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San Bonaventura Newsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum Editoriale “L’Amore non è amato” di Papa Francesco Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete» ( Gv 19,28). La sete, an- cor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così il mistero del Dio Altissimo, di - venuto, per misericordia, misero fra gli uomini. Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimen- to di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento» (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quan- do – sembra dire anche oggi il Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). È il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, la- mentava il salmista: «Quando avevo sete mi han- no dato aceto» (Sal 69,22). “L’Amore non è amato”: secondo alcuni raccon- ti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comu- nità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. (continua a pag. 2) SETTEMBRE 2016 focus del mese: LA RICOSTRUZIONE DELLA SPERANZA - Pag. 3 testimoni del vangelo: l’INCONTRO CON MADRE TERESA - Pag. 5 SANTA SEDE: la MISERICORDIA VERSO LA CASA COMUNE - PAG. 7 L’ECOLOGIA INTEGRALE - PAG. 8 LA CONVERSIONE ECOLOGICA - PAG. 11 giubileo della misericordia: pe NSARE MISERICORDIOSAMENTE - PAG. 13 VERSIONE FRANCESCANA DELLA MISERICORDIA PAG. 15 STORIA E PERSONAGGI: la CONVERSIONE DELL’EBREO ATTAL - pag. 19 TRA LE RIGHE: LA CHIESA FRANCESCANA DI PAPA FRANCESCO - PAG. 22 appuntamenti: i NAUGURAZIONE dell’A.A., CONVEGNO FRANCESCANO E NOVITà EDITORIALI PAG. 24 Francescanamente parlando: UNIVERSITà FRANCESCANA, NUOVA RUBRICA E FESTIVAL FRANCESCANO pag. 27 ANNO IV - Nº 44 informa 1 In questo numero:

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San BonaventuraNewsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum

Editoriale

“L’Amore non è amato”

di Papa Francesco

Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete» (Gv 19,28). La sete, an-cor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così il mistero del Dio Altissimo, di-venuto, per misericordia, misero fra gli uomini.Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimen-to di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento» (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quan-do – sembra dire anche oggi il Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). È il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, la-mentava il salmista: «Quando avevo sete mi han-no dato aceto» (Sal 69,22). “L’Amore non è amato”: secondo alcuni raccon-ti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comu-nità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”.

(continua a pag. 2)

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focus del mese: LA rICOSTrUZIONE DELLA SPErANZA - Pag. 3

testimoni del vangelo: l’INCONTrO CON mADrE TErESA - Pag. 5

SANTA SEDE: la mISErICOrDIA VErSO LA CASA COmUNE - PAG. 7L’ECOLOGIA INTEGrALE - PAG. 8LA CONVErSIONE ECOLOGICA - PAG. 11

giubileo della misericordia: peNSArE mISErICOrDIOSAmENTE - PAG. 13VErSIONE FrANCESCANA DELLA mISErICOrDIA PAG. 15

STOrIA E PErSONAGGI: la CONVErSIONE DELL’EBrEO ATTAL - pag. 19

TrA LE rIGHE: LA CHIESA FrANCESCANA DI PAPA FrANCESCO - PAG. 22

appuntamenti: iNAUGUrAZIONE dell’A.A. , CONVEGNO FrANCESCANO E NOVITà EDITOrIALI PAG. 24

Francescanamente parlando: UNIVErSITà FrANCESCANA, NUOVA rUBrICA E FESTIVAL FrANCESCANO pag. 27

ANNO IV - Nº 44 informa

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In questo numero:

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Editoriale“L’Amore non è amato”

Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno:

«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione. Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24), noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita”, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita (cfr Gv 19,34); così da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi. Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14), Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (cfr Ef 2,17). Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa» (Gv 17,21).

Meditazione del Santo Padre nel corso della Visita ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo” - 20 settembre 2016

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la Faticosa ricostruzione della sPeranzanelle zone colPite da una calamità

di Lorenzo Alessandrini*

La speranza di una resurrezione alla vita è insita nell’essenza stessa dell’intervento di soccorso e assistenza che cerchiamo di portare a favore delle persone colpite dalla catastrofe. La sollecitudine deve essere il nostro tratto caratteristico: con Paolo VI (nella foto) potremmo dire che la nostra ambizione è riuscire ad essere una delle infinite possibilità di prolungamento della sollecitudine mariana, che sempre interviene di fronte ai bisogni dell’umanità, uno dei tanti modi di manifestarsi della carità e dell’amore. Il nostro imperativo di donne e uomini della protezione civile è esserci, sempre, esserci per intervenire da subito, ricordando a noi stessi che non è importante soltanto “cosa” stiamo facendo, ma a cosa serve. Il nostro vero obiettivo deve traguardare oltre la semplice azione umanitaria: deve creare le premesse per la riapertura di una prospettiva di vita e di speranza, il nuovo originale progetto sociale, pur

temporaneo, che anche grazie alla nostra pur modesta e parziale ma paziente opera di conforto può consentire alle persone colpite e alle loro famiglie di risalire la china.La perdita della propria casa, il frutto di tante fatiche sopportate per custodire e proteggere la famiglia e gli affetti, è uno dei più terribili accadimenti che possano capitare a una persona. Delicata e poderosa al contempo deve essere la nostra opera di soccorso, di accoglienza e di servizio,

che servono ad allentare il dolore e la costernazione che opprimono le persone così duramente colpite

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focus del mese

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dalla calamità naturale. E allora ecco che il ricovero in un nuovo pur provvisorio giaciglio, la ricostituzione della famiglia sotto un nuovo tetto, la ricomposizione della comunità, così colpita e dispersa, attraverso un amorevole lavoro di contatto, informazione e incoraggiamento da parte dei soccorritori, costituiscono il sentiero più agevole per tentare un’immediata risalita materiale e morale.Non vi è chi non veda come in questa fase di inquieto passaggio dell’umanità colpita attraverso un portale fatto di dolori e incertezze, di bisogno estremo di un gesto generoso e gratuito, di piccoli e grandi ferite non solo fisiche che occorre medicare, si possa intravvedere il messaggio della Misericordia giubilare, momento benedetto nel quale si sperimenta l’amore di Dio che consola, perdona e dona speranza attraverso la dolcezza di una mano amica tesa verso chi soffre.Ecco che allora, forse, anche il nostro lavoro di donne e uomini della protezione civile, che si protrae durante lunghi mesi fatti di contatto fisico con le persone sofferenti e il loro dolore, può costituire per tutti un momento mirabile della manifestazione di questo amore superiore, e anche il dolore di una perdita, il disagio di una mancanza, il timore di quello che sarà il domani, possono trasformarsi in semi di speranza di ricostruzione e di ritorno ad un nuovo tempo di Grazia, un tempo davvero benedetto dal Signore.

* Responsabile per il Dipartimento di Protezione Civile dello sfollamento negli alberghi delle persone terremotate

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“domani andrà al sacro convento e chiederà di diventare Frate”:

quando i santi indicano la strada da Percorrere

di Guglielmo Spirito*

Nell’ormai lontano 1988, mentre studiavo Teologia pastorale sanitaria al Camillianum, collaboravo nel servizio ai barboni con le suore di Madre Teresa di San Gregorio al Celio, a Roma. Ero sacerdote da sei anni e cappellano militare, ma non ero pienamente contento: sentivo che mi mancava qualcosa e sognavo di potermi confidare con Madre Teresa, se mai la avessi potuta incontrare. Un giorno - credo fosse marzo - una della suore mi dice: “Senta padre, Madre Teresa è arrivata, le ho detto che lei vorrebbe parlarle, e lo sta aspettando nel convento”. Il convento delle Missionarie della Carità era stato ricavato nello spazio destinato al pollaio del monastero benedettino al Celio. Scendo di corsa, con il fiato spezzato per l’emozione, mi trovo davanti la piccola figura sorridente della Madre e di getto le dico: “Madre, sono prete, eppure non sono soddisfatto della mia vita, ma non so cosa dovrei fare”. E lei: “Può venire con me al Bronx?”. Chiesi ai miei genitori i soldi per il biglietto, e finita la sessione di esami, partii verso New York. Là la Madre, sempre sorridente, mi disse: “Padre, sono contenta che lei sia venuto; vorrei che lei facesse gli esercizi spirituali con i Padri Missionari della Carità, ma loro fra qualche settimana si trasferiranno a Tijuana (Messico, ndr): può venire con noi a Tijuana e fermarsi là tutta l’estate?”. “Madre, io ho un vescovo, dovrei chiedere il suo permesso...”. “Come si chiama il suo vescovo?”. Glielo dissi. E lei, prendendo un foglio di carta dalla cucina, scrisse davanti a me una lettera al mio vescovo ringraziandolo perché mi inviava a Tijuana! Così passai in Messico dei mesi intensi, fino all’inizio del secondo anno della Licenza. Tornato a Roma, ogni volta che la Madre passava per l’Urbe - e lo faceva con una certa frequenza -, le suore mi avvertivano e io mi recavo da lei per un colloquio spirituale.

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testimoni del vangelo

L’incontro con Madre Teresa

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Nel frattempo, quando potevo andavo ad Assisi, perché sin dalla mia giovinezza san Francesco (grazie in particolare al saggio di Chesterton) era una figura che mi attirava; frequentavo i frati della Porziuncola e poi anche quelli del Sacro Convento, dove allora vivevano anche i chierici. Mi sentivo diviso interiormente: i Padri Missionari della Carità (ramo sacerdotale fondato dalla Madre nel 1984, assieme a padre Joseph Langford) da un lato, e san Francesco (e persino i frati!) dall’altro, mi attiravano a sé. Così che un giorno presi coraggio a due mani e decisi di sottoporre questo quesito alla Madre, dicendole: “Madre, so che padre Joseph mi vorrebbe con sé, e che anche lei mi sembra vorrebbe che io rimanga con i Missionari della Carità...ma io mi sento attratto da san Francesco, e non so cosa fare!”. E lei, sorridendo, mi rispose: “Padre, non è importante quello che padre Joseph vuole, né quello che

io voglio, e nemmeno quello che lei vuole, ma quello che Gesù vuole per lei: domani stesso lei andrà al Sacro Convento e chiederà di diventare frate, per non dare più tempo al nemico di darle buone ragioni per non andarci!”.E così avvenne che diventai frate minore conventuale nella Custodia del Sacro Convento, dove visse lunghi anni anche san Giuseppe da Copertino,

per me personaggio da fiaba, da quando bambino vidi il film “C’era una volta”, con Sofia Loren e Omar Sharif.Dopo il noviziato, nel 1991, con qualche confratello andammo a Roma ad incontrare Madre Teresa, e uno dei frati le disse: “Madre, grazie per averci mandato padre Guglielmo!” e lei, con un sorriso raggiante, rispose “Certo che dovete ringraziare me...!”.Continuavo sporadicamente a incontrare Madre Teresa o a parlare con lei al telefono - persino quando si trovava a Calcutta -, fino all’anno della sua morte, e tuttora spesso collaboro con le sue suore, sia in Italia, sia nei Paesi dove ho svolto il ministero (Russia, Kenya...). Ho potuto partecipare sia alla sua beatificazione, sia alla sua canonizzazione, con il cuore colmo di stupore e gratitudine, ricordando piccoli momenti e parole ascoltate da lei, e potrei raccontare altri “fioretti” vissuti in prima persona ma mi fermo qua. Il suo sguardo era di miele bollente: mi sentivo avvolto di una tenerezza che bruciava ed ero oggetto di una attenzione personale che rivelava a me stesso il mio volto. Credo che così si rapportano i santi, specchio della Trinità.

*OFMConv, docente di Spiritualità francescana

Guglielmo Spirito

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Credit foto: www.sanfrancescopatronoditalia.it

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la misericordia verso la casa comune

Usiamo misericordia verso la nostra casa comune è il tema del messaggio di papa Francesco per la “Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato”, celebrata lo scorso 1 settembre.“La ricorrenza - scrive papa Francesco nel messaggio - intende offrire «ai singoli credenti ed alle comunità la preziosa opportunità di rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato, elevando a Dio il ringraziamento per l’opera meravigliosa che Egli ha affidato alla nostra cura, invocando il suo aiuto per la protezione del creato e la sua misericordia per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo». […]Dev’essere pure motivo di gioia il fatto che in tutto il mondo iniziative simili, che promuovono la giustizia ambientale, la sollecitudine verso i poveri e l’impegno responsabile nei confronti della società, stanno facendo incontrare persone, soprattutto giovani, di diversi contesti religiosi. Cristiani e non, persone di fede e di buona volontà, dobbiamo essere uniti nel dimostrare misericordia verso la nostra casa comune - la terra - e valorizzare

pienamente il mondo in cui viviamo come luogo di condivisione e di comunione.

«O Dio dei poveri,aiutaci a riscattare gli abbandonati

e i dimenticati di questa terrache tanto valgono ai tuoi occhi. […]

O Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondocome strumenti del tuo affetto per tutti gli esseri di questa terra».

O Dio di misericordia, concedici di ricevere il tuo perdonoe di trasmettere la tua misericordia in tutta la nostra casa comune.

Laudato si’.Amen.

Clicca qui per leggere il testo integrale del messaggio di papa Francesco

Nelle pagine che seguono, un approfondimento sul tema del creato, attraverso la sintesi di due interventi tenuti da fra Domenico Paoletti, docente di Teologia fondamentale, e da Vincenzo Rosito, docente di Filosofia teoretica, alla prima edizione del Festival del creato, svoltosi il 9 settembre a Chieti.

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santa sede

Credit foto: Evandro Inetti

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Il concetto di “ecologia integrale” cuore della LAUdAto Si’

di Domenico Paoletti*

Il filo rosso dell’Enciclica Laudato si’ è la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso: l’uomo e Dio, l’uomo e la terra, gli uomini tra loro, ma anche l’economia e l’ambiente, la rovina della casa comune e la povertà. È «il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose».

Tutto è in relazioneLa novità della Laudato si’ non consiste nelle cose nuove espresse sul dissesto ecologico ma per il fatto che tratteggia una visione olistica della realtà. “Tutto è in relazione” insieme all’espressione “tutto è connesso” è un concetto chiave del testo. “Il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi”, per cui “un vero approccio ecologico diventa sempre più un approccio sociale”. In altre parole, interrogarsi sulla creazione è sempre anche interrogarsi sul senso e sul fine dell’uomo dentro la creazione.Dalla constatazione che “tutto è connesso, tutto è in relazione” si afferma che «le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà». Non ci sono pertanto «due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura”.

Ecologia integrale“Tutto è in relazione” viene compreso all’interno del concetto di ecologia integrale, espressione che ritorna per ben nove volte nel documento e ne costituisce il cuore pulsante. Solo un approccio integrale alla questione ecologica potrà suscitare e sostenere una risposta integrale: questa è la visione della Laudato si’.

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Conversione ad un’ecologia integraleL’ecologia integrale implica una conversione, ossia riconoscere chi siamo veramente. Qual è la verità di noi stessi che siamo chiamati a riconoscere per poter prenderci cura della casa

comune? L’uomo in realtà è pienamente se stesso solo se è in relazione: con se stesso, con gli altri, con tutto il creato e con Dio. La «conversione ecologica» comporta la presenza di una triplice relazione con Dio, con il prossimo e con la terra (cf. nn. 66. 221). In questa triplice relazione cosmoteandrica Francesco d’Assisi è «l’esempio per eccellenza di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità»; e ciò grazie a un cammino di

conversione, a una relazione bella, da innamorato, con Dio, con i fratelli e con tutte le creature.

Cosa significa ecologia integrale?Oggi si parla molto di integrazione, non solo per quanto riguarda l’ecologia, ma per i flussi migratori, per gli incontri di culture e religioni diverse. Ma il poco approfondimento condiviso del concetto di “integrazione” non permette una vera e duratura integrazione.Integro etimologicamente viene da integrum, formato da in-teger: in (non) e il radicale di tagere o tangere (toccare), quindi non toccato, non privato di qualcosa, a cui nulla è stato tolto, nulla manca; integrum significa anche mettere insieme perché ci sia l’intero, il totale, il completo, l’intatto, l’originale, il sano; integrum è ciò che è reso completo perché conforme al progetto. Ecologia integrale significa, allora, ecologia totale, completa (in contrapposizione a parziale, settoriale, incompleta, ridotta, separata … di una certa cultura ideologica ambientalista e animalista). Oggi in alcuni ambienti si è più attenti al cane che all’uomo, alla salute che alla salvezza. Non si può separare l’ambiente dall’uomo e l’uomo da Dio se si vuole comprendere e vivere una vera ecologia integrale.

CristocentrismoLa visione integrale cristiana della creazione non è né antropocentrica né cosmocentrica, ma cristocentrica. Il centro non è né l’uomo né il mondo ma Gesù Cristo, chiave interpretativa sia dell’uomo che del mondo: “tutto è stato creato in lui … per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). La visione cristiana dell’ecologia integrale va compresa all’interno del progetto salvifico-comunionale del Dio Trinitario rivelatoci da Gesù Cristo. La creazione è da intendere come alleanza-comunione con Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Tale prospettiva non distrae dal discorso ecologico, né intende portarlo lontano dal concreto, ma intende semplicemente fondarlo.

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La crisi ecologica è crisi antropologica e teologicaLa crisi ecologica non è solo ambientale ma antropologica, culturale e teologica. Il dissesto ecologico non tocca solo il cosmo, ma riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini. Il buco nell’ozono, per esempio, oltre che problema è metafora della falla, ancora più consistente, che si è aperta nella relazionalità tra le persone, e tra queste e il creato. L’erosione del nostro pianeta fa tutt’uno con la corruzione dell’umano. Le due realtà, l’uomo e il creato, o si salvano insieme o insieme rovinano. La questione ecologica è un sintomo. La sostanza è un’emergenza antropologica.

Il creato ha un futuroL’ecologia integrale secondo la visione cristiana ci dice che il creato ha un futuro. Il futuro ultimo non riguarda solo la realtà umana ma tutta la realtà creata. È quanto è affermato chiaramente dall’apostolo Paolo (cf. Rm 8,18-25). La creazione si rivela non semplicemente una tappa del passato, quasi riguardasse un inizio lontano, ma in una visione dinamica che si armonizza con la sua evoluzione, indagata dalla stessa scienza. L’ecologia integrale ci dice che non ci sarà la fine del mondo, ma una trasformazione, un compimento, una pienezza, e non una distruzione con il ritorno al nulla.

Ecologia integrale è ripartire dai fondamentiIl concetto di ecologia integrale non può prescindere dai fondamentali. Nel trapasso culturale, dentro il quale ci troviamo, lo spartiacque è dato dalla risposta all’interrogativo fondamentale del nostro tempo: Chi è l’uomo e qual è il suo destino? L’ecologia integrale va, quindi, compresa all’interno delle domande fondamentali, all’interno del senso della vita, della storia e del mondo. C’è un paragrafo-chiave della Laudato si’ in cui il papa, richiamando su quale mondo desideriamo lasciare a coloro che verranno dopo di noi, afferma che tale domanda se «viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo?» (160). Se non ci poniamo queste domande di fondo e non ne cerchiamo il senso «le nostre preoccupazioni ecologiche non potranno ottenere effetti importanti» e duraturi.

*OFMConv, Docente di Teologia fondamentale

@fraterdominicus

Sintesi della relazione sul tema “Il concetto di ecologia integrale al centro dell’enciclica Laudato si’ e della visione francescana”, Festival del creato - Chieti, 9 settembre 2016

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modi e movimenti di conversione ecologica

di Vincenzo Rosito*

Il tema della conversione costituisce uno dei nuclei teorici e dinamici dell’Enciclica Laudato si’. Nel testo ricorre sovente il monito ad avviare processi individuali e collettivi di cambiamento all’interno di una dimensione ecologica integrale. Non si dà nessun modello ecologico capace di parlare a tutti gli uomini e di coinvolgere tutto l’uomo senza che esso sia al contempo anche una proposta di cambiamento e di rinnovamento sociale. L’Enciclica di papa Francesco si colloca non soltanto all’interno di una prolungata e persistente crisi ecologica planetaria, ma anche nel flusso di una cultura ecologica globale che tra alterne vicende smuove e sommuove le coscienze laiche e religiose da almeno quattro decenni. L’idea di conversione ecologica nasce infatti all’interno di quei movimenti ecologisti che per la prima volta, intorno agli anni Settanta del secolo scorso, riuscirono a riunirsi e a tradursi in un movimento sociale dalla portata globale. Proprio in quegli anni l’ecologia divenne lentamente sinonimo di impegno civile e di critica sociale verso deleteri modelli industriali e produttivi. Si pensi ad esempio alla prima fase del movimento ecologista globale che a ridosso del disastro nucleare di Chernobyl iniziò progressivamente a tradurre la conversione ecologica nella critica puntuale della nociva alleanza tra il progresso tecnologico e il ruggente neoliberismo dei primi anni Ottanta. Proprio in quel contesto l’idea di conversione ecologica abbracciava e proponeva tanto modelli di conversione industriale ed energetica, quanto atteggiamenti pratici riguardanti il consumo individuale e gli stili della stessa convivenza civile. Sono particolarmente illuminanti a tal proposito le parole di Alex Langer che così si esprimeva in un intervento pubblico del 1994 dal titolo “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”: «Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana e onnipervadente.

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Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in “lentius, profundius, suavius” (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva in nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso».Sulla scorta delle osservazioni di Langer, i movimenti ecologisti che si sono avvicendati negli anni Novanta e nel decennio successivo hanno preso la forma di veri e propri movimenti collettivi per la difesa del patrimonio comune. Proprio l’idea di comune o ancor più di beni comuni sembra essere oggi il fulcro di un’autentica

conversione ecologica. Il patrimonio maggiormente attaccato e depredato da voraci interessi economici e industriali non è solo quello ambientale o paesaggistico, ma coincide con il patrimonio delle culture locali, delle popolazioni indigene, ovvero con il patrimonio linguistico e vernacolare di tutti quei contesti sociali che in qualche modo subiscono vere e proprie operazioni di saccheggio sia territoriale che culturale.

Pertanto l’ambiente da tutelare e nei riguardi del quale avviare efficaci progetti di conversione ecologica è anche lo spazio caldo e accogliente della vita associata, l’orizzonte delle imprese e degli usi comuni. Conversione ecologica non significa semplicemente abituarsi a nuovi stili di vita o a pratiche quotidiane di riciclo, non può essere neanche riducibile ad alcune scelte etiche come l’acquisto di un’automobile meno inquinante. L’habitat umano è il luogo privilegiato in cui esercitare nuove forme di conversione ecologica, nella consapevolezza però che l’habitat è per l’uomo l’insieme delle relazioni sociali vivibili e accoglienti. Detto in altri termini, è la gestione del comune (sotto forma di risorse, usi o beni comuni) a offrirsi come terreno e territorio di socialità in cui sperimentare processi e opere di contestazione nei riguardi dell’individualismo proprietario e in difesa di ciò che è e deve restare inappropriabile. Lento, profondo e dolce sono aggettivi che non si addicono a oggetti ma a relazioni, ovvero alle relazioni accoglienti e abitabili che vorremmo essere in grado di ritrovare e generare; sono aggettivi che si addicono al modo con cui Gesù stesso viveva le proprie relazioni umane. Sperimentare la gestualità lenta, profonda e dolce di Gesù è il primo ed essenziale movimento di un’autentica conversione ecologica, quella che «comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che le circonda» (Laudato si’, 217).

* Docente di Filosofia teoretica

Sintesi della relazione tenuta al Festival del creato - Chieti, 9 settembre 2016

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Festival del crearo: Mons. Bruno Forte, fra Domenico Paoletti e Vincenzo Rosito

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Pensare miSeRiCoRdioSAmente, ovvero la misericordia come mentalità

di Giulio Cesareo*

Quest’anno straordinario della Misericordia si avvia verso la conclusione e tra i numerosi frutti, come augurato dal Papa, c’è stata una rinnovata consapevolezza del volto di Dio Padre, che è in se stesso misericordia. Per questo Egli non si limita a donarla ai suoi figli solo in certe occasioni o a certe condizioni, ma costantemente ne fa dono abbondante.Allo stesso tempo il giubileo ha avuto lo scopo di far crescere noi cristiani non solo come “fruitori” della Misericordia, ma di lasciarci conquistare da essa, affinché i figli siano sempre più somiglianti al Padre e “la Chiesa risplenda come segno di unità e strumento della tua gloria” (dalla liturgia). Non per niente il motto del giubileo è stato proprio: “misericordiosi come il Padre”.A questo proposito desideriamo fermarci a considerare un aspetto di questa somiglianza, che è quello della mentalità, del pensare misericordiosamente.Spesso, infatti, tendiamo a considerare la misericordia un atteggiamento temporaneo, dovuto a circostanze straordinarie, che porta a non intervenire in maniera drastica nei confronti di qualcuno che si è reso colpevole di qualcosa. In questo modo la misericordia e il perdono appaiono come una sorta di amnistia, di cui tutti godiamo e ne siamo consapevoli in quanto credenti, e che per questo va in qualche modo a nostra volta offerta ai nostri debitori, come richiesto da Cristo (“fino a settanta volte sette”: Mt 18,22).

giubileo della misericordia

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Rembrandt, “Ritorno del figliol prodigo” (1668-1669)

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Ora, tutto questo è vero e doveroso, però sembra ancora in qualche modo un’eccezione, un atteggiamento temporaneo, perché riteniamo che alla fine trionferanno il diritto e la giustizia, così come li intendiamo noi: i buoni premiati e i cattivi puniti. Credo che tutti intuiamo però che dietro questa visione c’è una sorta di antropomorfismo, perché è vero che alla fine – come Gesù annuncia diverse volte nel Vangelo – ci sarà il giudizio, ma non

possiamo dimenticare che il modo in cui avverrà questo giudizio non può essere quello a cui siamo abituati nelle corti dei tribunali di noi uomini. Esso continuerà a essere il giudizio di Colui che in Cristo crocifisso e risorto per noi ha scelto di essere nostro Padre per sempre. Certo, nessuno di noi sa come andranno le cose, ma siamo certi che non potrà non essere amore, non potrà

non essere misericordia, perché il Signore è l’amore e la misericordia.Queste considerazioni possono così diventare una provocazione per noi tutti, perché se uno degli scopi del giubileo è proprio farci crescere nella somiglianza al Padre, che è misericordia, probabilmente dovremmo imparare sempre più a guardare noi stessi e gli altri (soprattutto coloro che non ci vanno proprio a genio) con misericordia. Inoltre, come San Paolo ci ricorda, in virtù del battesimo e dell’eucaristia “noi abbiamo ricevuto il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16). È certo un dono gratuito che tuttavia, siccome è frutto della relazione interpersonale con Cristo, va custodito e fatto crescere. Proprio per questo, può pensare con misericordia solo chi è stato raggiunto da essa, chi si è scoperto vero figlio del Padre, nell’abbraccio del perdono in quel pandokeion che è la Chiesa, quella locanda della parabola del buon Samaritano in cui tutti sono accolti (cf Lc 10,34).Un’ultima precisazione: pensare e valutare misericordiosamente non significa buonismo, né tantomeno indifferenza. Per questo, se vogliamo fare un esempio, certo inadeguato, ma che comunque può aiutare a intuire qualcosa di questa mentalità misericordiosa possiamo pensare alla valutazione che un genitore sano fa di un suo figlio problematico e/o ribelle. Il male non viene negato, ma la persona continua a essere accolta, perché la relazione che li unisce è più forte del male, dal momento che è una relazione d’amore: la persona, infatti, è più importante delle sue azioni. E per questo la speranza e l’impegno del genitore in vista di un miglioramento del figlio non vengono mai meno.Speriamo, allora, che anche in queste ultime settimane del giubileo della misericordia il Signore ci doni la grazia di partecipare un po’ di più alla sua mentalità, a quella visione della realtà che ci fa davvero suoi collaboratori (cf 1Cor 3,9) per la salvezza del mondo: la Chiesa, sacramento del regno.

*OFMConv, Docente di Teologia Morale e Metodologia

Michelangelo, “Giudizio universale” (1535-1541)

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versione Francescana della misericordia

di Orlando Todisco*

L’atteggiamento fondamentale dell’uomo non pare sia quello rivendicativo ma quello oblativo - non siamo fatti per pretendere qualcosa o dominare qualcuno, ma per donare e comunicare. Il presupposto di questo assunto è che non siamo al mondo da noi o in forza di qualche diritto, ma in quanto voluti da chi poteva non volerci. Il che può essere tradotto dicendo che siamo grazie a un atto di benevolenza, dal momento che siamo e abbiamo grazie al contributo gratuito della causa prima come di tante altre cause seconde che agiscono con noi. In questo contesto di sovrabbondanza causale - la convergenza di tante cause a nostro favore dovrebbe inorgoglirci e non umiliarci, come purtroppo per lo più si ritiene - l’atteggiamento conseguente dovrebbe essere segnato da un’analoga liberalità, donando a propria volta quanto si è e si ha in un orizzonte non definito o definibile. Ebbene, ciò che a livello filosofico diciamo della benevolenza, a livello teologico dobbiamo dire a maggior ragione della misericordia, quando, più che del nostro venire all’essere, ci si occupa del nostro modo d’essere: nel primo caso si è grazie a un atto di benevolenza, nel secondo grazie a un atto di misericordia.Occorre però constatare che, più che la benevolenza, al primo posto l’Occidente pone per lo più la giustizia e cioè il dare a ciascuno quanto gli spetta (unicuique suum). Il presupposto remoto di questo stile è da riporre nella concezione dell’essere come diritto-di-essere, da difendere contro tutte le violazioni e da far valere in tutte le circostanze, sicché, se si è, qualunque sia il modo, la ragione è riporre nel nostro stesso essere. “Solo ciò che è razionale è reale” (Hegel, nella foto). Estendendo questa logica alla trama sociale, si assume a guida il principio di ragion sufficiente, non solo esplicativo del darsi delle cose, ma anche garanzia dell’ordinata condotta comunitaria. In quest’ottica complessiva la benevolenza, come donazione dell’essere e come sostegno gratuito nelle molte circostanze della vita, può essere al più una parentesi del pensare e dell’agire, non la misura, così come a maggior ragione non può esserlo la misericordia. Dunque, le contrapposte visioni del mondo sono una rivendicativa, l’altra oblativa, una fondata sulla giustizia, l’altra sulla benevolenza.

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Come articolarle? In prima istanza occorrerebbe render conto del fatto che l’estraneità della benevolenza alla temperie culturale dell’Occidente è legata al primato del diritto-a-essere che costituisce la sua anima segreta, ancora d’indole pagana. Ciò che si impone è la trama razionale o in quanto effettiva o in quanto in costruzione, alla luce del principio di ragion sufficiente. In tale contesto Dio è un giudice che applica rispettosamente la legge. La misericordia soggiace alla giustizia – unicuique suum. In seconda istanza occorrerebbe evocare il primato della libertà creativa di segno oblativo, che porta a prendere coscienza di essere in modo gratuito, senza-perché ma non senza-senso, proprio della versione francescana della visione cristiana del mondo. In tale contesto Dio è il sovrano che non sottostà ad alcuna legge, perché a tutte superiore, ma distribuisce in piena libertà i suoi doni. La misericordia non soggiace alla giustizia né l’abolisce, ma la trascende. Egli rende conto solo a se stesso. Questo capitolo lo riterrei preambolare, nel senso che o si rettifica il pensare mettendo al primo posto non il diritto-a-essere ma il dono-di-essere cioè la benevolenza o, altrimenti, il tema della misericordia risulta una brusca interruzione del pensare filosofico o meglio una sua contestazione da parte del pensare teologico, che non tutti sono disposti a condividere.

la premessa francescana della misericordia – Il francescano propone, dunque, il capovolgimento del primato della ragione con il primato della libertà, ponendo in principio l’atto creativo, secondo cui il mondo e le sue creature, perché contingenti, devono il loro essere a Colui che poteva tenere per sé ciò che ha voluto partecipare fuori di sé. Non essendo, non si aveva alcun diritto – il diritto comincia dal momento in cui si è. Al primo posto da una parte la libertà creativa e dall’altra il nulla, sicché ciò che viene all’essere è essenzialmente dono, dunque con un significato che rifluisce nella stessa libertà di colui che l’ha voluto. Siamo all’abisso della libertà creativa di segno oblativo. Si impongono non il diritto-a-essere e la mentalità rivendicativa, quasi che Dio debba qualcosa a qualcuno, ma il ‘dovere di ringraziare’, prendendo coscienza della propria gratuità. Infatti, cosa significa il dire che Dio ci ha pensato prima che fossimo o che ci ha amato quando ancora non eravamo? Significa che siamo espressione della

sua libertà creativa. E se voluti in totale gratuità - non siamo stati noi a chiederglielo - possiamo forse dubitare del suo amore nei nostri riguardi o che in determinata circostanza o per qualche nostro gesto inconsulto possa venir meno, quasi che tale amore sia sorto o sia provocato dal nostro comportamento corretto? Noi siamo

suoi figli. Non figli in quanto figli ‘ideali’, ma figli e basta, e dunque amati non a causa del nostro comportamento – il che sarebbe davvero umiliante per Dio. Ricondotta a questo sfondo ontologico, la ‘misericordia’ non copre forse per intero l’essere, senza soluzione di continuità? La misericordia al primo posto. Siamo noi in grado di intenderla? Definendola la impoveriamo e agganciandola a Dio concepito non come libertà suprema ma come essere supremo la rendiamo marginale.

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Infatti, se indica ondeggiamenti e imperfezioni, la storia dell’uomo non può riguardare Dio essere assoluto, il quale può ‘compatire’ il nostro soffrire ma restandone fuori, senza cioè partecipare alle nostre vicende. Per non dar luogo a un tale pensare filosofico che poi il pensare teologico smentisce, Dio non dobbiamo concepirlo come essere supremo ma come suprema libertà, e dunque come gratuità, nel senso che ci precede in tutto, avvolgendoci nell’onda del suo amore. L’apertura del Cielo sopra di noi e la discesa sul mondo del fiume della carità di Dio è il primo, fondamentale capitolo dell’avventura cristiana.

l’amore di Francesco per la chiesa in quanto sorgente di misericordia – Depositaria della misericordia, la Chiesa ha il compito di farla rifluire sull’umanità attraverso i suoi canali sacramentali. Francesco non riesce a pensarsi fuori della Chiesa o contro la Chiesa, perché vive nella e della misericordia sacramentale. Egli assume posizioni radicali, identificabili con posizioni di altri movimenti ereticali – con Pietro Valdo, con i Patari, con Gioacchino da Fiore, con i Flagellanti; egli spoglia la pratica del Vangelo di tutto l’apporto della storia posteriore della Chiesa – la sua è sequela Christi, non Apostolorum; egli si dimostra contrario a una concezione gerarchica – tutti figli di Dio con il superiore servo dei sudditi; egli prevede il dovere di disobbedienza in determinate circostanze e quindi il discernimento circa ciò che viene comandato; egli riserva uno spazio conveniente ai laici, da associare alla vita della Chiesa e non sottometterli al dominio dei chierici, ebbene queste prese di posizione e altre modalità di vita non affatto in linea con lo stile di vita della Chiesa, vicine piuttosto ai diffusi movimenti ereticali, Francesco, nonostante questi contrasti che lo collocavano sul crinale dell’eresia, vuole restare in comunione con la Chiesa, perché depositaria ufficiale dei tesori della misericordia. Pur di non spezzare i legami con questa fonte di misericordia, egli si piegherà a qualche compromesso – si veda la distanza tra il ‘propositum’ del 1209 o la Regola non bollata del ‘21, che Francesco scrive con frate Leone, riducibili a ‘forma vitae’, prive di qualsiasi cornice giuridica, e la Regola effettivamente approvata da Onorio III nel 1223, spirituale e giuridica insieme. Alla fine non fu approvata la sua Regola, ma quella del ‘23, detta Regola bollata, con una definita cornice giuridica – si pensi, ad es., che l’intero capitolo della Regola del 1221, dedicato alla sottomissione ad ebrei e musulmani, senza liti e dispute, sparirà del tutto nella Regola bollata del 1223, in linea con il diritto canonico che proibiva ai cristiani di sottomettersi ad ebrei e musulmani. Francesco, tuttavia, pur accettandola, restò fermo nel suo ‘propositum’ iniziale, come risulta dal Testamento, dove ribadisce il nucleo del suo messaggio di abbandono alla misericordia di Dio, senza alcun altro sostegno – celsitudo paupertatis. Egli non conosce alternative alla Chiesa, sorgente di misericordia, e insieme vuole fortemente che tenga vivo quel fuoco in grado di bruciare le molte scorie luttuose che portano la storia a ripiegarsi su di sé, chiudendosi alla voce di Dio.

*OFMConv, docente di Filosofia francescana

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la conversione dell’eBreo attal

di Francesco Costa*

Si conosce poco della vita di Francesco Salvatore Attal, detto Soter, chiaro scrittore anche di cose francescane, passato dall’ebraismo alla fede cattolica. Una sua pronipote, la dr.ssa Anne Marie Baron, pubblicando nel 2015, in edizione critica, il testo del prozio edito nel 1908: Esoterismo biblico (Ésotérisme biblique. Traduction, présentation et notes d’Anne-Marie Baron, Editions L’âge d’hommme, Paris 2015), offre alcuni dati biografici su Salvatore Attal che, sebbene scheletrici, aprono uno spiraglio sulla complessa personalità del Soter.Nato nel 1877 da Salomone e Mimah Attal, cugini, ebrei della comunità di Livorno, l’Attal cresce alla scuola del noto rabbino Élia Benamozegh (1823-1900). Studia lettere latine e greche al Liceo Giovanni Battista Niccolini di Livorno, alunno del “poeta fanciullo” Giovanni Pascoli (1855-1912). D’animo delicato e gentile, in una lettera spedita da Torino il 12 agosto 1900, Soter esprime la sua profonda gratitudine al maestro romagnolo per avergli fatto assaporare sui banchi di scuola, grazie ai suoi metodi didattici, le bellezze della lingua greca e latina: «Debbo a Lei se nei momenti di stanchezza e di sconforto (quale vita non ne presenta?) io possa trovare sollievo e forza nelle sagge [?] parole dei grandi poeti», e ringrazia l’autore della Cavallina storna, in nome dei giovani, per la Lyra Latina (1895), la prima delle quattro antologie destinate agli studenti classici, nelle quali Pascoli indica loro un nuovo modo di porsi a contatto con l’antica cultura greca e latina.Anne-Marie Baron definisce l’erudito suo prozio Salvatore Attal “tout à fait paradoxal”, forse in ragione dei variegati interessi del Soter. È laureato in ingegneria; il 23 marzo 1919, partecipa al raduno mussoliniano di piazza Sansepolcro a Milano per la fondazione dei fasci italiani di combattimento; s’interessa di esoterismo, come appare dal citato saggio del 1908: Esoterismo biblico che, secondo la Baron, intendeva esprimere il desiderio che la Chiesa cattolica prendesse coscienza della sua eredità ebraica, auspicio accolto nella dichiarazione Nostra ætate del Vaticano II sul dialogo tra le religioni.Attratto dalla cabala giudeo-cristiana moderna, entusiasmato dall’Esoterismo biblico, ritenuto da lui necessario per il progresso del dialogo interreligioso, nel 1915 Soter scrive La religione di Cristo:

storia e personaggi

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Giovanni Pascoli

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saggio di cristianesimo esoterico (Torino, Ed. Fr.lli Bocca), imponente lavoro di 415 pagine, nelle quali ci sono forse i germi della sua conversione al cattolicesimo, in ciò probabilmente agevolato dal fascino del Poverello d’Assisi, sul quale nel 1930 pubblica a Livorno, per i Tipi di Belforte e C. Editori, il suo S. Francesco d’Assisi, opera di erudizione francescana di ben 536 pagine.Per la dr.ssa Baron, il libro del prozio sarebbe una delle prime biografie storiche del Poverello; ma l’opera dispiacque alla rivista Miscellanea Francescana (31 1931 226-27): «Il signor Attal non ha voluto scrivere una Vita di S. Francesco: esso ha preso per tema S. Francesco d’Assisi. E quindi ha spaziato dove ha voluto. È vero che nella prefazione ha dichiarato di voler seguire il canone di Renan, epperò ha voluto dare per certo quello che è certo, per probabile quello che è probabile, per possibile quello che è possibile; ma in tal caso si può fare una enciclopedia, non una storia» (p. 226).Autore della recensione era il noto storico Conventuale p. Giuseppe Abate (1889-1969), allora Rettore del Collegio serafico internazionale dei Frati Minori Conventuali e da poco anche direttore della MF. Quello che dispiaceva al p. Abate nel S. Francesco di Attal era la non chiara distinzione storica tra il «ceppo primitivo» dell’Ordine, rappresentato dai Frati Minori Conventuali, e le altre famiglie francescane («Frati Minori, o semplicemente Francescani» e «Frati Minori Cappuccini»). Essendo riforme, gli attuali

Frati Minori e i Cappuccini, dal punto di vista storico non possono che essere storicamente posteriori ai Conventuali. Lo prova il fatto, scriveva l’Abate, che la custodia del corpo di S. Francesco, «l’originale» della conferma della Regola da parte di Onorio III (29 nov. 1223), «le chiese più importanti dell’Ordine» costruite nel sec. XIII e via dicendo, sono in possesso dei Minori Conventuali (p. 227).Amico della verità, Salvatore Attal dovette accogliere di buon grado le osservazioni del p. Abate, del quale divenne subito amico fraterno. Nella Cronaca del Collegio Serafico,

allora in via di S. Teodoro, alle falde del Palatino, si annota: «21 ottobre 1932. Giunge in collegio l’Ing. Attal, il quale si fermerà, ospite illustre nel nostro Collegio, per alcuni giorni, dovendo fare delle ricerche scientifiche insieme al nostro P. Rettore» (Cron Coll. vol. III, p. 57). Da parte sua l’Abate, non ostante l’accennata riserva, stimava il S. Francesco dell’Attal ed ebbe modo di manifestarlo in più di un’occasione. Presentando in MF 33 (1933) 313, l’articolo del Soter: Studio delle fonti per una vita di Frate Elia, scrisse: L’Attal «ha già dato alla letteratura francescana un S. Francesco d’Assisi (Editore Belforte) che tanta risonanza ha avuto nel campo degli studiosi francescani». Riportò inoltre in MF 34 (1934) 14, tradotto in italiano, il lusinghiero giudizio sul S. Francesco del Soter apparso nel Times di Londra del 18 gennaio 1934. Dopo quest’opera, continua intensa l’attività letteraria di Salvatore Attal, ma non è possibile elencarla tutta. Citiamo: La benedizione di Frate Leone in MF 32 (1932) 245-48; il già menzionato Studio delle fonti per una vita di Frate Elia (ibid. 33 [1933] 313-19), prodromo a Frate Elia compagno di S. Francesco (Ed. Mediterranea, Roma 1936), robusto lavoro sulla figura del Vicario di S. Francesco e Ministro generale dell’Ordine, che il Soter, alla luce della storia difende dalle accuse degli avversari,

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vagliando e interpretando le fonti e ponendo in evidenza meriti e demeriti di colui che Attal definisce uomo «pari ai più grandi uomini del suo tempo» (MF 36 [1936] 523).Già convertito al cattolicesimo (lo vedremo subito), pubblica Le virtù francescane (Ed. Carabba, Lanciano-Roma 1947), e in MF 48 (1948) 11-21, l’interessante documentazione su Assisi «Città ospedaliera»: Assisi città santa. Come fu salvata dagli orrori della guerra. Nell’articolo dell’Attal emerge il febbrile lavoro di quanti s’impegnarono per la salvezza della città di S. Francesco: il p. Bonaventura Mansi (1900-1964), Custode sacro convento; il Ministro generale p. Beda Hess (1885-1953); il benedettino vescovo di Assisi Placido Nicolini (1877-1973) lo scrittore Arnaldo Fortini (1889-1970) Podestà di Assisi e, non ultimo, il colonnello tedesco Valentin Müller (1891-1951), innamorato di S. Francesco, della città serafica e del suo patrimonio artistico.Ed eccoci al passaggio di Salvatore Attal al cattolicesimo. Nei suoi scritti egli non fa cenno al travaglio che precede il grave passo che, come si può immaginare, comporta spesso la perdita degli affetti più cari (parenti, amici, conoscenti, estimatori), mentre il catecumeno, solo, s’incammina verso la via crucis fino al calvario alla ricerca di sollievo davanti al Crocifisso sanguinante. Di sicuro, con il sostegno della grazia, il passaggio di Soter alla fede cattolica sarà stato alleviato dalla sua profonda conoscenza della Bibbia, dal profondo amore verso s. Francesco d’Assisi (in ossequio del quale al battesimo assumerà il nome), dal conforto degli amici, specialmente del p. Giuseppe Abate. La Cronaca del collegio serafico, che citerò subito, annota che la preparazione immediata di Soter al battesimo fu affidata al Servo di Dio p. Leone Veuthey (1896-1974), religioso dotto e di profonda vita interiore, filosofo, teologo e mistico.L’ora fatidica scoccò giovedì 10 ottobre 1946: «Questa mattina alle ore 10.30 è stato battezzato nella Basilica dei SS. XII Apostoli l’ebreo Prof. Attal, d’anni 65[!] circa, nato a Livorno, illustre scrittore e storico francescano./ Ha amministrato il santo Battesimo, il Rev.mo nostro P. Generale [Beda Hess], assistito dal Parroco e Vice Parroco della Basilica dei SS. Apostoli./ Fungeva da Padrino il Prof. Eugenio Zolli, anche egli da poco convertito, già gran Rabbino di Roma. /Erano presenti al commovente Rito che si è svolto nella Cappella del SS. Crocifisso (nella foto, ndr) solennemente addobbata, oltre al Rev.mo P. Abate, al Rev.mo P. Veuthey, il P. [Gaetano] Stano, P. [Lorenzo] Di Fonzo, P. [Giorgio] Spangaro, altre personalità dei Frati Minori Osservanti e dei Cappuccini, nonché rispettabili professori e la Duchessa Margherita Colonna ed altri» (Cron. Coll. IV, pp.182-83).Poco tempo dopo il battesimo, Francesco Salvatore Attal volle anche professare la Regola del Terz’Ordine Francescano Secolare. Il rito fu celebrato nella prima decade del maggio 1947 ad Assisi, nella basilica di s. Francesco. L’illustre scrittore livornese, grande amico dei frati del sacro convento, specialmente del sardo p. Michele Todde (1878-1972) con il quale intrattenne una fitta corrispondenza epistolare, si spense nel dicembre 1966.

* OFMConv, docente emerito della Facoltà

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al cuore del PontiFicato di PaPa Francesco

Per comPrenderne l’imPronta Francescana

gianfranco grieco, La Chiesa francescana di Papa Francesco

Libreria Editrice Vaticana, 2016, pp.140 (euro16,00)

di giuseppe costa*

È bello ed originale il titolo che padre Gianfranco Grieco OFMConv., giornalista e scrittore, alunno del Seraphicum dal 1964 al 1968, ha voluto dare alla sua ultima pubblicazione: La Chiesa francescana di Papa Francesco, con una presentazione di Luigi Accattoli, vaticanista di lungo corso del Corriere della Sera. Padre Grieco per trentasette anni giornalista ed inviato de L’Osservatore Romano, dopo i tre volumi pubblicati su san Giovanni Paolo II e il volume su Papa Benedetto XVI, non poteva non cogliere la dimensione francescana di questo pontificato che sin dal giorno della elezione nella Cappella Sistina e dal nome scelto dal nuovo Papa ha dato i primi segnali della francescanità del suo servizio petrino.Dal nome alla scelta minoritica di vita il passaggio è d’obbligo: povertà, semplicità, austerità, essenzialità, itineranza, dialogo, cura della casa comune, misericordia, tenerezza verso gli ultimi: i poveri ed i rifugiati.Padre Grieco inizia con l’esame dei verbi e dei sostantivi francescani che Papa Francesco sin dall’inizio usa e trasmette con la sua predicazione scalza ed itinerante: “custodire”, “benedire”, “contemplare”, “riformare”, “perdonare”; e poi “povertà”, “accoglienza”, “comunità”, “fraternità”, “tenerezza”, “misericordia”. Dietro a questi concetti, quotidianamente commentati da Papa Francesco, vi sono delle convinzioni profonde che vengono accompagnate da gesti che continuano a scuotere le coscienze dei benpensanti e di quanti sono attaccati ad uno stile di vita non sempre consono al dettato del Vangelo.Il punto di partenza è stato chiaro sin dall’alba del pontificato:”Voglio una Chiesa povera per i poveri”; poi i richiami forti ed accorati alla curia romana nel suo insieme ed in particolare ai cardinali, ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose.

tra le righe

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Per tutti e per tutte ha avuto parole e richiami alla conversione del cuore, alla fedeltà, alla testimonianza evangelica. Non vuole Papa Francesco una vita religiosa “da salotto”; desidera una vita sacerdotale spesa per Cristo e per la Chiesa come ha insegnato e voluto Francesco d’Assisi. “Chi entra nella Chiesa non entra in una corte” - diceva il 24 febbraio 2014 nel corso del primo concistoro-. E poi l’invito ad essere pastori “semplici, distaccati, poveri e misericordiosi”.Vuole avere dei compagni di viaggio Papa Francesco e non camminare da solo. Non basta l’esempio di Papa Celestino ed il suo, per scuotere la Chiesa dal sonno e dall’indolenza. Sarà la forza dello Spirito a rinnovare la Chiesa. Ma serve la docilità e la testimonianza di tutti coloro che hanno scelto di vivere in semplicità e letizia.Non si scontrano in Papa Francesco rigidità e tenerezza. Può sembrare che quando guarda al mondo ecclesiastico abbia parole ed accenti esigenti e quando posa il suo sguardo sulla famiglia, sulla vita, sulle politiche nazionali ed internazionali e sulle economie, abbia parole più tenere e misericordiose. Solo apparentemente possono sembrare due misure. Si tratta, invece, di due proposte che devono essere recepite ed accolte con cuore sincero e contrito ed essere tradotte in programmi di vita per il bene comune. Solo un cuore francescano riesce a cogliere la portata di questo messaggio che parte da Lesbo, allarga il suo sguardo sull’Europa di oggi e punta sul coraggio dei profeti.Papa Francesco, sin dal momento della sua elezione alla Cattedra di Pietro ha capito bene che è santo Francesco a rendere credibile il cristianesimo dinanzi al mondo e dinanzi alla storia. L’evento di Assisi di qualche settimana fa conferma questa urgenza ed indica la strada da percorrere. Il libro di padre Grieco, oltre ad esaminare il cammino percorso sino ad oggi, indica anche la strada verso futuro.

* Direttore della Libreria Editrice Vaticana

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inaugurazione 113° anno accademico

Si terrà sabato 15 ottobre l’inaugurazione del 113° anno accademico della Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” Seraphicum.Il programma prevede, alle ore 9,30, la celebrazione eucaristica nella cappella “San Bonaventura”, presieduta da monsignor Francesco Nolè, OFMConv, arcivescovo di Cosenza-Bisignano ed ex studente del Seraphicum.A seguire il rinfresco per un momento di incontro e di condivisione e quindi, alle ore 11, l’appuntamento accademico con il saluto e l’introduzione del Preside della

Facoltà, fra Dinh Anh Nhue Nguyen e la prolusione di Sr. Mary Melone, SFA, Rettore della Pontificia Università Antonianum sul tema “Il rapporto tra cristologia e pneumatologia nel dibattito teologico attuale in prospettiva francescana”.

convegno Francescano sulla misericordia

Convegno francescano, il 4 novembre promosso dalla Facoltà, sul tema “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso – 800 anni del Perdono di Assisi nell’Anno della Misericordia”. Una iniziativa che intende offrire un contributo alle iniziative dell’Anno della Misericordia, indetto da papa Francesco e coinciso con l’800° anniversario del Perdono di Assisi.I lavori saranno aperti, alle ore 15, da p. raffaele di muro (OFMConv), cui seguirà l’intervento di p. leonhard lehmann (OFMCapp) su “La misericordia: nell’esperienza e negli Scritti di Francesco di Assisi”. Alle ore 16 sarà la volta di p. raniero cantalamessa (OFMCapp) che terrà una relazione sul tema “La misericordia: testimonianza e missione della Chiesa oggi”.P. antonio ramina (OFMConv) interverrà, alle 16.45, su “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). La Misericordia: concetto chiave della Rivelazione e dell’esperienza cristiana”.Alle 17.30 le conclusioni del Preside p. dinh anh nhue nguyen (OFMConv).

appuntamenti

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novità editoriali

sentirsi a casa – Paesaggi interiori ed esteriori di guglielmo spirito

Prefazione di Edoardo Rialti - Postfazione di Emanuele Rimoli

Sentirsi a casa è un’espressione comune. Tutti intuiamo cosa significhi: riconoscere le cose che ci circondano e il paesaggio che ci è familiare, essere semplicemente noi stessi, e, grazie a questa consapevolezza, aprirsi a nuove realtà. Poi c’è l’avventura: il desiderio di varcare soglie sconosciute per scoprire altri paesaggi. Questo capita altresì con le esplorazioni spirituali, attraverso paesaggi interiori vasti e inattesi. Il libro è un invito al viaggio, all’ esplorazione di luoghi interiori ed esteriori, come in un gioco di specchi: tra un «dentro», nell’animo, nel cuore, e un «fuori», tra le cose della vita, nel meraviglioso mondo del creato. L’autore, con delicatezza e profondità, indaga questo misterioso rapporto (dalla quarta di copertina).

(Edizioni Messaggero Padova, 2016)

lo sPirito e la Polis - ProsPettive Per una Pneumatologia Politica di vincenzo rosito

Il volume si colloca al crocevia tra la riflessione teologica e la filosofia politica contemporanea. La crisi economico-finanziaria che sta interessando da ormai diversi anni l’intero contesto globale chiede di essere interpretata con uno sguardo critico capace di aprire prospettive nuove. Il legame che unisce l’ambito dello spirito e dello spirituale, da un lato, e quello della polis e del politico dall’altro, rappresenta una fecondo campo di riflessione e di ricerca. Analizzando i testi classici della tradizione cristiana intorno allo Spirito di Dio e il contributo di autori contemporanei quali Bonhoeffer, de Certeau e Moltmann, l’autore si prefigge di delineare un paradigma teologico-politico della pneumatologia in quanto riflessione critica intorno ai processi di identificazione politica, di inclusione sociale e di partecipazione generativa alla costruzione del bene comune.(Cittadella Editrice, Assisi, 2016)

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antroPologia e questioni di genere

“Il gender, una questione che ci interpella” è il titolo dell’editoriale del nuovo numero di Credere Oggi, il dossier di orientamento e aggiornamento teologico diretto da fra Germano Scaglioni, vice Preside della Facoltà, ed edito da trentacinque anni dalle Edizioni Messaggero Padova. Il fascicolo, dal titolo “Antropologia e questioni di genere”, intende “dare spazio a una riflessione articolata - si legge nell’editoriale -, rispettosa della complessità, nella convinzione che in merito al gender, vi sono certamente alcune interpretazioni non condivisibili, soprattutto alla luce di una visione antropologica cristiana, ma anche «istanze che meritano di essere seriamente considerate», come osservato in una nota dell’Ufficio scuola della diocesi di

Padova (2015), consultabile nella Documentazione”.

Qui il sommario.

LEKSYKON DUCHOWOŚCI FRANCISZKAŃSKIEJ - (wydanie drugie poszerzone)lessico di sPiritualità Francescana - (seconda edizione ampliata e aggiornata)

Fra pochi giorni sarà in commercio il Lessico di spiritualità francescana, seconda edizione ampliata e aggiornata, in lingua polacca. La pubblicazione, come la prima edizione, riprende in gran parte il Dizionario Francescano. Spiritualità, Movimento Francescano, Edizioni Messaggero, Padova 2002, a cura di E. Caroli OFM.Dopo dieci anni esce dunque la seconda edizione polacca con nuove voci originali, scritte da studiosi polacchi di francescanesimo, che vanno a costituire un quarto del presente Lessico. Il volume presenta inoltre un aggiornamento della bibliografia di tutte le 163 voci, con le rispettive pubblicazioni di riferimento nelle lingue europee, che hanno visto la luce tra il 2000 e il 2016. Il comitato redazionale è composto da quattro francescanisti: fra emil Kumka OFMConv, fra Wacław marian michalczyk OFM, fra zenon Styś OFM, fra Kazimierz Synowczyk OFMCap. Redattore responsabile della pubblicazione è fra Emil Kumka OFMConv, docente di Francescanesimo e direttore della Biblioteca del Seraphicum.La presentazione del Lessico avrà luogo il 29 novembre, festa di Tutti i Santi dell’Ordine Serafico, a Varsavia presso la sede del Centro Francescano per l’Europa Orientale e l’Asia Settentrionale.

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nuovo incontro in vista dell’università Francescana

Nuovo incontro, questa volta al Seraphicum, in vista della costituzione della Pontificia Università Francescana. Dopo un primo appuntamento alla Pontificia Università Antonianum, nel pomeriggio del 30 settembre si è tenuto un nuovo incontro al “San Bonaventura” per proseguire questo cammino, frutto di uno storico accordo comunicato mesi fa dai Ministri generali degli Ordini francescani fra Marco Tasca (OFMConv), fra Mauro Jöhri (OFMCapp), fra Michael Perry (OFM) e fra Nicholas Polichnowski (TOR). Si tratta quindi di lavorare sui vari aspetti per giungere a breve a un risultato concreto, come a suo tempo

spiegato nel documento sottoscritto dai Ministri generali e come comunicato a papa Francesco che, nella sua prima visita ad Assisi nel 2013, aveva auspicato proprio un segno di unità tra le famiglie francescane.

una ruBrica Per il centenario della mi

Il prossimo numero di San Bonaventura informa (in distribuzione a fine ottobre) ospiterà la prima uscita di una nuova rubrica che accompagnerà i lettori sino all’ottobre dell’anno prossimo, quando sarà celebrato il centenario di fondazione della Milizia dell’Immacolata, .Era il 16 ottobre del 1917 quando il giovane studente fra Massimiliano Kolbe dette vita, nell’allora sede del Seraphicum in via San Teodoro a Roma, alla Milizia dell’Immacolata. Si unirono a lui, in questa impresa, altri sei giovanissimi confratelli: padre Giuseppe Pal, giovane sacerdote della Provincia rumena; fra Antonio Glowinski, diacono della Provincia rumena; fra Girolamo Biasi, della Provincia padovana; fra Quirico Pignalberi, della Provincia romana; fra Antonio Mansi, della Provincia napoletana così come fra Enrico Granata. Si incontrarono ancora la sera successiva, arrivando poi all’approvazione ecclesiastica due anni dopo, con un’espansione progressiva, che prosegue tutt’oggi, e che conta adesioni in ogni parte del mondo.La nuova rubrica di SBi racconterà dunque, in questi mesi, storia e obiettivi della Milizia dell’Immacolata, attraverso differenti prospettive. La rubrica sarà coordinata da fra Raffaele Di Muro, direttore della Cattedra Kolbiana della Facoltà e presidente della Milizia dell’Immacolata internazionale.

francescanamente parlando

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I ritratti di p. Kolbe e dei sei confratelli, presenti nel convento di San Teodoro

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il seraPhicum al Festival Francescano

La Facoltà ha partecipato, per il quarto anno consecutivo, al Festival francescano svoltosi dal 23 al 25 settembre in piazza Maggiore a Bologna. Il Festival, quest’anno visitato da circa cinquantamila persone, è stato un’importante occasione per presentare le attività accademiche e culturali della Facoltà,

le pubblicazioni dei docenti, la rivista e casa editrice Miscellanea francescana, il mensile San Bonaventura informa, il Cineforum, la Casa per Ferie Seraphicum.La Facoltà ha portato a questo appuntamento di tutto il mondo francescano anche la figura di Tommaso da Celano, al centro di una conferenza, nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio, dal titolo “La vita ritrovata. Un dono-per conoscere meglio san Francesco e il suo primo biografo

Tommaso da Celano”. Ne hanno parlato, moderati da fra Raffaele Di Muro, lo storico Jacques Dalarun, fra Domenico Paoletti e fra Emil Kumka. Un’occasione anche per presentare ufficialmente il volume tommaso da Celano, agiografo di san Francesco - curato da fra Kumka ed edito da Miscellanea francescana - che raccoglie gli atti del convegno svoltosi lo scorso gennaio al Seraphicum.Nel contesto del Festival, dedicato quest’anno al tema del perdono, è stato anche “lanciato” il convegno francescano “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso – 800 anni del Perdono di Assisi nell’Anno della Misericordia”, in programma il prossimo 4 novembre al Seraphicum.Parallelamente alle attività di piazza Maggiore, nella vicina basilica di San Francesco sono state esposte le reliquie dei “Santi del perdono”: un sandalo e un guanto di san Pio da Pietrelcina assieme ai sai di san Leopoldo Mandić e di san Massimiliano Kolbe, ex studente del Seraphicum.

in Parole Francescane

O alto e glorioso Dio, illumina el core mio. Dame fede diricta, speranza certa, carità perfecta, humiltà profonda, senno e cognoscemento che io servi li toi comandamenti. Amen

Francesco, Preghiera davanti al Crocifisso: FF 276

PontiFicia FacoltÁ teologica “san Bonaventura” seraPhicumVia del Serafico, 1 - 00142 RomaSan Bonaventura informa è a cura dell’Ufficio Stampa del Seraphicum Responsabile: Elisabetta Lo Iacono ([email protected])

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