Anche nella vita di tutti a mano che procedi, sistema i tuoi appunti e crea il tuo Diario di Bordo...

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Anche nella vita di tutti i giorni, a volte, devo

usare il mio personale diario di bordo…

che andranno successivamente

ripresi ed analizzati.

Fin da subito va orientato ad operare una SELEZIONE e una FOCALIZZAZIONE su quegli aspetti che ci paiono rilevanti per CAPIRE LA

PROFESSIONE DOCENTE

e arrivare ad interrogare l’esperienza con “buone domande” (PROBLEMATIZZAZIONE).

Più scrivo, più conservo

informazioni e sapere!!!

Il DIARIO DI BORDO non ha fini conservativi o di accumulo di informazioni,

ma vuole trarre insegnamento dall’esperienza

del sapere quotidiano

(azione pratica, vissuto)

attraverso l’esplicitazione e il distanziamento

crea un quadro unitario che ci

permette di coglierne il significato,

darle senso, rendercene

consapevoli.

•Si sceglie cosa scrivere e cosa tralasciare•Cosa evidenziare e cosa lasciare sullo sfondo•Quali azioni collegare tra loro•Cosa trascurare perché secondario

Quindi durante e dopo l’esperienza d’aula:

Ricostruire “oggetto per oggetto” ciò che si è

osservato e come

Individuare ciò che fa problema, cioè gli elementi

critici di riflessione

Cercare di spiegare le ragioni della criticità con ipotesi interpretative

programmazione, insegnamento, relazione docente-alunni

evitare sguardi troppo descrittivi o panoramici, concentrandosi sull’essenziale

Ipotesi che vanno continuamente confermate da altre osservazioni mirate, oppure abbandonate se risultate sbagliate

Mano a mano che procedi, sistema i tuoi appunti e crea il tuo Diario di Bordo (non aspettare…)

Un poco alla volta sarà più semplice e precisa la tua osservazione in classe

Adotta uno stile personale senza togliere emozioni o reazioni immediate, anche di esse è impastato il lavoro dell’insegnante

Non aspettare inizia subito (prima però sistema gli appunti sul dialogo con il tuo docente accogliente, puoi già metterlo a frutto)

3 gennaioAbbiamo riunito i bambini della classe nell’atrio per puntualizzare le fasi del progetto insieme alla referente professoressa Angela Castelli. La professoressa ha chiesto agli alunni se erano in grado di ripercorrere in ordine cronologico tutte le attività svolte. I bambini hanno riferito correttamente tutte le varie fasi di lavoro, aiutati dagli interventi della maestra di classe (Maria Franchini) e da alcune domande poste dalla prof.ssa Castelli. E’ stato chiesto poi ai bambini:

“Avete parlato ai genitori del progetto?”“Quali materiali sono stati utilizzati?”“Quali strumenti avete utilizzato per la realizzazione

di questo lavoro?”“Cosa avete capito e cosa è cambiato dopo aver fatto questo

lavoro?”

I bambini, hanno risposto correttamente ed hanno riportato molte opinioni dei genitori (tutte positive riguardo al progetto).

Per rispondere i bambini si passavano un finto microfono di cartoncino; inizialmente ho pensato fosse una semplice modalità “giocosa”, ma la maestra Maria mi ha precisato che tale scelta è stata dettata dall’esigenza di dare la parola ad un solo bambino per volta e che così si evitava che tutti parlassero contemporaneamente.

Ancora una volta rimango stupita dalla quantità di suggerimenti pratici che l’esperienza di queste maestre mi offre.

Ci sono stati casi di bambini che hanno dato risposte evasive (“Quando torno a casa non parlo mai di scuola con i miei genitori” o “non mi ricordo”).

Sono stata colpita da queste risposte e nel cambio d’ora, ho chiesto chiarimenti alla tutor, la quale mi ha precisato che, spesso, risposte di questo tipo nascondono la voglia di non parlare del proprio rapporto con i genitori (è il caso di L. i cui genitori sono in procinto di separarsi per cui il bambino fatica a parlare di loro perché non capisce la loro decisione).

Mi è piaciuto molto come la tutor ha gestito la relazione con questi bambini apparentemente poco coinvolti: ad uno (L.) ha dato l’incarico di scrivere su un cartellone le risposte dei compagni e all’altro ha dato l’incarico di portare il finto microfono di cartoncino ai compagni. Alla fine la maestra ha elogiato il loro lavoro davanti a tutto il gruppo classe.

Prima di concludere l’incontro i bambini hanno cantato la canzone “Ci vuole un fiore” di Rodari – Endrigo, una bambina (A.) piangeva.

Mi sono avvicinata e le ho chiesto che cosa accadesse, A. candidamente mi ha confessato che cantando quella canzone provava una forte emozione. In seguito mi è stato riferito dalla maestra che la bambina ha un temperamento artistico e sensibile.

Ritengo che A., timida ed introversa com’è, abbia trovato nel canto lo strumento ideale per veicolare le sue emozioni di bimba, suscitate probabilmente da un crescendo musicale coinvolgente, e le abbia tradotte in lacrime di gioia.

Al suono della campana ricevo dalla maestra Franchini

l’incarico di riportare i bambini in classe per prendere la

merenda e quindi accompagnarli in giardino. I bambini

dimostrano di accettare di buon grado la mia presenza, alcuni

di loro mi hanno chiesto se sarò presente anche la prossima

settimana: non posso dire che la cosa non mi abbia fatto

piacere.