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ANALISI MATEMATICA Ottavio Caligaris - Pietro Oliva

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ANALISI MATEMATICA

Ottavio Caligaris - Pietro Oliva

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CAPITOLO 1

SPAZI EUCLIDEI n-DIMENSIONALI.

Per lo studio delle funzioni di piu variabili reali occorre aver presentialcune proprieta degli spazi euclidei adn dimensioni.

E inoltre indispensabile conoscere qualche proprieta delle applicazionilineari inRn e delle forme bilineari e quadratiche.

1. Norma e Prodotto scalare

DEFINIZIONE 1.1. Indichiamo conRn lo spazio vettoriale costituitodallen− ple ordinate di numeri reali; in altre parole

x ∈ Rn ⇔ x = (x1, x2, ...., xn) conxk ∈ R.

In Rn si definiscono le operazioni di somma e di prodotto per unoscalare mediante le

x+ y = (x1 + y1, x2 + y2, ...., xn + yn) , x, y ∈ Rn

eαx = (αx1, αx2, ...., αxn) , α ∈ R , x ∈ Rn.

L’insieme dei vettori

e1 = (1, 0, 0, ...., 0)

e2 = (0, 1, 0, ...., 0)

. . . . . . . . . . . .

en = (0, 0, 0, ...., 1)

costituisce una base diRn; si avra pertanto che, sex ∈ Rn

x =n∑

i=1

xiei.

DEFINIZIONE 1.2. Si definisce norma inRn una funzione che si indicacon

‖ · ‖ : Rn → Rche verifica le seguenti proprieta:

(1) ‖x‖ ≥ 0 ∀x ∈ Rn

(2) ‖x‖ = 0 ⇔ x = 0(3) ‖αx‖ = |α|‖x‖ ∀α ∈ R , ∀x ∈ Rn

(4) ‖x+ y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖ ∀x, y ∈ Rn.

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4 1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.

DEFINIZIONE 1.3. Si definisce prodotto scalare inRn una funzione

〈·, ·〉 : Rn × Rn −→ R

tale che

(1) 〈x, x〉 ≥ 0 ∀x ∈ Rn

(2) 〈x, y〉 = 〈y, x〉 ∀x, y ∈ Rn

(3) 〈x, x〉 = 0 ⇔ x = 0(4) 〈αx+ βy, z〉 = α〈x, z〉+ β〈y, z〉 ∀x, y, z ∈ Rn , ∀α, β ∈ R.

Come nel caso del valore assoluto per i numeri reali, si ha

|‖x‖ − ‖y‖| ≤ ‖x− y‖

LEMMA 1.1. Sianox, y ∈ Rn, allora

• -Disuguaglianza di Schwarz-Holder- se1/p+1/q = 1 , p, q ≥ 1, ∣∣∣∑ xiyi

∣∣∣ ≤∑ |xi||yi| ≤ (∑

|xi|p)1/p (∑

|yi|q)1/q

• -Disuguaglianza di Minkowski-(∑|xi + yi|p

)1/p

≤ (∑

|xi|p)1/p + (∑

|yi|p)1/p

La disuguaglianza di Holder si riduce alla piu nota disuguaglianza diSchwarz perp = q = 2.

Perp = q = 2 la disuguaglianza di Schwarz puo essere riscritta come

|〈x, y〉| ≤ ‖x‖‖y‖e puo essere dedotta osservando che,∀t ∈ R

0 ≤ ‖x+ ty‖2 = 〈x+ ty, x+ ty〉 = t2‖y‖2 + 2t〈x, y〉+ ‖x‖2

Cio implica infatti

〈x, y〉2 − ‖x‖2‖y‖2 ≤ 0

La corrispondente disuguaglianza triangolare segue da

‖x+ y‖2 = ‖x‖2 + ‖y‖2 + 2〈x, y〉 ≤ ‖x‖2 + ‖y‖2 + 2‖x‖‖y‖Osserviamo che

|〈x, y〉| = ‖x‖‖y‖se e solo se esistet ∈ R tale chex+ ty = 0, ovverox ey sono paralleli.

Pertanto

‖x‖ = sup〈x, y〉 : ‖y‖ ≤ 1 = max|〈x, y〉| : ‖y‖ ≤ 1.

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1. NORMA E PRODOTTO SCALARE 5

Sono esempi di norme inRn le seguenti

‖x‖p = (n∑

k=1

|xi|p )1/p p ≥ 1

‖x‖∞ = max|xi| : i = 1, .., n .Mentre un esempio di prodotto scalaree dato da

〈x, y〉 = (n∑

k=1

xiyi

Ovviamente si ha〈x, x〉 = ‖x‖22.

In Rn useremo abitualmente la‖·‖2 chee detta norma euclidea in quanto‖x‖2 coincide con la distanza euclidea del vettorex dall’origine.

Nel seguito faremo riferimento, a meno di espliciti avvisi contrari, a talenorma e scriveremo‖ · ‖ in luogo di‖ · ‖2.

Osserviamo altresı che il prodotto scalare sopra definito, pur non essen-do l’unico possibile, sara l’unico da noi considerato.

Si vede subito che

〈P1, P2〉 = |P1||P2| cos(θ2 − θ1)

Infatti, facendo riferimento adR2 e alla figura4.5, si ha

〈P1, P2〉 =

= x1x2 + y1y2 = |P1||P2| cos(θ2) cos(θ1) + |P1||P2| sin(θ2) sin(θ1) =

= |P1||P2| cos(θ2 − θ1)

L’osservazione appena fatta giustifica il fatto che

Diciamo che due vettorix, y ∈ Rn sono ortogonali se〈x, y〉 = 0.Diciamo che sono paralleli se esisteλ ∈ R tale chex = λy. Sex ed ysono paralleli 〈x, y〉 = ‖x‖‖y‖

Se‖ · ‖a e ‖ · ‖b sono due norme inRn si dice che sono equivalenti seesistono due costanti realiH eK tali che

H‖x‖b ≤ ‖x‖a ≤ K‖x‖b.

Si puo dimostrare che

In Rn tutte le norme sono equivalenti.

E anche interessante osservare che

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6 1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.

FIGURA 1.1.

La funzione p −→ ‖x‖p e decrescente∀x ∈ Rn e si ha

‖x‖∞ = limp‖x‖p = inf‖x‖p : p ≥ 1

inoltre

‖x‖∞ ≤ ‖x‖p ≤ ‖x‖1 ≤ n‖x‖∞ ≤ n‖x‖q ≤ n‖x‖1 ∀p, q ≥ 1

e pertanto le norme‖ · ‖p sono tutte equivalenti.

Le notazioni vettoriali introdotte consentono di esprimere facilmentecondizioni che individuano rette piani e sfere.

Possiamo individuare i punti di una retta che passa per il punto(x0, y0, z0)ede parallela alla direzione(a, b, c) semplicemente sommando(x, y, z) conil vettoret(a, b, c) al variare dit ∈ R.

Otterremo in tal caso che

(x, y, z) = (x0, y0, z0) + t(a, b, c)

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2. APPLICAZIONI LINEARI 7

che scritta componente per componentex = x0 + ta

y = y0 + tb

z = z0 + tc

fornisce le equazioni parametriche della retta.Set ∈ R+ avremo una delle due semirette in cui(x0, y0, z0) divide la

retta intera, mentre set ∈ [a, b] ci limitiamo ad un segmento della rettastessa.

Un piano passante per l’origine puo essere individuato dai vettori per-pendicolari ad un vettore assegnato; l’equazione del piano si potra quindiscrivere come

〈(x, y, z), (a, b, c)〉 = 0

mentre il piano parallelo che passa per(x0, y0, z0) e dato da

〈(x− x0, y − y0, z − z0), (a, b, c)〉 = 0

come abbiamo gia visto una sfera puo essere individuata come l’insiemedei punti che hanno distanza dal centro(x0, y0, z0) minore del raggioR;

Una sfera sara pertanto individuata dalla condizione

‖(x− x0, y − y0, z − z0)‖ ≤ R

2. Applicazioni Lineari

DEFINIZIONE 1.4. Si chiama applicazione lineare una funzione

f : Rn → Rm

tale che

f(αx+ βy) = αf(x) + βf(y) ∀x, y ∈ Rn , ∀α, β ∈ RL(Rn,Rm) e l’insieme delle applicazioni lineari suRn a valori in Rm.L(Rn,R) si chiama anche spazio duale diRn.

Gli elementi diL(Rn,Rm) possono essere messi in corrispondenza biu-nivoca con le matrici aventim righe edn colonne,Mm×n.

Piu precisamenteL(Rn,Rm) edMm×n sono isomorfi in quanto ogniapplicazione linearef puo essere scritta nella forma

f(x) = Ax conA ∈Mm×n.

e d’altro cantof(x) = Ax e lineare.In particolare

Le applicazioni lineari da Rn in R sono tutte e sole quelle della forma

f(x) = 〈x∗, x〉 con x∗ ∈ Rn.

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8 1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.

DEFINIZIONE 1.5. Sef ∈ L(Rn,Rm) definiamo norma dif ,

‖f‖0 = sup‖f(x)‖ : ‖x‖ ≤ 1.

Possiamo identificaref con la matriceA per la quale risultaf(x) = Ax,per cui possiamo anche definire

‖A‖0 = sup‖Ax‖ : ‖x‖ ≤ 1.D’altro canto si puo definire

‖A‖p = (∑ij

|aij|p)1/p p ≥ 1

e‖A‖∞ = max|aij| : i = 1, ..,m , j = 1, .., n

esattamente come negli spazi euclidei e si puo osservare che

‖A‖0 ≤ ‖A‖2 = ‖A‖la disuguaglianza essendo stretta ad esempio seA = I .

Possiamo anche provare che

Si ha che

‖A‖0 = sup|〈Ax, y〉| : ‖x‖ ≤ 1 , ‖y‖ ≤ 1 ed inoltre, seA ∈Mn×n = Mn e simmetrica

‖A‖0 = sup|〈Ax, x〉| : ‖x‖ ≤ 1 = Λ

doveΛ = maxλi : i = 1, 2, ..n = λi0

3. Forme Bilineari e Quadratiche

DEFINIZIONE 1.6. Si chiama forma bilineare inRn una funzione

f : Rn × Rn → Rtale chef(·, y) ef(x, ·) siano funzioni lineari suRn.

Le funzioni bilineari suRn sono tutte e sole quelle definite da

f(x, y) = 〈x,Ay〉 = 〈Bx, y〉 con A,B ∈Mn

doveB e la matrice trasposta diA. (si ottiene daA scambiando le righe conle colonne. Solitamente si denotaB = A∗).

DEFINIZIONE 1.7. Sef e una forma bilineare inRn; la funzione

g : Rn −→ Rdefinita da

g(x) = f(x, x)

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3. FORME BILINEARI E QUADRATICHE 9

si chiama forma quadratica inRn.Si puo sempre trovare una matriceA ∈Mn, non unica, tale che

g(x) = 〈x,Ax〉

possiamo inoltre sempre scegliereA in modo che sia una matrice simmetri-ca; in tal casoA si dice matrice associata alla forma quadratica e risultaunivocamente determinata.

Seg e una forma quadratica;g si dice semidefinita positiva (negativa)se

g(x) ≥ 0 ( ≤ 0 ) ∀x ∈ Rn

g si dice definita positiva (negativa) se

g(x) > 0 ( < 0 ) ∀x ∈ Rn0.

Si possono provare i seguenti:

TEOREMA 1.1. Siag una forma quadratica e siaA la matrice ad essaassociata; allora

• g e definita positiva se e solo se, dettoAk il minore principale diordinek di A , si ha

det Ak > 0 ∀k ;

• g e definita negativa se solo se

(−1)kdet Ak > 0 ∀k.

TEOREMA 1.2. Siag una forma quadratica e siaA la matrice ad essaassociata; allora

• g e definita positiva (negativa) se e solo se, dettiλk i suoi autova-lori, si ha

λk > 0 ( < 0 ) ∀k ;

• g e semidefinita positiva (negativa) se e solo se

λk ≥ 0 ( ≤ 0 ) ∀k.

Il prodotto scalare inRn

f(x, y) = 〈x, y〉

e il piu semplice esempio di funzione bilineare; la forma quadratica

g(x) = f(x, x) = 〈x, x〉 = ‖x‖

si riduce alla norma euclidea inRn La matrice di rappresentazione dellaforma bilineare associata al prodotto scalaree la matrice identica.

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10 1. SPAZI EUCLIDEI N-DIMENSIONALI.

4. Proprieta Topologiche

Una successione inRn e una applicazione

x : N −→ Rn

N 3 k 7→ xk ∈ Rn

Le propriet a di una successione inRn possono essere studiatecomponente per componente.

DEFINIZIONE 1.8. Chiamiamo sfera aperta di centrox0 e raggio r,l’insieme

S(x0, r) = x ∈ Rn : ‖x− x0‖ < rSeA ⊂ Rn

• x0 ∈ A si dice interno adA se esister > 0 tale cheS(x0, r) ⊂ A.• x0 e punto di frontiera perA ⊂ Rn se

∀δ > 0 S(x0, δ) ∩ A 6= ∅ e S(x0, δ) ∩ Ac 6= ∅

L’insieme dei punti diA che sono interni si indica conintA.A ⊂ Rn si dice aperto se tutti i suoi punti sono interni, cioe seA =

intA.A ⊂ Rn si dice chiuso se il suo complementaree aperto.∂A e l’insieme dei punti di frontiera diA .La chiusura diA e l’insieme

clA = x ∈ Rn : ∃xk ∈ A, xk → x.

Si puo verificare che

SeA ⊂ Rn

• clA = ∂A ∪ A• A e aperto se e solo se∀x ∈ A, ∀xk, xk → x, si ha xk ∈ A

definitivamente;• A e chiuso se e solo se∀xk ∈ A, xk → x, si hax ∈ A .

DEFINIZIONE 1.9. Un insiemeA ⊂ Rn si dice

• limitato, se esister > 0 tale cheA ⊂ S(0, r);• convesso, se∀x, y ∈ A, ∀λ ∈ [0, 1], λx+ (1− λ)y ∈ A;• compatto, se∀xk ∈ A, esiste un’estrattaxkh

→ x ∈ A;• connesso, se non esistono due insiemi aperti,A1,A2 tali cheA1 ∩A 6= ∅ , A2 ∩ A 6= ∅, A ∩ (A1 ∩ A2) = ∅ , A ⊂ A1 ∪ A2.

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4. PROPRIETA TOPOLOGICHE 11

Si puo dimostrare che

• A e compatto se e solo seA e chiuso e limitato.• In R gli insiemi connessi sono tutti e soli gli intervalli.• Gli insiemi connessi ed aperti diRn possono essere caratteriz-

zati dalla seguente condizione∀x, y ∈ A esiste una funzione

φ : [a, b] −→ A

continua, lineare a tratti ( il cui grafico e costituito da segmentiparalleli agli assi) tale cheφ(a) = x eφ(b) = y.

• SeA e convesso, alloraA e connesso.

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CAPITOLO 2

LE FUNZIONI DI PI U VARIABILI

Questo capitoloe dedicato allo studio delle proprieta di continuita edifferenziabilita delle funzioni

f : Rn → Rm

conn,m ≥ 1,

DEFINIZIONE 2.1. E data una funzione

f : Rn −→ Rm

se sono assegnati

• un insiemeA ⊂ Rn

• una corrispondenza

x ∈ A 7→ f(x) ∈ Rm

che ad ognix ∈ A associa uno ed un solo vettoref(x) ∈ Rm.

Si dice cheA e il dominio di f e si scriveD(f) = A e, nel caso chetale dominio non sia esplicitamente indicato, si suppone la corrispondenzaf definita per tutti glix ∈ Rn per cuie possibile consideraref(x).

Si definisce rango dif

R(f) = y ∈ Rm : ∃x ∈ A, y = f(x)

e grafico dif .

G(f) = (x, y) ∈ Rn × Rm : y = f(x)

Restrizione e composizione di funzioni sono definite come nel caso rea-le e parimenti similee la definizione di iniettivita, surgettivita, bigettivita.

1. Limiti

Lo studio dei limiti di una funzione di piu puo essere condotto sempli-cemente ripercorrendo i risultati ottenuti nel caso di una funzione reale diuna variabile reale, avendo cura di puntualizzare solo qualche particolaresui valori infiniti.

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14 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

Quandon = 1, si estendeR mediante due punti all’infinito che vengonodenominati +∞ e−∞, in quanto e ben chiaro che due punti diR pos-sono sempre essere confrontati nella relazione d’ordine (R e totalmenteordinato). Sen > 1 cade la possibilita di ordinare totalmente Rn e per-tanto si preferisce estendereRn, n > 1, con un solo punto all’infinitoche viene denominato semplicemente∞. Ricordiamo che, anche se menoutile, questa possibilita esiste anche inR

DEFINIZIONE 2.2. Sen = 1 ex0 ∈ R ∪ ±∞, definiamo, perρ > 0

I(x0, ρ) =

(ρ,+∞) se x = +∞(x0 − ρ, x0 + ρ) se x ∈ R(−∞,−ρ) se x = −∞

Definiamo inoltreI0(x0, ρ) = I(x0, ρ) \ x0.Sen > 1, x0 ∈ Rn ∪ ∞, definiamo perρ > 0

I(x0, ρ) =

x0 ∈ Rn : ‖x0‖ < ρ = S(x0, ρ) x0 ∈ Rn

x0 ∈ Rn : ‖x0‖ > ρ x0 = ∞

anche qui poniamoI0(x0, ρ) = I(x0, ρ) \ x0

DEFINIZIONE 2.3. SiaA ⊂ Rn, si dice chex0 ∈ Rn ∪ ∞ e un puntodi accumulazione perA se∀r > 0 I0(x0, r) ∩ A 6= ∅.

Indichiamo conD(A) l’insieme dei punti di accumulazione diA.

SiaA ⊂ Rn, x0 ∈ Rn ∪ ∞; x0 ∈ D(A) se e solo se∃xk ∈ A, xk 6= x0,xk → x0.

DEFINIZIONE 2.4. Siaf : A→ Rn,A ⊂ Rn e siax0 ∈ D(A); diciamoche

limx→x0

f(x) = `

se

∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che se x ∈ I0(x0, δ(ε)) ∩ A si ha f(x) ∈ I(`, ε)

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2. CONTINUITA 15

Si puo facilmente provare che:

• ogni funzione che ammette limite finitoe localmente limitata;• il limite di una funzione, se esiste,e unico;• sem = 1 vale il teorema della permanenza del segno;• il limite di una somma e uguale alla somma dei limiti, ove

questi esistono finiti;• il limite del prodotto di una funzione a valori reali per una

funzione a valori vettoriali e uguale al prodotto dei limiti, ovequesti esistono finiti;

• sem = 1 il limite del reciproco di una funzione e uguale alreciproco del limite della funzione stessa, ammesso che non sianullo.

• sem = 1 valgono i risultati sul confronto dei limiti del tipoconsiderato per le funzioni reali di una variabile;

• il limite di una funzione puo essere caratterizzato persuccessioni come per le funzioni di una variabile.

Ricordiamo anche l’enunciato che permette di calcolare il limite di unafunzione composta

Sia f : A −→ Rm, A ⊂ Rn, x0 ∈ D(A) e siag : B −→ A, B ⊂ Rp,y0 ∈ D(B), g(B) ⊂ A; supponiamo che

limx→x0

f(x) = e limy→y0

g(y) = x0

Allora, se una delle due seguenti condizionie verificata• x0 6∈ dom f• f(x0) = `

si halimy→y0

f(g(y)) = `.

2. Continuita

DEFINIZIONE 2.5. Siaf : A −→ Rm, x0 ∈ A ⊂ Rn, diciamo chef euna funzione continua inx0 se∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che

sex ∈ A, ‖x− x0‖ < δ(ε) si ha‖f(x)− f(x0)‖ < ε.Nel caso in cuix0 ∈ A ∩ D(A), la condizione sopra espressae equiva-

lente alla

limx→x0

f(x) = f(x0)

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16 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

f si dice continua inA see continua in ogni punto di A.

Come nel caso delle funzioni reali di una variabile reale si prova che:

• la somma di funzioni continuee continua;• il prodotto di una funzione a valori vettoriali per una funzione

a valori scalari, entrambe continue,e continua;• sem = 1, il reciproco di una funzione continuae continuo dove

ha senso definirlo;• vale la caratterizzazione della continuita per successioni data,

nel caso reale;• la composta di funzioni continuee una funzione continua.• selimx→x0 f(x) = λ e limx→x0 g(x) = µ, conλ, µ ∈ Rm si ha

limx→x0

〈f(x), g(x)〉 = 〈λ, µ〉

• In particolare la funzione 〈·, ·〉 : Rm × Rm → R e continua

Valgono per le funzioni continue i soliti teoremi

TEOREMA 2.1. -degli zeri - Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto econnesso e supponiamo chef sia una funzione continua; allora se esistonox1, x2 ∈ A tali chef(x1)f(x2) < 0 esiste anchex0 ∈ A tale chef(x0) = 0.

DIMOSTRAZIONE. PoicheA e connessoe possibile congiungerex1 edx2 con una linea spezzata costituita di segmenti paralleli agli assi coordinati.

Sianoxj gli estremi di ciascuno dei segmenti, nel caso in cuif(xj) = 0per qualchej, il teoremae dimostrato, in caso contrario esisterannoxk, xk+1

tali chef(xk)f(xk+1) < 0.Allora la funzione[0, 1] 3 t 7→ ϕ(t) = f(xk + t(xk+1 − xk) ∈ R e

continua e si puo applicare aϕ il teorema degli zeri. 2

TEOREMA 2.2. - Weierstraß- Siaf : A −→ R una funzione continuae supponiamo cheA sia un insieme compatto; allora esistonox1, x2 ∈ Atali che

f(x1) = minf(x) : x ∈ Af(x2) = maxf(x) : x ∈ A

DIMOSTRAZIONE. Sia, ad esempioλ = inff(x) : x ∈ A; alloraesiste una successionexk ∈ A tale chef(xk) → λ e, dal momento cheA e compatto,e possibile trovare una successionexkh

→ x1 ∈ A. Si hapertantof(xkh

) → λ e, per la continuita di f , f(xkh) → f(x1). Ne segue

cheλ = f(x1) e la tesi. 2

TEOREMA 2.3. - Weiertsraß generalizzato- Sia f : Rn −→ R unafunzione continua e supponiamo che esistax ∈ Rn tale che

limx→∞

f(x) > f(x)

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2. CONTINUITA 17

FIGURA 2.1. Il teorema degli zeri

allora esistex1 ∈ Rn tale che

f(x1) = minf(x) : x ∈ RnDIMOSTRAZIONE. Sia

λ = inff(x) : x ∈ Rnsi haf(x) ≥ λ.

Sia poiδ > 0 tale che se‖x‖ > δ si abbiaf(x) ≤ f(x) + ε, conε > 0.Sia ancoraxk ∈ Rn tale chef(xk) → λ.Allora, perk abbastanza grande, si haf(xk) < f(x)+ε e quindi‖xk‖ ≤

δ.Si puo pertanto estrarre daxk una successionexkh

tale chexkh→

x1 e si puo concludere utilizzando le stesse argomentazioni del teoremaprecedente. 2

DEFINIZIONE 2.6. Sia f : A −→ Rm, A ⊂ Rn; f si dice uniforme-mente continua inA se

∀ε > 0 ∃δ(ε) > 0 tale che sex, y ∈ A e‖x− y‖ < δ(ε), si ha

‖f(x)− f(y)‖ < ε.

TEOREMA 2.4. - Heine-Cantor - Sia f : A −→ Rm, A ⊂ Rn ; sef e una funzione continua suA edA e un insieme compatto alloraf euniformemente continua suA.

COROLLARIO 2.1. Siaf : Rn → Rm, lineare; allora

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18 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

• f e uniformemente continua suRn;• f trasforma insiemi limitati diRn in insiemi limitati diRm.

3. Differenziabilit a e Derivabilita

DEFINIZIONE 2.7. - Siaf : A −→ Rm, A ⊂ Rn, A aperto,x0 ∈ A;diciamo chef e differenziabile inx0 se esiste una applicazione lineare

L : Rn −→ Rm

tale che

limh→0

‖f(x0 + h)− f(x0)− L(h)‖‖h‖

= 0

L’applicazione lineareL si chiama differenziale dif in x0 e si indicasolitamente condf(x0).

La matrice che la rappresenta si chiama matrice jacobiana dif in x0 everra indicata con∇f(x0). Si ha percio

L(h) = df(x0)(h) = ∇f(x0)h

Quando m = 1, ∇f(x0) si riduce ad un vettore di Rn e si indica colnome di gradiente dif in x0; faremo uso del nome gradiente anche sem > 1.

Osserviamo infine che∇f : A −→ Rm×n = Mm×n

Siaf : A −→ Rm, posto

ω(h) =‖f(x0 + h)− f(x0)− df(x0)(h)‖

‖h‖per la definizione di differenziabilita si ha

limh→0

ω(h) = 0

per cui

f(x0 + h)− f(x0)− df(x0)(h) = ‖h‖ω(h)

Se viceversa vale l’uguaglianza precedente si puo verificare chef edifferenziabile.

Naturalmente

‖f(x0 + h)− f(x0)‖ ≤ [ω(h) + ‖df(x0)‖] ‖h‖

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3. DIFFERENZIABILITA E DERIVABILIT A 19

e si halimh→0

f(x0 + h) = f(x0)

per cui

Ogni funzione differenziabile e continua.

DEFINIZIONE 2.8. Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto,x0 ∈ A;diciamo chef e parzialmente derivabile inx0 rispetto alla variabilexi se

limt→0

f(x0 + tei)− f(x0)

tesiste finito.

In tal caso denotiamo il valore di tale limite con il simbolo∂f

∂xi

(x0) oppure con fxi(x0)

e lo chiamiamo derivata parziale dif rispetto adxi calcolata inx0.(Osserviamo chetei = (0, 0, .., t, .., 0, 0) ).Sey ∈ Rn, diciamo chef e derivabile inx0 rispetto al vettorey se

limt→0+

f(x0 + ty)− f(x0)

t

esiste finito.In tal caso denotiamo il valore di tale limite conf ′(x0, y).E’ facile vedere chef e derivabile rispetto allai-esima variabile se e

solo sef ′(x0, ei) edf ′(x0,−ei) esistono e

f ′(xo, ei) = −f ′(x0,−ei)

In tal caso si ha

f ′(x0, ei) = −f ′(x0,−ei) = fxi(x0).

TEOREMA 2.5. Siaf : A −→ R, x0 ∈ A ⊂ Rn, A aperto e supponia-mo chef sia differenziabile inx0; allora f e derivabile inx0 lungo ognidirezione e si ha

f ′(x0, y) = df(x0)(y) = 〈∇f(x0), y〉Se ne deduce in particolare, scegliendoy = ei ed y = −ei chef e

derivabile inx0 rispetto adxi e che

(∇f(x0))i = fxi(x0).

DIMOSTRAZIONE. Dal momento chef e differenziabile,

|f(x0 + h)− f(x0)− 〈∇f(x0), h〉|‖h‖

= ω(h)

con limh→0 ω(h) = 0.

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20 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

Perh = ty cont > 0 si ha

|f(x0 + ty)− f(x0)− 〈∇f(x0), ty〉| = t‖y‖ω(ty)

e ∣∣∣∣f(x0 + ty)− f(x0)

t− 〈∇f(x0), y〉

∣∣∣∣ = ‖y‖ω(ty)

Quindif ′(x0, y) = 〈∇f(x0), y〉 = df(x0)(y).

Osserviamo che, sef e differenziabile inx0, allora si ha

f ′(x0, y) = −f ′(x0,−y)e pertanto

limt→0+

f(x0 + ty)− f(x0)

t= lim

t→0−

f(x0 + ty)− f(x0)

t2

TEOREMA 2.6. Sia f : A −→ Rm, x0 ∈ A ⊂ Rn, A aperto e siaf = (f1, f2, ....., fm) confj : A −→ R, j = 1, 2, ...,m.

Allora f e differenziabile inx0 se e solo sefj e differenziabile inx0 perogni j = 1, 2, ...,m.

Inoltre si ha

∇f(x0) =

∇f1(x0)∇f2(x0)

···

∇fm(x0)

TEOREMA2.7. -Derivazione delle Funzioni Composte- Siaf : A −→

Rm, A ⊂ Rn, e siag : B −→ A,B ⊂ Rp.Possiamo allora consideraref(g(·)) : B → Rm.Sianox0 ∈ A, y0 ∈ B tali cheg(y0) = x0, f eg siano differenziabili in

x0 edy0, rispettivamente.Allora f(g(·)) e differenziabile iny0 e si ha

∇f(g(y0)) = ∇f(x0) · ∇g(y0) = ∇f(g(y0)) · ∇g(y0),

essendo il prodotto tra matrici inteso righe per colonne.

DIMOSTRAZIONE. Si ha

f(x0 + h)− f(x0)−∇f(x0)h = ‖h‖ω1(h) con limh→0

ω1(h) = 0

ed anche

g(y0 + k)− g(y0)−∇g(y0)k = ‖k‖ω2(k) con limk→0

ω2(k) = 0

Pertanto postoh(k) = g(y0 + k)− g(y0)

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3. DIFFERENZIABILITA E DERIVABILIT A 21

si ha

limk→0

h(k) = 0

e quindi

f(g(y0 + k))− f(g(y0))−∇f(x0)∇g(y0)k

‖k‖=

=∇f(x0)[g(y0 + k)− g(y0)−∇g(y0)k] + ‖h(k)‖ω1(h(k))

‖k‖=

= ∇f(x0)ω2(k) +‖h(k)‖ω1(h(k))

‖k‖−→ 0

dal momento che

‖h(k)‖ ≤ ‖k‖(ω2(k) + cost)

2

Esplicitiamo in caso semplice il teorema di derivazione delle funzionicomposte con lo scopo di illustrarne l’uso.

Sia

f : R2 → R , g : R2 7→ R2

(x, y) 7→ f(x, y) , (t, s) 7→ (x(t, s), y(t, s))

e consideriamo la funzione

φ(t, s) = f(x(t, s), y(t, s)) = f(g(t, s))

Utilizzando il teorema possiamo affermare che

(φt(t, s), φs(t, s)) = ∇φ(t, s) = ∇f(g(t, s)) · ∇g(t, s)

Ma

∇f(x, y) = (fx(x, y), fy(x, y)) , , ∇g(t, s) =

(xt(t, s) xs(t, s)yt(t, s) ys(t, s)

)per cui

(φt(t, s), φs(t, s)) =

(fx(x, y), fy(x, y))

(xt(t, s) xs(t, s)yt(t, s) ys(t, s)

)=

(fx(x, y)xt + fy(x, y)yt, fx(x, y)xs + fy(x, y)ys)

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22 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

Se f : A −→ Rm, A ⊂ Rn, A aperto, e differenziabile in A e sedefiniamo

φ(t) = f(x+ th)

si ha cheφ e derivabile per i valori di t tali che x+ th ∈ A (cioe almenoin un intorno (−δ, δ) di 0) e si ha

φ′(t) = ∇f(x+ th)h

Nel caso in cuif assuma valori reali si ha

φ′(t) = 〈∇f(x+ th), h〉

Il teorema di Lagrange applicato alla funzioneϕ appena introdotta per-mette di affermare che

Sef assume valori reali ede differenziabile inA; allora, allora

f(x+ h)− f(x) = 〈∇f(x+ τh), h〉 τ ∈ (0, 1)

di conseguenza

|f(x+ h)− f(x)| ≤ ‖h‖ supt∈(0,1)

‖∇f(x+ th)‖

Tenendo conto che sef assume valori inRm alloraf = (f1, .., fm), confj a valori reali, si puo concludere che

Sef : A −→ Rm, A ⊂ Rn, e differenziabile inA; allora,

‖f(x+ h)− f(x)‖ ≤ ‖h‖ supt∈(0,1)

‖∇f(x+ th)‖0.

infatti poich e esisteph ∈ Rm, di norma 1, tale che

(2.1) ‖f(x+ h)− f(x)‖ = 〈ph, f(x+ h)− f(x)〉 =

= 〈ph,∇f(x+ τh)h〉 ≤≤ ‖h‖ sup

t∈(0,1)

‖∇f(x+ th)‖0

Quando la funzionef assume valori inRm, m > 1, il precedenterisultato puo non essere vero.

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3. DIFFERENZIABILITA E DERIVABILIT A 23

Sia infattif : R −→ R2 definita daf(t) = (cos t, sin t); si ha

(0, 0) = f(2π)− f(0) 6= 2π(−sin t, cos t) = 2π∇f(t) ∀t ∈ (0, 2π)

Poiche la definizione none di immediata verifica,e utile avere condi-zioni sufficienti che assicurino la differenziabilita di una funzione.

Se f : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto, ammette derivate parziali pri-me continue inA (indicheremo questo dicendo chef ∈ C1); allora f edifferenziabile in A.

Infatti: se ad esempio consideriamo il cason = 2, indichiamo con(x, y)un punto diA e supponiamo che le derivate parziali primefx ed fy sianocontinue inA; avremo

f(x+ h, y + k)− f(x, y)− fx(x, y)h− fy(x, y)k

(h2 + k2)=

=f(x+ h, y + k)− f(x+ h, y) + f(x+ h, y)√

h2 + k2−

−f(x, y)− fx(x, y)h− fy(x, y)k√h2 + k2

=

per il teorema di Lagrange applicato alle funzionif(x+ h, ·) ef(·, y)

=(fx(ξ, y)− fx(x, y))h+ (fy(x+ h, η)− fy(x, y))k

(h2 + k2)

con|x− ξ| < h e |y − η| < k.Pertanto, osservando che∣∣∣∣ h

h2 + k2

∣∣∣∣ ≤ 1 e

∣∣∣∣ k

h2 + k2

∣∣∣∣ ≤ 1

per la continuita di fx ed fy l’ultimo membro tende a0 quando(h, k) →(0, 0).

Possiamo affermare in maniera simile che

Sef : A −→ Rm, A ⊂ Rn, A aperto, ammette derivate parziali primecontinue inA (cioe se ognuna dellem componentifj e di classeC1: fj ∈C1); allora f e differenziabile inA.

Sef : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto, e chiamiamo derivata parzialeseconda dif rispetto alle variabilixi ed xj, calcolata inx, e scriviamofxixj

(x) la derivata rispetto axj della Funzionefxi, calcolata inx.

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24 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

Nel caso in cuin = 2 e le variabili inA si indichino con(x, y) possiamocalcolare4 derivate parziali seconde:

fxx , fxy , fyx , fyy

Si puo dimostrare che

TEOREMA 2.8. -Schwartz - Sia f : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto, esupponiamo chef sia parzialmente derivabile due volte inA e che almenouna trafxy efyx sia continua; allora

fxy(x, y) = fyx(x, y)

Infatti se ad esempio supponiamo chefxy sia continua, posto

ω(h, k) =f(x+ h, y + k)− f(x+ h, y)− f(x, y + k) + f(x, y)

hk

si hafxy(x) = lim

k→0limh→0

ω(h, k)

efyx(x) = lim

h→0limk→0

ω(h, k)

Pertanto se proviamo, che

lim(h,k)→(0,0)

ω(h, k)

esiste finito, avremo che

limh,k)→(0,0)

ω(h, k) = limk→0

limh→0

ω(h, k) = limh→0

limk→0

ω(h, k)

e l’uguaglianza delle due derivate secondeApplicando il teorema di Lagrange alla funzione

h 7→ f(x+ h, y + k)− f(x+ h, y)

si ha

ω(h, k) =fx(x+ ξ, y + k)− fx(x+ ξ, y)

k, −h < ξ < h

ed applicando ancora Lagrange alla funzione

k −→ fx(x+ ξ, y + k)

si ottieneω(h, k) = fxy(x+ ξ, y + η), −k < η < k

Oralim

(h,k)→(0,0)(ξ, η) = (0, 0)

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3. DIFFERENZIABILITA E DERIVABILIT A 25

e pertanto, per la continuita difxy

lim(h,k)→(0,0)

ω(h, k) = fxy(x, y).

In generale possiamo enunciare il seguente teorema

TEOREMA 2.9. Siaf : A −→ Rm, A ⊂ Rn, A aperto, e supponiamochef sia parzialmente derivabile due volte inA; allora

fxixj(x) = fxjxi

(x)

per tutti gli x ∈ A ove almeno una trafxixjefxjxi

e continua.

Le derivate parziali di ordine superiore si definiscono in maniera deltutto simile.

Le derivate parziali seconde caratterizzano il gradiente della funzione∇f infatti, sef : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto,e differenziabile inA,possiamo considerare la funzione

∇f : A −→ Rn

Se∇f e a sua volta differenziabile (ricordiamo che basta che le derivateparziali prime di∇f siano continue), possiamo considerare∇(∇f)(x) e sivede che

∇(∇f)(x) =

∇fx1(x)· · ·

∇fxn(x)

=

fx1x1(x) · · · fx1xn(x)· · · · · · · · ·

fxnx1(x) · · · fxnxn(x)

La matrice∇(∇f)(x) si indica solitamente conHf(x) e si chiama

matrice Hessiana dif in x.La funzione quadraticag(h) = 〈h,Hf(x)h〉 viene di solito indicata con

il nome di forma quadratica hessiana dif in x.Qualoraf ammetta derivate parziali seconde continue inA (f ∈ C2(A)),

per il teorema di Schwarz, la matriceHf(x) e simmetrica.Per fissare le idee ricordiamo che nel caso di una funzione di due varia-

bili a valori reali

Hf(x, y) = ∇(∇f)(x, y) =

(∇fx(x, y)∇fy(x, y)

)=

(fxx(x, y) fxy(x, y)fyx(x, y) fyy(x, y)

)

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26 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

4. Formula di Taylor

Consideriamo una funzionef : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto, x0 ∈ A, esiah ∈ S(0, r) dover > 0 e scelto in modo chex0 + S(0, r) ⊂ A.Definiamoφ : (−1, 1) −→ R mediante la

ϕ(t) = f(x0 + th)

se supponiamof ∈ Ck (cioe see derivabilek volte inA), avremo cheϕ ederivabile k volte in (−1, 1) e si ha

ϕ′(t) = df(x0 + th)h = 〈h,∇f(x0 + th)〉

ϕ′′(t) =d

dt

n∑i=1

hifxi(x0 + th) =

=n∑

i=1

hi〈∇fxi(x0 + th), h〉 = 〈h,Hf(x0 + th)h〉

Possiamo pertanto ottenere una formula di Taylor anche per funzioni dipiu variabili, sviluppando la funzioneϕ. Ci limitiamo al secondo ordinein quantoe l’unico di cui abbiamo necessita ed in ogni casoe l’ultimo chepossa essere enunciato senza eccessive difficolta formali.

TEOREMA 2.10. Sef : A −→ R, A ⊂ Rn, A aperto,x ∈ A e sef ∈ C2(A), (e quindie differenziabile due volte).

Allora perh abbastanza piccolo si ha•

f(x+ h) = f(x) + 〈h,∇f(x)〉+ 〈h,Hf(x+ ξh)h〉/2, ξ ∈ (0, 1)

(formula di Taylor con il resto di Lagrange)•f(x+ h) = f(x) + 〈h,∇f(x)〉+ 〈h,Hf(x)h〉/2 + ‖h‖2ω(h)

con limh→0 ω(h) = 0 eω(0) = 0(formula di Taylor con resto di Peano).

DIMOSTRAZIONE.Applicando aϕ la formula di McLaurin otteniamo

φ(1) = φ(0) + φ′(0) + φ′′(ξ)/2 0 < ξ < 1

da cui tenuto conto che

φ′(t) = 〈h,∇f(x+ th)〉φ′′(t) = 〈h,Hf(x+ th)h〉

si ricava la prima affermazione

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5. MASSIMI E MINIMI RELATIVI 27

Inoltre

f(x+ h) = f(x) + 〈∇f(x), h〉+ 〈h,Hf(x)h〉/2 + ‖h‖2ω(h)

non appena si definisca

ω(h) =〈h, (Hf(x+ ξhh)−Hf(x))h〉

2‖h‖2

dovelimh→0 ω(h) = 0 in quantoHf e continuo e

|ω(h)| ≤ ‖Hf(x+ ξhh)−Hf(x)‖/2, ‖ξhh‖ ≤ ‖h‖.

2

5. Massimi e Minimi Relativi

DEFINIZIONE 2.9. Diciamo chex e un punto di minimo (massimo)relativo perf se esiste una sferaS(x, r), r > 0, tale che

f(y) ≥ f(x) ( f(y) ≤ f(x) ) ∀y ∈ S(x, r) ∩ A

TEOREMA 2.11. Sex e un punto di minimo (massimo) relativo perfinterno al suo dominio, allora

• sef e differenziabile inx si ha∇f(x) = 0;• sef ammette derivate seconde continue inx,Hf(x) e semidefinita

positiva (negativa).

DIMOSTRAZIONE. Basta osservare cheϕ(t) = f(x + th) ammette unpunto di minimo relativo in0 e che∀h ∈ S(0, r)

0 = φ′(0) = 〈∇f(x), h〉

ed anche0 ≤ φ”(0) = 〈h,Hf(x)h〉

La prima condizione assicura che∇f(x) = 0, mentre la secondae, perdefinizione, la semidefinitezza diHf(x). 2

Se∇f(x) = 0 eHf(x) e una forma quadratica non definita, alloraxnone ne punto di massimo relativo, ne punto di minimo relativo perf ; unpunto siffatto viene solitamente indicato con il nome di ’punto sella’.

TEOREMA 2.12. Sef ∈ C2(A),

• ∇f(x) = 0• Hf(x) e definita positiva (negativa)

allora x e punto di minimo (massimo) relativo perf .

DIMOSTRAZIONE. Si ha

f(x+ h)− f(x) = 〈h,Hf(x)h〉/2 + ‖h‖2ω(h)

con limh→0 ω(h) = 0 = ω(0).

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28 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

Se ne deduce che

f(x+ h)− f(x)

‖h‖2=

1

2

⟨h

‖h‖, Hf(x)

h

‖h‖

⟩+ ω(h) ≥

≥ min

1

2〈u,Hf(x)u〉 : ‖u‖ = 1

+ ω(h) =

M

2+ ω(h)

dove

M = min〈u,Hf(x)u〉 : ‖u‖ = 1 = 〈u0, Hf(x)u0〉 > 0

in quanto‖u0‖ = 1(Il minimo esiste per il teorema di WeierstraßedM > 0 perche Hf(x) e

definita positiva eu0 6= 0.)Pertanto, per il teorema della permanenza del segno, si puo scegliere

ρ > 0 in modo che, seh ∈ S(0, ρ), si abbia

f(x+ h)− f(x)

‖h‖2> 0

e la tesi. 2

6. Convessita

DEFINIZIONE 2.10. Siaf : A −→ R, A ⊂ Rn convesso; diciamo chef e convessa se

f(λx+ (1− λ)y) ≤ λf(x) + (1− λ)f(y) ∀x, y ∈ A, ∀λ ∈ (0, 1)

Inoltre f si dice strettamente convessa se vale la disuguaglianza stretta.

Si prova facilmente che Sef e convessa allora

L−α = (x ∈ Rn : f(x) ≤ α

e un insieme convesso.Con qualche difficolta in piu si prova che una funzionef convessa su

un apertoA e continua.Inoltre applicando i risultati noti per le funzioni convesse di una varia-

bile alla funzione

ϕ(t) = f(x+ ty)

possiamo dimostrare che

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7. FUNZIONI IMPLICITE 29

• Sef e convessa su un apertoA, f ′(x, y) esiste∀x ∈ A, ∀y ∈ Rn.• sef ∈ C2(A), allora sono fatti equivalenti:

– f e convessa

f(y) ≥ f(x) + 〈∇f(x), y − x〉 ∀x, y ∈ A– Hf(x) e semidefinita positiva.

• le seguenti condizioni sono ciascuna sufficiente per lasuccessiva:

– Hf(x) e definita positiva∀x ∈ A;– f(y) > f(x) + 〈∇f(x), y − x〉 ∀x, y ∈ A, y 6= x ;– f e strettamente convessa.

7. Funzioni Implicite

Sef : A −→ R A ⊂ R2

e una funzione reale di due variabili reali possiamo considerare l’insiemedefinito inR2 da

G = (x, y) ∈ A : f(x, y) = 0 E naturale, per studiare tale insieme, cercare una funzioneφ il cui gra-

fico coincida localmente conG.Cio e equivalente a risolvere rispetto ady l’equazionef(x, y) = 0, ed

e il procedimento che si segue quando, per studiare il luogo dei punti delpiano in cui

x2 + y2 = 1

si ricava, ad esempio,

y =√

1− x2 oppure y = −√

1− x2

Nel caso in cui non sia facile esplicitare una delle due variabili in fun-zione della seconda, siamo interessati a sapere see possibile definire unadelle due variabili in funzione dell’altra e a studiare qualche proprieta del-la funzione che evidentemente none possibile scrivere esplicitamente intermini di funzioni elementari.

TEOREMA 2.13. - Dini - SiaA = (x0 − a, x0 + a) × (y0 − b, y0 + b),f : A −→ R e supponiamo che le seguenti condizioni siano verificate:

f ∈ C1(A)

f(x0, y0) = 0

fy(x0, y0) 6= 0

Allora esisteδ > 0 ed esisteφ : (x0 − δ, x0 + δ) −→ (y0 − b, y0 + b) taleche

φ(x0) = y0

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30 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

f(x, y) = 0 ⇔ y = φ(x), ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ)

φ e derivabile in(x0 − δ, x0 + δ) e

φ′(x) = −fx(x, φ(x))

fy(x, φ(x)).

FIGURA 2.2. Il teorema delle funzioni implicite

DIMOSTRAZIONE. Siafy(x0, y0) > 0 e sianoα, β scelti in modo che0 < α < a, 0 < β < b efy(x, y) > M > 0 se|x− x0| ≤ α e |y − y0| ≤ β(cio e possibile per la continuita dify e per il teorema della permanenza delsegno).

Ora, evidentemente,f(x0, ·) e una funzione strettamente crescente in[y0 − β, y0 + β] e pertanto

f(x0, y0 − β) < f(x0, y0) = 0 < f(x0, y0 + β)

Ancora per il teorema della permanenza del segno, applicato adf(·, y0−β) e adf(·, y0 + β), si puo scegliere0 < δ ≤ α, in modo che se

|x− x0| < δ

si abbiaf(x, y0 − β) < 0, f(x, y0 + β) > 0

Pertanto se|x− x0| < δ, |y − y0| < β, si ha

fy(x, y) > 0, f(x, y0 − β) < 0, f(x, y0 + β) > 0

e per ognix ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si puo affermare che esiste uno ed un solovalorey ∈ (y0−β, y0 +β) tale chef(x, y) = 0 (teorema degli zeri e strettacrescenza dif(x, ·)).

Possiamo pertanto definireφ : (x0 − δ, x0 + δ) −→ (y0 − β, y0 + β)mediante laφ(x) = y.

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7. FUNZIONI IMPLICITE 31

FIGURA 2.3. Il teorema delle funzioni implicite

Vediamo ora di provare cheφ e continua e derivabile in(x0− δ, x0 + δ).Sianox, x+ h ∈ (x0 − δ, x0 + δ), allora

f(x+ h, φ(x+ h))− f(x, φ(x)) = 0

e pertanto, se definiamok(h) = φ(x+ h)− φ(x), avremo

f(x+ h, φ(x) + k(h))− f(x, φ(x)) = 0

Per il teorema di Lagrange si ha

fx(x+ τh, φ(x) + τk(h))h+ fy(x+ τh, φ(x) + τk(h))k(h) = 0

con0 < τ < 1, x+τh ∈ (x0−δ, x0 +δ) eφ(x)+τk(h) ∈ (y0−β, y0 +β),per cui

φ(x+ h)− φ(x) = −hfx(x+ τh, φ(x) + τk(h))

fy(x+ τh, φ(x) + τk(h))

e dal momento chefx edfy sono continue e

fy ≥M > 0 se (x, y) ∈ [x0 − α, x0 + α]× [y0 − β, y0 + β]

si ha

limh→0

φ(x+ h)− φ(x) = limh→0

k(h) = 0

Inoltreφ(x+ h)− φ(x)

h= −fx(x+ τh, φ(x) + τk(h))

fy(x+ τh, φ(x) + τk(h))

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32 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI

e tenuto conto che(h, k(h)) → 0 per h → 0 si puo concludere cheφ ederivabile inx e

φ′(x) = −fx(x, φ(x))

fy(x, φ(x)).

2

La dimostrazione fattae evidentemente valida solo nel caso in cuiA ⊂R2 edf assuma valori reali, ma l’enunciato, con le dovute modifiche, sus-siste anche seA ⊂ Rn × Rm edf assume valori inRm.

TEOREMA 2.14. - funzioni implicite - Siaf : A×B −→ Rm,

A = x ∈ Rn : ‖x− x0‖ < a , B = y ∈ Rm : ‖y − y0‖ < be supponiamo che:

• f ∈ C1(A×B)• f(x0, y0) = 0• ∇yf(x0, y0) sia invertibile.

Allora esistonoρ, δ > 0 ed esiste una funzione

φ : D −→ E

ove

D = x ∈ Rn : ‖x− x0‖ < ρ edE = y ∈ Rm : ‖y − y0‖ < δtali che

• φ(x0) = y0

• f(x, y) = 0 ⇔ y = φ(x), ∀x ∈ D• φ e differenziabile inD e si ha

∇φ(x) = −[∇yf(x, φ(x))]−1∇xf(x, φ(x)) ∀x ∈ D.

8. Massimi e Minimi VincolatiMoltiplicatori di Lagrange

DEFINIZIONE 2.11. Siaf : A −→ R e siag : A −→ Rm, A ⊂ Rn;diciamo chex0 ∈ A e un punto di massimo (o di minimo) relativo perfvincolato ag seg(x0) = 0 e se esisteδ > 0 tale che

f(x) ≤ f(x0) ( f(x) ≥ f(x0) ) ∀x ∈ x ∈ A : g(x) = 0 ∩ S(x0, δ).

A tale proposito possiamo provare il seguente risultato.

TEOREMA 2.15. - dei moltiplicatori di Lagrange - Sianof : A −→ Re g : A −→ Rm, A ⊂ Rn, m < n, A aperto,f, g ∈ C1(A); supponiamoinoltre chef abbia inx0 ∈ A un punto di minimo (o di massimo) relativovincolato ag.

Allora esistonoλ ∈ Rm eµ ∈ R non contemporaneamente nulli e taliche

µ∇f(x0) +m∑

i=1

λi∇gi(x0) = 0.

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8. MASSIMI E MINIMI VINCOLATI MOLTIPLICATORI DI LAGRANGE 33

Inoltre, se∇g(x0) ha caratteristica massima(= m), allora µ 6= 0 e si puosupporreµ = 1.

TEOREMA 2.16. Sianof : A −→ R e g : A −→ Rm, A ⊂ Rn aperto,m < n, f, g ∈ C1(A), x0 ∈ A; supponiamo che esistaδ > 0 tale che

f(x0) ≤ f(x), ∀x ∈ x ∈ A : gi(x) ≤ 0, i = 1, ..,m ∩ S(x0, δ)

Allora, esistonoµ ∈ R, λ ∈ Rm tali che

µ∇f(x0) +m∑

i=1

λi∇gi(x0) = 0

essendoλi = 0 segi(x0) < 0.Se inoltre∇g(x0) ha caratteristica massima, si puo supporreµ = 1 e

si haλi ≥ 0 se gi(x0) = 0.

TEOREMA 2.17. - Kuhn-Tucker - SiaA ⊂ Rn aperto, convesso esianof, gi : A −→ R, i = 1, 2, ...,m funzioni convesse; supponiamo chef, gi ∈ C1(A) e chex0 ∈ A sia scelto in modo che

gi(x0) = 0 per i = 1, 2, ..., k < m

gi(x0) < 0 per i = k + 1, ...,m

Supponiamo inoltre chex0 sia estremale per la funzione

F (x) = f(x) +k∑

i=1

λigi(x)

essendoλi ≥ 0 per i = 1, 2, ..., k ; allora

f(x0) ≤ f(x) ∀x ∈ A tali che gi(x) ≤ 0.

TEOREMA 2.18. Siaf : A −→ R,A ⊂ Rn convesso, chiuso e limitato,f convessa e continua; allora il massimo dif in A e assunto anche in puntiche sono sulla frontiera di A.

DIMOSTRAZIONE. Sia

f(x) = maxf(y) : y ∈ Aallora, sex e interno adA, dettiy, z ∈ A gli estremi del segmento ottenutointersecandoA con una qualunque retta passante perx, si ha

x = λy + (1− λ)z

ef(x) ≤ λf(y) + (1− λ)f(z) ≤ maxf(y), f(z)

2

Osservazione.Nel caso in cuiA sia poliedrale, cioe se

A = x ∈ Rn : gi(x) ≤ 0, gi lineare, i = 1, ..,m il massimo si puo cercare solo tra i vertici della frontiera.

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CAPITOLO 3

INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’VARIABILI.

* La teoria dell’integrazione per le funzioni reali di pi u variabilideve tenere conto che si puo integrare su sottoinsiemi di dimensionenon necessariamente uguale al numero delle variabili. Ad esempiosef dipende da3 variabili reali avremo bisogno di definire cosa si intendeper integrale dif su un sottoinsieme diR3, che possiamo intuitivamentedefinire come un solido (dimensione=3), una superficie (dimensione=2) ouna linea (dimensione=1).

Ricordiamo esplicitamente che il concetto di dimensione none sempli-ce ne univocamente individuato: possiamo parlare di dimensione vettoriale,di dimensione topologica, di dimensione frattale; qui abbiamo fatto sem-plicemente ricorso ad un concetto intuitivo che si potrebbe precisare, ed inparte si precisera, parlando di dimensione topologica.

Per semplificare le notazioni e per facilitare la comprensione descrive-remo il caso delle funzioni di3 variabili, essendo facile estendere i concettial caso delle funzioni con piu variabili, a prezzo di una certa complicazionedelle notazioni.

1. Integrali Multipli

Cominciamo con il dare la definizione di integrale di una funzione limi-tata su una classe particolare di sottoinsiemi diR3 gli intervalli; successiva-mente estenderemo la definizione ad una piu generale classe di insiemi.

1.1. Definizione di Integrale.

DEFINIZIONE 3.1. SianoI1, I2, I3 intervalli chiusi e limitati,Ii = [ai, bi],della retta reale.

Diciamo che

R = I1 × I2 × I3

e un intervallo chiuso e limitato inR3.

Nel seguito intenderemo riferirci sempre ad un intervallo chiuso e limi-tato, anche se queste due proprieta non saranno esplicitamente menzionate.

L’interno diR risulta essere

int R = (a1, b1)× (a2, b2)× (a3, b3)

35

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36 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

DEFINIZIONE 3.2. SiaR un intervallo in R3; chiamiamo partizionedi R il prodotto cartesianoP = P1 × P2 × P3 dovePi e una partizionedell’intervallo Ii

Denoteremo conP(R) l’insieme di tutte le partizioni dell’intervalloR.SeP ∈ P(R), i punti di P dividonoR in un numeroN di intervalli

chiusi la cui unioneeR. Tali intervalli saranno indicati con

Rk : k = 1, 2, ..., N

DEFINIZIONE 3.3. SiaR un intervallo inR3 e sianoP,Q ∈ P(R);diciamo cheP e una partizione piu fine diQ e scriviamoP < Q seP ⊃ Q.

In altre paroleP e piu fine diQ se e solo se ognuno degli intervalli incui P suddivideR e contenuto in uno degli intervalli in cuiQ suddivideR.

DEFINIZIONE 3.4. SiaR un intervallo inR3, definiamo misura diR ilnumero

mis R = (b1 − a1)(b2 − a2)(b3 − a3)

FIGURA 3.1.

FIGURA 3.2.

DEFINIZIONE 3.5. SiaR un intervallo e siaP ∈ P(R); sianoRk,k = 1, 2, .., N , gli intervalli in cui la partizioneP suddivideR.

Siaf : R −→ R una funzione limitata e supponiamo che

m ≤ f(x) ≤M ∀x ∈ RDefiniamo

mk = inff(x) : x ∈ Rk

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1. INTEGRALI MULTIPLI 37

Mk = supf(x) : x ∈ Rkdefiniamo inoltre

L(f, P ) =N∑

k=1

mk misRk

U(f, P ) =N∑

k=1

Mk misRk

R(f, P,Ξ) =N∑

k=1

f(ξk) misRk , ξk ∈ Rk

essendoΞ una funzione di scelta che assegna ad ogni intervalloRk un puntoξk.

L(f, P ) edU(f, P ) si dicono rispettivamente somme inferiori e som-me superiori dif rispetto alla partizioneP . R(f, P,Ξ) si dice somma diRiemann dif rispetto alla partizioneP e dipende, comee espressamenteindicato, anche dalla scelta dei puntiξk in Rk.

Esattamente come nel caso di una funzione reale di una variabile realesi puo provare che

TEOREMA 3.1. SianoR un intervallo diR3, f : R −→ R limitata,allora, seP,Q ∈ P(R) e seP < Q

mmisR ≤ L(f,Q) ≤ L(f, P ) ≤ R(f, P,Ξ) ≤ U(f, P ) ≤ U(f,Q) ≤M misR

e per ogniP,Q ∈ P(R)

mmisR ≤ L(f,Q) ≤ U(f, P ) ≤M misR

DEFINIZIONE 3.6. SiaR un intervallo inR3 e siaf : R −→ R unafunzione limitata, definiamo

–∫R

f(x)dx = infU(f, P ) : P ∈ P(R)

∫R

f(x)dx = supL(f, P ) : P ∈ P(R)

essi si dicono rispettivamente, integrale superiore ed integrale inferioredella funzionef sull’ intervalloR.

E’ immediato provare che

mmisR ≤–

∫R

f(x)dx ≤–∫R

f(x)dx ≤M misR

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38 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

1.2. Condizioni di Integrabilit a - Proprieta degli Integrali.

DEFINIZIONE 3.7. SiaR un intervallo inR3 e siaf : R −→ R unafunzione limitata; diciamo che:

• f e integrabile se

∫R

f(x)dx =

–∫R

f(x)dx

ed il valore comune ai due integrali superiore ed inferiore si chia-ma semplicemente integrale dif suR e si denota∫

R

f(x)dx

• f soddisfa la condizione di integrabilita se∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(R)tale che0 ≤ U(f, Pε)− L(f, Pε) < ε;

• f e integrabile secondo Cauchy-Riemann se∃I ∈ R tale che∀ε >0 ∃Pε ∈ P(R) tale che seP ∈ P(R), P < Pε si ha|R(f, P,Ξ)−I| < ε ∀Ξ ; il valore I si chiama anche questa volta integrale difsuR.

Osserviamo che se la condizione di integrabilita e soddisfatta se e solosecomunque si scelgaP ∈ P(R), P < Pε si ha

0 ≤ U(f, P )− L(f, P ) ≤ U(f, Pε)− L(f, Pε) < ε.

Come per una sola variabile, si enuncia e si prova che

TEOREMA 3.2. Sia R un intervallo in R3 e sia f : R −→ R unafunzione limitata; sono fatti equivalenti:

• f e integrabile• f soddisfa la condizione di integrabilita• f e integrabile secondo Cauchy-Riemann.

TEOREMA 3.3. Sia R un intervallo in R3 e sianof, g : R −→ Rfunzioni limitate ed integrabili suR; allora

• ∀α, β > 0, αf + βg e integrabile suR e∫R

[αf(x) + βg(x)]dx = α

∫R

f(x)dx+ β

∫R

g(x)dx

• fg e integrabile suR;• seS eT sono intervalli inR3 tali cheR = S∪T emis(S∩T ) = 0,∫

R

f(x)dx =

∫S

f(x)dx+

∫T

f(x)dx

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1. INTEGRALI MULTIPLI 39

• sef ≥ 0 ∫R

f(x)dx ≥ 0

• sef ≥ g ∫R

f(x)dx ≥∫

R

g(x)dx

• sef e continua,f ≥ 0,∫R

f(x)dx = 0 ⇒ f ≡ 0

• |f | e integrabile suR e∣∣∣∣∫R

f(x)dx

∣∣∣∣ ≤ ∫R

|f(x)|dx

seS eT sono intervalli,S ⊂ T ⊂ R e sef ≥ 0,∫S

f(x)dx ≤∫

T

f(x)dx

TEOREMA 3.4. Sef : R −→ R, R ⊂ R3 intervallo, e continua, alloraf eintegrabile.

1.3. Formule di Riduzione. L’integrale che abbiamo definito non puotuttavia essere calcolato, come per il caso delle funzioni di una variabilereale, facendo uso del concetto di primitiva inR3; il concetto di primitivaed il teorema fondamentale del calcolo integrale trovano la loro naturaleestensione nell’ambito delle forme differenziali e del teorema di Stokes, dicui parleremo piu avanti.

Il calcolo di integrali multipli si puo pero ricondurre al calcolo di piuintegrali semplici mediante quelle che si chiamano formule di riduzione.

SeA ⊂ R3, la funzioneχA : R3 −→ R

definita da

χA(x) =

1 x ∈ A0 x 6∈ A

si chiama funzione caratteristica diA.

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40 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

TEOREMA 3.5. SiaR un intervallo inR3 e siaf : R −→ R integrabile.Allora si ha

∫R

f(x)dx =

∫ b1

a1

∫ b2

a2

∫ b3

a3

f(x1, x2, x3)dx3dx2dx1

ogniqualvolta esiste il secondo membro.

DIMOSTRAZIONE. SeP ∈ P(R),Rk = ×[aki, bki], allora si ha

mkχRk(x) ≤ f(x) ≤ MkχRk

(x) ∀x ∈ Rk

integrandon volte su[aki, bki] e sommando suk si ottiene

∑mk misRk ≤

∫ b1

a1

...

∫ bn

an

f(x1, .., xn)dxn..dx1 ≤∑

Mk misRk

Poichef e integrabile, soddisfa il criterio di integrabilita, e si ha la tesi.2E’ necessario estendere la nozione di integrabilita su insiemi che siano

piu generali di un intervallo inR3.A questo scopo occorre precisare la classe dei sottoinsiemi diR3 sui

quali e possibile integrare una funzione.

1.4. Misura di sottoinsiemi diR3.

DEFINIZIONE 3.8. SiaA ⊂ R3 un insieme limitato e siaR un intervalloche contieneA. Definiamo

mis−(A) =

∫R

χA(x)dx , mis+(A) =

–∫R

χA(x)dx

mis−(A) e mis+(A) si dicono, rispettivamente misura interna e misuraesterna diA.

Diciamo cheA e un sottoinsieme misurabile diR3 semis−(A) = mis+(A);in tal caso definiamomis(A), misura diA, il loro comune valore.

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1. INTEGRALI MULTIPLI 41

FIGURA 3.3.

E’ immediato verificare che la precedente definizione non dipende dallascelta dell’ intervallo R tra tutti quelli che contengonoA.Si puo inoltre verificare che

mis−(A) = supP∈P(R)

L(χA, P ) mis+(A) = infP∈P(R)

U(χA, P )

In altre parole• mis−(A) e l’estremo superiore delle somme delle misure degli

intervalli chiusi che sono contenute inA• mis+(A) e l’estremo inferiore delle somme delle misure degli

intervalli chiusi che contengono punti diAInfine si puo vedere con qualche attenzione che l’estremo superiore el’estremo inferiore non cambiano se si considerano intervalli aperti inluogo degli intervalli chiusi.

E intuitivamente evidente, si veda la figura3.3, anche se non immediatoda dimostrare che

TEOREMA 3.6. SiaA ⊂ R3 un sottoinsieme limitato, allora

mis+(∂A) = mis+(A)−mis−(A).

InoltreA e misurabile se e solo se∂A e misurabile ed ha misura nulla.

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42 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

Osserviamo anche che

misA = 0 ⇔ ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(R) : U ′(χA, Pε) < ε

Inoltre, tenuto conto che, semisA = misB = 0 allora misA ∪ B = 0,dal precedente teorema e dal fatto che

∂(A∪B) ⊂ ∂A∪∂B ∂(A∩B) ⊂ ∂A∪∂B ∂(A\B) ⊂ ∂A∪∂Bsi ottiene che, seA eB sono misurabili, alloraA∪B,A∩B,A \B sonomisurabili.Infine, tenendo conto che

χA∪B = χA + χB − χA∩B

si ottienemisA ∪B = misA+ misB −misA ∩B

Abbiamo con cio che, seA,B ⊂ R3 sono misurabili e disgiunti, e sex ∈ R3, si ha

• misA ≥ 0• misA ∪B = misA+ misB• mis(x+ A) = misA• mis(×n

i=1 [0, 1]) = 1

Si potrebbe anche vedere che tali proprieta sono, da sole, in grado dicaratterizzare la misura sui sottoinsiemi diR3

TEOREMA 3.7. SiaR ⊂ R3 un intervallo e siaf : R −→ R limitata;supponiamo inoltref continua inR \D, misD = 0, allora f e integrabilein R.

TEOREMA 3.8. Siaf : A −→ Rm continua,A ⊂ R3 chiuso e limitato,allora

mis(gph(f)) = 0.

COROLLARIO 3.1. Siano g,f: A −→ R, A ⊂ R3 chiuso e limitato;allora, sef eg sono continue

(x, y) ∈ Rn+1 : g(x) ≤ y ≤ f(x)

e misurabile.

1.5. Integrazione su Domini Normali. Definiamo ora l’integrale diuna funzione limitata su un insieme misurabile.

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1. INTEGRALI MULTIPLI 43

DEFINIZIONE 3.9. Sia f : R −→ R, A ⊂ R ⊂ R3, A limitato emisurabile,R intervallo inR3; si definisce∫

A

f(x)dx =

∫R

χA(x)f(x)dx.

E’ banale verificare che la definizione non dipende dalla scelta dell’inter-valloR che contieneA.

Possiamo dare il seguente criterio di integrabilita.

TEOREMA 3.9. Siaf : A −→ R,A ⊂ R3 chiuso, limitato e misurabile;f continua inA \D, misD = 0. Allora f e integrabile su A.

DEFINIZIONE 3.10. Diciamo cheA ⊂ Rn+1 e un dominio normale inRn+1 se esistono un insiemeD ⊂ Rn chiuso e limitato, e due funzionicontinueg, h : D −→ R tali che

A = (x, y) ∈ Rn × R : x ∈ D , g(x) ≤ y ≤ h(x)

oppure se

A = (x, y) ∈ Rn × R : a ≤ y ≤ b , x ∈ Dy

doveDy e un insieme misurabile inRn.

e si puo verificare che

Ogni dominio normale in Rn+1 e un insieme misurabile.

Pertantoe lecito integrare funzioni continue, a meno di insiemi di mi-sura nulla, su domini normali e si ha il seguente

TEOREMA 3.10. SiaA un dominio normale inR3 e siaf : A −→ Runa funzione continua inA \D conmisD = 0.

Allora f e integrabile suA e si ha

(3.1)∫

A

f(x)dx =

∫R

χA(x)f(x)dx =

=

∫ b1

a1

∫ b2

a2

∫ b3

a3

χA(x1, x2, x3, y)f(x1, x2, x3, y)dydx3dx2dx1 =

=

∫D

∫ h(x1,x2,x3)

g(x1,x2,x3)

f(x1, x2, ..., xn, y)dydx3dx2dx1

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44 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

oppure

(3.2)∫

A

f(x)dx =

∫R

χA(x)f(x)dx =

=

∫ b1

a1

∫ b2

a2

∫ b3

a3

χA(x1, x2, x3, y)f(x1, x2, x3, y)dydx3dx2dx1 =

=

∫ b

a

∫Dy

f(x1, x2, ..., xn, y)dx3dx2dx1dy

1.6. Trasformazione di coordinate inR3. E spesso utile, per tenereconto delle caratteristiche di un insieme, considerare un cambiamento divariabili in R3.

Per cambiamento di variabili intendiamo una applicazione

V : R3 → R3

definita da

R3 3 (t, s, r) 7→ V (t, s, r) = (x(t, s, r), y(t, s, r), z(t, s, r)) ∈ R3

che risulti di classeC1 sia invertibile e sia tale che

∂(x, y, z)

∂(t, s, r)= det

xt yt zt

xs ys zs

xr yr zr

6= 0

Sono esempi di trasformazioni di coordinate• Il cambiamento di variabili lineari

x = a1u+ b1v + c1w

y = a2u+ b2v + c2w

z = a3u+ b3v + c3w

, u, v, w ∈ R , z ∈ R

cioe xyz

=

a1 b1 c1a2 b2 c2a3 b3 c3

uvw

• Le coordinate cilindriche definite da

x = ρ cos θ

y = ρ sin θ

z = z

, ρ ∈ [0,+∞) , θ ∈ [0, 2π] , z ∈ R

• Le coordinate sferichedefinite dax = ρ cos θ cosφ

y = ρ sin θ cosφ

z = ρ sinφ

, ρ ∈ [0,+∞) , θ ∈ [0, 2π] , φ ∈ [−π/2, π/2]

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1. INTEGRALI MULTIPLI 45

Si verifica in tali casi che

• Per il cambiamento lineare

∂(x, y, z)

∂(u, v, w)= det

a1 b1 c1a2 b2 c2a3 b3 c3

• Per le coordinate cilindriche

∂(x, y, z)

∂(ρ, θ, z)= ρ

• Per le coordinate sferiche∂(x, y, z)

∂(ρ, θ, φ)= ρ cosφ

TEOREMA 3.11. - Cambiamento di variabili per integrali multipli -Sia

φ : B −→ R3

doveB ⊂ R3 aperto eφ ∈ C1(B).Supponiamo cheA sia un insieme misurabile conclA ⊂ B, tale cheφ

e una funzione invertibile e∇φ e una matrice invertibile suintA;allora sef e limitata suφ(A) e continua suintφ(A), si ha∫

φ(A)

f(x)dx =

∫A

f(φ(x))|det(∇φ(x))|dx.

1.7. Integrali Impropri in R3. Illustriamo ora per sommi capi il pro-blema di definire l’integrale di una funzione non limitata su un insiemelimitato o non limitato.

DEFINIZIONE 3.11. Siaf : A −→ R+, A ⊂ R3, f limitata ed integra-bile in ogni compatto misurabileK ⊂ A. Definiamo∫

A

f(x)dx = sup

∫K

f(x)dx : K ⊂ A ,K compatto e misurabile

La definizione si puo facilmente estendere a funzioni di segno qualun-

que, non appena si ricordi chef = f+ + f−.

Per il calcolo di∫

Af(x)dx e opportuno dare la seguente definizione.

DEFINIZIONE 3.12. SiaA ⊂ R3 diciamo cheKi e una successione didomini invadentiA se

• Ki sono insiemi compatti, misurabili,Ki ⊂ A• Ki+1 ⊃ Ki

• ∀K ⊂ A,K compatto, misurabile,∃i tale cheKi ⊃ K.

TEOREMA 3.12. SiaA ⊂ R3 misurabile e siaf : A −→ R+ unafunzione integrabile in ogni insiemeK ⊂ A, compatto e misurabile.

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46 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

Allora seKi e una successione di domini invadenti A, si ha∫A

f(x)dx = limi

∫Ki

f(x)dx

DIMOSTRAZIONE. Si ha∫Ki

f(x)dx ≤∫

A

f(x)dx

e∫

Kif(x)dx e una successione crescente per cui

limi

∫Ki

f(x)dx = sup

∫Ki

f(x)dx

≤∫

A

f(x)dx

D’altra parte, dal momento che,∀K ⊂ A esisteKi ⊃ K, si ha

sup

∫Ki

f(x)dx

≥ sup

∫K

f(x)dx : K ⊂ A

=

∫A

f(x)dx

2

TEOREMA 3.13. Sia f : A −→ R, A ⊂ R2 misurabile, chiuso elimitato; siax0 ∈ A, siaf continua inA \ x0 e

limx→x0

f(x) = +∞

Allora se

f(x) ≤ H

‖x− x0‖α, H ≥ 0 , α < 2

f e integrabile in senso improprio suA.Se invece

f(x) ≥ H

‖x− x0‖α, H > 0 , α ≥ 2

e seA contiene un cono di verticex0 e ampiezza positiva, allora∫A

f(x)dx = +∞.

DIMOSTRAZIONE. SiaAk = cl(A \ S(x0, 1/k)), Ak e una successionedi domini invadentiA; siah ∈ N, si ha, sek > h∫

Ak

f(x)dx =

∫Ah

f(x)dx−∫

Ah\Ak

f(x)dx

inoltre ∫Ah\Ak

f(x)dx ≤∫ 2π

0

∫ 1/h

1/k

H

ραρdρ

non appena si sia convenuto di indicare conρ e θ le coordinate polari nelpiano, centrate inx0.

Per quel che riguarda il secondo enunciato, dettiθ0 e θ1 gli angoli chele semirette delimitanti il settore formano con l’assex, si ha∫

Ah\Ak

f(x)dx ≥∫ θ1

θ0

∫ 1/h

1/k

H

ραρdρ

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2. INTEGRALI DIPENDENTI DA UN PARAMETRO. 47

2

In maniera analoga si puo provare il seguente

TEOREMA 3.14.Siaf : A −→ R,A ⊂ R3 non limitato; siaf continua.Se

|f(x)| ≤ H

‖x‖α, H ≥ 0 , α > 2

allora f e integrabile in senso improprio suA.Se invece

f(x) ≥ H

‖x‖α, H > 0 , α ≤ 2

e seA contiene un cono di ampiezza positiva, allora∫A

f(x)dx = +∞.

2. Integrali dipendenti da un parametro.

Passiamo infine a illustrare brevemente il comportamento di un integralerispetto a parametri contenuti nella funzione da integrare.

Questo tipo di problematiche si incontra, ad esempio, quando si stu-diano le trasformazioni integrali (Fourier, Laplace) o nella definizione difunzioni notevoli (come,ad esempio, la funzioneΓ).

TEOREMA 3.15. Sia f : A × I −→ R, A ⊂ R3 chiuso e limitato,I = [a, b]. Supponiamof ∈ C0(A×I), allora F : A×I×I −→ R definitada

F (x, y, z) =

∫ z

y

f(x, t)dt

e continua inA×I×I; inoltre Fy edFz esistono e sono continue inA×I×I.Se∇xf ∈ C0(A× I × I), allora F e differenziabile rispetto adx,

∇xF (x, y, z) =

∫ z

y

∇xf(x, t)dt

e quindi risulta∇xF e continuo inA× I × I eF ∈ C1(A× I × I) .

TEOREMA 3.16. Sia f : A × I −→ R, A ⊂ R3 chiuso e limitato,I = [a,+∞), una funzione continua. Consideriamo

F (x) =

∫ +∞

a

f(x, t)dt

Se esisteφ : I −→ R tale che

|f(x, t)| ≤ φ(t) ∀x ∈ A ;

∫ +∞

a

φ(t)dt < +∞

allora F e definita e continua inA.Se inoltre∇xf esiste,e continuo inA× I, e se esisteψ : I −→ R tale

che

‖∇xf(x, t)‖ ≤ ψ(t) ∀x ∈ A ;

∫ +∞

a

ψ(t)dt < +∞

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48 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI.

allora F ∈ C1(A) e

∇F (x) =

∫ +∞

a

∇xf(x, t)dt .

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CAPITOLO 4

ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

In questa parte definiamo i concetti di arco, di superficie, di lunghezzadi un arco e di area di una superficie nello spazio euclideo a tre dimensioniR3 .

La generalizzazione dei concetti esposti al caso diRn, n > 3, e imme-diata, come del restoe ovvio che per ottenere una trattazione delle curve inR2 e sufficiente porrez = 0.

1. Linee ed integrali di linea

DEFINIZIONE 4.1. Chiamiamo curva inR3 una funzione

γ : [a, b] −→ R3 , γ(t) = (x(t), y(t), z(t)).

Chiamiamo traccia diγ, o piu raramente supporto diγ, l’insieme

Γ = R(γ) = (x, y, z) ∈ R3 : ∃t ∈ [a, b] , (x, y, z) = (x(t), y(t), z(t))Indichiamo conγ = (x(t), y(t), z(t)) la derivata diγ.Una curvaγ si dice:

• semplice, see iniettiva,• chiusa, seγ(a) = γ(b),• regolare, seγ ∈ C1([a, b]) e‖γ‖ 6= 0.

Osserviamo che la condizioneγ 6= 0 significa che le tre derivatex, y, znon sono mai contemporaneamente nulle ede spesso espressa nella forma

x2 + y2 + z2 > 0

DEFINIZIONE 4.2. Sia γ una curva regolare inR3 definiamo versoretangente alla curvaγ nel punto(x(t), y(t), z(t)) il versore

Tγ(t) =γ(t)

‖γ(t)‖=

(x(t)

‖γ(t)‖,y(t)

‖γ(t)‖,z(t)

‖γ(t)‖

)dove

‖γ(t)‖ =√x2(t) + y2(t) + z2(t).

1.1. Lunghezza di una Linea.Passiamo ora a definire la lunghezza diuna curvaγ.

Siaγ una curva regolare inR3.Definiamo poligonale inscritta inΓ, associata alla partizioneP = t0 <

t1 < t2 < ....tn, la spezzata poligonaleΛ(Γ, P ) avente per vertici i puntiγ(ti).

49

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50 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

FIGURA 4.1.

Possiamo calcolare la lunghezza della poligonaleΛ(Γ, P ) mediante la

`(Λ(Γ, P )) =n∑

i=1

‖γ(ti)− γ(ti−1)‖ =

=n∑

i=1

√(x(ti)− x(ti−1))2 + (y(ti)− y(ti−1))2 + (z(ti)− z(ti−1))2

Usando il teorema di Lagrange, seP ∈ P(a, b), si ha

`(Λ(Γ, P )) =n∑

i=1

√x2(t1i ) + y2(t2i ) + z2(t3i )(ti − ti−1)

essendot1i , t2i , t

3i ∈ (ti−1, ti), mentre d’altro canto, le somme di Riemann di

‖γ‖ sono date da

R(‖γ‖, P,Ξ) =n∑

i=1

√x2(τi) + y2(τi) + z2(τi)(ti − ti−1)

`(Λ(Γ, P )) = R(‖γ‖, P,Ξ)−R(‖γ‖, P,Ξ) + `(Λ(Γ, P )) =

= R(‖γ‖, P,Ξ) +n∑

i=1

|F (t1i , t2i , t

3i )− F (τi, τi, τi)|(ti − ti−1)

non appena si sia definitaF : [a, b]3 −→ R mediante la

F (r, s, t) =√x2(r) + y2(s) + z2(t)

Dal momento cheF e continua sul cubo[a, b]3 ,si puo dimostrare ricor-rendo al concetto, non banale, di uniforme continuita che pur di scegliere lapartizioneP sufficientemente fine si puo supporre che

|F (t1i , t2i , t

3i )− F (τi, τi, τi)| <

ε

b− a

poiche al raffinarsi della partizioneP si ha

R(‖γ‖, P,Ξ) →∫ b

a

|γ(t)|dt

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1. LINEE ED INTEGRALI DI LINEA 51

e

`(Λ(Γ, P ))−R(‖γ‖, P,Ξ) → 0

possiamo concludere che se|γ| e integrabile, allora

`(Λ(Γ, P )) →∫ b

a

|γ(t)|dt

DEFINIZIONE 4.3. Diciamo che due curveγ1, γ2 regolari in R3 sonoequivalenti se, essendo

γ1 : [a, b] −→ R3 , γ1(t) = (x1(t), y1(t), z1(t))

γ2 : [c, d] −→ R3 , γ2(t) = (x2(t), y2(t), z2(t)),

esiste una funzioneφ : [a, b] −→ [c, d] tale che

• γ1(t) = γ2(φ(t)),• φ ∈ C1([a, b]),• φ(a) = c , φ(b) = d , φ(t) > 0 ∀t ∈ (a, b).

Ci riferiremo alla funzioneφ come ad un cambiamento regolare diparametrizzazione relativo alle curveγ1 , γ2.

Ovviamente, dal momento cheφ e invertibile, ancheφ−1 e un cambia-mento regolare di parametrizzazione. Piu precisamente mentreφ trasformaγ2 in γ1 , φ−1 opera la trasformazione diγ1 in γ2.

1.2. Lunghezza d’Arco.

TEOREMA 4.1. Sia γ una curva regolare inR3 e sia γ∗ una curvaregolare inR3 ad essa equivalente; si ha

`(γ) = `(γ∗)

DIMOSTRAZIONE. Siaφ un cambiamento regolare di parametrizzazio-ne relativo alle curveγ eγ∗ , φ : [a, b] −→ [c, d] e sia

γ(t) = γ∗(φ(t)).

Dal momento cheφ > 0,

`(γ) =

∫ b

a

‖γ(t)‖dt =

∫ b

a

‖(d/dt)γ∗(φ(t))‖dt =

=

∫ b

a

‖γ∗(φ(t))φ(t)‖dt =

∫ b

a

‖γ∗(φ(t))‖φ(t)dt

e applicando il teorema di integrazione per sostituzione

`(γ) =

∫ φ−1(d)

φ−1(c)

‖γ∗(φ(t))‖φ(t)dt =

∫ d

c

‖γ∗(t)‖dt = `(γ∗)

2

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52 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

Seγ e una curva regolare inR3, la funzione

s : [a, b] −→ Rdefinita da

s(t) =

∫ t

a

‖γ(τ)‖dτ

si chiama lunghezza d’arco della curvaγ.Per le ipotesi fatte, s e una funzione di classeC1([a, b]) strettamentecrescente es(t) misura la lunghezza del percorso compiuto da un puntoche si muova, a partire daγ(a), lungo la traccia della curva γ fino alpunto γ(t).Inoltre s e una funzione invertibile e dettat = s−1 la sua inversa essapure risulta strettamente crescente e di classeC1([0, `(γ)]).Pertanto e possibile consideraret come un cambiamento regolare diparametrizzazione e, dettaγ∗ la curva che si ottiene daγ mediante talecambiamento si ha

γ∗(s) = γ(t(s)).

Poichedt

ds(s0) =

1

ds

dt(t(s0))

si ottiene

γ∗(s) =γ(t(s))

‖γ(t(s))‖= Tγ(t(s)).

DEFINIZIONE 4.4. Siaf : A −→ R, A ⊂ R3 e supponiamo cheγ siauna curva regolare inR3 con traccia contenuta inA (o piu brevemente siaγ una curva regolare inA).

Definiamo integrale di linea dif suγ∫γ

fds =

∫ b

a

f(γ(t))ds(t) =

∫ b

a

f(γ(t))‖γ(t)‖dt

qualora l’ultimo integrale esista.

E’ immediato verificare che sef e una funzione continua suA eγ e unacurva regolare inA allora f e integrabile suγ.

1.3. Curvatura - Terna Intrinseca. Ricordiamo infine brevemente ledefinizioni di alcuni utili elementi di una curva.

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1. LINEE ED INTEGRALI DI LINEA 53

Abbiamo gia definito il vettore tangente ad una curva semplice regolarein R3 mediante la

Tγ(t) =γ(t)

‖γ(t)‖e abbiamo gia provato che

Tγ∗(s) =

(d

dsx(t(s)),

d

dsy(t(s)),

d

dsz(t(s))

)e un versore.

Definiamo curvatura diγ nel punto(x(t), y(t), z(t)) il valore

Kγ(t) =‖γ(t) ∧ γ(t)‖‖γ(t)‖3

(ove con il simbolo∧ si sia indicato il prodotto vettoriale inR3).Definiamo altresı raggio di curvatura diγ nel punto(x(t), y(t), z(t)) il

valore

Rγ(t) =1

Kγ(t).

La definizione puo giustificarsi nella seguente maniera:Indichiamo conα l’angolo formato dai vettoriγ(t) eγ(t+ ∆t).E’ naturale definire come curvatura media diγ nell’intervallo [t, t+∆t]

il rapportoα

|∆s|essendo∆s = s(t+ ∆t)− s(t).

Posto∆γ(t) = γ(t+ ∆t)− γ(t), dal momento che si ha

sinα =‖γ(t) ∧ γ(t+ ∆t)‖‖γ(t)‖‖γ(t+ ∆t)‖

si ottiene

sinα =‖γ(t) ∧∆γ(t)‖

‖γ(t)‖‖γ(t+ ∆t)‖non appena si tenga conto del fatto che

γ(t+ ∆t) = γ(t) + ∆γ(t)

eγ(t) ∧ γ(t) = 0

Ma alloraα

|∆s|=

α

sinα

sinα

|∆s|e, poicheα→ 0 quando∆t→ 0 per quanto abbiamo visto sopra, si ha

lim∆t→0

α

|∆s|= lim

∆t→0

‖γ(t) ∧∆γ(t)/∆t‖‖γ(t)‖‖γ(t+ ∆t)‖|∆s/∆t|

=‖γ(t) ∧ γ(t)‖‖γ(t)‖3

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54 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

Chiamiamo piano osculatore aγ nel punto(x(t), y(t), z(t)) il pianodefinito dall’equazione

〈(x, y, z), γ(t) ∧ γ(t)〉 = 0

La definizione di piano osculatore si puo interpretare geometricamentecome segue.

Consideriamo il piano chee individuato dai vettoriγ(t) e γ(t + ∆t);una normale a tale piano sara data da

γ(t) ∧ γ(t+ ∆t)

∆t= γ(t) ∧ ∆γ(t)

∆t

e, se∆t→ 0 essa tende aγ(t) ∧ γ(t)

Pertantoγ(t)∧ γ(t) e normale al piano che si ottiene come limite del pianoconsiderato.

FIGURA 4.2.

In altri termini il piano osculatore alla curvaγ nel punto(x(t), y(t), z(t))contiene i vettoriγ(t) e γ(t).

Nel caso in cui la curva sia parametrizzata secondo la lunghezza d’arco,dal momento che‖γ‖ = 1 si ha

〈γ, γ〉 =d

ds‖γ(s)‖2/2 = 0

γ(s) si dicevettore tangenteaγ in γ(s)γ(s) si dicevettore normale principaleaγ in γ(s)γ(s) ∧ γ(s) si dicevettore binormaleaγ in γ(s) .I vettori γ(s) , γ(s) , γ(s) ∧ γ(s) costituiscono iltriedro principale, o

naturale, della curvaγ nel punto(x(s), y(s), z(s)); il triedro principaleeanche noto cometerna intrinsecadella curva.

Ricordiamo infine alcune classiche definizioni senza pero entrare neidettagli.

Seγ : [a, b] −→ R3 e una curva tale chez(t) ≡ 0, diremo cheγ e unacurva piana.

Il vettore(−y, x) si dice vettore normale alla curvaγ.

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2. SUPERFICI ED INTEGRALI DI SUPERFICIE 55

SiaRγ(t) il raggio di curvatura diγ; diciamo centro di curvatura diγ ilpuntocγ(t) centro del cerchio che ha per raggioRγ(t) ede tangente aγ.

cγ(t) descrive, al variare dit, una curvaγ# che si definisce evoluta dellacurvaγ; γ, a sua volta, si dice involuta della curvaγ#.

Seγ(t) = (x(t), y(t)) , le equazioni della evoluta diγ sono date da

x#(t) = x(t)− y(t)x2(t) + y2(t)

x(t)y(t)− y(t)x(t)

y#(t) = y(t) + x(t)x2(t) + y2(t)

x(t)y(t)− y(t)x(t)

2. Superfici ed Integrali di Superficie

In analogia con quanto fatto per la lunghezza di una linea definiamo

DEFINIZIONE 4.5. SiaR = [a, b] × [c, d], chiamiamo superficie para-metrica inR3 una funzione

S : R −→ R3 , S(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)).

Chiamiamo traccia o supporto diS l’insieme

Σ = (x, y, z) ∈ R3 : ∃(u, v) ∈ R , (x, y, z) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)

FIGURA 4.3.

Osserviamo cheΣ = R(S) e il rango della funzioneS. Una superficieparametricaS in R3 si dice

• semplice, see iniettiva,• regolare, seS ∈ C1(R) e

∇S =

(Su

Sv

)=

(∇uS∇vS

)ha caratteristica massima(= 2).Chiamiamovettore normaleadS in (x(u, v), y(u, v), z(u, v)) il vettore

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56 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

N(u, v) = Su(u, v) ∧ Sv(u, v) =

=

(det

(yu zu

yv zv

),− det

(xu zu

xu zv

), det

(xu yu

xv yv

))=

=

(∂(y, z)

∂(u, v)

∂(z, x)

∂(u, v)

∂(x, y)

∂(u, v)

)

FIGURA 4.4.

E’ d’uso indicare conA,B,C le componenti del vettoreN . Pertanto

N(u, v) =

(∂(y, z)

∂(u, v)

∂(z, x)

∂(u, v)

∂(x, y)

∂(u, v)

)= (A,B,C)

e‖N‖ =

√A2 +B2 + C2

Per definire l’area di una porzione di superficie possiamo utilizzare leapprossimazioni lineari della funzioneS che definisce la superficie stessa.

SiaΩ = P × Q una partizione dell’intervalloR , P ∈ P(a, b) , Q ∈P(c, d), e sianoRk , k = 0..n i rettangoli in cuiP divideR.

SiaS : R −→ R3 una superficie semplice, regolare; chiamiamo appros-simazione lineare della superficieS relativa alla partizioneΩ ed alla sceltaΞ, Π(S,Ω,Ξ) la superficie

Π(S,Ω,Ξ)(u, v) = S(ξi, ηj) + 〈∇S(ξi, ηj), (u− ξi, v − ηi)〉, (u, v) ∈ Rij

Definiamo approssimazione lineare dell’area della superficieS, relativaalla partizioneΩ ed alla sceltaΞ,

La(S,Ω,Ξ) =∑ij

mis(Π(S,Ω,Ξ)(Rij)).

Diciamo infine che la superficieS ha areaA(S) se∀ε > 0 esisteΩε ∈ P(R)tale che∀Ω < Ωε, ∀Ξ si ha

|La(S,Ω,Ξ)− A(S)| < ε

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2. SUPERFICI ED INTEGRALI DI SUPERFICIE 57

ne segue che seS e una superficie parametrica semplice e regolare inR3;allora

A(S) =

∫R

‖n(u, v)‖dudv

infatti si ha

mis(Π(S,Ω,Ξ)(Rij)) = ‖Su(ξi, ηj) ∧ Sv(ξi, ηj)‖(ui − ui−1)(vj − vj−1)

da cui

(4.1) Λ(S,Ω,Ξ) =n∑

i=1

m∑j=1

‖n(ξi, ηj)‖(ui − ui−1)(vj − vj−1) =

= R(‖n‖,Ω,Ξ)

Ricordando la definizione di integrabilita secondo Cauchy-Riemann siha che

R(‖n‖,Ω,Ξ) →∫∫

R

‖n‖dudv

e quindi

A(S) =

∫R

‖n(u, v)‖dudv

ed indichiamo

A(S) =

∫S

FIGURA 4.5.

Si puo provare, usando il teorema di cambiamento di variabili negliintegrali multipli, che se

S : R −→ R3 ed S1 : R1 −→ R3

sono due rappresentazioni equivalenti della stessa superficie, cioe se

S(u, v) = S1(φ(u, v))

conφ : R −→ R1

, invertibile,φ ∈ C1(R), allora∫R

‖n(u, v)‖dudv =

∫R1

‖n1(u, v)‖dudv.

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58 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

Cio consente di affermare che la definizione di area di una superficienon dipende dalla parametrizzazione scelta.

DEFINIZIONE 4.6. SiaS una superficie parametrica semplice e regola-re in R3 e siaΣ ⊂ A ⊂ R3; sia inoltref : A −→ R; definiamo∫

S

fdσ =

∫R

f(S(u, v))‖n(u, v)‖dudv.

3. Forme Differenziali in R3

Il linguaggio delle forme differenzialie abbastanza complesso ed astrat-to nonostante cio le applicazioni della relativa teoria sono numerose e lateoria stessa consente di formulare l’estensione del teorema fondamentaledel calcolo integrale alle funzioni di piu variabili.

Ci limitiamo ad illustrare le definizioni ed i risultati fondamentali, senzaformalizzare le prime e senza dimostrare i secondi, nel caso diR3.

In R3 possiamo considerare• forme differenziali di ordine 0 o 0−forme

ω0 = f(x, y, z)

• forme differenziali di ordine 1 o 1−forme

ω1 = f(x, y, z)dx+ g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz

• forme differenziali di ordine 2 o 2−forme

ω2 = f(x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx+ h(x, y, z)dx ∧ dy• forme differenziali di ordine 3 o 3−forme

ω3 = f(x, y, z)dx ∧ dy ∧ dz

essendof, g, h funzioni definite inR3 a valori inR.Non precisiamo la natura dei simbolidx dy e dz e dell’operazione di

prodotto esterno∧.Diciamo soltanto che i simbolidx dy e dz ci daranno indicazioni su

come trattare ciascuna delle forme mentre il prodotto esterno soddisfa laseguente tabellina

∧ dx dydx 0 dx ∧ dydy −dx ∧ dy 0

Simmetricamente

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3. FORME DIFFERENZIALI INR3 59

Possiamo considerare inR3

• varieta Ω0 di dimensione0 o 0−varietacioe unione finita di punti a ciascuno dei qualie associato

un segno (+ o−)• varieta Ω1 di dimensione1 o 1−varieta

cioe unione finita di linee a ciascuna delle qualie associatoun segno (+ o−)

• varieta Ω2 di dimensione2 o 2−varietacioe unione finita di superfici a ciascuna delle qualie

associato un segno (+ o−)• varieta Ω3 di dimensione3 o 3−varieta

cioe unione finita di volumi a ciascuno dei qualie associatoun segno (+ o−)

Possiamo poi considerare due operazioni:

• Un’operazione che indichiamo cond che trasforma unak−formain una(k + 1)−forma

• Un’operazione che indichiamo con∂ che trasforma unak−varietain una(k − 1)−verieta

L’operazioned si definisce mediante le seguenti regole che riportia-mo omettendo di scrivere esplicitamente la dipendenza da(x, y, z) dellefunzionif , g, h e delle loro derivate.

dω0 = fx(x, y, z)dx+ fy(x, y, z)dy + fz(x, y, z)dz = fxdx+ fydy + fzdz

dω1 = (fxdx+ fydy + fzdz) ∧ dx++ (gxdx+ gydy + gzdz) ∧ dy++ (hxdx+ hydy + hzdz) ∧ dz =

= fxdx ∧ dx+ fydy ∧ dx+ fzdz ∧ dx++ gxdx ∧ dy + gydy ∧ dy + gzdz ∧ dy++ hxdx ∧ dz + hydy ∧ dz + hzdz ∧ dz =

= (fy − gx)dy ∧ dx+ (fz − hx)dz ∧ dx++ (hy − gz)dy ∧ dz

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60 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

dω2 = (fxdx+ fydy + fzdz) ∧ dy ∧ dz++ (gxdx+ gydy + gzdz) ∧ dz ∧ dx++ (hxdx+ hydy + hzdz) ∧ dx ∧ dy =

= (fx + gy + hz)dx ∧ dy ∧ dz

Si ha inoltre che

dω3 = fxdx ∧ dx ∧ dy ∧ dz + fydy ∧ dx ∧ dy ∧ dz++ fzdz ∧ dx ∧ dy ∧ dz = 0

Per quanto riguarda l’operazione∂ usiamo le seguenti definizioniSeV = V (t, s, r) e una3−varieta , cioe se

V : [a, b]× [c, d]× [α, β] → R3

Chiamiamo frontiera diV e scriviamo∂V la 2−varieta che si ottieneconsiderando l’unione delle superfici definite dalle seguenti parametrizza-zioni a ciascuna delle quali attribuiamo un segno che chiamiamo orienta-mento della superficie secondo la seguente regola:

Attribuiamo l’indice 0 al primo estremo e l’indice 1 al secondo estre-mo di ciascuno dei segmenti[a, b], [c, d], [α, β] e assegnamo ad ogniparametrizzazione il segno

(−1)posto della variabile+indice dell’estremo

V (a, s, r) con il segno−[(−1)1+0

]V (b, s, r) con il segno+

[(−1)1+1

]V (t, c, r) con il segno+

[(−1)2+0

]V (t, d, r) con il segno−

[(−1)2+1

]V (t, s, α) con il segno−

[− 1)3+0

]V (t, s, β) con il segno+

[(−1)3+1

]SeS = S(u, v) e una2−varieta , cioe se

S : [a, b]× [c, d] → R3

Chiamiamo frontiera diS e scriviamo∂S la 1−varieta che si ottieneconsiderando l’unione delle linee definite dalle seguenti trasformazioni aciascuna delle quali attribuiamo il segno indicato

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3. FORME DIFFERENZIALI INR3 61

S(a, v) con il segno−[(−1)1+0

]S(b, v) con il segno+

[(−1)1+1

]S(u, c) con il segno−

[(−1)2+0

]S(u, d) con il segno+

[(−1)2+1

]Seγ = γ(t) e una1−varieta , cioe se

γ : [a, b] → R3

Chiamiamo frontiera diγ e scriviamo∂γ la 0−varieta che si ottie-ne considerando l’unione dei punti definiti dalle seguenti trasformazioni aciascuna delle quali attribuiamo il segno indicato

γ(a) con il segno−[(−1)1+0

]γ(b) con il segno+

[(−1)1+1

]Per comprendere il significato dei segni occorre prima chiarire come

unak−forma puo essere integrata su unak−varieta occorre cioe definire ilsimbolo ∫

Ck

ωk

• Seω0 = f(x, y, z) eC0 = ±P (cioe e la zero varieta costituita dalpuntoP = (x, y, z) con il segno±)∫

C0

ω0 = ±f(P )

• Seω1 = f(x, y, z)dx + g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz e C1 = ±γ(cioe e la1−varieta costituita dalla curvaγ = γ(t) con il segno±)∫C1

ω1 = ±∫ b

a

f(γ(t))x(t) + g(γ(t))y(t) + h(γ(t))z(t)dt

• Seω2 = f(x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx+ h(x, y, z)dx∧ dye C1 = ±S (cioe e la 2−varieta costituita dalla superficieS =S(u, v) con il segno±∫

C2

ω2 = ±∫ b

a

∫ d

c

f(S(u, v))∂(y, z)

∂(u, v)+ +g(S(u, v))

∂(z, x)

∂(u, v)+

+ h(S(u, v))∂(x, y)

∂(u, v)dudv

• Seω3 = f(x, y, z)dx∧ dy ∧ dz eC3 = ±V = V (t, s, r) (cioe e la3−varieta costituita dal volumeV con il segno±)∫

C0

ω0 = ±∫ b

a

∫ d

c

∫ β

α

f(V (t, s, r))∂(x, y, z)

∂(t, s, r)dtdsdr

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62 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

A questo punto possiamo anche chiarire il significato del segno cheabbiamo attribuito a i vari pezzi di frontiera di una varieta.

3.0.1. Un’idea per rendersi conto dei segni.Consideriamo una1 −forma

ω2 = f(x, y, z)dx+ g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz

ed la2− varietaS2 costituita dal quadrato[0, 1]× [0, 1] nel pianoz = 0.Possiamo parametrizzareS2 = S2(u, v) nella seguente maniera

S2

x = u

y = v

z = 0

, (u, v) ∈ [0, 1]× [0, 1]

∂S2, la frontiera diS2, e una curva costituita dalle lineeγ1(u) = S2(u, 0),γ2(v) = S2(0, v), γ3(u) = S2(u, 1), γ4(v) = S2(1, v),

γ1

x = u

y = 0

z = 0

, u ∈ [0, 1] γ2

x = 1

y = v

z = 0

, v ∈ [0, 1]

γ3

x = u

y = 1

z = 0

, u ∈ [0, 1] γ4

x = 0

y = v

z = 0

, v ∈ [0, 1]

Con le regole prima descritte attribuiamo il segno+ aγ1 eγ2 ed il segno− aγ3 eγ4.

Pertanto ∫∂S2

ω2 = +

∫γ1

ω2 +

∫γ2

ω2 −∫

γ3

ω2 −∫

γ4

ω2

Se conveniamo che attribuire il segno+ ad un lato significa che quellato e percorso nella direzione positiva dell’asse cuie parallelo mentre ilsegno− indica chee percorso in direzione opposta,e immediato verificareche con tali scelte di segno si vede che il perimetro del quadratoS2, checostituisce la frontiera∂S2, e percorso in senso antiorario, se visto dall’alto(cioe da un punto di vista che giace nel semipianoz > 0).

Se non avessimo fatto uso dei segni avremmo percorso i trattiγ1 e γ2

in senso antiorario, mentre i trattiγ3 e γ4 sarebbero stati percorsi in sensoorario.

Ancora seS1 e la varieta definita da

γ(t)

x = t

y = 0

z = 0

, t ∈ [0, 1]

avremo che la frontiera∂γ e costituita dai due punti

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3. FORME DIFFERENZIALI INR3 63

P0 = γ(0) con il segno−P1 = γ(1) con il segno+

Seω0 = f(x, y, z) e una0−forma

(4.2)∫

∂S1

ω0 = −∫

P0

ω0 +

∫P1

ω0 = f(P1)− f(P0)

Si puo provare che

TEOREMA 4.2. Siaωn unan− forma in A, allora

d(dωk) = 0.

DIMOSTRAZIONE. Dimostriamo il risultato nel caso in cuiω1 e una1-forma inR3

ω1 = f1dx1 + f2dx2 + f3dx3

si ha

dω1 =∂f1

∂x2

dx2 ∧ dx1 +∂f1

∂x3

dx3 ∧ dx1 +

+∂f2

∂x1

dx1 ∧ dx2 +∂f2

∂x3

dx3 ∧ dx2 +

+∂f3

∂x1

dx1 ∧ dx3 +∂f3

∂x2

dx2 ∧ dx3

e tenendo conto chedxi ∧ dxj = −dxj ∧ dxi,

d(dω1) =∂2f1

∂x3∂x2

dx3 ∧ dx2 ∧ dx1 +∂2f1

∂x2∂x3

dx2 ∧ dx3 ∧ dx1 +

+∂2f2

∂x3∂x1

dx3 ∧ dx1 ∧ dx2 +∂2f2

∂x1∂x3

dx1 ∧ dx3 ∧ dx2 +

+∂2f3

∂x2∂x1

dx2 ∧ dx1 ∧ dx3 +∂2f3

∂x1∂x2

dx1 ∧ dx2 ∧ dx3

e ogni termine elide il successivo. 2

DEFINIZIONE 4.7. Siaωn unan − forma differenziale inA, diciamocheωn e esatta se esiste una(n− 1)− forma suA, ηn−1 tale che

dηn−1 = ωn

ηn−1 si chiama primitiva diωn.Diciamo cheωn e chiusa se

dωn = 0.

E’ immediata conseguenza del precedente teorema il seguente risultato.

TEOREMA 4.3. Siaωn unan− forma suA. Seωn e esatta, alloraωn

e chiusa.

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64 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

DIMOSTRAZIONE. Seωn e esatta,ωn = dηn−1 e

dωn = d(dηn−1) = 0.

2

Inoltre

Ogni 3− forma in R3 e chiusa

A questo puntoe importante riconoscere tra len − forme suR3 quel-le esatte e determinarne le primitive. Questo problema infatti ha notevoliriscontri sia dal punto di vista matematico che dal punto di vista fisico.

TEOREMA 4.4. Sia ωn una n−forma differenziale su un insiemeAaperto e stellato; allora seωn e chiusa si ha cheωn e esatta.

Poiche ci limitiamo a considerare soltanto forme differenziali inR3,possiamo discutere l’enunciato precedente in ognuno dei tre casi che si pre-sentano e dal momento che i risultati che riguardano le forme differenzialisono strettamente collegati alla teoria dei campi vettoriali, ricordiamo che

e assegnato un campo vettoriale inR3 see data una funzione

F : A −→ R3 , A ⊂ R3

F (x, y, z) = (f(x, y, z), g(x, y, z), h(x, y, z))

f, g, h : A −→ R

Ad un campo vettorialeF si puo associare tanto una1−forma

ω1 = fdx+ gdy + hdz

che una2−forma

ω2 = fdy ∧ dz + gdz ∧ dx+ hdx ∧ dy

e gli integrali di linea di ω1 e di superficie diω2 rappresentano, rispetti-vamente il lavoro lungo una linea ed il flusso attraverso una superficiedel campo vettorialeF .

Una 0 − forma ed una3−forma sono semplicemente identificate dauna funzione

f : A −→ R3 , A ⊂ R

mediante le

ω0 = f , ω3 = fdx ∧ dy ∧ dz

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3. FORME DIFFERENZIALI INR3 65

Si definisce divergenza di un campo vettorialeF la funzione scalare

divF =∂f

∂x+∂g

∂y+∂h

∂z

mentre si definiscerotore di un campo vettorialeF la funzione vettoriale

rotF = (hy − gz, fz − hx, gx − fy)

Se introduciamo il vettore formale

D =

(∂

∂x,∂

∂y,∂

∂z

)possiamo scrivere che

divF = 〈D,F 〉rotF = D ∧ F

Ricordiamo anche

div∇φ =∂2φ

∂x2+∂2φ

∂y2+∂2φ

∂z2= ∆φ

∆φ si chiama laplaciano della funzioneφ ede di fondamentale impor-tanza in svariati campi della matematica e della fisica.

3.1. Primitive di 1−forme. Consideriamo una1−forma

ω1 = f(x, y, z)dx+ g(x, y, z)dy + h(x, y, z)dz

ed il campo vettorialeF = (f, g, h)

ad essa associato. Si ha

dω1 = (fy − gx)dy ∧ dx+ (fz − hx)dz ∧ dx+ (hy − gz)dy ∧ dz

e pertanto, affincheω1 sia esatta deve esseredω1 = 0 e quindi

fy − gx = 0

fz − hx = 0

hy − gz = 0

cioe cherotF = 0

La 0−formaω0 = ϕ(x, y, z) e una primitiva diω1 sedω0 = ω1 cioe se

ϕx = f

ϕy = g

ϕz = h

ed in termini di campo vettoriale se

F = ∇ϕ

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66 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

Possiamo definire

A(x, y, z) =

∫ x

x0

f(t, y, z)dt

e scegliereϕ(x, y, z) = A(x, y, z) + a(y, z)

Deve anche essere

g(x, y, z) = ϕy(t, y, z) = Ay(t, y, z) + ay(y, z)

Poiche a dipende soltanto da(y, z), affinche la precedente uguaglianza siapossibile occorre che la funzione

g(x, y, z)− Ay(x, y, z)

non dipenda dax; per verificare se questoe vero possiamo derivare rispettoadx ed otteniamo

gx − Ayx = gx − Axy = gx − fy = 0

in quanto valgono le condizioni necessarie.Pertanto l’uguaglianza

ay(y, z) = g(x, y, z)− Ay(x, y, z)

e possibile e possiamo concludere che

a(y, z) =

∫ y

y0

(g(x, η, z)− Ay(x, η, z)

)dη + b(z) = B(y, z) + b(z)

Ma allora

ϕ(x, y, z) = A(x, y, z) +B(y, z) + b(z)

e deve infine essere

ϕz(x, y, z) = Az(x, y, z) +Bz(y, z) + bz(z) = h(x, y, z)

Affinche sia possibile trovareb in modo che la precedente uguaglianzasia soddisfattae necessario che

Az(x, y, z) +Bz(y, z)− h(x, y, z)

dipenda solo daz e quindi che(h(x, y, z)− Az(x, y, z)−Bz(y, z)

)x

= 0(h(x, y, z)− Az(x, y, z)−Bz(y, z)

)y

= 0

Si ha

(h− Az −Bz)x = hx − Azx −Gzx = hx − Axz = hx − fz = 0

(h− Az −Bz)y = hy − Azy −Gzy = hy − Azy − gz + Fyz = hy − gz = 0

E allora sufficiente porre

b(z) =

∫ z

z0

(h− Az − az)(x, y, ζ)dζ

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3. FORME DIFFERENZIALI INR3 67

3.2. Primitive di 2−forme. Consideriamo una2−forma

ω2 = f(x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx+ h(x, y, z)dx ∧ dyed il campo vettoriale

F = (f, g, h)

ad essa associato. Si ha

dω2 = (fx + gy + hz)dx ∧ dy ∧ dxe pertanto, affincheω2 sia esattadω2 = 0 e quindi

fx + gy + hz = 0

cioe chedivF = 0

La 1−formaω1 = α(x, y, z)dx + β(x, y, z)dy + γ(x, y, z)dx cui asso-ciamo il campo vettorialeΦ = (α, β, γ), e una primitiva diω2 sedω1 = ω2,cioe se

γy − βz = f

αz − γx = g

βx − αy = h

ed in termini di campo vettoriale se

Φ = rotF

Possiamo scegliere di cercare una primitiva per la quale risulti

γ(x, y, z) = 0

per cui, le prime due condizioni sono soddisfatte se

−βz = f

αz = g

e allo scopoe sufficiente definire

α(x, y, z) =

∫ z

z0

g(x, y, ζ)dζ + a(x, y) = B(x, y, z) + a(x, y)

β(x, y, z) =

∫ z

z0

−f(x, y, ζ)dζ + b(x, y) = −A(x, y, z) + b(x, y)

Per quel che riguarda la terza condizione osserviamo che poiche suppo-niamo soddisfatta la condizione necessaria per l’esistenza della primitiva diω2, si ha

(βx − αy − h)z = βxz − αyz − hz =

= βzx − αzy − hz = −gy − fx − hz = 0

ammesso che la condizione necessaria sia soddisfatta, e quindi

βx − αy − h

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68 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

e costante rispetto az e si ha

(βx − αy − h)(x, y, z) = 0 ⇐⇒ (βx − αy − h)(x, y, z0) = 0

Ma allora, poiche

Bx(x, y, z) =

∫ z

z0

gx(x, y, ζ)dζ

Ay(x, y, z) =

∫ z

z0

fy(x, y, ζ)dζ

avremo

(βx − αy − h)(x, y, z0) =

= (bx − ay − Ay −Bx − h) (x, y, z0) = (bx − ay − h) (x, y, z0) = 0

e l’ultima uguaglianzae verificata se scegliamo, ad esempio,

a(x, y) = 0 , b(x, y) =

∫ x

x0

h(ξ, y, z)dξ

3.3. Primitive di 3−forme. Consideriamo una3−forma

ω3 = f(x, y, z)dx ∧ dy ∧ dzsi ha sempre

dω3 = 0

e pertantoω3 e sempre esattaLa 2−formaω2 = α(x, y, z)dx + β(x, y, z)dy + γ(x, y, z)dx cui asso-

ciamo il campo vettorialeΦ = (α, β, γ), e una primitiva diω3 sedω2 = ω3,cioe se

αx + βy + γz = f

ed in termini di campo vettoriale se

div Φ = f

Si verifica subito che possiamo trovare una primitiva definendo

α(x, y, z) = β(x, y, z) = 0 γ(x, y, z) =

∫ z

z0

f(x, yζ)dζ

4. Il Teorema di Stokes

Il teorema di Stokes costituisce la naturale estensione del teorema fon-damentale del calcolo integrale, cosı come il concetto di potenziale di unaforma differenziale costituisce la naturale estensione del concetto di primi-tiva di una funzione di una variabile reale, ede di grandissima importanzanella teoria e nelle applicazioni.

Con le definizioni precedenti il teorema di Stokes puo essere enunciatocome segue

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4. IL TEOREMA DI STOKES 69

TEOREMA 4.5. - Stokes -Siaωn−1 una(n− 1)− forma differenzialesuRk e siaC unan-varieta in Rk; allora∫

∂C

ωn−1 =

∫C

dωn−1.

Il teorema di Stokese suscettibile di significative conseguenze sia inR2

che inR3 soprattutto se si tiene conto del fatto che, ad esempio inR3, le1−forme e le2−forme possono essere identificate con un campo vettoriale.(in R2 soltanto le1−forme)

4.1. Il teorema della divergenza inR3. Consideriamo una2-forma inR3

ω2(x, y, z) = f(x, y, z)dy ∧ dz + g(x, y, z)dz ∧ dx+ h(x, y, z)dx ∧ dyed il campo vettoriale che la identifica

F = (f, g, h)

Si hadω2 = (fx + gy + hz)dx ∧ dy ∧ dz

SeV = V (t, s, r) e una3−varieta la cui frontierae

∂V = +V (1, s, r)∪−V (0, s, r)∪−V (t, 1, r)∪+V (t, 0, r)∪+V (t, s, 1)∪−V (t, s, 0)

si ha

(4.3)∫

∂V

fdy∧dz+gdz∧dx+hdx∧dy =

∫V

(fx +gy +hz)dx∧dy∧dz

E, se si tiene conto che la normale a∂V e data da

N =1

ν

(∂(y, z)

∂(u, v),−∂(x, z)

∂(u, v),∂(x, y)

∂(u, v)

)=

1

ν

(∂(y, z)

∂(u, v),∂(z, x)

∂(u, v),∂(x, y)

∂(u, v)

)

ν =

√(∂(y, z)

∂(u, v)

)2

+

(∂(x, z)

∂(u, v)

)2

+

(∂(x, y)

∂(u, v)

)2

si ottiene∫∂V

fdy ∧ dz − gdx ∧ dz + hdx ∧ dy =

=

∫∫D

1

ν

(f∂(y, z)

∂(u, v)− g

∂(x, z)

∂(u, v)+ h

∂(x, y)

∂(u, v)

)νdudv =

=

∫∫D

〈F,N〉νdudv =

∫∫∂C

〈F,N〉dσ

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70 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

Pertanto si ha

(4.4)∫∫

∂V

〈F,Ne〉dσ =

∫ ∫∫V

divFdxdydz

oveNe = N sgn JV e il versore normale a∂V orientato verso l’esterno diV .

La 4.3 e nota come teorema di Gauss e la4.4 e la formulazione delteorema della divergenza.

Possiamo dimostrare il teorema della divergenza come segue.DIMOSTRAZIONE. Proviamo ad esempio che∫∫∫

V

fxdx ∧ dy ∧ dz =

∫∫∂V

fdy ∧ dz

Si ha∫∫∂V

fdy ∧ dz =

∫ 1

0

∫ 1

0

f∂(y, z)

∂(s, r)

∣∣∣t=1

t=0dsdr−

−∫ 1

0

∫ 1

0

f∂(y, z)

∂(t, s)

∣∣∣s=1

s=0dtdr +

∫ 1

0

∫ 1

0

f∂(y, z)

∂(t, s)

∣∣∣r=1

r=0dtds =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

d

dt

(f∂(y, z)

∂(s, r)

)dtdsdr−

−∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

d

ds

(f∂(y, z)

∂(t, s)

)dsdtdr+

+

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

d

dr

(f∂(y, z)

∂(t, s)

)drdtds

e ∫∫∂V

fdy ∧ dz =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

(fxxt + fyyt + fzzt)∂(y, z)

∂(s, r)+ f

d

dt

∂(y, z)

∂(s, r)dtdsdr−

−∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

(fxxs + fyys + fzzs)∂(y, z)

∂(t, r)+ f

d

ds

∂(y, z)

∂(t, r)dtdsdr+

+

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

(fxxr + fyyr + fzzr)∂(y, z)

∂(t, s)+ +f

d

dr

∂(y, z)

∂(t, s)dtdsdr =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

(fxxt + fyyt + fzzt)∂(y, z)

∂(s, r)−

− (fxxs + fyys + fzzs)∂(y, z)

∂(t, r)+(fxxr + fyyr + fzzr)

∂(y, z)

∂(t, s)dtdsdr =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

f

(d

dt

∂(y, z)

∂(s, r)− d

ds

∂(y, z)

∂(t, r)+

d

dr

∂(y, z)

∂(t, s)

)dtdsdr

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4. IL TEOREMA DI STOKES 71

Ma

(d

dt

∂(y, z)

∂(s, r)− d

ds

∂(y, z)

∂(t, r)+

d

dr

∂(y, z)

∂(t, s)

)=

=

(d

dtdet

(ys zs

yr zr

)− d

dsdet

(yt zt

yr zr

)+

d

drdet

(yt zt

ys zs

))=

= det

(yst zs

yrt zr

)+ det

(ys zst

yr zrt

)− det

(yts zt

yrs zr

)− det

(yt zts

yr zrs

)+

+ det

(ytr zt

ysr zs

)+ det

(yt ztr

ys zsr

)= 0

per cui

∫∫∂V

fdy ∧ dz =

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

(fxxt + fyyt + fzzt)∂(y, z)

∂(s, r)−

− (fxxs + fyys + fzzs)∂(y, z)

∂(t, r)+(fxxr + fyyr + fzzr)

∂(y, z)

∂(t, s)dtdsdr =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

fx

(xt∂(y, z)

∂(s, r)− xs

∂(y, z)

∂(t, r)+ xr

∂(y, z)

∂(t, s)

)dtdsdr+

+

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

fy

(yt∂(y, z)

∂(s, r)− ys

∂(y, z)

∂(t, r)+ yr

∂(y, z)

∂(t, s)

)dtdsdr+

+

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

fz

(zt∂(y, z)

∂(s, r)− zs

∂(y, z)

∂(t, r)+ zr

∂(y, z)

∂(t, s)

)dtdsdr

Poiche

(yt∂(y, z)

∂(s, r)− ys

∂(y, z)

∂(t, r)+ yr

∂(y, z)

∂t, s

)=(

yt det

(ys zs

yr zr

)− ys det

(yt zt

yr zr

)+ yr det

(yt zt

ys zs

))= 0

e

(zt∂(y, z)

∂(s, r)− zs

∂(y, z)

∂(t, r)+ zr

∂(y, z)

∂t, s

)=(

zt det

(ys zs

yr zr

)− zs det

(yt zt

yr zr

)+ zr det

(yt zt

ys zs

))= 0

Possiamo concludere

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72 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

∫∫∂V

fdy ∧ dz =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

fx

(xt∂(y, z)

∂(s, r)− xs

∂(y, z)

∂(t, r)+ xr

∂(y, z)

∂(t, s)

)dtdsdr =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

fx det

xt yt zt

xs ys zs

xr yr zr

dtdsdr =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

∫ 1

0

fx∂(x, y, z)

∂(t, s, r)=

∫∫∫V

fxdx ∧ dy ∧ dzdtdsdr

2

4.2. Il Teorema del Rotore. Se consideriamo una1-forma inR3

ω1 = fdx+ gdy + hdz

e se

F = (f, g, h)

e il campo vettoriale ad essa associato, si ha

dω1 = (gx − fy)dx ∧ dy + (hy − gz)dy ∧ dz + (hx − fz)dx ∧ dz

SiaS = S(u, v) una2−varieta, cioe sia

S : [0, 1]× [0, 1] → R3

e sia∂S la sua frontiera

∂S = −S(1, v) ∪+S(0, v) ∪+S(u, 1) ∪ −S(u, 0)

si ha

(4.5)∫

∂S

fdx+ gdy + hdz =

=

∫S

(gx − fy)dx ∧ dy + (hy − gz)dy ∧ dz + (hx − fz)dx ∧ dz

Ricordando che il versore tangente a∂S e dato da

T =

(x√

x2 + y2 + z2,

y√x2 + y2 + z2

,z√

x2 + y2 + z2

)

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4. IL TEOREMA DI STOKES 73

si ha∫∂S

fdx+ gdy + hdz =

∫ b

a

(fx+ gy + hz)dt =

=

∫ b

a

〈F, T 〉√x2 + y2 + z2dt =

∫∂S

〈F, T 〉ds

mentre∫S

(gx − fy)dx ∧ dy + (hy − gz)dy ∧ dz + (hx − fz)dx ∧ dz =

=

∫∫D

1

ν

((gx − fy)

∂(x, y)

∂(u, v)+ (hy − gz)

∂(y, z)

∂(u, v)+ (hx − fz)

∂(x, z)

∂(u, v)

)νdudv =

=

∫∫D

〈rotF,N〉νdudv =

∫∫S

〈rotF,N〉dσ

Si ottiene percio che

(4.6)∫

∂C

〈F, T 〉ds =

∫∫C

〈rotF,N〉dσ

La 4.6e nota come teorema del rotore.Osserviamo che nella formula compareN e nonNe.Le formule4.6 e 4.4 assumono un’interessante aspetto nel caso in cui

F = ∇φ.Si ha infatti in tal caso che, seC2 e una2-varieta eC3 e una3-varieta

(4.7)∫

∂C2

〈∇φ, T 〉ds = 0

∫∫∂C3

〈∇φ,Ne〉ds =

∫∫∫C3

∆φdxdydz

Possiamo dimostrare il teorema del rotore come segue.DIMOSTRAZIONE. Proviamo il teorema nel caso in cui

F = (0, 0, h(x, y, z))

per cui

rotF = (hy(x, y, z),−hx(x, y, z), 0)

In tal caso si ha

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74 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

∫∂S

〈F, T 〉ds =

∫∂S

hdz =

∫ 1

0

h(x(u, 0), y(u, 0), z(u, 0))zu(u, 0)−

− h(x(u, 1), y(u, 1), z(u, 1))zu(u, 1)du+

+

∫ 1

0

h(x(1, v), y(1, v), z(1, v))zv(1, v)−

− h(x(0, v), y(0, v), z(0, v))zv(0, v)dv =

= −∫ 1

0

∫ 1

0

d

dvh(x(u, v), y(u, v), z(u, v))zu(u, v)dvdu+

+

∫ 1

0

∫ 1

0

d

duh(x(u, v), y(u, v), z(u, v))zv(u, v)dudv =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

−(hxxv+hyyv+hzzv)zu−hzuv+(hxxu+hyyu+hzzu)zv+hzvududv =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

hx(xuzv − xvzu) + hy(yuzv − xvzu)dudv =

=

∫ 1

0

∫ 1

0

hx∂y, z

∂(u, v)+ hy

∂(x, z)

∂(u, v)dudv =

∫∫∂S

〈rotFN〉dσ

2

4.3. La formula di Green nel piano. Consideriamo la1 − forma inR2

ω1(x, y) = f(x, y)dx+ g(x, y)dy

ed il campo vettoriale suR2

F = (f, g)

Avremodω1 = (−fy + gx)dx ∧ dy

Siaγ = γ(t) una1−varieta inR2, cioe sia

γ : [a, b] → R2

avremo∂γ = +γ(b) ∪ −γ(a)

si ha

(4.8)∫

∂γ

fdx+ gdy =

∫γ

(−fy + gx)dx ∧ dy.

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4. IL TEOREMA DI STOKES 75

Ora, seN e il versore normale a∂γ,

N =

(y√

x2 + y2,− x√

x2 + y2

)e pertanto∫

∂γ

fdx− gdy =

∫ b

a

(fx+ gy)dt =

=

∫ b

a

〈F,N〉(x2 + y2)dt =

∫∂γ

〈F,N〉ds

La 4.8e nota come teorema di Green e si puo dimostrare come segue.DIMOSTRAZIONE.∫Ω

gx(x, y)dxdy =

∫ b

a

∫ d

c

gx(x(t, s), y(t, s))

∣∣∣∣∂(x, y)

∂(t, s)

∣∣∣∣ dtds =

=

∫ b

a

∫ d

c

gx(x, y)[xtys − xsyt]dtds =

=

∫ b

a

∫ d

c

[gx(x, y)xtys − gx(x, y)xsyt+

+ gy(x, y)ytys − gy(x, y)ysyt

]dtds =

=

∫ b

a

∫ d

c

[gx(x, y)xt + gy(x, y)yt

]ys−

−∫ b

a

∫ d

c

[gx(x, y)xs + gy(x, y)ys

]ytdtds =

=

∫ d

c

(∫ b

a

(d

dtg(φ(t, s))

)ys(t, s)dt

)ds−

−∫ b

a

(∫ d

c

(d

dsg(φ(t, s))

)ys(t, s)ds

)dt =

=

∫ d

c

([g(φ(t, s))ys(t, s)

]t=b

t=a−∫ b

a

g(φ(t, s))yst(t, s)dt

)ds−

−∫ b

a

([g(φ(t, s))yt(t, s)

]s=d

s=c−∫ d

c

g(φ(t, s))yts(t, s)ds

)dt =

=

∫ d

c

[g(φ(b, s))ys(b, s)− g(φ(a, s))ys(a, s)

]ds−

−∫ b

a

[g(φ(t, d))yt(t, d)− g(φ(t, c))yt(t, c)

]dt =

=

∫∂Ω

g(x, y)dy

2

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76 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

4.4. Campi conservativi. Concludiamo questo paragrafo precisando irisultati ottenuti per le1-forme in R3 nell’ambito dello studio dei campivettoriali.

DEFINIZIONE 4.8. SiaA ⊂ R3 aperto e siano

f, g, h : A −→ R , f, g, h ∈ C2(A)

Siaω = fdx+ gdy + hdz

eF = (f, g, h)

ω e la 1-forma differenziale corrispondente al campo vettorialeF e reci-procamenteF e il campo vettoriale che corrisponde alla 1-formaω.

Diamo ora alcune definizioni che sono la controparte relativa al campoF delle definizioni date in precedenza, per le1-formeω.

DEFINIZIONE 4.9. Sia F : A −→ R3, A ⊂ R3 aperto, un campovettoraleF = (f, g, h). Diciamo cheF e un campo chiuso se

rotF = (hy − gz, fz − hx, gx − fy) = (0, 0, 0)

Diciamo cheF e conservativo, oppure cheF ammette potenziale, se esiste

φ : A −→ Rtale che

∇φ = F

In tal casoφ si chiama potenziale diF .

Osserviamo che, evidentemente, un campo vettorialee chiuso o conser-vativo se e solo se la corrispondente1-formaω e chiusa o esatta, rispettiva-mente.

E’ pertanto conseguenza dei precedenti risultati che

TEOREMA 4.6. SiaF : A −→ Rk,A ⊂ Rk aperto; seF e conservativoallora F e chiuso.

Possiamo osservare che il teoremae immediata conseguenza del teore-ma di Schwarz.

Si puo anche dimostrare che

TEOREMA 4.7. SiaF : A −→ R3, A ⊂ R3 aperto, stellato. SeF echiuso, alloraF e conservativo.

Il campo vettorialeF : R2 \ (0, 0) −→ R2 definito da

F (x, y) =

(−y

x2 + y2,

x

x2 + y2

)mostra che la condizioneA stellato none inessenziale. Essa puo tuttaviaessere un po’ attenuata.

A questo scopo definiamo

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4. IL TEOREMA DI STOKES 77

DEFINIZIONE 4.10. SiaF : A −→ R3, A ⊂ R3 aperto, e siaγ una1-varieta in Rk, γ(t) = (x(t), y(t), z(t)), t ∈ [a, b]; definiamo∫

γ

F =

∫γ

ω =

∫ b

a

f(γ(t))x(t) + g(γ(t))y(t) + h(γ(t))z(t)dt =

=

∫ b

a

〈F (γ(t)),γ(t)

‖γ(t)‖〉√x2(t) + y2(t) + z2(t)dt =

∫γ

〈F, Tγ〉ds

doveTγ(t) indica il vettore tangente unitario alla curvaγ.

Possiamo dimostrare che

TEOREMA 4.8. Sia F : A −→ Rk, A ⊂ Rk aperto e connesso, uncampo vettoriale; sono condizioni equivalenti

(1) F e conservativo;(2)∫

γF = 0 su ogni curva chiusaγ contenuta inA;

(3)∫

γF dipende solo dagli estremi diγ.

(Per semplicita la funzioneF e la funzioneγ sono supposte di classeC2, mae sufficienteF ∈ C0 eγ regolare a tratti.)

DIMOSTRAZIONE.1) ⇒ 2)SeF = ∇φ conφ : A −→ R, si ha

(4.9)∫

γ

F =

∫ b

a

φx(γ(t))x(t) + φy(γ(t))y(t) + φz(γ(t))z(t)dt =

=

∫ b

a

d

dtφ(γ(t))dt = φ(γ(b))− φ(γ(a)) = 0

2) ⇒ 3). Sianoγ1 e γ2 due curve con gli stessi estremi; alloraγ =γ1 − γ2 e chiusa e ∫

γ

F =

∫γ1

F −∫

γ2

F = 0

3) ⇒ 1). Poiche vale 3), seγ e una qualunque curva avente per estremiP = (x, y, z) ∈ A eP0 = (x0, y0, z0) ∈ A fissato, possiamo definire

φ(x) =

∫γ

F

Si ha allora, ad esempio

φ(x+ t, y, z)− φ(x, y, z)

t=

1

t

∫γ∗F

essendoγ∗(s) = (x+ s, y, z), 0 ≤ s ≤ t.Pertanto

φ(x+ t, y, z)− φ(x, y, z)

t=

1

t

∫ t

0

f(x+ s, y, z)ds = f(x+ σt, y, z)

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78 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO.

0 ≤ σt ≤ t e

limt→0

φ(x+ t, y, z)− φ(x, y, z)

t= lim

t→0f(x+ σt) = f(x)

2

DEFINIZIONE 4.11. SiaA ⊂ R3, diciamo cheA e semplicemente con-nesso se ogni curva chiusa contenuta inA puo essere deformata con conti-nuita sino a ridursi ad un punto senza uscire daA.

Per la precisione, seγ0, γ1 : [a, b] −→ A sono due curve chiuse,diciamo cheγ0 eγ1 sono omotope se esisteψ ∈ C2,

ψ : [0, 1]× [a, b] −→ A

tale che, ses ∈ [0, 1] e t ∈ [a, b]

ψ(0, t) = γ0(t) , ψ(1, t) = γ1(t), ψ(s, 0) = ψ(s, 1)

Diciamo cheA e semplicemente connesso se ogni1-varieta chiusa avalori in A e omotopa ad un punto diA.

TEOREMA 4.9. SiaF : A −→ R3 un campo vettoriale chiuso,A ⊂ R3,e sianoγ0 eγ1 due curve chiuse a valori inA, omotope, allora∫

γ0

F =

∫γ1

F.

DIMOSTRAZIONE. Poicheγ0 eγ1 sono omotope, esisteS tale che

S : [0, 1]× [a, b] −→ A

tale che, seu ∈ [0, 1] ev ∈ [a, b]

S(0, v) = γ0(v) , S(1, v) = γ1(v), S(u, 0) = S(u, 1)

Definiamo

γ2(u) = S(u, 0) = S(u, 1) , u ∈ [0, 1]

Per il teorema di Stokes avremo

∂S = γ2 + γ1 − γ2 − γ0

per cui ∫γ2

F +

∫γ1

F −∫

γ2

F −∫

γ0

F =

∫∂S

ω =

∫S

dω = 0

e si puo concludere che ∫γ1

F −∫

γ2

= 0

2

COROLLARIO 4.1. SiaF : A −→ Rk un campo vettoriale,A ⊂ Rk

semplicemente connesso, alloraF e conservativo se e solo seF e chiuso.

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CAPITOLO 5

LE SERIE

Il problema di sommare un numero non finito di quantita numericheestato per lungo tempo considerato privo di senso, mae giustificabile facil-mente, anche dal punto di vista intuitivo, non appena si consideri il seguenteesempio.

SiaI = [0, 1] e consideriamo una successione di intervalli cosı definita:poniamo

I1 = [0, 1/2]

I2 = [1/2, 1/4]

I3 = [1/4, 1/8]

I4 = [1/8, 3/4]

· · · · · · · · ·E’ ovvio che

∪Ik = [0, 1]

ed inoltre la lunghezza del segmentoIk e data da

`(Ik) = 1/2k

Pertanto

1 = `([0, 1]) =+∞∑k=1

1

2k

Possiamo cercare di puntualizzare il concetto di somma infinita median-te la seguente definizione

DEFINIZIONE 5.1. Siaak una successione di numeri reali e definiamo

Sn =n∑

k=1

ak

SelimSn esiste finito, diciamo che+∞∑k=1

ak = S = lim Sn

In tal caso si dice che∑+∞

k=1 ak e una serie convergente che ha persommaS.

SelimSn = +∞ (−∞) diciamo che∑+∞

k=1 ak e una serie positivamente(negativamente) divergente.

SelimSn non esiste diciamo che la serie none determinata.

79

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80 5. LE SERIE

Consideriamo ora qualche esempio importante di serie Siax ∈ R pos-siamo considerarean = xn e avremo

Sn =n∑

k=0

ak =n∑

k=0

xk = 1 + x+ x2 + x3 + ...+ xn

Se osserviamo che

xSn = x+ x2 + x3 + x4 + ...+ xn+1

si ottiene(1− x)Sn = 1− xn+1

e, perx 6= 1,

Sn =1− xn+1

1− x

Di qui si vede che

• se|x| < 1 limSn = 11−x

• sex ≥ 1 limSn = +∞• sex ≤ −1 limSn non esiste.

Pertanto

+∞∑k=0

xk =1

1− xse |x| < 1

mentre per i restanti valori dix la seriee divergente o indeterminata.

∑xk

si chiama serie geometrica di ragionex.

Possiamo ottenere facilmente altri esempi di serie convergenti. usandola formula di Taylor.

Consideriamo lo sviluppo di McLaurin della funzioneex

ex − 1− x− x2

2!− x3

3!− ...− xn

n!= Rn+1(x)

dove il restoRn+1 si puo esprimere nella forma di Lagrange mediante la

|Rn+1(x)| = ec |x|n+1

(n+ 1)!≤ e|x|

|x|n+1

(n+ 1)!‖c‖ ≤ ‖x‖

Pertanto, se definiamo

Sn =n∑

k=0

xk

k!

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5. LE SERIE 81

si ha

|ex − Sn| ≤ |Rn+1(x)| ≤ e|x||x|n+1

(n+ 1)!

e tenendo conto che

lim|x|n+1

(n+ 1)!= 0 per ogni x ∈ R

si ha

ex = limSn =+∞∑k=0

xk

k!

In maniera del tutto analoga si prova che

sin(x) =+∞∑k=0

(−1)k x2k+1

(2k + 1)!∀x ∈ R

cos(x) =+∞∑k=0

(−1)k x2k

(2k)!∀x ∈ R

ln(1 + x) =+∞∑k=1

(−1)k−1xk

k∀x ∈ [−1/2, 1]

Dal momento che, pern grande

n∑k=1

ak =

k0∑k=1

ak +n∑

k=k0

ak

e dal momento chek0∑

k=1

ak ∈ R

possiamo dire che una serie converge diverge oe indeterminata indipenden-temente dal termine a partire da quale si inizia a sommare; ovviamente lasomma della serie cambia, cambiando il punto di partenza.

Pertanto il carattere di una serie, cioe il fatto che sia convergente, diver-gente o indeterminata, none influenzato dalla scelta del primo indicedi somma.

Rn =+∞∑

k=n+1

ak

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82 5. LE SERIE

si chiama ’resto ennesimo’ della serie data ede una serie che ha lo stessocarattere della serie stessa poiche

SN − Sn =N∑

k=n

ak

si ricava, perN → +∞Rn = S − Sn

e quindilimRn = 0 se e solo se la seriee convergente.Dalla definizione di serie e dal criterio di convergenza di Cauchy pos-

siamo subito dedurre che

TEOREMA 5.1. Condizione necessaria e sufficiente affinche∑ak sia

convergentee che

∀ε > 0 ∃nε tale che ∀n > nε , ∀p ∈ N si ha

∣∣∣∣∣n+p∑

k=n+1

ak

∣∣∣∣∣ < ε.

DIMOSTRAZIONE. Si ha infatti che∑ak e convergente se e solo se la

successione delle sue ridotte ennesimee convergente adS ∈ R.Pertanto ad essa si puo applicare il criterio di Cauchy e si puo affermare

che:∀ε > 0 ∃nε ∈ N tale che, sen,m > nε

|Sn − Sm| < ε

o, equivalentemente, sen > nε ep ∈ N

|Sn+p − Sn| =

∣∣∣∣∣n+p∑

k=n+1

ak

∣∣∣∣∣ < ε

2

Come conseguenza immediata otteniamo perp = 1, che,∀ε > 0 ∃nε ∈N tale che, sen > nε (perp = 1)

|an+1| = |Sn+1 − Sn| < ε

e quindi

Condizione necessaria affinche ∑ak

sia convergentee chelim ak = 0

Sottolineiamo che la condizionee solo necessaria e pertanto non assi-cura, da sola, la convergenza della serie; viceversa, se none soddisfatta,permette di concludere che la serie none convergente.

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1. CRITERI DI CONVERGENZA PER LE SERIE A TERMINI POSITIVI 83

Se ad esempio consideriamo+∞∑k=1

1

k

si halim 1k

= 0 e tuttavia la seriee divergente.Infatti le sue ridotteSn formano una successione crescente che quindi

ammette limite; tale limite non puo essere finito in quanto none soddisfattoil criterio di Cauchy perche

2n∑k=n+1

1

k≥ n

1

2n=

1

2

1. Criteri di convergenza per le serie a termini positivi

Seak ≥ 0, o piu in generale se ha segno costante, la successione delleridotte ennesimee monotona; pertanto illimSn esiste, essendo possibili ivalori +∞ e−∞.

Sia ∑ak

una serie a termini positivi, allora essae o convergente o positivamentedivergente.

DEFINIZIONE 5.2. Diciamo che∑ak e assolutamente convergente se

risulta convergente∑|ak|.

Diciamo che∑ak e assolutamente divergente se

∑|ak| = +∞.

TEOREMA 5.2. Se∑ak e assolutamente convergente, allorae conver-

gente.

Infatti ∣∣∣∣∣n+p∑

k=n+1

ak

∣∣∣∣∣ ≤n+p∑

k=n+1

|ak|

e si puo concludere per il criterio di convergenza di Cauchy.

1.1. Criterio del confronto di Gauss. Sianom > 0,∑ak e

∑bk due

serie tali che 0≤ ak ≤ mbk; allora:• se

∑bk converge anche

∑ak converge

• se∑ak diverge anche

∑bk diverge.

Infatti detteSan edSb

n le ridotte di∑ak e

∑bk , rispettivamente, si ha:

0 ≤ San ≤ mSb

n .

InoltreSan edSb

n sono successioni crescenti e pertanto ammettono limite.Possiamo anche enunciare il criterio nella seguente forma

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84 5. LE SERIE

Siano∑ak e

∑bk due serie tali cheak, bk >0 e supponiamo che esista

un indice k0 tale che, perk > k0

0 < m ≤ ak

bk≤M

allora si ha che∑ak e

∑bk hanno lo stesso carattere.

Se invece0 < m ≤ ak

bksi ha che se

∑ak converge allora anche

∑bk e convergente, mentre se∑

bk diverge allora anche∑ak e divergente.

1.2. Criterio del confronto asintotico. Poiche il carattere di una serie(non la sua somma) non dipende dall’indice da cui si parte a sommare,possiamo affermare che:

se∑ak e

∑bk sono due serie a termini positivi e se supponiamo che

limak

bk= ` ∈ R+

allora le due serie hanno lo stesso carattere.Se invece

limak

bk= 0

si ha:

• se∑ak e divergente, allora

∑bk e divergente;

• se∑bk e convergente, allora

∑ak e convergente.

1.3. Criterio del rapporto D’Alembert. Sia∑ak una serie tale che

ak >0 e supponiamo che

limak+1

ak

= ` ∈ R.

• Se` < 1 allora∑ak e convergente

• se` > 1 allora∑ak e divergente.

Infatti se` < 1 si ha, definitivamenteak+1

ak

< (`+ ε) < 1

e pertanto se ne deduce che

ak+p < (`+ ε)p ak

la serie di termine(`+ε)p ak e una serie geometrica di ragione< 1 e quindie convergente.

Se` > 1, definitivamente, si haak+1

ak

> (`− ε) > 1

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1. CRITERI DI CONVERGENZA PER LE SERIE A TERMINI POSITIVI 85

e quindiak+p > (`− ε)pak

edak non tende a0.

1.4. criterio della radice di Cauchy. Sia∑ak una serie tale cheak ≥

0 e supponiamo chelim k

√ak = ` ∈ R

• Se` < 1 allora∑ak e convergente

• se` > 1 allora∑ak e divergente.

Infatti se` < 1 si ha, definitivamentek√ak < (`+ ε) < 1 eak < (`+ ε)k

mentre se > 1 si ha, definitivamentek√ak > (`− ε) > 1 eak > 1

1.5. Il criterio dell’integrale di Mc Laurin-Cauchy. I concetti di se-rie e di integrale. sono profondamente affini ed il fatto si riflette nel seguentecriterio

Siaf : [1,+∞) −→ R+

decrescente e siaak = f(k), allora∫ n+p+1

n

f(x)dx ≤n+p∑k=n

ak ≤∫ n+p

n−1

f(x)dx

e ne deduciamo chef e integrabile in senso improprio su[1,+∞) se esolo se

∑ak e convergente.

Inoltre, posto

In =

∫ +∞

n

f(x)dx

si ha0 ≤ S − Sn = Rn ≤ In

e ∣∣∣∣S − (Sn +In + In+1

2

)∣∣∣∣ ≤ 1

2

∫ n+1

n

f(x)dx

Dal momento chef e decrescente si ha∫ k+1

k

f(x)dx ≤ f(k) ≤∫ k

k−1

f(x)dx

e sommando perk = n, .., n+ p si ottengono le prime due disuguaglianze.

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86 5. LE SERIE

Inoltre la funzione

F (x) =

∫ x

1

f(t)dt

e definita e continua perx ∈ R+ ede crescente inR+ in quanto, se0 ≤ x <y si ha

F (y)− F (x) =

∫ y

x

f(t)dt ≥ 0

Ne deduciamo chelimx→+∞ F (x) esiste e per le disuguaglianze prece-denti l’integrale improprio e la serie hanno lo stesso carattere.

Inoltre l’errore che si commette considerando una ridottaSn al postodella somma della serie, essendoak ≥ 0, e per difetto e si haS − Sn ≥ 0.

Piu precisamente

0 ≤ In+1 ≤ S − Sn = Rn ≤ In

L’approssimazione della sommaS della serie puo essere ancora miglioratase si sceglie

Sn + (In + In+1)/2

in luogo diSn.In tal caso si ha infatti

|S − Sn − (In + In+1)/2| = |Rn − (In + In+1)/2| ≤

≤ (In − In+1)/2 =1

2

∫ n+1

n

f(x)dx

Il precedente teorema consente di stabilire il carattere della serie armo-nica generalizzata

+∞∑k=1

1

kαα > 0

Si ha infatti

+∞∑k=1

1

kα=

+∞ per0 < α ≤ 1

S ∈ R+ per1 < α

1.6. Criterio dell’ordine di infinitesimo. La serie armonica generaliz-zatae di grande aiuto nell’applicazione del criterio del confronto asintotico.Infatti, usando la definizione di ordine di infinitesimo possiamo affermareche

Sia∑ak una serie a termini positivi e supponiamo cheak sia

infinitesima di ordine α (non necessariamente reale); allora• seα ≥ β > 1 , β ∈ R , la seriee convergente;• seα ≤ 1 la seriee positivamente divergente .

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2. SERIE A TERMINI DI SEGNO ALTERNO 87

Osserviamo che, seα > 1 e none reale, non si puo affermare che∑ak

e convergente, come si vede dal seguente esempio:sia

ak =1

k ln klim ak = 0 con ordineα > 1, maα < β ∀β ∈ R, β > 1.

Non si puo pertanto applicare il criterio dell’ordine di infinitesimo ma,per il criterio dell’integrale,

+∞∑k=2

ak = +∞

Sempre per il criterio dell’integrale

+∞∑k=2

1

k(ln k)α=

+∞ se0 < α ≤ 1

S ∈ R+ se1 < α

e+∞∑k=3

1

k ln k(ln ln k)α=

+∞ se0 < α ≤ 1

S ∈ R+ se1 < α

1.7. Serie ”telescopiche”.Seak e una successione, allora∑

(ak+1 −ak) e convergente, divergente, indeterminata a seconda cheak sia conver-gente, divergente, indeterminata.

Infatti si ha

Sn =n∑

k=1

(ak+1 − ak) = an+1 − a1

2. Serie a termini di segno alterno

Siaak una successione di numeri non negativi e sia

+∞∑k=0

(−1)kak

In questa situazione parliamo di serie a segni alterni; per le serie a segnialterni vale il seguente risultato.

2.1. Criterio di Leibnitz. Supponiamo cheak ≥ ak+1 ≥0 , ∀k ∈ N eche inoltrelim ak =0. Allora

• la seriee convergente adS;• S1 ≤ S ≤ S0 e pertantoS ≥ 0;• ∀n ∈ N

S2n − a2n+1 = S2n+1 ≤ S ≤ S2n = S2n−1 + a2n

• le ridotte di indice pari approssimanoS per eccesso mentre quelledi indice dispari approssimanoS per difetto;

• |S − Sn| ≤ an+1.

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88 5. LE SERIE

Cominciamo con il mostrare che la successione delle ridotte di indicepari e decrescente, mentre la successione delle ridotte di indice dispariecrescente.

Si ha

S2n+2 = S2n − a2n+1 + a2n+2 ≤ S2n(5.1)

S2n+3 = S2n+1 + a2n+2 − a2n+3 ≥ S2n+1

inoltreS2n − S2n−1 = a2n ≥ 0

PertantolimS2n = S ′ e limS2n+1 = S ′′ esistono finiti e si ha

S ′ − S ′′ = limS2n − S2n+1 = lim a2n = 0

da cui deriva subito cheS ′ = S ′′ = S = limSn.Per la5.1si ha inoltre

0 ≤ a0 − a1 = S1 ≤ S2n+1 ≤ S ≤ S2n ≤ S0 = a0

A proposito della maggiorazione del resto di una serie a segni alterni,eevidente chee tanto piu buona quantoe piu grande l’ordine di infinitesimodella successionean. Si puo migliorare la maggiorazione del reston-esimonon appena si tenga presente il seguente che

Sia ak una successione tale cheak ≥ ak+i ≥ 0 ∀ ∈ N e supponiamoche lim ak = 0.Allora si ha

+∞∑k=0

(−1)kak =a0

2+

+∞∑h=0

(−1)k ak − ak+1

2=a0

2+

+∞∑k=0

(−1)kbk.

Evidentementebk+1 ≥ bk ≥ 0 ed inoltre

liml−a+∞

bk = limak

k= 0

Infatti bk+1− bk = 12(ak+z − ak+1 + ak+1− ak) ≥ 0 e l’uguaglianza dei

due limiti puo essere dimostrata usnado i teoremi sulle medie di Cesaro diun successione

In questo modo si ottiene una nuova serie a segni alterni, avente la stessasomma della serie data e avente un termine generale infinitesimo di ordinesuperiore a quello del termine generale della serie data.

Infattibk =

ak

k+ ωk

conωk → 0 ebkak

→ 0

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3. OPERAZIONI SULLE SERIE 89

2.2. Uguaglianza di Brunacci-Abel.Seak e bk e se definiamo

Bn,p =

n+p∑k=n+1

bk

si han+p∑

k=n+1

akbk = an+pBn,p +

n+p−1∑k=n+1

Bn,k−n(ak − ak+1)

Infatti si han+p∑

k=n+1

akbk = an+1bn+1 + an+2bn+2 + ...+ an+pbn+p =

= an+1Bn,1 + an+2(Bn,2 −Bn,1) + ...+ an+p(Bn,p −Bn,p−1) =

= Bn,1(an+1 − an+2) +Bn,2(an+2 − an+3) + ...+

+Bn,p−1(an+p−1 − an+p) + an+pBn,p =

= an+pBn,p +

n+p−1∑k=n+1

Bn,k−n(ak − ak+1)

Criterio di DirichletSupponiamo che le ridotteBn di

∑bk siano limitate daM e cheak sia

decrescente e convergente a zero.Allora

∑akbk e convergente ed inoltre∣∣∣∣∣

+∞∑k=n+1

akbk

∣∣∣∣∣ ≤ 2Man+1.

Criterio di AbelSupponiamo che

∑bk sia convergente eak sia convergente e monotona.

Allora∑akbk e convergente.

3. Operazioni sulle serie

Per quel che concerne la somma Si puo dimostrare che

TEOREMA 5.3. Siano∑ak e

∑bk due serie convergenti e siaα ∈ R,

allora∑

(ak + bk) e∑αak sono convergenti e si ha

•∑

(ak + bk) =∑ak +

∑bk

•∑αak = α

∑ak

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90 5. LE SERIE

Per quanto riguarda il prodotto di due serie occorre innanzi tutto cercaredi definire il termine k-esimo della serie prodotto.

Cio puo essere fatto in vari modi; qui consideriamo il prodotto secondoCauchy, che si rivelera utile quando tratteremo le serie di potenze.

In proposito si puo dimostrare il seguente risultato.

TEOREMA 5.4. - Mertens - Definiamo

ck =k∑

i=0

aibk−i

Allora, se∑ak e assolutamente convergente e

∑bk e convergente,

anche∑ck e convergente ed inoltre, se∑

ak = A ,∑

bk = B ,∑

ck = C

si haAB = C

Se nessuna delle serie di cui si fa il prodottoe assolutamente convergen-te, ma entrambe sono solo convergenti, il teorema puo essere falso, come sivede considerando

ak = bk =(−1)k

(k + 1)α, α > 0

Si ha infattik∑

i=0

(−1)i

(i+ 1)α

(−1)k−i

(k − i+ 1)α== (−1)k

k∑i=0

1

[(i+ 1)(k − i+ 1)]α

e si vede subito che

|ck| ≥k∑

i=0

1

(k + 1)2α=

1

(k + 1)2α

k∑i=0

1 = (k + 1)1−2α

da cui, per0 < α ≤ 1/2, lim ck non puo essere0 .Per quanto riguarda la possibilita di raggruppare i termini di una serie,

possiamo provare un semplice risultato.Precisiamo prima di tutto cosa intendiamo per raggruppamento dei ter-

mini di una serie.

DEFINIZIONE 5.3. Consideriamo∑an e consideriamo una successio-

nekn a valori in N , strettamente crescente e conk1 = 1. Definiamo

bn =

kn+1−1∑i=kn

ai

La serie∑bn si dice ottenuta dalla serie

∑an raggruppando i termini

secondo il riordinamentokn.

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3. OPERAZIONI SULLE SERIE 91

E’ evidente che, dette

S ′n =n∑

k=1

ak , S ′′m =m∑

n=1

bn

si ha

S ′′m =m∑

n=1

kn+1−1∑i=kn

ai =

km+1−1∑i=1

ai = S ′km+1−1

e dal momento cheS ′′ m e una estratta diS ′n, si puo affermare che:

TEOREMA 5.5. Se∑ak e una serie convergente, allora ogni serie

ottenuta da essa, raggruppando i termini,e convergente alla stessa somma.

Viceversa la convergenza di∑bk per una particolare scelta della suc-

cessione che genera il raggruppamento, none sufficiente per assicurare che∑ak converga; se infatti

ak = (−1)k e kn = 2n− 1

si ha

bn =2n∑

k=2n−1

(−1)k = 0.

Trattiamo per ultimo il problema del riordinamento dei termini di unaserie e precisando, innanzi tutto, cosa intendiamo per riordinamento.

DEFINIZIONE 5.4. Consideriamo∑ak e supponiamo che i: N −→ N

sia una applicazione iniettiva e surgettiva.Diciamo che la serie ∑

ai(j)

e ottenuta riordinando i termini di∑ak.

Per brevita chiamiamo l’applicazione i riordinamento dei termini dellaserie.

TEOREMA 5.6. Se∑ak e assolutamente convergente edi(j) e un rior-

dinamento, allora anche∑ai(j) e assolutamente convergente e si ha∑

ak =∑

ai(j)

Nel caso in cui∑ak sia convergente, ma non assolutamente convergen-

te e possibile trovare un riordinamento dei termini e due successionin′ en′′

in modo cheSn′ eSn′′ siano convergenti allo stesso limite o a limiti diversi,o siano divergenti.

Piu precisamente

TEOREMA 5.7. - Riemann-Dini - Supponiamo che∑

ak sia conver-gente, ma non assolutamente convergente. Siano inoltreα < β , essendopossibile cheα = −∞ eβ = +∞.

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92 5. LE SERIE

Allora esiste un riordinamento i dei termini della serie in modo che lasuccessione

Sh =h∑

j=1

ai(j)

abbia due estratte, l’una convergente adα , l’altra convergente aβ.

Concludiamo ora ricordando che la convergenza assolutae equivalentealla convergenza di ogni suo riordinamento.

DEFINIZIONE 5.5. Diciamo che∑ak converge incondizionatamente se

ogni suo riordinamento converge alla stessa somma.

TEOREMA 5.8. - Cauchy-Dirichlet -∑ak converge assolutamente se e

solo se converge incondizionatamente.

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CAPITOLO 6

LE SERIE DI FUNZIONI.

1. Successioni di Funzioni.

Lo studio di una serie di funzioni dipende, come per il caso delle serienumeriche dallo studio della successione delle sue ridotte.

Occorre pertanto definire cosa si intende per successione di funzioni edi concetti di limite ad essa collegati.

DEFINIZIONE 6.1. Chiamiamo successione di funzioni una applicazio-ne definita

N 3 n 7→ Sn

conSn : I ⊂ R −→ R

DEFINIZIONE 6.2. Sia Sn una successione di funzioni suI; diciamoche

• Sn converge puntualmente adS se, per ognix ∈ I, ∀ε > 0,esistenε,x ∈ N tale che

|Sn(x)− S(x)| < ε ∀n > nε,x

• Sn converge uniformemente adS in I se∀ε > 0, esistenε ∈ Ntale che

∀n > nε |Sn(x)− S(x)| < ε, ∀n > nε , ∀x ∈ I

Possiamo subito verificare cheSn converge puntualmente adS in I se

limnSn(x) = S(x) ∀x ∈ I

mentreSn converge uniformemente adS in I se e solo se

limn

supx∈I

|Sn(x)− S(x)| = 0

Usando il criterio di convergenza di Cauchy, si puo affermare che

Sn converge puntualmente se e solo se la successione numericaSn(x)soddisfa la condizione di Cauchy

Per quanto riguarda la convergenza uniforme si puo analogamente otte-nere che

93

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94 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Criterio di Cauchy uniformeCondizione necessaria e sufficiente affinche una successione di funzioniSn converga uniformemente suI e che∀ε > 0 esistenε ∈ N tale che, sem,n > nε si ha

|Sn(x)− Sm(x)| < ε ∀x ∈ I

E’ inoltre evidente che

SeSn e una successione di funzioni uniformemente convergente adS inI, allora Sn e puntualmente convergente adS per ogni x ∈ I.

None viceversa vero che una successione puntualmente convergente siaanche uniformemente convergente, infatti la successione

Sn(x) = xn su [0, 1]

Se una successione di funzioni converge uniformemente le proprietadi continuita, integrabilita e derivabilita della successione sono mantenuteanche al limite; si puo infatti dimostrare che

se Sn e una successione di funzioni continue suI, e seSn convergeuniformemente adS su I, allora S e continua suI.

Infatti siax0 ∈ I e proviamo chef e continua inx0.Si ha che

|S(x)−f(x0)| ≤ |S(x)−Sn0(x)|+ |Sn0(x)−Sn0(x0)|+ |Sn0(x0)−S(x0)|

per cui

|S(x)− S(x0)| ≤ ε+ ε+ ε = 3ε

dal momento chen0 puo essere fissato in modo che

|Sn0(x)− S(x)| < ε ∀x ∈ I

e che, per|x− x0| < δε

|Sn0(x)− Sn0(x0)| < ε

Si ha anche che

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1. SUCCESSIONI DI FUNZIONI. 95

SeSn una successione di funzioni continue suI = [a, b] e seSn convergeuniformemente adS su I, allora∫ x

a

Sn(t)dt converge uniformemente ad∫ x

a

S(t)dt su I

PoicheSn e di conseguenzaS sono continue suI, risultano anche inte-grabili su[a, x] ⊂ I ed inoltre∣∣∣∣∫ x

a

Sn(t)dt−∫ x

a

S(t)dt

∣∣∣∣ ≤ ∫ x

a

|Sn(t)− S(t)|dt ≤ ε(x− a) ≤ ε(b− a)

non appena si sia tenuto conto cheSn converge uniformemente adS su[a, b]e si sia scelton abbastanza grande.

Osserviamo che l’ipotesi di continuta e comoda e ragionevole ma nonindispensabile; con qualche complicazione puo essere sostituita con l’ipo-tesi di integrabilita.

In questo senso possiamo provare che

SeSn e una successione di funzioni integrabili in senso improprio in[a,+∞), seSn converge uniformemente adS su [a, b] per ogni b ≥ a ese esiste una funzioneg su [a,+∞) tale che

|Sn(x)| ≤ g(x) , ∀x ∈ [a,+∞] ,

∫ +∞

a

g(x)dx < +∞

allora S risulta integrabile in senso improprio in [a,+∞) e si ha

limn

∫ +∞

a

Sn(x)dx =

∫ +∞

a

S(x)dx

Infatti∣∣∣∣∫ +∞

a

Sn(x)dx−∫ +∞

a

S(x)dx

∣∣∣∣ ≤≤∫ b

a

|Sn(x)− S(x)|dx+

∫ +∞

b

|Sn(x)− S(x)|dx ≤

≤ ε+ 2

∫ +∞

b

g(x)dx ≤ ε+ 2ε = 3ε

sen e abbastanza grande e seb e fissato in modo che∫ +∞

b

g(x)dx < ε

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96 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Per quanto riguarda la derivabilita

SeSn ∈ C1((a, b)) e se• S ′n converge uniformemente aφ su (a, b)• esistex0 ∈ (a, b) tale che

Sn(x0) → α.

Allora Sn converge uniformemente alla funzioneS definita da

S(x) = α+

∫ x

x0

φ(t)dt

e risultad

dxlimSn(x) = lim

d

dxSn(x).

Infatti

Sn(x) = Sn(x0) +

∫ x

x0

S ′n(t)dt

e pertanto,Sn converge uniformemente adS.Inoltre

limS ′n(x) = φ(x) = S ′(x) = (lim fn)′(x)

Si puo anche provare che

Sefn e una successione di funzioni derivabili in(a, b) e seS ′n convergeuniformemente in (a, b) e esistex0 ∈ (a, b) tale cheSn(x0) e convergenteallora Sn converge uniformemente in(a, b) ad una funzioneS che ederivabile e si ha

S ′(x) = limS ′n(x)

Sia fn una successione di funzioni continue su[a, b] tali che fn(x) edecrescente rispetto adn e lim fn(x) = 0 per ogni fissatox ∈ [a, b].Allora fn converge uniformemente alla funzione identicamente nulla su[a, b].

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2. SERIE DI FUNZIONI. 97

Sia fn una successione di funzioni continue su[a, b] tali che fn(x) e de-crescente rispetto adn e convergente verso f(x),∀x ∈ [a, b]. Se inoltref risulta continua in [a, b] , allora fn converge uniformemente adf in[a, b].

Sia fn una successione di funzioni continue in[a, b] allora fn convergeuniformemente in [a, b] se e solo sefn converge uniformemente in(a, b).

Sia fn una successione di funzioni su(a, b) un uniformementeconvergente adf . Supponiamo che

limx→b−

fn(x) = Cn

elim

nCn = C

Alloralim

x→b−f(x) = C

2. Serie di funzioni.

Ricordiamo alcune definizioni a proposito delle serieAd ogni successionefk di funzioni suI; possiamo associare, come per

le serie numeriche la successione delle sue ridotte definite da

Sn(x) =n∑

k=1

fk(x)

e possiamo scrivere

S(x) =+∞∑k=1

fk(x)

qualora illimSn(x) esista finito in senso puntuale o uniforme.Diciamo, nel primo caso che

∑fk converge puntualmente inI mentre,

nel secondo caso diciamo che∑fk converge uniformemente inI.

Diciamo inoltre che∑fk converge assolutamente inI se

∑|fk| con-

verge puntualmente inI.

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98 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Diciamo infine che∑fk converge totalmente inI se, posto

λk = supx∈I|fk(x)|

∑λk e convergente.Vale la pena di ricordare che, per il criterio di Cauchy

Condizione necessaria e sufficiente affinche∑fk sia uniformemente

convergente inI e che∀ε > 0 esistanε ∈ N tale che sen > nε, ∀p ∈ Nsi ha ∣∣∣∣∣

n+p∑k=n+1

fk(x)

∣∣∣∣∣ < ε ∀x ∈ I

Ne segue perp = 1

Se∑fk converge uniformemente inI allora la successionefk converge

uniformemente a zero inI.

inoltre

∑fk converge uniformemente inI se e solo se la successioneRn definita

da

Rn(x) =+∞∑

k=n+1

fk(x)

converge uniformemente a zero inI.

Poiche ∣∣∣∣∣n+p∑

k=n+1

fk(x)

∣∣∣∣∣ ≤n+p∑

k=n+1

|fk(x)| ≤n+p∑

k=n+1

λk

il criterio di convergenza di Cauchy permette di affermare che

Convergenza Totale

Convergenza Uniforme Convergenza Assoluta

Convergenza Puntuale

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2. SERIE DI FUNZIONI. 99

mentre le due serie

+∞∑k=1

(−1)k

k,

+∞∑k=1

(xk − xk+1)

mostrano che le implicazioni mancanti possono essere false.Infatti la prima serie converge uniformemente inR ma none ivi ne as-

solutamente ne totalmente convergente, mentre la seconda converge assolu-tamente in[0, 1], ma none ivi ne uniformemente ne totalmente convergente.

Il fatto che la convergenza totale implichi la convergenza uniformeespesso indicato con il nome dicriterio di Weierstraß; possiamo anche ve-dere che

∑fk e totalmente convergente inI se e solo se esiste una successione

numerica λk tale che

|fk(x)| ≤ λk e∑

λk < +∞

Ricordiamo ora tutta una serie di risultati sulle serie di funzioni chederivano dai risultati sulle serie numeriche e sulle successioni di funzioni.

Sianofk eϕk due successioni di funzioni suI tali che

|fk(x)| ≤ |ϕk(x)| ∀x ∈ I.Se∑|ϕk| e uniformemente convergente suI allora anche

∑|fk| e∑

fk e uniformemente convergente suI allora anche∑|fk| e

∑fk e

uniformemente convergente suI.

Siano fk e gk due successioni di funzioni suI tali che le ridotte Fn

di∑fk siano uniformemente limitate in I e siagk decrescente e con-

vergente uniformemente a 0 suI. Allora∑fkgk e uniformemente

convergente suI.Alla stessa conclusione si puo arrivare supponendo che

∑fk sia uni-

formemente convergente suI e gk decresca uniformemente ag su I.

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100 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Sia fk : [a, b] −→ R una successione di funzioni continue e decrescentia zero; allora ∑

(−1)k fk(x)

e uniformemente convergente su[a, b].

Se fk e una successione di funzioni continue suI e se∑fk e ivi

uniformemente convergente, allora

S(x) =+∞∑k=1

fk(x)

e una funzione continua inI.

Sefk e una successione di funzioni integrabili in[a, b] e se∑fk e ivi

uniformemente convergente ad S, allora si ha∫ b

a

S(x)dx =+∞∑k=1

∫ b

a

fk(x)dx

Sefk e una successione di funzioni integrabili in senso improprio su[a,+∞) e se

∑fk e uniformemente convergente adS su ogni intervallo

[a, b], conb > a; se inoltre esiste una funzioneφ su [a,+∞) tale che

|Sn(x)| ≤ φ(x) ∀x ∈ [a,+∞) e

∫ +∞

a

φ(x)dx < +∞

allora ∫ +∞

a

S(x)dx =+∞∑k=1

∫ +∞

a

fk(x)dx.

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3. LE SERIE DI TAYLOR. 101

Siafk una successione di funzioni di classeC1((a, b)) e supponiamo che∑f ′k converga uniformemente su(a, b) ad una funziones e che esista

x0 ∈ (a, b) tale che∑fk(x0) converga adα.

Allora∑fk risulta uniformemente convergente su(a, b) alla funzione

S definita da

S(x) = α+

∫ x

x0

s(t)dt

ed inoltred

dx

+∞∑k=1

fk(x) =+∞∑k=1

d

dxfk(x)

Sia fk una successione di funzioni derivabili in (a,b) tali che∑fk sia

puntualmente convergente inx0 ∈ (a, b); supponiamo inoltre che∑f ′k

sia uniformemente convergente ads in (a, b).Allora

∑fk e uniformemente convergente in(a, b) ad una funzioneS

derivabile e risulta S ′ = s ovvero

d

dx

+∞∑k=1

fk(x) =+∞∑k=1

d

dxfk(x)

Sia fk una successione di funzioni continue e non negative su[a, b]; Se∑fk e puntualmente convergente adS e seS risulta continua in [a, b],

allora∑fk e uniformemente convergente adS su [a, b].

3. Le Serie di Taylor.

Sef ∈ C∞((a, b)) e sex0 ∈ (a, b) possiamo allora considerare la for-mula di Taylor di ordinen perf centrata inx0 per qualunque valore din edavremo che

f(x) =n∑

k=0

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k +Rn(x)

dove

Rn(x) =f (n+1)(ξ)

(n+ 1)!(x− x0)

n+1 , ξ ∈ (a, b)

e il resto nella forma di Lagrange.

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102 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Se poniamo

Sn =n∑

k=0

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k

Sn risulta essere una ridotta della serie

+∞∑k=0

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k

e risulta

f(x)− Sn(x) = Rn(x)

QualoraRn(x) → 0, quandon → +∞, perx ∈ I ⊂ R, possiamoaffermare che

f(x)− Sn(x) = Rn(x) → 0 per x ∈ I

e quindi la serie∑+∞

k=0f (k)(x0)

k!(x− x0)

k risulta convergente e la sua sommaef(x)

Possiamo quindi scrivere che

f(x) =+∞∑k=0

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k per x∈I

e diciamo chef e sviluppabile in serie di Taylor nel puntox0 perx ∈ I.Risulta quindi interessante conoscere condizioni sufficienti afficheRn(x) →

0 perx ∈ I e, in proposito, possiamo dimostrare che

• se|f (k)(x)| ≤ HMk per ogni x ∈ (a, b) e per ognik ∈ N alloraRn(x) → 0 per x ∈ (a, b);

• se |f (k)(x)| ≤ HMkk! per ogni x ∈ (a, b) e per ogni k ∈ Nallora Rn(x) → 0 per x ∈ (x0 − 1/M, x0 + 1/M).

Infatti nel primo caso si ha

|f(x)− Sn(x)| ≤ H(M(b− a))n+1

(n+ 1)!∀x ∈ (a, b)

mentre, nel secondo caso

|f(x)− Sn(x)| ≤ H(M |x− x0|)n+1 ∀x ∈ (a, b).

e Si puo concludere osservando che in entrambi i casi i secondi membritendono a zero, nelle ipotesi considerate (si puo ad esempio usare il criteriodel rapporto.

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4. LE SERIE DI POTENZE. 103

Osserviamo che puo accadere che la serie (21.1) sia convergente senzachef sia sviluppabile in serie di Taylor. Se infatti consideriamo

f(x) =

e−1/x2

x 6= 0

0 x = 0

si ha chef ∈ C∞(R), f (k)(0) = 0 ∀k, e pertanto

+∞∑k=0

f (k)(0)

k!xk = 0 6= f(x) ∀x 6= 0

I criteri di cui sopra permettono di trovare facilmente gli sviluppi diex,sin x , cosx .

E anche possibile dimostrare un criterio di sviluppabilita in serie diTaylor facendo uso del resto in forma integrale.

TEOREMA 6.1. -Bernstein- Siaf ∈ C∞ ((a, b)) e sianox0, α ∈ (a, b), x0 <α.Sef (k)(x) ≥ 0 perx0 ≤ x ≤ α. Allora f e sviluppabile in serie di Taylordi centrox0 in [x0, α]

Poiche le serie di Taylor sono anche serie di potenze si potra vedere chela serie converge in(−α, α].

Usando il teorema precedente si puo provare che la serie binomialeconverge in[−1, 1).

4. Le serie di potenze.

Si tratta delle serie della forma

+∞∑k=0

ak(x− x0)k = a0 +

+∞∑k=1

ak(x− x0)k

dovex0 ∈ R e fissato e si chiama centro della serie. mentre i valoriak sidicono coefficienti della serie.

E’ chiaro che a meno di una traslazione possiamo sempre supporreche x0 = 0 e pertanto consideriamo soltanto serie di potenze centratenell’origine e cioe della forma:

+∞∑k=0

akxk

A proposito della convergenza di una serie di potenze si puo subitoverificare che

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104 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Se la serie+∞∑k=0

akxk

converge perx = α allora converge assolutamente in[−β, β] per ogniβ < |α|

Infatti, perx ∈ [−β, β], avremo che

|akxk| ≤ |ak|βk = |ak|

βk

αkαk ≤M

α

)k

dal momento che|ak|αk e infinitesimo in quanto termine generale di una serie convergen-

te. Piche inoltre βα< 1 (

β

α

)k

e il termine generale di una serie geometrica convergente e si puo conclu-dere, usando il criterio di Weierstraß.

In pratica quindi, se una serie di potenze converge in un punto, convergeanche in tutto il segmento che congiunge il punto all’origine (centro dellaserie).

Cio autorizza a definire quel che si chiama raggio di convergenza dellaserie di potenze come

R = supα ≥ 0 :∑

|ak|αk ∈ RSi prova che

• una serie di potenze converge totalmente per|x| ≤ β < R• una serie di potenze non converge se|x| ≥ R

Infatti poiche la serie converge perx = β + ε < R avremo che es-sendo la convergenza per|x| ≤ β e garantita da quanto abbiamo detto inprecedenza

Se viceversa la serie convergesse anche solo puntualmente perx = γ >R allora ci sarebbe convergenza assoluta per|x| ≤ γ − ε e γ − ε > R, equesto contraddirrebbe la definizione diR.

Non siamo invece in grado di dire qualcosa sul comportamento dellaserie quando|x| = R .

Consideriamo infatti∑xk ,

∑ xk

k,∑ xk

k2

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4. LE SERIE DI POTENZE. 105

E’ facile vedere che in tutti i casiR = 1, mentre quando|x| = 1 si hache

• la prima serie none convergente∀x;• la seconda serie converge sex = −1 e diverge sex = 1;• la terza serie converge∀x.

Vele il seguente teorema

TEOREMA 6.2. - Abel - Consideriamo∑akx

k e siaR > 0 il suo raggiodi convergenza.

Se la serie ∑akR

k

converge allora∑akx

k converge uniformemente in[0, R].

DIMOSTRAZIONE. Possiamo intanto supporreR = 1 a meno di con-siderarex

Rin luogo di x Per l’uguaglianza di Brunacci-Abel avremo che

posto

Bn,p =

n+p∑k=n+1

ak

si han+p∑

k=n+1

akxk = xn+pBn,p +

n+p−1∑k=n+1

Bn,k−n(xk − xk+1)

per cui∣∣∣∣∣n+p∑

k=n+1

akxk

∣∣∣∣∣ ≤ |xn+pBn,p|+n+p−1∑k=n+1

∣∣Bn,k−n(xk − xk+1)∣∣ ≤

≤ |xn+pBn,p|+n+p−1∑k=n+1

|Bn,k−n||xk − xk+1|

Pern abbastanza grande avremo che|Bn,p| < ε e quindi se consideriamochex ∈ [0, 1]∣∣∣∣∣

n+p∑k=n+1

akxk

∣∣∣∣∣ ≤ ε+ ε+∞∑k=0

(xk − xk+1

)≤ ε (1 + 1))

2

Possiamo calcolare il raggio di convergenza di una serie applicando ilcriterio del rapporto o il criterio della radice alla serie∑

|akxk|

I criteri citati sono inutili quando il limite del rapporto o della radicee 1; osserviamo che questo caso si verifica negli estremi dell’intervallo diconvergenza.

Possiamo anche affermare che

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106 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

TEOREMA 6.3. Se

lim1

k√|ak|

, lim|ak||ak+1|

esistono, allora sono uguali al raggio di convergenzaR di∑akx

k.

4.1. Derivabilita di una serie di potenze.Consideriamo∑akx

k

e supponiamo cheR > 0 sia il suo raggio di convergenza, definiamo inoltre

f(x) =+∞∑k=0

akxk.

Allora f e derivabile e si ha

f ′(x) =+∞∑k=1

kakxk−1

per|x| < R;Se infatti consideriamo la serie di potenze

+∞∑k=1

kakxk−1

poiche|akx

k| ≤ |kakxk−1|

perk ≥ |x|, possiamo affermare che se la serie delle derivate converge asso-lutamente allora anche la serie di partenza converge assolutamente, inoltre,poiche

|kakxk−1| ≤ |aky

k−1|k(|x||y|

)k−1

e quindi se la serie di partenza converge assolutamente allora anche la seriedelle derivate converge assolutamente.

In altre parole le due serie hanno lo stesso raggio di convergenza e quin-di possiamo applicare il teorema di derivazione per serie per giustificarequanto affermato.

Inoltre si puo dimostrare per induzione che

f (k)(0)

k!= ak.

per cuif e sviluppabile in serie di Taylor ed il suo sviluppo di Taylore datoda ∑

akzk

.Concludiamo questo paragrafo illustrando brevemente come possono

essere ricavati gli sviluppi di Taylor delle funzioni (reali)ln(1+x) earctan(x);osserviamo che lo sviluppo della prima funzione puo essere ricavato anche

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5. LE SERIE DI FOURIER. 107

elementarmente e qui ne estendiamo solo il campo di sviluppabilita, mentrelo sviluppo della seconda funzione none facilmente ricavabile in manieradiversa da quella piu sotto illustrata.

Tali sviluppi sono ottenuti per integrazione da particolari serie geome-triche. Ci limitiamo ad indicare le operazioni da compiere precisando soloche tali operazioni sono giustificate dai precedenti teoremi di integrazioneper serie.

Si ha

ln(1 + x) =

∫ x

0

1

1 + tdt =

∫ x

0

+∞∑k=0

(−t)kdt =

=+∞∑k=0

(−1)k

∫ x

0

tkdt =+∞∑k=0

(−1)k xk+1

k + 1

per−1 < x < 1

arctan(x) =

∫ x

0

1

1 + t2dt =

∫ x

0

+∞∑k=0

(−t2)k dt

=+∞∑k=0

(−1)k

∫ x

0

t2kdt =+∞∑k=0

(−1)k x2k+1

2k + 1

per−1 < x < 1Osserviamo altresı che si puo vedere che lo sviluppo diln(1 + x) e

valido in (−1, 1].

5. Le serie di Fourier.

E spesso utile saper rappresentare una funzione

f : [−π, π] → R

mediante la somma infinita

F (x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

(ak cos kx+ bk sin kx)

per opportune scelte dei coefficientiak e bk.Chiaramente la funzioneF ottenutae periodica di periodo2π e puo non

coincidere conf fuori dall’intervallo [−π, π].Gli enunciati relativi alla possibilita di ottenere una rappresentazione

di questo tipo trovano collocazione naturale in uno spazio di funzioni perdefinire il qualee necessario conoscere la teoria dell’integrazione secondoLebesgue, tuttavia possiamo trovare un ragionevolmente semplice ambientedi lavoro considerando la seguente classe di funzioni.

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108 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

ChiamiamoF2 lo spazio vettoriale delle funzioni

f : [−π, π] → Rtali che f edf 2 sono integrabili in [−π, π]

Possiamo verificare cheF2 e uno spazio vettoriale e definiamo

‖f‖∞ = sup|f(x)| : x ∈ [−π, π]

‖f‖2 =

(∫ π

−π

(f(x))2dx

)1/2

Si puo verificare, che

‖f‖2 ≤ 2π‖f‖∞

e quindi sefn e una successione di funzioni inF2

‖fn − f‖∞ −→ 0

se e solo sefn converge uniformemente adf ∈ [−π, π]Cio suggerisce la possibilita di dire chefn converge in media quadratica

adf se

‖fn − f‖2 −→ 0

Questo tipo di convergenzae molto naturale nell’ambito che stiamo esa-minando ede intuitivamente evidente che esso tiene conto del comporta-mento medio delle funzionifn.

Quanto abbiamo in precedenza osservato permette di affermare che sefn converge uniformemente adf , allorafn converge in media quadraticaalla stessa funzione.

Infine si puo verificare che se

fn(x) =

(x+ π

)n

fn converge in media quadratica ma non uniformemente.Cominciamo con l’osservare che affinche si possa avere

f(x) = F (x)

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5. LE SERIE DI FOURIER. 109

i coefficientian e bn devono essere definiti in un certo modo; infatti, si puocalcolare, integrando ed usando le formule di bisezione e di prostaferesi che∫ π

−π

cos2 kxdx =

∫ π

−π

sin2 kxdx = π∫ π

−π

cos kxdx =

∫ π

−π

sin kxdx = 0∫ π

−π

cos kx coshxdx =

∫ π

−π

(sin kx sinhx)dx =

∫ π

−π

cos kx sinhxdx = 0

per ogni scelta dik, h = 1, 2, ... e quindi, moltiplicando la

f(x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

(ak cos kx+ bk sin kx)

percos kx e persin kx ed integrando, possiamo ottenere che deve risultare

ak =1

π

∫ π

−π

f(t) cos kt dt , bk =1

π

∫ π

−π

f(t) sin kt dt

perk = 0, 1, .., n, .. .Le precedenti uguaglianze risultano pertanto necessarie affinche laf(x) =

F (x) sia verificata e quindie d’obbligo porre la seguente definizione.

Sef ∈ F2, chiamiamo coefficienti di Fourier di f i valori

ak =1

π

∫ π

−π

f(t) cos kt dt , bk =1

π

∫ π

−π

f(t) sin kt dt

per k = 0, 1, .., n, .. .

Osserviamo che

a0 =1

π

∫ π

−π

f(t)dt , b0 = 0.

La serie

F (x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

ak cos kx+ bk sin kx

si chiama serie di Fourier associata alla funzionef . Indichiamo conFn

le sue ridotte.

E’ importante stabilire sotto quali condizioni accade che

f(x) = F (x)

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110 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Per f ∈ F2, usando opportunamente le regole del calcolo integrale(integrazione per sostituzione, per parti ...) si puo verificare che

• sef e pari ak = 2π

∫ π

0f(t) cos ktdt, bk = 0;

• sef e dispari ak = 0 , bk = 2π

∫ π

0f(t) sin ktdt;

• sef e derivabile suR ef ′ ∈ F2

a′k =1

π

∫ π

−π

f ′(t) cos ktdt = kbk

b′k =1

π

∫ π

−π

f ′(t) sin ktdt = −kak

Si possono inoltre dimostrare i seguenti risultati:

Sef ∈ F2 e sex e tale che

f(x+) = limx→0+

f(x) , f(x−) = limx→0−

f(x) , f ′+(x) , f ′−(x)

esistono finiti. Allora1

2[f(x+) + f(x−)] = F (x)

Sef ∈ F2, sef e continua suR edf ′ ∈ F2 allora

lim ‖f − Fn‖∞ = 0

Se supponiamo chef ∈ F2, allora

lim ‖f − Fn‖2 = 0

5.1. Polinomi trigonometrici e Ridotte della serie di Fourier. Leridotte di una serie di Fourier sono della forma

Fn(x) =1

2a0 +

n∑k=1

(ak cos kx+ bk sin kx)

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5. LE SERIE DI FOURIER. 111

Si tratta pertanto di combinazioni lineari delle funzioni

sin kx , cos kx , k = 0, 1, 2, 3, ...., n, ...

ottenute usando i coefficienti di Fourierak e bk.Simili combinazioni lineari, ma a coefficienti generici

Tn(x) =1

2α0 +

n∑k=1

(αk cos kx+ βk sin kx)

doveαk, βk ∈ R . si indicano di solito con il nome di polinomi trigonome-trici.

Possiamo pertanto affermare che le ridotte di una serie di Fourier sonoparticolari polinomi trigonometrici.

Indichiamo conT n l’insieme dei polinomi trigonometrici di gradon. everifichiamo che inT n, le ridotteFn godono di particolari proprieta.

Possiamo calcolare usando le uguaglianze trigonometriche che abbiamocitato in precedenza che, seTn e un polinomio trigonometrico, allora

‖Tn‖22 = π

(1

2α2

0 +n∑

k=1

(α2k + β2

k)

).

ed, in particolare, sef ∈ F2

‖Fn‖22 = π

(1

2a2

0 +n∑

k=1

(a2k + b2k)

).

Si verifica che, fissataf ∈ F2, tra tutti i polinomi trigonometriciTn digradon, quello che rende minimo lo scarto quadratico medio

‖f − Tn‖22

e quello i cui coefficienti sono i coefficienti di Fourier.Infatti se ricordiamo che

〈f, Tn〉 =

=

∫ π

−π

f(x)Tn(x)dx = π

(1

2a0α0 +

n∑k=1

(akαk + bkβk)

)=

= 〈Fn, Tn〉si ha

‖f − Tn‖22 = ‖f‖2

2 − ‖Fn‖22 + ‖Fn‖2

2 + ‖Tn‖22 − 2〈f, Tn〉 =

= ‖f‖22 − ‖Fn‖2

2 + ‖Fn‖22 + ‖Tn‖2

2 − 2〈Fn, Tn〉 =

= ‖Fn − Tn‖22 + ‖f‖2

2 − ‖Fn‖22

quindimin‖f − Tn‖2

2 : Tn ∈ T n = ‖f‖22 − ‖Fn‖2

2

ed il minimoe assunto quandoTn = Fn .

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112 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Poiche quindi

‖f − Tn‖22 ≥ ‖f‖2

2 − ‖Fn‖22

possiamo infine ottenere che

Disuguaglianza di Bessel - Perf ∈ F2,

1

2a2

0 ++∞∑k=1

(a2k + b2k) ≤

1

π‖f‖2

2

Avremo inoltre che

‖f − Fn‖22 = ‖f‖2

2 − ‖Fn‖22

e, poiche perf ∈ F2 la serie di Fourier converge in media quadratica,otteniamo

limn‖f‖2

2 − ‖Fn‖22 = 0

Cio si puo riscrivere nella forma

uguaglianza di Parseval -

1

2a2

0 ++∞∑k=1

(a2k + b2k) =

1

π‖f‖2

2

Ricordiamo infine un risultato di stima dell’errore per le serie di Fourier

Sef, f (p) ∈ F2 e se‖f (p)‖2 ≤M

allora

|f(x)− Fn(x)| ≤ 2M

π(2p− 1)np−1/2

E anche molto interessante studiare il comportamento delle medie diCesaro della successione delle ridotte di una serie di Fourier, in quantocio permette di provare un importante teorema di approssimazione per lefunzioni continue e periodiche.

Ricordiamo che, date una successionean si chiamano medie di Cesarodi an i termini bn della successione definita dabn = 1

n

∑nk=1 ak

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5. LE SERIE DI FOURIER. 113

Sia f ∈ F2 definiamo le medie di CesaroCn della successione delleridotte della serie di Fourier nella seguente maniera:

Cn(x) =1

n

n−1∑k=0

Fk(x)

Siaf ∈ F2 e siaKn(t) definito da

Kn(t) =1

n

n−1∑k=0

Dk(t)

Si ha

kn(t) =

12n

( sinY2ntsinY2t

20 < (t) ≤ K

12n

t = 0

ed inoltre

C − n(x) =1

K

∫ K

−K

f(x+ t)Kn(t)dt.

Teorema di Fejer - Siaf continua in R e periodica di periodo2π. Allorala successioneCn delle medie di Fejer converge uniformemente adf suR.

Teorema di approssimazione di Weierstrass -E possibile approssimareuniformemente ogni funzione continua suR periodica di periodo 2πmediante polinomi trigonometrici.

5.2. Serie di Fourier su intervalli generici. Naturalmente accade divoler sviluppare in serie di Fourier una funzione

f : [a, b] → R

per cui e opportuno studiare come i risultati ottenuti su[−π, π] possanoessere usati per il caso in esame.

A tal fine e sufficiente considerare la funzione

g : [−π, π] → R

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114 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

definita da

g(x) = f

(a+ (x+ π)

b− a

)Se infatti consideriamo il suo sviluppo in serie di Fourier

G(x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

ak cos kx+ bk sin kx

dove

ak =1

π

∫ π

−π

g(t) cos ktdt , bk =1

π

∫ π

−π

g(t) sin ktdt

perk = 0, 1, .., n, .. . e, sotto opportune condizioni perg, possiamo affer-mare che

g(x) = G(x)

da cui

(6.1) f(x) = g

(−π + (x− a)

b− a

)=

1

2a0+

+∞∑k=1

ak cos k

(−π + (x− a)

b− a

)+bk sin k

(−π + (x− a)

b− a

)Occorre a questo punto esprimere i coefficientiak e bk in funzione dif

e questo puo essere fatto integrando per sostituzione.

ak =1

π

∫ π

−π

g(t) cos kt dt =1

π

∫ π

−π

f

(a+ (t+ π)

b− a

)cos ktdt =

=1

π

∫ b

a

f(x) cos k

(−π + (x− a)

b− a

)d

(−π + (x− a)

b− a

)=

=1

π

b− a

∫ b

a

f(x) cos k

(−π + (x− a)

b− a

)dx =

=2

b− a

∫ b

a

f(x) cos k

(−π + (x− a)

b− a

)dx

In maniera del tutto simile si calcola che

bk =1

π

∫ π

−π

g(t) sin kt dt ==1

π

b− a

∫ b

a

f(x) sin k

(−π + (x− a)

b− a

)dx =

=2

b− a

∫ b

a

f(x) sin k

(−π + (x− a)

b− a

)dx

Poiche, usando ad esempio le formule di addizione, si ottiene che

cos(kπ + β) = ± cos(β)

sin(kπ + β) = ± sin(β)

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5. LE SERIE DI FOURIER. 115

possiamo scrivere che

(6.2)

f(x) =1

2a0+

+∞∑k=1

ak cos k

((x− a)

b− a

)+bk sin k

((x− a)

b− a

)con

ak =2

b− a

∫ b

a

f(x) cos k

((x− a)

b− a

)dx

bk =2

b− a

∫ b

a

f(x) sin k

(+(x− a)

b− a

)dx

5.3. Casi Particolari interessanti. Per particolari scelte significativedell’intervallo [a, b] troviamo

Per [a, b] = [0, 2T ]

f(x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

ak cos kxπ

T+ bk sin kx

π

T

con

ak =1

T

∫ 2T

0

f(x) cos kπ

Txdx

bk =1

T

∫ 2T

0

f(x) sin kπ

Txdx

Per[a, b] = [−T, T ]

f(x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

ak cos k(x+ T )π

T+ bk sin k(x+ T )

π

T

con

ak =1

T

∫ T

−T

f(x) cos k(x+ T )π

Tdx

bk =1

T

∫ T

−T

f(x) sin k(x+ T )π

Tdx

ed anche

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116 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

f(x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

ak cos kxπ

T+ bk sin kx

π

T

con

ak =1

T

∫ T

−T

f(x) cos kxπ

Tdx

bk =1

T

∫ T

−T

f(x) sin kxπ

Tdx

in quanto

cos k(x+ T )π

T= ± cos kx

π

T

sin k(x+ T )π

T= ± sin k(x

π

T

5.4. Serie di Fourier in forma complessa.Consideriamo lo sviluppodi una funzionef su un intervallo[−t, T ] (si veda il paragrafo precedente);dalle formule di Eulero otteniamo che

cos kx =1

2

(eık π

Tx + e−ık π

Tx)

sin kx =1

(eık π

Tx − e−ık π

Tx)

e che

eık πT

x = cos kπ

Tx+ ısink

π

Tx

e−ık πT

x = cos kπ

Tx− ı sin k

π

Tx

quindi

F (x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

ak cos kπ

Tx+ bk sin k

π

Tx =

1

2a0 +

+∞∑k=1

ak1

2

(eık π

Tx + e−ık π

Tx)

+ bk1

(eık π

Tx − e−ık π

Tx)

=

=1

2a0 +

+∞∑k=1

1

2(ak − ıbk) e

ık πT

x +1

2(ak + ıbk) e

−ık πT

x

Se teniamo conto che

ak = a−k , bk = −b−k

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6. LA TRASFORMATA DI FOURIER. 117

ricaviamo infine che

F (x) =1

2a0 +

+∞∑k=1

1

2(ak − ıbk) e

ık πT

x +−∞∑

k=−1

1

2(a−k − ıb−k) e

ık πT

x =

=+∞∑

k=−∞

ckeık π

Tx.eık π

Tx

=+∞∑

k=−∞

ckeık π

Tx.

dove

ck =1

2(a−k − ıb−k) =

=1

2T

∫ T

−T

f(x)1

2

(cos k

π

Tx− ı sin k

π

Tx)

=

=1

2T

∫ T

−T

f(x)1

2e−ık π

Tx.

Riassumendo avremo che

F (x) =+∞∑

k=−∞

ckeık π

Tx

con

ck =1

2T

∫ T

−T

f(x)e−ık πT

x.

6. La Trasformata di Fourier.

Sostituendo i valori dick nella serie otteniamo, nel caso in cuif = F ecioef sia sviluppabile in serie di Fourier,

f(x) =+∞∑

k=−∞

(1

2T

∫ T

−T

f(s)e−ık πT

sds

)eık π

Tx =

=+∞∑

k=−∞

1

2T

∫ T

−T

f(s)e−ık πT

(s−x)ds ≈

≈ 1

2T

∫ +∞

−∞f(s)e−ık π

T(s−x)ds

non appena si suppongaf assolutamente integrabile suR e T sufficiente-mente grande.

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118 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

Se ora definiamo

ϕ(ω) =1

∫ +∞

−∞f(s)e−ık π

T(s−x)ds

Passando al limite perT → +∞ e quindi naturale affermare, e si puodimostrare sotto opportune condizioni, che

f(x) =+∞∑

k=−∞

π

Tϕ(kπ

T

)→∫−∞

+∞ϕ(ω)dω

Otteniamo in questo modo che, sotto opportune ipotesi,

f(x) =1

∫ +∞

−∞

(∫ +∞

−∞f(s)e−ıkω(s−x)ds

)dω

e

f(x) =1

∫ +∞

−∞e−ıkωx

(∫ +∞

−∞f(s)eıkωsds

)dω

Quest’ultima uguaglianzae nota come Uguaglianza integrale di Fouriere costituisce la base su cui si fonda la teoria delle trasformate di Fourier.Piu precisamente si puo dimostrare che

Sef e assolutamente integrabile suR e se inx ∈ R∫ δ

0

∣∣∣∣f(x+ s)− f(x+)

s

∣∣∣∣ ds e

∫ 0

−δ

∣∣∣∣f(x+ s)− f(x−)

s

∣∣∣∣ dsesistono finiti per δ > 0 allora

f(x+) + f(x−)

2=

1

∫ +∞

−∞

∫ +∞

−∞f(t)e−iω(t−x)dtdω

Osserviamo esplicitamente che l’integrale esternoe da intendersi nelsenso della parte principale, (o del valore principale) , ovvero∫ +∞

−∞= lim

T→+∞

∫ T

−T

.

DEFINIZIONE 6.3. Sef e assolutamente integrabile; chiamiamo tra-sformata di Fourier dif la funzioneF definita inR da

f(ω) =

∫ +∞

−∞f(t)e−iωtdt

Osserviamo che

f(ω) =

∫ +∞

−∞f(t)e−iωtdt =

∫ +∞

−∞f(t) cos(ωt)dt− ı

∫ +∞

−∞f(t) sin(ωt)dt

e poiche |f | e integrabile,e lecito affermare l’esistenza dei tre integrali.

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6. LA TRASFORMATA DI FOURIER. 119

Il teorema integrale di Fourier consente di affermare che

f(t) =1

∫ +∞

−∞f(ω)eiωtdω

intendendo il secondo integrale convergente nel senso della parte principalee consente di ricostruire la funzione nota la sua trasformata.

Procediamo ora ad elencare le proprieta delle trasformate di Fourier.Sef, g sono assolutamente integrabili, allora• per ogni α, β ∈ R

(αf + βg) = αf + βg

• seϕ(t) = f(αt) , α 6= 0

ϕ(ω) =1

|α|f(ωα

)• seϕ(t) = f(t− t0) , t0 ∈ R

φ(ω) = e−iωt0 f(ω)

• seϕ(t) = eiω0tf(t) , ω0 ∈ R

ϕ(ω) = f(ω − ω0)

Se inoltre f e derivabile e sef ′ e assolutamente integrabile suR,allora

•f ′(ω) = ıωf(ω);

• seϕn(t) = tnf(t) e seφ e assolutamente integrabile si ha

(−ı)nφn(ω) =dn

dωnf(ω)

• se ∫ +∞

−∞|tnf(t)|dt < HMnn!

allora

f(ω) =+∞∑n=0

(−ı)nmnωn

n!

per |ω| < 1/M , dove

mn =

∫ +∞

−∞tnf(t)dt

e il momento di ordinen di f .Se la maggiorazione vale senzan!, lo sviluppo in serie e

valido per ogni ω ∈ R.

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120 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

DEFINIZIONE 6.4. Sef e g sono assolutamente integrabili, ed almenouna e limitata definiamo prodotto di convoluzione dif per g la funzione,che indicheremo conf ∗ g, definita da

(f ∗ g)(t) =

∫ +∞

−∞f(s)g(t− s)ds

Osserviamo subito che si ha

(f ∗ g)(t) =

∫ +∞

−∞f(s)g(t− s)ds =

∫ +∞

−∞f(t− u)g(u)du = (g ∗ f)(t)

Si puo dimostrare che

f ∗ g = f g

6.1. Il teorema del campionamento di Shannon.Consideriamo unafunzionef che non abbia componenti di frequenza maggiore diT , cioesupponiamo che

F (ω) = f(ω) = 0 per |ω| > ω0

Possiamo allora sviluppareF in serie di Fourier ed ottenere che, sedefiniamoFp il prolungamento diF per periodicita,

Fp(ω) =+∞∑

k=−∞

cke−ık π

ω0ω

con

ck =1

2ω0

∫ +ω0

−ω0

F (ω)eık π

ω0ω.

(Osserviamo che i segni negli esponenziali che compaiono nella serie e nelladefinizione dei coefficienti hanno segno opposto a quello solitamente usato;cio non cambia la sostanza in quanto la seriee estesa a tutti gli interi)

Se adesso chiamiamo

H(ω) =

1 |ω| ≤ ω0

0 |ω| > ω0

possiamo scrivere che

F (ω) = Fp(ω)H(ω) =+∞∑

k=−∞

ckH(ω)e−ık π

ω0ω

ed, antitrasformando,

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7. LA TRASFORMATA DI LAPLACE 121

1

∫ +∞

−∞f(ω)eıωtdω =

=1

+∞∑k=−∞

∫ +∞

−∞ckH(ω)e

−ık πω0

ωeıωtdω =

=1

+∞∑k=−∞

ck

∫ +ω0

−ω0

e−ıω(k π

ω0−t)dω

Pertanto

f(t) =+∞∑

k=−∞

1

2πck

(e

ıω0(k πω0−t) − e

−ıω0(k πω0−t)

ı(k πω0− t)

)=

=+∞∑

k=−∞

1

πck

sin(ω0(kπω0− t))

(k πω0− t)

=

Dalla definizione dif si ricava che

f(t) =1

∫ +∞

−∞F (ω)eıωtdω

e quindi

f

(kπ

ω0

)=

1

∫ +ω0

−ω0

F (ω)eık π

ω0ωdω = ck

ω0

π

ck =kπ

ω0

e ne concludiamo che

f(t) =+∞∑

k=−∞

ω0

πck

sin(ω0(kπω0− t))

ω0(kπω0− t)

=

=+∞∑

k=−∞

f

(kπ

ω0

)sin(ω0(k

πω0− t))

ω0(kπω0− t)

7. La trasformata di Laplace

Siaf : [0,+∞] −→ R una funzione continua a tratti che supponiamoprolungata a0 sui reali negativi; definiamo

f(σ + iω) =

∫ +∞

0

f(t)e−(σ+iω)tdt

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122 6. LE SERIE DI FUNZIONI.

ovvero, seξ = σ + iω ,

f(ξ) =

∫ +∞

0

f(t)e−ξtdt

per quei valori diξ ∈ C per cui l’integrale risulta convergente.Allo scopo di chiarire la struttura del campo di definizione dif si puo

dimostrare che: seaf(ξ0) esiste; alloraf(ξ) risulta definita anche per Reξ > σ0.

Osserviamo che, se definiamo

fσ(t) =

f(t)e−σt, t ≥ 0

0 t < 0

si vede subito chef(σ + iω) = fσ(ω)

Diremo nel seguito che una funzionef : R −→ R e nella classeL se

• f(t) = 0 pert < 0• f e continua a tratti• |f(t)| ≤ Heσ0t conH, σ0 > 0.

Si puo vedere che sef ∈ L allora f e definita almeno nel semipiano<ξ > σ0.

Elenchiamo di seguito alcune proprieta della trasformata di LaplaceSianof, g ∈ L e supponiamo chef ed g siano definite nei semipiani

<ξ > σ0 e<ξ > σ1 rispettivamente.Allora•

˜(αf + βg)(ξ) = (αf + βg)(ξ)

se<ξ > maxσ0, σ1• seφ(t) = f(αt) , α > 0

φ(ξ) =1

αf

α

), Reξ > ασ0

• seφ(t) = f(t− t0) , t0 > 0

φ(ξ) = e−ξt0 f(ξ) , <ξ > σ0

• seφ(t) = eξ0tf(t) , ξ0 ∈ C

φ(ξ) = f(ξ − ξ0) , Reξ > σ0 +Reξ0

• sef e derivabile, sef ′ e continua a tratti

f ′(ξ) = ξf(ξ)− f(0) , Reξ > σ0

• seφ(t) =∫ t

0f(s)ds

φ)(ξ) =1

ξf(ξ) Reξ > σ0.

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7. LA TRASFORMATA DI LAPLACE 123

• seφ(t) = tf(t) si haφ ∈ L e si puo affermare ched

dξf(ξ) = −φ(ξ).

• se

(f ∗ g)(t) =

∫ +∞

−∞f(s)g(t− s)ds =

∫ t

0

f(s)g(t− s)ds

allora si haf ∗ g = f g

nell’intersezione dei rispettivi semipiani di definizioneE anche possibile dimostrare un teorema di inversione per le trasformate

di Laplace.

Sex ∈ R+ e tale che∫ δ

0

∣∣∣∣f(x+ s)− f(x+)

s

∣∣∣∣ ds e

∫ 0

−δ

∣∣∣∣f(x+ s)− f(x−)

s

∣∣∣∣ dsesistano finiti per δ > 0.Allora si haf(x+) + f(x−)

2=

1

∫ +∞

−∞

∫ +∞

0

f(t)e−(σ+iω)(t−x)dtdω , ∀σ > σ0

Osserviamo che si ha

f(x+) + f(x−)

2=

1

∫ +∞

−∞e(σ+iω)x

(∫ +∞

0

f(t)e−(σ+iω)tdt

)dω =

=1

∫ +∞

−∞e(σ+iω)xf(σ + iω)dω =

= lima→+∞

1

∫ a

−a

e(σ+iω)xf(σ + iω)dω

operando il cambio di variabiles = σ + iω si ottiene

f(x+) + f(x−)

2= lim

a→+∞

1

2πi

∫ σ+ia

σ−ia

esxf(s)ds

e cio si esprime scrivendo

f(x+) + f(x−)

2=

1

2πi

∫ σ+i∞

σ−i∞esxf(s)ds.

Quest’ultima formulae nota come formula di inversione di Mellin e lafunzione a secondo membro si chiama antitrasformata di Laplace.

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CAPITOLO 7

EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONIDIFFERENZIALI ORDINARIE.

Sia I ⊂ R un aperto e siaA ⊂ R un aperto; siaΩ = I × A ⊂ R2,x0 ∈ I, y0 ∈ A, cioe (x0, y0) ∈ Ω.

Sia ancoraf : Ω −→ R2 una funzione e consideriamo il problema ditrovare una funzione

y : (x0 − δ, x0 + δ) −→ A

derivabile e tale che

(7.1)

y′(x) = f(x, y(x)) , x ∈ Iδy(x0) = y0

Il problema enunciato si chiama problema di Cauchy.

1. Il teorema di esistenza ed unicita di Picard

E importante dimostrare un teorema di esistenza ed unicita per questoproblema.

TEOREMA 7.1. - Picard - Sef : I × A −→ Rn, I = [x0 − a, x0 + a],A = y ∈ R : |y − y0| ≤ b e se sono verificate le seguenti condizioni:

• f e continua inΩ = I × A;• |f(x, y1)− f(x, y2)| ≤ L|y1 − y2| ∀x ∈ I, ∀y1, y2 ∈ A

Allora, posto

M = max|f(x, y)| : (x, y) ∈ Ω e δ = mina, bM

esiste una ed una sola funzioney : Iδ −→ A soddisfacente il problema diCauchy

DIMOSTRAZIONE. Osserviamo innanzi tutto che risolvere il problemadi Cauchye equivalente a dimostrare esistenza ed unicita di una funzioneydefinita suIδ continua e soddisfacente la

(7.2) y(x) = y0 +

∫ x

x0

f(t, y(t))dt , x ∈ Iδ

Per questo scopo definiamo una successione di funzioni

yk : Iδ −→ A

125

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126 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

mediante le y0(x) = y0

yk+1(x) = y0 +

∫ x

x0

f(t, yk(t))dt

Le yk sono note comeapprossimazioni di Picard della soluzione delproblema di Cauchy.

Procediamo nella dimostrazione mettendo in evidenza i passi principaliPasso 1.La definizione diyk e coerente in quanto possiamo verificare

per induzione che

yk(x) ∈ A, ∀x ∈ Iδ , ∀k ∈ N

Si ha infattiy0(x) = y0 ∈ A ∀x ∈ Iδ

ed inoltre, suppostoyk(x) ∈ A ∀x ∈ Iδ

si ha

|yk+1(x)− y0| ≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, yk(t))|dt∣∣∣∣ ≤M |x− x0| ≤Mδ ≤ b

da cuiyk+1(x) ∈ A ∀x ∈ Iδ

Passo 2.Proviamo ora che la successioneyk e uniformemente conver-gente suIδ.

Si ha

|yk+1(x)− yk(x)| ≤MLk |x− x0|k+1

(k + 1)!

infatti

|y1(x)− y0(x)| ≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, y0)|dt∣∣∣∣ ≤M |x− x0|

e, per induzione, supponendo

|yk(x)− yk−1(x)| ≤MLk−1 |x− x0|k

k!

si ottiene subito che

|yk+1(x)− yk(x)| ≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, yk(t))− f(t, yk−1(t))|dt∣∣∣∣ ≤

≤ L

∣∣∣∣∫ x

x0

|yk(t)− yk−1(t)|dt∣∣∣∣ ≤

≤ MLk

k!

∣∣∣∣∫ x

x0

|t− x0|kdt∣∣∣∣ ≤MLk |x− x0|k+1

(k + 1)!

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1. IL TEOREMA DI ESISTENZA ED UNICITA DI PICARD 127

Possiamo pertanto affermare che

|yk+p(x)− yk(x)| ≤p∑

h=1

|yk+h(x)− yk+h−1(x)| ≤

≤p∑

h=1

MLk+h−1 |x− x0|k+h

(k + h)!=

=M

L

p∑h=1

Lk+h |x− x0|k+h

(k + h)!≤

≤ M

L

k+p∑i=k+1

(Lδ)i

i!= Ek,p

Passo 3.Ora, dal momento che

eLδ =+∞∑i=1

(Lδ)i

i!

perk sufficientemente grande si ha che|Ek,p| < ε per ognip ∈ N e quindiyk converge uniformemente suIδ ad una funzione che denoteremo cony.

Inoltre y e continua suIδ in quantoe limite uniforme di funzioni conti-nue.

Passo 4.Verifichiamo chey e soluzione del problema di Cauchy.Se passiamo al limite perp→ +∞ otteniamo

|y(x)− yk(x)| ≤M

L

+∞∑i=k+1

(Lδ)i

i!=M

L

(eLδ −

k∑i=0

(Lδ)i

i!

)=

=M

Leξ (Lδ)k+1

(k + 1)!≤ M

LeLδ (Lδ)k+1

(k + 1)!= Ek

essendo|ξ| ≤ Lδ.Ovviamentelimk Ek = 0 e, dal momento che

yk+1(x) = y0 +

∫ x

x0

f(t, yk(t))dt

e che∣∣∣∣∫ x

x0

[f(t, yk(t))− f(t, y(t))]dt

∣∣∣∣ ≤≤∣∣∣∣∫ x

x0

L|yk(t)− y(t)|dt∣∣∣∣ ≤ LδEk

si ha, perk → +∞

y(x) = y0 +

∫ x

x0

f(t, y(t))dt

edy e soluzione di7.2e quindi del problema di Cauchy.

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128 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

Passo 5.Per quanto riguarda l’unicita della soluzione osserviamo che,sey e z sono soluzioni del problema di Cauchy, allora

|y(x)− z(x)| ≤ L

∣∣∣∣∫ x

x0

|y(t)− z(t)|dt∣∣∣∣

e per il lemma di Gronwall si puo concludere.2

Usando argomentazioni simili a quelle del teorema precedente si puoprovare per induzione che:

Con le notazioni e le ipotesi del teorema di esistenza ed unicita, si ha

|yk(x)− y(x)| ≤ M

L

(Lδ)k+1

(k + 1)!.

2. Il teorema di esistenza di Peano

DEFINIZIONE 7.1. SiaI = [x0−a, x0 +a] ,A = y ∈ Rn : |y−y0| ≤b e siaf : I × A −→ A continua; poniamo

M = max|f(x, y)| : (x, y) ∈ I × A

δ = min

a,

b

M

Sianoδk > 0, δk → 0 ed

xi = x0 + iδk , x0 ≤ xi ≤ x0 + δ

chiamiamoapprossimazioni di Eulero della soluzione del problema diCauchy, a destra dix0 , la successione di funzioni

yk : [x0, x0 + δ] −→ A

definita da:

yk(x0) = y0

yk(x) = yk(xi) + f(xi, yk(xi))(x− xi), xi ≤ x ≤ xi+1

Osserviamo che la definizionee consistente in quantoyk(x) ∈ A sex ∈ [x0, x0 + δ] e quindie possibile calcolaref(xi, yk(xi)).

Infatti si hayk(x0) = y0 ∈ A e suppostoyk(xj) ∈ A, j = 1, ..., i si ha

|yk(xi+1)− y0| ≤M |xi+1 − x0| ≤Mδ ≤ b.

Notiamo inoltre che evidentemente si ha, seξ, η ∈ [x0, x0 + δ],

|yk(ξ)− yk(η)| ≤M(ξ − η)

in quantoyk e una poligonale i cui tratti rettilinei hanno tutti coefficienteangolare minore, in modulo, adM .

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2. IL TEOREMA DI ESISTENZA DI PEANO 129

Osserviamo infine chee banale definire le approssimazioni di Eulerodel problema di Cauchy anche a sinistra del puntox0 e di conseguenza intutto l’intervallo [x0 − δ, x0 + δ].

E possibile provare il seguente teorema di esistenza dovuto a Peano.

TEOREMA 7.2. - Peano - SianoI = [x0 − a, x0 + a], A = y ∈ Rn :|y − y0| ≤ b, f : I × A −→ A continua.Sia

M = max|f(x, y)| : (x, y) ∈ I × A

δ = mina, bM

Allora esistey : [x0 − δ, x0 + δ] −→ A, derivabile e tale chey′(x) = f(x, y(x)), x ∈ [x0 − δ, x0 + δ]

y(x0) = y0

Si puo inoltre provare che, qualora la soluzione sia unica, la successionedi approssimanti di Eulero converge alla soluzione stessa.

Passiamo ora a valutare l’errore che si commette usando le approssi-manti di Eulero in luogo della soluzione effettiva.

TEOREMA 7.3. siaf ∈ C1(I ×A); denotiamo conLx edLy due valoritali che ∣∣∣∣∂f∂x (x, y)

∣∣∣∣ ≤ Lx , |∇yf(x, y)| ≤ Ly

Allora si ha

|yk(x)− y(x)| ≤ δk(Lx + LyM)(x− x0)eLy(x−x0)/2

DIMOSTRAZIONE. Si ha

|yk(x)− yh(x)| ≤∣∣∣∣∫ x

x0

[f(t, yk(t))− f(t, yh(t))]dt

∣∣∣∣++

∣∣∣∣∫ x

x0

∆k(t)dt

∣∣∣∣+ ∣∣∣∣∫ x

x0

∆h(t)dt

∣∣∣∣dove

∆k(t) = |f(t, yk(t))− f(t, yk(xi))|Inoltre dalle ipotesi introdotte si ottiene

|∆k(x)| ≤ Lx|x− xi|+ Ly|yk(x)− yk(xi)| ≤≤ Lx|x− xi|+ LyM |x− xi| =

= (Lx + LyM)|x− xi|

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130 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

e pertanto

|yk(x)− yh(x)| ≤ (Lx + LyM)(δk + δh)(x− x0)/2+

+

∣∣∣∣∫ x

x0

Ly|yk(t)− yh(t)|dt∣∣∣∣

e, per il lemma di Gronwall,

|yk(x)− yh(x)| ≤ (δk + δh)(Lx + LyM)x− x0

2eLy(x−x0).

Pertantoyk e convergente uniformemente ady che, come nel teorema pre-cedente,e soluzione del problema di Cauchy. Facendoh → +∞ si ottienela tesi. 2

Rendiamo a questo punto conto brevemente di quello chee noto comefenomeno di Peano. Per semplicita consideriamo il caso di una sola equa-zione differenziale; in parole povere il fenomeno di cui sopra puo esseredescritto come segue.

In presenza di condizioni che garantiscono l’esistenza, ma non l’unicitadella soluzione del problema di Cauchy accade che, se esistono due solu-zioni uscenti dal punto(x0, y0), comunque si scelga un punto(x1, y1) nellazona di piano delimitata dalle due soluzioni e dalle rettex0 ± δ, esiste unasoluzione uscente da(x0, y0) che passa per il punto(x1, y1).

Si puo inoltre provare l’esistenza di una soluzione massima e di unasoluzione minima per il problema di Cauchy.

3. Metodi numerici per la soluzione di un problema di Cauchy.

Accenniamo infine ai metodi di approssimazione della soluzione di unproblema di Cauchy.

Abbiamo gia visto come le approssimazioni di Picard danno la pos-sibilita di approssimare la soluzione ed abbiamo dato una maggiorazionedell’errore.

Questo modo di procedere genera tuttavia numerose difficolta di ti-po calcolistico, in quanto gli integrali da svolgere spesso non ammettonoprimitive elementari.

Un secondo tentativo puo essere fatto usando la formula di Taylor. Intal caso si sostituisce alla soluzioney(x) il suo sviluppo di Taylor di ordinem, Pm(x, h), relativo al puntox ed all’incrementoh. Si ha cosı

Pm(x, h) =m∑

i=0

y(i)(x)hi

i!

e la soluzionee approssimata mediante lexn+1 = xn + h

yn+1 = Pm(xn, h)

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3. METODI NUMERICI PER LA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY. 131

Osserviamo chey(i)(x) si puo ricavare dai dati del problema, ricordandoche

y′ = f

y′′ = fx + fyy′ = fx + ffy

y′′′ = fxx + fxyf + fxfy + f 2y f + ffyx + f 2fyy

. . . . . . . . .

Osserviamo che nel caso in cuim = 1, la formula appena descrittasi riduce al classico metodo di Eulero, mentre per valori dim piu grandii calcoli si fanno troppo complicati e, per evitare questo inconveniente,enecessario considerare quelli che si chiamano metodi di integrazione ad unpasso.

Essi si basano sull’idea di cercare una soluzione definita daxn+1 = xn + h

yn+1 = yn + α0k0 + α1k1 + ...+ αmkm

dove

k0 = hf(xn, yn)

k1 = hf(xn + a1h, yn + b10k0)

k2 = hf(xn + a2h, yn + b20k0 + b21k1)

. . . . . . . . . . . . . . .

km = hf(xn + amh, yn + bm0k0 + ...+ bm,m−1km−1)

Ora, sviluppando secondo Taylor le espressioni deiki, sostituendo nelleprecedenti uguaglianze e confrontando quanto si ottiene con lo sviluppo diTaylor della soluzione, si ha un sistema di equazioni algebriche sottodeter-minato, che consente di trovare piu di una scelta dei coefficientiαi, ai ebij.

A seconda dell’ordine di sviluppo di Taylor e delle scelte effettuatenel risolvere il sistema, questo procedimento genera diverse formule diintegrazione.

Qui di seguito elenchiamo quelle piu diffuse.

- Metodo di Eulero (ordine 1)

xn+1 = xn + h

yn+1 = yn + hf(xn, yn)

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132 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

- Metodo di Eulero modificato (ordine 2)

xn+1 = xn + h

k1 = hf(xn, yn)

k2 = hf(xn + h, yn + k1)

yn+1 = yn + (k1 + k2)/2

- Metodo di Heun (ordine 3)

xn+1 = xn + h

k1 = hf(xn, yn)

k2 = hf(xn + h/3, yn + k1/3)

k3 = hf(xn + 2h/3, yn + 2k2/3)

yn+1 = yn + (k1 + 3k3)/4

- Metodo di Kutta (ordine 3)

xn+1 = xn + h

k1 = hf(xn, yn)

k2 = hf(xn + h/2, yn + k1/2)

k3 = hf(xn + h, yn + 2k2 − k1)

yn+1 = yn + (k1 + 4k2 + k3)/6

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3. METODI NUMERICI PER LA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY. 133

- Metodo di Runge-Kutta (ordine 4)

xn+1 = xn + h

k1 = hf(xn, yn)

k2 = hf(xn + h/2, yn + k1/2)

k3 = hf(xn + h/2, yn + k2/2)

k4 = hf(xn + h, yn + k3)

yn+1 = yn + (k1 + 2k2 + 2k3 + k4)/6

- Metodo di Runge-Kutta II (ordine 4)

xn+1 = xn + h

k1 = hf(xn, yn)

k2 = hf(xn + h/3, yn + k1/3)

k3 = hf(xn + 2h/3, yn + k2 − k1/3)

k4 = hf(xn + h, yn + k1 − k2 + k3)

yn+1 = yn + (k1 + 3k2 + 3k3 + k4)/8

Infine esistono metodi di integrazione per equazioni differenziali chesono basati sulle formule di quadratura aperte e chiuse per intervalli equi-spaziati.

Tali metodi sono basati sull’uso di una formula di quadratura aperta cheusa i puntiyn−p, .., yn per predire il puntoyn+1 e di una formula di quadra-tura chiusa che fa uso dei puntiyn−q, .., yn+1 per correggere la previsionefatta.

Per il loro modo di operare tali metodi si dicono metodi predictor-corrector: riportiamo qui di seguito i piu diffusi tra di essi.

- Metodo di Eulero modificato (ordine 2)

xn+1 = xn + h

y∗n+1 = yn + hf(xn, yn)

yn+1 = yn + h[f(xn, yn) + f(xn+1, y∗n+1)]/2

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134 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

- Metodo di Milne a tre punti (ordine 4)

xn+1 = xn + h

y∗n+1 = yn−3 + h[8f(xn, yn)− 4f(xn−1, yn−1) + 8f(xn−2, yn−2)]/3

yn+1 = yn−1 + h[f(xn+1, y∗n+1) + 4f(xn, yn) + f(xn−1, yn−1)]/3

- Metodo di Adams-Moulton (ordine 4)

xn+1 = xn + h

y∗n+1 = yn + h[55f(xn, yn)− 59f(xn−1, yn−1)+

+ 37f(xn−2, yn−2)− 9f(xn−3, yn−3)]/24

yn+1 = yn + h[9f(xn+1, y∗n+1) + 19f(xn, yn)−

− 5f(xn−1, yn−1) + f(xn−2, yn−2)]/24

- Metodo di Milne a cinque punti (ordine 6)

xn+1 = xn + h

y∗n+1 = yn−5 + h[33f(xn, yn)− 42f(xn−1, yn−1) + 78f(xn−2, yn−2)−− 42f(xn−3, yn−3) + 33f(xn−4, yn−4)]/10

yn+1 = yn−3 + h[14f(xn+1, y∗n+1) + 64f(xn, yn) + 24f(xn−1, yn−1)+

+ 64f(xn−2, yn−2) + 14f(xn−3, yn−3)]/45

4. Prolungabilita della soluzione di un problema di Cauchy.

Abbiamo dimostrato un teorema di esistenza ed unicita di una soluzionelocale del problema di Cauchy, abbiamo cioe provato che la soluzione esisteede unica in un intorno del punto iniziale.

Se esiste un’altra soluzione del problema di Cauchy assegnato, definitasu un intervallo piu grande di quello precedentemente trovato e coincidentecon la prima nella parte comune diciamo che tale soluzionee prolungabilee che la nuova soluzionee un suo prolungamento.

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4. PROLUNGABILITA DELLA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY. 135

Piu precisamente diciamo chey e una soluzione prolungabile a destrase esiste

z : [a, c) −→ A

soluzione, conc > b ey(x) = z(x) ∀x ∈ [a, b).Una applicazione del lemma di Gronwall assicura che:

Sef e continua inΩ e se

|f(x, y1)− f(x, y2)| ≤ L|y1 − y2| , ∀x ∈ I , ∀y1, y2 ∈ AAllora, se y e z sono due soluzioni definite sugli intervalliI1 ed I2rispettivamente, si ha

y(x) = z(x) ∀x ∈ I1 ∩ I2

Sotto opportune condizioni una soluzione locale puo essere prolungata;piu precisamente:

Sef e continua inΩ e se

|f(x, y1)− f(x, y2)| ≤ L|y1 − y2| ∀x ∈ I , ∀y1, y2 ∈ AAllora, se y e una soluzione definita su[a, b) e se poniamo

Γ = (x, y(x)) : x ∈ [a, b)sono equivalenti le seguenti condizioni:

• y e prolungabile a destra;• Γ e limitato e d(Γ, ∂Ω) > 0. dove

d(A,B) = inf|x− y| : x ∈ A , y ∈ B

E anche possibile stabilire una semplice condizione sufficiente per laprolungabilita di una soluzione e quindi per l’esistenza di quella che si chia-ma una soluzione globale: una soluzione cioe che sia definita per tutti ivalori di I = (x0 − a, x0 + a).

Infatti se

f : I × R −→ Re se

(7.3) |f(x, y)| ≤M + L|y|

per ognix ∈ I, edy ∈ RAllora esiste una ed una sola soluzione del problema di Cauchy definita

su tuttoI.

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136 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

Per dimostrare questa affermazionee sufficiente osservare che nellecondizioni assunte si ha

|y(x)| =∣∣∣∣y0 +

∫ x

x0

f(t, y(t))dt

∣∣∣∣ ≤ |y0|+ 2aM +

∣∣∣∣∫ x

x0

L|y(t)|dt∣∣∣∣

e, per il lemma di Gronwall, cio e sufficiente per affermare che la soluzioney e limitata e quindi prolungabile.

Le condizioni• |f(x, y)| ≤ M per ognix ∈ I, y ∈ R, ed inoltref e lipschitziana

sugli insiemi limitati contenuti inI × R;• |f(x, y1)− f(x, y2)| ≤ L|y1 − y2| per ognix ∈ I, y1, y2 ∈ R

sono entrambe sufficienti per la7.3Consideriamo la disequazione differenziale

z′(x) ≤ ω(x, z(x))

z(x0) ≤ a

L’esistenza di soluzioni della disequazionee ovvia conseguenza delteorema di esistenza per le equazioni; non cosı si puo ovviamente diredell’unicita.

Si puo tuttavia provare il seguente notevole risultato

TEOREMA 7.4. Sez e una soluzione della disequazione definita su unintervalloJ e sey e la soluzione del problema

y′(x) = ω(x, y(x))

y(x0) = a

Allora si haz(x) ≤ y(x)

DIMOSTRAZIONE. Siau(x) = z(x)− y(x), si hau(x0) ≤ 0; supponiamoche esistax1 > x0 tale cheu(x1) > 0. Dal momento cheu e continua esisteξ tale cheu(ξ) = 0 eu(x) > 0 perx ∈ (ξ, x1].

Inoltre,

u′(x) = z′(x)− y′(x) ≤ ω(x, z(x))− ω(x, y(x)) ≤≤ |ω(x, z(x))− ω(x, y(x))| ≤ L|z(x)− y(x)| = L|u(x)|

Poiche si ha

d

dx|u(x)| = d

dx

√〈u(x), u(x)〉 =

2〈u′(x), u(x)〉2√〈u(x), u(x)〉

≤ |u′(x)||u(x)||u(x)|

otteniamod

dx|u(x)| ≤ |u′(x)| ≤ L|u(x)|

e, per il lemma di Gronwall

0 < u(x1) ≤ u(ξ)eL(x1−ξ) = 0

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4. PROLUNGABILITA DELLA SOLUZIONE DI UN PROBLEMA DI CAUCHY. 137

il che e assurdo. 2

TEOREMA 7.5. Supponiamo cheα : [x0,+∞) −→ R sia continua,β : R+ −→ R+ sia continua e∫ +∞

0

1

β(s)ds = +∞

Allora il problema u′(x) = α(x)β(y(x))

u(x0) = u0

ammette soluzioni definite perx ≥ x0.

DIMOSTRAZIONE. Separando le variabili si ottiene

u′(x)

β(u(x))= α(x)

ed integrandoB(u(x)) = A(x)

dove

B(u) =

∫ u

u0

1

β(s)ds

A(x) =

∫ x

x0

α(s)ds

Per le ipotesi fatteB e crescente, invertibile e dal momento che

limu→+∞

B(u) =

∫ +∞

x0

1

β(s)ds+ k = +∞

possiamo affermare cheB assume tutti i valori positivi, inoltre evidente-menteA assume solo valori positivi e possiamo affermare che

u(x) = B−1(A(x))

e definita perx ≥ x0 2

TEOREMA 7.6. Supponiamo chef : [x0,+∞)× Rn −→ Rn sia conti-nua e lipschitziana iny, uniformemente rispetto adx, sugli insiemi limitati.

Supponiamo inoltre che esistanoα : [x0,+∞) −→ R continua,β :R+ −→ R+ continua e crescente, con∫ +∞

0

1

β(s)ds = +∞

tali che|f(x, y)| ≤ α(x)β(|y|).

Allora il problema y′(x) = f(x, y(x))

y(x0) = y0

ammette soluzioni definite perx ≥ x0.

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138 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

DIMOSTRAZIONE. Utilizzando le ipotesi si ha cheddt|y(x)| ≤ α(x)β(|y(x)|)|y(x0)| = |y0|

Per cui seu e la soluzione del problema di cui al teorema precedente conu0 = |y0| si ha

|y(x)| ≤ u(x)

Poiche u e definita perx ≥ x0, |y| ed y si mantiene limitata e quindieprolungabile perx ≤ x0

2

5. Dipendenza continua dai dati iniziali

Le soluzioni di un problema di Cauchy evidentemente cambiano se idati del problema cambiano, mae importante conoscere quali alterazionisubiscono.

In particolaree utile sapere se piccoli cambiamenti dei dati provochinopiccoli cambiamenti delle soluzioni.

La questionee evidentemente importante in quanto i problemi di Cau-chy sono di grande utilita nella modellistica matematica e none realisticosperare che le funzioni ed i dati che entrano a definire un modello matema-tico descrivano il fenomeno da studiare senza alcun margine di errore o chenon si introducano errori di approssimazione dovuti ai calcoli.

Lo scopo dello studio della dipendenza dai datie percio di fornire unastima delle modificazioni introdotte dall’approssimazione dei dati nelle so-luzioni.

L’applicazione del Lemma di Gronwall permette di stabilire alcuni ri-sultati nell’enunciare i quali supponiamo verificate le ipotesi di esistenza edunicita della soluzione di un problema di Cauchy.

Sianoy e z tali chey′(x) = f(x, y(x)) x ∈ Iδy(x0) = y0

z′(x) = f(x, z(x)) x ∈ Iδz(x0) = z0

Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];Allora si ha

|y(x)− z(x)| ≤ |y0 − z0|eL|x−x0|

per ogni x ∈ Iδ.

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5. DIPENDENZA CONTINUA DAI DATI INIZIALI 139

Infatti

|y(x)− z(x)| ≤ |y0 − z0|+∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, y(t))− f(t, z(t))|dt∣∣∣∣ ≤

≤ |y0 − z0|+∣∣∣∣∫ x

x0

L|y(t)− z(t)|dt∣∣∣∣

e si conclude per il lemma di Gronwall.

Sianoy ew tali chey′(x) = f(x, y(x)) x ∈ Iδy(x0) = y0

w′(x) = g(x,w(x)) x ∈ Iδw(x0) = y0

Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];Allora si ha

|y(x)− w(x)| ≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, w(t))− g(t, w(t))|dt∣∣∣∣ eL|x−x0|

per ogni x ∈ Iδ.

Infatti

|y(x)− w(x)| ≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, y(t))− g(t, w(t))|dt∣∣∣∣ ≤

≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, y(t))− f(t, w(t))|dt∣∣∣∣+

+

∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, w(t))− g(t, w(t))|dt∣∣∣∣ ≤

≤∣∣∣∣∫ x

x0

|f(t, w(t))− g(t, w(t))|dt∣∣∣∣+

+

∣∣∣∣∫ x

x0

L|y(t)− w(t)|dt∣∣∣∣

ed ancora si conclude per il lemma di Gronwall.

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140 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

Sianoy ew tali chey′(x) = f(x, y(x)) x ∈ Iδy(x0) = y0

u′(x) = f(x, u(x)) x ∈ Iδ

u(ξ0) = y0

Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];Allora si ha

|y(x)− u(x)| ≤M |ξ0 − x0|eL|x−x0|

per ogni x ∈ Iδ.

Infatti

|y(x)− u(x)| =∣∣∣∣∫ x

x0

f(t, y(t))dt−∫ x

ξ0

f(t, u(t))dt

∣∣∣∣ ≤≤∣∣∣∣∫ ξ0

x0

f(t, u(t))dt

∣∣∣∣+ ∣∣∣∣∫ x

x0

[f(t, y(t))− f(t, u(t))]dt

∣∣∣∣ ≤≤ M |ξ0 − x0|+

∣∣∣∣∫ x

x0

L|y(t)− u(t)|dt∣∣∣∣

ed anche qui si conclude per il lemma di Gronwall.I tre risultati precedenti consentono di affermare che

Seyev sono tali chey′(x) = f(x, y(x)) x ∈ Iδy(x0) = y0

v′(x) = g(x, v(x)) x ∈ Iδ

u(ξ0) = v0

Iδ = [x0 − δ, x0 + δ];Allora si ha

|y(x)− v(x)| ≤ |y(x)− z(x)|+ |z(x)− w(x)|+ |w(x)− v(x)|per ogni x ∈ Iδ.

6. Stabilita.

I precedenti risultati assicurano in altre parole che piccoli cambiamentidei dati del problema inducono piccoli cambiamenti nei valori delle solu-zioni. Essi tuttavia perdono significato qualora si considerino valori grandidell’ampiezza a dell’intervalloIδ.

In tal caso infatti, anche supponendo che le soluzioni del problema diCauchy siano definite sulla semirettax ≥ x0, le maggiorazioni ottenutetendono all’infinito.

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6. STABILITA. 141

Lo studio del comportamento delle soluzioni di una equazione differen-ziale sulla semirettax ≥ x0 si definisce studio della stabilita.

A meno di considerare una equazione ottenuta con un semplice cam-bio di variabili, ci si puo sempre ricondurre allo studio della stabilita dellasoluzione identicamente nulla.

Infatti z e soluzione di

y′(x) = f(x, y(x)) , x ≥ x0

se e solo se la funzione identicamente nulla risolve

y′(x) = f(x, z(x) + y(x))− z′(x), x ≥ x0

La stabilita assume particolare rilevanza nel caso in cui il problema diCauchy sia autonomo, sia cioe della forma

y′(x) = f(y(x))

y(x0) = y0

Supporremo verificate le seguenti ipotesiSiaf : A −→ A, A = y ∈ Rn : |y| < ae supponiamo che

|f(y1)− f(y2)| ≤ LB|y1 − y2|∀y1, y2 ∈ B ,B ⊂ A, limitato,

f(0) = 0.

Siaf : A −→ A , A = y ∈ Rn : |y| < a tale che• f sia continua in [x0,+∞)× A,•

|f(y1)− f(y2)| ≤ LB|y1 − y2|∀y1, y2 ∈ R ∀B ⊂ R limitato,

• f(0) = 0

Le condizioni assunte assicurano che la soluzione del problema di Cau-chy

y′(x) = f(x, y(x))

y(x0) = y0

esiste perx ∈ [x0, x0+δ] , conδ opportuno ede ivi unicamente determinata.In accordo con il teorema di prolungabilita considereremo sempre so-

luzioni definite su un intervallo massimale a destra che indicheremo con[x0, b).

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142 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

Le condizioni assicurano inoltre che la funzione identicamente nulla,y(x) ≡ 0 , x ≥ x0 , e soluzione del problema di Cauchy con dato inizialenullo , y0 = 0.

DEFINIZIONE 7.2. Diciamo che la soluzione nullae stabile per l’equa-zione data se per ogniε > 0 esisteδε > 0 tale

che se|y0| < δε, la soluzione del problema di Cauchye definita perx ≥ x0 e si ha

|y(x)| < ε

per ognix ≥ x0.

DEFINIZIONE 7.3. Diciamo che la soluzione nullae asintoticamentestabile per l’equazione data see stabile e se esisteδ > 0 tale che per|y0| < δ ,

limx→+∞

y(x) = 0.

6.0.1. Stabilita per i sistemi lineari.E’ facile provare un criterio distabilita per i sistemi lineari.

Consideriamo il sistema lineare

y′(x) = Ay(x).

Sia G una matrice fondamentale del sistema; allora la soluzioneidenticamente nullae stabile se e solo se

|G(x)| ≤ K , ∀x ≥ x0

inoltre la soluzione nulla e asintoticamente stabile se e solo se

limx→+∞

|G(x)| = 0

Infatti le soluzioni del sistema lineare possono essere scritte nella forma

y(x) = G(x)C , c ∈ Rn

mentre le soluzioni del problema di Cauchy sono date da

y(x) = G(x)G−1(x0)y0

Pertanto‖y(x)‖ ≤ ‖G(x)‖‖G−1(x0)‖‖y0‖

Cio permette di concludere sulla sufficienza delle condizioni proposte perla stabilita e l’asintotica stabilita della soluzione nulla. Inoltre

G(x) = (y1(x), y2(x), ...., yn(x))

doveyk(x) e la soluzione del problema di Cauchy con dato inizialeyk(x0) =ek (indichiamo conek gli elementi della base canonica diRn.

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6. STABILITA. 143

6.0.2. Stabilita per i sistemi non lineari, (Criterio di Lyapunov).Nelcaso dei sistemi non lineari

TEOREMA 7.7. Se esiste una funzione differenziabileV : A −→ R talecheV (0) = 0, V (y) > 0 sey ∈ A \ 0. e se accade che

〈∇V (y), f(y)〉 ≤ 0 ∀y ∈ Aallora la soluzione nullae stabile per l’equazione.

Se di piu〈∇V (y), f(y)〉 < 0 ∀y ∈ A \ 0

la soluzione nullae asintoticamente stabile.

DIMOSTRAZIONE. Si ha

minV (y) : |y| = ε = m > 0

e, dal momento cheV (0) = 0, esisteδ < ε tale che

V (y) < m se |y| < δ

Sia oray0 ∈ A , |y0| < δ, sia y(x) la soluzione massimale del problemadefinita in[x0, b), e siav(x) = V (y(x)); si ha

v(x0) = V (y0) < m

ed inoltre

v′(x) = 〈∇V (y(x)), f(y(x))〉 ≤ 0 per x ∈ [x0, b) .

Pertantov(x) ≤ v(x0) < m per x ∈ [x0, b)

e se esistessex ∈ [x0, b), con|y(x)| ≥ ε , per il teorema dei valori intermedisarebbe possibile trovarex′ ∈ [x0, x con|y(x′)| = ε e si avrebbe

v(x′) = V (y(x′)) ≥ m

il che e assurdo.Ne viene che y(x)e limitato perx ∈ [x0, b) e pertantob = +∞ per il

teorema di prolungabilita.Per quel che riguarda il secondo enunciato osserviamo che, essendo

ovviamente provata la stabilita della soluzione nulla, si ha∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se|y0| < δε

|y(x)| < ε per x ≥ x0,

inoltre come precedentemente vistov(x) = V (y(x)) e decrescente perx ≥ x0.Pertanto

limx→+∞

v(x) = λ ≥ 0 e v(x) ≥ λ se x ≥ x0;

se fosseλ > 0 si potrebbe scegliereη > 0 tale che, se|y| < η, V (y) < λ.Allora, dal momento cheV (y(x)) ≥ λ si avrebbe|y(x)| ≥ η; sia

m = max〈∇V (y), f(y)〉 : η ≤ |y| ≤ ε < 0,

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144 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

si hav′(x) ≤ m < 0 se x ≥ x0

ev(x) ≤ v(x0) +m(x− x0).

Facendox→ +∞ si ottienev(x) → −∞, il chee assurdo.Pertanto

limx→+∞

V (y(x)) = limx→+∞

v(x) = 0.

Selim

x→+∞y(x) 6= 0

esisterebbexn → +∞ tale che|y(xn)| ≥ ε0 > 0 e

V (y(xn)) ≥ minV (y) : ε0 ≤ |y| ≤ ε = ξ0 > 0

e cio e assurdo. 2

Possiamo anche formulare un risultato di instabilita puo invece esserecosı riformulato.

TEOREMA 7.8. Supponiamo che esistano un apertoG ⊂ A e duefunzioniV : G −→ R differenziabile,k : R −→ R+ continua, tali che

〈∇V (y), f(y)〉 ≥ k(V (y)) > 0 ∀y ∈ G \ 0Supponiamo inoltre che

• 0 < V (y) ≤M ∀y ∈ G• V (y) = 0 sey ∈ ∂G ∩ A• 0 ∈ ∂G.

Allora la soluzione nullae instabile.

DIMOSTRAZIONE. Per la continuita diV e per la (iii),∀δ > 0 ∃y0 ∈ Gtale che|y0| < δ e0 < V (y0) < δ.

Sia v = V (y0); se la soluzione nulla fosse stabile per l’equazione(30.12) potremmo affermare che la soluzione y(x) di (30.11)e definita perx ≥ x0.

Sia oraξ = supx : y(x) ∈ G ,

come nel teorema 30.23 si puo vedere cheξ = +∞; pertanto sev(x) =V (y(x) si ha0 ≤ v(x) ≤M e

v′(x) ≥ k(v(x)).

Ne deduciamo che ∫ v(x)

v

ds

k(s)≥ x− x0

e, dettaK una primitiva di1/k si ha

K(v(x))−K(v) ≥ x− x0.

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6. STABILITA. 145

Dal momento cheK e crescente

K(M) ≥ K(v(x)) ≥ K(v)− x0 + x per x ≥ x0

il che e assurdo. 2

6.1. Stabilita in prima approssimazione. Molto spesso, per studiarela stabilita di un sistema non lineare si procede allo studio della stabilita delsistema lineare ottenuto usando lo sviluppo di Taylor del primo ordine dellafunzione che compare a secondo membro. Tale sistema si chiama sistemalinearizzato ede interessante conoscere sotto quali condizioni la stabilitadel sistema linearizzatoe sufficiente per la stabilita del sistema originale.

Questo tipo di studio si chiama studio della stabilita in prima approssi-mazione.

TEOREMA 7.9. SiaP una matricen×n e sianoA = y ∈ Rn : |y| <a edf : A −→ R, tali chef(0) = 0, f e continua e

limx→0

f(x)

|x|= 0.

Consideriamo il sistemay′(x) = Py(x) + f(y(x))

y(x0) = y0

Allora, seP ha tutti gli autovalori con parte reale negativa, la soluzionenulla e stabile per il sistema.

DIMOSTRAZIONE. Se|y| < σ si ha

|f(y)| ≤ α

2K|y|;

e per il seguitoe lecito supporre chea < σ.SiaG la matrice fondamentale principale del sistema linearizzatoy′ =

Py e siay la soluzione definita in un intervallo massimale[x0, b); posto

z(x) = G(x− x0)y0 +

∫ x

x0

G(x− t)f(y(t))dt

si ha

z′(x) = G′(x− x0)y0 +

∫ x

x0

G′(x− t)f(y(t))dt+G(0)f(y(x)) =

= P

(G(x− x0)y0 +

∫ x

x0

G(x− t)f(y(t))dt

)+ f(y(x)) =

= Pz(x) + f(y(x))

ez(x0) = y0

Tenuto conto del fatto che

y′(x) = Py(x) + f(y(x)) , y(x0) = y0

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146 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE.

si ha(z − y)′(x) = P (z − y)(x) , (z − y)(x0) = 0

da cuiz(x) ≡ y(x)

Pertanto

y(x) = G(x− x0)y0 +

∫ x

x0

G(x− t)f(y(t))dt

ed inoltre, poiche gli autovalori diP hanno parte reale negativa

|G(x− t)| ≤ Ke−α(x−t) , x0 ≤ t ≤ x.

Allora

|y(x)| ≤ Ke−α(x−x0)|y0|+∫ x

x0

α

2e−α(x−t)|y(t)|dt

da cui

eα(x−x0)|y(x)| ≤ K|y0|+∫ x

x0

α

2eα(t−x0)|y(t)|dt

e per il lemma di Gronwall

eα(x−x0)|y(x)| ≤ K|y0|eα(x−x0)/2

e

(30.14) |y(x)| ≤ K|y0|e−α(x−x0) ≤ K|y0| , ∀x ≥ x0

Pertanto si ha, se0 < ε < σ e |y0| < ε/K,

|y(x)| < ε , ∀x ∈ [x0, b)

e con le solite argomentazioni circa la prolungabilita delle soluzioni si vedeche deve essereb = +∞.

Passando al limite perx → +∞ nella si conclude anche l’asintoticastabilita. 2

Si puo inoltre dimostrare che qualora la soluzione sia instabile per ilsistema linearizzato allora anche il sistema di partenzae instabile.

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Elenco delle figure

1.1 6

2.1 Il teorema degli zeri 17

2.2 Il teorema delle funzioni implicite 30

2.3 Il teorema delle funzioni implicite 31

3.1 36

3.2 36

3.3 41

4.1 50

4.2 54

4.3 55

4.4 56

4.5 57

147

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Indice

Capitolo 1. SPAZI EUCLIDEI n-DIMENSIONALI. 31. Norma e Prodotto scalare 32. Applicazioni Lineari 73. Forme Bilineari e Quadratiche 84. Proprieta Topologiche 10

Capitolo 2. LE FUNZIONI DI PIU VARIABILI 131. Limiti 132. Continuita 153. Differenziabilita e Derivabilita 184. Formula di Taylor 265. Massimi e Minimi Relativi 276. Convessita 287. Funzioni Implicite 298. Massimi e Minimi Vincolati

Moltiplicatori di Lagrange 32

Capitolo 3. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI DI PIU’VARIABILI. 35

1. Integrali Multipli 352. Integrali dipendenti da un parametro. 47

Capitolo 4. ARCHI E SUPERFICI NELLO SPAZIO. 491. Linee ed integrali di linea 492. Superfici ed Integrali di Superficie 553. Forme Differenziali inR3 584. Il Teorema di Stokes 68

Capitolo 5. LE SERIE 791. Criteri di convergenza per le serie a termini positivi 832. Serie a termini di segno alterno 873. Operazioni sulle serie 89

Capitolo 6. LE SERIE DI FUNZIONI. 931. Successioni di Funzioni. 932. Serie di funzioni. 973. Le Serie di Taylor. 1014. Le serie di potenze. 1035. Le serie di Fourier. 107

149

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150 INDICE

6. La Trasformata di Fourier. 1177. La trasformata di Laplace 121

Capitolo 7. EQUAZIONI E SISTEMI DI EQUAZIONIDIFFERENZIALI ORDINARIE. 125

1. Il teorema di esistenza ed unicita di Picard 1252. Il teorema di esistenza di Peano 1283. Metodi numerici per la soluzione di un problema di Cauchy.1304. Prolungabilita della soluzione di un problema di Cauchy. 1345. Dipendenza continua dai dati iniziali 1386. Stabilita. 140

Elenco delle figure 147