Analisi Agli Elementi Finiti in Geotecnica (Studio Terrain)

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ANALISI AGLI ELEMENTI FINITI IN GEOTECNICA: BASI, PRINCIPI, PARAGONI CON I METODI TRADIZIONALI

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ANALISI AGLI ELEMENTI FINITI IN GEOTECNICA: BASI, PRINCIPI, PARAGONI CON I METODI TRADIZIONALI

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Ing. A. S. Rabuffetti – Studio Terrain – Milano - 2008

INTRODUZIONE AI METODI F.E.M.

I CRITERI DI ANALISI DELLA STABILITA’ DEL PENDIO

1.1 – CENNI STORICI E RETROTERRA ANALITICI. I METODI DELL’EQUILIBRIO LIMITE

La stabilità del pendio è un problema geotecnico affascinante che ha ricevuto risposte di vario genere e grado di accuratezza a partire dagli anni ’30 dello scorso secolo. Il problema analitico si presentava fin dai primi approcci di complessa soluzione. Infatti, a fronte della necessità di determinare un certo numero di incognite di sistema, anche nei casi più semplici, si disponeva di possibili equazioni in numero sistematicamente inferiore alla richiesta. In un algoritmo di discretizzazione “a conci”, come codificato nelle soluzioni più classiche, le possibili equazioni di sistema venivano scritte valutando gli equilibri di forze e momenti, oltre alle tipiche relazioni tra sforzi normali efficaci e tensioni tangenziali. Le incognite del problema, invece, erano costituite dalle forze al contorno e baricentriche dei vari settori dell’ammasso in frana, dai relativi parametri geometrici, oltre naturalmente al fattore di sicurezza. In termini numerici, detto n il numero di conci della discretizzazione, si dimostra che la definizione “esatta” del problema si ottenesse ricavando almeno 6n-2 incognite di sistema, mentre le equazioni disponibili erano solo 4n. Si trattava perciò di implementare dei sistemi algebrici indeterminati, per risolvere i quali fu necessario ricorrere a metodi “semplificati”, proposti da vari Autori e sottoposti nel tempo a continue migliorie. Le analisi sviluppate già nella fase iniziale sono di tipo all’”equilibrio limite” e, nonostante una certa varietà dei metodi di calcolo, presentano sostanziali analogie. Quasi tutti i metodi proposti si basano infatti sulla definizione apriori di una certa frana, dotata di una geometria precisata in anticipo dall’analista, sulla sua modellazione fisica in termini morfologici e geotecnici, e su una discretizzazione del tipo a conci. Su tale superficie di scivolamento, fissata arbitrariamente sulla base di esperienze empiriche, viene eseguita l’analisi numerica semplificata. In termini fisici, questa superficie costituisce l’interfaccia più o meno definita tra il corpo della frana vera e propria e la massa di terreno che si suppone non interessato. Lo scopo dell’analisi con i metodi dell’equilibrio limite è sempre di definire un coefficiente di sicurezza rispetto alla formazione della frana stessa. Lungo la superficie di scivolamento vengono esplicitamente valutate le due grandezze fondamentali che formano l’oggetto dell’analisi: l’azione necessaria per la formazione della frana e la resistenza opposta al suo sviluppo. Tutti gli algoritmi sviluppati dai geotecnici considerano le forze attive sul pendio in termini di sforzi totali (introducendo nei calcoli il peso di volume “totale”) mentre le forze resistenti sono considerate in termini di sforzi efficaci (ovvero al netto della pressione “neutra” esercitata dell’acqua). Il pendio, interessato dalle forze di gravità e da eventuali forze sismiche, è sottoposto ad uno stato tensionale che viene esplicitato unicamente lungo la superficie di scivolamento. Lungo la stessa superficie di scivolamento si determinano anche le componenti che si oppongono alla frana: la coesione del suolo ed il suo attrito interno.

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Il metodo di calcolo prevede il paragone tra le due azioni, quella instabilizzante e quella opposta al movimento, normalizzate in termini di momenti rispetto ad un certo punto focale scelto arbitrariamente. Nel caso in cui le forze agenti siano algebricamente superiori alle resistenze opposte, ci si attende che il pendio entri in frana. Nel caso in cui le forze agenti siano inferiori alle resistenze, il pendio è stabile e si passa a quantificare il margine di resistenza disponibile oltre al minimo necessario per la stabilità (“grado di sicurezza”). Gli algoritmi di calcolo sono sempre organizzati in modo da definire un “coefficiente di sicurezza” geotecnico, Fs, rispetto allo sviluppo del fenomeno franoso (“collasso” del pendio). Nei metodi semplificati dell’equilibrio limite, un passo imprescindibile è cercare di ovviare all’arbitrarietà delle assunzioni iniziali. Le valutazioni numeriche vengono di volta in volta effettuate sulle potenziali superfici di scivolamento aprioristicamente scelte, determinate come detto in modo “ragionevolmente” arbitrario. Dal momento però che ogni assunzione a priori non è detto che venga in qualche modo confermata dalla realtà fisica, in genere l’analisi di stabilità viene ripetuta per molte superfici diverse. Le possibilità computazionali offerte dai moderni computers, all’atto pratico, permettono di prendere in esame anche svariate centinaia di ipotetiche superfici di scivolamento, eventualmente suddivise in famiglie secondo criteri di similitudine. Eseguendo lo stesso tipo di valutazione un grande numero di volte, la superficie più probabile per il collasso viene assunta in presenza del fattore Fs minore tra tutti quelli calcolati. Un ulteriore problema teorico è costituito dalle semplificazioni introdotte per ovviare all’eccessivo numero di variabili in gioco nel problema “esatto”. Come detto, conoscere il movimento franoso significa determinare il comportamento di tutti i punti della massa di terreno in frana e al contorno, ovvero una quantità di incognite non compatibile con il limitato numero di informazioni disponibili in input. Originariamente, i metodi dell’equilibrio limite erano stati sviluppati in previsione del calcolo manuale, coadiuvato da limitati mezzi elettromeccanici. Al fine di mantenere le soluzioni entro un ragionevole ammontare di passaggi, vari Autori hanno proposto alcune semplificazioni rispetto al problema “esatto” dell’analisi del pendio, rendendo praticabili soluzioni più o meno “chiuse” (Fig. 1.1). Fellenius (1936), per primo, ha proposto l’adozione di una superficie di scivolamento di forma perfettamente circolare, definita tramite un centro C ed un raggio R. Nella realtà, un discreto numero di frane sembra comportarsi proprio in questo modo. La massa di terreno analizzata è quella intercettata tra il profilo topografico ed il cerchio di calcolo, e viene suddivisa in un certo numero di “conci” o “strisce”. Tra un concio e l’altro, secondo Fellenius, non si trasmettono sforzi significativi, o comunque rilevanti dal punto di vista dell’analisi. La valutazione di stabilità viene effettuata determinando i momenti rispetto a C delle due grandezze fondamentali:

- momento delle componenti attive delle forze peso, proporzionali alle masse dei conci nei quali viene discretizzata la frana

- momento delle forze “tangenziali” stabilizzanti, ovvero coesione e attrito opposti allo scivolamento

Il fattore di sicurezza è determinato da rapporto tra momenti stabilizzanti e instabilizzanti, che all’equilibrio deve risultare per definizione maggiore di 1.

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Mantenendo la medesima impostazione legata alle superficie circolari, Bishop (1955) ha introdotto un raffinamento di calcolo ammettendo lo sviluppo di alcune forze orizzontali anche tra i vari conci. Janbu (1973) ha estrapolato il calcolo relativo alle superfici circolari a superfici qualsiasi composte da una spezzata lineare. La massa è sempre quella intercettata tra il profilo topografico e la superficie, suddivisa ancora in conci: tra i conci si sviluppano le stesse azioni considerate da Bishop. L’analisi numerica viene svolta da Janbu addizionando i contributi dei vari conci: azioni e resistenza vengono sviluppate in termini di sommatorie di forze e non più di momenti. Il vantaggio offerto dal sistema è di svincolarsi da semplici superfici circolari. Il limite è che rimane comunque necessario individuare a priori una superficie di scivolamento sulla quale condurre l’analisi. Comunque, con l’ausilio dei computers, si è arrivati a generare automaticamente delle superfici aventi maggiori probabilità di essere quelle critiche. Il fattore di sicurezza risulta anche in questo caso dal rapporto tra le due grandezze. Janbu ha inoltre introdotto un ulteriore adattamento semiempirico del calcolo per tenere conto della dimensione tridimensionale della frana. Bell (1968), Sarma (1979), Spencer (1967), Morgernstern e Price (1967), Lambe e Withmann (1969), NAVFAC DM7 (1971), tra gli altri, hanno proposto raffinamenti del metodo basilare dell’equilibrio limite, approfondendo problematiche legate alle pressioni neutre, al sisma, ai sovraccarichi, ai materiali normalconsolidati, a superfici non circolari. Metodi probabilisitici e “logici sfumati” sono stati infine introdotti (metodo di Montecarlo, fuzzy logic systems) nei criteri di assunzione dei parametri geotecnici.

1.2 – LE SOLUZIONI “ESATTE”.

A paragone delle metodologie “classiche” di analisi, consistono nella valutazione numerica del problema della stabilità del pendio attraverso metodi che non prevedono semplificazioni in ausilio al calcolo. L’analisi della stabilità passa in linea di principio dalla conoscenza, in tutti i punti della massa costituita dalla stratigrafia (“campo di integrazione”), di ogni necessaria variabile di stato tensionale e/o deformativo. Modellare una massa di materia in modo da poterne conoscere in ogni punto le caratteristiche fondamentali è un problema estremamente complesso ma non insolubile. Una notevole generalità connota questi metodi di analisi, che implementano delle soluzioni basate su moderni algoritmi utilizzati in svariati campi dell’ingegneria: geotecnica, elettrotecnica, elettromagnetismo, strutture, idraulica, fluidodinamica, diffusione del calore, degli inquinanti, ecc. Le tecniche più diffuse sono riconducibili ai metodi agli elementi finiti, alle differenze finite (metodi di discretizzazione), e agli elementi di contorno. A loro volta, i metodi di discretizzazione possono essere di tipo bidimensionale o tridimensionale, si estendono in campo elastico, plastico (nel caso dei terreni viscoplastico), comportano la definizione di funzioni e derivate di vario grado di funzioni, sfruttano teorie numeriche, utilizzano metodi iterativi, ecc., a seconda del tipo di problema da risolvere. L’analisi agli elementi finiti della stabilità del pendio, in altre parole, va rivista come un’applicazione tra le innumerevoli possibili di un potentissimo strumento di calcolo, flessibile, versatile, e naturalmente in un certo grado complesso: il metodo FEM.

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Lo scopo fondamentale dell’analisi è di conoscere il campo di variazione di una certa funzione (funzione di collasso) all’interno del pendio, con tutte le variabili che la definiscono. Date una certa geometria e una stratigrafia, si determinano i vettori che rappresentano spostamenti, tensioni, ecc. (Fig. 1.2), in un numero praticamente indefinito di nodi del sistema e nelle condizioni effettive del pendio in esame. Apposite modellazioni mettono in relazione deformazioni e “modificazioni” geotecniche dei terreni con quanto avviene ai nodi. Conoscendo i valori delle funzioni significative ai nodi, sarà possibile integrare ogni grandezza necessaria in tutti i punti dei campi che costituiscono l’insieme. Il risultato dell’analisi porta a definire tutte le variazioni che intervengono nel pendio p. es. in termini di deformazioni (Fig. 1.3), o di tomografia delle plasticizzazioni, con la possibilità di paragonare varie “fasi di lavoro” (Fig. 1.4), ovvero ogni altro parametro eventualmente necessario al giudizio di stabilità. E’ evidente che una buona modellazione del problema geotecnico, introdotta in fase di input, dovrebbe essere da sola sufficiente a soddisfare ogni aspetto del calcolo. In particolare, l’analisi fornisce autonomamente la definizione – aspetto non indifferente – della “vera superficie di scivolamento”, non predeterminata, sviluppata dal moto franoso.

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ANALISI AGLI ELEMENTI FINITI IN GEOTECNICA: UN PRIMO APPROFONDIMENTO

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2 – GENERALITA’ SUL METODO AGLI ELEMENTI FINITI.

Il Metodo agli Elementi Finiti (F.E.M.) è una tecnica avanzata di risoluzione di equazioni differenziali parziali che consiste nel discretizzare queste equazioni nelle loro dimensioni spaziali. La nascita del metodo data agli anni ’50 dello scorso secolo, ricavando un sostanziale incremento in parallelo allo sviluppo degli elaboratori elettronici. Trattandosi di una tecnica algoritmica applicabile a qualsiasi medium che si possa modellare in maniera continua, i campi in cui sono state sviluppate soluzioni FEM sono vari. Attualmente si contano applicazioni agli Elementi Finiti in Ingegneria Civile per ogni tipo di calcolo strutturale, in Geotecnica per definizioni di campi tensionali e verifiche di stabilità, in Idraulica per la risoluzione dei moti di filtrazione, in Elettrotecnica e in Meccanica per una serie di svariate applicazioni relative ai transitori, in Ingegneria Aerospaziale per lo studio dei profili alari, nella Fisica Tecnica per lo studio della propagazione del calore, ed in altri campi ancora. La discretizzazione viene effettuata localmente su piccole regioni di forma abitraria (Elementi Finiti) dotati di caratteristiche significative pari a quelle dell’insieme nel quale si esegue l’integrazione. Il metodo prevede l’assemblaggio di una matrice algebrica globale in cui convergono le caratteristiche del medium e le azioni esterne, con le relative variazioni. Ogni grandezza di calcolo viene riferita a un numero codificato di nodi, per i quali viene fornito un input coerente e in corrispondenza dei quali si ricavano gli outputs significativi. Gli Elementi Finiti, nel medium continuo, sono interconnessi tra loro nei nodi del sistema. Siccome in corrispondenza di ciascun nodo è possibile scrivere una o più equazioni che governano il problema in esame, risolvere il sistema di equazioni ai nodi equivale a definire il comportamento dei sottospazi rappresentati dagli Elementi. In altri termini, la matrice algebrica globale riflette la sovrapposizione delle azioni e degli effetti delle azioni nelle aree discrete considerate “concentrate” ai nodi. La soluzione del sistema numerico associato alla matrice permette di definire il campo di variazione delle incognite dell’intero spazio considerato, sia per i punti nodali sia che per tutti quelli interni ai singoli elementi. Infatti i singoli Elementi Finiti sono codificati in modo univoco una volta calcolate le grandezze di interesse ai singoli nodi. Ricavate dal sistema globale le grandezze ai nodi, si passa allo sviluppo dei risultati all’interno dei singoli campi costituiti dagli elementi. Le relazioni che legano le condizioni ai nodi con quanto accade all’interno delle aree discrete sono le Funzioni di Forma. Una caratteristica avanzata delle soluzioni agli Elementi Finiti è di permettere soluzioni “accopppiate” o “disaccoppiate”, secondo le condizioni di verifica. Può infatti presentarsi la necessità di studiare contemporaneamente più problemi tra loro distinti ma interconnessi, e risolvibili ciascuno singolarmente tramite un algoritmo FEM.

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Tipico in Geotecnica il problema dell’idrologia di un pendio da valutare insieme alla sua stabilità, oppure il fenomeno di diffusione di una massa gassosa in pressione all’interno di un contenitore rigido al variare della temperatura. In entrambi i casi un campo evolutivo (l’idologia per il primo problema, la temperatura all’interno del contenitore per il secondo) può non essere fissato a priori, ma può dipendere per esempio dal tempo, con notevole influenza sul risultato finale (stabilità, pressioni). Nel caso del pendio, l’analisi FEM dell’idrologia è condizionata dalle caratteristiche di permeabilità di massa, oltre naturalmente alle condizioni della falda e al contorno. Se la permeabilità è una costante, le condizioni al contorno si modificano spesso a causa di fattori indipendenti da ogni altra circostanza. Un esempio tipico di questo approccio è la valutazione di stabilità di una diga in terra durante le condizioni di invaso - o di svaso - del serbatoio a monte. Le condizioni di idrologia sono dettate dalla programmazione lavori da parte dell’autorità del bacino, indipendente per definizione da ogni fattore relativo all’analisi del pendio. D’altra parte, le condizioni di stabilità mutano in base alle variazioni delle condizioni idrologiche che determinano il regime delle pressioni neutre, in quanto la resistenza dei materiali varia per terreni saturi e insaturi. Si sviluppa così un’interdipendenza di problemi diversi può trovare definizione nell’analisi “accoppiata” di idrologia e stabilità. In pochi determinati casi, infine, è possibile scrivere delle leggi costitutive dei materiali terrosi tenendo conto delle condizioni di saturazione, permettendo calcolazioni aggiornate al reale grado di umidità dei suoli in sito. Si tratta comunque di applicazioni ancora sperimentali, la cui affidabilità computazionale è allo stato attuale in fase di verifica. In conclusione, è da sottolineare che il metodo agli Elementi Finiti è in grado di risolvere anche alcuni problemi specifici “derivando” per estensione soluzioni applicabili a rigore a situazioni differenti. In taluni di questi casi, però, il metodo FEM perde l’”esattezza” della soluzione che gli è propria. Un esempio molto noto è la trattazione del sistema di equazioni differenziali “disaccoppiate” nella risoluzione del problema dell’analisi sismica modale. In altri casi, invece, il metodo mantiene le proprie caratteristiche di “integrità”. Un importante esempio, rilevante nel caso della valutazione della stabilità del pendio, è la risoluzione di problemi in cui interviene l’elastoplasticità (o viscoplasticità), sempre presente nell’analisi del comportamento dei materiali terrosi.

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2.1 - GENERALITA’ SULL’ALGORITMO DI VERIFICA DEI PENDII

Il continuum discretizzato da Elementi Finiti è costituito dal pendio, modellabile in termini di geometria, stratigrafia, idrologia, caratteristiche geotecniche dei materiali presenti. Le azioni esterne applicate sono costituite essenzialmente dalla forza di gravità, e, dove applicabile, il campo di sollecitazioni indotte dal sisma. Nelle moderne analisi, il pendio viene schematizzato in elementi piani a otto nodi, particolarmente versatili e idonei alla soluzione dei problemi di stabilità in campo viscoplastico. Ciascuno di essi è dotato di caratteristiche geometriche e geotecniche peculiari. Le caratteristiche geotecniche sono definite in termini di pesi di volume, coesione, attrito interno, dilatanza, coefficienti di Poisson e modulo elastico. Il problema della verifica del fattore di sicurezza si presenta complesso in quanto la frana viene determinata da una sommatoria sufficientemente estesa di singoli Elementi Finiti singolarmente collassati. Il meccanismo di sviluppo delle superfici di scivolamente prevede infatti la compresenza di Elementi Finiti collassati ed altri ancora in campo elastico. Il modello geotecnico del terreno in fase di rottura del pendio comporta il superamento di certi valori da parte di una determinata funzione, detta Funzione di Snervamento. Tale funzione, a molte variabili, viene definita normalmente per un collasso di tipo non associato, interpretata secondo una teoria di comportamento visco-plastico. Il collasso di tipo “non associato” si verifica per Funzioni di Snervamento definite unicamente in base a criteri geotecnici, e non scelte invece, come avveniva in passato, per l’eventuale facilità computazionale. Il criterio di collasso che fornisce i migliori risultati applicati alla Geotecnica è quello di Mohr – Coulomb generalizzato, che permette di definire tutta una serie di importanti dati di output: - il coefficiente di sicurezza verso la “rottura” del pendio - la geometria esatta del movimento franoso, con ricostruzione puntuale del fenomeno di scivolamento. E’ da notare che la soluzione del problema agli Elementi Finiti permette la previsione incrementale delle modalità - e dei movimenti - al collasso del pendio, con possibilità di riscontro qualitativo / quantitativo in sito eventualmente mediante strumentazione geotecnica (tipicamente assestimetri e inclinometri). Inoltre è possibile anche una rappresentazione areale della funzione di collasso, con individuazione delle masse di terreno soggette a instabilizzazione già nelle prime fasi del processo franoso. L’aspetto fondamentale della soluzione dei problemi agli Elementi Finiti è di mettere a disposizione una soluzione “esatta” e non “approssimata”. Altre circostanze vantaggiose sono le seguenti: - le condizioni della falda freatica vengono introdotte sia tenendo conto della saturazione dei terreni, sia “regolando” il regime di sforzi (totali / efficaci) da considerare nella soluzione del problema;

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- l’analisi sismica viene condotta con possibilità di inserire campi di accelerazioni orizzontali contemporaneamente in orizzontale e in verticale, queste ultime dirette sia verso il basso sia verso l’alto, simulando al meglio la reale attività sismica. Per motivi che verranno meglio chiariti nel seguito, l’algoritmo risolutivo implementato dai metodi agli Elementi Finiti è tipicamente iterattivo a vari livelli. Ad un primo livello, si verifica la stabilità del pendio direttamente nelle condizioni fisiche risultanti dai dati geotecnici e topografici di campagna (condizione “iniziale”). In sostanza, sono analizzate le condizioni del pendio considerando i valori nominali dei parametri geotecnici (Fattore di Sicurezza Fs sui parametri geotecnici = 1). E’ ovvio che, nelle condizioni in cui si presenta l’analisi, il pendio può risultare stabile oppure no. Inoltre, anche in caso di stabilità di insieme, l’analisi numerica può mettere in luce locali stati di crisi nei materiali, mentre la stabilità di insieme non viene intaccata in quanto le risosrse residue del pendio sono complessivamente sufficienti ad impedire la frana. In questa fase sono comunque necessarie alcune iterazioni al fine di:

- verificare se esistono Elementi Finiti parzialmente o interamente interessati da plasticizzazione locale, ovvero se tutti si comportino in maniera elastica

- ridistribuire sugli Elementi al contorno l’eccesso di sforzi che non possono essere assorbiti dagli Elementi in fase di plasticizzazione

- riverificare se tutti gli Elementi, compresi quelli sovraccaricati da altri già plasticizzati, siano a loro volta interessati da fenomeni di collasso oppure no. In caso di collasso, le sollecitazioni in eccesso provenienti da questi Elementi verranno a loro volta ridistribuite al contorno

Solo quando tutti gli Elementi Finiti hanno cessato di ridistribuire al contorno sforzi in eccesso, il pendio viene considerato stabile, ed ha termine il primo livello di iterazioni (Fig. 2.1). Il secondo livello di iterazione (Fig. 2.2) riguarda la definizione del Fattore di Sicurezza geotecnico. Quando il pendio è definito come stabile nella condizione iniziale, si passa ad una fase successiva, in cui i parametri di resistenza dei terreni vengono ridotti dividendoli per un coefficiente di sicurezza Fs > 1. Il calcolo FEM viene ripetuto con le stesse modalità di prima, scendendo ancora al primo livello di iterazione che prevede:

- giudizio di stabilità quando in due cicli di calcolo successivi il pendio non mostra ulteriori assestamenti dovuti a ridistribuzione di sollecitazioni dovute ad Elementi collassati

- giudizio di instabilità quando viceversa il calcolo iterattivo dovuto alla ridistribuzione non accenna a terminare.

In realtà, per una serie di fattori tra cui la stessa precisione di calcolo degli elaboratori elettronici, sia la “stabilità” sia l’”instabilità” sono definite facendo riferimento a grandezze di paragone sufficientemente piccole o sufficientemente grandi. Ad esempio, si considera stabilizzato un pendio per il quale lo spostamento massimo di un qualsiasi nodo tra un ciclo ed il successivo sia sufficientemente contenuto (p. es. lo 0.1% dello spostamento precedente).

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Similmente, si considera collassato un pendio quando l’effettuazione di un congruo numero di cicli di calcolo FEM non conducono a stabilizzazione numerica (p. es. 250 o 500 cicli di calcolo dell’intero pendio). In generale, il criterio prevede la ripetizione del calcolo F.E.M. introducendo fattori di sicurezza FS via via crescenti. I coefficienti riduttivi vengono applicati alla coesione C ed alla tangente dell’angolo di attrito interno φ.Il secondo livello di iterazioni ha temine quando, a causa della diminuzione introdotta dal coefficiente di sicurezza in uso in quel preciso step di calcolo, il pendio non risulta più stabile. Il coefficiente di sicurezza FS immediatamente precedente al collasso generalizzato viene assunto come quello effettivo del pendio a rottura.

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ANALISI AGLI ELEMENTI FINITIIN GEOTECNICA: L’APPROCCIO TEORICO

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3 – DESCRIZIONE SINTETICA DEL METODO

3.1 – MODALITA’ DI DISCRETIZZAZIONE

3.1.1 – L’ELEMENTO FINITO. La sua estensione, forma, posizione, è a priori del tutto arbitraria, fatte salve certe regole e proprietà da rispettare. I tipi di Elementi Finiti sono numerosi, ma hanno una serie di caratteristiche comuni (per esempio un Elemento piano non può essere “concavo”, ogni Elemento deve essere adeguatamente vincolato al contorno). Nel settore della Geotecnica (Fig. 3.1), si considerano a seconda dei problemi da risolvere Elementi monodimensionali (“beam”, in grado di schematizzare pali, tiranti, diaframmi), bidimensionali (“piani”, che oltre a pali e diaframmi modellano direttamente il terreno), tridimensionali (“brick”, validi per ogni problema di modellazione). Un Elemento Finito, di qualsiasi tipo, è il campo di integrazione elementare (Fig. 3.2) dotato di:

- nodi, in corrispondenza dei quali si scrivono le equazioni che compongono il sistema risolutivo, in modo da calcolare valori analitici puntuali di idonee grandezze (nel caso del pendio, gli spostamenti del terreno). I nodi sono per lo più disposti al contorno, ma in alcuni casi anche all’interno degli Elementi

- Funzioni di Forma, che hanno lo scopo di mettere in relazione il valori delle grandezze definite ai nodi con ciascun punto all’interno dell’Elemento (partendo dalle grandezze ai nodi permettono di determinare quelle corrispondenti all’interno dell’Elemento)

- una Matrice delle Rigidezze, che governa la relazione tra le caratteristiche dell’Elemento Finito e quanto risulta ai nodi del sistema (partendo dalle proprietà dell’Elemento si determinano le proprietà ai nodi, utilizzate nella modellazione matematica)

- caratteristiche elastiche proprie, che confluiscono nella Matrice delle Rigidezze - caratteristiche geotecniche proprie, che confluiscono nei legami costitutivi dei

materiali Per motivi computazionali, ciascun Elementi Finito è dotato di un sistema di assi di riferimento autonomo, di coordinate ξ ed η. Questi assi (Fig. 3.3) non sono necessariamente ortogonali, e per definizione esprimono un campo di variabilità compreso tra –1 e +1. Le proprietà che ne derivano dal punto di vista dell’algebra del metodo sono fondamentali. Le Funzioni di Forma sono espresse in termini di ξ e η.Godendo di proprietà rapportabili al sistema di coordinate generali x e y, gli Elementi Finiti si definiscono “isoparametrici”. Molto utilizzati nella pratica sono gli elementi trave, biella, filo (monodimensionali), i triangoli a 3, 6 o 7 nodi e i quadrilateri a 4, 8, 9 nodi (planari), gli elementi brick a 8, 20 o 21 nodi. Nel caso di Elementi Finiti planari, è sottintesa la modellazione di una superficie avente spessore unitario, una sorta di “fetta” rappresentativa di una condizione fisica opportunamente definita (Fig. 3.4). Si suppone che tra una “fetta” e la successiva non vi

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siano differenze sostanziali di comportamento, e quindi non si sviluppino tensioni in grado di alterare la soluzione generale. Alcuni speciali vantaggi sono offerti in certi casi da elementi dotati di bordi curvilinei.

3.1.2 – I NODI Sono gli elementi fisici in cui convergono uno o più elementi finiti. Dal punto di vista algebrico, il sistema risolvente del continuum è ricavato mediante equazioni scritte unicamente in corrispondenza dei nodi. Si considera per praticità un problema piano a due gradi di libertà, senza tuttavia perdere di generalità nella trattazione. In sostanza, il modello matematico risolve il continuum verificando la congruenza degli spostamenti nell’intero campo di integrazione (Fig. 3.5). In altre parole, il sistema risolvente determina unicamente gli spostamenti del sistema, dal momento che in corrispondenza di ciascun nodo si possono scrivere soltanto due equazioni, che governano rispettivamente:

- la congruenza degli spostamenti in direzione x (orizzontale) - la congruenza degli spostamenti in direzione y (verticale)

I nodi possono essere liberi o vincolati (Fig. 3.3). Essendo due i gradi di libertà dei nodi, i vincoli possono riferirsi:

- allo spostamento orizzontale - allo spostamento verticale - ad entrambi gli spostamenti.

All’interno del continuum, i nodi sono normalmente liberi: la loro posizione, determinata dagli eventuali spostamenti, è dipendente unicamente dal calcolo FEM, ovvero dalla geometria del problema e dalle caratteristiche dei materiali. In altri termini, i nodi dotati di tutte le libertà sono in grado di assestarsi (traslare) a seconda della loro posizione all’interno del continuum e delle condizioni del pendio nel suo insieme. Ai bordi del continuum i nodi possono essere invece liberi o vincolati. Nel caso in cui appartengano alla superficie superiore del pendio, o al bordo inclinato libero, il loro comportamento seguirà le stesse regole dei punti interni. Quando i punti appartengono invece alla base o al contorno di terreno “eliminato” dal problema in quanto ininfluente, essi sono generalmente vincolati. I vincoli, dal punto di vista del modello matematico esprimono come detto una limitazione delle libertà di traslazione. In termini di modello, una singola restrizione (verticale o orizzontale) comporta l’adozione di un “carrello” fisico. Una doppia restrizione comporta l’adozione di una “cerniera” fisica (Fig. 3.6).

3.1.3 – LE CONDIZIONI AL CONTORNO DEL MODELLO MATEMATICO I contorni del problema di stabilità vengono definiti come segue:

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- in concomitanza di regioni delle quali si ritiene ininfluente il comportamento, in quanto sicuramente stabili (per esempio la presenza di un livello roccioso di base o di un livello stratigrafico compatto). Spesso su questi contorni si impostano vincoli bidirezionali (cerniere)

- ad una ragionevole distanza dalle superfici di frana: in generale questi contorni vengono schematizzati come vincolo monodirezionali (carrelli).

3.1.4 – RELAZIONI E CORRISPONDENZE DI COMPORTAMENTO TRA NODI E PUNTI ALL’INTERNO DEGLI ELEMENTI FINITI Nel modello matematico, tutte le caratteristiche di rigidità degli Elementi Finiti che interagiscono convergono nei nodi con i quali interagiscono (cioè ai che nodi appartengono al loro contorno). Il passaggio dalle caratteristiche degli Elementi alle equazioni ai nodi è formalmente diretto. L’interazione numerica tra caratteristiche geometriche e/o di rigidezza degli Elementi - ed equazioni di congruenza ai nodi, è governata dalla Matrice delle Rigidezze di ciascun Elemento Finito. Viceversa, conoscendo i valori delle traslazioni di tutti i punti nodali di un Elemento, tramite le Funzioni di Forma è possibile ricostruire gli spostamenti di ciascun punto interno all’Elemento. In Fig. 3.7 è riportato un esempio di calcolo di spostamento di un punto qualsiasi all’interno di un Elemento, tramite le Funzioni di Forma, conoscendo le traslazioni di ciascun nodo e la posizione del punto in termini di ξ e η (approccio lagrangiano). Conoscendo il campo di variazione di tutti gli spostamenti all’interno dell’Elemento Finito, è possibile successivamente determinare anche lo stato di sollecitazione punto per punto all’interno del campo.

3.2 – FORMULAZIONE DEL METODO AGLI ELEMENTI FINITI. RISULTATI E LIMITI DEL CALCOLO ELASTICO.

Il problema generalizzato agli Elementi Finiti si basa sul seguente algoritmo risolutivo. a – Tutte le grandezze relative alla discretizzazione in Elementi Finiti vengono rapportate ai nodi di pertinenza. Il sistema numerico risolutivo riguarda esclusivamente equazioni scritte per i nodi del sistema. Si definisce il numero dei gradi di libertà nodali n del sistema, pari al numero di equazioni del sistema risolutivo. In linea di principio, esso è definito da nn * ln – lv, dove nn è il numero dei nodi, ln è il numero di gradi di libertà di ciascun nodo (traslazioni, rotazioni) e lv è il numero di libertà nodali bloccate a causa dei vincoli esterni b – Si considerano le seguenti grandezze matriciali:

- un vettore di forze esterne nodali P[n], in notazione matriciale P

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- un vettore di grandezze incognite X[n] rappresentante le variabili del sistema risolvente da determinare (traslazioni, rotazioni), in notazione matriciale X

- una matrice generale KE[n,n] derivata dai contributi dei singoli Elementi Finiti, in notazione matriciale KE

c – Si scrive la relazione fondamentale agli Elementi Finiti in termini matriciali:

P[n] = KE[n,n] * X[n] 3.1)

che viene invertita al fine di ricavare il vettore incognito

X = KE-1 * P 3.2)

d – La risoluzione della 3.2) consente di determinare gli spostamenti di tutti i nodi del sistema. Conoscendo le singole componenti di spostamento contenute in X[n], si risale, elemento per elemento e tramite le Funzioni di Forma, a definire il comportamento in ogni punto interno di ciascun Elemento Finito. I passi sopra definiti valgono in generale per qualsiasi formulazione FEM, supponendo che le caratteristiche intrinseche materiche di ciascun Elemento Finito (le Leggi Costitutive dei materiali) siano in grado di reggere tutte le deformazioni calcolate. In altri termini, gli spostamenti calcolati e le deformazioni del continuum sono da considerarsi “elastici”, derivati in base a un calcolo lineare e perfettamente reversibili. Questa circostanza comporta l’assunzione che tutti gli spostamenti siano compatibili con le caratteristiche di resistenza dei materiali, in particolare la resistenza al taglio. Nel caso del pendio con formazione di superfici di scivolamento, questo assunto non è sempre verificato, in quanto in alcune posizioni il terreno “si rompe” generando la frana. In termini di corrispondente modellazione, alcuni Elementi Finiti “collassano”, ed il calcolo deve necessariamente tenerne conto. Si introducono per questo opportuni concetti di non linearità, elastoplasticità e viscoplasticità applicate al comportamento dei terreni, utilizzando comunque sempre l’algoritmo generale che sostiene la soluzione FEM.

3.3 – ELASTOPLASTICITA’ E VISCOPLASTICITA’

3.3.1 – LE LEGGI COSTITUTIVE DEI MATERIALI I terreni, come ogni materiale ingegnerizzabile, sono modellati mediante opportune Leggi Costitutive, che mettono in relazione le caratteristiche di deformabilità con i limiti di resistenza, da intendere come soglie oltre le quali si ha il collasso. Per molto tempo l’Ingegneria ha limitato i suoi interessi a semplici Leggi in campo elastico. Da anni però, in una larga serie di specializzazioni, si è esteso il campo di studio e di applicazioni ben oltre tale limite.

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Un tipico esempio di Legge Costitutiva è dato dalla legge di Hooke, valida per molti materiali metallici come per esempio l’acciaio, estesa opportunamente oltre il limite di elasticità e fino alle condizioni di collasso. Un passaggio fisicamente riscontrabile dall’elasticità alla plasticità dei materiali è correlato al limite di snervamento a trazione o compressione, come mostrato in Fig. 3.8. Si nota la definizione di precise soglie oltre le quali l’oggetto sottoposto a sollecitazione muta sensibilmente comportamento. Per gli stati di sollecitazione monoassiale, per esempio una barra metallica sottoposta a trazione, la rappresentazione di Fig. 3.8 è esaustiva. La linea bilatera ideale sintetizza la prima fase di comportamento del materiale, perfettamente elastico, a cui segue una seconda fase di snervamento e quindi la rottura. La porzione sinistra della bilatera, come noto, rappresenta la legge di Hooke di linearità tra sforzi e deformazioni. Lo snervamento è invece accompagnato da alti livelli tensionali, più o meno costanti, e produce ulteriori allungamenti fino alla caduta repentina delle sollecitazioni che caratterizza la rottura. La linea tratteggiata rappresenta il comportamento reale dei materiali, sottintendendo che la bilatera ideale è un legame più facilmente modellabile in termini computazionali. Per definizione, quando il materiale segue la prima porzione della bilatera il suo comportamento è perfettamente elastico. Nella seconda porzione, il regime di sforzi/deformazioni diviene perfettamente plastico. Dal punto di vista teorico, nel caso di un continuum spaziale come i terreni, la rappresentazione della Legge Costitutiva assume la forma di Fig. 3.9. Gli assi coordinati disegnano un dominio sforzi – deformazioni, l’interpretazione avviene generalmente rispetto al contorno rappresentato nel dominio. Il terreno all’interno del contorno si comporta in modo elastico, quello all’esterno in modo anelastico. La curva che delimita i due campi è detta Funzione di Snervamento, e risulta interessante osservare le modalità con cui il terreno supera questo limite fisico. Nel caso in cui si considerino all’interno e all’esterno valide le stesse relazioni, la Legge Costitutiva si dice associata. Una Legge di tipo associato comporta notevoli semplificazioni dal punto di vista computazionale, ma appare meno realistica. Se all’interno del campo elastico valgono funzioni formalmente differenti da quelle valide all’esterno, la Legge Costitutiva è di tipo non associato. I modelli matematici delle Leggi Costitutive possono variare di forma rispettando la stessa base concettuale. In Fig. 3.10 è rappresentata la superficie di snervamento che pertiene al criterio di Mohr Coulomb applicabile ai terreni. Per comodità computazionale FEM in questo caso lo spazio tensoriale è dato dagli assi σ1, σ2, σ3, correlati alle tensioni a cui è sottoposto un singolo elemento di terreno. Il campo di comportamento elastico è delimitato dalla piramide rovesciata con asse coincidente con la diagonale spaziale, la cui forma esagonale è caratteristica. Solamente all’interno della piramide il suolo si comporta in modo elastico. Altre superfici di snervamento sono state proposte, come quelle relative ai criteri di Von Mises (Fig. 3.11), Tresca e Druker Prager, ma riguardano casi particolari o approssimazioni di comportamento. Si tratta infatti di situazioni limite, con la piramide che degenera a prisma e/o la base poligonale che viene approssimata con la circonferenza.

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La funzione più appropriata per i terreni risulta quella di Mohr Coulomb che, con opportune codifiche di calcolo, comprende ogni situazione reale. Un problema di rappresentatività all’interno dell’Elemento Finito viene risolto introducendo i Punti di Gauss, che sono punti significativi nei quali si possono integrare le proprietà relative all’intero Elemento. In altri termini, dati i 4 Punti di Gauss mostrati in Fig. 3.3, esistono soluzioni in forma chiusa rappresentative degli integrali di campo estesi all’intero Elemento Finito. La trattazione delle condizioni di collasso geotecnico, non potendosi condurre per i punti (teoricamente infiniti) all’interno di ogni singolo Elemento, viene condotta nell’analisi FEM a livello dei 4 Punti di Gauss. Con le tecniche numeriche proprie dell’analisi, quanto viene riscontrato ai Punti di Gauss viene successivamente ripartito in modo opportuno ai Nodi dell’Elemento Finito.

3.3.2 – L’INTEGRAZIONE DELLE LEGGI NEGLI ELEMENTI FINITI Le Leggi Costitutive devono essere modellate matematicamente sia all’interno che all’esterno delle superfici di snervamento (Figg. 3.9 e 3.10). La formulazione dell’algoritmo FEM, come descritta fino ad ora, è applicabile integralmente per tutte gli “stress path” in campo perfettamente elastico. Alcune strategie di calcolo permettono di utilizzare la stessa impostazione teorica per risolvere il comportamento del terreno anche in campo plastico. Tra i modelli computazionali disponibili, quello meglio adattabile al comportamento dei materiali terrosi, a questo scopo, è la teoria della viscoplasticità. 3.3.2.1 – LA VISCOPLASTICITA’ Il terreno all’interno della piramide in Fig. 3.10 segue percorsi di sforzi / deformazioni definiti e reversibili, ovvero si comporta in modo elastico. All’esterno della piramide, le funzioni matematiche che esprimono il suo funzionamento devono necessariamente essere differenti. La Teoria della Viscoplasticità ammette che una certa coerenza persista comunque nel comportamento di insieme. Variando gli opportuni parametri di calcolo, si ammette in sostanza che anche all’esterno della Funzione di Snervamento, per certi istanti opportunamente definiti, il materiale sia in grado di resistere a sollecitazioni esterne. L’analisi numerica viene condotta a livello dei 4 Punti di Gauss di ogni singolo Elemento. Valgono le seguenti definizioni: 1 – si dà una ben definita Funzione di Plasticizzazione Q invece della Funzione di Snervamento F, valida all’esterno del campo elastico 2 – si considera una cadenza di deformazione visco-plastica εvp = F ∂Q / ∂σ che caratterizza il comportamento del materiale al di fuori del campo elastico 3 – si stabiliscono gli intervalli di tempo per i quali il terreno continua a resistere al di fuori del campo elastico ∆t = 4 (1+ν)(1-2ν) / [E(1-2ν+sen2φ)]. Tali intervalli sono definiti in modo da garantire la stabilità numerica del problema 4 – si moltiplica la cadenza per l’intervallo di tempo, ricavando una deformazione viscoplastica che va a sommarsi a quella precedentemente accumulata del terreno.

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3.4 – IL COLLASSO DEL PENDIO. Attraverso la viscoplasticità si accumulano deformazioni e successivamente Sollecitazioni Fisiche (“body-loads”) che si sommano a quelle precedentemente calcolate. Queste Sollecitazioni Fisiche, calcolate per i Punti di Gauss, vengono subito ripartite ai nodi dell’Elemento. Valutando in sequenza tutti gli Elementi Finiti, ciascuno con i propri Punti di Gauss, ai Nodi del Sistema Risolvente si accumulano deformazioni in aggiunta a quelle elastiche inizialmente calcolate. Ogni Elemento che plasticizza produce in sovrapposizione delle deformazioni plastiche che vanno a sommarsi ai suoi nodi. Gli Elementi confinanti, attraverso gli stessi nodi, ricevono delle deformazioni che a volte sono compatibili con il comportamento elastico, a volte invece generano nuove plasticizzazioni. Il calcolo iterativo (iterazione di Primo Livello) fa in modo che tutte le deformazioni che nascono nel modello FEM vengano riassorbite in continuazione dagli Elementi contigui. Se questo si verifica, allora il pendio viene considerato complessivamente in equilibrio, nonostante le plasticizzazioni locali. Se invece la generazione di deformazioni plastiche e relative Sollecitazioni Fisiche innesca un meccanismo che non mostra termine, ovvero gli altri Elementi non sono in grado di riassorbire le deformazioni viscoplastiche, il pendio si considera instabile a causa del collasso di un numero sufficientemente largo di Elementi. Dal punto di vista numerico, l’algoritmo iterativo (di Primo Livello) prevede quanto segue:

- preparazione e risoluzione iniziale del Sistema Risolvente utilizzando la Matrice Elastica delle Rigidezze

- ispezione di tutti i Punti di Gauss di tutti gli Elementi Finiti. Se esistono Punti di Gauss plasticizzati, le deformazioni viscoplastiche che ne derivano vengono redistribuite ai Nodi di bordo di ciascun Elemento

- esecuzione di iterazioni successive (ovvero modifica del Sistema Risolvente con nuova risoluzione completa) per un numero sufficiente di volte. La modifica consiste nella redistribuzione degli incrementi viscoplastici. Il numero di iterazioni viene giudicato congruo se: - dopo un certo numero di risoluzioni complete il sistema converge, ovvero il collasso di Elementi Finiti viene riequilibrato da un insieme sufficiente di Elementi non collassati - il numero di risoluzioni supera un limite arbitrario abbastanza grande di ripetizioni (p. es. 250 o 500 interazioni) senza che le plasticizzazioni abbiano termine.

La generazione complessiva delle Sollecitazioni Fisiche è in ogni caso autoequilibrata, cioè non va globalmente a variare il campo di sollecitazioni esterne (forze peso) applicate al sistema FEM. In Fig. 3.12 è mostrato il diagramma a blocchi del sistema di iterazioni di Primo Livello, utile a verificare la convergenza del Sistema Risolvente in campo elasto – plastico.

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3.5 – DETERMINAZIONE DEL FATTORE DI SICUREZZA L’input del problema agli Elementi Finiti è costituito da una serie di dati geometrici (il profilo del pendio) e relativi alle proprietà dei materiali (parametrizzazione geotecnica). Vincoli esterni e idrologia del pendio si possono pensare come particolari dati assegnati attraverso questi due gruppi principali. Una prima analisi avviene normalmente introducendo nel modello matematico i dati fisici propri del problema e riscontrabili in campo (parametri “nominali”). Nel caso in cui i risultati delle iterazioni di Primo Livello non restituiscano una condizione di collasso, si pone il problema di definire il grado di sicurezza reale del pendio. Il metodo di ricerca del Fattore di Sicurezza consiste nel “diminuire” i parametri di resistenza a taglio, coesione e angolo di attrito, in ragione di un certo fattore arbitrario, e ripetere tutti i calcoli già svolti nelle condizioni “nominali”. Se di nuovo le iterazioni di Primo Livello non determinano il collasso del pendio, si aumenta il fattore riduttivo dei parametri di taglio (in definitiva li si diminuisce di valore) per la prossima soluzione iterativa. I parametri di resistenza al taglio coinvolti nelle determinazione di Fs sono la coesione C e la tangente dell’angolo di attrito interno tg φ.Il processo viene ripetuto aumentando Fs finché il sistema numerico risolvente smette di convergere. In questo caso, il valore di Fs più ravvicinato che restituisce il pendio stabile, viene assunto come Fattore di Sicurezza di Calcolo. Tipicamente si assume una prima iterazione di Secondo Livello con valori del Coefficiente di sicurezza Fs = 1, 2, 3 … Una volta determinato il range opportuno di verifica, si affina il calcolo. Dapprima si pone p. es. Fs = 2.1, 2.2, 2.3, ….., quindi Fs = 2.30, 2.31, 2.32,…., ecc., fino a raggiungere il grado di precisione desiderato. Il meccanismo delle iterazioni di Secondo Livello è mostrato in Fig. 3.13.

3.6 – METODO FEM E CONDIZIONI DRENATE E NON DRENATE. SISMA SUL PENDIO Le calcolazioni F.E.M. riguardano la geometria e la geotecnica di un certo pendio sottoposto ad un certo campo di sollecitazioni applicato alla massa stessa del terreno. Ogni eventuale condizione aggiuntiva di calcolo non modifica gli algoritmi generali. In condizioni drenate, non drenate o in presenza di sisma, si dovrà comunque assemblare il sistema 3.1) da invertire tramite la 3.2), analizzare se si verificano fenomeni di plasticizzazione e ridistribuire eventuali sovrasollecitazioni tra elementi collassati ed altri non collassati al contorno, ecc.. In input, si tiene conto della saturazione di alcune porzioni del pendio semplicemente differenziando vari “livelli” di terreno distinti. Le condizioni di falda e l’idrologia in generale del pendio verranno via via schematizzati considerando i pesi di volume in termini di sforzi totali o efficaci, come richiesto dal tipo di

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problema, utilizzando sempre gli stessi tipi di algoritmi, semplicemente adattati alle condizioni fisiche (utilizzo dei pesi di volume totali oppure efficaci per il calcolo di P[] nella 3.1) e/o della Funzione di Snervamento). Nessun particolare problema computazionale nasce se il pendio è completamente emerso, in quanto il peso di volume del materiale non varia. Il sisma viene invece modellato nel calcolo FEM semplicente aggiungendo alle forze esterne P[] nella 3.1) un ulteriore contributo di forze di massa. La soluzione analitica matriciale presentata non varia. Le forze sismiche avranno direzione prestabilita (generalmente orizzontale e talora verticale) ed intensità proporzionale al peso di volume dell’elemento in termini di sforzi totali e all’accelerazione simica valutata per il sito.

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