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Anno LVI - n.5 / maggio 2017 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 2 Amici di Follereau per i diritti degli ultimi 5 GUARDARE AL FUTURO CON FOLLERAU DONAZIONE DEL MESE Mongolia: la vita migliora Il palcoscenico per l’integrazione maggio 2017

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Amici di Follereauper i diritti degli ultimi

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GUARDARE AL FUTURO CON

FOLLERAUDONAZIONE DEL MESE

Mongolia: la vita migliora

Il palcoscenico per l’integrazione

maggio2017

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EDITORIALE

Aprire strade, costruire ponti,

costruire fratellanza: e, più

semplicemente, piccoli passi ogni

giorno

UN COLPO DI PICCONE, SEMPRE NELLA STESSA DIREZIONE

Care amiche, cari amici,mi piace ricordare questa frase-testamento di Follereau,

l'amore e la dedizione non di un giorno, ma di una vita.A dicembre saranno quarant'anni dalla sua morte e tante sue scelte

e tante sue parole sono attuali come se le avesse scritte oggi: mostrano l'autenticità di un testimone “ambasciatore dei poveri presso i poveri”, come lui si chiamava.

Aprire strade, costruire ponti, costruire fratellanza: e, più semplicemente, piccoli passi ogni giorno che portano ad una maggiore giustizia per tutti, dignità per tutti.

Progetti dove si cresce insieme, perché la gente non sia costretta a scappare dal proprio paese per poter avere un minimo di possibilità per sé e per i propri figli, perché talvolta basta pochissimo per far rinascere la speranza.

Oggi, si sa, non bastano più le parole (se ne dicono troppe che rimangono solo parole): ci vogliono persone che diano “il colpo di piccone” tutti i giorni, ci vogliono testimoni, impegni seri e professionali, che facciano risvegliare energie che spesso aspettano solo un punto d'appoggio. Voglio ricordarlo in questo periodo particolarmente importante per la nostra Aifo.

L'Assemblea Nazionale di giugno segnerà un momento di riflessione e di stimolo per tutti con l'elezione del nuovo Consiglio di Amministrazione e con i primi passi della Fondazione Aifo (della quale recentemente abbiamo approvato lo Statuto), che affiancherà l'Associazione senza condizionarla, ma potenziandone le opportunità: nuove possibilità di approfondimento, di sviluppo e di crescita.

Scelte che valorizzano i nostri ideali e la nostra mission con e per gli “ultimi”, ma inserite nella vita, nella storia, nelle crisi di oggi.

L'anniversario di Follereau ci darà modo di verificare e rafforzare la nostra identità di Associazione e di Ong, di amici che lavorano insieme “perché nessuno ha il diritto di essere felice da solo”.

E in tanti modi, con iniziative piccole e grandi, potremmo riscoprire questo Testimone (e quanto bisogno abbiamo oggi di idee e di testimoni) che teneva sempre strettamente legati l'ideale e l'azione e che si rifiutava di classificare il cuore degli uomini di destra o di sinistra.

“Se ho dato talvolta l'impressione di precedere i tempi è perché l'amore è di tutti i tempi”(R.F.)

AnnA MAriA PisAno

Presidente Aifo

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E questa testimonianza: un uomo, anche solo, all'inizio, se dà ogni giorno il suo colpo di piccone nella stessa direzione, senza voltarsi o lasciarsi distrarre; se ogni giorno continua nel suo sforzo, ogni giorno senza mancarne uno, con gli occhi fissi sulla meta che ci è assegnata; se ogni giorno dà il suo colpo di piccone, anche quando il terreno fosse roccioso o d'argilla, egli finisce sempre per aprire una strada....

È questo il ricordo che io vorrei lasciare...(Raoul Follereau)

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Amici di FollereauMensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana

Amici di Raoul Follereau (Aifo)Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna

Tel. 051 4393211 – Fax 051 [email protected]

Lettere alla Redazione: [email protected] www.aifo.it

Direttore ResponsabileMons. Antonio Riboldi

DirettoreAnna Maria Pisano

RedazioneLuciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi

Progetto Grafico e Impaginazione Swan&Koi srl

Hanno collaborato a questo numeroAifo Mongolia, Mario Biggeri, Vittorio Bonanni, Francesca Casassa Vigna,

Federico Ciani, Massimo Corti, Dario D’Ambrosi, Luca Errani, Luca Viola, Adriano Zappullo

Fotografie Federica Di Benedetto, Teatro Patologico, Archivio EducAid, Aifo

Mongolia, Archivio fotografico di Aifo, Shutterstock.com, www.iom.int, www.20min.ch, www.badische-zeitung.de

Per la copertina: Jean Durieu / Shutterstock.comPer l'appello: Aifo India

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Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI)

Autorizzazione del Tribunale di Bologna N. 2993, del 19 aprile 1962

L’EPiDEMiA DELLA GUErrA o DELLA PACE?di Luciano Ardesi

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MonGoLiA: LE DUE sorELLE CAMBiAno ViTAa cura del l ’uf f ic io Aifo in mongol ia

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HOTSPOT, HUB, SPRAR . . . UnA BABELE Di siGLE PEr ACCoGLiErE o rEsPinGErEdi nicola Rabbi

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riCErCA EMAnCiPAToriA: UnA PrEsA Di PoTErEdi Federico Ciani e mario biggeri

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i L PALCosCEniCo PEr L’ inTEGrAZionEIn ter v is ta a Dario D’Ambrosi a cura di vi t tor io bonanni

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i L rEATo AnCorA sConosCiUTo in iTALiAdi massimo Cor t i

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DiriTTo D’ACCEsso ALL’ inForMAZionEdi Luca Errani

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L’ iMPEGno PEr Un FUTUro MiGLiorEdi Francesca Casassa vigna

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5Amici di Follereau N.5 /maggio 2017

L’EPIDEMIA DELLA GUERRA O DELLA PACE?Le Nazione Unite si sono rivelate incapaci a fermare le guerre, è necessaria l’iniziativa dei cittadini

di Luciano Ardesi

Organizzare l’epidemia del bene” (Raoul Follereau) per contaminare il mondo. Sarebbe

potuto essere questo il motto delle Nazioni Unite, fin dalla loro nascita. Follereau concepiva questo compito come dovere sia delle istituzioni che dei cittadini. E Follereau è riuscito a organizzare, se non proprio un’epidemia, almeno un vasto movimento ispirato ai principi della solidarietà, della pace e della condivisione verso gli ultimi. Non possiamo dire altrettanto per l’Onu.

Quello cui abbiamo assistito dalla fine della guerra fredda in poi ci rimanda piuttosto ad un’epidemia della guerra. Avevamo sperato che la fine della minaccia incrociata di distruggere il mondo avrebbe permesso all’Onu di liberare finalmente tutte le sue potenzialità. Quell’invito a “Riconvertire le armi di morte in opere di vita” che Follereau aveva lanciato fin dagli anni ’50 avrebbe potuto finalmente realizzarsi.

Non è stato così. L’Onu è stata incapace di fermare le guerre, di impedire grandi atrocità come il genocidio in Ruanda (1994-95), il massacro di Srebrenica (1995). Le guerre si susseguono: Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, per citare solo le principali, mentre le spese militari e per gli armamenti hanno ripreso, dopo una breve pausa, a crescere. Anche laddove i caschi blu delle Nazioni Unite sono presenti, il più delle volte non riescono a salvaguardare la vita delle popolazioni civili.

Il caso più emblematico e attuale è certamente quello della Siria. Tutti sono d’accordo con la

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Sono nata con una disabilità, non posso camminare - spie-ga Otgontuul - mentre mia

sorella Azbileg ha una salute precaria". Quella delle due sorelle è una vita complicata, ma sono situazioni che possono capitare. La particolarità che rende davvero difficile la loro situazione è però un’altra. Appartengono a una famiglia noma de che abita nell'aimag di Suhbaatar, una regione della Mongolia posta all'estremo est, al confine con la Cina, praticamente spopolata. L'accesso ai servizi sociali e sanitari è molto difficile dato che il somon, ovvero, il distretto di Dariganga, dove abitano, dista 180 km dal capoluogo. I servizi per la salute, oltre che lontani sono anche carenti, non attrezzati per le esigenze delle due sorelle. Che possibilità hanno Otgontuul e

Azbileg di avere una vita dignitosa? Come possono ricevere le cure di cui hanno bisogno e il reddito necessario per vivere?

Ma una soluzione l'hanno trovata. Attraverso gli operatori formati da Aifo, le due sorelle hanno ricevuto un sostegno economico di circa 500 euro per avviare un’attività economica autonoma, dato che la magra pensione d'invalidità di Otgontuul non poteva certo bastare. Così hanno aperto uno spaccio nella loro gher (tenda) dove vendono alimenti come farina, sale, riso, pane, zucchero e altri prodotti necessari per la vita quotidiana. Soprattutto durante l'estate, quando il clima rigido si attenua, la popolazione nomade va da loro per gli acquisti. E questo basta per veder migliorata notevolmente la qualità della loro vita.

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DOnAZIOnE DEL mEsE

MONGOLIA:le due sorelle cambiano vita

Grazie al piccolo aiuto economico di Aifo, le persone con disabilità ritrovano il loro posto nella società

A CurA deLL’uffICIO AIfO IN MONGOLIA

7Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 20176

Fonte: Aifo Mongolia

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Quest’anno Aifo ricorda il 40° anniversario della scomparsa del suo fondatore, Raoul Follereau (Parigi, 6 dicembre 1977). A distanza di tanto tempo, Follereau continua a guidarci, in un modo molto particolare, come particolare è stata la sua esperienza. In tempi di crollo delle ideologie, di crisi dei valori, di rimessa in discussione di tanti principi, Follereau rimane un punto fermo. Ma non un “ricordo del passato”.

La cosa più straordinaria che Follereau ci ha lasciata è la sua modernità. La sua metodologia di coinvolgimento, le sue parole d’ordine, e soprattutto i suoi valori sono di grande attualità. Sono cambiate le tecniche, le piattaforme, le reti con cui azioni e principi si diffondono, ma non l’ispirazione di fondo che li rendono così efficaci, moderni appunto.

Assistiamo ad una spaventosa regressione politica e giuridica

La ragione principale di questa modernità è l’approccio profetico che Follereau ha voluto dare al suo impegno per gli ultimi.

L’intuizione stessa degli ultimi, quelli colpiti dalla lebbra-morbo e dalle lebbre dell’egoismo e dell’esclusione, è segno di modernità, poiché rimane una discriminante tra una società di pace e giustizia e una dominata dalle disparità e dalle ingiustizie.

Il carattere universale delle sue declinazioni di parole come amore, che non possiamo certo dire che non sia spesso abusato, rimane la sua forza perché ci proietta verso il futuro. “Il domani sarà come lo farete voi” ripeteva quasi cinquant’anni fa rivolto ai giovani. Ma sempre nelle sue parole d’ordine lo sguardo, a chiunque rivolto, guarda al futuro da costruire. È a questo futuro che Aifo continua a guardare.

necessità di fermare e sconfiggere lo Stato islamico e il terrorismo che ne emana, eppure non si riesce a trovare un accordo per un intervento unitario sotto regia internazionale, dell’Onu appunto, a causa dei veti incrociati. Gli Stati Uniti di Trump hanno deciso di “fare da soli”, e non è sicuramente una buona notizia. Nella migliore

delle ipotesi sarebbe l’ennesimo scacco all’Onu.

Le critiche alle Nazioni Unite non sono una novità, le hanno accompagnate durante tutta la loro esistenza dal 1945 ad oggi, è nuovo semmai il contesto. Si sono creati nuovi equilibri di potere a livello internazionale, senza che questo abbia portato alla stabilità.

Non c'è bisogno di tirare in ballo la più grande crisi economica mondiale, dopo quella del ’29. Si capì fin dalle origini che l’Onu non avrebbe avuto la forza di governare l’economia perché così avevano deciso le grandi potenze economico-finanziarie. Basta pensare alla crisi dei migranti e dei rifugiati.

La rimessa in gioco dei valoriAbbiamo dall’inizio dell’anno alla

testa del Palazzo di vetro il portoghese António Guterres, per dieci anni (2005-15) apprezzato Alto Commissario dell’Onu per rifugiati. Non possiamo dubitare della sua sensibilità sul tema, ma intanto membri permanenti del Consiglio di sicurezza violano le norme del diritto internazionale e umanitario. Non è da meno, peraltro, l’Unione Europea, dove assistiamo ad una spaventosa regressione politica e giuridica. Sono in gioco i valori e i principi stessi su cui vennero fondate le Nazioni Unite.

Che fare? Non mancano le proposte di riforma del sistema dell'Onu, a cominciare dall’aspetto più controverso: il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Peccato che per abolirlo si debba passare attraverso le forche caudine di coloro che quel veto possono usarlo, e che finora ha bloccato qualunque riforma in profondità.

Se gli Stati non si muovono, saranno i cittadini a doverlo fare. Non resta che riprendere Follereau e la sua determinazione a “impedire ai responsabili di dormire”. ■

Follereau guarda al futuro

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Magnifica terra poco popolataIl Suhbaatar è una regione bella

e selvaggia. La parte meridionale è occupata dal deserto del Gobi mentre altrove è costellata da specchi d'acqua dove sostano numerose specie di uccelli, i cigni in particolare, e di mammiferi come le gazzelle e i lupi. Ma la sua particolarità è la presenza di enormi crateri di vulcani spenti.

In queste condizioni climatiche

Grazie al progetto Aifo le due sorelle Otgontuul e Azbileg hanno aperto un piccolo commercio e sono diventate più autonome.

Fai anche tu un gesto concreto. Vai alla fine della rivista per sapere come

ALCUNE ATTIVITÀ SOSTENUTE DA AIFO

PER UNO SVILUPPO INCLUSIVO E SOSTENIBILE

la pastorizia è praticamente l’unica fonte di reddito per la popolazione, peraltro molto rara e dispersa. È in prossimità di uno dei vulcani spenti che vivono le due sorelle di cui raccontiamo la storia. Date le loro difficoltà fisiche le due sorelle non hanno potuto seguire la strada dei loro genitori e diventare pastori, come la stragrande maggioranza degli abitanti di questa regione. ■

Corsi di aggiornamento per i tecnici della riabilitazione

Aifo è presente da tempo in Mongolia. Attualmente segue il progetto “Inclusione sociale delle persone con disabilità: sostegno al programma di Riabilitazione su base comunitaria in Mongolia”. Attivo fin dal 1992, il progetto che coinvolge l’intero paese ha come importante partner il Centro Nazionale di Riabilitazione (CNR) direttamente designato dal Ministero della salute della Mongolia.

L'obiettivo generale è quello di promuovere una società inclusiva per le persone con disabilità che vivono nelle aree rurali e urbane della Mongolia, utilizzando il metodo della Riabilitazione su base comunitaria come approccio allo sviluppo sostenibile.

L’iniziativa mira a promuovere una società inclusiva attraverso lo sviluppo di una strategia che prevede il coinvolgimento diretto delle persone con disabilità, dei loro familiari e dell’intera comunità. Il progetto promuove lo sviluppo in tutte le 21 province della Mongolia in numerosi ambiti di azione dove le persone con disabilità e le loro organizzazioni sono protagoniste della propria inclusione e del proprio sviluppo.

Attività generatrici di reddito: allevamento, artigianato e commercio

Sensibilizzazione per la promuovere i diritti delle persone con disabilità

DOnAZIOnE DEL mEsE

Attraverso gli operatori formati da Aifo, le due sorelle hanno ricevuto un sostegno economico

CuLTuRACuLTuRA

Fonte: Teatro Patologico

uando la malattia, il disagio si tramutano in cultura; quando la fragilità si trasforma in forza, in arte.

È questa la filosofia che ha mosso dal 1992, ma in realtà la storia comincia prima, l’Associazione del Teatro Patologico fondata da Dario D’Ambrosi, regista e attore di fama mondiale e tra i maggiori artisti d’avanguardia italiani. Abbiamo chiesto al suo fondatore di raccontarci la storia di quest’impresa che ha trasformato le persone con disabilità psichica in protagonisti del palcoscenico.

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L’esperienza del “Teatro Patologico” e dei corsi universitari per formare attori con disabilità

Intervista a Dario D’Ambrosi a cura di Vittorio Bonanni

Dario D’Ambrosi, quando comincia

esattamente la vostra storia?

Il Teatro Patologico nasce quando prende il via questa esperienza dentro il manicomio di Vedano dopo la promulgazione della legge 180, che è del 1978.

Dunque avete trasformato in arte

questa conquista civile…

Sì perché abbiamo dedicato alla creatura che porta il nome di Basaglia uno spettacolo. Ricordo che in quell’occasione un giornalista scrisse “nasce un nuovo tipo di teatro che potremmo definire patologico”. E da lì dunque ho preso questo marchio e l’ho portato avanti. Una scelta che ha avuto un suo richiamo e che ci ha portato ad avere diversi riconoscimenti. Abbiamo girato per varie cooperative, come il Cavallo Bianco o il Piccolo Mouse, e con tutte quelle associazioni che lavorano per i disabili e con le quali abbiamo

realizzato diversi laboratori. Poi dal 2009, avendo un teatro stabile a Roma, sulla via Cassia, abbiamo creato questa Accademia che si chiama “La magia del teatro”.

Ma avete pensato anche ad una

formazione universitaria?

Sì dall’anno scorso abbiamo realizzato il primo corso universitario al mondo di “Teatro Integrato dell’Emozione” in collaborazione con l’università di Roma Tor Vergata. E visti comunque i risultati e il riconoscimento che hanno avuto i protocolli scientifici stiamo cercando di aprirne altri in otto città italiane a partire dal 2018: a Palermo, Bari, Napoli, L’Aquila, Genova, Torino, Bologna e Milano. Però voglio precisare che non facciamo solo scuola per disabili ma lavoriamo anche sul tema dell’integrazione attraverso il teatro, punto di forza di questo tentativo.

9Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 20178

IL PALCOSCENICO PER L’INTEGRAZIONE

Fonte: Aifo Mongolia

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CuLTuRA

Lavoriamo sul tema

dell’integrazione attraverso il

teatro, punto di forza di questo

tentativoUna notizia, al momento non ancora diffusa, riguarda la decisione del ministero della Sanità di presentare questo progetto al G7 mondiale sulla sanità a novembre.

Quali eventi avete realizzato

ultimamente con questo approccio?

Dal 24 febbraio al 26 marzo scorsi la XXVI edizione del Festival del Teatro Patologico, ospitato presso la nostra sede a Roma. Ad aprile il Festival Internazionale del Cinema Patologico, un momento importante perché sono stati proiettati filmati sulla disabilità provenienti da tutto il mondo. E a maggio abbiamo altri due eventi molto importanti, il Music Festival e la Rassegna di danza realizzati all’interno appunto del Teatro Patologico mentre ancora a maggio e giugno chiudiamo con il Festival del Teatro Sociale, un momento importantissimo perché si tratta di un confronto tra le varie associazioni o gruppi che lavorano con persone con disabilità che vengono un po’ da tutta Italia.

Siete stati anche in giro per il mondo a rappresentare il vostro lavoro?

Tantissimo. Bisogna ricordare assolutamente la “Medea” che abbiamo presentato a Londra nel 2014 e abbiamo vinto un premio come miglior spettacolo straniero consegnato dall’allora Primo ministro Cameron. Un momento sicuramente importante. Abbiamo fatto questo spettacolo anche a New York e lo porteremo a Tokyo e a Seul, presentato dai ragazzi in greco antico. ■

Come si diventA Attori del “teAtro pAtologiCo"

Come vengono inseriti i giovani disabili psichiatrici all’interno delle attività del Teatro Patologico? Il corso universitario attivo a Roma Tor Vergata si suddivide in tre anni. Durante il primo anno viene dato un insegnamento generale: dalla storia del teatro, alla scrittura, alla recitazione, all’allestimento teatrale e infine film e fotografia. Nel secondo anno gli studenti prendono un indirizzo più personale. Il lavoro fondamentale, che caratterizza questo corso, è quello con cui i docenti devono capire dove magari un ragazzo autistico è più portato, per esempio per la musica.

Poi c’è l’approccio alla recitazione, per la quale vengono effettuati esercizi assolutamente unici. Le persone pensano di interpretare dei personaggi ma in effetti non stanno facendo altro

che creare autostima, stanno dando fiducia a se stessi. Questo anche attraverso esercizi molto forti emotivamente, come può essere quello dello specchio, oppure delle tre sedie. Che non sono puramente di marchio teatrale ma che lavorano molto sull’emozione, su quella che è la loro espressione rapportata con la loro “patologia”.

Un lavoro molto importante che viene fatto a tutti è quello della respirazione, perché molti non sanno respirare nel modo giusto. È una delle cose fondamentali che i docenti cercano di migliorare sin dall’inizio. Attraverso queste pratiche i ragazzi possono ritrovare quel senso di integrazione, di autostima e di soddisfazione legata non tanto al lavoro ma al benessere personale.

v. b.

Fonte: Federica Di Benedetto

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di Federico Ciani e Mario Biggeri*

RICERCA EMANCIPATORIA: UNA PRESA DI POTERE

a persona con disabilità diventa ricercatrice

Lo slogan “niente su di noi senza di noi” riassume in modo efficace l’obiettivo di affermare la propria autonomia che le persone con disabilità, e il loro tessuto organizzativo e socio-politico, si sono posti nell’ambito di un processo iniziato negli anni ’50-’60, e culminato con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità del 2006.

Gran parte della ricerca socio-economica sulla disabilità ha abbracciato l’approccio bio-psico-sociale alla disabilità e la prospettiva del “niente su di noi senza di noi”. Tuttavia gran parte della produzione scientifica relativa alla disabilità rimane ricerca fatta dagli “abili” sui “disabili”, dal ricercatore professionista sul disabile.

La ricerca emancipatoria ribalta questa prospettiva: la persona con disabilità diviene quindi ricercatore,

Una ricerca sulla disabilità con la partecipazione di persone con disabilità in Palestina

L mentre il ricercatore professionista passa da protagonista a facilitatore e formatore. La ricerca emancipatoria si pone un obiettivo duplice. Da una parte si pone come strumento di rafforzamento collettivo in particolare per i soggetti che vi partecipano; nei fatti acquisire la capacità di produrre conoscenza su se stessi è una presa di potere. Dall’altra mira a produrre una ricerca rigorosa che offra una prospettiva nuova sulla realtà e che analizzi informazioni che rischiano di essere trascurate da altri tipi di indagini.

Questo approccio ha le sue radici nel lavoro di Paulo Freire nella favelas di San Paolo in Brasile a partire dagli anni ’60. Le attività di “coscientizzazione” passavano anche dalla messa a frutto della capacità dei poveri di leggere la società e di analizzare e descrivere i loro bisogni e le barriere che impedivano loro una piena partecipazione alla società stessa.

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Ciascun gruppo di ricerca si è focalizzato su tre distinte aree della Cisgiordania. A Beit Sahour la ricerca si è concentrata sull’accesso al lavoro delle donne con disabilità e sul passaggio tra scuola e lavoro. Le ricercatrici hanno intervistato 200 donne con disabilità in età lavorativa.

Il gruppo di Ramallah ha concentrato la ricerca sulla relazione tra la persona con disabilità e il contesto familiare. Le attività di raccolta dati hanno visto il coinvolgimento di uomini e donne con disabilità, di genitori di persone con disabilità e di insegnanti.

Il gruppo di Nablus si è focalizzato sul benessere delle persone che prestano cure in ambito familiare e principalmente su come utilizzano il loro tempo, su quanto pesi sulle loro spalle l’attività di cura e quanto siano in grado di condividerla.

La ricerca è quindi proseguita con la co-creazione degli strumenti di ricerca, la formazione delle ricercatrici al loro uso e la fase della raccolta dati, anch’essa elaborata dalle ricercatrici. I risultati così ottenuti sono stati discussi e interpretati collettivamente con il supporto dei ricercatori del laboratorio ARCO

I gruppi di ricerca

DOssIER

Ha spinto le ricercatrici a superare quelli che loro stesse supponevano essere i loro limiti

13Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 201712

DOssIER

L’indagine in PalestinaUn’esperienza di ricerca

emancipatoria si è svolta in Palestina nelle aree di Hebron, Betlemme, Ramallah e Nablus. Ha visto il coinvolgimento, in qualità di ricercatrici, di circa 50 tra donne con disabilità e donne che si prendono cura di persone con disabilità. La ricerca si è svolta nell’ambito del progetto “Particip-Action: partecipazione attiva e inclusione sociale delle Donne con disabilità in West Bank” finanziato dalla cooperazione allo sviluppo italiana e realizzato dalla Ong EducAid in collaborazione con Aifo e la Rete Italiana Disabilità e Sviluppo (Rids). Le attività di ricerca emancipatoria sono state condotte da ARCO - Action Research for Co-Development, laboratorio di ricerca-azione affiliato all’Università di Firenze. Le organizzazioni palestinesi di persone con disabilità General Union of Persons with Disabilities, Stars of Hope e Asswat hanno offerto un essenziale

contributo nell’individuare le donne da coinvolgere e nel facilitare tutti gli aspetti pratici e logistici della ricerca.

Il processo di inchiesta Muovendo dall’approccio

delineato da Sunil Deepak, collaboratore di Aifo ed esperto di ricerca emancipatoria, si è partiti tramite il pieno coinvolgimento di due gruppi di giovani donne con disabilità (a Beit Sahour e Ramallah) e di un gruppo di madri di persone con disabilità (a Nablus) per un totale di circa 50 ricercatrici, a partire dalla prima missione in Palestina nell' agosto-settembre 2015.

Il progetto di ricerca si è articolato attraverso diverse fasi. Si è iniziato con l'identificare le dimensioni del benessere nella visione delle ricercatrici attraverso una discussione collettiva. Sono state individuate le barriere, ovvero tutti quei fattori che impediscono un pieno godimento del benessere. Si è poi passati al lavoro sulle

L’emancipazione attraverso la ricerca

La rilevanza della ricerca emancipatoria svolta in Palestina può essere analizzata da diversi punti di vista. Prima di tutto la partecipazione alla ricerca emancipatoria è stata un'esperienza di rafforzamento (empowerment) per le ricercatrici che vi hanno preso parte. L’ultima missione dei ricercatori di ARCO si è concentrata proprio su questo aspetto.

Quello che è emerso è che la sfida posta dalla partecipazione alla ricerca emancipatoria ha spinto le ricercatrici a superare quelli che loro stesse supponevano essere i loro limiti e i confini del loro raggio di azione. Azioni apparentemente semplici come andare nella città vicina per intervistare qualcuno, discutere con la famiglia per

partecipare agli incontri, utilizzare un software di analisi dati, hanno consentito una presa di coscienza e di consapevolezza oltre che lo sviluppo di una notevole capacità di azione collettiva, di auto-organizzazione e di dinamiche di tipo rivendicativo.

Un altro aspetto importante è costituito dal fatto che la ricerca emancipatoria ha costituito un valore aggiunto in ogni passo del processo di ricerca. La costruzione dei questionari e degli altri strumenti di ricerca con la diretta partecipazione delle donne ha consentito di ottenere strumenti perfettamente tarati sul campione e sul contesto. Nella fase di raccolta dati, il profondo coinvolgimento delle ricercatrici ha consentito di raccogliere informazioni che sarebbero state probabilmente inaccessibili a un intervistatore professionista (ad esempio storie di discriminazione, sofferenza e violenza).

L’analisi dei dati ha beneficiato, in modo determinante, del coinvolgimento delle ricercatrici: la prospettiva che la loro interpretazione è riuscita fornire è assolutamente originale e basata appunto sul loro essere al contempo donne con disabilità e ricercatrici.

I principali risultati I risultati della ricerca e i possibili

risvolti in termini di politiche sono ricchissimi e impossibili descriverli tutti. Possiamo tuttavia riassumere alcuni dei tratti salienti emersi dall’analisi.

Se da una parte i dati evidenziano alcune evoluzioni positive (un aumento della scolarizzazione delle donne con disabilità), dall’altra è evidente che in moltissimi casi i risultati ottenuti sono lontani dal consentire il raggiungimento degli obiettivi desiderati. Sempre rimanendo nel campo dell’istruzione, moltissime donne dichiarano di aver lasciato la scuola prima di quanto avrebbero desiderato. I fattori che innescano questi processi di deprivazione sono molteplici: dalla famiglia, alla mancanza di infrastrutture, all’inadeguatezza del personale docente.

Sia per le donne con disabilità che per quelle che si prendono cura di una persona con disabilità, l’accesso al lavoro rimane un punto estremamente critico. Gli alti tassi di disoccupazione si accompagnano infatti ad un livello di scoraggiamento estremamente elevato: la percentuale di intervistati che non desiderano lavorare o che

attitudini al fine di favorire la piena consapevolezza delle proprie capacità analitiche, attraverso lo svolgimento di “giochi partecipativi”. Le barriere, identificate in precedenza, sono state disposte in un “albero delle barriere” per evidenziare i nessi causali. Il passo finale è stata la definizione di tre gruppi di ricerca e i relativi criteri di indagine per ogni area.

Fonte: Archivio EducAid

Fonte: Archivio EducAid

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osa succede a un migrante che sbarca sulle coste italiane? Si parla di

sistema di accoglienza ai migranti, di richiedenti asilo, si parla di CIE e di altre sigle, ma spesso nei media generalisti manca la spiegazione di tutte queste parole. Si fa informazione più sull’onda dell’emozione o per supportare precise idee politiche, mettendo da parte il diritto del lettore a essere pienamente informato.

L’approdo sulle costeDal 2015 il governo italiano

ha modificato il sistema di prima accoglienza dei migranti introducendo gli hotspot che sono collocati in quattro porti italiani dove vengono convogliati tutti i

Hotspot, hub, Sprar ... una babele di sigle per accogliere o respingere

Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia prevede percorsi diversi per ciascuna situazione, non sempre rispettati

di Nicola Rabbi

C migranti raccolti in mare oppure che approdano lungo le coste. Dal gennaio 2016 sono diventati hotspot il porto di Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto. Qui i migranti vengono identificati e ricevono le cure mediche in caso di bisogno. Si parla ancora di CDA (Centri Di Accoglienza), che dovrebbero essere sostituiti dagli hotspot, ma che esistono sul territorio italiano per via dell’alto numero di arrivi che gli hotspot non sono ancora in grado di gestire da soli.

In questi luoghi (hotspot e CDA) i migranti possono presentare la richiesta di asilo che viene presa in carico dalle Commissioni Territoriali, composte da due rappresentanti del Ministero dell’Interno, un rappresentante del sistema delle

PRImO PIAnO

Molte donne vivono il loro essere madri di un bambino con disabilità come una colpa da espiare

Fonte: www.badische-zeitung.de

15Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 201714

DOssIER

comunque non cercano più lavoro in modo attivo è estremamente elevata. La dimensione di genere ha una rilevanza diretta e indiretta. La minore mobilità concessa alle donne ha infatti una ricaduta notevole sulla possibilità di trovare lavoro. Le interviste hanno anche evidenziato come le frustrazioni subite sul mondo del lavoro si ripercuotono poi su tutta la vita e sulle traiettorie della persona.

Il ruolo della famiglia è importante ma è difficilissimo da generalizzare. Anzi, il quadro che emerge dai dati ci conduce proprio ad abbandonare la visione stereotipata “della famiglia araba”. Esistono famiglie che spingono la persona verso la costruzione di una autonomia, e famiglie che la ostacolano. Da questo la necessità di basare gli interventi

su una conoscenza approfondita del contesto individuale ponendosi in un’ottica di progettazione personalizzata. Quello che emerge in modo chiaro, è che il lavoro fatto per e con i genitori durante la prima infanzia ha un ruolo cruciale nell’indirizzare le future traiettorie di sviluppo della persona.

Le donne che si prendono cura di persone con disabilità hanno sulle loro spalle una quantità di lavoro di cura difficilmente sostenibile. L’attività di cura (come madre, moglie e casalinga) assorbe la gran parte del tempo e delle energie psico-fisiche. Coltivare altre identità e prendersi cura di sé diviene estremamente difficile. Il supporto arriva sostanzialmente dalla famiglia ristretta: i network familiari estesi, le reti amicali e la società civile giocano

un ruolo marginale. Il servizio pubblico è pressoché inesistente. D’altra parte la disponibilità ad accettare aiuto non è scontata: molte donne vivono il loro essere madri di un bambino con disabilità come una colpa da espiare.

Concludendo, la pratica che abbiamo descritto come ricerca emancipatoria è in grado di fornire informazioni utili e dalla diretta rilevanza pratica sia per pensare interventi specifici per le persone con disabilità che per promuovere una cultura inclusiva della disabilità in tutte le pratiche.

È chiaro che con la ricerca emancipatoria si hanno le informazioni che non si avrebbero altrimenti: le statistiche ufficiali troppo spesso si limitano a informazioni di carattere epidemiologico o di accesso ai servizi. Qui troviamo informazioni sulle barriere e i facilitatori. Ecco quindi che, tramite la ricerca emancipatoria, riusciamo ad avere un quadro non solo di quanti siano i disabili ma delle dinamiche che portano alla condizione che scaturisce dall’interazione tra individuo e ambiente sociale. ■

* Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa (Università degli Studi di Firenze), ARCO – Action Research for Co-Development

Fonte: Archivio EducAid

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autonomie e un rappresentante dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. La Commissione ha 6 mesi di tempo per decidere se concedere lo status di rifugiato al richiedente oppure rifiutarlo, tempo non sempre rispettato.

Le due stradeA questo punto si aprono due

strade completamente diverse per chi ha chiesto il riconoscimento di rifugiato politico e per chi non lo richiede o non ha i titoli per farlo. I richiedenti vengono mandati negli hub regionali mentre tutti gli altri finiscono nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione).

Gli hub regionali sono strutture governative di prima accoglienza dove i migranti dovrebbero rimanere tra i 7 e i 30 giorni; in queste strutture trovano posto anche i migranti siriani, iracheni, eritrei che attraverso il programma di Relocation dovrebbero andare nei paesi dell’UE secondo quote prestabilite. Passato il periodo di tempo i migranti vanno in una struttura non più di prima ma di seconda accoglienza.

Con questo termine s’intende un luogo dove i migranti non vengono solo assistiti ma gli si insegna la lingua italiana, si cerca di fare formazione professionale in vista di una loro inclusione sociale. Stiamo parlando dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), dove vengono coinvolti direttamente gli Enti Locali e le organizzazioni del Terzo Settore.

Quest’ultimi mettono a disposizione strutture dove accogliere ma anche servizi (corsi di lingua, formazione professionale…) e presentano dei progetti al Ministero dell’Interno che li selezionerà e li finanzierà. A volte gli Enti Locali sono restii a presentare progetti perché accogliere dei migranti ha un forte impatto politico.

Di fatto poi lo SPRAR, nonostante si preveda una capacità di

accoglienza sempre maggiore (40 mila persone a fine 2017), non riesce ad intercettare tutti i migranti che escono dagli hotspot ecco allora che esistono sul territorio i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria).

Tutti i migranti che non hanno diritto alla protezione internazionale finiscono invece nei CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) dove i migranti verranno espulsi e riportati nei loro paesi d’origine. ■

PRImO PIAnO

RispaRmiaRe sui diRitti?

’Italia ha preso precisi impegni quando ha ratificato nel 1988, la

“Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli inumani o degradanti”, adottata dall'Onu il 10 dicembre 1984. La Convenzione impone agli Stati firmatari l'obbligo di prevedere nella propria legislazione penale il reato di “tortura”. Da allora il tempo è passato in un colpevole ritardo e la tortura non è ancora un reato nel Codice penale italiano.

Pochi i disegni di legge presentati, sempre osteggiati e rallentati da un preciso schieramento politico, demoliti e sfigurati più volte nei loro contenuti (esemplare fu la modifica

L

La tortura non è reato in Italia, malgrado gli impegni presi a livello internazionale

dI MAssIMO COrtI*

il reAto AnCorA sConosCiUto in itAliA

richiesta dalla Lega Nord per cui la tortura è tale solo se ripetuta). Il sindacato autonomo di polizia Siulp ha sempre osteggiato la legge, vedendo in essa un grosso vincolo alla propria azione: questa posizione (non condivisa da tutte le forze di polizia) sembra non tenere conto che in tutti i paesi dove tale reato esiste le forze dell’ordine continuano a svolgere i propri compiti senza impedimenti.

Agli occhi dei più potrebbe sembrare un tema strampalato e che la tortura non riguardi l’Italia e, in generale, l’Europa. Ebbene purtroppo non è così: ad aprile 2015, la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia dichiarando che quanto accadde a Genova per il G8 nella scuola Diaz e, successivamente, alla caserma Bolzaneto “Fu tortura”.

Il presidente della Commissione

per i diritti umani del Senato, Luigi Manconi, ha dichiarato che il ritardo dell'Italia sull'introduzione del reato di tortura nel proprio ordinamento giuridico "è scandaloso". Ma "è ancora più scandaloso che sia destinato a protrarsi: nell'ipotesi più ottimista è immaginabile una ripresa della discussione parlamentare nel 2018". "C'è anche uno scandalo nello scandalo", aggiunge, cioè la "negazione" - nel testo di legge che stava per essere approvato dal Parlamento - "dell'assunto della tortura come attività di pubblici

ufficiali”.

Una presa di coscienza attivaLo stesso Manconi non ha esitato

a definire il testo attualmente fermo in Senato “indecoroso” nella sua stesura definitiva in quanto rappresenta ancora una volta una forma di “sudditanza

Font

e: Sh

utter

stock

.com

17Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 201716

Fonte: www.20min.ch

Il governo ha approvato un decreto legge per accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale e di contrasto all’immigrazione illegale. Entrato in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio, il decreto ha suscitato un vivace dibattito in sede di conversione in Parlamento e tra i giuristi. L’intento è quello di abbreviare i tempi delle decisioni, ma la corretta esigenza è attuata sottraendo al richiedente asilo e al migrante alcune garanzie.

Vengono istituite presso i tribunali di 14 città sezioni specializzate in materia di ricorsi relativi all’immigrazione di cittadini extraeuropei, in particolare per esaminare i casi di rigetto delle domande di asilo e le opposizioni ai decreti di espulsione. Vengono limitati

Gli enti Locali sono restii a presentare

progetti perché accogliere dei

migranti ha un forte impatto

politico

i gradi di opposizione, le possibilità che il richiedente asilo venga ascoltato dal giudice.

In sostanza quelle garanzie che valgono per tutti gli altri cittadini, italiani ed europei, sono diminuite per i cittadini extraeuropei. Per accorciare i tempi, si risparmia sui diritti. Le sezioni specializzate ricordano tristemente i tribunali speciali poiché non si occupano di materie specifiche, bensì di cittadini “speciali”, quelli che non appartengono all’UE.

Il decreto inoltre ci offre la gioia dell’ennesima sigla: i Centri di identificazione ed espulsione (CIE) diventano i Centri di permanenza per i rimpatri (CPR), con l’allungamento del periodo di detenzione nel caso in cui le espulsioni non siano immediatamente possibili.

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sTRumEnTI

categoria dei “tutti”?Eppure la Convenzione Onu sui

diritti delle persone con disabilità in due articoli parla espressamente di diritto alla comunicazione e di accesso all’informazione. La Costituzione italiana stessa lo dice e in nessuno dei due casi si fa differenza tra i “tutti”. Inoltre molte di queste persone (anzi la quasi totalità) sono cittadini aventi diritto di voto, e come tali aventi diritto di essere equamente informati.

“Ma dai! Questi 'ragazzi' sono semplici, hanno bisogno solo di divertirsi 'poverini'. Non gli interessa certo la politica”. Forse, ma quanta gente “normale” se ne interessa realmente? E quanti realmente riescono a capire bene ciò che succede attorno a loro? E se

Quali strumenti per assicurare questo diritto a chi ha un deficit intellettivo o sensoriale e non può leggere?

orse una delle caratteristiche principali della nostra epoca è la comunicazione libera

per tutti. Ma è proprio così? Senza entrare nel merito del tipo di comunicazione, ci accorgiamo presto che la parola “tutti” è abbastanza relativa. In realtà “tutti” sono tutte le persone capaci di leggere e capire contenuti complessi.

Se da un punto di vista di accessibilità tecnologica stiamo facendo passi da gigante, per quanto riguarda l’accessibilità al contenuto siamo ancora ai primi passettini traballanti. Ma chi non sa leggere, chi ha difficoltà cognitive che non gli permettono di capire il linguaggio complesso dei giornali, delle leggi, dei comunicati ufficiali, ha uguali diritti? Può rientrare nella

DIRITTO D’ACCESSO ALL’INFORMAZIONE di Luca Errani*

F improvvisamente decidessimo che si scrive e si comunica solo in inglese per rendere l’informazione “accessibile a tutti” quanti resterebbero nella categoria dei “tutti”?

L'accessibilità culturalePerò i primi passi traballanti si

stanno muovendo. In vari contesti si sta prendendo coscienza che inclusione e accessibilità non si riferiscono solo alle barriere architettoniche ma anche (forse soprattutto) a quelle culturali. In vari contesti, dalle biblioteche ai musei pubblici, dai contesti sanitari alla realtà quotidiana di molte associazioni, si sta pensando come rendere accessibile la comunicazione.

Da vari anni, anzi decenni, si sta parlando di Comunicazione

psicologica della classe politica nei confronti delle forze di polizia”. Tale sudditanza, conclude Manconi, "deve essere affrontata a livello sociale" e il reato di tortura "deve diventare materia di mobilitazione attiva dei cittadini, è necessario che ci sia un'indignazione generale che porti a una spinta decisiva", "altrimenti il prossimo Parlamento produrrà un testo mediocre".

Ed è questo lo scopo che si prefigge ACAT Italia (Azione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura) con il suo Premio di Laurea, istituito da anni per premiare la migliore tesi universitaria contro la tortura e la pena di morte. Il presidente della Commissione esaminatrice, prof. Alessandro Monti (Università di Camerino) così spiega il significato dell’iniziativa: “Si propone di sollecitare l’interesse conoscitivo delle giovani generazioni sui guasti degli abusi di potere con la speranza di suscitarne l’impegno verso il rifiuto di ogni forma di tortura e crudeltà sugli esseri umani …. Promuovere gli studi universitari su comportamenti così ripugnanti alla coscienza, non è fine a se stesso: l’obiettivo é quello di favorire la crescita di un movimento d’opinione sempre più vasto contro la tortura, in grado di richiamare l’attenzione sull’urgenza di porvi rimedio”.■

*Presidente ACAT Italia.

19Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 201718

Sollecitare l’interesse conoscitivo delle giovani generazioni sui guasti degli abusi di potere

Nelle zone a nord dell’Iraq ancora occupate dall’Isis non esiste nessun servizio sanitario per la popolazione che vi abita. Solo pochi dottori possono lavorare e alle donne medico è proibito curare le persone; lo possono fare solo in segreto e a loro rischio e pericolo. In questa situazione la gente tende a scappare dalle zone occupate e si trasferisce, quando riesce, nei campi profughi delle zone liberate dall’esercito iracheno. Stiamo parlando di decine di migliaia di civili che si ritrovano senza casa e senza più niente. Per loro l’unica possibilità di cura viene offerta dalle cosiddette cliniche mobili che forniscono servizi sanitari di base.

I problemi che si trovano di fronte questi medici e infermieri sono enormi. I bambini sono

Cliniche mobili per i rifugiati in Iraq

spesso malnutriti e soffrono di diarrea e di malattie della pelle mentre gli adulti soffrono ancora delle ferite avute durante i bombardamenti o a causa delle torture inflitte dai soldati dell’Isis alla popolazione; torture fatte per i motivi più futili, come si viene a sapere dalle testimonianze raccolte dagli operatori sanitari nei campi profughi. A volte un velo che non copre bene il capo o delle parole non gradite sono sufficienti per essere bastonati o tormentati con l’energia elettrica.

Le cliniche mobili impiegano anche personale locale e donne medico perché questo rende più facile la presa in carico dei pazienti. La salute mentale è un problema crescente tra gli sfollati che risentono della sindrome di stress post traumatico. n.r.

Fonte: www.iom.int

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Nel mondo si stima ci siano 285 milioni di persone con disabilità visive (ciechi, o con limitazioni alla vista). Per loro l’accesso alla lettura, e più in generale all’istru-zione e alla cultura, costituisce un problema, poiché il 90% dei supporti usati per le opere non sono accessibili a queste persone. Sappiamo che esistono strumenti per facilitare l’accesso, come l’alfabeto Braille, la pubblicazione con caratteri di grande formato o le edizioni audio. Queste possibilità sono tuttavia limitate dalle norme attuali sul diritto d’autore, che mirano a proteggere e a promuovere la creatività degli autori senza tener conto dell’interesse di un pubblico che ha particolari disabilità.

Per superare le difficoltà di diffusione delle opere accessibili

Il diritto alla lettura Inclusione e accessibilità non si riferiscono solo alle barriere architettoniche ma anche a quelle culturaliAumentativa e cioè di tutte quelle pratiche per permettere l’accesso alla comunicazione a tutti coloro che, per svariati motivi non l’hanno. Così allora si parla di Easy to Read e scrittura controllata, perché chi scrive deve stare attento a come lo fa. E poi sono comparsi in alcune biblioteche i libri in simboli, cioè libri che oltre il solito sistema alfabetico associano ad ogni parola un simbolo, rendendo così il testo accessibile anche a chi non è capace di leggere. E proprio dietro queste esperienze inizia a emergere che questi strumenti non sono utili solo per le persone con disabilità ma anche per gli stranieri, per le persone anziane.

E da questa esperienza è nata una Rete Nazionale Biblioteche INBook.

Recentemente a Sant’Ilario d’Enza, un paesino del Reggiano, è stato regalato a tutti i giovani di 18 anni la Costituzione italiana. In questo caso i 12 articoli sono stati scritti con l’Easy to Read e in simboli. Servirà? Ma chi tra voi ha realmente letto i primi 12 capitoli della Costituzione e li ha capiti bene alzi la mano. Chi sta comprando il giornale e capisce tutto quello che c’è scritto? Allora chi siamo noi per decidere chi ha diritto ad aver accesso all’informazione? Forse la vera innovazione culturale verso un reale senso della parola “tutti” parte proprio da qui. ■

* Educatore ed esperto in scrittura con i simboli

L’impegno per un futuro miglioreaccomunato tutti noi in queste due giornate ricche di emozioni.

Francesca Succu, consigliera nazionale Aifo, ha aperto il fine settimana ricordandoci lo straordinario cammino di Raoul Follereau contro le ingiustizie e riassumendo in poche diapositive l’immenso agire di Aifo che, come ha affermato la consigliera Anna Maria Bertino, “non è solo una Ong ma è uno stile di vita”.

E poi Valentina Pescetti, presidente, progettista e responsabile area formazione presso Le Barbe della Gioconda, non poteva essere scelta una persona migliore per introdurci e seguirci in questo breve ma intenso percorso di crescita e formazione. Dopo un’introduzione

Come affrontare nuove sfide in un’esperienza di formazione Aifo rivolta ai giovani

i è svolto l’1 e il 2 aprile 2017 a Milano il Fine settimana formativo per i giovani di Aifo e per tutti

i giovani interessati a mettersi in gioco nel mondo del volontariato. Gli obbiettivi di promuovere la cittadinanza attiva dei giovani e di far conoscere l’esperienza di Aifo e le possibilità di Servizio civile e Cooperazione internazionale sono stati pienamente raggiunti.

Nei pochi minuti di attesa prima dell’effettivo inizio del seminario, noi giovani, senza neanche esserci tutti presentati, eravamo già immersi in discorsi sull’importanza del nostro impegno per un futuro migliore. Questo è stato lo spirito di partecipazione che ha

di Francesca Casassa Vigna

S teorica sulla ludopedagogia abbiamo potuto testare questo metodo di lavoro, coinvolgente in tutti i sensi, direttamente su di noi. È proprio vero che “giocando s’impara”, e proprio giocando siamo riusciti a spogliarci delle nostre paure dando luce alla parte migliore di noi stessi.

Riflessione in gruppoCon leggerezza e in maniera

spensierata abbiamo affrontato tematiche molto forti, poi sviluppate attraverso la riflessione in gruppo alla fine delle varie attività. Riconoscere i propri limiti e le proprie difficoltà per potersi mettere in gioco completamente e offrire qualcosa di noi stessi ed essere pronti a ricevere qualcos’altro dal nostro prossimo;

alle persone con disabilità visive alcune associazioni internazionali con il supporto dell’Organizzazione internazionale sulla proprietà intellettuale (Wipo) hanno promosso il “Trattato di Marrakech” che prevede eccezioni e limiti al diritto d’autore in modo da facilitare la presentazione e la diffusione di opere in formato accessibile rispetto a quello originale. Firmato nel giugno 2013, ed entrato in vigore nel settembre delle scorso anno, il Trattato di Marrakech è stato sottoscritto e ratificato da un numero ancora esiguo di paesi; tra gli assenti spicca l’Italia, che non l‘ha neppure firmato. Eppure costituisce un equilibrato compromesso tra il diritto alla proprietà intellettuale e il diritto ad una cultura accessibile.

l. a.

sTRumEnTI AIFO In ITALIA

Fonte: Archivio fotografico di Aifo

21Amici di Follereau N.5 /maggio 2017Amici di Follereau N.5 /maggio 201720

Fonte: Shutterstock.com

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Offrire qualcosa di noi stessi ed essere pronti a ricevere qualcos’altro dal nostro prossimoquesti sono alcuni degli importanti concetti nati dalle nostre riflessioni. “Tutti - aggiungono Adriano e Luca, attualmente impegnati nel servizio civile presso Aifo Latina - anche ciò che è Brutto e Oscuro, il quale altro non attende che essere rischiarato dalla luce, sono Inclusi a Partecipare nel meraviglioso Gioco della Vita, una sfera che irraggia molte cose, tra cui anche tante Emozioni.”

Solo riconoscendo i propri limiti e unendo le proprie risorse a quelle degli altri si possono costruire delle solide basi per far sì che la nostra presenza nel mondo sia davvero un “ruolo attivo”!

Ma come potersi sentire davvero attivi? La testimonianza di Mauro Pisano, giovane volontario Aifo di Capoterra, sul suo viaggio di conoscenza e formazione in un progetto Aifo in Brasile e quella mia, come responsabile del gruppo giovani di Aifo Imperia, sulle attività legate all’immigrazione intraprese dal gruppo Aifo imperiese e sul suo impegno settimanale presso i centri di accoglienza di Ventimiglia, sono state un buon esempio su come utilizzare al meglio il proprio tempo. Inoltre, ci sono state presentate delle ottime opportunità di volontariato di Servizio civile nazionale da due esperti della Focsiv. Un ringraziamento speciale va a Monica Tassoni, fondamentale per la realizzazione di tutto questo.

“Tutti simili? No. Ma tutti uguali e tutti insieme!” Raoul Follereau. ■

L’approccio proposto da Valentina, la formatrice che da anni collabora con Aifo, è quello della ludopedagogia, metodo molto sviluppato in America Latina con Paulo Freire e riassumibile nella frase “imparare giocando”. Ciascuna delle persone, nessuna esclusa, è protagonista attiva delle attività ludiche, che in quanto tali non sono noiose o sterili come può esserlo una lezione accademica, ma sono invece movimentate e divertenti perché includono tutte le parti della persona.

In queste attività “ci si mette in gioco” con le proprie emozioni ed esperienze, ma anche con la propria fisicità, affermando con il linguaggio del corpo: “Eccomi, ci sono Anche Io!”. Io con tutte le mie zone di luce e d’ombra, e questo rappresenta anche uno dei principali ostacoli da superare

Quando il gioco abbatte i muri

lungo il percorso condiviso con gli altri, perché “denudarsi” è avere il coraggio di mostrarsi agli altri e a noi stessi come si è veramente.

Questa difficoltà nasce forse dalla paura della diversità, dal credere che ciò che è diverso da noi sia sbagliato, migliore o peggiore. Invece è semplicemente diverso da noi, e forse in queste apparenti diversità possiamo trovare persone affini a noi, perché sono uguali a noi nel senso che sono diverse come noi. Scopriamo di non essere così soli come pensavamo.

Uno dei messaggi più forti e potenti che questa esperienza ci ha trasmesso è la possibilità che un gruppo di persone possa incontrarsi e scoprire di poter condividere qualcosa che li accomuni e li renda meno distanti fra loro.

Luca Viola e Adriano Zappullo

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AIFO In ITALIA

Amici di Follereau N.5 /maggio 201722

i n 2 M i n U T iL A s C i AU n s E G n oP E r L A V i TAFare testamento significa costruire legami, preoccuparsi degli altri, essere solidali. Manifestare le proprie volontà è un segno di grande responsabilità e amore.Il testamento è un atto di vita.

I lasciti testamentari costituiscono uno dei mezzi più sicuri ed efficaci per contribuire ai progetti di cura dei malati di lebbra, a favore degli emarginati e degli ultimi.

Nel corso dell’attività della nostra Associazione, molti sostenitori hanno deciso lasciti testamentari per i nostri progetti. Abbiamo potuto così curare molte migliaia di malati, abbiamo reso possibile il loro reinserimento, abbiamo contribuito a costruire il futuro per tantissimi bambini.

Per aiutare i nostri sostenitori in questa importante scelta, Aifo ha realizzato una Guida per i lasciti testamentari, semplice e chiara, che può essere richiesta. È attivo inoltre un servizio gratuito di consulenza sui lasciti testamentari, cui è possibile rivolgersi per chiarimenti.

Puoi telefonarci o scriverci, oppure visitare il nostro sito. Potrai scoprire i tanti modi per aiutarci ad aiutare gli altri.

e-mail: [email protected]

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COME FARE LA TUA DONAZIONE• Bollettino postale n. 7484 intestato a:AIFO - Onlus, Bologna• Conto Banca Popolare Etica, IBAN: IT 89 B 05018 02400000000 505050• Carta di credito: telefona al n. verde Aifo, oppure su www.aifo.it, clicca: Dona online

• Pagamento periodico bancario SEPA SDD (ex RID) richiedi il modulo al n. verde Aifo

Le donazioni con queste modalità (non in contanti) sono fiscalmente deducibili

Numero verde Aifo 800550303

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Otgontuul e Azbileg sono due sorelle, la prima con una disabilità fisica e l’altra con problemi di salute. Grazie

agli operatori comunitari, formati da Aifo, le due sorelle hanno potuto ricevere un finanziamento e hanno aperto una piccola drogheria nella loro tenda. Oggi sono due persone con la loro autonomia economica!

LE DUE SORELLE HANNO CAMBIATO VITA

M O N G O L I A

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In Mongolia avere una disabilità nelle remota regione dello Suhbaatar quasi sempre significa esclusione sociale, ma con il tuo aiuto possiamo fare in modo che tutte le persone come Otgontuul e Azbileg possano di nuovo sperare.

Piccole attività generatrici di reddito per persone con disabilità

90€Aggiornamento per tecnici di riabili tazione su base comunitaria

50€incontro dei Gruppi di auto aiuto delle persone con disabilità

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