Ampio raggio - Esperienze d'arte e di politica n. 3

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Ampio Raggio in an independent cultural magazine published by Laminarie theatre company based in Bologna, Italy www.laminarie.it www.lacupola.bo.it

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Ampio raggio

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Ampio raggioEsperienze d’arte

e di politica numero 3

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Ampio raggioEsperienze d’arte e di politicaNumero tre | Novembre 2011 Laminarie editrice ISSN 2037-3147 Direzione Bruna GambarelliCura Federica Rocchi Hanno collaborato Marta Casarini, Marco Dalpane, Nicola Ferrari, Giuliano Guatta, Maria Montanari, Gina Tassinari. I frammenti sono stati scritti da Simona Bertozzi, Marta Casarini, Marco Dalpane, Gabriele Dallabarba, Marco Di Giovanni, Federica Iacobelli, Antonello Marra, Mario Martignoni, Roberto Vallicelli [ominostanco], artisti che hanno partecipato con i loro laboratori a Onfalos - infanzia al centro, con la cura e il coordinamento di Febo Del Zozzo. Un ringraziamento a Joe Hisaishi e Kayo Chiba, Wonder City inc., Raffaele Zacchiroli, Giancarlo Gaeta, L’Autore Libri Firenze, Matteo CasariTraduzioni in inglese Gabriele Ferri Traduzione in giapponese Natsuko Sawaya Traduzione dal giapponese Chiara ComastriProgetto Grafico Alex WesteFotografie Pag. 54, 64 e 86: Gabriele Ferri; pag. 72: Laura Barbieri; pag. 78: Gabriele Orlandi. Le fotografie di questo numero sono state realizzate in occasione di “Onfalos – infanzia al centro”, giugno – luglio 2011. Tutti i diritti sono di proprietà di Laminarie. Disegni Giuliano Guatta

Questo numero è stato chiuso il 11 novembre 2011 © Laminarie Associazione Culturale 2011

Associazione Culturale LaminarieCorte de’ Galluzzi 11, 40124 Bologna www.laminarie.it

DOM la cupola del Pilastrovia Panzini 1, 40127 Bolognawww.lacupola.bo.it

AbbonamentiÈ possibile sottoscrivere l’abbonamento a tre numeri della rivista al costo di 20 Euro. Per informazioni e sottoscrizioni: [email protected] | T 051.6242160 La redazione accetta collaborazioni esterne. I dattiloscritti vanno inviati all’indirizzo: Associazione Culturale Laminarie Corte de’ Galluzzi 11, 40124 Bologna, o a [email protected] autori degli articoli accettati saranno contattati dalla redazione.

DOM la cupola del Pilastro

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indice

Infanzia al centro p. 08 Bruna Gambarelli

Solo per parole p. 11 Laminarie

Autoreverse Cronaca di Onfalos p. 16 Marta Casarini

Rilevamento dal vero p. 21 Giuliano Guatta

But what about the noise of crumpling paper Appunti per un lavoro su John Cage con i bambini p. 46 Marco Dalpane

((( Conversazione Scrivere i suoni p. 56 Intervista a Joe Hisaishi

((( Incontri 99 anni p. 66 testimonianza di Gina Tassinari

((( Il racconto Annusetta e Codino p. 74 Maria Montanari

((( La recensione Il ragazzo con la bicicletta p. 80 Nicola Ferrari

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Infanzia al centro• Bruna Gambarelli

Nel quarto numero di Ampio Raggio met-tiamo l’infanzia al centro.Questa rivista, che accompagna le at-tività che si svolgono a DOM, raccoglie

in questa occasione pensieri, disegni e fotografie relative alla seconda edizione della rassegna Onfalos – esperienze con le arti contemporanee per i bambini e i ragazzi, che si è tenuta a giugno/luglio 2011. La rassegna viene raccontata dall’interno: una cronista, Marta Casarini, e un disegnatore reporter, Giuliano Guat-ta, hanno seguito gli artisti e i bambini da vicino. I disegni raccolti in questo numero sono il risultato dell’inedito reportage tracciato a biro. Per le rubriche che compongono la rivista, abbiamo

cercato esperienze significative sulle relazioni tra arte e infanzia:• Un musicista di fama mondiale, Joe Hisaishi,

racconta a Laminarie il processo compositivo delle colonne sonore per le animazioni di Hayao Miyazaki e Takeshi Kitano. Una ricerca musicale di grande valore che si rivolge in modo particolare ai bambini.

• Gli aspetti pedagogici dell’opera rivoluzionaria di John Cage ci vengono illustrati dal musicista Mar-co Dalpane.

• Un racconto per i bambini, Annusetta e Codino, porta il lettore nel mondo animale grazie alla scrittrice Maria Montanari, ex allevatrice di ma-iali.

• Un’anziana signora testimonia della collabora-zione tra i cittadini per la costruzione dei servizi scolastici nel Pilastro degli anni Settanta.

• La recensione del film Il Ragazzo con la bicicletta dei Fratelli Dardenne è curata da Nicola Ferrari, cine-filo ed educatore che lavora a stretto contatto con ragazzi che vivono le stesse problematiche del pro-tagonista della pellicola.

• •

Childhood on the centre spot• Laminarie

In the fourth number of Ampio Raggio, we decided to put childhood on the centre spot. This magazine collects for the occasion some thoughts, reflections, drawings and pictures about the second edition of festival ONFALOS – experiences with contemporary arts for

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children and teenagers, that took place in june/july 2011. The festival is told by inner voices: a reporter, Marta Casarini, and a sketch reporter, Giuliano Guatta, followed closely children and artists. The drawings collected in this issue show the results of such a new reportage marked out by pen. For what concerns the rest of magazine’s usual surveys, we looked out for significative experiences about the relationship between arts and children:• A world-famous musician, Joe Hisaishi, tells us about the

compositive process of the soundtracks made for Hayao Miyazaki’s and Takeshi Kitano’s movies. A great musical research dedicated in particular to children.

• The pedagogical aspects of John Cage’s revolutionary work are illustrated by musician Marco Dalpane.

• A tale for children, Annusetta e Codino, brings the reader into the animal’s world thanks to writer Maria Montanari, a former pig breeder.

• An old woman brings us a witness about the strong collaboration among citizens for the creation of school system in Pilastro’s area in the Seventies.

• The critique of movie The Kid With A Bike by Dardenne Brothers is presented by Nicola Ferrari, a cinephile and a professional educator who works in contact with kids with difficulties similar to the ones experienced by the movie’s protagonist.

Solo per parole• Laminarie

Onfalos Infanzia al centro:

chiamare i bambini per riunirsi intorno a un oggetto. Questo oggetto è l’opera che ogni artista porta con sé.

avere fiducia nella capacità dell’opera di parlare senza la necessità di essere spiegata.

chiamare gli artisti ad una relazione diretta con i bambini. Questi artisti non necessariamente si occupano o si sono occupati d’infanzia.

guardare gli spettacoli da vicino.

ORA!

stare nello stesso spazio: dentro, fuori, in teatro, in giardino, a scuola, in palestra.

condividere un tempo non rigidamente controllato.

spazio pubblico, un’opera di 70 metri che collega il teatro, le scuole, la falegnameria, il parco.

teatro, danza, musica (pianoforte – percussioni – musica elettronica), cinema, scienza, gioco, scacchi, tecnica, letteratura, arte visiva.

essere qui per bellezza.

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onfαloςINFANZIA AL CENTRO

Ω ∆ π Ψ ϕ Λ progetto Un artista per il Pilastro

Through words only • Laminarie

Onfalos infanzia al centro:

to call the children to gather around an object. Such an object is the work that every artist carries with him.

to trust a work’s ability to speak for itself with no need of an explanation.

to invite artists to establish a direct relation with children. Such artists do not necessarily deal, or have dealt, with childhood.

to watch shows very closely.

NOW!

to be in the same place: inside, outside, in the theatre, in the garden, in the school, in the gym.

to share a time that is not strictly controlled.

public space, a 70-meters long work of art, connecting theatre, schools, woodworker’s workshop, park.

Theatre, dance, music (piano – drums – electronic music), cinema, science, play, chess, technique, literature, visual arts

to be here for the beauty itself.

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LAMINARIE

giov 23 giugno> dalle ore 20 DOM la cupola del Pilastro INAUGURAZIONE dalle 20 installazioneTraffi co a colori di Marco Di Giovanni [arte pubblica] dalle 20.30 Osservazione del cielo stellato nel planetario e con il telescopio a cura di Sofosore 21 Bologna Cello Project in concerto

ven 24 giugno > ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Parole appena nate, laboratorio di scrittura creativa a cura di Gabriele Dalla Barba [per bambini e ragazzi 8 - 12 anni]> ore 19.30 Giardino delle Scuole Medie Saffi , via Panzini 1/3 Alphasud in concerto

sab 25 giugno> ore 18 - 20 DOM la cupola del Pilastro Musica che ride, laboratorio di musica per il cinema a cura di Marco Dalpane [per bambini e ragazzi 7 - 14 anni]> ore 21 sul Teatrobus, via Panzini 1 Il cinema di Buster Keaton musicato dal vivo da Marco Dalpane

dom 26 giugno> ore 21 sul Teatrobus, via Panzini 1Tre scrittrici e tre racconti (da leggere in autobus e sotto gli alberi)con Marta Casarini, Federica Iacobelli, Maria Montanari musiche Trio Leuterius

lun 27 giugno> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Strani gesti strani, laboratorio di danza a cura di Febo Del Zozzo,con Simona Bertozzi e Antonello Marra [per bambini e ragazzi 9 - 15 anni]

Δ

π

Ω

mar 28 giugno > ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Drummatica, laboratorio di percussioni per il cinema d’animazione a cura di Mario Martignoni [per bambini 5 - 10 anni]> ore 19.30 lezione in falegnameria

merc 29 giugno> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Le stelle siamo noi, laboratorio di arte visiva a cura di Marco Di Giovanni [per bambini 7 - 10 anni]> ore 19.30 lezione sugli insetti

gio 30 giugno> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Coreografi a Infi nita, laboratorio di teatro a cura di Laminarie [per bambini 5 - 11 anni]> ore 19.30 lezione di scacchi in giardino

ven 1 luglio> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Voce su voce, laboratorio di musica elettronica a cura di Omino Stanco [per ragazzi 11 - 15 anni]> ore 19.30 Giardino delle Scuole Medie Saffi , via Panzini 1/3 DJessa Bea in concerto

sab 2 luglio> ore 21 DOM la cupola del Pilastro [prenotazione obbligatoria]Laminarie ORA! prima nazionale - spettacolo itinerante tra gli spazi pubblici di via Panzini,con la partecipazione degli artisti che hanno presentato i loro laboratori

dom 3 luglio> ore 18.30 DOM la cupola del PilastroAltre pratiche: esperienze di ricerca dedicate all’infanzia, tra Italia ed Europa. Incontro pubblico> ore 21 DOM la cupola del Pilastro [prenotazione obbligatoria]Laminarie ORA! spettacolo itinerante tra gli spazi pubblici di via Panzini, con la partecipazione degli artisti che hanno presentato i loro laboratori

Ψ

ϕ

Λ

tutte le sere > bar ambulante e musica nel giardino di DOM

esperienze con le arti contemporanee per i bambini e i ragazzi

onfαloςINFANZIA AL CENTRO

LAMINARIE

giov 23 giugno> dalle ore 20 DOM la cupola del Pilastro INAUGURAZIONE dalle 20 installazioneTraffi co a colori di Marco Di Giovanni [arte pubblica] dalle 20.30 Osservazione del cielo stellato nel planetario e con il telescopio a cura di Sofosore 21 Bologna Cello Project in concerto

ven 24 giugno > ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Parole appena nate, laboratorio di scrittura creativa a cura di Gabriele Dalla Barba [per bambini e ragazzi 8 - 12 anni]> ore 19.30 Giardino delle Scuole Medie Saffi , via Panzini 1/3 Alphasud in concerto

sab 25 giugno> ore 18 - 20 DOM la cupola del Pilastro Musica che ride, laboratorio di musica per il cinema a cura di Marco Dalpane [per bambini e ragazzi 7 - 14 anni]> ore 21 sul Teatrobus, via Panzini 1 Il cinema di Buster Keaton musicato dal vivo da Marco Dalpane

dom 26 giugno> ore 21 sul Teatrobus, via Panzini 1Tre scrittrici e tre racconti (da leggere in autobus e sotto gli alberi)con Marta Casarini, Federica Iacobelli, Maria Montanari musiche Trio Leuterius

lun 27 giugno> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Strani gesti strani, laboratorio di danza a cura di Febo Del Zozzo,con Simona Bertozzi e Antonello Marra [per bambini e ragazzi 9 - 15 anni]

Δ

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mar 28 giugno > ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Drummatica, laboratorio di percussioni per il cinema d’animazione a cura di Mario Martignoni [per bambini 5 - 10 anni]> ore 19.30 lezione in falegnameria

merc 29 giugno> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Le stelle siamo noi, laboratorio di arte visiva a cura di Marco Di Giovanni [per bambini 7 - 10 anni]> ore 19.30 lezione sugli insetti

gio 30 giugno> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Coreografi a Infi nita, laboratorio di teatro a cura di Laminarie [per bambini 5 - 11 anni]> ore 19.30 lezione di scacchi in giardino

ven 1 luglio> ore 17 - 19 DOM la cupola del Pilastro Voce su voce, laboratorio di musica elettronica a cura di Omino Stanco [per ragazzi 11 - 15 anni]> ore 19.30 Giardino delle Scuole Medie Saffi , via Panzini 1/3 DJessa Bea in concerto

sab 2 luglio> ore 21 DOM la cupola del Pilastro [prenotazione obbligatoria]Laminarie ORA! prima nazionale - spettacolo itinerante tra gli spazi pubblici di via Panzini,con la partecipazione degli artisti che hanno presentato i loro laboratori

dom 3 luglio> ore 18.30 DOM la cupola del PilastroAltre pratiche: esperienze di ricerca dedicate all’infanzia, tra Italia ed Europa. Incontro pubblico> ore 21 DOM la cupola del Pilastro [prenotazione obbligatoria]Laminarie ORA! spettacolo itinerante tra gli spazi pubblici di via Panzini, con la partecipazione degli artisti che hanno presentato i loro laboratori

Ψ

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tutte le sere > bar ambulante e musica nel giardino di DOM

esperienze con le arti contemporanee per i bambini e i ragazzi

onfαloςINFANZIA AL CENTRO

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Autoreverse cronaca di Onfalos• Marta Casarini

Quando a undici anni scappavo di casa prendevo il 93 che passava ogni mezz’o-ra, e mentre lo aspettavo stavo seduta sui gradini di un vecchio palazzo dove

abitava un dentista che di cognome si chiamava Tirafortis.

Ascoltavo le cassette nel walkman attaccato alla cintura che mi teneva su le braghe, sempre le stes-se, facendo largo uso del pulsante autoreverse, perché la cassetta durava solo un’ora, mentre il mio viag-gio molto di più.

Il mio viaggio era lungo e lontano, perché scap-pavo anche dalla scuola, e chissà se sarei mai torna-ta visto che l’autobus era lento e la mia mèta folle e sconosciuta.

Decidevo di scappare sempre al Pilastro.Accucciata nei sedili in fondo, le ginocchia in-

castrate sotto il mento, attraversavo tutta la città contando le strade, le macchine e le case e immagi-nandomi le vite dentro, guardando le persone che salivano chiuse nei cappotti e nelle giacche a vento. Mi piaceva scappare d’inverno quando i passeggeri sapevano di cenere e catarro, tutti con gli occhi co-perti dal cappello; e poi mi piaceva scappare in esta-te quando alzavo il naso verso il finestrino aperto.

Il Pilastro era lontano e nel frattempo potevo fare tutto quello che volevo.

Scrivevo su un quadernino con un pennarello nero, muovevo le braccia a tempo, non avevo pau-ra di niente perché al Pilastro non esisteva la mia prima media, la prof. di italiano che mi odiava, le prese in giro per i miei vestiti larghi e le mie braghe bucate tra le cosce. Al Pilastro c’erano i palazzi alti tutti attaccati come denti nelle bocche giovani, ci abitavano dentisti e avvocati, e bambini che scap-pavano ogni giorno da quelle porte con diecimila campanelli, e io li vedevo tutti dondolando la testa al ritmo del bus e delle stesse canzoni in autoreverse.

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Quello che non vedevo, da sopra il 93, erano i parchi, e la piccola collina sulla quale mi sono sedu-ta qualche mese fa.

Mi stavo preparando per lo spettacolo finale di Onfalos, al Dom, che quando avevo undici anni an-cora non c’era, e avevo una gonna rossa, una ma-glietta rossa con su scritto ORA!, e avevo da inven-tare un testo su cosa volesse dire essere bambini e suonare, avere a che fare un po’ con gli scrittori, gli autori, le immagini e i suoni, gli scacchi, i matti.

Ci ho messo un po’. Per la prima volta, il Pilastro lo vedevo da sotto in su, senza ruote di mezzo, lo ve-devo da seduta per terra e mi è sembrato bello, spor-candomi la gonna di foglie qualcosa ho inventato, e i posti dove si riesce a inventare qualcosa hanno sempre un fascino reale, a ben guardare, una ruga, un’increspatura sulla superficie che è la presenza di un continuo movimento.

Ho letto ai bambini su un autobus, sui sedili non in fondo, ma in mezzo.

A un certo punto mi è venuto da tossire così forte che mi stavo strozzando, e per bere mi sono alzata e ho fatto vedere i vestiti larghi che avevo addosso, ma nessuno mi ha presa in giro.

Poi ho parlato in un megafono. Ho detto quello che avevo inventato, e poi ho im-

maginato che ero di nuovo piccola e che il Pilastro era casa mia, e che potevo tornare al Dom e alla col-lina del prato tutte le volte che volevo per pestare i piedi in una palestra che rimbomba benissimo e in-contrare gli altri e rotolarmi per terra, senza dover per forza scappare lontano.

Poi ho pensato che Onfalos vuol dire ombelico, e io sugli ombelichi avrei milioni di cose da dire, per esempio che mi ricordo quando mia sorella piccola ce l’aveva al vento appena nata e mia madre le ha scucito il cordone sul tavolo di legno della cucina, e adesso il mio è incorniciato da una cicatrice rossa e un po’ in rilievo, ed è schiacciato tipo passeggero rimasto in mezzo alle porte dell’autobus.

Queste cose sono successe, da quando scappavo; è successo che i luoghi, i pensieri, i movimenti, il mio ombelico sono cambiati.

Poi, anzi prima, Onfalos lo abbiamo presenta-to, e alla conferenza stampa c’erano Bruna, Febo e Federica, l’assessore alla cultura e i giornalisti, e poi c’era anche la preside del Pilastro che si chiama Maria, che quando avevo undici anni era la preside della mia scuola, che sapeva che scappavo, e sapeva anche il perché.

Non mi ha riconosciuta.Un po’ mi è dispiaciuto, avrei voluto salutarla e

dirle che ero felice di scappare lontano. Che sono contenta che adesso stia al Pilastro e sia riuscita a scappare lei al posto mio, e che spero che abbia un bell’ombelico, non martoriato come quello che mi porto addosso io.

Però questo magari non lo scrivo, perché penso che anche questo lo sappia già. • •

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Marta Casarini ha 27 anni e fa: il pane, i capricci, la bibliotecaria solo per quest’anno, la lettrice

di fiabe per bambini e la scrittrice. Ha pubblicato per la Voras edizioni il romanzo “Nina Nihil giù per terra” e vari racconti in

diverse antologie, l’ultima delle quali “Attraverso passaggi” (Malicuvata).

Piange, ama. Non si stanca facilmente.

Autoreverse A chronicle of Onfalos• Marta Casarini

I was getting ready for Onfalos’ final show at the DOM theatre, which was not there yet when I was eleven years old, and I wore a red skirt, a red t-shirt with NOW! written on it and I had to invent a text about what it means to be kids and to play, and to work a little with writers, authors, images and sounds, chess and fools. It took me a while. For the first time, I saw Pilastro from the bottom up, without any wheels in between, I saw it while sitting on the floor and it was beautiful to me. While my skirt got dirty with leaves, I managed to invent something, and places where you can invent something always had a real charm on me, like a wrinkle, a gathering on the surface showing the presence of an unceasing movement.

Rilevamento del vero• Giuliano Guatta

Alcune riflessioni sulla serie di disegni, da me realizzati in qualità di disegnatore repor-ter, durante alcuni laboratori in occasione di Onfalos – Infanzia al centro, 2011.

I disegnatori reporter “venivano inviati dal giornale a schizzare immagini di vario genere, le quali erano poi spedite in redazione. Qui un artigiano copiava i disegni su blocchi di legno perfettamente lisciati, che venivano incisi fino a diventare una sorta di timbro, inseriti tra le colonne di testo e stampati.” (Il dizionario dell’ uomo che raccontava storie, a cura di Al-fredo Castelli, sergiobonellieditore.it).

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stacolo, lanciato ad oltrepassarlo, la mano scavalca il bordo della pagina per ricadere sulla successiva.

Nella copia dal vero il fine è quello di indagare e tradurre verosimilmente ciò che si vede; in que-sta pratica, che io definisco rilevamento del vero, più vicina alla sismografia, il fine è quello di registrare gli impulsi che noi riceviamo dall’osservazione del reale: il cervello elaborando ciò che l’occhio vede, manda impulsi alla mano che muovendosi li resti-tuisce attraverso il segno, nella traccia, creando una continua relazione tra cosa osservata e disegno.

Questo lavoro, per l’attenzione all’aspetto fi-siologico con cui viene affrontato, si inserisce pro-grammaticamente in Ginnica del segno, (sviluppo di MRPLS Movimento di Ricerca e Pratiche di Liberazione del Segno, personale momento di ridefinizione e rigene-razione del senso del segno e del disegno), forma di lavoro che si connota sempre più come disciplina.• •

Giuliano Guatta è artista visivo. Oltre all’attività espositiva, nel 2008 ha dato vita ad un progetto, MRPLS Movimento di Ricerca

e Pratiche di Liberazione del Segno, che si attua attraverso laboratori, azioni e mostre che mirano a stimolare, sviluppare

e promuovere la natura espressiva del segno, attraverso la gestualità, la memoria e l’osservazione.

Mi aggiro in prossimità di questa tradizione, con circospezione, (questa è gente dalla mano fe-lice…) per non farmi troppo notare, e mi acquatto nella penombra come un predatore, perché è una preda quella che inseguo, con gli occhi e con il segno. Sento un impulso ad acchiappare ciò che si muove, a bloccarlo, come un passero, come un leprotto tra le mani.

Chi si muove non mi vede, e se mi vede, non vede ciò che faccio.

Freneticamente cerco di registrare nel segno gli impulsi visivi che ricevo, osservando il movimento dei corpi, aderendovi in proporzione, miniaturiz-zandolo, concentrandolo nello spazio che intercor-re tra il mio sguardo e l’espulsione del segno sul foglio, con tutto ciò che ci sta in mezzo.

Il movimento che seguo con lo sguardo, viene tradotto in traccia, trasferendosi proporzional-mente nelle torsioni, nelle leve, e nella miriade di varianti di movimento dell’articolazione del polso, che guida la mano, che impugna la biro, che se-gna la superficie.

Se il mio segno raggiunge il movimento, si muove con lui, diventa parte di esso, partecipa dei suoi spostamenti, ritmi e pause.

Cerco di non guardare ciò che disegno per non perdere l’attenzione su ciò che accade; solo in al-cuni momenti, attratto da un gesto, da una postu-ra, confronto il disegno con ciò che vedo, come a prendere distanza, riprendere fiato.

È una corsa ad ostacoli: il passaggio da una pa-gina all’altra è un salto, un corpo sospeso sopra l’o-

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Live survey• Giuliano Guatta

Some reflections on a series of drawings that I have made as a sketch reporter for some workshops during Laminarie’s festival “Onfalos – Infanzia al centro 2011”.

Sketch reporters “were sent by the newspaper to draw various images that were sent to the editorial office”. I wander around this tradition, carefully, and I hide in the shadows like some predator. I feel the urge to catch what is moving, to stop it, like a sparrow, like a rabbit in my hands.

The movement I am following with my eyes is translated into a trace, being transferred proportionally in the torsions of the wrist joint guiding the hand, marking the surface. If my sign reaches the movement, it moves with it, becomes part of it, shares his travels, rhythms, pauses.

When doing a live copy, the aim is to investigate and truthfully translate what you see; in this practice, that I define “live survey”, closer to seismography, the aim is to record the impulses that we receive observing the reality: the brain, processing what the eye sees, sends impulses to the hand that, moving, gives them back through the sign, creating a continuous relation between the observed thing and the drawing.

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MARIA MONTANARI:In mezzo all’oceano c’era un’isoletta. Le onde del mare a forza di infrangersi sulle coste giorno dopo giorno sembrava volessero rimpicciolirla sempre più.Non ci vivevano animali da grandi dimensioni, ma era frequentata da qualche uccello migratorio che sostava qualche giorno per riposare, topi di campagna e qualche serpentello che si nascondeva qua e la nella fitta macchia e che, in assenza di estranei prendeva volentieri il sole in qualche scoglio. Gli animali più numerosi erano però le formiche.Al serpente che si chiamava Fruscio le formiche davano fastidio, qualcuna osava passare sul suo corpo. La corsa era più liscia e priva di ostacoli. Lui sentiva un solletico insopportabile.

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SIMONA BERTOZZI:Corpicini, vertebrine, ossicini.L’azione dei corpi si informa di esile, tumultuosa, fragile e cavalcante animalità.

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OMINOSTANCO:Nutrire la mia curiosità, prendere al volo la possibilità di giocare con le intuizioni di chi ancora non sa.

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MARIO MARTIGNONI:(canzone rap composta da Samuele De Vincenzo per un laboratorio di percussioni)Io, Big Smoke, che scrivo questa canzone mi auguro un domani possa servire da lezioneper noi, che ci viviamo tutti i giorni,che possiamo fare?Portare la nostra ricchezza come fosse l’unica arma di bellezza.Noi ne abbiamo di cose da direPensieri da far fiorirePerché questo posto sia diversoProprio come l’universo

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GABRIELE DALLABARBA:Senti come alcuni giorni vivere è proiettarsi in un senso, e altre notti, invece, la mia vita ed io siamo due cose diverse? Parlo al bambino frenetico, ambulante fra giochi e simboli e teorie dell’amore gli spiego il mondo che m’è venuto. Lo scrivo su miliardi di post-it appiccicati alla parete.

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FEDERICA IACOBELLI:Ho imparato che una storia, qualunque storia, non s’inventa mai tutti soli. Una storia si fa in due, come l’amore, e non importa che chi scrive sia uno. Ci siamo io e l’altro, va così: l’altro che sta serio mentre io gioco e ride o sorride se vede che piango, a volte da dentro, a volte fuori, un giorno il seme e uno la terra. L’ho imparato una sera di giugno, tra la cupola e i prati, io seduta in basso nell’erba e l’altro su, tra i rami di un albero.

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MARCO DALPANE:Ci sono molti modi per far ridere (e per far paura) con la musica.Possiamo provare a giocare un po’ con i suoni e scopriremo che non è così difficile.Prima prendiamo un film, lo guardiamo e ne parliamo un po’ insieme.Poi cominciamo a inventare delle musiche. Inventare dei modi di suonare.Alla fine facciamo ripartire il film e noi suoniamo insieme.

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ANTONELLO MARRA:esperienza segno confronto insieme breve input danza unito passione comunque ballerini limitare forzare cercare esprimere idea tempo giocare corpi durante percorso uscita seguito noi impatto lasciare qualcosa continuare approfondire credo ricordo comporre.

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MARCO DI GIOVANNI:A Caracas la natura era troppo florida e colorata per essere vera: dalle grandi foglie smeraldo in plastica morbida ai grossi pappagalli saturi di colore. Nel traffico bestiale erano invece le auto a sembrare animali: vecchi macchinoni rugginosi e ridipinti che procedevano sgangherati, storti e puzzolenti.Da questo corto circuito nasce l’idea di un grande telone in pvc con vecchie auto su colori saturi. Diventa Traffico a colori in un luogo come il Pilastro, dove l’incontro tra un’umanità prorompente e una forte urbanizzazione richiama nuovamente il corto circuito tra natura e artificio.

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MARTA CASARINI:Per prima cosa c’è un ombelico, quindi per prima cosa c’è da riempire un buco, un tubo, che fa un rumore di gufo, per prima cosa ci soffio dentro ci entra il vento ed esce un gioco strano, esce il movimento, per prima cosa c’è un nome da dire sottovoce di un attore che è un capitombolo, per prima cosa sulle stelle mi dondolo, e dopo lo ripeto, che è bello, che ci sono gli insetti e gli scacchi in fila che di lato ballano, per prima cosa sono ancora al centro e sono contento, di aprire delle finestre d’inciampare sulle lampadine che illuminano delle storie, di un signore che sale sull’albero, e un’altra su un autobus e con la voce ci gioco e con le parole dipingo, con i nomi invento un altro cielo e per prima cosa c’è un filo che tiene appeso tutto, il suono, tutti i tasti e i pazzi, tutto quello che viene per primo per ora per adesso!Per prima cosa, ancora, qualcosa che viene da lontano ed è qui lo stesso, per prima e ultima e unica tutto quello che suona, che cade, che ride, tutto quello che vive e che diventa ORA!

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But what about the noise of crumpling paperAppunti per un lavoro su John Cage con i bambini • Marco Dalpane

L’educazione musicale convenzionale è qualcosa che può solamente fare infuriare chiunque sia in qualche modo interessato alla vita. Indipendentemente da quale

aspetto si prenda in considerazione, può essere sicuro che si sentirà quasi immediatamente fu-rioso. Trovo assolutamente ridicola l’idea che un

bambino possa essere messo davanti a un pianofor-te e costretto a leggere una notazione che è né più né meno l’equivalente del greco antico o del latino. A meno che non abbia un amore incredibile per la musica, imparerà ben presto addirittura a odiarla. La prima cosa che accade è che, mentre i suoi occhi sono impegnati, le sue orecchie saranno ermetica-mente tappate. E così, per quanto riguarda l’educa-zione musicale, suonare non ha assolutamente nul-la a che fare con le orecchie o con l’apprezzamento del suono. Ha a che fare soltanto con la lettura, la lettura di qualcosa di equivalente al greco o al lati-no, perché la notazione non serve più a nulla nella musica del ventesimo secolo. Serve soltanto per la musica dei secoli precedenti. E allora trovo una for-ma di follia sociale che i nostri ragazzi, pur avendo la notevole fortuna di trovarsi nel ventesimo secolo, vengano poi immediatamente educati come se si trovassero nel secolo precedente.” (John Cage)

La natura dell’opera e del pensiero di John Cage stimola interventi e riflessioni provenienti da una molteplicità di soggetti, dai musicisti ai filosofi, dai cineasti ai danzatori, dai letterati agli artisti visivi, dal mondo del teatro a quello della scienza, dalla politica all’economia.

Non - esclusività, pluralità di centri, struttura-zione anti gerarchica, molteplicità, costruzione di futuri alternativi, sperimentazione sociale, modifi-ca di sé, non linearità.

Sono questi i nodi del suo pensiero, sono que-ste le questioni che a venti anni dalla sua morte non hanno perso significato, ma continuano a

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rimbalzare in ogni indagine sul presente, sulla con-dizione umana, sul nostro futuro.

“La cosa decisiva che penso influenzi il mio modo di agire più di ogni altra cosa è l’interesse sociale, e così cerco di non scrivere un pezzo a meno che non abbia una sua utilità in quanto esem-pio di una società.” (JC)

L’eredità di John Cage non si esaurisce in ciò che del suo lavoro viene preso in considerazione dall’e-stetica e dall’analisi musicale, dalla musicologia e dalla teoria delle arti. La sua opera ha implicazioni filosofiche, politiche, religiose, ecologiche, tecno-logiche.

Spesso per il pubblico la sua opera ha rappresen-tato una sfida alla comprensione.

Sconcertante, radicalmente innovativa, è stata spesso considerata erroneamente come il gesto di un provocatore.

Il nostro scopo è ribaltare questo giudizio super-ficiale indicando l’utopia cui sempre è rivolto il suo pensiero.

Che significato può avere la musica di John Cage per la formazione musicale dei bambini e dei ragaz-zi?

La musica contemporanea spesso viene conside-rata materia incomprensibile per chi non ha una formazione specifica, altro modo per dire che essa ha perso significato nell’ambito della cultura uma-nistica per diventare oggetto di speculazione arida e intellettualistica.

La musica non tonale viene spesso considerata “non naturale”, contraria alla comprensione da par-te dell’ascoltatore intrappolata com’è fra maglie

costituite da regole astruse e procedimenti costrut-tivi del tutto indecifrabili all’ascolto. Dal punto di vista psicoacustico comunemente si ritiene che la non codificazione di un linguaggio musicale regola-to da precisi vincoli fra i suoni comporti l’impossi-bilità di decodificare i “segni”, cioè i suoni stessi.

Ora se è vero che spesso gli stessi compositori hanno giustificato con le loro prese di posizione intellettualistiche ed elitarie (e conseguentemente con la loro pratica musicale) questo tipo di conside-razioni, dobbiamo essere disponibili a considerare l’universo dei suoni messo a disposizione dalle nuove tecniche musicali e dallo sviluppo di nuove tecnologie come un’opportunità per esplorare im-pensati effetti cognitivi.

“Il suono è molto di più di ciò che pensa il senso comune. Ha una sua spazialità , spesso comple-tamente inascoltata, ha una sua materialità che all’interno dei rigidi formalismi commerciali non viene valorizzata come tale, poiché nella musica commerciale lo scopo è quello della fruibilità finale, non certo il processo di ascolto che può accompa-gnarla. Ma quale valore emancipativo può avere un ascolto che abbia per oggetto suoni non quotidiani organizzati secondo logiche ed estetiche compositi-ve lontane dalle preoccupazioni commerciali della società capitalista spettacolare? ” (Edoardo Acotto)

“I suoni non sono pezzi del mondo, mentre lo sono le cose”.

Con questa affermazione il filosofo Giovanni Piana apre la strada alla pedagogia musicale contemporanea, dove l’esplorazione del suono,

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attraverso il suo non essere unidimensionalmente “a portata di mano”, offre una formidabile via d’ac-cesso alla realtà.

Tenere anche conto di:But what about the noise of crumpling paper (1985)da 3 a 10 esecutori, anche bambini“In celebrazione del lavoro di Jean Arp in occasione del centenario dalla nascita”Ogni esecutore sceglie 2 (o più) strumenti poco ri-sonanti di materiali differenti suonati in unisono. Altri esecutori utilizzano carta, acqua e altri suoni non identificati. L’esecuzione sarà senza direttore, molto lentamente e ogni esecutore sceglierà la pro-pria pulsazione. Gli esecutori si posizionano tra il pubblico, intorno ad esso o sul palco. Se gli esecu-tori sono sul palco non dovranno stare vicini l’uno all’altro.La partitura contiene simboli che indicano i diversi tipi di suono e l’ordine con cui vanno eseguiti.

Radio Music (1956)La partitura prevede 8 parti che indicano le fre-quenze radio su cui sintonizzare gli apparecchi e le pause.

Musicircus for children (1994)Per un grande numero di bambini che cantano o suonano i loro strumenti contemporaneamente. La prima realizzazione mondiale di Musicircus for children è avvenuta a Torino nel 1994 e ha visto la

partecipazione di più di mille bambini.“Costruendo situazioni musicali che siano analo-ghe a modelli sociali desiderabili che ancora non abbiamo, facciamo musica che possa essere rile-vante per le serie problematiche che l’umanità deve affrontare” (JC).Con il genere detto Musicircus Cage costruisce un modello sperimentale di quella che ritiene una desi-derabile comunità sociale.

Sculptures Musicales (1989)Strumentazione: 4 apparecchiature elettroniche (sintetizzatori, oscillatori, software audio) azionate da altrettanti performers.

Mozart Mix (1991)Strumentazione: 5 registratori a cassette (K7) e 25 cassette ad anello oppure 5 laptop e file audio suo-nabili via software.Il materiale musicale proviene da opere di W.A.Mozart e viene utilizzato in modi stabiliti da operazioni casuali. Gli esecutori azionano i coman-di di stop e play dei registratori o dei pannelli di controllo del software attivando o interrompendo l’esecuzione del materiale musicale.

Rocks (1986)Per un qualsiasi numero di: radio, televisioni, play-backs, registratori a cassette, da soli o insieme a macchine che producono suoni relativamente fissi (es: aspirapolveri, rasoi elettrici, asciuga capelli, frullatori, campanelli, suonerie, sirene…).

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33-1/3Strumentazione: 8-12 giradischi, amplificatori, mixer e impianto P.A., almeno 300 dischi in vinile 33-1/3 scelti casualmente.• •

But what about the noise of crumpling paper• Marco Dalpane

What can John Cage’s music mean for children’s and teenagers’ musical education? The nature of John Cage’s works and thoughts elicits interventions and reflexions from a wide range of subjects, from musicians to philosophers, from movie-makers to dancers, from scholars to visual artists, from the world of theatre to that of science, from politics to economy. Non-exclusivity, different centers, anti-hierarchical organization, multiplicity, the building of alternate futures, social experimentation, self-modification, non-linearity.

Those are the key points of his thought and those are the issues that have not yet lost meaning twenty years after his death and keep on appearing in every investigation on our present, on human condition, on our future. His works have often represented a challenge for the audience.

Being dazzling, radically innovative, his work has often been considered as the gesture of a provoker. Our objective is to overturn this superficial judgement by pointing at the utopy towards which his thought aims.

Marco Dalpane comincia a studiare il pianoforte all’età di 5 anni. Nel 1979 si diploma in pianoforte, studia anche

composizione e musica elettronica. Dal 1991 collabora con la Cineteca del Comune di Bologna come pianista accompagnatore

e autore di musiche per il cinema muto. Questa attività lo ha portato a partecipare ai più importanti festival musicali e

cinematografici italiani e in giro per il mondo. Ha realizzato opere su commissione delle principali reti televisive europee e

ha eseguito l’accompagnamento musicale dal vivo di oltre 650 proiezioni. Dedica parte della sua attività all’insegnamento del

pianoforte e scrive su diverse riviste di carta e online.

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((( ConversazioniScrivere i suoniIntervista a Joe Hisaishi • Laminarie

Le domande di questa intervista sono state redatte da Febo Del

Zozzo, Bruna Gambarelli, Marco Dalpane, Federica Rocchi e dalle

bambine Agnese e Sofia.

Ci sembra che il suo lavoro dedichi una particolare attenzione alla ricerca musicale, sia quando è rivolto ai bambini che agli adulti. Cogliamo cioè sia nelle sue composizioni per il cinema di animazione, sia nelle altre produzioni di musica la stessa pas-sione e lo stesso rigore. È giusto?

Sì in effetti è così. La composizione di un testo mu-sicale, indipendentemente dall’uso e dal contenu-to, implica comunque l’atto di “scrivere (=compor-re)”. Cerco sempre di scrivere i miei testi di modo che siano correttamente realizzabili in musica e ap-plico questo criterio alle sinfonie come alla musica per bambini indistintamente. Quali sono le fasi di lavorazione delle sue composizioni per i film del Maestro Miyazaki? Le sue musiche nascono prima, dopo o durante la lavorazione del film?Per quel che riguarda le opere di Hayao Miyazaki, ho un modo di procedere particolare e passa attra-verso due livelli. In primo luogo, realizzo dei brani musicali facendo uso di parole chiave fornitemi dal

regista, si effettua la registrazione e vengono poi venduti sul mercato con il nome di “album imma-gine”. In seguito, sulla base dell’album immagine si riscrive il testo musicale. Questo avviene ovvia-mente dopo aver considerato il contenuto ed il tipo di disegni, e dopo essermi confrontato con Hayao Miyazaki su quale sia la musica più appropriata e il modo migliore per adattarla al film. Questo è sicu-ramente un caso particolare se si paragona agli altri processi di composizione musicale cinematografica. Il motivo sta nella importanza del ruolo che i cd musicali che realizzo per i film di Miyazaki hanno sul mercato.

Come è il suo rapporto con la composizione? Si dà degli orari di lavoro precisi? Oppure compone seguendo l’ispirazione? Insomma, deve correre allo strumento di corsa oppure le capita di stare lì davanti ad aspettare?A questo proposito sono esattamente come tutti quelli che rispettano un orario di ufficio. Lavoro nelle ore e nelle modalità prestabilite. Di base entro in studio all’una di pomeriggio e compongo testi fino alla sera. Cerco di impegnarmi al massimo per mantenere il ritmo costante. Il mio lavoro si può paragonare ad una maratona piuttosto che ad una gara di velocità.

Ha mai composto musiche per spettacoli teatrali di registi giap-ponesi? Fino ad ora non ho mai avuto l’occasione di lavorare per il teatro, mentre invece ho esperienza di musi-cal.

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Da bambino ascoltava musica? C’era qualche autore che lei ha ritenuto fondamentale per la sua crescita artistica? Non c’è nessuno in particolare. Tuttavia ancora pri-ma di entrare all’università, quando già mi occupa-vo di musica contemporanea, è stato con un brano di Terry Riley che ho deciso di fondare la mia pro-duzione sullo stile della Minimal Music. In questo senso possiamo dire che Terry Riley mi sia rimasto notevolmente impresso. C’è un luogo dove non ha ancora suonato e le piacerebbe tenere un concerto? Uno spazio architettonico o naturale?Direi l’Italia in particolare. Sono ancora tanti i posti dove non ho mai fatto un concerto e nel caso ci fosse un’offerta sarei sempre disposto ad accet-tarla. Solitamente i concerti si tengono nelle sale, tuttavia devo dire che mi piacciono anche quelli all’aperto. È vero che c’è da portare avanti l’allesti-mento del palcoscenico ma l’atmosfera è animata anche dalla sola mancanza di pareti. Mi è capitato una volta di suonare con un forte vento lasciato di una tempesta, ma è proprio in questi momenti che si diventa un tutt’uno con il pubblico, quindi credo che ne valga assolutamente la pena.In Ottobre ho fatto un concerto presso il Nishi-Honganji di Kyoto (n.d.r. si tratta di uno dei più importanti templi storici di Kyoto) ed è stato davvero memorabile.

In Giappone le sue composizioni vengono eseguite esclusivamen-te in luoghi deputati alla musica classica, o capita che vengano eseguite anche in altri luoghi (fabbriche, biblioteche, musei, gallerie d’arte, scuole?)

Si tratta generalmente di sale da concerto per musi-ca classica.

La sua ultima produzione discografica la vede dirigere due sinfonie di Beethoven e la sua composizione 5th Dimension. Per questo lavoro usa il nome di battesimo Mamoru Fujisawa. Questa decisione manifesta una presa di distanza dall’industria musicale legata al mondo del cinema per avvicinarsi forse a qualcosa di più intimo?Io ho iniziato come compositore di musica contem-poranea ed ho continuato come tale circa fino ai trent’anni. In seguito, mi sono trovato a lavorare per lungo tempo nel mondo dell’entertainment e includendo anche i lavori per la GHIBLI, sono diventato celebre in Giappone con il nome di “Joe Hisaishi”. Tuttavia, per quanto continui la mia attività come compositore di entertainment, ad un certo punto ho sentito di dover fare ritorno alle mie origini e di riprendere a scrivere opere di musica contemporanea. Al momento della pubblicazione, le due realtà non devono essere confuse dal pubblico ed è per questo che ho differenziato i nomi. Inoltre, le musiche che scrivo sotto il nome di “Mamoru Fujisawa” le scrivo per me stesso e le pubblico come una sorta di ritorno ad una posizione classica.

Qual’è il suo legame con la tradizione musicale colta europea? Quali sono gli autori che ama presentare nei concerti classici che dirige?Amo particolarmente Beethoven. Credo che la sua logicità e sensibilità, il suo impeto creativo raggiungano la vetta più alta nel panorama della

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umano, implica certo una morte “fisica”, ma non per questo lo spirito si estingue. In tal senso la con-cezione di morte occidentale è ben diversa da quella orientale. Lo stesso concetto si può ritrovare nel “Libro dei Morti Tibetano”. L’idea della morte del corpo e di questa mente, anima, insomma questa parte spirituale come vogliamo chiamarla, che non si estingue ed erra fino all’ottenimento di un nuovo corpo fisico. Avviene dunque una “rinascita”, vis-suta in termini ben diversi dalla visione religiosa cattolica. Non intendo dare certo un giudizio di valore, credo semplicemente che siano diverse. A mio avviso nel film “Departures”, la figura di colui che si occupa della deposizione del defunto nella bara, è concettualmente vicina a quella celebrazio-ne funeraria, che dura 39 nove giorni ed ha lo scopo di “consolare” l’anima del morto, descritta appun-to nel “Libro dei Morti Tibetano”. Quei 39 giorni, rappresentano anche un lasso di tempo necessario a coloro che sono rimasti come cura, recupero emo-tivo. A questo proposito, credo che l’atto del trucco sia vissuto come una sorta di cerimonia di com-miato dal defunto. Non saprei dire se l’universo di “Departures” possa valere da modello o meno nella società globalizzata, ma testimonia senza dubbio una bellissima tradizione dell’Oriente.

Cosa provi quando suoni?Mi sforzo di esprimere me stesso il più possibile, ver-so le persone che suonano con me e verso il pubblico. Inoltre cerco di immaginare il suono che produco come un qualcosa che a mano a mano prende vita.

musica classica. Beethoven è un compositore che vorrei sempre suonare. Qualche tempo fa, durante un mio concerto ho diretto la quinta di Mahler, un’opera corposa di settanta minuti, e in quell’oc-casione ho percepito una forte intesa. Quindi mi piace anche Mahler e mi piacerebbe suonarlo di nuovo.

Il nostro teatro dedicherà il prossimo anno un progetto a John Cage, nel centenario della sua nascita. Cosa può dirci dell’opera di Cage?È davvero splendida. John Cage è un personaggio che ha sempre ricercato le nuove possibilità della musica non attraverso i metodi tradizionali ma partendo da una nuova prospettiva. Io lo considero uno dei massimi rivoluzionari della musica del ven-tesimo secolo e personalmente ho ascoltato tutti i suoi lavori. Su di lui sto portando avanti anche delle ricerche.

Ci può parlare della sua recente esperienza come autore delle musiche per il film Departures di Yojiro Takita? In questo film la ritualità tipica della civiltà giapponese non impedisce di entrare in contatto con la drammaticità della morte, in un film di grande intensità. Secondo lei esiste ancora una specificità della cultura giapponese nell’universo globalizzato? Di fronte al momento estremo della morte l’eleganza e l’armonia così ben espresse dalle immagini del film sembrano affermare una condi-zione dell’anima che il mondo occidentale pare aver perduto.Quello di “Departures” è un mondo sicuramente proiettato in un contesto filosofico orientale e per certi aspetti anche buddhista. La morte nell’essere

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Come fai a inventare le musiche?La composizione musicale non dà sempre risultati soddisfacenti, dunque scrivo cercando di riflettere sui lavori precedenti allo scopo di migliorarmi sem-pre di più.

Quante ore al giorno suoni? Il più del tempo lo dedico a comporre, dunque non mi rimane molto per esercitarmi al piano. Mi alleno in prossimità di un concerto.

Ti piace lavorare con Miyazaki?Si, molto.

Dove abiti (in Giappone)?Vivo a Tokyo.

Hai mai fatto un concerto soltanto per i bambini?Non ho mai fatto un concerto solo per bambini ma nel 2003 ho tenuto un concerto dal titolo “Speciale Sinfonico 2003. A coloro che ora sono o un tempo sono stati bambini” e nel 2010 un altro dal titolo “Speciale Estivo 2010. Ai bambini e agli adulti che un tempo sono stati bambini”. Ho suonato “Il mio vicino Totoro”, “lo Schiaccianoci” ed altri.

Non è una vera e propria domanda, ma ci piacerebbe ascoltarti suonare… Verrai anche da noi? Se avrò l’occasione molto volentieri.• •

Joe Hisaishi è un compositore e musicista giapponese. Durante la sua carriera ha prodotto circa 30 album e ha realizzato

musiche per quasi 60 film sia in Giappone che all’estero. La lunga collaborazione con registi quali Hayao Miyazaki e Takeshi

Kitano ha reso le sue colonne sonore celebri in tutto il mondo. Dal 2009, Hisaishi dirige concerti di musica classica sotto il titolo

di “Joe Hisaishi Classics”. www.joehisaishi.com | www.facebook.com/JoeHisaishi.official

To write soundsInterview with Joe Hisaishi• Laminarie

Music composition always involves the act of “writing(=compose)”, apart from its use and content. I always try to write my music texts properly and I stick to this rule from synphonies to music for children, without distinctions. For what concerns Hayao Miyazaki’s works, I have a particular method that proceeds through two different levels. First of all, I create some music pieces starting from key words provided me by the director. This pieces are recorded and sold on the market under the name of “images album”. Later, on the base of this “images album” I re-write the music text, of course after considering the content and type of drawings and after speaking with Hayao Miyazaki about the most appropriate music for the movie. This is no doubt a particular working method compared to the processes usually applied to the composition of music for cinema. The reason is the relevance on the market of the music cds I realize for Miyazaki’s movies.

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((( Conversazioni99 anni• Testimonianza di Gina Tassinari,

raccolta da Bruna Gambarelli

Mi chiamo Gina, sono nata nel 1912 e dal 1969 abito al Pilastro.

Alla fine della guerra, la mia famiglia fu sfollata da Granarolo a

Bologna che allora era stata dichiarata Città Aperta. Bologna allora era piena di contadini che avevano portato le mucche e gli animali nelle cantine delle case patrizie. Io ero una ragazza e facevo la staffet-ta, portavo i dispacci, andavo sempre in bici, ovun-que. Mio fratello mi diceva: domattina bisogna andare a Cà de’ Fabbri a portare un dispaccio. E io partivo con la bici. C’era anche mia cognata, che venne a Bologna prima di me perché era incinta, al-lora lei col bimbo nella carrozzella portava i dispacci a Dozza, faceva la staffetta. Dozza infatti era un partigiano a Bologna, prima di diventare sindaco.

Qualche giorno prima della Liberazione, mi mandarono a Quarto per un dispaccio, ma rimasi a piedi con la bicicletta e dovetti tornare a piedi. Ci misi molto tempo ed era venuto il coprifuoco.

Quando arrivo a casa vedo mio babbo da lontano che guardava, guardava, poi tornava in casa, poi tornava a uscire. Piangeva mio babbo, perché pen-sava che mi avessero preso. Aveva le lacrime agli occhi. Invece era andato tutto abbastanza bene.

Mio babbo al tempo del fascismo era un capole-ga, un sindacalista, aveva le chiavi della Casa del Popolo. Lui era socialista, era molto impegnato, una sera andavamo a letto e mi sembrò strano per-ché andò a letto anche lui, invece di solito andava sempre al bar o all’osteria. La mattina mi alzai e do-vevo passare per la loro camera e lo vidi a letto tutto fasciato e mi spaventai. Allora mia mamma mi spiegò che la notte erano venuti i fascisti, gli hanno dato un mucchio di botte. Sono quei ricordi che non si dimenticano. Qualche giorno dopo sentii mio babbo che diceva: vado a fare un giro, a vedere se fuori c’è qualcuno. Dopo un po’ mio padre rientrò e ci disse che non aveva visto in giro né fascisti né te-deschi. E io gli dico: “Ma va là che da qualche parte ci sono!”. Pensa un po’, noi non sapevamo niente, invece la guerra era finita. Ma io la sera prima ero dovuta andare fino a San Sisto a piedi di nuovo – gli ultimi giorni si aveva paura di usare la bici – ed ero così stanca, avevo le gambe tutte gonfie, che non sono neanche andata in piazza a festeggiare con gli altri…

Noi poi siamo venuti ad abitare al Pilastro nel 1969. Ma nel 1971 mio marito è morto e sono sola da allo-ra. Finché ho potuto lavorare, l’ho fatto. Lavoravo in casa, facevo la sarta.

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Poi verso il 1977-1978 hanno cominciato ad apri-re il centro anziani, ma prima noi ci eravamo già riuniti insieme: ci facevamo da mangiare da soli e ci trovavamo nella “Casa Gialla”. Eravamo un gruppo di anziani che provenivano da tutte le parti di Italia. Ci trovavamo lì a mezzogiorno e con una macchinetta moka ci facevamo il caffè, per stare in-sieme. Questo è stato il primo nucleo della comuni-tà del Pilastro, che si è formato subito da gente che arrivava dai posti più diversi. Quando le persone emigravano qui, in molti si davano subito da fare per tutti. C’era un’organizzazione al Pilastro incre-dibile. C’erano delle persone come il dott. Brescia, che è stato un po’ un faro per noi: lui ha pensato su-bito agli anziani ma anche ai bambini. Ad esempio iniziò a fare la prevenzione dentale alle scuole, la prevenzione della sclerosi... Alla fine della costru-zione del Pilastro c’erano quasi 2.500 nuclei fami-gliari qui e molti avevano anche 10-12 figli. Molti di questi bambini venivano dalle campagne, dal sud, e non avevano mai fatto una visita medica. Quelli del Circolo La Fattoria comprarono con delle loro atti-vità una macchina per fare l’elettrocardiogramma, tassandosi come soci del circolo. Loro avevano 650 bambini iscritti per lo sport. Noi del centro anziani facevamo i tortellini e la pasta e poi le vendevamo durante le feste da ballo. Poi i soldi racimolati si da-vano alla scuola per comprare delle cose.

Questa è storia del Pilastro. Queste cose sono iniziate nel 71-72, perché prima le scuole non c’era-no. Le scuole medie sono venute dopo: quando lo IACP costruì le case qui non pensavano ai servizi.

I bambini prima di allora andavano a scuola a Quarto. Dopo invece, dal 1972, hanno iniziato a cre-are i servizi, ma insieme ai cittadini però.

Noi abbiamo tutti fatto un grosso lavoro, una lot-ta, fatta di lavoro. Il Pilastro è nato piano piano un po’ così, noi che avevamo fatto la guerra partigiana, dopo abbiamo continuato la lotta in un altro modo. Già prima di venire al Pilastro, quando ero ancora a Granarolo, io avevo un gruppo di bambini, “i pio-nieri”. Dopo la guerra, l’allora Partito Comunista fece una specie di copia di quello che facevano in chiesa, i bambini si trovavano in gruppo e si chia-mavano i “pionieri”. Allora avevo quel compito lì, di educare i bambini che non andavano in parrocchia. Ed erano molti, perché allora i bambini in parroc-chia non ci andavano in tanti, c’erano degli attriti con la chiesa. Facevamo molte cose, abbiamo fatto anche delle commedie!

Però al Pilastro ci sono stati anche dei periodi duri. A me sembra che oggi non succedono più quelle cose che succedevano allora… in quegli anni là facevano le schioppettate due volte al giorno qui! In principio è stato per via dei meridionali e in mez-zo a quelli c’erano due o tre famiglie che dicevano che erano dei mafiosi. C’erano quindici famiglie in soggiorno obbligato al Pilastro. Qui fuori dalla mia finestra facevano le gare con le macchine rubate. Al Pilastro non ci veniva nessuno… e poi c’era an-che il Carlino che ci dava una mano! Pubblicavano sempre delle sciocchezze; succedeva qualcosa a San Donnino, era successo al Pilastro!

Un giorno incontrai una famiglia che conoscevo,

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e mi chiedono: dove abiti? Rispondo che abito al Pilastro e questi mi guardano con due occhi sbar-rati: “Abiti al Pilastro? E come fai?”. Ma a me qui nessuno mi ha mai disturbato. Io sono stata sempre bene, andavamo tutti d’accordo e ci conoscevamo. La sera ci si metteva fuori con le sedie e si chiac-chierava: c’era il cortile. Ma adesso è finito tutto, ci siamo un po’ chiusi secondo me. E c’è anche molto razzismo verso gli stranieri. Le mie amiche mi dico-no: “ma a te piace questa gente qui?” E io rispondo: “Non vi ricordate che siamo emigrati dall’Italia per tanto tempo?”. I primi che sono venuti qui è sta-to perché c’era la guerra da loro, erano costretti a venire. A me mi facevano compassione. Però devo dire anche che ce ne sono tanti di stranieri qui al Pilastro, vengono da tanti posti diversi, ma alla fine si va ancora tutti abbastanza d’accordo.

Io qui mi sono sempre trovata bene, e poi col centro anziani abbiamo fatto tante cose, era come una seconda famiglia per me. Ed era una cosa che ti toglieva di casa. C’è da dire che io non mi sono mai fermata, anche quando ero in casa ho sempre lavorato anche di sera. E anche adesso faccio così, prima delle undici non vado mai a letto, mi piace ascoltare i dibattiti politici in televisione. Però, adesso che ci penso quasi quasi una sera posso veni-re a teatro da voi…• •

99 years old• Witness told by Gina Tassinari, collected by Bruna Gambarelli

I moved in Pilastro in 1969. Back then I was dressmaker and worked at home. At that time Pilastro was an incredibly well-organized place. Even if there were no public services at all, some extraordinary people lived here. We used to prepare fresh pasta and tortellini to be sold at dance parties we organized. Then we offered the profits at local schools to buy the stuff they needed. This is the story of Pilastro. But all this started in 1971-72 because there were no schools before: when IACP built council houses here, they didn’t think about public services and our children had to go to Quarto for school. After 1972, they began creating new services, but all the citizens helped out in this process. We all worked a lot, we had to fight to obtain this result. Pilastro was born this way, little by little: all of us, who had fought in the civil war as partisans, we continued our struggle in different ways.

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((( Il raccontoAnnusetta e Codino• Maria Montanari

Viveva in una fattoria, assieme a tanti altri animali, un maiale femmina sopran-nominata Annusetta. Bel nome per un maiale al femminile. Questo soprannome

le era stato dato di comune accordo da tutti gli altri animali della sua specie. Ogni volta che si metteva a mangiare annusava il cibo per ben cinque minuti. Il suo compagno Tritatutto, le sue tre sorelle, i suoi due fratelli si buttavano con impetuosità sul pasto-ne, cosicché in breve tempo il trogolo si vuotava. Quando Annusetta si decideva a mangiare ormai non restava più nulla. In questo modo, non c’era giorno che riuscisse a saziarsi. Il suo stato di salute non era dei migliori. Alla fine si arrangiava a suc-chiare qualche erbetta o radice, che trovava qua e là nel vasto recinto.

In quella condizione, lei era convinta di sta-re bene e non ascoltava i consigli di nessuno. Nemmeno di Tritatutto che un giorno le aveva det-to: “Annusetta, cerca di metterti un po’ in carne, altrimenti la tua gravidanza non potrebbe arrivare a termine!”.

Per qualche giorno riprese a nutrirsi con regola-rità, ma poi in breve riprese le abitudini di prima. La sua famiglia aveva imparato a lasciare nel tro-golo una bella quantità di pastone, in modo che

Annusetta la mangiasse durante il giorno. A volte succedeva, quando la fame arrivava forte andava a pulire il trogolo. Tutti aspettavano con ansia l’av-venimento; il suo ventre aumentava di giorno in giorno, le sue mammelle erano diventate turgide e lucide.

In quel recinto c’era un angolo con tanta paglia. Un giorno la videro mentre andava ad accasciarsi laggiù. Con le gambe anteriori aveva mosso un bel po’ di paglia, costruendo una specie di tana. Lì si era sdraiata: erano iniziate le doglie. L’indomani all’alba cominciarono a nascere i primi cuccioletti. Man mano che uscivano, quasi sempre dal verso della testa, camminando riuscivano a strappare il cordone ombelicale che li univa alla mamma. Vennero alla luce dieci piccoli ma, ahimè, il decimo era cosi piccolo da non sembrare neanche un cuccio-lo di quella specie. I suoi fratelli e sorelle riuscivano a prendere in bocca i capezzoli della mamma, men-tre lui, avvicinandosi alla mammella, provava ad aprire la boccuccia ma non ci riusciva. La sua bocca era troppo piccola.

Annusetta in quel momento avvertì tanti sensi di colpa. Pensava tra sé e sé: “Se mi fossi nutrita con regolarità anche questo mio piccolo avrebbe raggiunto il suo peso normale. Adesso come farà a sopravvivere?”

Per la verità in fondo alla pancia un piccolo capez-zolo c’era, ma anche quello era troppo grande per la sua minuscola bocca. Diceva la mamma: “Prendilo, prendilo” mentre da sdraiata irrigidiva i quattro arti per rendere più visibili le sue mammelle.

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Annusetta e Codino• Maria Montanari

Once upon a time, there was a female pig, named Annusetta, who lived in a farm. Nice female name, for a pig. The nickname was given to her by agreement of all other animals of his kind. In fact, she used to sniff the food for five minutes before she would start to eat*. Her mate Tritatutto, her sisters, her brothers always threw themselves on the swill in a rush, and they finished everything shortly. When finally Annusetta made up her mind to start eating, there was nothing left. So she could never really satisfy her appetite and her health was not very good. In the end, she managed to eat some herbs or root crops in the large stockyard.

But she felt good in that condition and she wouldn’t listen to anybody’s advices. Not even Tritatutto’s, who told her one day: “Annusetta, try to fatten up a little, or your pregnancy might not come to its term!”

* in italian “Annusetta” is diminutive of verb “annusare”, that means “to sniff”.

Tanti furono i tentativi, tutti inutili. Alla fine Codino, cosi lo aveva chiamato la sua mamma, si allontanò di qualche metro e andò a dormire dove la paglia non era stata smossa. Dopo essersi riposato quasi un’ora, fu svegliato da un miao, miao. Aprì gli occhi e rimase stupito: non credeva a ciò che vedeva.

Lì accanto a lui, c’era una micia che proprio in quell’alba aveva partorito i piccoli. “Miao”, “miao” continuava la gattina, “miao”, “miao”. Codino av-vertì quel richiamo materno. Si accostò e prese in bocca quel minuscolo capezzolo rimasto libero. La gattina fu molto felice di allattare anche quell’esse-rino. Bastarono poche ore per rinvigorirlo.

Codino, dopo aver ringraziato la micina, ritornò dalla sua mamma. Questa volta riuscì ad afferrare quel minuscolo capezzolo con la sua minuta bocca.

Da quella volta Annusetta consumò pasti rego-lari. Questa lezione le era bastata. In breve era di-ventata una mamma robustella. Gli anni seguenti partorì altri piccoli: tutti in grado di succhiare i suoi bei capezzoli.• •

Per gentile concessione dell’autrice. Tratto dal libro “La nonna racconta”,

L’Autore Libri Firenze, 2011

Maria Montanari è nata nel 1947 vive a Baiso sull’appennino reggiano. È stata coadiuvante in un’azienda suinicola per 35

anni. In particolare era addetta alla nascita dei suinetti in sala parto, lavoro che lei definisce edificante.

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((( La recensioneIl ragazzo con la bicicletta • Nicola Ferrari

Le gamin au velo, Belgio, 2011Regia: Jean Pierre e Luc Dardenne

Iniziamo dalla storia. Il ragazzo con la bicicletta narra un breve periodo della vita di un giovane di nome Cyril, abbandonato da poco dal padre e rimasto solo senza nessuno a occuparsi di

lui. Cyril è ospite di un istituto per minori, ma non riesce a rassegnarsi alla fuga del padre, e continua disperatamente a cercarlo ovunque: compito non semplice, perché questi ha cambiato indirizzo, nu-mero di telefono e frequentazioni. Durante questa ricerca, fatta di fughe continue dall’istituto che mettono a dura prova i suoi educatori, il ragazzo incontra casualmente Samantha, una giovane parrucchiera che acconsente ad ospitarlo durante i week-end e che decide di aiutarlo a rintracciare il padre scomparso. Quando finalmente Cyril riesce a incontrarlo per pochi minuti nel ristorante in cui lavora, l’uomo lo allontana per sempre, rifiutando definitivamente il suo ruolo paterno. Lentamente, il ragazzo riesce a cominciare una nuova vita con Samantha, attraverso molte lotte, molte opposizio-ni e dopo aver sfiorato l’esperienza della malavita.

Fin qui l’intreccio narrativo: lineare, semplice, forse vero, certamente con quel sapore realistico alla maniera dei fratelli Dardenne.

Ma il film è soprattutto la resa cinematografica concreta della particolare condizione di Cyril: un te-sto filmico costruito su assenze ed ellissi, nelle qua-li la storia procede senza curarsi degli intermezzi, certa solo di una figura: il ragazzo, secco e distante, come solamente la rabbia inespressa può essere.

L’architettura del film è sfuggente e si concentra su elementi quali la mancanza, la sottrazione, i dialoghi rarefatti, l’assenza di spiegazioni per un abbandono tanto duro quanto insensato. Perfino la colonna sonora è quasi del tutto assente, lasciando solo due brevissimi accenni d’archi a sottolineare gli snodi narrativi del racconto. I due registi realiz-zano, in questo modo, una fusione tra la sintassi cinematografica, il montaggio e lo spaesamento psicologico ed emotivo del giovane protagonista. L’ellissi come metodo reiterato di accostamento delle immagini conduce lo spettatore a percepire fisicamente la mancanza e la frustrazione vissuta dal ragazzo: Cyril non sa, non conosce, vive nell’in-consapevolezza, vive solo parti e non l’intero. Cyril è giovane e il film, altrettanto veloce e incompleto, disorientato e disorientante, non fa che seguirlo mentre sfreccia sulla sua bici per le strade di una città senza nome, perso dentro una corsa infinita verso un futuro che verrà. I fratelli Dardenne non si limitano a un semplice racconto, ma costringono lo spettatore alla frustrazione di una fuga senza consolazione, sfruttando le immagini e la loro par-ticolare alternanza per confonderlo al pari di Cyril. I Dardenne usano gli strumenti più profondi del cinema per dare un corpo alla sofferenza e all’irre-quietezza.

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Il ragazzo fugge, scappa, selvatico e ossessivo. Non ha coordinate e oppone agli adulti che incontra soltanto un ostinato silenzio. Ha solo una biciclet-ta e non fa che pedalare per dare seguito alle sue pulsioni: la città in cui si muove non ha geografia, non è né grande né piccola, non è che la forma dello spazio tra lui e il padre assente.

La bicicletta diventa uno strumento e un simbolo della condizione ondivaga del ragazzo, e in questo continuo movimento sia Cyril che gli spettatori sono costretti a riformulare un orizzonte di senso, a dare significato ad altre figure – mentre il padre bio-logico progressivamente perde di consistenza, dopo il suo radicale rifiuto del figlio.

Questo passaggio di consegne, lo slittamento tra una figura di riferimento e l’altra, avviene in una scena in cui Cyril avvinghia – letteralmente – Samantha; la stringe invocando il padre, mentre il padre non c’è. La donna dice: Puoi restarmi vicino, ma non stringere. E così avverrà fino alla fine: la donna permetterà al ragazzo di rimanerle vicino, cercando la giusta distanza.

I fratelli Dardenne danno una visione quanto mai realistica delle reazioni di Cyril, lasciando tra-pelare un’esperienza diretta o una acuta osservazio-ne di quei “ragazzi selvaggi” come lui: per tutto il film, il ragazzo provoca continuamente Samantha, la mette alla prova, vuole vedere quanto lei resi-sterà. Le sue ribellioni ostinate sono silenziose, non-comunicative, ma piene della tensione che attraversa questi giovani segnati dalla mancanza di punti fermi e dall’incapacità di spiegarsi e di dare un senso a quanto gli accade. Questi ragazzi

non comunicano la propria rabbia come gli adulti si aspetterebbero: lo spettatore, come le figure di riferimento nella vita reale, è costretto a interpreta-re, a chiedersi di ogni gesto cosa voglia dire, senza mai sentire pienamente di avere la certezza di una comprensione. In una breve scena Cyril viene ripre-so mentre giocherella con il rubinetto dell’acqua nel negozio di Samantha e quando lei gli chiede di smettere, lui continua imperterrito, ripetendosi inesorabile nella provocazione.

Ecco il discorso educativo dei Dardenne che af-fiora, trasmesso dalle immagini, nel capacità di Samantha di rimanere con il ragazzo, nonostante non sia sua madre, nonostante la durezza della situazione e le autodistruttive ingenuità di Cyril. Samantha riesce a restare accanto al ragazzo grazie a uno sforzo di attenzione e di ascolto, volto ad ac-cettarlo per ciò che è. Al contrario, quando il padre finalmente appare è voltato di spalle e il rumore della radio accesa lo rende irraggiungibile: ancora una volta la scelta delle inquadrature, il montaggio, la direzione dei corpi, rappresentano perfettamente una negazione già presagita dallo spettatore prima ancora che accada. E ancora, proprio quando la sto-ria sembra conclusa e pacificata, i fratelli Dardenne ci sorprendono con un ultimo breve episodio, quasi un colpo di coda o un finale mozzato: Cyril incontra sulla sua strada un altro padre ingrato, disposto a tutto pur di coprire le malefatte del proprio figlio. Un film che sembra quindi scagliare apparente-mente una critica molto pesante nei confronti dei padri, grandi assenti o disinteressati, meschini o malati di una misera ambizione. Ma non si tratta

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ovviamente di una valutazione così semplicistica. Ciò che invece appare dietro questa accusa diretta, è la constatazione che un padre non è un uomo ben vestito con un’auto, un lavoro rispettabile, un figlio ben istruito. Al contrario, un padre è innanzi tutto il desiderio di esserlo, un fascio di intenzioni che possono essere incarnate anche da una donna, da una parrucchiera, da una single, a patto che lei abbia una volontà nei confronti del ragazzo e che decida di accoglierlo.

Anche lo spettatore, se avrà il coraggio di seguire fino in fondo questo film, di ascoltarlo, di andare oltre la lentezza, le pause, il ritmo pacato e le scene apparentemente inutili, allora avrà la possibilità di capire Cyril, il suo bisogno di vagare solo con la sua bicicletta, più volte persa e poi ritrovata, scioglien-do la sua angoscia per il padre ed elaborando alla sua maniera il lutto. Lo spettatore in movimento con lui, portato a una strana estasi visiva verso questo ragazzino errante, in inquadrature apparen-temente senza cura ma che sprigionano una grande energia.

Il ragazzo con la bicicletta riesce ad essere un esempio di cinema che si porta addosso lo sforzo e il rischio di rendere per immagini e (pochi) suoni la condi-zione di una giovinezza difficile e la contemporanea esperienza, frustrante, dell’adulto accanto. Non una semplice storia, insomma, declinata casual-mente nel formato cinematografico, ma un lavoro complesso che unisce il linguaggio del cinema al discorso educativo, cercando un terreno comune a volte spiazzante, ma sicuramente intenso.• •

Nicola Ferrari è educatore professionale in scuole e in centri residenziali per disabili. Si è laureato in Scienze della

Comunicazione con una tesi sull’adattamento cinematografico e in Scienze dell’Educazione con una tesi sull’integrazione dei

ragazzi disabili nelle scuole.

The Kid With A Bike• Nicola Ferrari

Leaving its plot aside, the movie The Kid With A Bike is able to express the particular condition of its protagonist, Cyril, through the language of cinema. The film text is built on absences and ellipses, the story proceeds with no care for interludes, with one single central interest: Cyril, the boy, as sharp and aloof as unspoken rage can be. The movie’s architecture is fleeting and focuses on elements like subtraction, shortage, rarefied dialogues and the absolute lack of explanations for such an absurd and tough abandonment of the child.

Ellipsis is continuously used as a method to combine images and this choice lets the audience physically feel the kid’s frustration and pain. The movie, as fast and unfinished as the protagonist, follows Cyril as he speeds on his bike around a nameless city, in an endless run towards an upcoming future.

The Kid With A Bike is a brilliant example of bold cinema representing through images and (a few) sounds the condition of a difficult youth and the parallel, frustrating experience of the nearby adult. On the whole, it’s not a simple story casually fitting a cinematographic format but a complex work binding together the language of cinema with educational issues, in the attempt to find an unsettling but nonetheless intense common ground.

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•finito di stampare nel mese di novembre 2011 a Bolognapresso la tipografia Rabbi