AMLETO O ECUBA

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1 WALTER BONAVENTURA ([email protected]) Amleto o Ecuba. Un confronto tra le ragioni della tragedia contro quelle del dramma. (frammento)

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A research on Schmitt's lecture on Shakespeare's Hamlet.Lettura dell'interpretazione schmittiana dell'Amleto di Shakespeare.Une lecture de l'interprétation schmittienne de l'Hamlet par Shakespeare.

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WALTER BONAVENTURA([email protected])

Amleto o Ecuba.Un confronto tra le ragioni della tragedia contro quelle del dramma.

(frammento)

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INDICE

Introduzione. 5

Uno. Irruzione della storia nel teatro. 8

Due. Conseguenze dell’irruzione sulla forma teatrale e sulla figura diAmleto. 9

Appendice etimologica. 13

Bibliografia. 14

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Introduzione

Nella relazione, che qui presentiamo, vogliamo soffermarci suun’interpretazione dell’Amleto di Shakespeare di solito poco considerata.Si tratta della lettura che data da Carl Schmitt nel suo scritto Hamlet oderHekuba. Der Einbruch der Zeit in das Spiel.1

In due parole vogliamo qui anticipare il risultato, il nocciolo diquesta lettura, svolgendo alcune considerazioni sul presupposto e sulmetodo di tale lettura schmittiana dell’Amleto.

Come si può intuire dal titolo della nostra relazione, il confronto chetroviamo in questo testo è tra le ragioni del dramma, evocate dalla figuradi Ecuba, e le ragioni della tragedia, evocate dalla figura di Amleto. In findei conti, dunque, quella schmittiana è una riflessione sul significato delteatro e sui rapporti che intrattiene con la sua epoca, oltre che unariflessione su che cos’è e che ruolo occupa la finzione nel teatro.

Ricordiamo qui, allora, il celebre passo di Amleto su Ecuba:

Oh che miserabile, che schiavo pezzente io sono! Non è mostruoso chequesto attore qui, solo in una finzione, nel sogno di una passione, abbia potutoforzare tanto la sua anima a quanto immaginava nella mente che, in tal modo,gli è impallidito il volto, e lacrime negli occhi, disperazione nell’aspetto, la vocerotta, e ogni sua espressione conformata nei modi alla sua immaginazione? Etutto per niente! Per Ecuba!2

In questa considerazione Amleto si meraviglia di come l’attore riescaa far coincidere la sua anima con la sua finzione, cioè di come l’attoreriesca a scatenare le passioni e sentimenti – proprî e del pubblico – per unpersonaggio teatrale: Ecuba. Egli si meraviglia di come una finzione possaprodurre degli effetti così forti e reali sull’anima dell’attore, mentre lui, alcontrario, pur avendo solide e reali motivazioni per vendicare il padreassassinato, non riesce a raggiungere altro che una paralisi dell’azione,una continua messinscena della volontà di agire, quindi una finta volontàd’azione:

Cos’è Ecuba per lui, o lui per Ecuba, che debba piangere per lei? Che cosafarebbe se avesse il motivo e l’imbeccata per la passione che ho io? Inonderebbela scena di lacrime, e spaccherebbe l’orecchio del pubblico con orrendidiscorsi, farebbe impazzire i colpevoli e sbigottire gli innocenti, confonderebbegli ignoranti e sbalordirebbe le stesse facoltà di occhi e orecchi. Io, invece,

1 Carl Schmitt, Hamlet oder Hekuba. Der Einbruch der Zeit in das Spiel, Eugen Diederichs Verlag,Düsseldorf-Köln, 1956, trad. it. di S. Forti, Amleto o Ecuba. L’irrompere del tempo nel gioco del dramma,il Mulino, Bologna 1983.2 Hamlet, II.2, vv. 527-536.

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ottusa canaglia, mi struggo come quel tale sempre trasognato, sterile alla miacausa, e non so dire nulla; no, nemmeno per un re dannatamente distrutto neisuoi diritti e nella sua carissima vita.3

Paradossalmente troviamo qui un capovolgimento di ruoli: l’attore,che incarna un personaggio inventato e finge passioni e sentimenti,consegue risultati più reali, più tragici, di colui, Amleto, che, tormentatoda passioni e sentimenti reali, consegue solamente una finzione, unamessinscena, un’azione teatrale (un play; uno Spiel un po’ Trauerspiel e unpo’ Lustspiel). E questo è proprio ciò che vuole dirci Schmitt: il teatro,quando raggiunge la dimensione del tragico, diviene, con un gioco diparole, realmente reale, diviene realmente specchio in cui la realtà puòriflettersi, strumento di conoscenza del mondo ed evento in cui un mondo,una società, una comunità – come avveniva in Grecia – può riconoscersi etrovarvi il proprio fondamento. Quando ciò non riesce, invece, si rimanenel campo della pura finzione, della messinscena, dello spettacolo,dell’intreccio drammatico fine a se stesso, al limite della farsa, del gioco[play-Spiel-trick-Verstrickung]4.

[Ecco perché, allora, il tragico, per Schmitt, diventa categoria delreale, con valenza quasi ontologica.]

Questa contrapposizione di Tragödie e Spiel costituisce ilpresupposto, nominato prima, da cui parte l’interpretazione schmittiana.

Per quanto riguarda la metodologia da lui seguita in questainterpretazione, essa diverrà chiara rispondendo all’altra domanda che orasorge spontanea: quando il teatro raggiunge il tragico e, con esso, la realtà?E in che modo, come la raggiunge?

La risposta di Schmitt è semplice ed efficace: nel momento in cui iltempo, la Storia, irrompono nel dramma, cioè in quei tratti dell’operateatrale che permettono l’irrompere in essa della Storia la quale, col suoirrompere, a sua volta contribuisce a modellare la forma dell’opera. Edecco allora il metodo schmittiano: cercare quei tratti dell’Amleto cherimandano alla storia inglese tra XVI e XVII secolo. Con ciò Schmitt,spingendosi ad indagare i complessi legami che legano storia e opera

3 Hamlet, II.2, vv. 537-549. Commento del 16.12.2008: vi è qui implicitamente tutta una critica del mitocome finzione e della superiorità della storia rispetto al mito, qui incarnato in Ecuba.4 In effetti è ciò che accadrà con il dramma barocco che, infine, dopo aver dato fondo alle sue doti ecapacità di meraviglia, di Wunderkammer del teatro, di sfarzosa e complicata macchina da scena, diproduzione allegorica del linguaggio, sfocerà nel melodramma e nel balletto. E non è difficile sentire qui,in Schmitt, la condanna del melodramma che, dopo Wagner e Nietzsche, spesso connota le posizioni diintellettuali tedeschi, che salvano, solitamente, solamente Verdi, mentre in altri compositori d’opera nonvedono altro che superficialità e mollezza italiani, non degni della profondità (Trübsin e tutta la sua areasemantica) dello spirito tedesco. Del resto questo libro di Schmitt rientra a pieno titolo nella annosa edibattutissima questione dell’essenza del tragico all’interno del mondo tedesco, a partire proprio dallascoperta di Shakespeare da parte di Goethe e dei romantici.

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d’arte, indirettamente risponde a una delle domande filosofiche piùantiche: che cos’è l’opera d’arte?

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Uno. Irruzione della storia nel teatro.

Nell’analisi del terzo atto condotta da Schmitt, troviamo anche lachiave della sua lettura e interpretazione dell’intera opera, vale a dire larecita degli attori. Questo teatro nel teatro, per Schmitt, non va visto comeuno sguardo dietro le quinte,5 ma come lo spettacolo stesso, per una voltadavanti alle quinte.

Perché ciò accada, ci dice Schmitt, occorre la presenza di unfortissimo nucleo di attualità e di realtà. In caso contrario, infatti, ilraddoppiamento renderebbe il gioco del dramma (lo Spiel, il play), ancorapiù inverosimile, artificioso, più teatrale: un dramma sempre piùingannevole, una “parodia di se stesso”, pura “messinscena” [trick, artifice,stratagem] “che fa ridere gli ignoranti”. Ma, appunto, nell’Amleto questonon accade, proprio perché c’è la presenza di questo forte nucleo di realtàche sopporta la doppia messa in scena di un teatro nel teatro.

Tutto questo può trovare conferma nel dialogo che Amleto intrattienecon gli attori. In esso, spiegando loro come condurre la recita, quasi comeun regista nelle prove di uno spettacolo, indirettamente Amleto cicomunica un’idea forte della funzione e del ruolo del teatro rispetto alla“sua” realtà di riferimento, alla sua epoca storica:

[…] tratta tutto con misura; poiché nel torrente stesso, nella tempesta, epotrei dire, nel turbine, della tua passione, devi ottenere e produrre unamoderazione che le dia scioltezza. Oh, mi offende fin in fondo all’anima udireun tizio esagitato e imparruccato strappare a brandelli una passione, farnestracci, per spaccare l’orecchio di quelli in piedi in platea, che, per la maggiorparte, non capiscono altro che incomprensibili pantomime e rumori. […]6

e ancora:

Non essere nemmeno troppo controllato, ma lascia che il tuo giudizio ti siatutore. Adatta il gesto alla parola, e la parola al gesto, con questa particolareavvertenza, di non superare la misura naturale. Perché qualsiasi cosa, esageratain tal modo, è lontana dallo scopo del teatro, il cui fine, sia all’origine come ora,era, ed è, di reggere, per così dire, lo specchio alla natura, di mostrare alla virtùil suo vero volto, al vizio la sua vera immagine, e all’età stessa e al corpodell’epoca la sua forma come in un calco. Ora, se questo si esagera o si attenua,si può far ridere gli ignoranti, ma non si può che affliggere i competenti […].7

5 Come lo è, semmai, il dialogo di Amleto con gli attori prima che questi recitino. Ma su questo dialogo,cfr. più avanti in questa pagina.6 Hamlet, III.2, vv. 5-12.7 Hamlet, III.2, vv. 16-25.

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Con la necessità che un nucleo di realtà irrompa nel dramma [Spiel,play], dunque, abbiamo raggiunto l’asse portante dell’interpretazioneschmittiana: l’irrompere della realtà contemporanea inglese all’interno deldramma. Irrompere che avviene, secondo Schmitt, nei personaggi dellaregina Gertrude e di Amleto.

Per Schmitt, il fatto che Shakespeare non abbia voluto o potutotrattare il tema della colpevolezza o dell’innocenza di Gertrude è un datodi fatto che nasconde, ma allo stesso tempo rivela, in negativo, il nesso trala madre di Amleto e la regina di Scozia Maria Stuart. Anch’essa fu alcentro di violente discussioni nella società inglese, in relazione alla suaimplicazione nella morte del marito Darnley e al matrimonio conBothwell, assassino di Darnley.

Per Schmitt, il fatto che Shakespeare non abbia voluto o potuto faredi Amleto un tipico eroe di vendetta, nasconde e rivela, sempre innegativo, il nesso tra Amleto e la figura storica di Giacomo I, figlio diMaria Stuart e di Lord Darnley. Giacomo I, difensore del diritto divino deire, destinato a veder crollare dall’interno la sua concezione del mondo, aveder trasformata la propria origine e il proprio potere regio in unfantasma, destinato a passare nella vulgata storica come il re folle.

Due. Conseguenze dell’irruzione sulla forma teatrale e sulla figura di Amleto.

Il teatro nel teatro è il darsi di una finzione (il dramma di Gonzago)all’interno di una finzione (l’Amleto) che si autorappresenta, in quel caso,come realtà. Il teatro nel teatro è l’espressione, la forma con cuiShakespeare rende l’irrompere nella finzione teatrale (l’Amleto) della realtàstorica (Giacomo I e Maria Stuart).

Appare così che – proprio come nel caso della colpa della regina – unbrano di realtà storica si è introdotto nel dramma a codeterminare il personaggiodi Amleto: questa immagine contemporanea era per Shakespeare, per i suoiprotettori, per i suoi attori, per il suo pubblico, un dato immediatamentepercepibile, ed era profondamente presente fin dentro il gioco del dramma[Spiel]. In altre parole: il personaggio teatrale di Amleto [e della regina] non siesaurisce nella sua maschera. Deliberatamente o istintivamente sono statiintrodotti nel dramma dati di fatto ed immagini della originaria situazioneesterna, e dietro il personagio di Amleto è rimasta fissata un’altra immagine. E glispettatori dell’epoca la vedevano […].8

Nell’autonomia del dramma fa irruzione una problematicità umana epolitica che scaturisce da una storia contemporanea trascendente rispetto

8 C. Schmitt, Amleto o Ecuba. L’irrompere del tempo nel gioco del dramma, op. cit. p. 59.

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al dramma stesso. Irruzione che ha effetti sulla struttura dell’opera stessa.Con questo, però, Schmitt non vuole assolutamente affermare un banalerapporto di causa effetto, dicendo che l’Amleto dipenda o si produca solocome effetto di una realtà storica, anzi: la realtà esterna è autonoma daltesto e questo da quella. Loro unico rapporto: da una parte l’irruzione,dall’altro la cicatrice che l’irruzione lascia nel dramma e nella sua forma.Proprio in questo rapporto Schmitt individua la qualità tragica dell’Amleto,il suo riuscire a emanciparsi dalla mera teatralità, dal suo essere solamenteun gioco drammatico [Spiel, play].

La possibilità del teatro nel teatro, dice Schmitt, è data soprattutto dalfatto che in quest’epoca già barocca, la realtà e il mondo intero sono visticome teatro, come palcoscenico: theatrum mundi, theatrum naturae,theatrum europaeum, theatrum belli... Operare nella dimensione pubblica,per gli uomini attivi di quest’epoca, era operare su un palcoscenico, difronte a degli spettatori. In Germania la parola Trauerspiel indicava sia ilteatro, sia gli eventi storici, sia, spesso, gli eventi della vita politica allacorte dei sovrani. I quali sovrani, ovviamente, più di tutti vedevano il loroagire come una grande recita nel dramma della storia e del mondo. Eccoche allora l’intero Amleto è pervaso da continui piani di metateatralità.Questa visione della realtà come teatro, dice Schmitt, permette di parlareaddirittura di triplicazione, di teatro nel teatro nel teatro. Egli scorge unsegno di questo nel fatto che la pantomima, che precede la recita vera epropria del dramma di Gonzago, costituisce a sua volta unraddoppiamento, un teatro nel teatro.

Dunque l’irrompere delle figure storiche di Giacomo I e Maria Stuartnel dramma, costituiscono per Schmitt il principale elemento tragico; ciòche ha la forza di esaltare il gioco drammatico [Spiel, play] in quanto tale,senza distruggere il tragico. Non è pensabile, afferma Schmitt che:

[…] Shakespeare, in Amleto, avesse come unica intenzione di fare del suoAmleto un Ecuba, di farci piangere su Amleto come l’attore piange sulla reginadi Troia. Ma noi finiremmo davvero col piangere allo stesso modo per Amletocome per Ecuba, se volessimo separare la realtà della nostra esistenza presentedalla rappresentazione teatrale. Le nostre lacrime sarebbero in tal caso lacrimed’attori.9

Ecco allora che si chiarisce perché l’Amleto, proprio in quanto giocodrammatico [Spiel, play], non si risolve in gioco [Spiel, play] senza residui.Contenendo altro dal puro gioco drammatico [Spiel, play], quest’ultimoassume una forma non compiuta, reca in sé una cicatrice, una frattura cherimanda alla realtà storica trascendente il dramma e che costituisce la suaqualità tragica.

9 Ibid., p. 85.

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La realtà storica non si rispecchia ideologicamente nel dramma, manemmeno essa vi appare come messaggio da raccontare o esprimerepedagogicamente;10 neppure accade che la realtà storica fondi il dramma;essa resta nella dimensione drammatica - nella forma della rottura, dellacicatrice - come un incognito. Un incognito che si rende però trasparentenella dimensione pubblico-politica, proprio perché autore e pubblico sonocoinvolti nella stessa vicenda storica e i riferimenti a essa, presenti neldramma, si impongono evidenti e ineluttabili.

Di fronte a questi riferimenti evidenti e ineluttabili, che rimangonoperò nell’opera come incognito, come frattura,11 sembra che la parolateatrale, nell'Amleto, si inceppi e venga meno di fronte a qualcosa che nonriesce a dire, conferendo all’Amleto il suo tipico carattere di sospensione.12

Parlando della genesi della frattura, della forma non compiuta checaratterizza l’Amleto, della sua sospensione, Schmitt da un senso a quelloche molti critici e commentatori dicono dell’Amleto: il fatto che essa nonsia la migliore opera di Shakespeare, da un punto di vista drammaturgico –o che, comunque, con essa, si produca una svolta nella produzione diShakespeare – proprio perché non compiuta, piena di tanti piccoli“cedimenti”: di stile, di lingua, di trama, di intreccio. Ma proprio questo,lungi dall’essere un “difetto”, per Schmitt rende spiegazione del fatto –apparentemente strano – che un’opera “difettosa” abbia potuto assurgere,e con che forza, a mito della modernità. Il suo essere fratta, rotta, nonteatralmente perfetta, le conferisce la sua più propria artisticità, il suoessere assurta a emblema di una situazione storico-antropologica – lamodernità – ove i sistemi, le totalità simboliche, gli orizzonti di sensoprecedenti (in primis Chiesa e Impero, ma anche l’idea di un mondoeurocentrico) vanno in rovina, si frammentano, aprono vuoti e fessure enon riescono più a garantire verità che possano guidare l’azione, ilpensiero, la fede. In un certo senso potremmo dire che, come in Amletoc’è conflitto tra riflessione e azione, tra soggettività e realtà, nell’Amleto lariflessione (come pensiero sulla e della realtà storica), entra nel giocodrammatico [Spiel, play] e, scontrandosi con l’azione scenica, ne rompe laforma, rimanendo poi in essa come residuo.

Questo eccesso, questo residuo che non può essere detto eraccontato – vale a dire il nucleo di realtà storica irrotto nel dramma – 10 Qui sembra di cogliere una critica di Schmitt al teatro epico brechtiano, visto come mezzo perpropagandare messaggi alle classi oppresse, in vista della loro formazione rivoluzionaria e della loroacquisizione di una coscienza di classe11 Tabù li chiama Schmitt.12 Benjamin avrebbe sicuramente parlato qui di Ausdrücklose: di “privo di espressione”, di cesura cheproprio in quanto cesura raggiunge paradossalmente, nonostante il suo grado zero di espressione, ilpotere di indicare, come traccia, qualcosa come una verità che trascende ma che in quella cesura cometraccia si radica.

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spiega, per Schmitt, perché l’Amleto appaia non compiuto. Spiega perchéShakespeare lasci insolute due questioni che sarebbero fondamentali allosvolgimento della story. Da una parte il problema della colpevolezza odell’innocenza della regina Gertrude, rispetto alla morte violenta delmarito. Dall’altra quella che Schmitt chiama “amletizzazione dell’eroe”.L’Amleto, ci dice Schmitt, come tipo di rappresentazione teatrale varicondotto al dramma di vendetta. Drammi, cioè, ove sì ci sono ostacoli eperipezie che rendono difficile il compimento del proposito di vendetta daparte dell’eroe, ma che, proprio sul superamento di tali ostacoli e sulcompimento di tale proposito, costruiscono il proprio impiantodrammaturgico e sviluppano la propria azione scenica. Ciò che Schmittchiama “amletizzazione dell’eroe”, consiste proprio nel fatto che, alcontrario dei drammi di vendetta tipici, nell’Amleto la figura dell’eroe – ela sua azione – è stata problematizzata dall’autore in una manieraincredibile. Amleto è reso protagonista non come vendicatore, ma comeeroe problematico, come un intellettuale malinconico e dubbioso, incertoe insicuro della realizzazione del proprio piano di vendetta, incapace diazione.

Da un punto di vista drammaturgico, di svolgimento della story edell’azione scenica, ciò viene continuamente sottolineato da Shakespearetramite un ripetuto parallelismo dello schema drammatico fondamentaledel dramma di vendetta. Il confronto tra Amleto e altre figure divendicatori che appaiono, al contrario di lui, pronti a compiere il loroproposito. Fortebraccio vuole risarcire e vendicare la morte del padre,ucciso in regolare duello – dunque senza inganno – dal padre di Amleto,aggredendo la Danimarca. Laerte si precipita dalla Francia per vendicarela morte del padre Polonio ucciso accidentalmente da Amleto stesso. Lastessa battuta di un dramma sulla fine di Troia, che Amleto ricorda e iniziaa recitare e poi fa completare all’attore sul finire di II.2, riguarda la sorte diun figlio, Pirro, che si vendica crudelmente della morte del padre Achilleuccidendo il vecchio re Priamo.

Tutti gli altri figli non conoscono remore nel cercare vendetta; soloAmleto vuole vendetta ma non vuole, o non può, o non sa comecompierla.

Proprio in quanto tale, proprio nella sua impossibilità di compiere eadempiere al suo destino d’eroe, sta, per Schmitt, la sua celebrità e la suaforza tragica. La forza che ha reso l’Amleto un mito giunto sino a noi.

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Appendice etimologica

DramaEtymology: Late Latin dramat-, drama, from Greek, deed, drama, from

dran to do, act.1 : a composition in verse or prose intended to portray life or character or

to tell a story usually involving conflicts and emotions through action anddialogue and typically designed for theatrical performance : PLAY – compare.

2 : dramatic art, literature, or affairs.3 a : a state, situation, or series of events involving interesting or intense

conflict of forces b : dramatic state, effect, or quality <the drama of thecourtroom proceedings>.

Synonyms TRICK 1, artifice, device, feint, gambit, gimmick, maneuver,ploy, stratagem, wile.

PlayEtymology: Middle English, from Old English plega; akin to Old English

plegan to play, Middle Dutch pleyen.1 a : SWORDPLAY b archaic : GAME, SPORT c : the conduct, course, or

action of a game d : a particular act or maneuver in a game.7 a : the stage representation of an action or story b : a dramatic

composition : DRAMA.Synonyms TRICK 1, artifice, device, feint, gambit, gimmick, maneuver,

ploy, stratagem, wile.

TragedyEtymology: Middle English tragedie, from Middle French, from Latin

tragoedia, from Greek tragOidia, from tragos goat (akin to Greek trOgein tognaw) + aeidein to sing -- more at TROGLODYTE, ODE

1 a : a medieval narrative poem or tale typically describing the downfallof a great man b : a serious drama typically describing a conflict between theprotagonist and a superior force (as destiny) and having a sorrowful ordisastrous conclusion that excites pity or terror c : the literary genre of tragicdramas.

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Bibliografia

Gabriele Baldini, Manualetto shakespeariano, Einaudi, Torino 1964.

Vanna Gentili, La recita della follia. Funzioni dell’insania nel teatrodell’età di Shakespeare, Einaudi, Torino 1978.

William Shakespeare, A mle t o , a cura di Alessandro Serpieri,Marsilio, Venezia, 1997.

Carl Schmitt, Hamlet oder Hekuba. Der Einbruch der Zeit in das Spiel, EugenDiederichs Verlag, Düsseldorf-Köln, 1956, trad. it. di S. Forti, Amleto o Ecuba.L'irrompere del tempo nel gioco del dramma, il Mulino, Bologna 1983