resapossibile se - connessa ad alcuni grandi ordini religiosi - il dibattito degli artisti affrontava laverità del mondo come la sola dove lo sguardo riusciva a cogliere fisionomie umane edolcezze amorose, una drammatica sequenza di vita e la bellezza della santità lontana, lepiaghe e l'esaltazione.

Quella dei bolognesi, la verità cioè lombarda, nutriva una finalità analoga ma raggiunta nellospecchio di una natura circostante con la quale l'artista si confrontava, quasi che il mondofosse appena tornato a nascere: e che tutto, dunque, di quel rapporto tra uomo e natura,dovesse essere ripercorso, narrato, misurato. Nell'arte carraccesca, la natura si esalta e sinutre di quella narrazione luminosa che la esplora e che, nel contempo, la fa rifluire in senoalla storia, sì che essa sembri tornare tra noi dopo una riforma, il ri-formarsi stessodell'equilibrio che si ritenne aver abitato il grande Rinascimento.Il Guerrieri, a Roma, non incontrò quasi di certo la verità lombarda, anche per essere ilvecchio e malato Annibale affaccendato ancora per poco attorno alle questioni delclassicismo e del paesaggio ideale. Lo vedremo piuttosto impegnato a guardare più tardiall'opera del Domenichino, proprio perché in essa la fissazione della verità è quasiarcheologica, statuina, impassibile, e dunque tale da agevolare il compito di un pittoregiovane che deve ostinatamente "fare la realtà", incontrarla per poterla narrare sullo stessopiano di quella degli uomini. Per questo, la natura del pittore di Fossombrone non sarà mainé commossa, né coinvolgente. Si dovrebbe dire che non avrà neppure le stigmate dellaquotidianità, quella che a Bologna era la scoperta nuova, il banco di prova della luce edell'ombra, cioè degli eventi che fanno sicura la presenza degli uomini e che dà loro lacertezza di esistere. Così, anche per tutti gli altri eventi che la natura ci propone appunto nelteatro della quotidianità: anzitutto, l'acqua nelle sue manifestazioni, l'acqua nella terra,l'acqua che bagna e che imperla le foglie. Nasce dal fluire di questi eventi la dimensione deltempo, il suo scorrere ed il succedersi delle ore nella giornata che - grazie al sole - stacamminando nel cielo, e allunga le nostre ombre, o macchia di verde e di bruciato ognipaesaggio.

In quale misura la Riforma cattolica accompagna e accresce il cammino di un'identità che,per le vie dell'antropologia culturale e anche del progresso scientifico, vediamo cosìd'improvviso, proprio intorno al 1580, per mano di Federico Barocci da un lato, e per manodei Carracci dall'altro, precisarsi tanto riconoscibile e umana: nel momento in cui i fantasmiintellettualistici cadono di colpo tra i ferrivecchi del manierismo, della metafora simbolistica,delle distillazioni mentali? Sono gli anni in cui la parola poetica stessa, pur con diversa fatica,

Page 4: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

delle distillazioni mentali? Sono gli anni in cui la parola poetica stessa, pur con diversa fatica,recupera la sua più diretta realtà come nella poesia di Tasso; nei quali anche il camminodella medicina che riassume in se stessa il progresso della scienza, esige di conoscere larealtà guardando le cose, specchiandosi nell'organizzazione della natura.

Il momento della grande scelta della Chiesa è quello che elegge il Vangelo alla massimacapacità figurativa e narrativa, nei confronti del Vecchio Testamento. La Rivelazione èletteralmente una didattica del modo e del luogo, dell'uomo e della natura. Si diffida dellaBibbia, ma poi alla fine si riconosce che in quest'ultima c'è spazio per un'enorme fantasiastorica, ricca anche di contraddizioni e di trasgressioni. Il Vangelo è invece sceneggiaturatotale, assoluta, imprescindibile. Nelle sue parole sono le ore, i luoghi, le circostanze. Nellafedeltà alle sue parole c'è ogni possibilità e anzi necessità di natura. L'artista discende dalloscanno teologico ed estetologico, e affronta il modello dell'uomo e il luogo della stanza,della strada e del paese.

Qual è stato il grande momento, alle soglie della società moderna, nel quale la Chiesa hanuovamente deciso di servirsi dell'immagine per condurre una strategia culturale e di fede?Le migliaia, le centinaia di migliaia di dipinti - per tenerci solo all'icona semplice - cheirrompono in poco più di due secoli nell'immenso teatro delle chiese italiane, da quellemetropolitane a quelle della periferia parrocchiale più umile, che significato hanno e a qualenecessità, bisogno, imperio obbediscono?Qui potevano incontrarsi le diverse concezioni di un solo recupero di storia, e cioè di natura,le due scuole e le due città impegnate alla riforma naturalistica. Certo, quella che il Guerrieriincontrava per le strade di una città fatta di orti, di vigne, di ville e di enormi chiese, aveva inse stessa il seme di una violenza che era pari al rumore destato dal gesto di chi per primol'aveva svegliata, e cioè Caravaggio. Qui il Guerrieri ha cercato il suo maestro, ha cercato diindividuare i suoi modelli, di organizzare le sue riflessioni. Su questo teatro dove vanno erestano artisti d'ogni razza e cultura, i flussi delle diverse tendenze sono continui, lesovrapposizioni inevitabili. Sulla verità di una scoperta perfino semplice nella brutalitàesistenziale, qual è quella di Caravaggio, si affannano anche le mediocrità, le contaminazionie le bigiotterie della realtà, del suo dramma d'ogni ora. Noi non sapremo mai, credo, chi siastato il maestro di Giovan Francesco Guerrieri, e neppure se esso sia stato uno solo, al di làdel nobile obiettivo del Gentileschi. Oggi siamo in grado di conoscere molte opere sue, quasiil suo intero catalogo di attività. E tuttavia perdura nella sua struttura di formazione non giàil senso di un'imperfezione artigiana, ché anzi, al contrario, egli si porta velocemente verso lequote della condotta alta. Ciò che è difficile da comprendere è invece la sua capacità dilavorare a più livelli, secondo profili di produzione quasi alternativi: prova di un carattere edi una cultura che conosce bene il fine dell'arte, la strumentalità anche del prodotto,l'efficacia della sua presenza.

Solo a guardarsi attorno, magari accasato in qualche convento di minori tra i tanti dellapatria marchigiana, il ragazzo poteva scorgere al lavoro, tra vicoli e osterie, i protagonistidella svolta caravaggesca. Tumultuosa, scomposta genìa d'artisti qual era quella di Salini edello Spadarino, di Orazio Gentileschi e del Borgianni, fino al Baglione e al Pensionante delSaraceni: gente che entrava sulla scena dei processi del Merisi con l'aria brusca e spiccia dichi ha da poco litigato e però deve campare l'arte e anche la vita. Che cerca di aggiustarsi unpoco le maniche prima di parlare di offese e di prevaricazioni, di madonne lauretane instagno anziché in argento, di carciofi tirati in faccia all'oste del Moro, e insomma, tutta lascompigliata arsura, la dannata voglia di vivere e la feroce povertà di questi pittori e artistiche vanno e vengono per Roma, e non gli si può dar regola.

Accanto a costoro, con meno ardire o grazia di costoro, Guerrieri seguitò a studiare, forsepresso qualche artigiano: e a metter giù quel suo tratto pittorico un po' grosso e un po'andante, dialettale talora, e se non vile di profilo, certo lontano dall'abilità versatile dellabella pittura italiana. Di tanta pittura che, sull'onda della vita delle forme, colma ogni vanodella chiesa, si dilata dal quadro all'ancona, dal ricciolo scolpito ai candelabri, finoall'applauso. Il corso del pennello del Guerrieri è un misto tra la trascuratezza ridondante diuno stile povero e la deterrninazione di dire le cose in modo diretto. Le prime cose dell'arte.

Page 5: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

uno stile povero e la deterrninazione di dire le cose in modo diretto. Le prime cose dell'arte.

L'artista marchigiano sa bene, peraltro, che i suoi immediati committenti sono e sarannosoprattutto preti e frati, monaci degli ordini riformati, cappuccini e francescani, quelli stessiche aveva lasciato a questuare per le strade di Fossombrone e a pregare nelle chiese dellacittà alta e in quelle nuove della bassa, fino all'Annunziata, costruita nell'ombra sotto ilPetrano, di là dal Metauro. Lungo il fiume che risale a Fermignano, oppure giù dal Furlo,dalla Strega, scendono notizie nuove, una successione appena scandita di brevi, confortantieventi economici, di rafforzamento - nonostante tutto - di quella società che scongela ilclima neofeudale così duro degli ultimi anni di Guidubaldo della Rovere, il granduca delmartirio di Urbino, con prudenza condotto poi dall'ultimo dei rovereschi, l'infelice FrancescoMaria II.

Le strade sconnesse che dagli Appennini portano le novità romane, a dire il vero, escludonosempre più l'alto Montefeltro, bloccato nel confronto, a questo punto immobile, con laToscana. Anche sotto il profilo culturale, l'omogeneità del sistema feltresco più antico,compreso tra il Foglia e il Metauro, con Urbino in alto, capitale ormai decentrata e lontana,sembra attanagliato nell'ultima società cortigiana, quella solitaria e squisita colmata di ognisapienza spirituale e artistica dalle mani malate di Federico Barocci. La notte dell'ultimopittore urbinate è un lucido, nero velluto che si distende da San Giovanni, copre come unacoltre trasparente Valbona e s'alza contro la mole immensa e vuota, invasa dal vento, delPalazzo Ducale. È una tenebra insonne sospesa sull'altissimo cielo del Montefeltro, prima cheVenere accenda, proprio sopra le torri del Laurana, l'attesa dell'alba, la pallida luce che bagnail Catria una volta ancora; come quella notte, che parve l'ultima del mondo cortese, spentasitra le mani di Baldasar Castiglione, e che chiudeva per sempre le veglie del Cortegiano.

Giù, nelle vallate traversate da traffici, dove l'economia dell'agricoltura è meno povera diquella tutta greppi e scoscendimenti che s'aggrappa in alto, giungono viandanti, si muovononovità e voci si incrociano. La strada di Fabriano discende dall'Umbria e raggiunge il mare aSenigallia. Le fiere e i mercati, le franchigie papali, i pescatori con le loro barche, dopoLepanto e la fine del pericolo turco, il porto di Ancona con i suoi mercati di Schiavonìa,hanno mutato il volto rudemente montano della Signoria. Gli scambi transitano per la carraiadi costa che sorpassa le Siligate, in alto, si stringe più sotto per schiacciarsi contro il SanBartolo, in procinto di scavalcare il corno del Conero che frana sul mare. Tutto entra in unpaesaggio che abbandona le città di altura, ricche di vescovi e di finestre che sbalzano losguardo e brillano di vetri fino all'acqua azzurra che sfonda il mattino, laggiù, attraversatodalla Santa Casa di Loreto in un fiato solo, proprio per quell'aerea qualità che è di tutte leMarche. I principati dell'interno innestano fronde vuote sugli alberi di una genealogia didoppia e tripla nominanza e nelle vaste sale permane l'eco di un lusso ecclesiastico e un po'pavonazzo, eco di Roma che già un grande marchigiano, Sisto V, aveva condotto a pienezzaintellettuale e di potente riassetto architettonico e urbanistico.

Sulla direttrice tracciata da questa economia più fervida, e forse soltanto meno indolente,come su un paesaggio meno complesso di quello imposto dalle strade di cresta, nel maggiodel 1598 sfila il corteo di un papa, Clemente VIII Aldobrandini. Deciso a ripetere, a finesecolo, quel viaggio nel nord padano già intrapreso da Leone X, che aveva inteso daredefinitiva conferma alla conquista di Bologna dopo la cacciata dei Bentivoglio e, insieme,incontrare Francesco I di Francia. Raffaello stesso potrebbe aver accompagnato il corteggio,tuttavia preceduto di qualche mese da quell'Estasi di Santa Cecilia che, dall'altare della bellacappella dell'Arrigucci, in San Giovanni in Monte, faceva ora risuonare il metro severo delclassicismo armato, del potere di un edonismo cattolico e neoplatonico avviato a invadere lapianura padana. Questo era il nemico, il vero nemico da opporre all'esoterismo dei pittoribolognesi, al loro sostanziale rifiuto al classicismo: altro che il braccio alzato nella minaccia,piuttosto che nella benedizione, che, secondo Vasari, Giulio II aveva raccomandato aMichelangiolo, e che il popolo nel 1611 aveva sbalzato giù dal portale petroniano condistruttivo furore.

Page 6: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

Il lungo viaggio di Clemente VIII, che si connota dell'antica, e romana, forma del "possesso",della presa di potere pacificata e definitiva, muove da Roma e infila archi trionfali e serti digloria, accogliendo benevolmente prosternazioni di gentiluomini. Si coprono di fiori le stradedi Narni e di Spoleto, di Foligno e di Ancona. Folle festanti e fanfare di trombetti, magistratiavvolti in zimarre un po' tarlate, accademici senati di pronta devozione, seguono centinaia ecentinaia di ecclesiastici e monaci, di suore e di preti usciti come formiche dai seminari edalle sacrestie delle infinite chiese e pievi e parrocchie e oratori delle Marche.

Francesco Maria II della Rovere annota nel suo diario che era di maggio e, anzi, il primo delmese. E il giorno avanti era passata la mula bianca che portava il Santissimo, seguita daltemibile cardinal nipote Pietro, proprio colui che doveva preparare l'ingresso dell'armata inuna Ferrara ormai sconfitta da Lucrezia d'Este, ex moglie del duca d'Urbino. Dalla cattedraledi Senigallia, appunta meticolosamente Francesco Maria, il papa si avvia verso Fano e nonvuole essere scortato che per mezzo miglio. Da Pesaro, il corteo ripartirà verso il nordsoltanto il giorno 4 e il granduca potrà finalmente tornare a Casteldurante, dove i dainiincominciavano a figliare, le cicale a cantare e qualcuno doveva fargli vedere la "leprebiancaccia" presa nel Montefeltro. Il diario dell'ultimo signore di Urbino riflette mirabilmentela vita del luogo in una sequenza appena sensibile: le saette dell'estate, la prima neve sulMontelirone, la nascita dei puledri. In questa recuperata quiete s'inscrive in termini quasiinavvertiti, ma di netti contorni, un paesaggio intero.

Che è il paesaggio di Giovan Francesco Guerrieri, il pittore di Fossombrone. Il ricordo del"possesso" di Clemente VIII che sale verso Ferrara non è altro che l'ultimo avviso di unadevoluzione annunciata e, insieme, di tempi in trasformazione, di traumi che incidonosull'immaginario sociale d'una comunità chiusa qual è quella urbinate; che, verosimilmente,si fanno evento e notizia assai meno risentiti non appena superate le mura del vecchioComandino e discesa l'erta fino allo stagno della Borzaga.

È assai difficile, si è detto, reperire nei luoghi della nascita e della prima educazione delGuerrieri le novità di cultura e la garanzia di qualche insegnamento almeno artigianale, comecertifica d'altronde la lacunosità della quale, da Antaldo Antaldi al canonico Vernarecci, tuttala piccola storiografia feltresca si viene lamentando. La scelta del giovanetto pittore, diandare direttamente a Roma, appare la sola opportuna e commendabile. Troppo lontane diqui, e forse anche troppo sapienti, le vistose equazioni di arte, di natura e di storia chereggevano la pur notissima riforma dei Carracci. Da queste parti non rimaneva chealimentarsi con i succhi quasi stremati nell'impeto soave di una diversa uguaglianza, dinatura e di anima, quale si distillava nelle stanze del Barocci, in via San Giovanni a Urbino.Troppo cortese, troppo eletta era quella lingua che pure investiva il paesaggio della primaautobiografia, nel segno della passione di Cristo. Il temperamento di un giovane, natoappena nell'89, sollecitava anche la ricerca di un confronto con la realtà esterna, con ladurezza della vita.

La testimonianza dello stesso Guerrieri data il viaggio a Roma già nel 1606. Alle spalle, ilfiglio del podestà Ludovico abbandonava quella Madonna col Bambino di Montebaroccio che- dipinta a soli 13 anni - si legge insieme come un exploit e un compito di scuola, entrambibasati su un manierismo di lunga lena. Nessun elemento preciso ci illumina sulla decisione,così precoce e risoluta, di andare a Roma, di affrontare il viaggio della vita. A volte, più cheuna necessità, un'avventura di questo genere può lasciar più facilmente trasparire il rifiuto diseguitare l'esperienza locale per chi, avendo ricevuto un'educazione borghese e intellettuale,non poteva passare l'adolescenza intera in un mestiere ancora una volta vile e "meccanico". Èprobabile infine che un'adesione forte qual era certo quella del grande viaggio potesseessere consentita, se non addirittura sollecitata, dai componenti di qualche comunità direligiosi. Ricorre per tutta la vita, nelle tele del Guerrieri, l'ordine cappuccino, la severitàconcisa della regola, il volto impenetrabile di questi santi uomini che mendicano la vita.

Il fatto che la grande copia dalla Deposizione di Cristo, di Caravaggio, che stava in SantaMaria in Vallicella, sia arrivata fino alla milanese chiesa di San Marco a Milano direttamenteda San Francesco di Sassoferrato, può essere soltanto una illazione. La sua qualità è buona,

Page 7: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

da San Francesco di Sassoferrato, può essere soltanto una illazione. La sua qualità è buona,ordinata. Il quadro è scelto con ogni intenzione tra quelli che possono, in tanta mestizia,narrare diverse storie. Perché non pensare che il giovane Guerrieri, giunto ai vent'anni nel1609, non abbia dato di se stesso un tirocinio di questa natura ai concittadini? In ogni modo,qualcosa di questo genere potrebbe essere certo accaduto, aver procacciato un modo diaccostamento al modello esecutivo, alla sua pratica e mai metaforica qualità di superficie. Ilpennello ha curato in maniera adeguata, come è ovvio, la tessitura cromatica. Non succederàpiù, se non in casi eccezionali: l'epitelio pittorico del fossombronese è molto spesso ingrato,poche altre invece cauto e attentissimo. Avversata poi dal tempo, dalla trascuratezza disacrestani incapaci, sotto volte scrostate oppure in umide sale capitolari, la sua tavolozzatanto disadorna e impolverata, nonostante i restauri, si presenta oggi, ancora e nonostantetutto, come dotata di una volontà immediata, di una restituzione o resa molto realistica. Eanche in questa presa diretta della materia, sta uno dei momenti forti della scabra volontàespressiva del Guerrieri.

Ma poi, a parte l'eventualità puramente sperimentale di attribuirgli la copia sentinate daCaravaggio, furono necessari altri mezzi, quasi strumenti per una simulazione culturale, peravviare la conoscenza del giovane lungo l'itinerario di un catalogo che non si sapeva comefar cominciare. Così, il recupero di questi mesi nebulosi mostrò di avvantaggiarsi non pocodella vecchia attribuzione-guida addossata alla Madonna col Bambino di Palazzo Pitti, eavanzata da Federico Zeri già nel 1954: un'ipotesi costruttiva che rinviava, inoltre, seguendouna ricostruzione ad sensum, agli anni 1608-10 grazie anche alla precedente apparizionedell'altra Madonna col Bambino, quella nella Galleria Spada. Ambedue le assegnazioni sonostate cancellate, oggi, nel corso del dibattito restitutivo apertosi attorno alla giovinezza delGuerrieri, e anche a riguardo della figlia di Orazio, Artemisia Gentileschi. Ritornato nell'arearomana dopo il Pulzone il dipinto della Spada, troppo raffinato comunque per servire allafaticata educazione del Guerrieri; ancora una volta riportata ad Artemisia, cui giàapparteneva, la Madonna allogata a Firenze. Nulla resta nella nuda stanza di convento chepossiamo immaginare essere stata la dimora romana del Guerrieri, forse divisa con qualchecompagno di avventura, comunque da tempo vicina alla bottega di Orazio Gentileschi.

Il punto d'arrivo di questa affermazione di contiguità e forse anche di alunnato è pur semprequella Maddalena penitente che, dalla vecchia proprietà fossombronese nella quale latrovammo nei primi anni Cinquanta, s'è ora spostata sul mercato romano. Si tratta di quellaMaddalena, per intenderci, che porta la firma insieme all'orgogliosa datazione di un pittoreappena ventiduenne: e che, nel 1611, è davvero utile a stabilire un ante quem per ilcapolavoro del Gentileschi che sta nella chiesetta di Fabriano dedicata alla Santa. Potremmospingerci ancor più avanti di quanto non ci permettemmo nella prima monografia dedicata alGuerrieri, del tutto sperimentale e pubblicata nel 1957. E immaginare che il giovane avessepotuto conoscere almeno la bellissima Circoncisione del Lomi nella chiesa del Gesù diAncona, databile al 1605; come pure quell'accigliato San Michele Arcangelo di San Salvatorea Farnese, di poco successivo. E, ancora, che ne avesse amato subito quella specie dicontaminazione, che in Orazio, però, connetteva senza conflitto alcuno, diafana e nitida,tradizione manierista e verbo caravaggesco. Come se a un prodotto di Controriforma venissesottratta ogni valenza simbolica, restando la forma in una impasse tutta trasparenza enobiltà; e il nuovo naturalismo vi entrasse, al contrario, con la precisione derivata da unmodello nordico, lenticolare, presago in questo del destino ormai prossimo dell'artista, esuleprima nelle Marche, poi a Torino e, infine, in Francia e in Inghilterra.

È una Crocifissione il quadro che, a immediata e conseguente distanza, ci troviamo di fronte,purtroppo frammentaria ma ancora molto potente anche in queste condizioni. Stava nellachiesa di San Rocco in Cittadella, a Fossombrone alta, e purtroppo già alla fine del secoloscorso era praticamente illeggibile. Ne resta un brandello, nella Pinacoteca Civica, ma in essoaleggiano, così come si esprime nel volto del Santo, un carattere di diretta umanità ed undecoro del naturale tanto fieramente enunciati da saper evocare fin da ora tutti gli indirizziche, volta a volta, assumerà quel naturalismo morale e quello strenuo dramma etico, chehanno guidato la prima vocazione al naturalismo terrestre, al temperamento "sivigliano" -

Page 8: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

hanno guidato la prima vocazione al naturalismo terrestre, al temperamento "sivigliano" -direbbe oggi ancora Francesco Arcangeli - di questa grande provincia che si distende tra ilMetauro e il Savio. Quanto dire alle porte di quell'Italia che, collocata sulle soglie dell'antico emitico Rubicone, si divideva dalla pianura "lombarda" e rifluiva su Roma, attraverso le grandistrade consolari romane e seguendo i flussi culturali più tipici del nuovo e vecchio stato,quello delle Legazioni.

Qui si incontrarono le due diverse figure del naturalismo secentesco, quella che sprofondanel lume di cantina e che ha un'origine romana e caravaggesca, e l'altra che discende daBologna lungo la via Emilia, e che è anche vocazione accademica, oltre che di misurata,riformata verità naturale. Rimini stessa è città di frontiera, toccata assai presto nel secoloXVII da opere impegnative come quelle del Mastelletta, del Massari, del Guercino, ma anchedel Pomarancio; oppure, nella vicinissima Cesena, del Saraceni. Rimini è, in questo senso, laprima tra le città costiere (seguono Pesaro, Fano e anche Senigallia) che propone una speciedi zona franca tra le due culture, capace di ospitare incontri e suggestioni incrociate a piùlivelli, le quali, per quel che qui ci riguarda, stanno comprese tra l'arrivo del Gentileschi, conla sua prima opera, nelle Marche nel 1605; lo stanziamento del Bonone a Fano, intorno al1612 almeno; e infine l'educazione, la giovinezza, la partenza per Bologna di quel SimoneCantarini che per molti versi rappresenta il condensato di questa cultura di frontiera. ProprioSimone, poco oltre il 1630, muoverà all'attacco dell'atelier di Guido Reni, servendosi infondo del nuovo grimaldello che sta tra imitatio ed aemulatio. Ma è proprio il vecchioplatonismo di Guido che rifiuta ogni confronto, avviato com'è verso la sua dissoluzioneterrestre. Simone da Pesaro, artista di poche opere, è tuttavia un cardine sul quale giral'intera cultura bolognese del mezzo secolo, e si rinvigorisce quella sublime natura che ilgran teatro della disillusione aveva ridotto ad una sindone appena spirituale, ad una fissitàiconica assoluta. Nella figura di Simone, è proprio l'intera vicenda che chiamiamo largamentemontefeltresca a rivendicare il ruolo di una nobile periferia culturale sulle capitali dell'arte.

I documenti accertano, per il semidistrutto quadro di San Rocco, un arco cronologico che siestende tra il settembre del 1611 e il novembre del 1613: e forniscono, nel maggio 1612, lapossibilità di immaginare che fosse in lavorazione proprio in Roma (qual fa M. FrancescoGuerrieri in Roma).

A questo naturalismo, che si può chiamare di riforma, una miscela di accettazione delcaravaggismo diretto e romano e di evidenti volontà esistenziali, il Guerrieri giovanissimoriuscì a dar corpo, forse, perché dotato di una cultura borghese e dunque, ipoteticamente,vicino al mondo ecclesiastico e ai suoi temi più gravi: sospinti dagli esiti operativi dellanuova società tridentina, come pure dalla qualità umana, più immediata e pastorale,evangelica più che ritualistica, di collettività aggregate attorno al nucleo di una comunitàdevota, di una prossimità parrocchiale, di un'attitudine, infine, a una pubblica pietas qualedoveva essersi costituita nel borgo natale.

Fossombrone era cittadina fervida e, già nel quadro del vecchio establishment feltresco,destinata a occupare una posizione economica, oltre che di potere, di buona fortuna e legataai traffici che scendono la valle del Metauro e agli altri che, per le antiche vie di terra,scorrono da Cagli: commerci dell'alta Marca fabrianese e, più ancora, dell'Umbria di Nocera edi Gubbio.

Sarà sempre difficile cogliere nel particolare consorzio dei pittori quale sia l'indirizzo diquesto loro parlar opportuno, tempestivo, basandosi ora, all'aprirsi del Seicento, su unlinguaggio che deve esibire, spiegare e sostenere la verità del recente e realistico testoevangelico e delle rivelazioni: e dunque secondo modi di precisa riconoscibilità. Lamultiforme varietà delle aree culturali marchigiane è scarsamente codificabile proprio inforza di flussi molto mobili quanto a economia della cultura e quanto a committenza,materialità artigiana e perfino censo dell'artista. Siamo all'interno, cioè, di un paesaggioorografico, politico, religioso, sul cui profilo la materia della tradizione figurativa, in assenzadi centri dominanti coevi alla maniera, ha elaborato per decenni una visione del manierismoessenzialmente policentrica. Il suo difficile diagramma è da cogliere in primo luogo nel

Page 9: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

essenzialmente policentrica. Il suo difficile diagramma è da cogliere in primo luogo nelprofondo della committenza religiosa e nel segreto, immediato profilo delle sue liturgicheesigenze.

Nel disegno seppure incerto della diffusione del naturalismo tra Marche e Romagna siritaglia evidente che il primo avviso di schietta partecipazione è proprio questo del Guerrieri;protratta, per giunta, per molti anni, anche se diversa sarà la motivazione che il pittore,dopo la metà del secondo decennio, darà alla sua poetica. Ne abbiamo conosciuto la qualitàmanifesta in quella sorta di tavola degli arrivi e delle partenze che, agli storici dell'arte, puòapparire la campagna marchigiana con i suoi insediamenti, tra il peso solenne e accademicodelle chiese cittadine e dei grandi ordini mendicanti e quell'ultima cellula territoriale eperiferica che è la parrocchia. Fuoco organizzativo e pastorale di un'arte che non haparagone, anche per prossimità di affetti, di passioni, di drammatiche verità quotidiane, connessun'altra età della cultura italiana.

Non ci fu luogo più vicino alle vicende storiche e sociali della comunità italiana, vista nellatrama dei suoi comportamenti di povertà e di sapere, della parrocchia, quale uscì dallariorganizzazione tridentina e si impostò a fianco delle forme di associazione agricola,ovvero, all'approssimarsi dei castelli, al primo infittirsi delle povere case, dei borghi artigiani.

Il Guerrieri pittore, tuttavia, al di là dell'iniziale e convinto consenso alla immediata poeticadel naturalismo, che definiremo una volta per tutte "parrocchiale" (utilizzando poi questaaccezione del termine fino al Centino, al Manzoni e al primo Cagnacci), vive un'epoca che, siaper condizioni politiche sia per dinamica di flussi economici e sociali e, infine, per geografiadiversa degli ambiti culturali, deve essere immaginata come transizionale. La parola, che sipresta a divenire argomento di comodo, esattamente come accade per quello strumentodifficile che è l'eclettismo, si spinge fino a contenere anche i problemi dentro i quali lapersonalità del Guerrieri si è certamente aggirata.

Nato nel secolo precedente, educato nell'ossequio di un banale manierismo ortodosso,gettato d'istinto dentro la ventata del naturalismo degli emuli di Caravaggio, che percorrevale valli lontane, quasi celandosi di fronte alla trasformazione dei centri del potere culturale,Guerrieri deve verosimilmente sopportare un mutamento di orizzonte e di destino che altri,più grandi di lui ma a lui parallelamente, hanno egualmente interpretato. Si pensi, inanalogia, a Simon Vouet, più ancora che a Giovanni Lanfranco.

Di qui a qualche anno, monumento non trascurabile proprio a questa transizionalità tardiva,sarà il più inventivo e talentoso tra i pittori dell'immaginario padano, il Guercino, adimissionare con gli ultimi profumi del Rinascimento estense anche il grado, il livello, lamoralità appunto di quell'antica poetica che egli veniva riformando: come avevano fatto iCarracci a Bologna, intorno al 1580-85. Il recupero dell'antico non era di valore antiquarialeo accademico, ma di ri-forma della storia e stabiliva un ordinato metodo volto a ritrovare, diquel passato, la grande lezione che stava nel dualismo di natura e storia.

Per Guercino, come, del resto, per Vouet, l'improvviso giro di orizzonte avvenne dopo il1623, più esattamente con la morte di papa Gregorio XV Ludovisi. E ciò valse anche per ipittori bolognesi, i quali comunque lasciavano alla segreteria della curia del nuovo pontefice- Urbano VIII Barberini - l'eredità di un altro emiliano, stavolta teorico e trattatista, legato, inpiù, alla crescente fortuna delle poetiche del neoclassicismo. Era lo stesso monsignorGiovanni Battista Agucchi che, dopo aver poggiato su Annibale Carracci le sue primeesplicite attenzioni, dopo la morte di questi aveva identificato nel Domenichino l'idealevettore di quella pittura normativa e didascalica.

Il giovane Guerrieri non si trova in questa condizione, né glielo avrebbero permesso età estato di cultura; e tuttavia, per essere la sua collocazione quella di un mediatore tra modelliartistici e forse anche liturgici, come pure un interprete di confini diversi, dalle vecchieMarche alla Roma delle avanguardie del gusto, non si può che osservare pure in lui avanzarsiun'alternanza, sempre più ritmica col passare degli anni, di modi e di correnti, una sequenzadi esempi di stile diversi, quasi instabili nel tracciato che se ne ricava e però egualmente

Page 10: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

di esempi di stile diversi, quasi instabili nel tracciato che se ne ricava e però egualmentecondivisi e sinceri. Il fenomeno avrà ricca documentazione negli anni tra il 1620 e il 1630, eoltre, ma esordisce assai prima, già presentandosi nella avvincente decorazione dellacappella di San Nicola da Tolentino nella chiesa di Santa Maria del Piano di Sassoferrato.

È stata avanzata da Claudio Pizzorusso una intelligente ipotesi a sostegno della memoria dicerti affreschi narrativi di quel singolare outsider che fu Simone de Magistris da Caldarola.Sono cronache efficaci di storie monastiche e di caccia, di povertà e di beatitudine, intessutesu fondi boscosi e declivi improvvisi, come e quanto le scene che, analogamente, larinnovata società feuda le commissionava agli artisti; che dovevano commentarepuntigliosamente i torbidi possessi dei Colonna e dei Farnese nelle forre dell'alto Lazio. Siaprivano subitanei scivoli di aerea prospettiva, squarci di cielo annuvolato, campagnepercorse da un Tevere che scendeva lento in acquitrini pescosi. E anche qui, tra ilfiamminghismo naturalistico di Paolo Bril e la sublime aurora di Adam Elsheimer, c'era infondo un legame che raccoglieva in un comune denominatore di verità le richieste dellacommittenza.

Non era, questa, la "quotidianità" dei bolognesi. Ad essa si addiceva proprio quel sentimentodel tempo, della giornata e dell'ora che suggeriva l'emergere della luce o il lento declinaredelle ombre. Che stillava, con le gocce del battesimo di Cristo, sull'arena umida delGiordano, così da lasciar scorgere l'impronta dei nudi piedi del Battista, lo sforzo delle ditasulla sabbia come in un calco. La quotidianità dei bolognesi, di Annibale e, soprattutto, diLudovico, apparteneva agli strumenti di vero, sostanziale pensiero che quegli artisti,riformatori del naturale, legavano programmaticamente alla pittura di Lombardia. Era,insomma, il rapporto dolcemente partecipe che tornava ogni giorno a costruire senzaaccademismo la tensione vitale tra uomo e natura.

La pittura del naturalismo caravaggesco scandiva un suono e segnava un traguardo moltopiù alti, perché più drammaticamente rappresentativa della vita. L'esistenza, anzichéaffacciarsi e rendersi sensibile nella mimesi e nel rispecchiamento naturalistico, avevaimposto il suo teatro: non metaforico, non meramente simbolico. È il gesto dell'uomo chetraccia, sul vasto scenario, una funzione che non disperde allusioni e non cede ad alleanzecon le ragioni del cuore, con la specola dei sentimenti. Un gesto supremo, assoluto, frontale.E un atto elementare, nel quale tuttavia la vita si esprime con una pienezza tale daraffrontarsi, per l'ordine esistenziale che vi regna, con la misura del classicismorinascimentale. In questo senso, non è troppo raro leggere nell'opera di Caravaggio il semeneppure tanto sepolto dell'equilibrio classico maturato nel secolo aureo.

L'accademia, ossia l'organizzazione della pittura secondo dettami o conoscenze derivate dauna speculazione intellettuale, è, insieme, il vanto e il limite di molti artisti bolognesi: el'eclettismo, troppo spesso usato come accusa di comodo, è uno strumento vero di questavirtù sapiente. È allora evidente che l'arrivo di influenze carraccesche, o scaturite dalcomplesso procedere dei cosiddetti Incamminati, non può mancare di avvincere lapersonalità di un giovane la cui attenzione è acuita dalla marcia veloce dei mesi, degli anni edalla condizione di "eclettico" che egli stesso è forzato ad assumere e che, d'altronde,attorno a lui e anche a Roma aveva altre e fortunate attenzioni. Basti pensare a Mao Salinioppure al Baglione, per non dire di quel Manfredi nella cui metodica il sapere accademicolucidava i prodotti della realtà e dell'esistenza, probabilmente, senza mai andare inprofondità, e però senza mai venire meno a una smagliante volontà di espressione.

Negli anni che vedono ancora il Guerrieri a Roma, ostinato cultore di verità pittoriche che siconfrontano, oltre che col Gentileschi, specialmente col Borgianni e, in qualche occasione,col Saraceni, la sua scena compositiva - come del resto, in analogia, sarà quella diAntiveduto Gramatica - si appropria anche, quasi un dovere di novità, di quella seria verificadi un naturale, selezionato fin che si vuole ma alla fine veritiero e persuasivo, che era statodel Domenichino negli affreschi dell'abbazia di Grottaferrata.

Su quelle mura, tra il 1608 e il 1610, il bolognese giunto da Bologna - come Guido Reni e lostesso Albani - per partecipare al "programma" pittorico ordinato da Clemente VIII, e forse

Page 11: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

stesso Albani - per partecipare al "programma" pittorico ordinato da Clemente VIII, e forsepiù specialmente dal cardinal nipote Pietro Aldobrandini, aveva dato spettacolo di una suaconcezione della realtà: emendata e quasi afona, tanto eletto fu il tono di quella narrazionedelle Storie di San Nilo. Ma pertinacemente verisimile, come solo sanno essere i progetti delclassicismo di tutte le età. Il messaggio del Domenichino, in questa direzione, non è poilontano da quanto lo stesso Guido aveva elaborato, tra il 1600 e il 1609, creando perl'archeologia dei protomartiri una galleria di infelici e tuttavia imperterrite eroine della virtù,da Cecilia a Caterina, sui cui rosei pomelli anche il più accanito cultore di verità avrebbetrovato pacificazione. Il vero, in quei cercini e, particolarmente, nell'ampio giro della pupillaentro occhi espressivi, che pure erano occhi quietisti, occhi attoniti, era perfettamenterispettato. Era di per sé un grande raggiungimento, anche se albergava nello spirito più chenel mondo.

Non c'è dubbio che un quadro perfetto e lucente come il piccolo David che uccide Golia diGuido, oggi a Marsiglia, intorno al 1607 fosse in grado di entrare in sintonia con OrazioGentileschi. E che la paletta con la Decapitazione di Santa Cecilia, collocata da Ottavio Costanel 1605 presso la parrocchiale di Conscente di Imperia, suonasse affine alle visioni delSaraceni e ai suoi gusti di delicata ventilazione cromatica. I nemici della verità, per dirla intermini di fantasia espressiva , erano altrove, erano i classicisti del "romance" e delpaesaggio, in primo luogo Annibale e la sua cerchia, raccoltasi poco dopo l'apertura delsecolo intorno all'idea del paesaggio e al paesaggio dell'idea. Naturalmente, potevanofacilmente combinarsi paesi d'arcadia nuova e personaggi di antica poesia, per lo piùcavalleresca. Il problema rimaneva per coloro che dovevano ormai vivere la verità dellarivelazione evangelica in modi elementari per drammatica umanità. Di uomini, insomma,come il Guerrieri di Fossombrone, nati in questa arroventata e fosca transizione di secoli,giunti a Roma a ridosso del rogo di Giordano Bruno e forse più ancora immersi in una realtàconfessionale di Controriforma fitta di rivendicazioni, durissima nelle sue comunicazioni,oppressa - non si può dimenticarlo - da una situazione contingente colma di pene e didifficoltà.

In questo teatro, sul quale il Guerrieri, come tanti provinciali, si era affacciato in età precoce,si inscrivevano assai più espliciti e forti di quanto ora si possa immaginare i dettami delclero. La chiesa tridentina aveva fatto, senza neanche eccessivo sforzo, le sue scelteiconografiche potenziando in modo straordinario il volume espressivo della figurativitàtradizionale. Con storica decisione aveva scelto, per così dire, di adottare l'immagine cometramite e come consolidamento del potere. Questa era stata la decisione politica e culturaledel cattolicesimo già all'alba del Cinquecento, sostanziata tra la radiosità di Melozzo el'eterna felicità morale di Raffaello. E questa sarà la determinazione dell'ultimo fra gliedonisti del cattolicesimo, Guido Reni, la sua scelta solare prima della secolarizzazione: farcoincidere i miti dei gentili con i miti dei cristiani fu il suo capolavoro, ancorché insidiato alleradici dalla crisi della vecchiaia. La morte di Guido avvenne nel 1642, nello stesso anno diquella di Galileo. Tutto ciò finisce per apparire miracolosamente significativo, più chesoltanto simbolico. L'antico tetto, la cupola dell'armonia che reggeva il pensiero, l'immensametafora del mondo e della sua felicità, stava cedendo di fronte alla richiesta di unarinnovata, conoscibile, semplice organizzazione logica del linguaggio. Già dopo la metà delsecolo, spentasi appena la guerra dei Trent'anni, l'Illuminismo porterà tra i suoi emblemiluminosi e razionali anche questo e cioè la riduzione dell'umano.

Ritornare a Giovanni Francesco Guerrieri, forestiero e provinciale, a Roma, vuol dire inoltreaffrontarne spregiudicatamente le varianti o le contraddizioni addirittura difformi, come sipresentano a noi, esigenti lettori di poetiche. Il suo naturalismo, che abbiamointenzionalmente chiamato "parrocchiale", è dunque, insieme all'innegabile volontà diimmediato e talora rude approccio non solo al mondo creato bensì all'umanità intera che lopopola, anche un'adesione alla politica di immagine della Chiesa di Controriforma. Accantoalla figura per così dire "militante" - come sarà d'uso sotto altre estetiche - è doverosocostruire un efficace ritratto di regione, quella in cui si consolidano e si esprimono questeinterdette verità, questi progressi reazionari o, almeno, reattivi. Questa natura riformata.

Page 12: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

interdette verità, questi progressi reazionari o, almeno, reattivi. Questa natura riformata.

Il canonico Vernarecci ha tramandato integra, dal perduto diario del Guerrieri, l'annotazioneattinente la cappella di San Nicola da Tolentino di Sassoferrato, nella "Chiesa di Santa Mariafuori dalla porta di Sassoferrato per Monsig. Vittorio Merollo Medico di Papa Pavolo Quintodi felice memoria, e mi fu pagata scudi quattrocento di pavoli e tutte le spese sì di coloricome del vitto per me et un servitore". Dal documento si ricavano alcune piccole veritàmateriali sull'ordinamento del lavoro. Soprattutto, vi si assoda la sostanza del rapporto checonduce l'artista paesano fino al trono del pontefice Paolo V Borghese. Sul conto di VittorioMerolli la letteratura patria ha cercato qualche illuminazione, che peraltro non è andata oltrel'accertamento dell'amore per il luogo natale. Ma senza dubbio il tramite dovette essere tantoimpegnativo da aprire la via sia verso le altre commesse nel grosso borgo marchigiano siaverso la decorazione di tre sale in Palazzo Borghese in Campo Marzio, che seguirà dalnovembre 1615 al settembre 1618.

La data della cappella di Santa Maria è il 1614. L'induzione cronologica lascia credere che ilGuerrieri avesse fatto ritorno a Fossombrone sul finire dell'anno precedente. Non è infattiimpresa di poco conto firmare, e per intero, la decorazione così vasta, e oggi assaidegradata, di una cappella, lungo l'arco di un solo anno. Il fregio si avvale di un robustoimpianto iconografico, documentato dal Vernarecci, del quale è ormai ineludibile individuarel'inventore e il progettista dell'impalcatura strutturale. Il fatto che la cappella sia stataedificata dal Merolli soltanto nel 1613 concede margini di tempo molto ridotti e sospingel'ipotesi - qui come in altri casi - di un ulteriore impegno del Guerrieri, affidandol'esecuzione delle parti plastiche a una bottega di stuccatori di Urbania.

La sollecitudine, poi, che orienta il Guerrieri verso le mediazioni naturalistico-classicheproposte da Domenichino già a Grottaferrata, conferma l'indiscutibile velocità del transito dicultura, in un pittore che solo ora compie ventisei anni di età, verso un approdo più sicuro. E,probabilmente, caro anche alla committenza. Rispetto alla nitida e silenziosarappresentazione di San Nilo che cura l'indemoniato figlio di Polieuto, inclusa come uncammeo entro le posizioni segnate dai marmi pavimentali, il Guerrieri decide subito per lalinea della narrazione, quale si evince con quella sorta di rigore e di norma, severa e insiemeleggiadra, piena di una dignità umanistica più elevata, in fondo, di ogni trattato estetologico.Il pittore di Fossombrone sceglie il suo ordinamento mentale, quello del racconto.

Non siamo più in una cappella di stucchi aggraziati, ma in una sorta di cortile che i muratorial lavoro (la basilica tolentiniana, giù in fondo, è arrivata quasi alle volte) hanno disseminatodei loro attrezzi. Il Santo, posata a terra la canna che serviva alle misure, ne fa sgorgareacqua come da una cannella (secondo il termine marchigiano) e bagna il pavimento in cottocon uno spruzzo che diviene rivolo torpido e impigrisce lungo le commessure e lasciastupiti. Alla struttura scenica di Grottaferrata rinvia anche, sulle mura di Santa Maria delPonte, l'opposito miracolo del Santo di Tolentino, un teatrino conventuale dove il profumodelle rose in grembo al Santo risponde alla bella natura morta (pane, acqua, una cipolla, unamelagrana). Vi si avvertono un respiro e anche un'affettuosità più ampi e coinvolgenti. Tuttiquei volti che si atteggiano e partecipano, che si uniscono come comparse di unmelodramma già verdiano, rimandano forse a una fonte che da pochi mesi si è aperta, conbuon successo, nell'arte marchigiana: i dipinti della cappella di San Paterniano, nella chiesadel Santo a Fano. Due soli appaiono superstiti, e splendidi nella loro efficacia di forteaccento romantico. Non c'è dubbio che il do di petto di San Nicola tragga da quel nero,sapiente costume di scena di San Paterniano la sua prima origine, mentre gli astanti siappoggiano l'un l'altro, si sporgono all'attenzione sbalordita dei fedeli, predisponendosiall'attacco del coro. Perfino la colonna alla sinistra di San Nicola, con quella base forte, fa daquinta, come Bonone aveva voluto per far emergere il suo fantastico Santo dormiente. Epoiché per la cappella fanese non è difficile sostenere ancora oggi - come già facemmo nel1959 - una data poco dopo il 1611 o il 1612, bisogna immaginare anche il brusìo che tra igiovani corse all'arrivo di queste tele romanzesche, che portavano il seme di un naturalismofondato sull'esempio di Ludovico Carracci; tele di un ferrarese che qui appare avventurosocome e più del Guercino giovane e ritemprato - questo è il vantaggio - in una giovinezza

Page 13: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

come e più del Guercino giovane e ritemprato - questo è il vantaggio - in una giovinezzaappena trascorsa anch'essa a Roma.

Nel 1612 sarà nella cattedrale di Fano anche la paletta di Ludovico Carracci, con i Santi Orsoe Eusebio; ma si trattava ormai, a quelle date, di un Ludovico dolcemente impastato e un po'sognante. Semmai, per restare fra santi cavallereschi e poeti, con le loro vesti brune gettatea mantello e il trionfo della sonante virtù espresso a pieno carattere nei volti (sono quasitutti ritratti, quelli del Guerrieri, mezzo convento si è messo in posa), il terzetto deiprotagonisti si deve completare con gli straordinari cavalieri di cappa e spada che AndreaLilli ha collocato al centro del suo Paradiso, sull'altar maggiore della cappella Nolfi, ancora aFano, messo là nel 1606 come uno dei dipinti più gentili e affascinanti del secolo intero.

Un giro d'orizzonte s'impone, del resto, anche per far strada alla nuova opera che il Guerrieriveniva eseguendo per Santa Maria del Ponte del Piano di Sassoferrato l'anno dopo, il 1615.Quella pala raffigura la Vergine della cintura (un'altra istituzione devozionale cara agliAgostiniani) con i Santi Agostino e Monica, cui fanno compagnia, a terra, il committentepensoso, Nicolò Volponi, e con lui, presumibilmente, altri membri della famiglia, compresala figlia che, alle spalle di Santa Monica, è pur sempre uno dei ritratti forti nel naturalismoromantico cui Guerrieri sta definitivamente dando corpo. Non è facile evitare una menzionebolognese e più specificamente ludovichiana, oltre che nell'impostazione generale di scena,in ispecie per quel Santo che volge lo sguardo al cielo, e quel piviale lavorato in unacondotta pittorica che s'è aperta alla pennellata più larga, piuttosto che serrarsi nella cifrachiusa e un po' grafica che il naturalismo uniformato aveva trasmessa ai suoi adepti.

È un tratto, questo della pala Volponi, ormai destinato a riemergere in quella che riteniamo,per molti indizi però mai rinsaldati in certezza acquisita, la giovinezza, prima, di GuidoCagnacci (si pensi al bel San Sisto ritrovato da Pasini e da lui giustamente datato alle originidella carriera del riminese, intorno al 1627); e, in seguito, del pesarese Simone Cantarini.Confesso ora volentieri che tutta la prima indagine condotta sul Guerrieri nei primi anniCinquanta, in un field-work abbastanza caparbio e reso più difficile dalle condizioni dilavoro di allora, fu proprio motivato dalla necessità, per me assoluta, di giungere adaccertare, alle spalle dell'apparizione del Pesarese nell'atelier del Reni a Bologna, intorno al1630 o giù di lì, i modi e i tempi di un retroterra marchigiano. Almeno la sinopia, insomma,di quel naturalismo amalgamato con la qualità psicologica del Barocci e con il temperamentodensamente esistenziale del Guerrieri e, naturalmente, della poesia del Gentileschi.

Un punto cieco di questa successione, sinora abbastanza fedele, di opere e di vicende , èpurtroppo costituito dalla oggi scomparsa tela raffigurante San Romualdo, già nell'abbaziafabrianese di Valdicastro con la data importante del 1614. Ricorrendo alla memoria e aqualche vecchio (1957) e personalissimo appunto, dirò che il dipinto poteva forse fare coppiacon un'altra scena agostiniana: un Miracolo delle pernici - medesimi teatro e attori che inSanta Maria del Ponte - dove uccelli, piatto di portata, bicchieri posati su un tavolinetto,giacevano offerti alla bella luce del giorno: la quale, dalla finestra spalancata, spioveva su diessi, fino a scoprire le pianelle del Santo accostate al letto con lo scrupolo di unarestituzione fiamminga. Un purismo già degno del Sassoferrato, una pulizia agreste eneoarcaica capace di suscitare luminosi pensieri di serena pietà. A pochi anni di distanza,l'educazione del Salvi dovrà molto più di quanto non si dica alla natura rispettosa delGuerrieri.

In questa oscillazione di gusto e di dottrina, posta sul discrimine tra la pianura padana el'entusiasmo risorgente, rinnovato dalle esperienze che portavano a Roma, Guerriericontinuava a dare opera anche a beneficio di committenze diverse, di erudizioni discordanti.Si prenda ad esempio il San Carlo orante con l'angelo della peste, che vola in alto e rinfoderala spada punitrice, la grande pala trasparente che sta ancora oggi nella cattedrale diFabriano. Essa è tanto gentileschiana da esser stata a lungo, e per tradizione, riferitaall'autografia del maestro, fino a quando, nel 1957, ne proposi la variazione di indirizzoattributivo riportandola alla mano del Guerrieri. Al quale, tuttavia e insieme, occorreva delpari riconoscere un'adesione molto partecipe alle opere che Orazio Gentileschi veniva

Page 14: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

pari riconoscere un'adesione molto partecipe alle opere che Orazio Gentileschi venivacollocando nelle Marche, a cominciare dalla bellissima Circoncisione del Gesù di Ancona,datata assai presto, intorno al 1605, per giungere proprio al gruppo fabrianese. Nel quale,per di più, come accade nella Vergine con Santa Francesca Romana di casa Rosei, par quasiche un purismo inestinguibile, una dolcezza riformata e monacale vengano raccogliendoquelle tenerezze appartate e umanissime di cui Lorenzo Lotto, un secolo o quasi prima,aveva intessuto le sue tele marchigiane. Si tratta di una lunga durata che, d'altra parte, noncomprende soltanto l'aspetto formale e cioè il dato pittoresco di atti che tornano, di gesti, diaffinità, di vicinanze che segnano il campo dell'affettività; o di quelle rose cui si affida ilcompito delicato di scandire il tempo della giora mesta, oppure del dolore confortato dalfiore che simboleggia proprio la Vergine e i suoi dolori; e anzi, una concreta sovrapposizionemorale e di cultura, come di chi - a distanza di tanti anni - osteggi volutamente leesteriorità della vita, e dunque della pittura, per trattenerne il corso espressivo entro ilconfine di una moderazione quasi allusiva a una protesta nei confronti della società. Se fuvero per il Lotto, sul filo di una visione riformata della religione, si può meglio comprendereper Gentileschi, artista di una poetica eletta e per certi versi quietista.

Il giovane Guerrieri intrecciò, per taluni, importanti orientamenti, la sua originaria esperienzacon il carattere risoluto e indipendente di Gentileschi. È invalsa nel frattempo l'opinione, piùvolte ripetuta, che questo rispecchiamento non abbia sostanza; ma mi sembra ancor oggiche la discendenza, forse addirittura arrischiatasi in emulazione, regga persino bene.Certamente, il Guerrieri tiene alle tinte spesse, corpose. Quella sublime diafanità, quellalimpidezza degna di un maestro fiammingo, non giungono alla portata della sua mano,prima ancora che a quella dell'occhio. La densità della materia è tutt'uno con la necessitàespressiva, con l'espressione stessa, quasi che il vettore cromatico sopporti, per intero,quella floridezza peccaminosa che nell'originale cala, per giunta, entro una forra rocciosa,uno speco inaccessibile anche per il più fiero insorgere dei sensi.

Il grande San Carlo di Fabriano riprende però, quasi improvvisamente, quel magistero.L'angelo, anch'esso memore di Lotto, di sicuro fratello di quelli di Gentileschi, scivolasilenzioso, le ali illuminate, frusciando appena dalla porta spalancata sulla Cesana e suinimbi candidi che crescono fitti all'orizzonte.

Rammento bene il consiglio di Roberto Longhi, di continuare a serbare fedeltà, almenoall'invenzione del Gentileschi per questa bellissima pala e alla possibile esecuzione direttadell'angelo. I recenti restauri e l'aumento qualitativo del catalogo del Guerrieri possonoincoraggiare a spendere oggi il suo nome con maggior forza.

Una datazione accettabile può, d'altra parte, aggiustarsi soltanto a ridosso di quel vero eassoluto apax del naturalismo internazionale che, in Fabriano, appaiono gli affreschi diGentileschi nella cappella di San Venanzio. La qualità altissima, il sensazionale nitorecromatico, il riserbo mentale che sfocia in un neoarcaismo tale da escludere ognicompromesso classicista, ne fanno un capolavoro tuttora nascosto. Alcuni, pochi, documenti,permisero a chi scrive di inserirli cronologicamente fra il 1615 e il 1617 circa: sono questi glianni, sembra ancora adesso, che meglio possono accogliere e spiegare anche l'amicizia eforse la collaborazione fornitagli da un giovane e promettente pittore di Fossombrone, cuiaffidare proprio il San Carlo nella cappella dell'Arte dei Calzettai. Gli anni difficili dellaseconda permanenza romana del Guerrieri, compresi, si è detto, fra il novembre del 1615 eil settembre del 1618.

Attorno alla cappella del Crocifisso del Gentileschi è inevitabile che si venga creandoun'attenzione nuova. Una Croce con i Dolenti e la Maddalena, questa gettata a terra adabbracciare il legno nudo, sembra affiancarli assai presto. Ed il Guerrieri è qui, ora eimprovvisamente, quasi solennemente pittore. L'agghindatura sublime del Gentileschi siaggiusta, si fa borghese sotto il suo pennello. La fissità appassionata di San Giovanni,l'amore vivissimo e strenuo della Madre nell'adorazione della luce eterna, la cerchia ches'apre a corolla angelica dietro la croce, s'impongono scanditi come atti che avvengono su unpalcoscenico di inaudita pietà, di densa passione sentimentale e infine di straordinaria,

Page 15: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

palcoscenico di inaudita pietà, di densa passione sentimentale e infine di straordinaria,perfino inattesa monumentalità, derivata fin qui dai tempi immobili del Pulzone o del CesioLa veste di Maddalena, nel suo ritratto di ragazza con la chioma bionda sciolta sulle spalle, epoggiata in tenerissima posa a qualche finestra di Trastevere, con Castel Sant'Angelo asinistra, è quella che, con qualche vecchio raso di sacrestia e molta carta piegata eatteggiata, i pittori insegnavano ad imbastire attorno al modello in posa. Tuttavia, da questadignità teatrale, emergono le parti animate, i volti e le spalle, e le mani incrocicchiate,oppure distese, avvinghiate alla croce, o infine alzate al petto; e queste sono le fisionomielungamente attese di una desiderata umanità, da tempo invocata e sperata.

Il panneggio è solido e fermo, come del resto avviene nell'alta figura dei dolenti nellaCrocifissione del Gentileschi a Fabriano. Il suo "tempo di posa" sembra addiritturaraccordarsi alle creazioni senza età di padre Valeriano. Ma è poi la materia, quella pennellatagrossa, capace di stendere un colore spesso, replicato, filamentoso, che riporta tuttal'assorta composizione nell'immanente, la rende partecipe ad una serie di novità che - pocooltre la metà del secondo decennio del secolo - Roma dibatte nelle sue chiese. Anche se èoperazione difficile invocare testimoni adeguati ad una cultura presumibilmente molto riccae molto mobile, dopo aver citato almeno l'opera di Pietro Vermiglio del 1612, e cioèl'Incredulità di Tommaso, oppure le antecedenze di Tanzio da Varallo nella riserva lombardain Abruzzo, a Pescocostanzo, prima del 1616; si mettono come è inevitabile in movimento igrandi temperamenti pittorici del nord, come il giovanissimo Baburen, l'altro giovanefiammingo di nome Hontorst e ancora Finson. Siamo ormai entrati nell'impresa romanaprincipale del Guerrieri, la decorazione di Palazzo Borghese, ed il suo incontro con moltiartisti del nord è testimoniato - non foss'altro - dal numero di attribuzioni riservate aRégnier, a Baburen, a Valentin stesso che proprio su dipinti del Guerrieri si sono esercitate,prima che la forza dei documenti vincesse sulla complessa verità figurativa.

Prima del 1956, anno in cui avevo pressoché completato il testo del voIumetto dedicato alGuerrieri, nulla si conosceva di questo produttivo e problematico ritorno romano; inparticolare, dell'opera compiuta e della cultura sviluppata nell'ambito di una grandecommessa, la più grande nel curriculum del fossombronese. Quella decorazione affidataglidal principe Marcantonio Borghese, e probabilmente per il tramite ormai consueto di VittorioMerolli, riguarda il singolarissimo progetto ornamentale di ben tre sale, superstiti, delPalazzo Borghese in Campo Marzio. Fu Paola Della Pergola, che allora dirigeva la GalleriaBorghese, a passarmene notizia prima di pubblicare e illustrare il complesso, dotato di unaricca messe di informazioni documentarie e di additivi interpretativi e stilistici, sul "Bollettinod'Arte" dell'estate 1956.

A dirla con i termini di allora, che rivelavano tutta la mia sorpresa (e un riconoscibileimpaccio), l'apparizione del complesso decorativo di via Fontanella Borghese, così improvvisanel percorso stilistico del Guerrieri, fino a quel momento abbastanza compatto, sigiustificava anche con il largo e probabile intervento di aiuti dei quali il pittore potéavvalersi, nei modi minuziosamente annotati. Nella sua équipe furono attivi AbeleRampunion, esecutore di paesaggi e, dunque, con un ruolo piuttosto ampio, con elevataincidenza fiamminga e nordicizzante; un tale Avantino, che la Della Pergola proponeva diidentificare con Avanzino da Gubbio. E poi il fratello stesso di Giovan Francesco, losconosciuto Federico, e Francesco Fransi e Ambrogio Lucenti: questi erano e rimangonosoltanto nomi, come si vede, più che individualità riconoscibili.

L'inconsueta immagine che sembrava allora derivare in termini quasi traumatici e abbattersisul pittore della Maddalena del 1611, o sul cantore delle poetiche gesta di San Nicola daTolentino a Sassoferrato (1614), traeva forzata origine dalla natura stessa dell'impresaborghesiana, nata sotto l'impegno palese di quella raffigurazione emblematica e concettualeche assecondava l'opera iconografica di Cesare Ripa. Il vigoroso, dichiarato e, in definitiva,raro exploit iconologico, riemerso con tanta ornata narratività dopo la morte del manierismoe in pieno secolo barocco, è ricco di suggestione e si dilata tuttavia in una sequenza che, perquanto inventiva, non può mancare di stringere il Guerrieri a un progetto decorativo esimbolico quasi da manuale. Sono, del resto, anni singolarmente precoci, nel panorama

Page 16: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

simbolico quasi da manuale. Sono, del resto, anni singolarmente precoci, nel panoramaromano, quelli che accomunano queste storie ora romanzesche ora nazarene, tuttecomunque indagate e, ancor più, viste attraverso un vetro di insolita misura intellettuale.L'ombrìa gentileschiana, quella nitidezza pedissequa e pure geniale, così inconsueta nellapittura mediterranea, alimenta questi cortei di giovani donne che tornano a sedersi,specchiarsi, affrontarsi come in un Cortegiano senza più corte, che non fosse quellasopravvissuta di una nobiltà pontificia in cerca di qualificazioni.

Le donne del mito e della storia antica, ricche di simboli come di amuleti o ornamenti,addobbate coi panni di un teatro talora grossolano, o ordinario, non riflettono la virtù senzatempo né l'accadimento della suprema entità metafisica, cioè l'essere senza divenire,giovinezza assoluta del mondo senza evento e senza decadenza. Il naturalismo narrativo delGuerrieri trascrive i modelli del Ripa e, anzi, li adatta non per l'eternità, bensì per la giornata:una giornata di sole, sotto il tempio della Sibilla, magari rallegrata dal gallo dell'Allegoriadello Studio e del Pavone rauco della Superbia. In fondo, l'asino della Pigrizia, sdraiato a terraaccanto alla padrona adolescente, ci riporta a casa, dove i sentimenti sono veri e tutti hannodi sicuro qualcosa da fare, anziché aggirarsi in questo eliso che non ha più la natura secondae suprema dell'antico olimpo e non possiede ancora la virtuosità sussidiaria e alternativadell'Arcadia.

È un po' come vivere dentro il continuo susseguirsi di una bigiotteria del naturalismo, dicreazione e di racconto quotidiano, ma vessata anche da una insistente commessa borghese,come capita anche ai Caroselli e ai Paolini e talvolta anche al Gramatica; personalità con lequali, come in altri casi, occorrerà dare inizio a un confronto adeguato; così come alGuerrieri infine, bisognerà, prima o poi, assegnare un ruolo individuale più marcato propriosull'orizzonte di Roma e sulla metà del secondo decennio del XVII secolo.

Concorrono a questo giudizio le convinzioni più recenti, come pure il riesame delleaffermazioni di Paola Della Pergola. Riesce comunque difficile, pur abbandonando l'ideaormai superata dell'artista provinciale, accumulare tante opere eseguite certo in questo girobreve di anni, e soprattutto tante diverse esperienze. Certo, il Guerrieri ha quell'età, tra iventicinque e i trent'anni, in cui si opera il massimo sforzo, e l'obiettivo che MarcantonioBorghese gli ha messo davanti è dei più ambiziosi. Lo stesso piano iconografico, cheabbiamo visto così pretensioso, è un modello alto della cultura romana, forse davvero postosotto il patrocinio barberiniano. Più difficile sarà, anche per questo, superare lo scogliorappresentato proprio dall'idea centrale di questo programma, che era quello di dare vestenaturalistica ad un sistema sapienziale e neoplatonico, da Raffaello a quella parte, abituato aben altri tegumenti. Era pur vero che Guido Reni aveva abbandonato il campo, recuperandola platea bolognese per un applauso più convinto: proprio lui che, con la volta del CasinoRospigliosi, aveva toccato il vertice d'ogni possibile, altra e superiore bellezza. Ma tral'iperborea definizione di Guido e l'interpretazione di arcadia rurale, colta ma insiemebucolica nel confronto impossibile, c'è di mezzo un mondo intero; un mondo che allargasempre di più la distanza tra metafora e natura, ricercando piuttosto la finzione teatralebarocca.

Esiste poi un versante figurativo che il Guerrieri tenta di mettere in funzione in questi stessimesi, ed è il versante collezionistico e privato, fatto di quadri liberi e di soggettodiversamente motivato. Si affacciano infatti temi di più disinvolta ispirazione e fattura, comequelli tratti da qualcuna tra le molte immagini femminili del Gentileschi, dove la finalitàallegorica veniva superata da un uso sapiente della bellezza. Il Guerrieri esibisce anch'egli lesue armi. Casta come più non si potrebbe, specie in rapporto con la bianca sensualità diGentileschi, un'Europa che il toro scarrozza sul mare finisce per essere un'allusione cheraggiunge, in ipotesi prossima, anche il Cagnacci, e che conduce perfino al Cantarini e sitrasmette fino al reggiano Besenzi. Qui passano, almeno in parte, i sintomi di quelcaravaggismo in chiaro che, nato a Roma, si era trasferito presto verso il nord europeo. Ilnostro ripeterà questo soggetto, probabilmente fortunato, e lo farà nel 1621 affrontando unbulino di qualche insicurezza espressiva. Ma ora, sotto lo strapazzo del toro, il mare siriempie di spruzzi e il pennello di schiuma bianca; il cielo vede nubi e cirri colmare uno

Page 17: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

riempie di spruzzi e il pennello di schiuma bianca; il cielo vede nubi e cirri colmare unospazio che, nella realtà, è proprio così veloce a turbarsi, tra i monti e l'Adriatico. Somiglia aquella grande finestra che si era aperta alle spalle del grande San Carlo della Cattedrale diFabriano, due o tre anni prima. È quasi il segno di un ritorno a casa.

Il gruppo di opere che rappresenta l'apice dello sforzo cosmopolita del Guerrieri e di cuianche l'Europa fa parte, del resto, è composto essenzialmente dai dipinti che, raggruppatiattorno ai lavori di Palazzo Borghese, hanno ora il conforto di attestazioni documentarie. Agiudicare dalla cartella clinica delle diverse, conseguenti opinioni attributive del passato, èlecito pensare che ben difficilmente esse avrebbero potuto giungere alla piena identità senzauna guida positiva qual è quella che sortisce dai conti borghesiani. Sia per il Lot con le figliedella Borghese, e per la replica della Doria Pamphilj, come per il San Rocco, le suggestioni dicultura rivestono deliberatamente un valore più ostentato, mentre - del pari - vien menoquella certa resistenza spontanea che il Guerrieri aveva sempre opposto al deperimento delsuo ritratto di "provinciale". Quello insomma che ci ha sempre restituito un segno profondo,intensamente accalorato, della periferia della Controriforma italiana. Qui si accettano, invece,scommesse di maggior rilievo, ma il progetto stesso dell'opera diviene preoccupazionecostante, il teatro d'azione si tende verso quello spazio che i nordici portano fino a Roma.Nulla di meglio, a dire il vero, che narrare storie dentro questo metro che sembra giàottocentesco, investito com'è dal verisimile. Questa è, in buona sostanza, la stagione piùdensa del Guerrieri, più mondana o vistosa rispetto al poeta delle campagne e delleparrocchie, ma di certo sorprendente. Giuseppe Ebreo, nella prigione del Faraone, spiega isogni al coppiere e al panettiere: e stende la mano robusta assecondando, di un passatoremoto, la bellezza retorica, grave come quella di un oratore romano; oppure l'altra, avenire, di certi frequentatori di via del Babuino nel 1784, l'anno delle premonizionirivoluzionarie. Non bisogna immaginare che tutto, del Guerrieri, sia però mutato su questocavalletto. La pasta pittorica serba ancora e sempre quel tono polveroso, di terra e di biaccheintrise. Le mezze tinte non tengono alla distanza del tempo ed il pennello è sempre un po'intrigato in se stesso, rigirando più volte il filo emergente del tocco a illuminarsi propriosotto la luce che bagna la prigione, che è una stanza sull'orto di casa e non ha il drammadella cantina caravaggesca. Il brano immediatamente più elevato appare essere quello dellagrande natura morta a destra, vero pezzo spagnolesco di diretta fattura.

Il copione d'ogni buon sceneggiato vuole che il ritorno al paese del giovane artista, delusodall'ultima e mancata occasione di lavoro, avvenga nel pieno di una pesante mortificazione edunque di una crisi consistente. Non abbiamo in realtà mezzo alcuno per conoscere lacondizione del Guerrieri allorché la vallata di casa gli si spalancò davanti agli occhi,affacciandosi al Furlo. Un'occasione di lavoro che non lascia seguito o conseguenza, che sichiude in se stessa dopo tanto impegno, non è mai esperienza gradevole. Ma se vogliamostare ai fatti, è difficile decidere se la folta attività che segue, passo dietro passo, il ritorno acasa sia un effetto di necessità stringente, oppure il senso d'una matura coscienza d'artista.Se, come sempre in questi casi, l'interrogativo può essere affidato e risolto soltantoall'esame diretto delle opere, dei dipinti eseguiti con quel ritmo incalzante, conquell'assunzione di novità di stile e di varianti suggestive, la risposta non può essere risoltache positivamente: e cioè che il distacco da Roma, pur dopo un lavoro tanto assiduo, èavvenuto in modo critico, di fronte alla variazione ormai consistente dell'orizzonte artisticoprevalente, e probabilmente dopo aver dovuto constatare di persona come il suo personaletentativo di adattare la forma del naturalismo riformato alla misura spaziale delladecorazione barocca (questo fu, davvero, l'insuccesso di Palazzo Borghese) cozzassedefinitivamente contro i tempi.

Di questa disattitudine del modello naturale a delineare scene più fantastiche, narrazionitinte di fiammingo e di gotico, sono in fondo testimonianza anche quel paio o poco più diquadri, come la Circoncisione di Sassoferrato oppure la Visitazione di Serrungarina, chestanno quasi a conclusione del decennio, ed entrano forse già nel 1620. Poi, quasiall'improvviso, basta un segnale che provenga dai ricchi cantieri della costa, e soprattutto daSan Pietro in Valle di Fano, per avviare un processo come di maturazione formale, un

Page 18: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

San Pietro in Valle di Fano, per avviare un processo come di maturazione formale, unassestamento del modellato e anche un rinvigorimento cromatico, tali da far sentire ormaisempre più vicino il caldo conforto di un'accademia sospesa tra naturale e fantastico, traespressione viva e riflessione intellettuale: che è il prestigio dei bolognesi, quella lorocapacità di mediazione colta e tuttavia ricca anche di diretta verità di natura. Il San Barnabadel Museo di Fossombrone, e più ancora il contiguo San Michele Arcangelo, che è del 1624,possono vantare questi sintomi di crescita e insieme di deviazione rispetto al cammino delprimo temperamento narrativo.

Una pala, come quella di Arcevia, importante ritrovamento recente, è impressionante sotto ilprofilo della verità organizzata e robustamente epica nel fervore dei Santi, nella venustàdella Vergine, nella vastità del paesaggio. Vi si legge, come nella bella pala di San Marco diPergola, un accostamento diretto, scoperto con le posizioni avanzate che si registrano aRoma intorno o dopo il 1625, a cominciare da quelle del Lanfranco. Ciò che più sorprende èpoi come esse si mescolino con disinvoltura a imprestiti di teatralità sacra tratti da GuidoReni, come il San Filippo di Fabriano (1629) per poi ritornare in modo tanto complessoquanto immediato, convinto, nel caravaggismo storico della cappella di San Carlo a Fano. Ècurioso, proprio dentro quella chiesa di San Pietro in Valle dalla quale s'erano mossi alcunitra i principali modelli culturali di discendenza padana e bolognese, come quelli appunto diGuido, il Guerrieri decide di alzare improvvisamente la guardia e di recuperare addiritturaquello sguardo diretto sulle cose e quella fattura serena che ne rivela, in trasparenza, nondico la cordialità, ma certo l'oggettività positiva, la collocazione in un diorama naturalisticodove tutto, dell'uomo, si colloca in un ordine comprensibile, dignitoso. La mediazionecentrale è quella del Saraceni, suo il tramite coloristico cordiale. Ma la bellezza traslucida,quella ritorna al Gentileschi una volta ancora, e non appare per nulla intorbidita dalchiaroscuro padano. Semmai la sua apparizione qualitativa sale una volta di più a quel livellosorprendente cui il Guerrieri sa ormai di poter farci giungere, quando vuole. Una scena comequella della Preghiera di San Carlo, vissuta sulla sinopia iconologica del Getshemani, oltre lafinestra di casa, è invenzione di superiore intelligenza inventiva. Ritorna dunque anche ilpittore che ha lavorato sapientemente sulla versione narrativa del dramma caravaggesco, neha tradotto brani in lingua locale, adottando alla lettera la poetica evangelica della veritàpalese, e la determinazione di leggerla adeguatamente, insieme, in quel luogo comunitarioche è la parrocchia, nel riparato silenzio di conventi sperduti nelle campagne, a guardia disantuari popolati di poveri contadini, visitati da pellegrinaggi devoti.

Il naturalismo diafano, il racconto eletto a edificazione, a saggezza quotidiana, apersuasione non devota soltanto, ma umana, piuttosto, sono i gradi di una religionesemplice che la maturità del Guerrieri nutre anche nei suoi anni avanzati, con quellacontinuità ammirevole, che poi si scoprirà non tener conto della vecchiaia e delle malattieche pure le cronache hanno voluto tramandarci affliggenti. C'è un dipinto nella chiesa diSalcara, che raffigura il colloquio tra il Bambino Gesù, sorretto dalla madre, con Sant'Antonioda Padova; e che fu forse un dipinto caro ai devoti (Roberto Contini ce ne ha segnalato unareplica nel Casentino). Per qualche ragione che ora scopriamo essere intima alla qualitàstessa dell'autore, questo quadro ha nella sua apparizione così ferma e minuta unatrascinante capacità di racconto. Si può pensare, allora, o si pensa davvero, che nel conventovuoto e popolato solo dai rumori della primavera, che vengono dal cielo dei passeri e dallestrade vicine, un frate abbia avuto la visita dolcissima della Vergine e del Bambino. La stanzaè disadorna, la fuga delle cellette è muta come quella di un'infermeria di collegio, dopo unamalattia. Il frate è un giovane pallido, precocemente ingrassato e con un chiaro accenno diincipiente calvizie. Il suo aspetto non è attonito, l'apparizione è dolcissima, è quella appuntodi una religione del naturale, vicina e modesta, insostituibile e cara come la vita degli affetti.Vorrei continuare: quel quadro m'ha sempre ricordato la favola che Roberto Rossellini sapevaraccontarci così bene, in Paisà, il film che vide suo assistente anche Fellini; e che narravacome, in un convento di frati tra Marche e Romagna, dove la lingua italica cede alle nasalidella timidezza padana, fosse giunta la guerra e, con essa, arruolati nell'Ottava Armata, iministri di religioni diverse, in visita al convento. Negli anni Cinquanta, le campagnemarchigiane non erano davvero mutate gran che dalle immagini di quel racconto semplice

Page 19: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

marchigiane non erano davvero mutate gran che dalle immagini di quel racconto sempliceche un'intelligenza d'arte e di studio ci metteva davanti in quel film ammirevole. Egualel'impaccio di una timidezza forte, dell'orgoglio della fede sotteso alla delicatezza deirapporti umani pur in una condizione di orrenda lacerazione e di morte. Simile il dettagliofigurativo, minuzioso e umile insieme, come quello appunto di un quadro, di una palad'altare conservata nelle chiese della nostra giovinezza. A distanza di tanti anni, quel riserbogentile calato dentro il mondo di sovrano equilibrio della povertà, torna alla mente propriocome un quadro di Guerrieri. Troppo facile dire che era il saluto dell'adolescenza che se neandava, meno difficile leggervi dentro l'atroce abbandono del mondo storico, della anticasocietà italiana. Nonostante il richiamo all'oggettività e l'invito a non concedere nullaall'onda della memoria, temo che molto della figura poetica di Giovan Francesco Guerrierisia, dentro di me, legato in modo irreparabile a quel mondo smarrito.

Qui, negli anni Trenta, o poco oltre, si sarebbe tentati di concludere la narrazione criticadelle vicende di Giovan Francesco Guerrieri pittore, per cominciare la lunga, e anche se maimortificante serie delle commesse minori, delle opere di sopravvivenza e insomma neldilungarsi di una cultura di periferia. A tentazioni di questo genere, lo storico è taloraindotto quando il processo creativo sembra togliersi dalla vitalità coinvolta e responsabiledel dibattito, nei luoghi della vita culturale, per prendere un suo corso più silenzioso e cosìrendersi normale alla vita d'una provincia italiana. Se non a questo livello, certo ad unamesta clausola artistica, sopraffatta dall'esistenza e dai suoi mali imperanti, anche noicedemmo nel 1958, allorché cercammo di narrare, con i mezzi di allora, la lunga storia diun pittore metaurense fuggito di casa e da Fossombrone diciassettenne, nel 1606, ecostretto poi a tornarvi alla fine del 1618. È la conclusione della giovinezza, la stessa grandeavventura caravaggesca si rifugia nelle periferie italiane e semmai vince il suo confrontonell'Europa del nord.

Il procedimento mentale e di metodo era distorto per inflessioni e vaghezze letterarie, etuttavia aveva dalla sua anche la scarsità di mezzi, la povertà degli strumenti di indagineallora a disposizione. Il lavoro di sonda che oggi, con mano molto responsabile, è statocondotto in tutto il territorio agricolo, tra Marecchia e Metauro, ha fatto letteralmentescaturire nuove, spesso molto elevate quantità di opere del Guerrieri: tele alle quali sarebbedifficile davvero negare il proseguimento di una vitalità creativa, di un fervore intellettuale eanche liturgico. Così, la prospettiva critica muta il suo indirizzo sotto il peso oggettivo dellavoro di scavo, di paragone e di classificazione storica. Turba semmai pensare che si debbaparlare di scavo, quasi di una condizione archeologica, a riguardo di un paesaggio storico inpiena emersione, qual è quello che si precisa nella trama puntuale, perfetta, indimenticabiledella chiesa parrocchiale italiana. E qui, la gratitudine va ad alcuni colleghi che, guidati daBruno Toscano, ci hanno insegnato con il loro lavoro di Ricerche in Umbria (proprio così,questo è il titolo del lavoro e di una splendida mostra del 1989) che la storia dell'arte italianaè ancora possibile, anzi più proficua che mai nei suoi risultati di prospezione critica e anchedi immediata resa storica: a patto però che il territorio italiano, questo fantasma culturale,venga nuovamente affrontato con serietà di indagine, e anche con un vero governo tecnico-scientifico.

Una traccia per la conoscenza critica di Giovanni Francesco GuerrieriAndrea Emiliani

Il caso di Giovanni Francesco Guerrieri, della sua vita sconosciuta agli studi fino a qualchedecennio fa (1958), e della sua attività che gradualmente s'è rivelata, per approdare oggi aduna monografia piuttosto soddisfacente quanto a ricognizione sul catalogo delle opere, èuno dei numerosi casi che oggi ancora, e nonostante i consistenti avanzamenti della ricerca,popolano la nostra storia: quella insomma di un paese, l'Italia, che ha riconosciuto all'arte inanni e secoli passati (non certo ai nostri giorni) un'importanza decisiva per il formarsi di unacoscienza di cultura comune. Il nostro paese, in ogni sua forma, è stato letteralmenteplasmato in un progetto di forme d'architettura, di figuratività che lo hanno reso unico einsostituibile nel mondo moderno. In ogni luogo, anche nel più periferico all'attuale potere

Page 20: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

insostituibile nel mondo moderno. In ogni luogo, anche nel più periferico all'attuale poteredelle capitali, si palesa la volontà di costruire con l'arte un mondo di complessa unità, nelquale ogni aspetto - dalla cultura alla religione - prende forma espressiva. Ai nostri occhi,l'Italia periferica, e dunque quella che inizia appena fuori dalle periferie non propriamentecivili delle poche, stentoree "metropoli", ha la forza, ancor oggi, di esprimere tutto ilpotenziale artistico e storico di cui è immensamente dotata e capace. L'abbandono delpatrimonio, in questi anni risolutivi, porterebbe sulla nostra generazione l'accusa delladistruzione, per giunta, di una economia della cultura di future, grandi proporzioni. Il lavoroche oggi presentiamo non è quindi dedicato solo al Guerrieri, ma a tutti gli artisti italianiche, vissuti fuori dai centri del potere costituito - e spesso anche se immersi in essi - nonsono ancora riemersi alla luce della conoscenza. La monografia dedicata al Guerrieri è uninvito a sollecitare realisticamente l'opera di catalogazione del patrimonio italiano. Non sitratta solo di un adempimento amministrativo, ma soprattutto di un generale, necessariorinnovamento della storia dell'arte italiana.

È almeno singolare che un progetto di lavoro per Giovan Francesco Guerrieri daFossombrone sia nato in noi prevalentemente da ricordi. Questa è una riflessione personale,che non nasconde assolutamente le altre spinte ad un perfezionamento della figuradell'artista (assai più complessa di quanto fosse possibile immaginare nei lontani anniCinquanta). La personalità di Guerrieri non ha mancato infatti di suscitare adeguateattenzioni in chi, come Paolo Dal Poggetto, porta la responsabilità di restauri diconservazione che per l'artista - in ragione del suo storico abbandono - sono orafondamentali. Quasi quarant'anni fa, era impossibile, o quasi, "vedere" i dipinti delfossombronese, e specialmente quelli delle chiese di campagna. Oggi, questi restaurisuonano esattamente come veri recuperi di identità, e di ciò non si può che essere grati a chi- iniziando da Giuseppe Marchini e da Italo Faldi, da Filippa Aliberti a Dante Bernini e con lacollaborazione di Luciano Arcangeli come di altri numerosi giovani studiosi - ha volutoportare la propria, decisa attenzione sul Guerrieri.

La forma storica del paesaggio

I ricordi vivono però una loro vita, e tra loro si muovono anche alcune giovanili disillusioni. Siviveva, in quegli anni del dopoguerra, nel "meraviglioso" paese della povertà esemplare. Era,quella davanti ai nostri occhi che si aprivano alla poesia e all'arte nell'alta figuraarchitettonica di Urbino, una campagna di così perfette forme, di così storico equilibrio, dafarci naturalmente sognare che, sì, a tutto questo, come a quelle montagne montefeltreschee marchigiane, e alle città un po' contrite per il lungo abbandono e meravigliose nella lorosolitudine estetica, avremmo finalmente potuto portare il beneficio di un'economia moderna.Avremmo lentamente riportato una parte, sognata appunto, di quell'antica vitalità che ilpaese delle città e delle campagne, dei municipi e delle chiese, aveva esemplarmentealimentato.

Questo era il paese, al quale la memoria - lo capite - è la sola a potersi rivolgere come ad unsogno di armoniosa compostezza, forse anche di contenuta modestia. E in questo paesecrebbero, tuttavia, la religione delle nostre madri e quella loro presenza civile, compunta egenerosa come la nostra eterna provincia: la provincia italiana, e cioè - di certo per noi ched'arte ci occupiamo - la più straordinaria riserva di conoscenza storica e artistica che sipossa immaginare, il luogo dell'incontro fra le scuole delle grandi città, centri di potere e diirradiamento, e questa minuta, vitale, sensibile quota o livello, o medium, di culture dislittamento o di resistenza, di autonomia o di dipendenza: sempre pronta nel rilevare in ogniborgo, o quasi, nato un artista; da ogni artigiano, esprimersi capacità espressive felicissime;da ogni bottega, fiorire progettualità capaci di coinvolgere il volume ospitale, famigliare edampio di chiese adatte a riunire e a rivelare la complessa vita delle forme che in quel luogoè stata, nei secoli, creata; e che ancora in quel luogo si esprime. Il solo luogo che, nelmondo intero, possa davvero farlo, e cioè proprio questo nostro paese contraddittorio.

Grandissima provincia italiana, sommersa oggi ancor più di un tempo. E non dall'abbandonoeconomico, ma semmai dal travaglio della ricchezza che ne deforma l'aspetto con i suoi

Page 21: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

economico, ma semmai dal travaglio della ricchezza che ne deforma l'aspetto con i suoidistruttivi ritardi culturali e, sotto certi aspetti, con la ferocia del suicidio culturale. Nulla inquesto paese è più fisicamente concreto -sia nella sua qualità artistica, quanto nel suostesso degrado - di ciò che usiamo chiamare retoricamente "storia dell'arte". Ma questosignifica che, ad ogni distruzione o prevaricazione, risponde l'atroce soppressione di un beneartistico. È un intero progetto di vita e di qualità che lentamente, irreparabilmente, siallontana. Studiare un artista vuoI dire creare una importante resistenza della cultura.

Una prima proposta di metodo

Ecco, il Guerrieri che allora, con il solo conforto di una efficace scheda di Federico Zeri(1954), provammo a identificare nel Montefeltro e ai bordi dell'attigua Romagna, finì perdiventare un po' l'eroe di questa muta bellissima geografia del paesaggio periferico, resosolitario da emigrazioni e da sradicamenti imponenti. Avremmo voluto già allora salutare inlui l'eroe di una fuga da Roma, forse parallela a quella dell'altro grande umiliato dal destinoe dalla violenza, Orazio Gentileschi; di una fuga che, al pari di quella di oscuri catecumeni,pensavamo allora cercasse rifugio - dopo la scomparsa di Caravaggio - nelle vallate resesicure da una fede che si opponeva al ritorno di Roma triumphans, dopo la lungacontroriforma cattolica che, soprattutto nelle campagne, oltre che a ripristinare nuoveautorità, aveva anche accompagnato il fondarsi problematico di tante istituzioni dellamoderna società italiana. A noi interessava allora, come adesso, l'affiorare di quel bisogno diverità che, dalla poetica degli affetti, passava alla costruzione di una più vicina antropologia,contrastando intensamente, così, gli scritti di interdizione e di intimidazione dellapubblicistica ufficiale, dal Gilio al Paleotti. Eravamo convinti che, mai come nella poverapittura fra Cinquecento e Seicento, la trasgressione si applicasse a chiarire in sensoaffettuoso e appunto naturalistico, verisimile e vero, le ragioni dalla comunità edell'individuo, quelle della povertà e dell'indigenza oppure dell'onesto benessere; l'immaginedel lavoro e, in riflesso, della devozione; la virtuosità infine della modestia temperante,costruttiva e fiduciosa. Volti di uomini e di donne, attitudini e comportamenti che sonogiunti - forse malinconici e oppressi, certo sinceri e diretti - fino all'ultima guerra mondiale.L'estate del 1944 segnò per le Marche l'uscita dal vano silenzioso, povero e senza tempo,della storia.

Questo libro nasce da alcune sovrapposizioni, l'ultima delle quali fu un progetto di lavoro chemi consentì di riprendere se non un tradizionale saggio critico, almeno una tracciaabbozzata per far convergere nuove opinioni verso il problema dell'attività del Guerrieri. Essofu infatti suggerito dal Centro Studi Salimbeni di San Severino Marche come un'ipotesiattorno alla quale così gli studiosi che il pubblico potessero trovare una non genericainformazione.

Dentro il nostro tema, almeno come tensione culturale e di sentimento, vorremmo però cheil lettore intravvedesse comunque l'immagine reale e insieme evocativa dalla quale siamopartiti. Che è quella del "territorio", un fantasma lessicale in gran voga fino a qualche annofa, e che ha trascinato con sé nel limbo dei linguaggi morti - quello politico, quello dellaprogrammazione, quello della progettazione ambientale - le spoglie del bene maggiore cheil nostro paese possedeva. L'essere, cioè, un paese interamente, minuziosamente costruitodall'uomo e dalle sue necessità; modellato centimetro per centimetro dal lavoro, comediceva, nel solo realistico progetto per un'Italia moderna, Carlo Cattaneo. Artisti comeGiovan Francesco Guerrieri, che la condizione ha portato ad un'economia di impresa spessoartigiana e tuttavia non priva (e per lunghi anni) di un'efficace figura culturale, coprono unospazio più vasto - senza paradossi di altri maggiori colleghi legati a committenze illustri e dapiù riservate strategie collezionistiche o museografiche. I protagonisti di questa provincia,specie di quel Montefeltro urbinate che si avvicina, a quei tempi, all'inesorabile devoluzionee alla morte della signoria roveresca (1631), recitano ormai ruoli difformi e occupano luoghidiversi, fra i quali s'impone la chiesa parrocchiale, questa cellula culturale, questo fuoco dicomunità che è stato il fulcro dell'organizzazione territoriale e cioè del paesaggio storico - edi molte forze che ne hanno dettato le forme bellissime.

Page 22: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

di molte forze che ne hanno dettato le forme bellissime.

Le ricerche sulla vita artistica e storica in aree decentrate sono sempre difficili per la naturalee frequente mancanza di strumentazione così documentaria che bibliografica. Se questo valeper oggi, è facile immaginare come si presentasse, nei primi anni Cinquanta, l'ambientestorico marchigiano, nelle province dove il Montefeltro si alimenta nel suo storico rapportocon l'Umbria e, a occidente, con la Toscana; per poi, a settentrione, complicarsi in una seriedi enclaves a ridosso del Marecchia, fino quasi il sfociare a Sant'Arcangelo di Romagna. Manon bisogna dimenticare che il buon positivismo ottocentesco aveva già procacciato allasocietà, per fortuna, certe ricerche documentarie, risultato di stagioni archivistiche maiabbastanza lodate, sulle quali la nostra pretenziosa prospettiva storica ha d'altrondeprosperato, e continua anche oggi a vivacchiare.

Tra Marche e Romagna

Il caso di Giovan Francesco Guerrieri è, in questo senso, esemplare. La ricognizione che cene diede il canonico Augusto Vernarecci, sapiente ricercatore della nostra Fossombrone,condensata in un saggio storico dedicato alla triade secentesca metaurense, compostaappunto dal Guerrieri, dalla figlia Camilla e infine da Giuseppe Diamantini, nel 1891 (madiffuso nel 1892), appartiene a quelle opportunità che per metodo, cautela, caparbietàognuno di noi vorrebbe incontrare almeno una volta nella vita. La piccola "Nuova RivistaMisena", diretta da A. Anselmi, fu, a sua volta, un modello prezioso di comunicazionepositiva, spesso la sola relazione aperta tra galantuomini desiderosi di vivificare gli studipatrii, tra sacerdoti riscaldati da un amore verso il corpo fisico e storico della Chiesa che nonne tradiva per questo il corpo mistico, ma piuttosto lo alimentava nella più alta tradizionemuratoriana. Anche attraverso queste lunghe ore di gelidi archivi invernali, di caldissimesacrestie estive, fra la polvere e le scartoffie, i geloni alle dita o il fazzolettone al collo pertergere il sudore, transita la storia: certo quella, tra altri carneadi, di Giovan FrancescoGuerrieri da Fossombrone.

La mia prima esperienza rivolta al tema delle ricognizioni d'area, ovvero delle intersezioni frala dimensione dello spazio e quella del tempo, e cioè il luogo e il modo dell'evento artistico,fu quanto mai fortunata. Fui cioè guidato all'incontro da quel vero, serio "museoimmaginario" che una mostra esemplare può esprimere dal suo seno. L'esposizione era Lapittura del Seicento a Rimini, una rassegna estiva sorretta da un catalogo a cura di CesareGnudi, di Francesco Arcangeli e, infine, di Carla Ravaioli. Correva l'estate del 1952,protagonisti ne erano il Cagnacci e il Centino; ma, tutto attorno al loro naturalismo,s'illuminavano i problemi con gli arrivi bolognesi, dal Massari al Mastelletta; con gli influssimarchigiani, dal Pomarancio al Cantarini. E sembrava dunque di vivere - che so - la letterafamosa dell'Algarotti al Mariette del 1761, con la narrazione dei pregi della Romagna;oppure le belle pagine del Marcheselli, un altro corrispondente di Luigi Lanzi. Il quale erainfine il vendicatore calmo e salomonico degli spiriti di provincia, turbati due secoli primadalla prepotenza vasariana; ed insieme il più splendido, accorto e pragmatico storico del"territorio" che si possa immaginare. Forse un po' purista di fronte al nostro barocco"parrocchiale".

Questa mostra riminese era anche e soprattutto un progetto, un programma per una serie direstauri, di recuperi, di nuove indagini a guerra da poco terminata. Credo che se tutte leinfinite, proliferanti e talora banali occasioni di mostra fossero state accompagnate da unosforzo programmatico per una campagna di restauri, avremmo avuto certo meno mostre ma,in compenso, avremmo attivato una capillarità di tutela oggi impensabile. In quella torridaestate riminese vidi sorgere un modello di metodo (e di prassi) al quale non credo di avermai rinunciato. Il mio esordio nella disciplina e nelle sue pratiche era avvenuto, in qualità diturista estivo e appena diplomato, con una visita ad un'altra caldissima ma sensazionalemostra, quella della Pittura bolognese del Trecento, estate del 1950. Nell'inverno del 1952avrei affrontato a Milano la grande mostra del Caravaggio, e nel 1953 la mostra di LorenzoLotto, prima fatica di Pietro Zampetti a Venezia. Confesso che quando si dice che le mostresono inutili (e ciò non manca di alcune verità solenni) io sento rimordere dentro di me la

Page 23: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

sono inutili (e ciò non manca di alcune verità solenni) io sento rimordere dentro di me lacoscienza di quell'attacco strepitoso ed esaltante. E non me ne priverei per tutto l'oro delmondo.

La mostra del Seicento a Rimini - per tornare al nostro problema - fu anche la piattaformadell'insegnamento di Francesco Arcangeli, visitatore ciclista di questa città e di questecampagne in stagione balneare. Le chiese erano allora tutte aperte al visitatore, anche quellecampagnole, anche nel mezzogiorno più torrido e pieno di cicale. Ripenso a quel paesaggiomeraviglioso e mi domando chi davvero abbia avuto, più di noi, alle soglie del mondo delleistituzioni culturali moderne, l'incredibile, felicissima possibilità di entrare in quelle ombrìesommerse, e lì abituare gli occhi all'oscurità, intravvedere e vedere quei dipinti che stavano lìin attesa di visite, sommesse pagine di quella società dei poveri, dei derelitti, che la riformacattolica aveva diffuso nelle nostre campagne. I personaggi, prevalentemente la Vergine colBambino, e la famiglia delle Sant'Anne e dei Gioacchini, di Giuseppe affaccendato in tralice, epoi dei patroni più domestici, i Santi Ubaldi contro i terremoti, i Biagi contro le tossi maligne,i Crescentini contro le guerre, le Apollonie contro il mal di denti, sostavano in quella frescuraun po' complice, semplici nella loro presentazione, composti nelle elementari positure e neicorretti panneggi, immersi in un cromatismo un po' risaputo e domestico. Ma ciò checonteneva poi tutto questo, solenne e affettuoso come una benedizione rurale, era quellostraordinario ambiente stilistico e affettivo, una globale Stimmung insomma, che si dovrebbechiamare "naturalismo" del territorio artistico italiano nell'età di Controriforma. Intendo quelmodo accostabile e mite, e tuttavia veritiero, non trionfalistico, con il quale tanti artisti sisono accomunati alle popolazioni, ne hanno vestito innumerevoli dolenti vicende oppurehanno sorriso con loro per una modesta gioia. Questo fu il mondo nel quale mi apparveproprio lui, quasi prima delle sue stesse opere, e cioè Giovan Francesco Guerrieri daFossombrone.

Per le origini di Simone Cantarini

Nella realtà quotidiana, e di biblioteca, il nome di Guerrieri, oltre che abitare le RegieDeputazioni di Storia Patria, emergeva soltanto, o quasi, tra le pagine illustrate dell'Inventario degli Oggetti d'Arte del Ministero, allora della Pubblica Istruzione - l'ottavo,dedicato alle province di Ancona e di Ascoli, a cura di Luigi Serra, di Bruno Molajoli e diPasquale Rotondi (1936). Chi scrive, avendo nel frattempo maturato la scelta di lavorare suSimone Cantarini per la propria tesi di laurea, fece di questo volume un vero calepino. Non sipuò che nutrire gratitudine verso i tre compilatori, veri amministratori del patrimoniomarchigiano, anche per questo volume di "compilazione", come dicono i saccenti, prezioso -in realtà - come pochi altri. A pagina 168 dell'Inventario, appare la foto del Miracolo dellacanna di San Nicola da Tolentino, in Santa Maria del Ponte del Piano: opera diversamentesconosciuta a chi non frequentasse di persona le chiese di Sassoferrato. Era, nel piccoloformato, curiosa e seducente la composizione, un misto di narratività naturalistica e diinvenzione allusivamente classicheggiante. Si avvertiva insomma emergere, da sotto ilchiaroscuro un po' fumoso, il disegno del Domenichino a Grottaferrata. Era quantooccorreva, però, per sollecitare l'interesse di chi andava in giro a scoprire, se mai riusciva,quali fossero le origini della naturalezza, della sottigliezza anche psicologica delgiovanissimo Cantarini; prima che costui, dalla nativa Pesaro, approdasse nello studio diGuido Reni a Bologna.

Ma per ricercare, precisare la delicatissima fisionomia di Simone, era necessario tornare adaffondare le mani nel grande spazio che in patria lo precedeva; uno spazio che non contienesoltanto l'immagine moderna, e insieme l'antico modello, di Federico Barocci; ma che siarticola in dimensioni storiche molto vaste e intersecate. Le quali certo, oggi, hanno godutodi una buona, spesso ottima illuminazione critica; ma che allora si spalancavano come unvano oscuro di fronte a chiunque cercasse almeno i lineamenti sommari delle intricatevicende marchigiane a cavaliere dei due secoli.

Per chi scrive, messo alla frusta dalla necessità, si trattò di un notevole impegno, in seguitoapprofondito solo in parte, e proprio a cominciare dalla personalità di Giovan Francesco

Page 24: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

approfondito solo in parte, e proprio a cominciare dalla personalità di Giovan FrancescoGuerrieri, di Andrea Lilli, di Federico Barocci e, naturalmente, di Orazio Gentileschi. Quantoal più largo disegno di età e di condizione, fra il 1954 ed il 1955, la nostra ricerca avevatoccato anche generali scenari, alcuni dei quali si possono in fondo cogliere nelle pagine chequi seguono: quasi un progetto, un brogliaccio di lavoro che diverse occorrenze di vita, ealtre vicende, non mi consentirono di affrontare mai più. Molto lavoro è stato tuttaviacondotto da altri giovani studiosi che operano a Urbino e nelle Marche, e che anche direcente ha vissuto momenti di più largo interesse, come ad esempio nell'occasione felicedella mostra fiorentina dedicata ad Artemisia Gentileschi (1991).

Note per l'arte tra due secoli

Un suggestivo contrasto di lingue condiziona nelle Marche, agli albori dell'età moderna,l'indagine stilistica oggi rivolta alle opere. Emerge, con la forma di una dinamicatransizionale, e nel modo che più avanti apparirà evidente, il vario riproporsi ed intersecarsidei due termini, or concordi, or discordi, nelle persone artistiche che operano nella regione,grosso modo dal ritorno di Andrea Lilli, forte, cavalleresco artista anconetano, alla primaeducazione di Simone Cantarini, detto Simone da Pesaro, il raro talento che giunse aspezzare in Bologna il rigido cerchio stretto tutto attorno dall'operare strenuamente perfettodi Guido Reni. Naturalmente il fenomeno della transizionalità non è legato solo alladimensione stilistica, alle caratteristiche culturali. Esso si incrocia costantemente con quellasorta di labilità, di stallo oppure di contraria velocità di trasmissione, che rende davveronecessaria una indagine storica molto connessa alle tematiche urbanistico-territoriali, e allaforma di una regione "introvabile", come Roberto Volpi l'ha definita qualche tempo fa: nonsolo policentrica ma anche itineraria. In questo modo, il regime degli arrivi e delle partenze,nel quadro mobilissimo degli eventi artistici, delle collocazioni e delle ubicazioni, dellesuggestioni e delle influenze, ha un valore dominante. Si tratta, per molti versi, di un aspettoulteriore di una geografia della storia.

Non mancherebbero, ad orientarci, le notazioni da condurre in margine all'operadell'autorevole, ma tardo storiografo marchigiano, il marchese Amico Ricci, eparticolarmente al riguardo dei capitoli XVIII, XXII e XXIV delle sue Memorie della Marca diAncona (1834), tutti riguardanti le relazioni fra pittura locale e ambiente artisticocosmopolita, romano e bolognese; altrettanto rimarrebbe da fare nei confronti delle piùconvincenti e persuasive citazioni, sparse qua e là nell'opera, di presenze delle reciprocheinfluenze e determinazioni stilistiche fra le varie persone artistiche che fanno storia inquesto momento. Ma tuttavia una gran parte del lavoro è da condursi direttamente "sulcampo". La ricerca degli anni Cinquanta ebbe proprio questo fine, e forse cerco soltanto oggidi riepilogarne in sommario qualche tratto generale e ciò nonostante altri, da Zampetti aLuciano Arcangeli, abbiano fatto molto progredire la conoscenza di questo affascinanteproblema, da allora a oggi. Questa è ora soltanto una sinopia molto sommaria per creareuno scenario sul quale proiettare la figura del Guerrieri.

Quanto al primo oggetto della nostra lettura, e cioè alle relazioni della pittura locale con gliambienti artistici di Roma, sarà sufficiente l'accenno all'attività romana di Andrea Lilli; e,ancora, ai suoi rapporti con l'ultima Controriforma romana in genere, e con i barocceschisenesi e urbinati in particolare; quanto poi all'accentuazione della frattura fra zuccareschi ebarocceschi, così viva nelle pagine del Ricci, essa è probabilmente da ricercare e dagiustificare nello spiccato tradizionalismo dello storico, confesso e dichiarato, meglio che inuna realtà storica, naturalmente più fluente, continua e mediata, pur nella contrapposizionestilistica, dalla fretta dei tempi carichi di vicende. Ma vedremo meglio più avanti.

Quanto invece al secondo aspetto della nostra lettura, i problemi si frazionano, allorché sipassi a sottolineare le più vivaci presenze forestiere in seno alla provincia, in una confusadifformità di intendimenti stilistici e poetici. Così, ad esempio, l'attività marchigiana diCristoforo Roncalli delle Pomarance; la tradizione veneta di Claudio Ridolfi che sembraapprodare qui dalle costole dell'ultima pala di Paolo Veronese a San Giuliano di Rimini; lamisteriosa "verità" di Ernesto de Schaychis; la naturalezza "civile" e moderna di Andrea

Page 25: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

misteriosa "verità" di Ernesto de Schaychis; la naturalezza "civile" e moderna di AndreaBoscoli. Né mancherebbero sollecitazioni da aggiungere, tratte dal testo del Ricci, solo avolte ricco e sorprendente; ma l'importante sta forse nel trovare a questi fatti,frammentariamente rinvenuti sulla carta, una nuova significazione, ulteriore e precisatacollocazione critica e storica, soprattutto attraverso una più accurata selezione delleprecedenze poetiche e qualitative cui talora il Ricci non accenna, che tuttavia il Ricci sempreritiene scarsamente importanti per lo sviluppo dei fatti a venire. E che invece sono la verastoria del secolo, l'innesto più fruttifero, la traccia infine più eloquente ancor oggi, agli occhidello studioso che vada ricercando, chiesa per chiesa, i documenti impegnativi di quellaciviltà poco conosciuta. Manca infatti nella intera opera del Ricci, strumento tuttavia unico edifficilmente sostituibile, qualsiasi citazione di portati naturalistici, di novità fragranti dalmondo vivo della nuova società caravaggesca romana: fuori dai limiti geografici dell'opera,che interessa la sola marca anconetana, l'attività fabrianese di Orazio Gentileschi, nonresterebbe che aggrapparsi, per ascoltare voci di riforma dalla penna di questo conteMonaldo degli studi storico-artistici, troppo esiguo e ritardato, per costituire un cardine diinteressi, una fonte di ispirazioni operanti e sollecite. Ed è proprio a questo punto che funecessario - ed è pure una necessità di studio - scostato il tavolo, ed allontanati carta ecalamaio, sostituire alle pur utili notizie forniteci dal Ricci, alcune notazioni più vive, edintegrare attraverso l'autorità di più valide ricerche, viaggi appassionati quando possibile, lastoria degli interventi decisivi nella regione marchigiana intorno agli ultimi anni delCinquecento nel corso dei primi decenni del Seicento.

A tal proposito, intanto, si deve ricordare che sulla fine del 1603 è accertata in Tolentino lapresenza di Michelangelo da Caravaggio: un soggiorno breve, e quasi immediatamenteinterrotto, nel regesto cronologico della sua vita, dal famoso lancio di carciofi nell'osteriaromana del Moro; ma un soggiorno che avrà certo maturato i suoi frutti. Non mancano, nelleMarche, copie e riprese dirette dall'opera caravaggesca, tali da suffragare la mancanza deglioriginali, probabilmente pochi e perduti nel tempo. Valga come tipico esempio quelSant'Isidoro Agricola già nella chiesa di San Filippo ad Ascoli Piceno, citato dal Lazzari (1724)e descritto come opera di pregio e considerevole; la povera copia conservata nel PalazzoComunale della cittadina, a parere di Roberto Longhi, sembra suggerire una datazioneintorno agli anni 1605-6. Legata agli anni tardi dell'attività di Caravaggio, la copia del Cristoalla colonna del Museo di Macerata, se di provenienza locale, suggerisce di nuovi umori,inevitabili reazioni pur nello stagno tranquillo che la provincia fa delle novità del secolo. Nésarà possibile passare sotto silenzio la ormai famosa Natività che Rubens collocò in San Luigidi Fermo intorno al 1606-8.È proprio all'esame di questi primi temi che le Memorie del Ricci, sia per la natura circoscrittadei limiti geografici imposti, sia per la già esemplificata indifferenza nei confronti di alcunevicende particolari, da ritenere estremamente importanti, si rivelano del tutto inutilizzabili.

Lilli, Boscoli e il Gentileschi

S'è già fatto, più di una volta, il nome di Andrea Lilli; e anche quello di Andrea Boscoli nontorna nuovo. La presenza del primo a Roma era documentata negli ultimi due decenni delCinquecento soprattutto nell'impresa collegiale di Santa Maria Maggiore, uno dei cantieri piùinteressanti della Controriforma. Il ritorno in patria, avvenuto a parere del Molajoli intorno al1596, segnerà, nella cultura della regione, una data assai importante, tanto è fresca e viva lalingua che, in quel torno di tempo, sapidamente lega entro un ornato neotibaldesco le bellestoriette di San Nicola da Tolentino del Museo Civico di Ancona. Cresce, allora, la storia diquesta provincia, apparentemente abbandonata alla sterilità dei minori barocceschi urbinati,o al tardo venezianismo, portato senza troppo conseguenze, delle importazioni marchigianedi Palma il Giovane. Un'indagine molto esauriente è stata quella condotta da LucianoArcangeli con la mostra anconetana del 1985. Nuovo incentivo è lo straordinario arrivo diAndrea Boscoli in quel di Macerata: straordinario tanto da far prendere per buono l'aneddotopassato dal Baldinucci al Ricci, che ci consegna Andrea come prigioniero militare, colto peravventura a disegnare le fortificazioni di Macerata (con la segreta intenzione, forse, di farneun libero paesaggio).

Page 26: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

un libero paesaggio).

Impegnato, sulla consegna manieristica toscana, ed in particolare del maestro Santi di Tito, adestinare nuove forze verso la riscoperta di una trepida naturalezza, Andrea Boscoli data del1599 la bella Predica di San Giovanni Battista della chiesa del Santo a Rimini; eprobabilmente nello stesso anno porta a termine i due dipinti del monastero di San Luca aFabriano. Una singolare forza luministica lo spinge a campire, sul grigio semitonod'ambiente, freschi strappi cromatici, dove la felpa del manto, o il cencio che fa da bizzarrocopricapo al pastore, suonano come improvvisi, schietti fenomeni che la luce provocabagnando fredda il colore. Quanto piacerà ad Andrea Lilli, ultimo e attento tramite di vocecinquecentesca in questa terra precoce, lo dicono le sue opere che affiancano quelle del Lillie che convergono con esse. Ma altrettanto singolare, e direi addirittura sensazionale, èscoprire il modo con cui piacerà, al Gentileschi di una decina d'anni dopo, quest'aria schietta,questo fare sincero, in cui ritrovare la propria lontana, elementare vena toscana, quella cheprecedeva le novità del primo Caravaggio. Un passo, dunque, insospettato, e un rinnovatosentimento di aristocratica elezione manieristica, che era cresciuto insieme al nuovopensiero luministico e che, pur nel pieno di quella richiesta di natura e di verità (in lui anchementale), non abbandonerà mai nel corso della sua lunga e travagliata esistenza. Ma poi ilclima dei ricordi, stemperati in una sedimentazione di molti decenni, coinvolgeva ancheaspetti ormai antichi della Rinascenza. Sarà bello, per il Gentileschi, riandare per questo aipensieri della prima giovinezza, mentre intorno maturano altri fermenti, e ritorna la ormaisecolare naturalezza di Lorenzo Lotto. Un fenomeno, quest'ultimo, di lunga durata tantosentimentale che di stile, capace di congiungere l'ornatura scontrosa dell'esule bergamascocon l'eredità lombarda così potente nel nuovo affioramento che prende corpo nella riformacaravaggesca.

Naturalmente, come abbiamo anticipato, questo è ormai soltanto un brogliaccio di lavoro, unfondale appena dipinto che, negli anni Cinquanta, aveva il valore di una possibilericognizione su quella realtà che, dopo le brevi risultanze del Lanzi e poi del Ricci, era statariesaminata solo da Bruno Molajoli e per certi aspetti da Pasquale Rotondi, con il profitto delbuon lavoro di riassetto operato da Luigi Serra negli anni Venti. Le numerose, tempestivemostre di documentazione di restauro e di recupero del patrimonio che la Soprintendenzaurbinate ha realizzato a partire appunto da quegli anni, hanno consentito un avanzamento euna illuminazione che allora sembravano inarrivabili. Una volta ancora, in questo dopoguerra,è stato insomma possibile constatare che il restauro ha consentito un grado di leggibilità e diconoscenza altrimenti impossibile. Proprio su questa prima ed elementare chiarezza si sonoallacciate tutte le suggestioni e le molteplici, slittanti e veloci, necessità di contatto e diibridazione che corrono sul campo di una regione non centripeta, appunto, ma policentrica eancor più, dominata da un regime vallivo che, agli albori dell'età moderna, sposta ogni flussostradale dalla montagna e dall'intensità dei rapporti mediani e trasversali, verso la diversacondizione dei flussi itinerari costieri. La bibliografia porta traccia concreta degli interventi,prima di progetto culturale e poi di recupero, seguiti da consistenti studi che hanno vistoimpegnati studiosi e amministratori. Da anni Paolo Dal Poggetto segue con la maggior curaquesto invaso problematico di valori artistici e di ragioni storiche, dove la figura così mobilee talvolta intrigante del Guerrieri si versa e, insieme, attinge.

Quanto a noi, talvolta convinti a scrivere di Guerrieri assai più con le ragioni del tempopassato che con quelle di un presente criticamente incisivo, non possiamo che riconoscere ilconsistente, positivo avanzamento del problema. Qualche indulgenza ci consente diriportare ancora l'occhio su alcune pagine, che anche allora si chiamavano di prosa d'arte, eche oggi possono sembrare addirittura disadattate nel clima assai più freddo di molteesperte filologie. Ma, come si sa, la prosa d'arte teneva anche il posto delle soluzioni dicontinuità, delle cesure che ovviamente frantumavano un percorso già assai complicato; epoi, era davvero difficile non cedere alla seduzione di un paesaggio artistico di enormi,eloquenti stigmate storiche, posto tanto drammaticamente a confronto con l'attualità. Unargomento centrale, come è naturale, era quello della fuga di Orazio Gentileschi da Roma, incerca di lavoro tra Ancona, Fabriano, e Pesaro. La miglior definizione della sua impresa apriva

Page 27: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

cerca di lavoro tra Ancona, Fabriano, e Pesaro. La miglior definizione della sua impresa aprivamolti confronti con il giovane Guerrieri, così sul piano dello stile che su quello dell'induzionecronologica.

"Ma, ad illustrare ancor più minuziosamente la precocità della Circoncisione di Anconastanno gli stretti rapporti interni che si mostrano palesi con la Maddalena di Casa Pace aFossombrone. Intanto, una sorta di colossale dilatazione inventiva sembra dominare quellacomposizione: del gesto 'vero'; del fotogramma erompente; della profonda umanità diCaravaggio, non resta quasi se non l'acredine, questo aguzzare d'occhi vetrini come a megliointendere la gioia del colore altero e minuzioso. Diaccia, diafana o tagliente, ogni tonalità èdistesa con quell'unico intento che s'avvia a divenire sempre più totale ed esclusivo in vistadella ormai prossima Madonna Rosei, o della bellissima Maddalena dei Cartai di Fabriano.Riesce quasi impossibile poter parlare dei reali valori del dipinto, in assenza dell'originale; lafoto ne conserva appena - è indicativo - il traslucido lucore, freddo e implacabile, che imezzi di riproduzione consentono. Il colore si distende, luminoso e lavandato per ognirecesso, e fuga con sgarbata lucidezza di 'a fuoco' ogni più piccola intenzione compendiariae abbreviativa. Non bruciano i 'piccoli bracieri' del tocco caravaggesco: Rembrandt è piùlontano che mai. Qui l'impressione è la stessa, scalena ed angoloide, che la composizione ela forma ci consegnano in certi dipinti nordici, dove l'ossessione dell'obiettivo, del telemetrospaziale rende pericolosamente squilibrate operazioni di massa che alla tecnica latina nonsarebbe stato difficile risolvere in maniera tradizionale. Occhi aguzzi, fin strabuzzati estrabici; gran muovere di mani per tutto il dipinto; coppe lucide dagli orli taglienti:un'umanità così poco nostrana, memore soprattutto di infinite sopraffazioni manieristiche,acconciata in fogge talora non pertinenti. Un angelo, nella parte più alta della tela, volge ilvolto ed aggredisce la forma con riccioli e lineamenti affilati come trucioli metallici,frammenti di alluminio; quasi un esemplare fra quelli sanguinosi e bovini del Tanzio tornatoa Varallo e compiaciuto della 'vulgata' michelangiolesca del genio lombardo di PellegrinoTibaldi.

È meglio avvertire subito che tale complessità di argomenti luministici era destinata a durarealtrove, fuori d'Italia soprattutto. Il giovane Guerrieri mostra fin da questo primo esperimentodi non saperne intendere la poesia, avviata ormai al mondo enigmatico e borghese dellapittura del 'grande silenzioso' di Delft. Le diversioni sartorili, pretesti di lussuose campitureluminose nel maggior maestro, passano in lui con l'aria fra divertita e ambigua di unguardaroba confusamente indossato sotto certe luci crudeli di proscenio. Gli oggetti che làtranquilli e muti vivono ciascuno un proprio interno tempo di 'Stilleben', son qui disseminatia man salva, fra le ortiche, gli strumenti della mortificazione, lucertole e lumache ed ognisorta di altri pretesti per l'evidente intenzione di giovare al 'decoro' di un mondo che troppopare fuorviarsi dalle linee latine e tradizionali".

In quegli anni, il problema era forse quello - più tardi chiarito bene soprattutto da PietroZampetti e da Luciano Arcangeli; a più riprese, ma specialmente nell'occasione della mostradedicata ad Andrea Lilli (1986) - di meglio comprendere le consistenti tensioni di incontroche nuovi artisti, quasi tutti provenienti da luoghi alti della cultura artistica italiana, e cioè da(Roma, da Firenze e da Bologna, potessero creare, assumendo la piccola ma accoglientecouche marchigiana come un luogo di soddisfacente committenza. In questi anni che chiscrive ha per più versi drammatizzato con le prime indagini sul Gentileschi, sul Lilli esoprattutto sul Guerrieri (1954-58), è giusto leggere anche il clima di attesa quasimillenaristica che coglie il Montefeltro urbinate alle soglie della devoluzione allo Stato dellaChiesa: e che la mancanza di un erede maschio della famiglia di Della Rovere complicaulteriormente, colorendo l'attesa con una componente anche altamente popolare. Ma ciòriguarda soprattutto Urbino e il suo establishment, già punito in modo addirittura truce daglieventi del 1570 e dalla mano vendicativa di Guidubaldo della Rovere: e di questo lentotramonto sono testimonianza principe le pagine di Bernardino Baldi, più che trasparenti inproposito nell'esaltazione di una città e di una comunità - quelle di Federico, per intenderei- erette come un modello ideale nel secolo precedente e già abbandonate, in pericolo divita, nel 1590. L'altro segnale, di una angosciosa precisione, giunge addirittura

Page 28: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

vita, nel 1590. L'altro segnale, di una angosciosa precisione, giunge addiritturadall'accezione cristologica che il Barocci assegna ad ogni ricorrente narrazione dellapassione di Cristo: collocando alle spalle degli eventi dolorosi un paesaggio inevitabilmente,puntualmente urbinate; e ancor più, un paesaggio urbinate visto e traguardato dalla finestradel proprio studio.

Ma poi, scendendo da quelle balze ormai abbandonate, verso una nuova vita di commerci edi traffici e lungo le più battute strade vallive e della pianura, si scopre che la condizione diquesti anni non è la peggiore. Ad essa e alla sua piana descrizione, Sergio Anselmi dedicòalcune nitide pagine in quel catalogo che, nel 1988, il Centro di Sanseverino realizzò colproposito di disegnare un piano-programma di studi rinnovati e più esaurienti a riguardoproprio di Giovan Francesco Guerrieri (pp. 101-108). Lo scritto dell'Anselmi era già esso,quasi spontaneamente, una proposta di lettura del territorio e delle sue caratteristiche permeglio osservare il dispiegarsi dei flussi culturali possibili: "Ancona e Senigallia per le attivitàmercantili export-import, Macerata quale capitale amministrativa, Loreto santuario di primagrandezza, il secondo della cattolicità -, Pesaro e Urbino, luoghi di sofistica culturatardorinascimentale, Fermo potente e ricco caposaldo arcivescovile, fanno delle Marcheun'area di solida consistenza: Roma guarda ad essa con notevole cura. Lo attestano, tral'altro, l'enorme numero di sedi vescovili (ancorché poco presenziate dai vescovi nonostante idecreti tridentini) per una popolazione che, al tempo del primo censimento pontificio (1656)non tocca che le 500 mila teste, l'alto numero di prelati che hanno qualche 'titolo diprivilegio' nelle Marche, l'assetto agricolo che assicura, con la fornitura di grani a Roma e aparecchie altre grandi città dello Stato (Perugia, Bologna, Ferrara, ecc.), grossi affari con le'tratte' per l'estero. Ancona, Pesaro, Fano, Senigallia, per le vie di mare; Jesi, Macerata, AscoliPiceno per le vie di terra, sono tra i maggiori centri di esportazione delle granaglie". Inquesta condizione mediana, non essendo - Marche e Romagna - al centro del mondo, maneppure nella più infelice periferia di esso, si solidifica una condizione che è quella cheregge un sistema urbano-rurale destinato a durare, ormai, fino all'unità nazionale.

Per quel che ci interessa, non si può neppure tralasciar di ricordare che come Fano era già datempo immediate subjecta alla Chiesa di Roma, che in effetti vi fa convergere un visibilenumero di opere pubbliche e di imprese liturgico-devozionali e artistiche; e che numerosierano governatorati e protettorati i quali (come - per quel che ci interessa - Fabriano)gestivano, con concreta capacità di iniziativa di vescovi e di castellani o di magistrati, la riccamateria della commessa architettonica ed artistica. Solo in questo più largo scenario sicomprende la nozione di transizionalità così temporale che spaziale delle Marche; e siafferrano anche le prime considerazioni, più tentative ed ipotetiche che altro, di quellenostre ricerche iniziali.

"Orazio, nel 1621, dopo aver lasciato Fabriano e le Marche, quasi ultimo omaggio alla ormailontana giovinezza, in modi tuttavia di splendida, aristocratica elezione naturalistica,eseguirà la Annunciazione della Sabauda di Torino, dov'è proprio il Boscoli del dipintofabrianese del Monastero di San Luca a rinverdire la fronda della più antica naturalezzafiorentina. Egli ha rinvenuto in questa solitaria provincia, nel suo sereno soggiorno - poichétale lo vogliamo immaginare le due componenti più care della sua carriera poetica pre-caravaggesca: Andrea Lilli, un ben alto ricordo delle amicizie contratte nel cantiere di SantaMaria Maggiore; Andrea Boscoli, parallelamente, a suffragio dei moventi luministici distudiata, pacata verità descrittiva destinati a durare nella storia della pittura europea.

Tutto ciò, com'è naturale, dovrà meglio intendersi sulla base dell'esame diretto delle opere,cercando di risolvere nel contempo alcuni problemi specifici e collaterali che, nei casisingoli, si sono presentati. Basterà accennare alla migliore sistemazione cronologicadell'intera produzione marchigiana del Gentileschi, in relazione ad ulteriori ricerche dacondurre negli archivi delle città marchigiane. Infatti, una parte non banale dell'attività deipittori marchigiani dei quali cerchiamo di connettere una prima mappa di orientamento, stariposta nella loro sveglia capacità di intervento sui grandi problemi tra manierismo ebarocco. Si tratta di una tempestività che va a merito anche dell'opera del giovane Guerrieri,in molti modi tuttavia legato al Gentileschi e ai suoi movimenti prima in Roma e poi nelle

Page 29: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

in molti modi tuttavia legato al Gentileschi e ai suoi movimenti prima in Roma e poi nelleMarche.

Così, non è più possibile passare sotto silenzio l'opera di un artista che tempo, sfortuna emala conservazione sembravano aver sepolto per sempre nella più completa dimenticanza.Giovan Francesco Guerrieri ha carte in mano sufficienti almeno a riscattare l'oblio in cui eracaduto, e questo è un altro passo sulla via della debita restituzione di una buona vicendadella nostra eterna provincia, che tanto ha tardato a entrare nella storia. Potremo seguirlo, ilGuerrieri, mentre guarda ai fatti più importanti della Roma caravaggesca fra primo e secondodecennio; avverte le indicazioni più consone al suo temperamento del Gentileschimarchigiano; e come, lui partito, riprende la via di quella specie di revisione romantica eprovinciale della riforma caravaggesca, tipica delle aree periferiche.

Una seconda ipotesi, che sembra ormai assumere pieno valore di constatazione, e chegiunge a interessarci anche al di là di interessi meramente locali, è quella che ci porta, conuna serie di utili raffronti stilistici e storici, dall'atmosfera dell'ambiente di cui or oraabbiamo tentato le linee essenziali, alla prima, ignorata formazione di Simone da Pesaro.Proprio da questo problema specifico siamo partiti nella nostra ricerca, con l'intento dirinvenire fra le varie componenti della cultura di Simone, intorno ai primi anni '50, proprioquella traccia costante di natura, quella più trepida naturalezza di accenti che lo faperennemente, costituzionalmente ostico alla 'metafisica' del grande maestro bolognese,Guido Reni: una formula freddamente suggestiva, per Simone, un'aristocrazia insperata.Sogno di un attimo, quasi subito abbandonato, sul '40 per tornare poi, vedi caso, a moduli dipiù appassionata confidenza naturalistica: al gran Lodovico, al Cavedoni, in qualche modo alGuerrino e al primo Cagnaccio Corrono gli anni della sua adolescenza intorno al 1628 eoltre, sono già a Fano i capolavori di Guido Reni, e tuttavia, pur dopo aver assediato Guidonel suo ultimo itinerario, fatto di larve metafisiche, riaffiorano, indomabili, le memorie delGentileschi, del Boscoli e anche del Guerrieri. Mentre il grande, mitico maestro dipinge,Simone s'attarda ad osservare in che modo pene e disillusioni vadano incidendo il suostanco volto; e sulle labbra affilate coglie l'antico, per lui incomprensibile, detto: 'Horiguardato in quella forma che nell'Idea mi son stabilita'. È da questo momento, crediamo,che Simone comprende l'amara realtà che lo costringerà, nel 1648, a morire giovane allievo'sbagliato' di un grande maestro senza più storia terrena".

Il ritorno del Guerrieri

La frequentazione delle chiese, per chi voleva entrare, rivelava tesori. Magari già noti, o solonon divulgati - come gli affreschi di Orazio Gentileschi nella Cattedrale di Fabriano oppurela sua Maddalena penitente nella chiesetta delle Cartiere, un gioiello di acutezza e ditensione ottica, la più alta celebrazione in assoluto del caravaggismo in chiaro. Il vecchioarchivio fotografico Croci, acquisito all'Istituto Supino, esibiva una lastra fra i vetri dispropositato formato, attribuita al Cantarini: ed essa raffigurava una strana e insiemeappassionante Visitazione della Vergine, con tre Santi affacciati alla mensa dell'altare comefossero tre reliquiari, a mezzo busto. In alto, una rurale canefora, rigenerataindiscutibilmente dal Domenichino della cappella Nolfi di Fano, e tuttavia anch'essa tradottain lingua locale, si ergeva contro un largo avvincente paesaggio metaurense. Nessunrapporto con Simone, con la sua già assecondata classicità del cuore, che è una tensione dialta cultura, un empito che segue da vicino l'ellenismo di Guido, la sua ricerca di mediazionefra un presente drammatico ed un passato travestito di atticismo, colmo di meditazioni e diun "antico" immemorabile, e poeticamente raffaellesco.

Il legame quasi connaturato del Guerrieri con Gentileschi doveva avere la sua ragione già aRoma, dove il marchigiano aveva potuto vivere - scriveva nel suo diario autobiografico dopoil 1605 o il 1606, scappato dalle Marche e da quella Pesaro che pure gli aveva messo sotto ilnaso alcune utili esperienze. Il Guerrieri non poté appartenere dunque, per ragione d'età,della schiera dei subappaltanti di Santa Maria Maggiore, ma certo alla morte di Sisto V, e al"tutti a casa" del Lilli, del Fenzoni e degli altri che smobilitarono di fronte al consistentemutamento di gusto del nuovo papato Aldobrandini, egli finì per conoscerli invecchiati e un

Page 30: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

mutamento di gusto del nuovo papato Aldobrandini, egli finì per conoscerli invecchiati e unpo' delusi, e tuttavia indomiti.

Sul finire del primo decennio del Seicento, egli poté quindi assistere ad avvenimenti che -mentre tenevano ormai lontano Caravaggio e infermo Annibale Carracci - vedevano lacrescita soprattutto di Guido Reni e del Domenichino. Il primo non poteva certo amarlo,astratto e lontano com'era nella ricerca della sua musicale perfezione di altri tempi. Ilsecondo, invece, lo avrà certo interessato per via di quell'espressiva minuzia purista che lostesso classicismo ufficiale ravvisava già nella grande parete di San Giorgio Magno, con ilMartirio di Sant'Andrea. Anche se questo può sembrare singolare, la poetica degli affetti edei caratteri - proprio per la reazione didattica che sapeva destare nella vecchierellatramandata nell'apologo famoso dell'Agucchi - finiva per prendere il posto di più immediate,brucianti istantanee del naturalismo. Non c'è dunque da stupirsi se, in anni immediatamentesuccessivi, anche la vena inevitabilmente meticcia del Guerrieri lascerà affiorare, come ho giàdel resto accennato, il sapore dell'inquadratura scenica dello Zampieri.

Che poi questo primo soggiorno romano avesse per il Guerrieri non ancora ventenne il valoredi un apprendistato operante, lo si può ricavare anche - ritengo - dall'esercizio di copia cheegli laggiù venne facendo. Già sappiamo che, nella provincia marchigiana, egli faceva copieda Barocci, nel quadro di quel vero piccolo artigianato così diffuso e anche scorrettamentepraticato, che costrinse il Barocci stesso a restaurare alcuni suoi capolavori, e specialmentela Sepoltura di Cristo di Santa Croce di Senigallia, tra il 1602 e il 1608. Nella cartella dellefotografie di cui Longhi era tanto geloso avevo intravisto una Deposizione di Cristo, copiaevidente dal Caravaggio della Vaticana, che il professore già aveva collocato al nome delGuerrieri e che almeno le circostanze topografiche e di data potevano in effetti restituirgli.

E il quadro si trovava per giunta a Milano, in San Marco! La mia fantasia di critica restituzionetotale andò dall'attribuzione al Guerrieri, fino alla ricostruzione mentale di un "necessario"viaggio del Guerrieri in Lombardia. Questo avrebbe risolto alla radice molti problemi, ericongiunto il Guerrieri a Caravaggio, in un vero viaggio sentimentale. In realtà, il quadroc'era andato lui, a Milano, con le soppressioni rovinose del Beauharnais, agevolate dallescelte smodate di Andrea Appiani (1808-10 ca.) responsabili del più grande terremotoconservativo italiano dell'età moderna. Nel frattempo, strani sottilissimi fili ci conducevanoad individuare nella Pinacoteca di Ferrara una vicina copia, questa volta di Carlo Bononi, eall'incirca delle stesse date. Un'analogia di cammino, nulla di più: ma è singolare, ancora, chele cose più belle della giovinezza del Bononi siano proprio due tele nella cappella del Santoin San Paterniano di Fano (1612 ca.), altro luogo importante della cultura marchigiana. E chesi collocassero, per temperie narrativa, proprio alle spalle della Cappella di San Nicola aSassoferrato, che è del 1614.

Cosa pensare, d'altronde, della ricca e tuttavia piuttosto sensitiva fantasia culturale epittorica del giovane Guerrieri? Collocata sullo scenario che abbiamo appena disegnato, essarivela perfino tratti di una duttilità e di una versatilità che - in altri tempi ed in altre,accademiche scuole - si chiameranno caratteristiche dell'eclettismo. E ovviamente, si tratta diintenderci. Il codice della poetica prima del Guerrieri è attraversato necessariamente daisegni di transizioni imponenti, ma poi è il mondo stesso che si sta facendo policentricoproprio sotto i suoi occhi di cittadino di una piccola comunità metaurense, e che stacambiando pelle anche nell'arte, dopo quello che ha visto a Roma, e dopo le esperienze cheforse avrà comunicato al padre in qualche lettera che nessuno ci ha mai, purtroppo,tramandato.

La poetica concreta di un giovane, toccato dalla grazia del naturalismo drammatico everitiero della Roma caravaggesca nel primo decennio del Seicento, si immerge in una serienaturale di contaminazioni: dove l'antico, che è traccia fisiologica, in un territorio comequello montefeltresco, si tramanda nel nuovo - o addirittura nell'inedito - vestendosenecome per un ritratto comprensibile e chiaro. Di qui nascono, crediamo, le proposte dihistoria e di narratività anche sapiente di cui il Guerrieri è per tanti versi maestro. Ma di quisgorgano anche le adesioni più intime, a cominciare da quella riservata a Orazio Gentileschi,

Page 31: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

sgorgano anche le adesioni più intime, a cominciare da quella riservata a Orazio Gentileschi,che fanno rifluire sull'attualità anche il prestigio del passato, in una nozione di tramando cheaccorpa anche taluni modelli del manierismo, così fitto e frequente, peraltro, da riempirechiese e palazzi d'ogni genere di pittura. Claudio Pizzorusso, un attento lettore dellatraiettoria marchigiana del Gentileschi, ha ricondotto sulla memoria storica del Guerrierianche taluni precedenti narrativi come quelli di Simone de Magistris, dedicati alle storiebenedettine di Fabriano. Personalmente, ritengo che l'immobile intensità sacrale, l'assolutoiperboreo della Crocifissione con i dolenti di Gentileschi, a Fabriano stessa, sia una viventememoria del passato tridentino. Quanto al Guerrieri, la presenza in lui, e in quella suacostruzione liturgica didattica e persuasiva, di elementi tratti dal Pulzone e anche dalValeriano, va in direzione di una efficiente dimostrazione di rettorica non umanistica, nonletteraria o metaforica, quanto piuttosto immediata e perfino banale nella sua medietà.

Il rapporto di Guerrieri col Gentileschi vive tutto, crediamo, entro l'efficace figura del toscanocome mediatore, e rivendicatore di una intera tradizione storica. Nessuno, d'altronde, avevamai potuto esibire così integra, così nitida entro la forma del nuovo linguaggiocaravaggesco, una tradizionalità persistente, acuta, indeformabile. In Gentileschi si potevanoleggere molte condizioni dell'arte del Cinquecento, poste quasi nella più esemplaretrasparenza pur nel vortice della nuova rivoluzione. Quale condizione migliore per ungiovane provinciale? La sua adesione al Gentileschi è discontinua nella forma, ma costantenell'atteggiamento. A Gentileschi il nostro riserva un posto magistrale, risolutivo, ma non nesegue la tempestività di stile e di cronologia. Si tratta insomma, per lui, di un modello manon di un maestro. E il confronto lo fa sentire bene.

Del resto, proprio la Maddalena orante che si trovava ancora in casa Cappellani aFossombrone, e che portava la data ostentata e orgogliosa del 1611 (una specie di tirociniodel Guerrieri che dichiara di aver ventidue anni), mostrava d'essere il classico risultato di unesercizio di contrabbando della incomparabile Maddalena che Orazio Gentileschi avevaeseguito per la chiesetta della Maddalena a Fabriano, la cui datazione proprio il gestodeferente del fossombronese rendeva finalmente possibile anticipare a quell'anno stesso, oal precedente. Più che di un esercizio sul naturalismo, Guerrieri ci consegnò un exploit unpo' muscolare e un po' manierista, che fa delle diafane ombrìe dell'originale, di queisemitoni gettati dai capelli disciolti sulle spalle, dei simboli stessi della solitudine e dellapenitenza abbandonati sul terreno, tanti motivi un po' affaticati da un pennello che, peressere naturale, non trova di meglio che gravare tocco e materia. E poiché si tratta, da questianni fino alla morte, d'una materia oleosa che "rientra", si ossida, scurisce, sulla pelle di telee di preparazioni polverose, povere, il risultato nel tempo è destinato ad aggravarsi. E incide,naturalmente, anche sulla leggibilità oggi, già resa un po' pericolante dal doppio livello dellaproduzione, comprensibile in un artista, che vive in una provincia di economiamodestamente agricola.

Narrazione storica e natura morta

Nel corso di quelle prime ricerche, incappai - nello studio di un notaio urbinate, fra cartoffiee lampadine da 30 candelein una Natura morta che mi venne anche troppo istintivo di riferirealla mano del Guerrieri e a quelle date. Innegabile la commozione di vedervi riprodotta labottiglia e la trasparenza amatissima tratta da Caravaggio, un tempo di posa semplice eanche un po' banale, come sofferta da un lontano ammiratore, piuttosto che studiosamenteosservato. Allora, l'entusiasmo mi tradì facendomi scrivere di una copia tratta da una"scomparsa natura morta di Caravaggio". In realtà, l'apparato della "natura in posa" èdecisamente popolare. L'attribuzione al Guerrieri ha avuto però il suo seguito, forseaddirittura eccessivamente fiducioso, e ha convinto - strada facendo - un mio valorosoamico bolognese ad acquistare tanti anni fa, a Pergola, una seconda Natura morta che forseavrebbe potuto coltivare relazioni con la prima, oggi nella Collezione Molinari Pradelli. Piùtardi, da Spoleto - dietro suggerimento di Bruno Toscano era il professor Pompilj checollegava al gruppetto così formatosi altre due belle Nature morte, di cui oggi si può dareillustrazione. Forse il gruppetto, al quale sono state accostate da Luigi Salerno ancora due

Page 32: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

illustrazione. Forse il gruppetto, al quale sono state accostate da Luigi Salerno ancora dueNature morte, non brilla sempre per omogeneità e occorre riprenderne l'esame, tanto più cheuna di queste due ultime è siglata: "fg 1620". Ma si deve ricordare anche che l'opera delGuerrieri, soprattutto in questi anni iniziali, è fortemente discontinua; e che il ductus, lapennellata segnalano corsività e incertezze anche di vasta escursione. Naturalmente, perl'intero gruppo è sempre la Maddalena di casa Cappellani a dettar legge, con la suaorganizzazione dello spazio un po' semplicistica, e gli oggetti in posa che non hanno nullada dire -in quanto evento visivo -ma sembrano assoggettarsi al pennello un po' arido efaticoso. Una bella natura morta, molto più evoIuta, sarà quella destinata ad apparire sottol'autorevole e personale Santa Rita della chiesa di Sant'Agata a Fossombrone, un piccolocapolavoro dove però il nuovo soggiorno romano, molto scaltrito intellettualmente nei lavoridecorativi di Palazzo Borghese a Campomarzio, porta sotto i nostri occhi il Borgianni diSezze Romano: quanto a dire, gli ocra, i bianchi, le terre bruciate più belle e "spagnole" delcaravaggismo, dopo la morte del Caravaggio.

Su un tema come questo, le novità non sono state molte in questi decenni. Il gruppettocentrale (Molinari Pradelli-Pompilj) è ancora ravvisabile in quel quadro un po' letterario nelquale ci sembrava giusto descriverlo nel 1958.

"Si tratta di recuperare l'aspetto intimo della scarsa sensibilità del giovane di fronteall'evento misterioso e moderno espresso da una composizione di natura morta, quasinell'incapacità sintomatica di poter intraprendere la silente descrizione di un mondo dovetono, passaggio, sfumatura e infine 'valore' siano i soli invisibili gesti con cui s'esprime una'historia' narrata per poetiche analogie. Meglio vi riuscirà, è vero, rapportando vasti brani dinatura morta alla più grande stesura di una 'historia' di uomini: qui lo aiuta, oltre tutto, illungo tirocinio d'una tradizione manieristica, da tempo adusa ad assegnare a simili decoroseinvenzioni un posto, una luce ed un tono subordinati e aggiunti.

Intorno al 1620 il Mancini, nel descrivere le 'Classi' o 'Scole' in che egli veniva dividendo gliartisti del tempo, nel muovere forse per la prima volta alla 'Classe' dei caravaggeschi ilcanonico appunto della carenza di 'Historia', veniva a riflettere in parole quello che fu untipico tratto della cultura riformata subito dopo la morte del Caravaggio, e che non mancòcerto di agitarsi in polemiche vive e serrate, prima di passare a infrigidire nelle accademiedel Bellori: '...nella composition dell'Historia, et esplicar affetto prendendo questodall'Immaginatione e non dall'osservanza della cosa per ritrar il vero che tengon sempreavanti non mi par che vi vaglino essendo Imposibil di metter in una stanza una moltitudined'huomini che rappresentin l'Historia con quel lume d'una finestra sola, et haver un che rida, ò che pianga ò faccia atto di camminare e stia fermo per lasciarsi copiare e così poi le lorofigure ancorché habbin forza mancano di moto di affetti e di gratia...'. Un lustro e più avantile dichiarazioni del Mancini, il Guerrieri a Sassoferrato sembra preoccuparsi, con curiosaassonanza, di dar corpo alle revisioni che sul caravaggismo si venivano operando. Ognunoriconoscerà, credo, in questa singolare 'Historia' di come una canna, fra l'ammirazione deipresenti, può gettar acqua, proprio una attenzione rivolta ad ampliare la misura esterna e finla partecipazione quantitativa delle 'persone' in un dialogo fino a quel momento univoco, alquale dovevan soccorrere moderne e capitali qualità di pittura; restando tuttavia nei terminidi una limpida oggettività del frammento, condotto 'sur le motif', pur nel contesto di unalegatura che palesemente mostra di rifarsi ad antichi, e sempre attuali fra i riformati, modellitoscani".

Un modo per cominciare

Ma da dove incominciare per dipanare la matassa dell'opera intera del Guerrieri, e dovecercare un bandolo da cui prendersi per riconoscibile discendenza di stile e di commessa,fino a tentarne una plausibile ricostruzione? Il tema veniva affrontato da Federico Zeri, e conquella preveggenza che, pur contraddetta più tardi dalle sue stesse diverse convinzioni, ha ilmerito di tracciare una via di metodo. Infatti nel suo catalogo della Galleria Spada, che è del1954, egli affida va in ipotesi alla mano del giovane ventenne Guerrieri in Roma, sia la bellaMadonna col Bambino della Galleria Spada stessa, che - pur ad una data più matura - la

Page 33: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

Madonna col Bambino della Galleria Spada stessa, che - pur ad una data più matura - laversione della Galleria Pitti di Firenze. A distanza di tanti anni, bisogna sottolineare che ledue suggestioni, per quanto sottoposte ad un notevole fuoco di fila, hanno resistitoabbastanza. La versione della Spada, accostata più volte a Caroselli, continua a nutrire ricordivicini del manierismo: ricordi che possono seguitare a darci un'ipotesi almeno allusiva diquale fosse il temperamento del Guerrieri intorno al 1608-9. Quanto alla versione Palatina diFirenze, che proveniva da un'attribuzione all'ambito di Artemisia Gentileschi (Longhi 1943),essa fu abbracciata con particolare e maggiore affetto poiché in essa si poteva scorgere -devo confessarlo - un profilo inferiore, una inflessione più corposa e popolaresca, unamaneggio di materia più terrosa e pratica. Certo, sostenere ancora la paternità del Guerrierinon è facile, ma tra i nuovi nomi volenterosi convocati allo scopo ha finito per imporsi dinuovo quello più tradizionale e sperimentato, e cioè il nome di Artemisia Gentileschi. Sitratta di una riacquisizione preziosa, proposta anche da Roberto Contini e da Gianni Papi,due giovani che molto dibattito e opportune inchieste hanno rivolto a questi problemi.

Ma io amavo la Vergine col Bambino di Pitti, e l'amavo anche più di quella romana dellaSpada, perché mi ero in realtà invaghito della fisionomia di un "pittore contadino". Tanto valerivelarlo del tutto: perfino una certa grossolanità del Guerrieri, quando lavorava in casapropria e per parroci poveri, forniva pale d'altare e di devozione ai contadini di Mercatello,dell'Acqualagna o delle rive del Metauro; un certo tono di trasandata preoccupazione tesa alritratto, alle vesti di povera taglia, ai dettagli della vita circostante; e quelle apparizioni dipaesaggio riconoscibile, dove il campanile o la torre civica prendevano il posto che nei secoliandati era stato degli archetipi patronali; tutto questo mi gettava nella perfetta convinzioneche il "pittore contadino" desse così il maggior compimento possibile e previsto ad unnaturalismo annunciato, fin da quando, ritornato nella campagna da una Roma ormaiattraversata da altri spiriti per lo più monumentali e decorativi, il Guerrieri aveva insommadeciso di ritirarsi nella povera, abbandonata patria roveresca. Sulla quale tirava ormai tetro ilvento della devoluzione alla Chiesa.

Questa interpretazione non era però soltanto fantasiosa e "oratoriana". In effetti il registrodel nostro pittore era doppio - per non dire ancor di più: disinvolto a seconda dell'economiadella committenza - tuttavia appariva soprattutto votato a una convinzione giovanile,acquisita nella stagione romana, e a dire di se stesso, con la propria pittura, una presenzache puntava alla moralità naturale, all'efficacia evangelica del "riconoscibile". Era insommacome se il caravaggismo, cacciato ormai da Roma, affrontasse la sua diaspora povera edemarginata.

Se il Guerrieri fu, come si diceva un tempo, un petit-maître, ciò avvenne soltanto nel sensodell'isolamento in cui egli talora fu costretto a calarsi, pur seguitando a dare di sé segnali diqualità forse alterni ma sempre interessanti. Ma questa caratteristica non invade la quantitàdella sua produzione; ché anzi egli fu, sotto questo profilo, intensamente efficiente, taloraanche piuttosto concessivo, soprattutto nel lento, gravoso scorrere degli anni. La suabottega, se pure esistette, non gli permise grandi aiuti, oltre a quello davvero poco più cheaffettivo della figlia Camilla.

Il pittore delle parrocchie

È noto come il fenomeno del naturalismo caravaggesco, dilatato alle diverse personalità deisuoi primi allievi, a cominciare dal Gentileschi dal Saraceni e dal Borgianni, investìspecialmente l'Europa precocemente borghese e commerciale del Paesi Bassi, nonché laFrancia e la Spagna. In Italia non è piccolo il numero degli artisti che, dimissionati dal rapidomutamento di gusto della capitale, affrontano il ritorno alla patria d'origine, alla lontanaprovincia, come il Musso in Piemonte, oppure Tanzio da Varallo; e poi il Manzoni inRomagna e il Riminaldi pisano. Fra Marche e Romagna, il Guerrieri - sempre sospintodall'avvenuto passaggio del Gentileschi (Fabriano, Ancona) - istituisce di fatto un clima chepoi vedremo crescere anche nel Pandolfi a Pesaro, toccare la bella attività più matura diClaudio Ridolfi, e risuonare nella prima formazione dei riminesi Centino e Cagnacci, e anchedel cesenate Serra, e poi collocarsi in un vano di memoria lontana, forse un po' ingenua, ma

Page 34: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

del cesenate Serra, e poi collocarsi in un vano di memoria lontana, forse un po' ingenua, mafondatamente esistenziale, quale alimentò la giovinezza di Simone Cantarini. Lentamente, lasua inflessione sempre più dialettale invade anche la più diretta, immediata provinciaurbinate, là dove il linguaggio cortese, la sublime agghindatura baroccesca sembravareggere, lei sola, l'araldica cortese ormai in dissoluzione. Ma ciò avvenne, ch'io sappia,soltanto intorno alla metà del Seicento, dopo vent'anni almeno che Urbano VIII s'eraimpossessato del Granducato, sradicandone ogni orma di antica indipendenza.

Dagli scritti fondamentali di Jedin dedicati alla "riforma" cattolica, la critica d'arte e la suastoria hanno tratto vantaggio specialmente su di un fronte, che è quello della migliorcomprensione - almeno quanto a volontà - delle dinamiche interne alle grandi, e talorameno grandi, partizioni diocesane quando non addirittura vicariali e parrocchiali. Non è ilcaso di tornare qui a rimuovere il problema che oscilla tra Riforma e Controriforma,rinviandolo semmai alle pagine fondamentali di Paolo Prodi (1962) e a quelle riepilogative diMaria Calì (1980), nelle quali ultime il grande tema viene assai bene messo a nudo. Sivorrebbe qui proporre un'attenzione migliore a riguardo, almeno, di quel nucleointensamente presente e come fuoco liturgico e come istituzione amministrativa, che fu laparrocchia nell'ordito territoriale italiano. È evidente che occorrono grandi strumenti perun'indagine circa i modi e i flussi di una commessa polverizzata qual è stata quellapromossa e condotta dai parroci, dentro una capacità gestionale che non raggiungeovviamente quella dei grandi abati del medioevo. Nell'età tridentina, tuttavia, non manca dipresentarsi spesso come connessa e legata alle istanze delle confraternite e delle comunità,queste frequentemente in grado anche di esprimere una loro volontà che giunge fino alnome dell'artista oltre che fino al dettato liturgico e iconografico desiderato.

La dilatazione dell'opera pittorica del Guerrieri avverrà, prevalentemente, proprio nelle chieseparrocchiali comprese tra Foglia e Metauro, distendendosi anche sull'alto, profondoMontefeltro montano ed occupando, ai margini, posizioni solide verso la Romagna e verso laMarca di Ancona. Si tratta di un invaso dove già il repertorio del Vernarecci aveva suggeritostrade possibili e dove l'ottima organizzazione di lavoro indirizzata a strutturare questostesso libro, guidata e condotta da Franco Battistelli, ha scavato una vera e propria geografiaminore della commessa e della messa in opera di pale d'altare e di dipinti in genere delGuerrieri fossombronese, per la loro gran parte dopo il 1618 e fino alla fine della sua vita(1657), senza affatto venir meno a quella specie di abbrivio che, anzi, la sua attività megliosopporta proprio con il crescere degli anni.

Probabilmente, il disegno di una stratigrafia topografica della committenza potrebbeilluminare molti problemi che, di norma, vengono rinviati ad altra futura occasione. Certo, ilcaso del Guerrieri dovrebbe poi essere paragonato all'intera dinamica dei flussi di commessache, per tutto il primo Seicento, invadono le sedi chiesastiche e specialmente le parrocchie,in rapporto anche alla grande età delle canonizzazioni post-tridentine e all'emanazione dellenorme, ovvero strategie di immagine, che in quei decenni vengono colmando il nostro spaziovisivo e devozionale. Tra tutti, per citare il più corposo in Guerrieri stesso, emerge il caso diSan Carlo Borromeo, per giunta caratterizzato da connotazioni fisionomiche precise; ma èpoi tutta la sequenza dei Santi patroni riconfermati, dei Santi mendicanti rafforzati, dei Santicuratori o taumaturghi di nuovo identificati, che dobbiamo immaginare in movimento versola devozione pubblica, verso i modelli ribaditi politicamente e ideologicamente della bibliapauperum. Guerrieri è pittore di parrocchia non solo perché la committenza prevalente nellasua età storica ed economica è appunto quella: ma perché, per converso, parrocchiale e cioèintensamente didattico, senza bisogno di ricorrere alla persuasione come strumento, è il suocodice espressivo. A cominciare dalla particolare ingegneria liturgica che, con gli anni,presiede alla formulazione degli spazi e dei rapporti di immagine, arricchendosispecialmente con i potenti contatti con l'arte bolognese; per finire con lo specificolinguaggio espressivo, nato a Roma e contaminato giorno dietro giorno con un senso direttodella realtà, paragonato in modo crescente con i diversi modelli che la piattaformamarchigiana era in grado di sottoporgli, dal Boscoli al Ridolfi; in Guerrieri si avvertepressoché esclusiva la formulazione di un prodotto artistico del tutto impegnato sul fronte di

Page 35: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

pressoché esclusiva la formulazione di un prodotto artistico del tutto impegnato sul fronte diquella società immobile che sta tra città e campagna, anzi tra campagna e città. In altritempi, un forte accento letterario e populista ci sembrava descrivere evocativamente questoproblema:

"Non è raro che lo studioso, vagando per quella ideale provincia che s'allinea sotto il brulloscoscendere della Strega e del Catria, partendosi da Fabriano e giungendo, dopo avertoccato Sassoferrato, la Pergola e il Furlo, alle terre rosse di Fossombrone, s'imbatta,nell'interno di qualche remota pieve appenninica, in una tela sulla quale gli anni, la polvere ela secolare dimenticanza han fatto tale presa da nascondere, ormai, fin l'oggetto della pietàpubblica. Preci ordinarie, egli sente, biasciate e lente; santi quotidiani, domestici, depostal'aureola, con la buona grazia di tutti i giorni dell'anno, vengono volentieri incontro a tanteafflizioni familiari: un corredo già consunto e liso dai debiti, un bambino che non cresce; auna puerpera è 'rientrato' il latte.

Il sole continua a nutrire, di fuori, un paesaggio devoto al Creatore, dove una fissità antica hariempito gli occhi a Piero e a Raffaello.

Questa terra è un brano della 'Marca'; quell'ignoto dipinto è di Giovan Francesco Guerrieri daFossombrone [...] mai umana vicenda s'è tanto strettamente allacciata con le intenzioni diuna pittura. Non un aggettivo, quotidiano e ricorrente, che non sia passato con la stessainclinazione sentimentale con che venne usato nella vita, alla sostanza della realizzazionepittorica. Che è come parlare di una sincerità visiva, libera da strutture intellettuali, che nonsorprende la semplice, realistica attesa dei committenti.

Pratica quotidiana, talora artigianale; condotta pittorica di incastro rude e scarsamentecedevole, con quello che di serenamente, civilmente assettato questi stessi aggettivicontengono. Una civiltà memore, decorosa e devota. L'attenzione potrà talvolta far luogo alladiligenza, la cultura all'informazione; mai tuttavia l'obiettività, anche se scioltadiscorsivamente, alla fantasia di 'maniera'. Ad ogni parroco, che chieda miracoli da mostrareai poveracci, verrà corrisposto quel tanto di realtà che l'intenzione dello stesso committentecomporta, confidente narrazione di una riconoscibile 'historia', dove 1'azione cresca suoiritmi secondo doveri e regole della nuova cultura delle missioni borromeiane; o addirittura,eludendo queste ultime come le accademie polverose, trovi rifugio nel particolare, fino arinvenirne quel tempo di posa denso di eventi spirituali che commenta dall'interno il viveredegli oggetti, delle cose di tutti i giorni".

Una evocazione di questo genere, al limite dell'elzeviro, che non era ancora passato dimoda, raffigura bene, in ogni caso, la necessità di indagare il pittore "parrocchiale" calatonella densità dei rapporti dovuti con la comunità e con le istituzioni che a questa per tantidiretti e immediati versi presiedevano. Di qui transita potentemente quel gusto culturale, cheoscilla tra la forza della riforma naturalistica e il più quotidiano costume d'espressione ed'arte, e che si dilata dopo la fine delle avanguardie romane, dopo il 1610, entro la venaturafitta e capillare della chiesa minore.

Le storie di San Nicola del 1614

Un punto d'arrivo nel costante progresso di questa via alla "metodica" naturalistica è di certorappresentato dalle due tele che decorano la cappella di San Nicola da Tolentino nella chiesadi Santa Maria del Ponte del Piano a Sassoferrato. Commissionate da Vittorio Merolli, medicodi Paolo V Borghese, esse sono citate anche nel "diario" del Guerrieri di cui - com'è noto - fauso il preciso Vernarecci: "mi fu pagata [la cappella] scudi quattrocento di pavoli e tutte lespese di colori come del vitto per me et un servitore". La prima tela, quella che raffigura IlMiracolo della canna, è più esplicita: alla firma estesamente riferita, si aggiunge l'anno divita, il ventiseiesimo dell'artista, e la data 1614. Fin da quando - per la prima volta - ebbioccasione di osservare da vicino le tele, un tempo assai mal ridotte, oggi invece restaurate,ebbi la sensazione che il Miracolo della canna ripetesse suggestioni dirette da quelSant'Isidoro del Caravaggio che stava un tempo in San Filippo ad Ascoli, e che, disperso, ci ènoto solo da una copia (Longhi 1943).

Page 36: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

noto solo da una copia (Longhi 1943).

I due dipinti, così interessanti quanto ad assetto compositivo, adottano una versione inqualche modo classicizzata, o almeno staticizzata, del naturalismo. Probabilmente, come si èricordato, preme su di loro la recente impresa del Domenichino a Grottaferrata, quella stessacuriosa espressività di gesti, di attenzioni di allusioni ben orientate e finalizzate. Enorme è ladistanza, ad esempio, che separa questo modo di vedere e di raffigurare dall'altro modo, cheè un vero e proprio "vuoto di eventi" che grava sulle narrazioni romane di Guido Reni, l'astrodel momento: una specie di surplace, dal quale nasce una musicalità lievemente trascinata einsieme sublime. Qui, nelle due tele di Sassoferrato, anche il palcoscenico, che non è mai ilcavallo di battaglia del Guerrieri, è volutamente attento, animato, prospetticamente solido. Ilgruppo degli astanti al Miracolo della canna, fra i quali appare il Merolli - probabilmentel'amico marchigiano che tiene i contatti con la famiglia Borghese - è un brano, a suo modo,di antologia del ritrattismo "povero" e intenzionale del Seicento. La verità che vi affiora èquasi lombarda, la presa "diretta" sulle fisionomie sorprendente. Colui che guarda glispettatori, un bruno olivastro con pizzetto e la trasparente età di venticinque anni, è certo ilGuerrieri stesso. Per quanto ridotta a una funzionalità povera, nella materia, questo dipintointreccia precisioni psicologiche mirabili e individue, muovendo - si direbbe - la suamentalità evangelica e piana con un agio adattato ai luoghi della committenza, e alla culturadi questi luoghi. Non è vasta, ad esempio, la tavolozza del Guerrieri, si muove per lo più nelgiro breve delle terre, degli ocra, dei verdi interi, con qualche cinabro che affiora - a questedate specialmente - con la parsimonia dei poveri. Su questa trama un po' polverosa, ilcorpo, lo spessore del colore, campeggiano espressivamente, il pennello evidenzia il suoripetersi e sovrapporsi. Il chiaroscuro, che è assai tinto, assorbe molta della luce circostante,e così facendo crea nella solitudine rurale degli altari una gora d'ombra dalla qualeemergono volti giudiziosi, atteggiamenti devoti, e anche decise espressioni, fierezze di unasocietà che il neofeudalesimo ha precipitato fra rigorismo cattolico e violenza sociale.

Una vecchia lettura sul posto

"Forse non riusciremo mai a risarcire una sola opera del Guerrieri, e tanto meno queste diSassoferrato, dai guasti e dalle alterazioni del tempo. Già il buon canonico Vernareccilamentava l'abuso delle miscele oleose, sensibili agli anni. Ma è proprio nell'adozione di unaparticolare dimensione dell'ombreggiatura, o meglio dello 'scuro', che par di intravederenell'artista provinciale l'aspirazione, purtroppo frustrata, ad un effetto della macchia di tipogentileschiano, per il tramite cioè di quelle gradazioni della macchia che sono i 'valori'. Laopalina, silente ombreggiatura gentileschiana, traspirante come un domestico interno chericeva luce da alberature primaverili, viene alterata dal tempo nel suo portato più nuovo,quello stesso che il Marchese Giustiniani farà legge sul '30, raccomandando che 'i sudici nonsieno crudi, ma farli con dolcezza ed unione; distinte però le parti oscure, e le illuminate, inmodo che l'occhio resti soddisfatto dell'unione del chiaro e scuro senza alterazione delproprio colore, e senza pregiudicare allo spirito che si deve alla pittura...'.

Al modo che parrà 'Impossibil' al Mancini - ma non più tuttavia nella cruda oscurità dellastanza caravaggesca - qui ci si industria di cogliere, con qualche eloquenza esteriore, ilgesto del personaggio che accetta, con una sorta di fresca e antica ingenuità, di star fermoproprio 'per lasciarsi copiare'. Forse è lo stesso Vittorio Merolli, con tutti gli eredi, presenti alpaese per la villeggiatura estiva, sgusciati giù dalla porta (e gli ultimi non han ben compresoancora di che si tratta), che decise di rompere il cerchio di quelle discussioni sempre piùoziose, col progredire degli anni, per mostrare finalmente 'un che rida, ò che pianga ò facciaatto di camminare' nel contesto di un'opera che dal caravaggismo tragga, nel temperamento,forza nuova, verso una 'naturale' dimensione del riproducibile.

Lo stesso paesaggio, al di là dell'alta balconata, pur dipartendosi dalle tiepide molecole,misteriose e ronzanti come un evento stagionale, di che il verde si copre nelle boscaglie diElsheimer e Gentileschi, nella foga di una scrittura più corsiva, punta tuttavia verso un toccopiù 'gluant' che non avvenga nelle contemporanee redazioni riformate che del toccocaravaggesco danno i settatori provinciali; curando quasi, negli slungati filamenti che il

Page 37: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

caravaggesco danno i settatori provinciali; curando quasi, negli slungati filamenti che ilpennello distende scendendo dall'alto verso il basso, che il bianco astringa potenziale diluce, raggrumando al vertice degli scrimoli teneri delle valli. Come, cioè, s'accentua intornoagli stessi anni nella pittura del Saraceni l'aprire verso una rapida intuizione a carpire, comegià disse Roberto Longhi, il moto 'per carattere'; non senza che si renda opportuna anche lacitazione di quelle interpretazioni che del paesaggio i bolognesi diedero a Roma,consegnando prototipi alla storia del classicismo.

'Ben ideate le composizioni - scrisse il Vernarecci, alludendo quasi certamente a queste teledi Sassoferrato - le figure ben poste, mai affollate... Il disegno poi sempre, o quasi sempre,in cima al pensiero'. E mi par fin lecito, pur sotto l'usualità di questa terminologiaaccademica, rinvenire un atto critico, intuitivo della disformità fra la serrata interezza delsegno caravaggesco, e la rilassatezza di quello, spesso obliato o sottoposto allesopraffazioni di maniera, in uso presso la pittura accademica.

E infine l'acuta, metallica seduzione di quella natura morta, ci invita per un attimo ariconsiderare i problemi insiti nei rapporti tra forma e colore, fra segno e 'valore', così comesi vengono configurando nella pittura destinata ad emigrare nei Paesi Bassi. Quellaflemmatica cadenza lineare, fin troppo attenta a disegnarsi sul ruvido ammattonato;quell'ombreggiatura lunettata tutt'attorno con la trasparenza di una polvere di alluminio,ripetono con qualche altezza di risultati poetici le più moderne intenzioni di OrazioGentileschi, sia pure accettando un posto, un vano ed una gerarchia assegnate loro dallatradizione, e non creato ex nihilo dalla nuova visione naturalistica, nel contesto dellanarrazione come 'Historia'. Credo sia facile, ora, intendere come nella cultura dei primiriformati e specialmente in questo precoce isolamento provinciale del Guerrieri, potesserofare la loro sortita mire ed immagini di un metodo particolare. Come una fede saldamenteacquisita, la gravida eredità del caravaggismo, pur se stemperata nelle tradizioni figurativeregionali, vien conducendo per mano l'artista alla consultazione naturalistica del particolare,mentre il problema della connessione d'insieme resta più spesso affidato alla capacità dimemoria storica, prossima o remota, che egli mostra, volta a volta, di saper possedere einterpretare. Da tale iniziale nucleo di diligenza obiettiva si dipartono problemi nuovi, cheforse la carica umanamente profonda del Caravaggio rendeva, così come da lui risolti,inimitabili. È soltanto con l'adozione di metodi di assonanza storica, quasi di tecnicasperimentale, che progressivamente tali problemi verranno chiariti e talora elusi. Escogitandocioè per la prima volta, dopo il rapido fluire degli eventi del primo decennio, una palesemetodica naturalistica che, variando il tema ed il legamento d'insieme, si prende tuttavia daun iniziale nucleo di osservazione del naturale, la più salda asserzione diquell'insegnamento.

Chi ci saprà ridire in parole la trepida certezza con cui gli oggetti tornano, in questa primaaccademia rozza e romantica, a scoprirsi alla luce? Chi l'impaccio delizioso della materia,così organicamente visibile e definita, quando serra negli incastri rudi e artigianali un attimodi riconquistata verità visiva, insieme alle scorie di un insegnamento tradizionale che stenta amorire? Ogni sorta di tramite allora par buono alla fabulazione che il sentimento, più chel'intelletto, inizia. Del lussuoso pretesto inventato dal Gentileschi per far sì che il pennellovenga indugiando quanto più possibile a descrivere la luce discreta e rada, e in diacciasuperficie e in tenera penombra, si fan mille variazioni, scovando fin in soffitta i più ornatiabiti di casa, le collane da fiera e i pizzi campagnoli di rozzo cotone. Dell'aprire del tocco, edell'allargare della composizione, che fa il Saraceni sul secondo decennio, si traggono spuntisempre buoni per una pennellata colata con delizia lunga e filata, nel gusto un po' gessosodell'à plat cromatico, entro lo stampo della forma rinserrata. Delle ombre portate che dansenso di certezza a questa umanità, alla quale il lume universale aveva già tolto ognipensiero di esistenziale concretezza, come una giornata di pallido sollustro, si giunge aproiettare ombra fin sulle nubi posticce che fan da trono di cartapesta alle giovani vergini.

Questa è una storia affidata, quanto mai altra, alla freschezza dei sensi: e non occorremortificarla con una valutazione che in altri tempi si sarebbe imposta, scorrendo tutti i gradidi una positivistica persuasione, oziosamente eclettica. Ma piuttosto comprendere

Page 38: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

di una positivistica persuasione, oziosamente eclettica. Ma piuttosto comprenderel'appassionato tentativo di tornare a far coincidere tempi nuovi e storia remota, nel gusto diuna rievocazione romantica e quasi romanzesca della vera storia dei primi anni della nuovaintuizione figurativa.

La diafana e vitrea immagine degli stupendi affreschi della Cappella del Crocifisso inFabriano, il punto più alto raggiunto dall'artista sulla strada dei 'valori', nella quale s'eraspecchiata tanta storia nata e presto dimenticata nella fretta degli anni carichi di vicende,aveva lasciato luogo, come a riscuotersi dopo un silente dramma, alle grandi teleborromeiane e 'borghesi', delle quali è espressione massima il quadro di Brera. Unainterpretazione dell'intervento superno, del gesto di fede, che a furia di voler narrare l'ora, illuogo e la luce, finisce in una sorta di rappresentazione senza misteri, con un fiduciosopossesso della realtà che non ha luogo in una fede di dubbi e rivelazioni, ma piuttostodiscopre il primo accestire di una mente profondamente 'protestante'.

È assai probabile, nonostante quell'altera interpretazione, che a questi dipinti potesse piùfacilmente rivolgersi l'attenzione del Guerrieri, dopo il secondo soggiorno romano; poiché inessi si veniva ricomponendo un tipo di pala chiesastica di dignitose proporzioni e di direttricitradizionali; e fors'anche perché, dopo il bellissimo exploit della Madonna Rosei e degliaffreschi del Crocifisso, il Gentileschi pare ricordarsi, soprattutto nella Cappella di San Carloin San Benedetto, di qualche tratto di recente pittura romana, quale particolarmente s'eraschierata in Roma, intorno al '14, nella chiesa di Sant'Adriano, e ad opera soprattutto diOrazio Borgianni. Nulla più, s'intende, che un lontano ricordo, una allusione spesso soltantoinventiva; e sovente più viva nelle parti che si son sempre ritenute di collaborazione; ma queltanto che basta per tornare a tiro della serrata poetica del Guerrieri, attraverso la simpatia dimaterie meno elette, e non nei gesti silenziosi e abbreviati di una pittura senza tempo; perquella carica più organica della superficie cromatica, ed un tocco più romanzesco che nonfossero quelle larve soffiate via dal tempo come per l'appannarsi di un cristallo al fiato. Suquesti più corporei elementi poteva con antico agio tornare a industriarsi l'univoca vocazionedel Guerrieri, salito al rango di accolito dalla gavetta, affezionato alla vita eroica dei tempipiù difficili, patito della 'resistenza' contro le pallide insegne del manierismo nazionale,eternamente 'protestante' contro le fortunate divulgazioni, le inutili sperperazioni deisentimenti della pittura chiesastica controriformistica.

Tali, a nostro parere, le conseguenze non scarse di quella civiltà che, movendo dall'ambitocaravaggesco e riformato, per la vicenda marchigiana di Orazio Gentileschi, mise salde radicinella regione. Piccola civiltà, per buona parte affidata all'ultima fortuna della borghesialocale, prima che la devoluzione del Ducato alla Chiesa doni nuovi orientamenti alle relazionie al commercio, facendo di questa provincia una plaga appartata e intristita, viva soltantonelle nuove cittadine costiere. Con gli ultimi anni del terzo decennio, in una col cadere delleultime speranze di indipendenza, è un inerte precipitare di care tradizioni, una malinconicasera, un triste rezzo. Gli scrittori tramandano che accompagnasse quegli anni la diffusauggia d'un cielo eternamente chiuso e piovoso. Sono, si sa, tempi terribili per tutta Italia: e leparole del buon canonico Vernarecci ci accompagnano, nel ricordo, quasi con un delicatosentimento manzoniano".

Intelligenza e duttilità dell'artista

Sono questi gli anni più forti e sorprendenti del Guerrieri. Nella stessa chiesa di Sassoferrato,un anno dopo, egli dipinge anche la pala della famiglia Volponi, dedicata alla ritrovataliturgia della 'cintura', il soccorso che la Vergine porge a Santa Monica e al figlio suo,Agostino d'Ippona. Si tratta - nel 1615 - di un dipinto esemplare nel quadro generale delnaturalismo italiano. La composizione, che si impianta su di un paesaggio familiare equotidiano, non esibisce che la severa presenza dei Santi e dei donatori, agevolmentecoinvolti in questo essere "insieme" che dona fiduciosità ed emana certezza. La strutturapittorica è basata sui bruni e sulle terre rossastre; il senso del ritratto (penso alla giovanedonna che tutti i giorni si osserva, tra i frequentatori della messa del mattino) è anche inquesto caso psicologicamente forte, tranquillo, di una domestica vicinanza, di un affetto

Page 39: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

questo caso psicologicamente forte, tranquillo, di una domestica vicinanza, di un affettoaccostabile e umanissimo. A fronte di dipinti come questo, collocato nel pieno silenzio diuna chiesa contadina, è stato quasi necessario -in anni ormai lontani (quando il fervore deglistudi era tutt'uno con il voler consistere di una visione sociale più animosa, o soltanto piùfiduciosa) - credere che il valore salvifico, la dimensione evangelica ed illuminante delnaturalismo di tradizione caravaggesca, abitasse proprio in un'Italia minore e sperduta,ricacciata entro le valli appenniniche ed inseguita fin nel profondo dell'emarginazione. Lastessa che negli anni della nostra giovinezza - ormai invadeva i casolari solitari, i campiabbandonati, le chiese silenziose.

Fu allora come divenisse possibile, alla nostra formazione intellettuale e anche politica esociale, tracciare un immaginario museo di tutti coloro che avevano adottato schemisentimentali e anche stilistici simili, o analoghi soltanto; di tutti coloro che, transfughi di unacultura aggredita e sbandita, avessero adottato - proprio come il miglior Guerrieri"contadino" - la sapiente familiarità del quotidiano, inteso però non come la cordialità deibolognesi, quanto piuttosto con la ferma severità di chi arresti, o tenti di arrestare, unevento esistenziale unico: capace cioè di ripetersi ogni volta nei volti, nel paesaggiocircostante, nei gesti pacati e ampi, senza mai divenire "tipicità" e accademia, sia pur delnaturale. Se ripenso a quei mesi, rivedo, puntualmente, con gli occhi di un viaggiatore forseesigente, certo volenteroso, i dipinti abruzzesi nelle enclaves lombarde di Fara o diPescocostanzo, la Circoncisione e la bella Madonna del Fuoco di Tanzio da Varallo. Penso diavvicinarmi alla Circoncisione di Orazio Gentileschi nel Gesù di Ancona, illuminare ilCrocifisso con San Francesco di Nicolò Musso a Casale Monferrato; cercare la luce dellaVisione di San Francesco del Borgianni a Sezze Romano, oppure della sua Sacra Famigliaoggi a Palazzo Barberini; intimidirmi alla scoperta dell'Hontorst bellissimo dei Cappuccini diAlbano, o del Saraceni del Suffragio di Cesena, e stupirmi della straordinaria realtà deiriminesi, del Centino e infine della Madonna con Santa Margherita e Santa Maria Maddalenadi Guido Cagnaccio La quale, alla porta marchigiana di Rimini, verso la Colonnella distruttadalle bombe, sembrava davvero voler riproporre al Cantarini, già più che avanzato nell'artedietro l'incoraggiamento di Guido Reni, che la strada più vera era ancora quella della suagiovinezza, la realtà della vita e il succedersi degli eventi, generazione dietro generazione,senza metafore che non fossero il battere calmo e solenne della luce vera che discende da uncielo non metafisico.

La commessa di Marcantonio Borghese

Ho già ricordato il vero senso di disagio che, nel pieno di una stagione come quella che hocercato di narrare, provocò in me il saggio puntuale, aggiornato e documentatissimo diPaola Della Pergola; più ancora l'esistenza stessa di un artista improvvisamente mondano edelegante quale inopinatamente il Guerrieri volle mostrarsi dall'alto del fregio delle tre stanzedecorate, fra il 1615 e il 1618, in Palazzo Borghese a Roma. Il disappunto fu in meconsistente, tanto più che il volumetto che Francesco Carnevali, mitico direttore dell'IstitutoStatale d'Arte di Urbino, mi aveva voluto affidare, sostava da un paio d'anni in bozze perqualche sventura amministrativa; e ci sarebbe rimasto fino al 1958. Per chi aveva concepitola ricerca marchigiana tutta fra l'estate del 1954 e l'intero 1955, sembrava, in certo modo,offuscarsi il volto terrestre e quella stessa dimen sione provinciale del Guerrieri che piùvoleva amare. E che era anche l'unico conoscibile, poiché - ripeto - le decorazioni di PalazzoBorghese erano e restano un episodio molto compatto e irripetuto se non per episodiparziali o minori.

In quei tre anni il Guerrieri, che presumibilmente era protetto dal Merollo, il sentinate medicodi Paolo V Borghese, diede sviluppo ad un saggio di pittura internazionale e di iconografiaoperante. I fregi raffiguranti il Parnaso, il Trionfo della Religione, il Trionfo delle Scienze e ilTrionfo delle Virtù (tutti nella seconda sala) in modo del tutto speciale - ma poi anche ledecorazioni della sala III al piano nobile - costituiscono un repertorio di straordinariointeresse sotto il profilo dei contenuti allegorici e iconografici. "L'interesse che similerepertorio iconologico presenta - scriveva P. Della Pergola - e non solo per gli affreschi del

Page 40: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

repertorio iconologico presenta - scriveva P. Della Pergola - e non solo per gli affreschi delGuerrieri, ma per la cultura del primo Seicento, non può sfuggire ad alcuno. Il Guerrierisemplifica gli attributi dei simboli, anche perché le immagini non sono, per la suadecorazione, isolate ma vengono concatenate in un insieme che ha altro intento diglorificazione. Sono tutte cioè subordinate alla gloria più alta commessa da MarcantonioBorghese". Questi, principe di Sulmona, era il nipote eletto a rappresentare il primogenitodella nuova potenza familiare. Nell'abbondante bagno culturale ed allegorico, se massiccesono le citazioni dal Ripa (il quale, come si ricorderà, ristampò a Siena nel '13 una secondaedizione di quella romana, ridotta e mutilata quando fu diffusa, e cioè nel 1603), altrettantofrequenti sono le immissioni figurative, così storiche che più recenti. L'ambito generale ècerto quello gentileschiano, la cui chiarezza e trasparenza sono in fondo doti checonsentono di allacciare il naturalismo chiaroscurato e deciso del caravaggismo alledominanti "senz'ombra" ereditate dagli interminabili elenchi metaforici del manierismo. Maaffiorano concomitanze ancora da sceverare, tuttavia palesi, come quella che individuanell'invenzione e nell'esecuzione delle figure dello Studio una cadenza vicina al Maestro delGiudizio di Salomone; oppure, in altri luoghi, suggestioni dal Cigoli, dal Rosselli odall'Empoli; nonché dai bolognesi romanizzati, come Domenichino - una passione già nota -oppure certi aspetti donneschi di Guido Reni; per non dire infine del Cesari e del Baglione.

Con questo scritto minuzioso, il Guerrieri entrò di colpo e inaspettatamente nel novero deiprotagonisti del secondo decennio, aspirando addirittura ad altre illustri attribuzioni - per noituttora difficoltose - come quella del Lot con le figlie della Galleria Borghese. Ne uscirà peròalla fine del 1618 per non rientrarvi mai più, confinato in una provincia solitaria di cui lastoria politica scandisce con amarezza l'uscita di scena, con uno straordinario senso didignità del passato storico. È la stessa dignità che animava le pagine di Bernardino Baldi eche ancor più intimamente si annidava entro l'identificazione cristologica di Federico Baroccie del suo paesaggio urbinate. Di tutto il resto della vita del Guerrieri parlerà oggi, come ègiusto, soprattutto questo nuovo e più completo volume, che l'amicizia di Franco Battistelliha ideato e agevolato in tanti modi. Essa è punteggiata con frequenza da opere e da citazionidocumentarie, si lascia seguire come un complice itinerario sentimentale fra Marche eRomagna sulle paginette ingiallite del prezioso volumetto di don Augusto Vernarecci. La vitadel Guerrieri si chiuderà - l'abbiamo appreso solo di recente, per merito di un altroricercatore fossombronese, don Giuseppe Ceccarelli - il 3 settembre 1657 a Pesaro, dopouna penosa decadenza fisica. La sua scomparsa segna, in qualche modo, i confini dellemutazioni del gusto e della cultura figurativa della tarda età barocca nelle Marche.

Giovan Francesco Guerrieri: dopo il 1618, la vita a Fossombrone

Le lettere recentemente ritrovate negli Archivi Vaticani non hanno sottratto drammaticità aigiorni della morte di Caravaggio, ed anzi hanno caricato il modo di quella disperata ricercadelle opere trafugate e perdute. Non sappiamo se Guerrieri visse l'eco del dramma nellestrade di Roma, lui che a Roma era giunto proprio all'atto dell'esilio del Caravaggio e chedunque non aveva mai avuto la possibilità di vederlo. Anche se così insistentemente legatoai pittori della prima generazione, e specie al Gentileschi e a Borgianni, il Guerrieriappartiene alla seconda generazione e di essa, per l'intero secondo decennio, ne descrivetemi e problemi. Il ritorno a casa, sul finire del 1618, dovette avere per molti versi l'aspettodi una liquidazione di età e di costume, quasi preannunciate in fondo dall'arcaicaprogettazione delle decorazioni di Palazzo Borghese e da quella loro immobile rievocazionedi un tempo mitologico, iconologico e sapienziale ormai defunto.

Per chi debba affrontare l'intero arco dell'esperienza del Guerrieri, la sua vita matura e piùintensamente produttiva inizia proprio dagli anni Venti, e percorre più di tre decenni dentrouna vicenda che non si può chiamare altro che feconda, perfino ammirevole. Se abbiamoinsistito minuziosamente a riguardo delle prime esperienze romane e marchigiane, ciò èavvenuto soprattutto per l'importanza incisiva di quegli anni, e per il riflesso che quelleesperienze gettavano su di un pittore giunto giovanissimo dalla periferia italiana, così daprovocarne reazioni e suscitare congiunzioni. Entrare nella piena luce del palcoscenico

Page 41: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

provocarne reazioni e suscitare congiunzioni. Entrare nella piena luce del palcoscenicoromano del primo decennio, calcarne in qualche modo la scena, reggendo del resto moltodignitosamente la tensione, è già impresa forte. La versione romantica e drammaticascaturita dall'approccio al naturalismo, maturato anche attraverso altri modelli di cultura edanzi incrociato tra i flussi che giungono da diverse componenti italiane, è decisamenteimportante: e per noi ha anche il significato di investire il territorio artistico marchigiano (eprobabilmente anche romagnolo) di una voce narrativa,piana e forte, senza cantilene. Unavoce che continueremo ad ascoltare per molto tempo e che risuonerà per giunta nellamemoria stilistica più immediata, da Cantarini a Cagnacci e al Centino.

Il repertorio delle opere, che in questo libro è stato disteso con qualche volontà didattica eche appare dunque abbastanza minuzioso, può render conto delle numerose varianti che sipreparano ad irrompere nello studio del Guerrieri già al suo ritorno da Roma, alla fine del1618. Ciò ci esime forse dal percorrere dipinto per dipinto questo lungo, ammirevole trattodi cammino. C'è di più: la personalità stilistica dell'artista, come già in altre occasioniabbiamo detto, ha caratteri di concreto, veloce assorbimento stilistico, ma non testimoniasempre di una coerente velocità o sollecitudine di reazione. Anzi, affiorano ora dipinti chehanno la fortuna di conservare una datazione positiva, una firma o un documento, in gradocosì di collocarsi a ridosso di altre opere che però non ne condividono sempre le costanti.Così, si potrebbe scambiare per bolognese o addirittura guercinesco, come è già accaduto inaltri tempi, quel San Michele Arcangelo della Pinacoteca di Fossombrone, che invece rivela -ad una migliore attenzione - una data precocissima, il 1624; segno evidente che queldisegno fluido e quel cromatismo trasparente sono forse sintomi di una non ancora cessatainfluenza gentileschiana. Ciò non toglie però che la sorpresa sia consistente e che il timoredi qualche altra chigane sia verisimile.

Si direbbe che l'intero terzo decennio sia dominato dalla necessità di dare più elevatarisposta alla fortuna che, dal nord padano, si impone a Fano soprattutto, con la forzaindiscutibile di artisti come Domenichino, Bononi, Tiarini e Guido Reni: per non dire dellaqualità assoluta delle opere di costoro, della tempestività dell'occasione di cultura. Unquadro come l'Estasi di San Paterniano di Bononi, e a quelle date, è impressionantesull'orizzonte nazionale. La pala con i Santi Orso ed Eusebio della Cattedrale di Fano, cheLudovico Carracci firma nel 1612, defluisce lentamente, e però riconoscibilmente, dentro lastruttura organica della natura del Guerrieri, quasi portando a maturazione quei sintomi dipiù strutturata organizzazione del disegno e del panneggio, che peraltro l'imitazione delDomenichino aveva già messo a dimora nel 1614, a Sassoferrato. Intorno al 1622 o pocooltre, il Guerrieri mostra segni di consistente evoluzione, come nella Santa Caterina da Siena,di Fossombrone; e più tardi, nella bella e inedita pala di casa Anselmi ad Arcevia, il camminomostra di essersi aperto nel frattempo anche in un confronto con Lanfranco. È un peccatoche il pittore marchigiano non sia più a Roma, avrebbe potuto soggiornare anche lui con ilGuercino, questo giovane talento vivente, e con il Cagnacci ed il Serra, magari anche lui incasa di Simon Vouet. E tuttavia, anche senza questi impulsi, il Guerrieri non abdica aconseguenze di stile tali da far supporre che le sue informazioni non fossero davvero quelloche noi ameremmo riconoscere servendoci di un moderno concetto di provincia, ma che anzimantenessero legami e rapporti durevoli.

Così, l'intera decorazione della cappella di San Carlo in San Pietro in Valle a Fano, chevorremmo collocare proprio intorno al 1630, o giù di lì, con quel suo ritorno di gustocromatico, con quel suo disegno più attento e rifinito, non può mancare di rinviare a CarloSaraceni e alla sua perdurante attività. La revisione del catalogo che questo libro ha resopossibile, ci ha messo dinanzi dipinti e pale d'altare che un tempo erano, per noi, affidatisoltanto ad un'occhiata partecipe, ma frettolosa, come quella di chi è stretto nei tempiprecari di sopralluoghi difficili e condotti senza mezzi. La statura del Guerrieri ne esce oggimolto esaltata, il rilievo e l'autorevolezza che il pittore fossombronese ne consegue sonodavvero consistenti. Quel che più è possibile notare, ed è insieme utile per altri sviluppi nonimprevedibili, ci riconduce in ogni modo dalla parte di un artista che ha costruito il suomondo sfiorando ai suoi giorni migliori la novità caravaggesca, e traendone comunque una

Page 42: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

mondo sfiorando ai suoi giorni migliori la novità caravaggesca, e traendone comunque unasua bellezza artigiana del naturalismo, mettendo cioè in luce incastri e à plat cromatici, finoa denudarne l'onesta meccanica combinatoria. Era il naturalismo dei poveri, solo tangenteall'onda d'urto del sussulto del Caravaggio, misurato con un'economia e anche con unapoetica parrocchiali, di devozione e di liturgia intimamente moderne, e dunque proprio perquesto pronte a chiedere un prodotto riconoscibile, intellettuale, umano.

Tutta la lunga attività matura del Guerrieri declina su questa prima adesione il suo successivolinguaggio, motivandola comunque con ricchezza di apporti e anche di personali diverseesperienze. Difficile dire che cosa sia, fuori dai centri del potere economico, l'effettivaautonomia della cultura artistica già nel Seicento avanzato, e cioè nella fase discendente diquella transizione che cominciò intorno al 1580, e nelle Marche ancor più esattamente - nel1579, l'anno straordinario di quella Deposizione di Cristo nel sepolcro che Federico Barocciaveva eseguito per la chiesa di Santa Croce a Senigallia. Giovan Francesco Guerrieri sembrarispondere oggi, dalla più folta sequenza dei suoi dipinti, che questa autonomia certo si eralentamente, progressivamente annullata; ma che però anche la nozione incerta di periferiaurbano-rurale, nuovamente motivata peraltro da condizioni culturali e di liturgia, potevaalimentare una vita di alta dignità e soprattutto di spesso straordinaria cultura. Pur nellamobilità interattiva ed anche intima, Guerrieri conserva la salda moralità dell'artista nato allavoro in quei primi anni del secolo, quasi una rivelazione giovanile per un linguaggio rude ecomprensibile. Allineato negli anni e nei decenni, contraddistinto anche da un consistentecodice di recuperi e di precedimenti, di memorie e di intuizioni, la lunga carriera pittoricadel nostro continua a saldare la propria complessa immagine su quella altrettanto difficile diun paesaggio sociale e culturale in crisi. Il livello di restituzione è molto alto, proprio perchéelevato è il grado di evocazione, potente la sua natura poetica, sensibile il suo sentimentodel luogo.

"Quanto potrà ancora durare la libertà mentale di Giovan Francesco Guerrieri, ora che ancheil trapasso da una indipendenza, sia pur solo formale, al dichiarato dominio della Chiesa, hasancito l'abbandono di quel paese intristito; ora che sempre meno si costruiscono chiese, sidecorano altari; ora che anche Urbino è vuota, scomparsa la dotta e antiquaria cultura diFrancesco Maria II, evacuati gli innumeri capolavori del Rinascimento attraverso i boscosivalichi di Toscana; e poche orme risuonano a lungo nell'enorme Palazzo, non è facile dire.Esigenze familiari si fan sempre più vive; cresce il numero, già tanto alto, dei figli: pochiacquistano quadri, e son cosette da far controvoglia, pensando ai bei tempi, con un gustocontrito e acre. Fino al 1636, a giudicare dalla paletta con la Madonna che porge il Bambinoa San Francesco, oggi nella Passionei di Fossombrone, perdurano i tratti di una anticaparsimonia... Il risultato che ne deriva potrebbe essere veritieramente fissato con le paroledel Lanzi, scritte per il Sassoferrato, che forse di questa nuova dimensione conseguita 'perdifetto' è il testimone più diretto e interessato: 'Il suo dipingere è di pennello pieno, vago dicolorito, rilevato di bel chiaroscuro: ma nelle tinte locali un po' duretto'.

[...] A questo punto, in verità, termina la vera storia della carriera poetica di GiovanFrancesco Guerrieri. Ma nell'appartata solitudine del suo tardo operare, nel tentativo diriportarsi alla luce dei fatti artistici più importanti della regione, almeno una fiduciosamoralità, seppure toccata dalle sventure, continua a durare. Come fosse una diligenza anticadi secoli, una pulitezza mentale spontanea, a risospingerlo al lavoro, ogni mattina, sempreper gli stessi committenti, parroci malvestiti e assai poveri delle pievi del forese. E, in fondoa tutto, ancora quelle poche oneste letture, il 'Leggendario dei Santi' e i 'Reali di Francia'.Qualche pensiero di più, non che fossero ambizioni; ma, come il sarto manzoniano, se maiavesse potuto studiare, chissà...?".

Abbiamo riprodotto qui, in finale di scheda bio-bibliografica, e di narrazione del problemacritico, la "scena" finale del nostro vecchio scritto del 1954-55, edito nel 1958, proprio perfar constatare con mano quanto diverse fossero le conoscenze storiche del problema, eanimosa l'interpretazione di valore sociale che se ne dava. L'accertata continuità di lavoro delGuerrieri fin oltre il 1650 e la maturità ulteriore che egli rivela nelle opere terminali,dipingono una diversa vecchiaia, in opposizione - in fondo - anche con i documenti

Page 43: Andrea Emiliani - Cassa di Risparmio di Fano · naturalismo riformato di innegabile marcatura caravaggesca, con un’immediata tendenza alla narrazione, alla scena della riforma.

dipingono una diversa vecchiaia, in opposizione - in fondo - anche con i documentibiografici superstiti. Ciò che tuttavia può resistere nel tempo è, una volta ancora, la fortecapacità che il Guerrieri ha di portare con sé, dentro la propria opera pittorica, la condizioneintera di un paesaggio di crisi.

Fonte: Andrea Emiliani, 'Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone', Catalogo delle opere,1997, Elemond Editori Associati per la Fondazione Cassa di Risparmio di Fano.