Amici di Follereau - AIFO - Oltre la lebbra, per i diritti degli ultimi. … · 2016-07-08 · il...
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Amici di Follereausettembre2015
I RIFUGIATI NEL MONDOPROFEZIA
La cura della casa comunesecondo Papa Francesco
ESPERIENZELa gioia di donare
per i diritti degli ultimi9
ASSOCIAZIONE ITALIANA AMICI DI RAOUL FOLLEREAU
BILANCIO CONSUNTIVO 2014 - STATO PATRIMONIALE
BILANCIO CONSUNTIVO 2014 - RENDICONTO DELLA GESTIONE
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since 1961 with the poorest
Editoriale
Laudato Si’
Anna Maria Pisano
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dobbiamo un enorme ringraziamento al nostro Papa Francesco per averci donato questa meravigliosa Enciclica, che ci ricorda tutta la grandezza del creato e dell’uomo, ci apre enormi orizzonti, ci richiama alle
nostre devastanti responsabilità. Un documento chiaro, rivolto a tutti, dove le terribili conseguenze delle nostre azioni dissennate risaltano umanamente e scientifi camente senza possibilità di scuse: e dovrebbe essere diffi cile per tutti rinunciare ancora una volta a cambiare rotta, perché ai nostri nipoti rimanga ancora qualcosa di questo bellissimo mondo che ci era stato dato. Per “coltivarlo e custodirlo”.Non ricordavo quel passo del Deuteronomio che, nella sua delicatezza e poesia, suona terribile condanna, se pensiamo a quanto ci discostiamo da quelle raccomandazioni nel nostro normale modo di agire, non solo con la natura ma anche con i nostri simili: purtroppo le cronache tutti i giorni ci dicono che non disturbiamo o non lediamo solo i diritti delle madri degli uccellini.Perché “Laudato si’” si riferisce e ci richiama a tutti gli esseri viventi e alla grande armonia che unisce la natura ad ogni
uomo, al “coltivare e custodire” alberi, animali e… ognuno dei nostri fratelli.“Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio”… ma “Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani”.Stiamo iniziando un altro anno sociale: un altro anno in cui, secondo la mission di Aifo, ci impegniamo a “cambiare noi per cambiare il mondo”.In questa nostra società confusa, dove l’egoismo e la ristrettezza delle idee dilaga, sarà veramente una fonte di acqua fresca leggere a fondo e rifl ettere sui vari punti
di questo documento, che dà speranza per una nuova umanità.Ogni frase è fondamentale: ma soprattutto in ogni concetto ci sono verità per le quali ogni cristiano, ogni volontario, ogni uomo degno di essere chiamato uomo deve darsi da fare.Pace, giustizia e salvaguardia del creato, che vanno insieme e non si possono separare. Approccio ecologico e prospettiva sociale, che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati.
Enormi diseguaglianze che esistono fra noi perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino più degni degli altri: lo vediamo ogni giorno, nelle nostre scelte, nelle nostre decisioni fi nanziarie e politiche e… ci sembra pure normale e dovuto.Grazie, Papa Francesco, per averci ricordato la grande dignità e la grande missione di essere semplicemente “uomini”.
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“Quando, cammin facendo,troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le
uova, non prenderai la madre che è con i fi gli”(Dt.22,4.6)
PERCHÉ “LAUDATO SI’” SI RIFERISCE E CI RICHIAMA A
TUTTI GLI ESSERI VIVENTI E ALLA GRANDE ARMONIA CHE UNISCE
LA NATURA AD OGNI UOMO, AL “COLTIVARE E CUSTODIRE”
ALBERI, ANIMALI E… OGNUNO DEI NOSTRI FRATELLI
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ProfeziaLa cura della casa comune
Primo pianoInvisibili nell’emergenzaDisabilità e migrazioni
Progetti“Cooperare per includere”spiegato a mia figlia
DossierI rifugiati nel mondo
CulturaIl riparatore di ingiustizie
IntervistaUna salute sostenibile ed equa per tutti
StrumentiSemi di verità in ogni religione
EsperienzeLa gioia di donare
di Franco Barigozzi
a cura di Daniela Bucci, Carlo Giacobini, Giovanni Merlo, Matteo Schianchi
di Valentina Pescetti
a cura di Giuseppe Benedetti
di Luciano Ardesi
intervista a Chiara Bodinia cura di Nicola Rabbi
di Susanna Bernoldi
di Raffaele Timpano
di Luciano Ardesi
Questa è l’indicazione che scaturisce dall’enciclica Laudato si’. Non si parla solo di ambiente ma di un nuovo modo di concepire il creato e della nostra responsabilità
di Franco Barigozzi
La cura della casa comune
Per la prima volta nella storia della Chiesa il titolo di un’enciclica viene preparato con le parole di San Francesco. Papa Francesco sceglie il poverello di
Assisi come testimone per eccellenza della cura verso ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità.
Come afferma padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del sacro convento di Assisi, “La responsabilità per quella che il Papa definisce casa comune, è di tutta l’umanità. Per i credenti, la bellezza del Creato è un rimando a Dio, per i non credenti un rimando al valore delle cose che ci circondano”.
Questa enciclica è una dura ma obiettiva presa di posizione sulla realtà della nostra “casa comune”, la terra con il suo Creato, e sul danno che abbiamo fatto alle cose e alle persone impostando i nostri modelli di sviluppo in maniera dissennata. Si può cambiare rotta solo attraverso l’educazione alla responsabilità ambientale, incoraggiando vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura dell’ambiente. Occorrono dunque nuovi stili di vita, attraverso piccoli gesti ordinari che possono essere compiuti da tutti. “È molto nobile assumere il compito di aver cura del creato con piccole azioni quotidiane ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dare forma a uno stile di vita”.
E fa alcuni esempi concreti: evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare
il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili e così via. Inoltre oggi i consumatori hanno un potere molto forte per correggere le distorsioni del consumismo, possono diventare protagonisti imparando a votare col portafoglio (cioè premiare le industrie rispettose dell’ambiente e dei lavoratori comprando i loro prodotti).
Ripensare il modello di sviluppoPromuovere la decrescita e la sobrietà è compito di
ognuno. La decrescita è uno dei punti nei quali il Papa pone le basi di una possibile rigenerazione dell’economia. Perché è di economia che si sta parlando e non di etica.
Siccome in natura nessuna crescita è illimitata, anche l’economia deve accettare rallentamenti e sospensioni. Ma la novità assoluta del documento papale, come afferma Stefano Zamagni, studioso attento della dottrina sociale, sta nel capitolo 5 in cui si parla di una proposta di riforma del modello di sviluppo economico globale. Per rispettare la casa comune occorre ripensare la nostra economia. “Ci sono tre dimensioni nello sviluppo di una società. Quella materiale, misurata dal Pil; quella sociale, misurata dagli indici di disuguaglianza; quella spirituale, che guarda al modo in cui sono soddisfatti i bisogni spirituali (per esempio il giorno della festa)”. Papa Francesco dice che queste tre dimensioni sono intrecciate. Non può esserci crescita del Pil senza aumento dell’uguaglianza tra gli uomini.
Vi è una crisi morale all’origine dell’avidità umana che
Fonte: archivio fotografico di Aifo
Profezia
5Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: giulio napolitano/shutterstock.com
Profezia
genera eccessi nella tecnologia, nell’economia, nella finanza e nel consumo. Per Papa Bergoglio la causa delle ferite all’ambiente naturale e sociale risiede nell’idea per cui “la libertà umana non ha limiti“. Ma ecologia ed economia hanno la stessa radice; ecologia è il discorso sulla casa comune, economia è cura della casa comune. Quindi il messaggio è che l’una sopravvive se sopravvive l’altra.
Una conversione ecologicaL’economista Luigino Bruni nel commentare il testo
afferma che è molto importante la questione del debito ecologico, uno dei passaggi più alti e profetici dell’enciclica (paragrafo 51). La logica spietata dei debiti degli Stati domina la terra, mette in ginocchio interi popoli (come nel caso della Grecia) e ne tiene sotto ricatto tanti altri. Molto potere nel mondo è esercitato in nome del debito e del credito.
Esiste però anche un grande debito ecologico del Nord del mondo nei confronti del Sud, di un 10% dell’umanità che ha costruito il proprio benessere scaricando i costi sull’atmosfera di tutti e che continua a produrre cambiamenti climatici. Il deterioramento del clima contribuisce alla desertificazione di intere regioni che influiscono sulle miserie, le morti e le migrazioni dei popoli (paragrafo 25). Una politica, che non ha al centro della propria azione l’ambiente, porterà a far sì che il problema delle migrazioni diventi nei prossimi anni ingestibile.
Occorre inoltre compiere una riflessione sul tema del lavoro (paragrafi 16 e 128). Il lavoro e la dignità sono un binomio che ha guidato fin da subito il magistero di Papa Bergoglio e che si concreta nel rapporto tra persone e realtà. Il lavoro è molto di più di una necessità per garantirsi la
sopravvivenza e mantenere con la propria fatica se stessi o una famiglia. Ecco perché, anche l’aiuto ai più poveri con somme di denaro può essere utile in momenti di emergenza, ma non può essere mai sostitutivo del diritto ad un lavoro decente. Solo il lavoro concorre a restituire la dignità alla persona che l’ha persa.
L’uomo deve rendersi conto di vivere in un ambiente fatto di interdipendenze e di rete di relazioni (con Dio, con gli altri esseri umani, con la natura). Non ci sono dunque due crisi separate, una ambientale ed un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio – ambientale (ecologia integrale). Il cuore del documento è la richiesta di una conversione ecologica da parte di tutti, “un cambiamento di rotta per la cura della casa comune”. ■
Preghiera per la nostra terra *Dio onnipotente, che sei presente in tutto l’universoe nella più piccola delle tue creature,Tu che circondi con la tua tenerezza tutto quanto esiste,riversa in noi la forza del tuo amoreaffinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza.Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorellesenza nuocere a nessuno.O Dio dei poveri,aiutaci a riscattare gli abbandonati e i dimenticati di questa terrache tanto valgono ai tuoi occhi.Risana la nostra vita,affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo,affinché seminiamo bellezzae non inquinamento e distruzione.Tocca i cuoridi quanti cercano solo vantaggia spese dei poveri e della terra.Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,a contemplare con stupore,a riconoscere che siamo profondamente uniticon tutte le creaturenel nostro cammino verso la tua luce infinita.Grazie perché sei con noi tutti i giorni.Sostienici, per favore, nella nostra lottaper la giustizia, l’amore e la pace.
*La preghiera di papa Francesco per tutti coloro che credono in un Dio creatore onnipotente, qualunque sia la loro fede.
6 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte:Renata Sedmakova / Shutterstock.com
I migranti con disabilità in Italia sono lontani dalle associazioni e dai servizi, poco informati sui loro diritti, intenzionati a integrarsi. La scuola come vero unico punto di riferimento.
Fotografia, sfocata, di un fenomeno sconosciuto
a cura di Daniela Bucci, Carlo Giacobini, Giovanni Merlo e Matteo Schianchi
Invisibili nell’emergenza
Quanti sono? Dove vivono? Come vivono? I loro diritti, almeno sulla carta, sono rispettati? Che cosa possono fare le associazioni delle persone
con disabilità per coinvolgerli nelle loro attività? Stiamo parlando delle persone straniere con disabilità che vivono, spesso da molti anni, nel nostro paese. La FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap) ha preso atto della scarsa conoscenza del fenomeno e delle poche relazioni che le associazioni delle persone con disabilità hanno con questi migranti. È nato così un progetto di ricerca per far emergere ciò che rimane invisibile nell’emergenza migrazioni, ma alla fine del percorso si rimane con la sensazione di saperne ancora troppo poco.
Quanti sono?La letteratura scientifica in Italia è ancora carente
sul tema: le ricerche e le statistiche non restituiscono informazioni capaci di cogliere la doppia condizione di persona di origine straniera e con disabilità. Pochi i numeri certi.
Secondo il MIUR gli alunni stranieri con disabilità sono
26.626, ovvero il 3,3% degli studenti stranieri e ben l’11,5% degli studenti con disabilità. La scuola è considerata un punto di riferimento significativo, non solo rispetto ai compiti che le sono propri, ma in quanto nodo di accesso privilegiato a tutta la rete dei servizi.
In tema di lavoro, nel 2013 gli extracomunitari con disabilità iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio erano 13.108 su 676.775 iscritti complessivi, pari all’1,9% del totale.
Di questi il 37,4% sono donne (4.906). Dal 2006 al 2013 gli iscritti extracomunitari con disabilità sono quasi triplicati, ma, se osserviamo il numero delle iscrizioni avvenute nel corso di ogni singolo anno, il numero degli iscritti nel 2013 ha registrato un calo significativo rispetto all’anno precedente (-6,1%).
Se guardiamo agli ospiti dei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari (ISTAT, 2012) i minori con disabilità e disturbi mentali sono 2.593 di cui 338 stranieri (13%). Gli adulti con disabilità e patologia psichiatrica 49.159 di cui 846 stranieri (1,7%) e gli anziani non autosufficienti 205.258 di cui 278 stranieri (0,1%).
Primo Piano
7Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: wavebreakmedia/shutterstock.com
Diritti poco noti o distortiDalla lettura della normativa emergono alcuni elementi
sostanziali meritevoli di approfondimento.Il riconoscimento di status di invalido civile e persona con
handicap è un diritto fissato dal 1998 per gli stranieri residenti in Italia al di là della durata del permesso di soggiorno. Spesso questo diritto non è noto o è oggetto di distorsioni informative.
Diritto alle provvidenze economiche di natura assistenziale: spettano agli stranieri ad alcune condizioni, peraltro oggetto di una serie di pronunciamenti della Corte Costituzionale. La concessione, ancora oggi, è oggetto di confusione informativa, o di errata applicazione.
Diritto allo studio: gli studenti migranti con disabilità iscritti alle scuole italiane hanno diritto ai medesimi supporti previsti per i loro coetanei italiani nelle medesime condizioni.
Assegni familiari: nel 2014 l’Italia è stata condannata per violazione della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti Umani), per non aver concesso in condizioni di parità con i cittadini l’erogazione di prestazioni sociali ad un cittadino tunisino, padre di 4 figli, residente regolarmente in Italia.
Accesso alle cure/riabilitazione: nella normativa sanitaria esiste una frastagliata graduazione dei livelli di cura e, sopratutto, di riabilitazione a seconda dello status del migrante.
Storie di vitaSi tratta di aspetti emersi da una ventina di interviste
con persone con disabilità e familiari incontrate in diverse regioni italiane e da alcune “testimonianze indirette.”
Le associazioni? Non le conosciamo.Le associazioni delle persone con disabilità sembrano
poco permeabili alla realtà dell’immigrazione. Gli immigrati non ne conoscono l’esistenza e quando le
incontrano può capitare che “l’associazione non ha saputo aiutarci perché non conosceva le norme riguardanti i cittadini stranieri”.
Hai detto discriminazione?La domanda “ci sono occasioni in cui ti senti
discriminato?” faceva parte del protocollo delle interviste. Le risposte hanno evidenziato alcune difficoltà a cogliere il concetto di discriminazione. Sotto il termine discriminazione ci va un po’ di tutto, dalle diverse forme di solitudine (gran parte di queste persone ha scarsi legami sia con gli italiani, sia con immigrati) fino alla percezione di ricevere trattamenti diversi in quanto stranieri.
Alti livelli di sopportazione. Resilienza?Le storie di vita raccolte, hanno evidenziato un alto
livello di sopportazione delle difficili situazioni di vita legate all’essere immigrati e persone con disabilità. L’arrivo in un paese occidentale, sembra rappresentare non solo una speranza, ma un’occasione di maggiore riconoscimento. Una situazione che non sembrano vivere nel loro paese d’origine. Questa collocazione sociale, tuttavia, sembra condurre le persone ad aspirare allo “statuto di disabile”, piuttosto che a quello di “cittadino”, dando per scontata la condizione di disabilità come naturalmente degradata e degradante.” ■
Migrazioni e disabilità in ItaliaIl progetto di ricerca “Migranti con disabilità: conoscere il fenomeno per tutelare i diritti”, è stato promosso dalla FISH, una delle associazioni con cui Aifo collabora nel corso delle sue attività relative alla disabilità. Cofinanziata con i fondi della legge 383/2000, la ricerca è stata realizzata in collaborazione con diverse realtà associative e istituzionali. Il percorso è durato un anno, per iniziare a conoscere situazioni di cui si sa poco, si parla poco e sembrano anche interessare a pochi. Tre i filoni di ricerca: normativo, statistico e biografico. I primi risultati della ricerca sono stati presentati alla Camera dei deputati all’inizio del giugno 2015.Per una sintesi dei risultati si veda il sito della FISH:www.fishonlus.it/2015/05/28/migrazione-e-disabilita-invisibili-nellemergenza/ Si veda anche il sito del Progetto:www.fishonlus.it/migranti/
Primo Piano
8 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: hikrcn/shutterstock.com
Il progetto Aifo per la valutazione del Piano d’azione su disabilità e sviluppo intende migliorare la qualità dei progetti, e offrire strumenti e occasioni di formazione a chi lavora nella cooperazione
di Valentina Pescetti
“Cooperare per includere”, spiegato a mia figlia
Amore mio, tra pochi giorni ricomincerai la scuola, e torneremo a inseguire tutti gli obiettivi che nella vita ci diamo. Con la fatica dei ritmi incalzanti,
ma anche con il piacere di sentire, nel cuore e nella testa, che cresciamo. Sì, perché cresci tu, che sei adolescente, e cresco io, che ho scelto di lavorare nel sociale e coordino un progetto breve ma intenso. Te lo racconto, cercando di usare un linguaggio vicino al tuo mondo, sperando che tu possa capire cosa faccio e dirmi se, secondo te, il progetto può contribuire, nel suo piccolo, a migliorare la realtà in cui viviamo.
Aifo, l’associazione per cui lavoro, è nata dieci anni prima che io nascessi, per curare le persone malate di lebbra ed educare la società a non escluderle a causa di paure e pregiudizi. Da tempo, però, Aifo lavora anche affianco ad altre persone che non possono quasi mai godere degli stessi diritti del resto dell’umanità: quelle che hanno una disabilità.
Nella tua esperienza scolastica hai sempre avuto dei compagni e delle compagne di classe con una disabilità. È stata una fortuna, perché le tue insegnanti hanno saputo cogliere l’opportunità rappresentata da questa differenza per educarvi all’ascolto, alla lentezza, alla curiosità e alla gioia di scoprire modi diversi di vedere e di pensare. Non è poco, dato che viviamo in un’epoca che tende a far fare, in fretta, a tutti le stesse cose, e a ridurre le relazioni a SMS.
Includere i bisogni della disabilitàAnche Aifo ha saputo cogliere l’opportunità data dal
condividere con persone con disabilità percorsi di lavoro per una società più giusta. Essendo parte della RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), che è composta da organizzazioni non governative e da associazioni di persone con disabilità, Aifo sta continuando a collaborare con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Italiana per applicare il “Piano d’azione su disabilità e sviluppo”. Il Piano è uno strumento che la RIDS e il Ministero hanno redatto, insieme ad altre associazioni, per definire come l’Italia debba muoversi sia per fare progetti dedicati a persone con disabilità, sia per includere i bisogni e i diritti di queste persone in tutti i progetti di cooperazione.
Per tornare all’esempio della tua scuola, è come il regolamento nel quale sta scritto che, in caso d’incendio, deve essere salvata anche la tua compagna che ha difficoltà di espressione e che, se la tua classe va in gita, ha il diritto di venire anche lei; che, nella quotidianità, ci deve essere un insegnante di sostegno, per fare in modo non solo che lei partecipi alle lezioni, ma anche che il resto della classe cresca, umanamente, grazie alla sua partecipazione. Com’è accaduto per il regolamento scolastico, che si è evoluto nel tempo, anche il Piano d’azione su disabilità e sviluppo è stato approvato da pochi anni, è quindi importante
Progetti
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I RIFUGIATI NEL MONDO
Strumenti per includereIl titolo del progetto è: “Cooperare per includere. L’impegno dell’Italia sulla disabilità e cooperazione allo sviluppo”. Vede Aifo come capo progetto, e EducAid, Dpi, Fish come partner. Il Progetto, iniziato nel dicembre 2014, terminerà alla fi ne dell’anno. È reso possibile grazie al cofi nanziamento del Ministero degli Aff ari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Strumenti utili per gruppi Aifo: • una mostra itinerante “Diritti accessibili” (vedi Appello in quarta di copertina); • una guida per docenti; • seminari webinar; • materiali di sensibilizzazione.
Per maggiori informazioni sul progetto si veda il sito di Aifo:www.aifo.it/comunicazione/news/articolo/al-via-il-progetto-cooperare-per-includere#sthash.PQSFEgxZ.dpufPer la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità: www.dpitalia.org/convenzione-onu-sui-diritti-delle-persone-con-disabilita/Per la RIDS: www.ridsnetwork.org/
impegnarsi per avviarlo, monitorarlo, favorire la sua piena adozione.
Per questo è nato il progetto “Cooperare per includere”. È prevista, infatti, la mappatura di tutti i progetti di emergenza e cooperazione allo sviluppo attenti alla disabilità fi nanziati dal Ministero dal 2009 ad oggi. Questo ci serve per verifi care se e quanto il Piano d’azione riesca a infl uenzare le politiche di redistribuzione dei fondi che l’Italia stanzia per aiutare i paesi a basso reddito e quelli colpiti da guerre, carestie, disastri. Oltre alla quantità di soldi stanziata, però, bisogna fare attenzione alla qualità dei progetti, off rendo strumenti e occasioni di formazione a chi lavora nella cooperazione.
Lavorare insiemeStiamo quindi organizzando diversi seminari: in
Palestina, Mozambico e Tunisia gli/le operatori/trici della cooperazione, e in Italia presso le università e on line (via internet), per chi lavora nel sociale. Il progetto realizzerà poi una conferenza internazionale, per aumentare le possibilità progettuali a livello europeo, e ha pubblicato un manuale che off re esempi di progetti non solo per le persone con disabilità, ma proprio insieme a loro.
In tanti anni di serio lavoro, infatti, Aifo ha constatato che lavorare insieme alle associazioni di persone con disabilità consente di fare meglio, con meno costi e con un benessere duraturo ed estendibile a tutta la comunità. Le persone con disabilità, le loro famiglie e le loro associazioni di riferimento, infatti, hanno esperienza dei problemi e delle soluzioni possibili, e hanno voglia e interesse a impegnarsi per rendere le comunità inclusive, ovvero capaci di riconoscere i diritti e il valore di chi è “diverso”.
Imparare gli uni dagli altriSi tratta di superare l’approccio assistenzialistico
e caritatevole, verticale – il forte aiuta il debole, il ricco fa l’elemosina al povero - per assumere quello partecipativo, orizzontale, in cui persone con diverse capacità e competenze, ma uguali diritti, imparano le une dalle altre e collaborano per costruire una società senza discriminazione.
Questo approccio, basato sui diritti e sulla partecipazione, si contrappone al fare le cose per buonismo, al delegare, al disinteressarsi. Basato sulle potenzialità della comunità – del fare insieme - e sulla libertà di scelta di ogni persona, a prescindere dalle sue caratteristiche umane, si contrappone all’isolamento, all’esclusione, alla prepotenza del voler decidere per gli altri. Ecco le motivazioni del mio lavoro: sento che di questi valori c’è molto bisogno ovunque, anche in Italia, e so che questo impegno può migliorare la vita di tante persone, e anche la nostra.
Il progetto sta preparando, per esempio, una mostra che illustra con foto e video cosa succede a promuovere i diritti delle persone con disabilità, percorsi laboratoriali per le scuole e, per dicembre, una campagna di sensibilizzazione … mi darai una mano? ■
Progetti
10 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: Archivio fotografico di Aifo
Fonte: hikrcn/shutterstock.com
Le persone che sono costrette ad abbandonare le proprie case sono sempre più numerose a causa di nuove guerre e violenze, mentre nuovi muri di parole, di norme e di indifferenza si
moltiplicano
a cura di Giuseppe Benedetti
I RIFUGIATI NEL MONDO
GLI ULTIMI, SALVATI DAGLI ULTIMI
Chi sono quelli? Quali? Quelli laggiù? Il mio accompagnatore mi dice “Sono scappati attraverso il Sahara, sono profughi”. Ho
esitato qualche istante, perché questo dialogo, avvenuto dieci anni fa nel Sahara, non mi suonava del tutto nuovo. Certo, ora mi parlano di profughi, mentre ricordavo quel brano da antologia che Follereau ci ha lasciato a metà degli anni 30 sul suo primo incontro con i lebbrosi, nel deserto africano.
Questa volta non ci sono dif� coltà ad avvicinarli. Sono una cinquantina, tra questi Petros. È eritreo, ed è in viaggio insieme ad altri africani. È scappato dal paese, perché non vuole restare nell’esercito. È un disertore, ha rischiato grosso, ma mai quanto nella sua recente avventura che non si è ancora conclusa. È in viaggio da circa nove mesi. Tappe segnate ogni volta da incidenti, da lunghe soste, per aspettare il momento più opportuno per proseguire.
“Ho attraversato tutto il Sahara e sono arrivato in Algeria e da qui, con un passeur sono entrato a piedi in Marocco”. Dalla frontiera è andato a Nador, poi a Melilla. È riuscito ad entrare nella enclave spagnola ma la Guardia civile lo ha rispedito indietro con altri profughi e migranti. “La polizia marocchina ci caricati su un camion ammanettati, e ci ha portati nel sud, nel deserto”. Petros e gli altri sono stati abbandonati, senza cibo e acqua. Alcuni sono morti, tra cui una donna, “Pensavo sarei morto anch’io – dice Petros – non sapevamo da che parte andare”.
Petros e gli altri devono la loro salvezza ai sahrawi, che vivono nella parte del Sahara Occidentale che non è occupato dal Marocco, e che rivendicano l’indipendenza del loro paese, l’ultima colonia africana. Gli ultimi hanno salvato altri ultimi. Saprò qualche settimana più tardi che la Croce Rossa internazionale si è fatto carico di loro.
Luciano Ardesi
DOSSIER
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PAROLE COME MURINon è facile capire quello che sta succedendo
attorno a noi tra continue emergenze, a cominciare da quella economica, bombardamenti di immagini e di notizie da una parte, e vuoti di informazioni documentate dall’altra. Prendiamo il caso dei profughi: in Italia si continua a parlare da anni di emergenze, di “invasioni”, eppure i numeri ci dicono cose diverse. Anche le parole dovrebbero comunicare signi� cati diversi.
Invece tutto sta dentro in una bolla mediatica da cui è veramente complicato sapere come stanno le cose. Chi sono i rifugiati? Quanti sono? Da dove vengono, dove vogliono andare? Siamo un po’ come dei pesci rossi che stanno dentro il loro vaso di vetro e che cercano di immaginarsi che cosa accade fuori.
Un “rifugiato” è una persona che si trova fuori dal proprio paese e teme, a ragione, di essere perseguitato a causa della sua appartenenza a una razza, religione, nazionalità o ad un gruppo sociale, oppure per le proprie opinioni politiche. Per questi motivi questa persona è fuggita dal proprio paese oppure non vuole o non può più farvi ritorno. Rifugiati sono anche gli apolidi, coloro che non hanno una cittadinanza, che si trovano fuori dal paese dove avevano la loro residenza abituale e che per gli stessi motivi non possono o non vogliono ritornarvi.
Una Convenzione internazionale, la cosiddetta Convenzione di Ginevra del 1951 dà una de� nizione rigorosa di chi sia un rifugiato. Nel corso degli anni questa de� nizione è diventata un fondamentale
punto di riferimento, poiché la stessa Convenzione impone agli stati di dare protezione ai rifugiati. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) è l’agenzia specializzata dell’Onu creata proprio per garantire questa protezione internazionale e il rispetto del diritto d’asilo.
La stessa de� nizione è però un elemento di esclusione. Un povero che teme per la vita sua e della famiglia non è, stando alla lettera della Convenzione, un rifugiato. Non lo è un migrante che cerca in un altro paese una migliore condizione economica.
La ragione di questa distinzione è dettata dall’esigenza di salvaguardare la vita e la dignità di persone che rischiano la morte, la prigione, la tortura a causa di guerre o della persecuzione di cui sono vittime. Ma se pensiamo ai 795 milioni di persone
87.000
75.000
63.500
121.000
173.000Germania
Stati Uniti
Turchia
Svezia
Italia
FORSE NON SAPEVI CHE...
UNHCR. Per saperne di più: www.unhcr.it/statistiche
I primi cinque paesi di accoglienza hannoraccolto il 60 per cento circa di tutte le nuove
domande d'asilo nel 2014 (866.000)
QUELLI CHE NON ARRIVERANNO MAI. GLI SFOLLATI
Come ricordato, “rifugiato” è colui che è fuori dal paese da cui è minacciato. E quelli che rimangono? Quelli che non sono riusciti a fuggire? Sono gli “sfollati” interni.
Poiché non premono alle frontiere degli altri stati o dei paesi ricchi se ne parla poco. Un piccolo passo in avanti si è cominciato ad ottenerlo da quando dapprima le Ong, poi alcune agenzie governative, e in� ne anche l’Onu, hanno iniziato ad occuparsi di quelle persone che non potendo lasciare il paese sono comunque minacciate e perseguitate e rischiano come i rifugiati. Questi sfollati sono in continua crescita, soprattutto a causa delle violenze di diversa natura e delle guerre moderne che, più che gli eserciti, coinvolgono soprattutto la popolazione civile.
L’Acnur è stata autorizzata ad occuparsi anche degli sfollati, a condizione che il governo del paese sia d’accordo o comunque non intenda opporsi alla protezione umanitaria. Si tratta ancora di una minoranza di paesi coinvolti in con� itti o in diverse forme di persecuzione.
Secondo il Consiglio norvegese per i rifugiati, da anni all’avanguardia nel sensibilizzare i governi su questo problema, ci sono nel mondo almeno 38,2 milioni di sfollati.
La situazione è drammatica soprattutto in alcuni paesi: in Iraq sono 2 milioni 200mila, in Siria 7 milioni e 700mila, il 40% della popolazione totale! E per la prima volta da molti anni anche l’Europa è nuovamente investita dal problema a seguito della crisi in Ucraina: 646.500 persone si sono spostate all’interno del paese nel solo 2014.
DOSSIER
che nel mondo soffrono la fame, c’è da chiedersi quanti sono tra queste persone i candidati a morte sicura, o comunque alla perdita di una vita dignitosa. Anche loro avrebbero diritto ad una protezione, ad avere dei diritti, a cominciare dal diritto al cibo.
Questo diritto fondamentale rimane però ancora “sospeso” nell’aria delle buone intenzioni di governi, agenzie dell’Onu o degli altri organismi internazionali. Sono le associazioni di solidarietà, le Ong ad assediare istituzioni nazionali e internazionali a fare di più, a convogliare aiuti, volontariato, coscienze verso i poveri, verso coloro che soffrono la fame, la malattia, la mancanza di dignità e di giustizia. Si sforzano, come Aifo, di tradurre l’impegno di Raoul Follereau di “impedire ai responsabili di dormire”.
Per poter essere protetti come rifugiati, oltre ad averne le ragioni, bisogna essere già fuori dal proprio paese o, nel caso degli apolidi, dal paese di residenza abituale. Proprio questo è oggi uno dei problemi maggiori. Quando la Convenzione di Ginevra venne pensata si era in piena guerra fredda, allora era la “cortina di ferro”, di cui il Muro di Berlino era la rappresentazione più emblematica, ad impedire i dissidenti a uscire dall’impero sovietico per cercare asilo.
Caduto il Muro, � nita la guerra fredda, cancellata la “cortina di ferro”, la cosiddetta globalizzazione, che doveva abbattere le barriere, ha costruito muri ancora più alti, rendendo l’ingresso nei paesi ricchi, ma non solo, più dif� cile e pericoloso. Candidarsi a diventare rifugiato è talvolta più rischioso che subire una persecuzione in patria. Le politiche di respingimento dell’Italia e degli altri paesi, non solo europei, mettono a rischio chi cerca asilo, cioè la possibilità di essere riconosciuto come rifugiato e di ricevere protezione.
Non sono solo le navi da guerra schierate nel Mediterraneo, o i muri già costruiti o prossimi a essere edi� cati, come quello lungo la frontiera tra Ungheria e Serbia, ma anche le norme internazionali (si pensi alla Convenzione di Dublino in sede europea) o nazionali e il corollario di burocrazia, di mancanza di volontà politica, di cieco egoismo fomentato dai populisti in cerca di facile clientela.
Lo strumento più ef� cace è quello di fare l’amalgama tra rifugiati e migranti. È vero che seguono spesso piste comuni, si pensi ai siriani che fuggono dalla guerra di Assad e dell’Isis, ma fa comodo ai populisti accentuare gli allarmi e le paure, magari anche a suon di numeri.
13Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Principali paesi d'origine dei richiedenti asilo in Europa
Siria
47.500Eritrea
66.000Iraq
Numero di richieste d'asilo
Afghanistan58.000
UNHCR. Per saperne di più: www.unhcr.it/statistiche
55.000Serbia e Kosovo
DOSSIER
LA FORTEZZA EUROPAL’invasione è ormai il concetto più usato in
Italia e in Europa per descrivere l’umanità in fuga. Eppure 9 rifugiati su 10, l’86%, sono ospitati nelle regioni meno sviluppate, e oltre un quarto nei paesi più poveri economicamente. I paesi che accolgono più rifugiati sono la Turchia, il Pakistan e il Libano. In quest’ultimo paese i rifugiati costituiscono quasi un quarto (23,2%) della popolazione totale.
Se consideriamo i rifugiati, l’Italia accoglie un numero molto modesto di rifugiati, 1 ogni mille abitanti, contro gli 11 della Svezia o i 3,5 della Francia. Ma anche per questi paesi i numeri rimangono contenuti, se pensiamo al resto del mondo. La Fortezza Europa intanto continua ad esportare armi, e quindi con� itti, cui si accompagnano squilibri commerciali e pertanto ingiustizie. Ma tira su i ponti levatoi verso chi ha contribuito a sradicare dalle loro terre.
IL POPOLO DEI PROFUGHISecondo l’ultimo rapporto annuale dell’Acnur,
alla � ne del 2014 i rifugiati nel mondo erano 19,5 milioni. Di queste 14,4 milioni sono sotto la protezione dell’Acnur, gli altri 5,1 milioni sono rifugiati palestinesi che fanno riferimento ad un’altra, speci� ca agenzia dell’Onu, creata apposta per loro, l’Unrwa. I palestinesi rimangono dunque la comunità di rifugiati più numerosa nel mondo, seguita oggi a sempre più breve distanza da quella siriana, 3,88 milioni alla � ne dello scorso anno, ma già 4 milioni all’inizio dell’estate 2015.
La Siria ha superato infatti l’Afghanistan con 2,59 milioni di rifugiati e la Somalia, con 1,11 milioni. Questi 3 paesi da soli rappresentano oltre la metà (53%) dei rifugiati nel mondo sotto la protezione dell’Acnur. Guardando queste cifre si scopre che la metà dei rifugiati ha meno di 18 anni. Il sogno di ogni rifugiato è tornare nella propria patria, ma nell’ultimo anno solo 126.800 rifugiati vi hanno fatto ritorno, il numero più basso dal 1983, segno del perdurare delle crisi.
Ma i rifugiati sono solo uno degli aspetti delle violenze e delle guerre. Gli sfollati interni sono infatti ancora più numerosi (cfr. il box), e raggiungono i 38,2 milioni, quasi il doppio dei rifugiati. Se a queste cifre aggiungiamo i richiedenti asilo, vale a dire i rifugiati che hanno fatto richiesta di asilo ma sono in attesa di una decisione del paese dove hanno presentato la domanda (1,8 milioni) abbiamo che nel mondo 59,5 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case o non possono farvi ritorno. Rispetto al 2013 si è avuto un aumento di 8,3 milioni, l’incremento più alto mai registrato in 12 mesi. Dieci anni fa le persone costrette a lasciare le proprie case erano solo 37.5 milioni.
Ciò da la misura dell’aggravarsi della situazione nel mondo. All’origine di questa accelerazione c’è la crisi in Siria a partire dal 2011, e poi il riaccendersi
Fonte: thomas koch/shutterstock.com
di nuovi con� itti, 15 negli ultimi cinque anni. Nel 2014 ogni giorno, in media, 42.500 persone, hanno dovuto lasciare le proprie case e sono diventate rifugiati, richiedenti asilo o sfollati interni. Se tutte queste persone che hanno lasciato le proprie case si riunissero in un unico territorio statale, formerebbero un paese al 24° posto per numero di abitanti, poco dietro l’Italia.
Di fronte a questa progressione ve n’è un’altra ancora più terribile, quella degli ostacoli ad accogliere i rifugiati, a dare loro asilo, dell’incapacità, della mancanza di volontà a far fronte a questi � ussi. Contemporaneamente conferenze, accordi di pace, buone promesse non riescono a fermare le guerre e le violenze che sono causa di questi drammi. ■
DOSSIER
14 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Il primo romanzo di Francesco Colizzi, L’aggiustatore di destini, rinvia non solo all’esperienza professionale ed umana dell’ex-presidente Aifo, ma alla visione del mondo
attraverso il suo impegno socialedi Luciano Ardesi
Il riparatore di ingiustizie
Il riparatore in questione è il dottor Giovanni Nilo, giovane psichiatra di Lecce che fin dalle prime pagine del romanzo appare come un medico attento, umano,
coinvolto nel suo mestiere. Impegnato a ridurre il dolore mentale, Giovanni si sentiva talvolta un “aggiustatore di destini”, al pari del desiderio che Georges Simenon aveva attribuito alla sua celebre creatura, il commissario Maigret.
La professione, la terra pugliese, l’umanità, i riferimenti ad alcuni luoghi lontani (Nepal, India), persino alcune citazioni (“nessuno ha il diritto di salvarsi da solo”) faranno pensare a molti lettori di questa rivista all’autore del romanzo, Franco Colizzi, psichiatra, direttore del Centro di Salute mentale di Brindisi-San Vito dei Normanni, e già presidente di Aifo (2005-2011), e oggi Coordinatore Regionale Aifo per la Puglia. I lettori ricorderanno i suoi editoriali, i suoi reportage, i suoi interventi ai Convegni Aifo. Chi li avesse perduti o volesse rileggerli li può trovare nei due volumi antologici editi da La Meridiana di Molfetta (BA), Un potere più grande. La sapienza della lebbra (2010), e Eutopia. La civiltà dell ’amore (2012).
Il lettore cercherebbe tuttavia invano nella storia del dottor Giovanni Nilo e della sua compagna Emma, nel
loro intenso rapporto affettivo ed erotico, nelle vicende dei pazienti, la storia personale, quotidiana di Franco Colizzi. La finzione romanzesca si deve arrendere alle esigenze narrative, soprattutto in una materia umana così delicata come quella cui si trova quotidianamente confrontato uno psichiatra. Nomi di pazienti, riferimenti di luoghi, vicende e percorsi terapeutici fanno tutti parte di questa finzione. Ma allo stesso tempo questa finzione si arresta di fronte alle sofferenze mentali, e non solo, delle donne e degli uomini del romanzo.
Letteratura e terapiaSi tratta di persone, di angosce, di paure, di dolori, di
“malattie” vere, nel senso che nell’esperienza professionale del dottor Giovanni/Franco questi casi clinici ed umani in momenti diversi, con nomi e luoghi ovviamente inventati, scomposti e poi diversamente intrecciati sono realmente accaduti. A cominciare, come Colizzi ama svelare, dal primo enigmatico episodio all’inizio del romanzo che coinvolge il dottor Nilo, giovane medico specializzando ma non ancora psichiatra.
Il romanzo si dipana nel racconto di storie che si
Fonte: Archivio fotografico di Aifo
Cultura
15Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Cultura
sviluppano talvolta in momenti diversi ma di cui il lettore non ha diffi coltà a ricostruire il fi lo narrativo. Sono storie “vere”, per questo molto intense umanamente. Catturano il lettore e la sua attesa, ma i riferimenti al commissario Maigret terminano qui, non si tratta di un giallo dagli esiti imprevedibili, ma di un’indagine profonda nell’animo umano, questo sì. Il lettore non dovrà stupirsi, o spaventarsi, se in talune vicende umane potrà riconoscersi anche da lontano.
Sono storie che possono toccare tutti, anche se non personalmente, attraverso il susseguirsi delle vicende della vita, ed anche della cronaca. Come nel tragico destino di una collega del dottor Nilo, di cui gli organi di informazione pugliesi e nazionali si sono dovuti eff ettivamente occupare qualche anno fa.
Nel romanzo c’è posto anche alla narrazione/citazione letteraria. E qui certamente il dottor Nilo/Colizzi si scopre nella sua vena di appassionato lettore e di amante della letteratura. Del resto il dottor Nilo è “convinto che ci sono grandi affi nità tra la scrittura e la terapia” come si coglie nella sua conversazione con uno scrittore sardo (“gli psicoterapeuti sono più somiglianti agli scrittori”).
È attraverso la letteratura, ad esempio di un Čechov, e non solo la formazione e la pratica di psichiatra che il dottor Nilo/Colizzi osserva lo stato dell’arte della propria professione: “Nel mondo il manicomio, assieme all’abbandono, resta la risposta più comune che le diverse società danno alla malattia mentale. E poi, in Italia, è davvero morta la logica subdola delle istituzioni totali?”.
Solo con l’aiuto dei pazientiIl caso ha voluto che l’uscita del romanzo coincidesse
con il terremoto in Nepal. Ai lettori che hanno seguito gli appelli di Aifo per la ricostruzione del paese, farà forse piacere leggere le pagine dell’intensa corrispondenza di Emma col suo innamoratissimo dottor Giovanni, mentre lei si trova in Nepal. Pagine che meglio di altre narrazioni fanno capire la realtà di quel paese e le sfi de che si trova da tempo ad aff rontare, ben prima dell’ultimo disastro naturale. E molti insegnanti si ritroveranno in un “illuminante” detto che Emma scova durante il suo soggiorno nepalese: “chi insegna è come una candela che si consuma per illuminare gli altri” e nel commento della stessa Emma “Questo è, veramente, il mio lavoro, non quello scritto nei programmi ministeriali!”.
Queste perle non devono farci dimenticare che nel romanzo la narrazione procede a momenti per tappe davvero emblematiche, dolorose, perfi no violente. La vicenda di Lucia, che corre lungo tutto il romanzo, è l’occasione di tante domande e di incerte risposte. Dietro una “malattia” si possono celare vicende crudeli, destinate a restare occulte senza il lavoro di scavo che paziente e psichiatra conducono insieme. E lo psichiatra si interroga non solo sul destino degli altri, ma anche sul proprio. “Chi aveva rattoppato il suo destino?” Oppure come continuare a diventare terapeuti? “Possibile solo con l’aiuto dei «pazienti», … solo nell’incontro, nella relazione con loro”.
Il “riparatore di destini” si trova confrontato a qualcosa di più profondo, ad un’ingiustizia diff usa che coinvolge la società oltre le singole persone, che davanti allo psichiatra si materializzano come “pazienti”. In fondo è a loro che si sentiva di dover essere riconoscente. E per loro, e non solo, sentiva il dovere di lottare contro l’ingiustizia. ■
Francesco Colizzi, L’aggiustatore dei destini, Manni Editori, San Cesario di Lecce, 2015, pp. 168, 16,00€. (www.mannieditori.it)
Fonte: Archivio fotografico di Aifo
16 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: creativa images/shutterstock.com
La “Carta di Bologna” è un manifesto dove si afferma che la qualità della salute non dipende solo dall’offerta dei servizi sanitari ma anche dalla promozione di un ambiente
di vita e di lavoro salutare
Intervista a Chiara Bodini a cura di Nicola Rabbi
Una salute sostenibile ed equa per tutti
Chiara Bodini, medico specializzato in Malattie infettive e Sanità pubblica, è la rappresentante per l’Europa del People’s Health Movement
(www.phmovement.org), e fa parte del Centro di Salute Internazionale dell’Università di Bologna (www.csiunibo.org) Che cos’è la Rete Sostenibilità e Salute?È una rete di 21 associazioni sorta nel giugno 2014 anche se ha alle spalle un lavoro di preparazione per arrivare a questo risultato. Nell’ottobre del 2013 si è svolta alla Camera dei Deputati la prima conferenza nazionale su “Crescita e sostenibilità della salute: associazione e politica a confronto”. Il “Movimento per la decrescita felice”, settore salute, ha organizzato questa conferenza dove ha invitato una serie di realtà che si occupano di salute, ambiente, diritti, per discutere sul legame che esiste tra sviluppo economico e sostenibilità della salute; erano stati
invitati anche dei rappresentanti politici per intavolare un dibattito ma sono venuti in pochi, invece c’è stata una grande affl uenza della società civile.
L’idea della rete è quella di superare gli individualismi delle singole associazioni e gruppi. Mettersi in rete, è un esercizio diffi cile, signifi ca ascoltare altri linguaggi, sensazioni e realtà, ma è molto arricchente. Fra noi sono presenti gruppi molti diversi come impostazione; ad esempio, c’è chi propone medicine non tradizionali e chi addirittura si oppone a esse.
Che cos’è Carta di Bologna per la Sostenibilità e la Salute?
Dopo quell’incontro si è pensato di continuare il lavoro che alla fi ne ha portato alla Carta di Bologna, approvata nel giugno 2014 e che rappresenta il manifesto della rete. Il concetto principale è questo: con sostenibilità della salute
Carta di Bolognadipende solo dall’offerta dei servizi sanitari ma anche dalla promozione di un ambiente
Intervista
17Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Intervista
non s’intende solo parlare di offerta dei servizi sanitari ma anche della promozione di un ambiente di vita e di lavoro salutare. L’attuale modello di sviluppo è invece collegato alla distruzione dell’ambiente e c’è una tendenza spiccata a organizzare il settore della salute in un’ottica mercantilistica, puntando sull’aspetto economico e di mercato. Questo porta alla tendenza dell’ipermedicalizzazione portata avanti dagli interessi economici di case farmaceutiche e altri soggetti del settore.
La Carta invita, da un lato, ad avere uno sguardo ampio sulla salute, secondo un’ottica della sua promozione e, dall’altro, vuole ridurre l’effetto del mercato nelle cure e nei servizi.
Un altro aspetto riguarda invece la partecipazione, in senso comunitario, cioè vuole riportare il discorso della salute a un dibattito cittadino; ma è importante anche la partecipazione del singolo, della persona, cosa che comporta una relativizzazione dei saperi tecnici.
La crescita economica non è dunque il volano per la crescita della salute?
C’è una correlazione tra Pil procapite e salute ma questo è valido solo quando si parla di bassi livelli di Pil; in questo caso la connessione tra povertà e salute è evidente. Ma al di sopra di una certa soglia, nei paesi benestanti dove il Pil è elevato, questa correlazione si perde. Prendiamo come esempio i paesi dell’Ocse; in questi stati non c’è correlazione tra Pil procapite e aspettativa di vita media.
Si può aggiungere a proposito anche un’altra osservazione: i paesi che hanno minori tassi di disuguaglianza interna hanno migliori esiti in fatto di salute; ovvero se la ricchezza è meglio distribuita anche la salute in generale ci guadagna.
Voi parlate espressamente dell’inutilità di molti esami medici, che possono essere addirittura dannosi e che non sono sostenibili economicamente: non sono affermazioni molto impopolari tra i cittadini?
È documentato che molti esami medici non servono a niente e addirittura alcuni di essi fanno male. Queste cose i professionisti le devono sapere; la formazione nelle scuole di medicina non t’insegna questo, non t’insegna a farti sempre delle domande. La società cambia, il paziente che hai di fronte a te cambia e bisogna farsi delle domande e trovare delle risposte per quella data situazione. Noi invece siamo dentro ad un paradigma molto diverso, di standardizzazione che è motivato dagli interessi dell’industria dei farmaci, dei presidi sanitari, dell’industria biomedica in generale.
Un altro fattore che influenza l’aumento degli esami medici riguarda lo sviluppo della “medicina difensiva”, ovvero il medico fa tutta una serie d’indagini per ridurre il rischio che il paziente gli faccia causa se si verificano degli errori.
Un termine che viene usato nella Carta è medicalizzazione della salute, sembra quasi un ossimoro, cosa intendete con questo concetto?
È dimostrato che l’80 - 85 % dei bisogni di salute o dei fattori che determinano la salute dipende dall’ambiente in cui vivi e lavori e solo il 15% dipende dai sistemi sanitari, se il sistema collassasse perderemmo solo il 15% della nostra salute.
La percezione delle persone e gli investimenti che si fanno, sono esattamente ribaltati, si concentrano sulle strutture ospedaliere. In questo modo si sposta l’attenzione solo sulla cura della malattia, si trasforma il concetto di salute in cura della malattia, ma la domanda da farsi invece sarebbe questa: perché una persona s’ammala?
Il sistema sanitario rimane importante e va mantenuto, rinforzato e reso equo, ma il discorso sulla salute andrebbe fatto anche altrove; la salute la si fa con la regolamentazione urbanistica della città, regolamentando le emissioni delle industrie, la fai con tutta una serie di politiche rivolte al benessere della popolazione.
I nuovi accordi commerciali (Ttip) e sui servizi (Tisa) tra le due sponde dell’Atlantico come influenzeranno la nostra salute?
Degli accordi si sa ancora pochissimo data la scarsa trasparenza. Il Ttip può avere un impatto sulla salute; la prospettiva è quella della liberalizzazione e privatizzazione di alcuni settori tradizionalmente in mano al servizio pubblico come è quello sanitario. È un processo che comunque è già in atto. Ma esiste una documentazione che dice che i sistemi sanitari privati costano di più e funzionano peggio.
Questi accordi dovrebbero portare a un’armonizzazione tra legislature differenti, come quelle riguardanti la sicurezza alimentare, le emissioni nell’aria, i brevetti dei farmaci, il rischio qui è che si vada al ribasso per quanto riguarda lo standard di protezione dei cittadini. ■
18 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: Roxana Bashyrova/shutterstock.com
Viviamo in una società dove ormai sono presenti religioni diverse. Dovremmo imparare a rispettarle, a rispettarci. Ma ci manca la conoscenza reciproca. Sarebbe opportuno
cominciare dalla scuola
di Susanna Bernoldi
Semi di verità in ogni religione
Suona la campanella. Le tre studentesse magrebine e lo studente turco, musulmani, escono, ma esce anche Pablo dell’Ecuador, la ragazza di origine rumena e
altri tre ragazzi italiani. La classe si svuota, perde la sua connotazione, non è più la stessa. Questo è quello che accade nella mia classe all’inizio dell’ora di religione, una terza superiore. Qualcuno di quei ragazzi li ritrovo da soli o in gruppo sulle scale, nel bar vicino, per strada, cuffiette nelle orecchie... Per fortuna non è la norma: molte altre classi rimangono abbastanza compatte o gli studenti sono comunque impegnati in percorsi alternativi. L’ora di religione, naturalmente cattolica, è vista da molti come qualcosa di superato, non attuale, qualcosa della quale si può fare a meno.
Quanti genitori sanno che da anni il Programma ministeriale prevede lo studio della Storia della religione e delle religioni mondiali? È un argomento che dovrebbe essere di grande interesse visto che ormai i popoli si
incontrano e attualmente sarebbe urgente che ci si conoscesse reciprocamente anche in un valore, la fede, che da sempre è una forza grandiosa per l’uomo. Quella casellina che si deve barrare al momento dell’iscrizione per scegliere o meno se far seguire dal proprio figlio/a il corso di religione non è forse valutata con sufficiente attenzione.
Credo che molto abbia contribuito il lungo periodo in cui i valori morali di onestà personale e di etica professionale, il rispetto dei valori altrui, di una fede - qualunque essa sia - come guida di una persona sono stati calpestati e l’avere abbia prevalso per molti sull’essere. Tutto ciò ha abituato a far tacere quella voce che è dentro ognuno di noi, sommersa dal rumore, dal “fracasso” che ci circonda.
L’amore verso gli altriRipenso a me ragazza e a come l’apprendimento del
Vangelo, dell’esempio del Cristo mi abbiano posto basi ben precise che mi hanno aiutato nelle scelte, che siano
Fonte: Susanna Bernoldi
Strumenti
19Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: Mangsaab/shutterstock.com
Strumenti
state di rinuncia o di slancio... ed è stata proprio la base dell’amore verso gli altri che mi era stato insegnato a trovarmi in perfetta sintonia con Follereau!
Tornando al programma ministeriale che doverosamente indica ai docenti di far conoscere anche le altre fedi, ricordo che anche il Concilio Vaticano II affermava che “ci sono semi di verità in ogni religione del mondo”, perché i semi della ragione sono in tutte le culture e l’importante, per l’insegnante, è di far comprendere il valore di tutte le religioni che devono stare accanto all’uomo, conformi alla sua natura e alla sua ragione. Certo non è facile!
L’insegnante di religione deve saper catturare l’attenzione e l’interesse dei suoi allievi non smettendo mai di essere lui stesso uno studente, continuando ad aggiornarsi sui temi etici, sui nodi fondamentali della religione per essere al passo con i tempi e giungere, ad ogni incontro, a un parlare semplice e chiaro, preciso, aderente alla realtà e nel contempo appassionato!
Spiritualità condivisaIn questi 25 anni di esperienze in Africa, Asia e Sud
America ho condiviso momenti di grande spiritualità e di preghiera con persone sia cattoliche, ma anche musulmane, induiste e buddiste. Ripenso alla mia visita ai nostri progetti in Pakistan, a fianco di quella donna eccezionale che era Farhat Rahaman, responsabile del progetto di
Riabilitazione su base comunitaria di Peshawar, al viaggio in Mongolia, alla visita ai progetti sulla lebbra in Birmania o in Nepal. Mi sono sempre sentita a mio agio nell’entrare in un tempio di qualunque altra fede! Era bello per me sedermi, inginocchiarmi e pregare Dio accanto a chi Lo chiamava in un altro modo. Credo sia sempre Lui che ci ascolta!
Meraviglioso poi è l’esempio dell’Ashram creato da Padre Carlo Torriani a Swarga Dwar, il centro di Riabilitazione su base comunitaria per malati di lebbra a 40 km da Mumbay dove ogni sera si prega con le parole e i canti di una fede diversa, anche l’ateismo. Cristiani, hindu e musulmani, uno a fianco dell’altro, cullati dall’armonia degli strumenti suonati da mani rovinate dalla lebbra, dalla dolcezza di voci che testimoniano la bellezza della condivisione di un comune senso di appartenenza ad un’unica creazione. Occorre solo rispettare l’altro e qui sta il problema. Si è portati a non rispettare se non si conosce o si sa solo quello che i media vogliono farci sapere manipolando le informazioni per l’interesse di qualcuno.
Una materia in più da studiare?Allora è fondamentale far conoscere le altre fedi. Come?
Certo insegnando ai ragazzi i loro punti cardine, ma tante volte rimane “una materia in più da studiare”, viene presentata in modo asettico, senza quella passione che solo il credente di quella fede può avere in sé e quindi trasmettere. Direi che una modalità ormai provata è quella dell’incontro con persone, meglio ancora se giovani, che parlano, senza voler indottrinare, della loro esperienza di fede. A questo proposito esemplare è il Progetto che si chiama proprio “Incontri”, ideato diversi anni fa dal Centro Astalli per i Rifugiati politici di Roma. L’ho sperimentato in alcune scuole di Imperia e Sanremo con testimoni musulmani, ebrei e buddisti ed è stato un successo!
In questa società, ove per biechi motivi di conquista di voti e quindi di potere si sono eretti muri, favorite le divisioni e gli odi verso chi viene da noi non solo spinto dalla povertà (milioni di italiani lo fecero qualche tempo fa), ma soprattutto dalle violenze perpetrate in Africa e Medio Oriente con esempi di cattivo e vergognoso uso della religione, allora è indispensabile che questi incontri avvengano!
Inizino fin dalla scuola primaria, ponendo in risalto le bellezze culturali dell’altro con gli incontri tra famiglie anche nella scuola e poi, salendo, con incontri con persone di altre fedi. Ritengo sia fondamentale porre in evidenza i punti di incontro e non di divisione! Su questo credo si debba puntare e lo dovrebbe fare ogni cittadino, senza attendere sempre che sia qualcun altro a farlo per primo. Accogliere, stringere le nostre mani, scambiarci sorrisi, essere vicini l’un l’altro, sinceramente curiosi e solidali affinché la nostra umanità abbia un futuro! ■
20 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: africa studio/shutterstock.com
Le ultime volontà sono un omaggio di che se ne va a chi resta. I lasciti testamentari raccontano il senso di una vita, la felicità di poter portare il sorriso anche ad uno
solo bambino
di Raffaele Timpano
La gIoIa dI donare
In genere è una raccomandata, da qualche studio notarile o da un avvocato. Altre volte sono una telefonata o una lettera, da parte di un familiare o una
persona cara, che ci informano della morte di un socio o di un sostenitore e della sua volontà di disporre dei propri beni a beneficio di Aifo e delle sue attività.
Qualche volta si tratta di persone ben conosciute, altre volte, invece, non si sa niente di loro. La prima cosa che guardi, come a voler ricercare un indizio, una traccia, è la città di provenienza. E si rimane stupiti a riscoprire la geografia dell’Italia: dalla Sicilia all’Alto Adige, dalle città più grandi ai villaggi di montagna. Si rimane anche increduli nel constatare quanto lontano sia arrivato il messaggio di Raoul Follereau in un tempo in cui ancora non esisteva internet, e la principale fonte di informazione erano le comunità, le parrocchie, le persone.
I valori di una vitaScorrere le righe di un testamento non è mai
un’esperienza banale. C’è dentro l’anima di una persona. C’è la consapevolezza di dover lasciare un segno tangibile della propria volontà e di doverne dare una giustificazione.
E in quella spiegazione ci sono tutti i valori di una persona, tutto il suo mondo, tutto il senso che ha ricercato nella vita, e che ancora intende dare alla vita, anche in questa fase di passaggio.
A volte quelle volontà vengono ribadite più e più volte nel testo, e con un’incredibile dovizia di particolari, perché non si generi nessun equivoco, perché quell’impegno venga rispettato per intero. A questo proposito vengono nominate persone di fiducia (gli esecutori testamentari), che garantiscano il pieno e più autentico rispetto delle ultime volontà: la destinazione dei beni, la celebrazione di una messa, le istruzioni per il proprio funerale. Quando sono parenti o amici, sono pienamente consapevoli della responsabilità affidatagli e, come in un patto sacro, si dedicano alla loro missione con una incredibile dedizione e senso di responsabilità che termina solo quando sono certi che la volontà del loro caro si è effettivamente compiuta, e ogni singolo bene è stato effettivamente destinato secondo le disposizioni.
Sono commoventi alcuni testamenti. Quando sono scritti a mano, si riesce perfino ad immaginare la persona, stanca, eppure lucida e determinata, raccogliere i propri
Esperienze
21Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
Fonte: Gajus/shutterstock.com
Esperienze
Lascia un segno per la vitaFare testamento significa costruire legami, preoccuparsi degli altri, essere solidali.Manifestare le proprie volontà è un segno di grande responsabilità e amore.Il testamento è un atto di vita.
Per aiutare i nostri sostenitori in questa importante scelta, Aifo ha realizzato una Guida ai lasciti testamentari. È attivo un servizio gratuito di consulenza sui lasciti testamentari.Puoi telefonarci o scriverci, oppure visitare il nostro sito.
Numero verde Aifo: 800550303e-mail: [email protected] www.aifo.it
pensieri ed esprimerli con parole chiare. “Quelli che hanno letto un milione di libri e quelli che non sanno neppure parlare” sanno benissimo cosa dire, sanno perfettamente cosa fare.
Testimonianze di un paese veroAlcuni testi sono testimonianze toccanti di un paese che
si è quasi del tutto perduto e che i più giovani possono solo riconoscere in qualche film d’epoca. Leggendo quelle righe se ne riconoscono chiaramente i valori: la fede, la solidarietà, la carità, la dignità anche nella povertà. In una di queste testimonianze possiamo leggere : “Lo scopo di questo mio gesto è soddisfare l ’unico sogno della mia vita (anche se le mie condizioni sono minime): potere aiutare gli altri!!! Dare e Ricevere senza conoscersi!”.
In un altro si legge: “Ciò che è disposto in beneficienza viene dalla Provvidenza e dal lavoro della Mamma e mio e deve ritornarvi. Vogliatevi bene. Ricordate che nacqui e fui povera”.
Si ritrova in questi testi lo spirito puro del Vangelo. Ci si può interrogare se possa essere lo stesso paese che con terrificante cinismo rifiuta di accogliere bambini che scappano da guerre o che festeggiano su Facebook un
naufragio di migranti. Cosa ci è successo?Spesso lo spirito che traspare da questi testamenti è
animato dalla fede e dal Vangelo. E talvolta i testamenti assumono un carattere quasi mistico (“Desidero fin da ora che la mia stessa dissoluzione sia un omaggio di Fede all ’Onnipotenza di Dio, come un grano d’incenso bruciato sul suo Altare” si legge nel testamento di un benefattore di un piccolo paesino del Sud Italia).
Portare il sorrisoA volte questa fede viene vissuta in modo più leggero,
quasi amichevole. Ed allora il testamento diventa l’ultima occasione per un ringraziamento, quasi un inno al dono meraviglioso della vita che ci è stata concessa: “Il mio grazie al Signore per tutti i doni che mi ha dato. Ringrazio tutti quelli che mi hanno voluto bene, li abbraccio uno per uno (sic) con tanto affetto. Un ultimo affettuoso abbraccio ai miei amici lebbrosi.”
Altre volte non sono animate dalla fede le persone che, sul punto di morte, assumono la decisione di disporre del proprio patrimonio in beneficienza. Da quali valori sono allora ispirate? Quali sono i principi che alimentano il loro sentimento? Siamo, probabilmente, in questi casi, ancora più vicini ad una verità che non proviene da un afflato mistico, ma la cui radice risiede soltanto nell’Uomo.
Nella sua natura più intima e profonda: quella che ci permette, talvolta, unici fra gli esseri viventi, di elevarci al di sopra di noi stessi. Quella che non possiamo perdere. E che traspare da queste poche, commoventi parole, scritte nel testamento da una nostra benefattrice, qualche anno fa: “Con questo testamento, intendo lasciare le mie poche cose a chi ha tanto bisogno, ritenendo che se io fossi riuscita a portare il sorriso anche ad un solo bambino, non sarei vissuta invano”.
Rimanere Umani. Oltre la vita. ■Fonte: CroMary/shutterstock.com
22 Amici di Follereau N. 9 / settembre 2015 |
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