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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI Corso di laurea in Dams - discipline delle arti, della musica e dello spettacolo TITOLO DELLA TESI La ricezione del cinema italiano in Portogallo osservato attraverso la "Cine-Revista" (1917-1924) Tesi di laurea in Filmologia Relatore Prof: Michele Canosa Presentata da: Anna Casula Appello secondo Anno accademico 2016-2017

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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea in Dams - discipline delle arti, della musica e dello spettacolo

TITOLO DELLA TESI

La ricezione del cinema italiano in Portogallo osservato attraverso la "Cine-Revista" (1917-1924)

Tesi di laurea in

Filmologia

Relatore Prof: Michele Canosa

Presentata da: Anna Casula

Appello secondo

Anno accademico 2016-2017

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Sommario

Introduzione ........................................................................................................................................... 2

Capitolo 1 - O cinema italiano chega em Portugal: excursus storico del cinema muto italiano

attraverso le pagine della “Cine-Revista” ........................................................................................... 5

1.1 Presentazione della “Cine-Revista” ............................................................................................... 5

1.2 Il cinema italiano nelle pagine della “Cine-Revista” .................................................................... 8

Capitolo2 - Marte contro Venere: il fenomeno del divismo maschile italiano nella “Cine-Revista”

............................................................................................................................................................... 15

2.1 La riscoperta di Emilio Ghione ................................................................................................... 15

2.2 Za la mort .................................................................................................................................... 16

2.3 Maciste: o hercules-actor ............................................................................................................. 26

Capitolo 3 - Storia di un viaggiatore: il caso Rino Lupo .................................................................. 30

3.1 Uma casa portuguesa ................................................................................................................... 31

3.2 La creazione del film Os Lobos .................................................................................................. 36

3.3 La fine del viaggio ....................................................................................................................... 38

Bibliografia .......................................................................................................................................... 42

Sitografia .............................................................................................................................................. 42

Filmografia ........................................................................................................................................... 43

Riviste ................................................................................................................................................... 44

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Introduzione

L’epoca del cinema muto è stata per lungo tempo dimenticata e deturpata dall’incuria degli

uomini e dall’inesorabilità del tempo. Ad oggi possiamo dire che circa l’80 per cento dei film

creati all’epoca sono andati perduti per sempre. Fortunatamente negli ultimi anni si sta

mostrando un interesse sempre maggiore per questo periodo storico, che ha permesso anche al

grande pubblico delle sale di riscoprire l’arte muta dei primi anni del Novecento. Grazie

all’impegno di studiosi, e in diversi casi grazie anche alla fortuna, da vecchi depositi o dai

mercatini dell’antiquariato, sono riemerse alla luce vecchie bobine o pezzi di pellicola, che una

volta in mano ai laboratori di restauro hanno ripreso il loro posto di diritto sul grande schermo.

Ma il processo di raccoglimento di informazioni non riguarda solamente i materiali filmici, ma

anche i cosiddetti “paratesti”1. Per paratesto si intende l’insieme di elementi e dei prodotti

esterni ad un determinato testo, ma legati in vario modo e con altre funzioni al testo medesimo.

Allargando ulteriormente la definizione di questo termine possiamo definire come paratesti tutti

quegli elementi prodotti che anticipano, affiancano, e prolungano la produzione e il consumo

di un oggetto culturale2. In tal senso in caso dei film si intendono: le anticipazioni fatte durante

le riprese, i promo, le interviste, le critiche sulla stampa, i fumetti, i libri ecc. Il ruolo dei

paratesti è quello di presentare il testo, in modo da attribuirgli un’identità, una paternità,

assicurandone la ricezione, rendendone possibile il consumo, ma anche costruendo nel pubblico

un desiderio di fruizione3.

Le riviste cinematografiche d’epoca ci permettono di venire in contatto con questa serie di

elementi e di toccare con mano come era visto e vissuto il cinema. Grazie ad esse siamo in

grado di ricostruire la vita delle case di produzione, scoprire film di cui non si avevano mai

avuto notizie, la programmazione delle sale e il peso sociale del cinema. Ma l’abilità dello

studioso deve essere soprattutto quella di sapere contestualizzare le notizie con cui viene a

contatto. Infatti la stampa dell’epoca aveva stretti legami con l’industria cinematografica. Come

si vedrà anche all’interno degli articoli riportati nell’elaborato, la maggior parte di essi sono fin

troppo elogiativi nei confronti degli attori, in modo da poter pubblicizzare il film in uscita nelle

sale. Il loro è uno scambio reciproco, infatti da una parte l’industria ha un canale di pubblicità

privilegiato, dall’altra spesso le riviste si fanno portavoce dei gusti del pubblico. Tra di esse vi

1 Silvio Alovisio, Giulia Carluccio, Introduzione al cinema muto italiano, Torino, UTET, 2014, p.316. 2 Ivi 3Ivi

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è un rapporto di reciproca influenza e integrazione, che va inteso nel più ampio sistema dei

mass-media e della società di massa4.

In queste prime pubblicazioni troviamo una grande eterogeneità di elementi, che vanno dalle

descrizioni scientifiche del cinematografo, al confronto e la lunga disputa tra teatro e

cinematografo, che chiedeva di essere riconosciuto come arte, oppure le trame dei film che sono

riportate in maniera dettagliata tanto da apparire come dei racconti brevi.

All’interno della rivista portoghese “Cine-Revista”, attiva dal 1917 al 1924, troviamo tutta

questa serie di elementi. In particolare il nostro lavoro è stato quello di incentrarsi sugli articoli

che trattano il cinema italiano dell’epoca e la sua influenza in Portogallo. La “Cine-Revista” è

considerata come la prima rivista di cinema in Portogallo, il quale, negli anni della fondazione

della rivista, stava attraversando un periodo abbastanza felice per la cinematografia con la

fondazione della Lusitania Film a Lisbona e dell’Invicta Film a Porto. Ciononostante la sua

produzione non era paragonabile ad altri paesi come Italia e Francia, di fatto proprio al cinema

italiano sono dedicati un sorprendente numero di articoli tra il 1917 e il 1922 circa.

Nel primo capitolo si è deciso di andare in ordine cronologico attraverso gli articoli della “Cine-

Revista” e tracciare le fasi più importanti del cinema muto italiano. Si inizia dal periodo di

massimo splendore del divismo, infatti basti pensare che il secondo numero è dedicato a

Francesca Bertini, per arrivare alla sua caduta dopo il 1919 con la fondazione del trust U.C.I. e

l’abbandono delle scene da parte dei suoi principali protagonisti.

Nel secondo capitolo ci si è voluti concentrare sul fenomeno del divismo maschile, considerata

la quantità di articoli dedicati ad Emilio Ghione e al suo personaggio Za la Mort. Sebbene in

maniera minore si è analizzato anche il caso Maciste, soprattutto per rendere conto di come i

divi americani stessero lentamente declassando quelli europei. Il terzo capitolo invece tratta di

una scoperta, una novità qui in Italia in quanto in Portogallo è molto conosciuto, ovvero

attraverso le pagine della “Cine-Revista” si è venuti a conoscenza del regista italiano Rino

Lupo. Di origine romana egli aveva viaggiato in tutta Europa mosso dall’amore per il cinema e

dalla ricerca di impieghi, che non mettessero limiti al suo estro creativo. In Portogallo trovò

non solo il suo paese di adozione, ma anche terreno fertile dove realizzare le sue opere migliori.

Non a caso il suo film Os Lobos è stato più volte considerato come il miglior film portoghese

4 Ibidem, p.318.

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dell’età del muto. A questo personaggio in Portogallo è stato dedicato il libro As cidades e os

filmes: uma biografia de Rino Lupo di Tiago Baptista, ma molta attenzione è stata suscitata

anche dall’articolo della Dottoressa Caterina Cucinotta per Istituto Italiano di Cultura di

Lisbona. Inoltre recentemente la Cinemateca Portuguesa ha provveduto alla restaurazione e alla

messa in commercio tramite DVD dei film di Lupo di Os lobos e Mulheres da Beira, dato che

di Fatima Milagrosa sono andate perse le bobine.

Questa tesi nasce da un tirocinio di tre mesi presso la Cinemateca Portuguese, la quale ha

gentilmente aperto i suoi archivi e ha reso possibile il lavoro sopra la “Cine-Revista” e tutte le

scoperte e le sorprese che sono arrivate dalle sue pagine. Questo può essere considerato come

uno dei primissimi studi della “Cine-Revista”, in quanto si è effettuata personalmente la sua

prima scannerizzazione e non esistono altre analisi simili su di essa.

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Capitolo 1 - O cinema italiano chega em Portugal: excursus storico del cinema muto

italiano attraverso le pagine della “Cine-Revista”

1.1 Presentazione della “Cine-Revista”

Nel 1895 i fratelli Lumiere raccolsero l’eredità di secoli di ricerca scientifica e di sogni, che

aveva radici profonde fin dall’invenzione della camera oscura rinascimentale, per cambiare il

mondo e il nostro modo di osservarlo: era nato il cinema.

Da lì in avanti la cinepresa divenne il mezzo principe di mobilitazione dei sogni. Le immagini

diventano vive, fugaci: sugli schermi si passa dagli “innaffiatori innaffiati”, ai trucchi di

prestigio di Melies, che con una cinepresa riuscì addirittura a raggiungere la luna, fino a

giungere alle grandi tragedie storiche dei grandi del passato. Il cinema riuscì a portare dentro le

sale migliaia di spettatori, che con pochi spicci potevano evadere dalla vita quotidiana e sognare

davanti ad un telo bianco. L’euforia che dominò i primi anni del XX secolo per la nuova

tecnologia ha dell’incredibile e dello spettacolare. Ovviamente gli intellettuali non poterono

restare indifferenti davanti a un tale prodigio, e fin da subito si svilupparono le prime discussioni

che miravano a riconoscere il cinema come arte. Per questo possiamo dire oggi che il cinema

nasce già come arte matura, nel senso che fin dalle sue origini nacquero tutta una serie di

discorsi critici e teorici in tutto il mondo, specialmente in Europa. Questa vivacità culturale

provocò di conseguenza la nascita di diverse riviste cinematografiche già dai primi anni dieci

del Novecento. Il Portogallo non rimase immune da tutto ciò e anche nell’estremo ovest del

continente europeo iniziarono a nascere le prime attività commerciali e le prime riviste.

Fino al 1965 si era creduto che la “Cine-Revista” fosse la prima rivista cinematografica

portoghese, fino a che non venne scoperta un’altra rivista, omonima, edita a Porto nel 1912. Di

questa rivista si conservano oggi solo il secondo e terzo numero1, mentre i restanti, sempre che

siano mai esistiti, sono andati perduti.

La “Cine-Revista” nasce a Lisbona nel 1917, un periodo abbastanza positivo per il cinema

portoghese, dovuto soprattutto alla rinascita della casa di produzione Invicta Film. I suoi numeri

uscivano mensilmente il 15 di ogni mese. I numeri arrivati fino a noi oggi sono conservati, in

ottime condizioni, presso la Cinemateca Portuguesa di Lisbona, probabilmente un lascito del

1 Cinemateca Portuguese-Museu do Cinema, Jorge Pelayo (a cura di), Bibliografia Portuguesa del cinema. Uma

visão cronologica e analitica, Lisbona, Cinemateca Portuguesa, 1998, p.26.

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fondatore della stessa Cineteca, ovvero Manuel Félix Ribeiro. L’ultimo numero della rivista è

l’ottantasettesimo e uscì il 24 agosto del 1924, un’interruzione brusca, in quanto non se ne fa

menzione nemmeno nei numeri precedenti. Purtroppo ad oggi abbiamo tantissime copie

mancanti (i numeri:8, 24, 55, 56, 61, 65, 66, 69, 71, dal 74 al 79, dal 82 al 86). Il costo della

rivista partiva da un prezzo di 8 centavos (100 centavos=1 escudo), con vari aumenti di prezzo

già dal secondo anno, fino ad arrivare a 25 centavos il sesto anno. La grafica e l'impaginazione

sono semplici per i primi sei anni e si stampa solo in bianco e nero. Solo dal numero 62 la rivista

viene dotata di una copertina più rigida, a colori, e tutta la grafica viene rivoluzionata e

impreziosita anche all'interno. Per tutti gli anni il direttore risultava essere Fernando Mendes -

del quale non si hanno informazioni precise- e l'editore era Angelo dos Santos. La sede della

rivista era particolare, in quanto si trovava all’interno del cinema Chiado Terrasse2, che era a

sua volta in uno dei quartieri più antichi e amati di Lisbona, appunto il quartiere Chiado.

Assieme al Salão Central e al Salão de Trindade, era uno dei cinema più importanti di Lisbona3.

Anzi nel 1911 venne definito come il cinema più ampio, comodo ed elegante di Lisbona, inoltre

si distingueva per la sua vastissima programmazione4. Non deve stupire se dunque la rivista

presa in considerazione scelse proprio questo edificio come posizione privilegiata, dedicando

inoltre al cinema Chiado Terrasse la prima pagina del primo numero. L’assemblamento e la

stampa erano svolti presso il Centro Typographico Colonial sempre a Lisbona.

Nella seconda pagina della rivista vi è la sua presentazione, che possiamo considerare come il

suo manifesto. In questo articolo viene detto che data l’evoluzione dell’arte cinematografica, si

impone la nascita di una rivista specializzata in tal senso. Essa si definisce “serena e imparcial”,

vuole difendere le imprese di cinema e tutti coloro che intraprendono questo mestiere, senza,

naturalmente, dimenticarsi del pubblico. Lontana dal desiderio di lucrare, i suoi sforzi sono

solamente per l’amore verso l’arte do silêncio.

Al suo interno sono presenti una grande varietà di tipologie di articoli. Molti hanno un fine

pedagogico, per esempio nei primi numeri viene tradotto a puntate il libro dell’americano Louis

Reeves Harrison, intitolato Screencraft, che sono delle autentiche lezioni di sceneggiatura, o

meglio detto dalle parole della rivista:

2 António Horta e Costa, Subsidios para a historia do cinema português (1896-1949), Lisbona, Empresa

Literaria Universal, s.a., p98. 3 M.Felix Ribeiro, Os mais antigos cinemas de Lisboa (1896-1939), Lisbona, Cinemateca Portuguesa, 1978.

pp.67-73. 4 Ivi

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1"Cine-Revista”, n.1, 15 aprile 1917, p.7

Da notare che Harrison era anche il direttore della rivista “Cine-Mundial”, edita a New York,

ma rivolta al pubblico sud americano, dalla quale la rivista portoghese riprenderà alcuni articoli

come si vedrà più avanti. Altri articoli di questo tipo sono dedicati invece alle componenti e al

funzionamento delle macchine cinematografiche -come la macchina da presa o il proiettore- o

più in generale al funzionamento dell’elettricità. Alcuni inserti a puntate sono dedicati alla storia

e alle novità dei cinema di Lisbona con il titolo “Vida dos cinemas”, ma si può dire che in tutti

i numeri della rivista vi è una forte sponsorizzazione del cinema lusitano e alle sue produzioni.

Un’altra rubrica molto interessante è “Respigando da toda parte” che è un elenco di brevissime

notizie sul mondo del cinema, all’interno non si parla solo di film ma anche di quello che era il

gossip dell’epoca come per esempio i matrimoni di Francesca Bertini e Lyda Borelli o le

vacanze di Maciste. Molto spazio viene dedicato a quelli che sono i film in uscita in Portogallo,

in particolare a Porto e a Lisbona. Infine, oltre alle notizie in generale sui film in uscita e sugli

attori, diversi articoli vengono dedicati alle trame dei film, come era consuetudine dell’epoca.

Un’altra tipologia interessante di articoli sono quelli dedicati al dibattito che riguardava il

riconoscimento del cinema come arte, e il suo confronto/scontro con il teatro, che era molto

accesso all’epoca come si vedrà anche nei capitoli successivi.

Il cinema italiano è ampiamente trattato nella rivista che dedica ai suoi protagonisti, nel corso

degli anni, numerose prime pagine. In particolare se ne parla tra il 1917 e il 1922 (quinto anno

della rivista), da lì in avanti si vede un progressivo avanzare del cinema nord-americano, il

quale diventerò quasi totalizzante negli ultimi numeri della rivista. In questi viene menzionata

la crisi cinematografica attraversata l'Italia, tuttavia ciò non comporta una perdita del fascino

del nostro cinema. Attraverso le pagine della rivista portoghese possiamo seguire la nascita, lo

splendore e la caduta del nostro cinema muto dal punto di vista del pubblico portoghese.

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1.2 Il cinema italiano nelle pagine della “Cine-Revista”

La presenza dei film italiani nella rivista portoghese è notevole già dai primissimi numeri. Il

secondo numero si apre con la prima pagina dedicata alla diva Francesca Bertini, in occasione

dell’uscita del film La Signora delle Camelie.

“Fin dalle prime scene è riuscita

ad aumentare l'entusiasmo degli

ansiosi, Bentini si è innalzata

alla categoria di artista

straordinaria, senza eclissare,

chiaramente, la insigne Sarah,

ma senza porsi ad un genio

inferiore” .

La Sarah di cui tratta l’articolo

è l’attrice teatrale Sarah

Bernhardt, la quale era

considerata la Margherita

Gautier per eccellenza, che

possiamo in qualche modo

ricollegare alla lotta tra teatro e

cinema citata prima.

Inoltre l’articolo esalta anche la

sua interpretazione in My little

baby e si parla della

realizzazione di Fedora.

“Bertini è pertanto, uno degli

astri più luminosi della cinematografia, arricchendola spesso con le sue produzione di

impeccabile arte, rendendola eccezionalmente ideale assieme alla sua notabile perfezione

fisica”.

2" Cine-Revista”, n. 2, 15 aprile 1917, p.1

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Nel terzo numero della rivista troviamo una dedica ad un’altra nostra diva, Pina Menichelli, per

la promozione della programmazione in Portogallo La gemma di Sant'Eremo e Tigre Reale.

“Pina Menichelli è, insomma, una attrice cinematografica portentosa, un'eccelsa principessa

dello schermo. I suoi lavori non mancano mai di essere eccezionali, come la sua arte non poteva

mancare di essere inserita tra i numeri delle cultore più ammirabili ed insigni.”

Un’altra prima pagina è dedicata ad un’altra diva italiana, nel quarto numero, dove viene

riportato il successo ottenuto dal film Falena, con protagonista Lyda Borelli, presso il Salon

Cataluña a Barcellona in occasione dell’arrivo del film a Lisbona. L’articolo è tradotto dalle

pagine della rivista “Cine-Mundial”, infatti non era raro che la rivista proponesse articoli di

altre riviste non rinunciando comunque a una impostazione portoghese: “Lyda Borelli gode non

meno, tra il pubblico portoghese, di attenzione, ma prima di tutto, di una venerazione assoluta”.

Articolo originale, in spagnolo, tratto dal numero del maggio 1916 dalla rivista "Cine-

Mundial"5, p. 195

5 Per il numero interamente digitalizzato si veda:

http://archive.org/stream/cinemundial01unse#page/195/mode/1up/search/salon

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Un altro motivo per cui il quarto numero della rivista è molto importante è per il fatto che viene

riportata una conferenza cinematografica, svoltasi il primo giugno del 1917, presso il cinema

Salão Olympia dal poeta Antonio Ferro. La conferenza era dedicata alle tragedie del grande

schermo, presentando “as três tragicás do animatógrafo: Francesca Bertini, Pina Menichelli,

Lyda Borelli”.

Il grande fascino delle

dive italiane aveva

inevitabilmente

conquistato anche il

Portogallo, un mito

talmente forte da rimanere

nell’immaginario del

pubblico portoghese,

anche durante la crisi del

cinema italiano e

l’avanzare di quello

statunitense.

In occasione del primo anniversario della rivista, nel numero 13, venne organizzato un

Certamen Cinematogafico Commemorativo presso il cinema Salão de Trindade a Lisbona.

L’articolo non manca di sottolineare l’autenticità e la singolarità della “Cine-Revista” e del

ruolo fondamentale che ricopre in Portogallo. Infatti, sebbene il Portogallo avesse in attivo

diverse attività dedicate al mondo della pellicola, queste non erano minimamente paragonabili

ad altre realtà come quelle italiane o francesi. Quindi la rivista non esagera quando nell’articolo

scrive che la sua missione è audace, considerando le circostanze in cui versa il Portogallo. In

questa occasione abbiamo l’ennesima conferma di quanto il cinema italiano influenzasse i gusti

portoghesi, infatti durante l’anniversario vennero proiettati ben due film italiani, per celebrare

le dive Bertini e Menichelli:

3" Cine-Revista”, n. 4, 15 giugno 1917, p.3

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4" Cine-Revista”, n. 13, 15 marzo 1918, p.5

Un altro esempio di ammirazione per le signore del nostro cinema è riportato poche pagine più

avanti, nella descrizione delle doti sceniche quasi sovraumane dell’attrice Francesca Bertini, in

un articolo firmato da Guilherme Rato, in occasione dell’uscita del film Andreina:

“Per imprimere un'impronta portentosa a un'opera letteraria, è indispensabile darle come

protagonista la figura di Bertini, del suo adorabile profilo, della sua bellezza assorbente, della

sua espressione mistica. Bertini è il prototipo di Venere. […] Bertini non è una donna. È una

dea mitologica che, per ottenere l'incarnazione divina, deve esporsi al più crudele olocausto.

Dentro le grandi tragedie dell'Arte del silenzio Bertini è inconfondibile, occupando uno dei

primi posti, se non il primo, nella deliziosa pleiade degli artisti di maggior rilievo”.

In questo numero e in quelli immediatamente successivi si concentrano un grandissimo numero

di articoli dedicati alle dive italiane, non mancano infatti quelli dedicati a Leda Gys, Maria

Melato, Lyda Borelli, Pina Menichelli, Olga Benetti…

La prima pagina del 15 aprile del 1919, stiamo parlando del numero 26, è dedicata a tre

eccellenze del cinema italiano. La prima è l'attrice Hesperia, passata alla gloria con la sua

interpretazione di "Margarida Gautier" nel film La dama delle camelie e si anticipa la prossima

uscita del dramma in sei atti La donna abbandonata (Mulher Abandonada).

"Hesperia, la divina Hesperia, questa brillantissima stella dello schermo, insigne in tutte le sue

creazioni, ha ottenuto il prestigio mondiale del suo nome nella interpretazione magistrale di

numerose opere d'arte."

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La seconda stella è l'attrice Maria Jacobini, la quale è ricordata per il suo repertorio di altissimo

livello e presto la si rivedrà sullo schermo con la pellicola La signora Arlecchino. Si parla

inoltre dell'agenzia di Barcellona, Agencia Verdaguer, che ha come rappresentante in

Portogallo il signor Raul Lopes Freire. Quest'ultimo ha permesso ai giornalisti della rivista di

vedere in esclusiva le pellicole di Maria Jacobini, Hesperia ma anche di Pina Menichelli.

"In Maria Jacobini, distinta e bellissima, l'arte cinematografia ha trovato il più fervente culto ".

L'ultima celebrità menzionata è invece il divo Ermette Zacconi, già artista teatrale e ora grande

interprete cinematografico, come ha dimostrato nei film L'emigrante (o Emigrante) e Gli spettri

(Os Espectros).

"Gloria inconfondibile del teatro di prosa, Ermette Zacconi non poteva non essere sublime

nell'arte del gesto e del silenzio; e, in questa maniera, tanto ne L'Eremita come in Gli Spettri,

egli solo è stato considerato un attore eccellente tra i più notabili attori".

Benché la presenza delle dive sia decisamente dominante, Zacconi non è l’unico divo italiano

di cui si parla all’interno della rivista. Molti articoli sono dedicati anche ad Emilio Ghione come

vedremo in seguito.

Ma attraverso le pagine della “Cine-Revista” possiamo ricostruire passo per passo la storia del

nostro cinema muto, attraverso altri articoli che non siano quelli dedicati ai divi o alle dive.

Questi ci consentono di ricostruire anche la storia industriale, per esempio, sempre nel numero

13, viene riportata la nascita della società Stampa di dispositivi Cinematografici a Roma. Ma

ancora più importate è l’articolo apparso a pagina due del 15 marzo 1919, siamo al numero 25,

dove viene riportata la nascita dell'Unione Cinematografica italiana, con un capitale di 30

milioni di lire. Con le sue componenti tra cui: Cines, Tiber Film, Italia Film, Caesar Film, Film

d'arte italiana e Gloria. Sebbene sappiamo che per il momento solo alcune di queste entrarono

effettivamente all’interno dell’U.C.I., per esempio per la Tiber all’epoca agiva solo come

distributore di pellicole. Viene anche riportata la partecipazione finanziaria della Banca

Commerciale Italiana e della Banca italiana di sconto. Col senno di poi sappiamo che possiamo

usare questo articolo per tracciare la linea di inizio di quella che sarà la fine dell’epoca aurea

del cinema italiano. Una fine che se già in Italia presenta i primi sintomi, in Portogallo sembra

ancora lontana e intangibile. Non a caso la prima pagina del numero immediatamente

successivo è dedicata ai tre divi citati nel paragrafo precedente e la prima pagina del numero 27

è dedicata a Pina Menichelli con il film in quattro atti La passeggera.

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L’ultima prima pagina rivolta all’Italia è dedicata alla stessa diva che apriva il secondo numero

della rivista, nel numero 38 del 15 maggio 1920. Anche in questo numero, dopo tre anni, si

dedica a Francesca Bertini la prima pagina, poiché la straordinaria attrice italiana torna a stupire

con i personaggi simbolici di I sette peccati capitali (Sete peccados mortaes). Il film viene

presentato dalla rivista come uno studio sulla vita sociale, sui segreti e sulle passioni umane.

Realizzato dalla Caesar-Film di Roma, era all’epoca in programmazione all'Olympia e al

Chiado Terrasse di Lisbona, dove si registrava il tutto esaurito. Inoltre si fa riferimento al fatto

che nel 1918 era stato offerto all'attrice un vantaggiosissimo contratto da parte dell'industria

americana. Ma l'attrice patrioticamente rifiutò continuando ad essere "il privilegio della dell'arte

cinematografica italiana", come recita uno dei suoi biografi. Vengono inoltre riportati degli

estratti nel trimestrale “Film” di Napoli, dove vengono elogiate le sue doti attoriali.

“Oggi, passati tre anni, Francesca Bertini va di nuovo ad illustrare la pagina d'onore di questa

rivista, perché la straordinaria attrice italiana, avendoci meravigliato con i suoi successivi

trionfi, finisce per incarnarci in un'interpretazione veramente sublime, tutti questi personaggi

simbolici emozionanti de I sette peccati capitali, nel quale l'arte del silenzio, in un ampio ed

intimo studio della vita sociale e con il segreto delle passioni umane, ci offre sette opere

importanti per progettazione ed esecuzione”.

Da questo momento in poi le notizie sul cinema italiano cominciano a diminuire fino a quasi

scomparire. A partire dagli anni venti l’Italia sprofondò in una brutta crisi dalla quale si

risollevò a fatica. La disfatta dell’U.C.I. e la mancanza di invettiva insieme all’incapacità di

rinnovarsi delle case di produzione, provocarono un tracollo delle produzioni italiane. Basti

pensare che se nel 1920 i lungometraggi prodotti erano 371, nel 1925 scendono drasticamente

a 25 e nel 1929 ad appena 206.

La crisi italiana viene raccontata anche attraverso le pagine della “Cine-Revisa”, come accade

per esempio sul numero 73 del giugno 1923, dove viene detto che Francesca Bertini, la quale

negli ultimi due anni si era allontanata dalle glorie dello schermo a causa del suo matrimonio,

riappare brevemente in alcune creazioni cinematografiche edite però a Berlino. Ciò proprio a

causa della grave crisi cinematografica che stava colpendo l'Italia. Oppure nel numero 62 del

6 Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), Einaudi, Torino, 2003, p.400.

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settembre del 1922 dove è riportato che la diva Pina Menichelli lasciava l'Italia per andare a

lavorare a Londra grazie a un vantaggioso contratto.

In generale dal 1922 in poi possiamo notare un numero spropositato di articoli, all’interno della

nostra rivista, riguardanti il cinema americano con tanti di prime pagine, numerose foto, notizie

di gossip e promozione dei film in uscita, ma questa d’altronde era la prassi in buona parte

dell’Europa. Tuttavia nemmeno la crisi riuscì a scalfire l’ammirazione e l’entusiasmo del

pubblico portoghese per le dive italiane, e lo possiamo dedurre da un fatto emblematico

riportato nel numero 67 del dicembre del 1922.

Si parla di un sondaggio che si era svolto durante "La settimana cinematografica di Lisbona"

tenutasi nei quattro cinema principali della città: Chiado Terrasse, Olympia, Salao central e

Condese. Ciascuno di questi cinema aveva proiettato una serie di film, ognuna diversa dalle

altre, con i principali interpreti cinematografici. Lo scopo era quello di capire quale fosse

l'attrice preferita degli amanti "dell'arte del silenzio" lisboneti. Il sondaggio era stato vinto da

Francesca Bertini con la cifra esorbitante di ben 5.066 voti. A seguire Maria Jacobini con 2.302

voti e Pina Menichelli con 944. Anche per i lettori del giornale “Diario de Noticias”,

organizzatore dell'evento, la diva più amata è la Bertini con la seguente votazione: Bertini

3.660, Menichelli 403 e Talmadge 136.

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Capitolo2 - Marte contro Venere: il fenomeno del divismo maschile italiano nella “Cine-

Revista”

Generalmente quando si pensa agli anni d’oro del cinema muto, nella mente scorrono

immediatamente le immagini degli occhi tristi delle dive e dei loro volti intrappolati nei grani

delle pellicole, che esportavano in giro del mondo il modello del cinema italiano. Donne come

Bertini, Borelli, Menichelli sono astri che emanano luce propria, luce che va ad oscurare un alto

fenomeno divistico parallelo: quello del divismo maschile. Infatti in Italia abbiamo avuto grandi

nomi di divi maschili, i quali son comunque riusciti ad entrare nell’immaginario comune. La

potenza di queste figure è riuscita ad arrivare all’estremo margine della penisola iberica, infatti

la “Cine-Revista” dedica una discreta quantità di articoli sia a Emilio Ghione sia a Bartolomeo

Pagano.

2.1 La riscoperta di Emilio Ghione

Emilio Ghione è sicuramente una delle figure più emblematiche e carismatiche del panorama

divistico italiano, ma paragonarlo con le sue colleghe del grande schermo, è sicuramente fuori

luogo. Infatti se negli anni della Grande Guerra il divismo femminile raggiungeva il suo apice,

la controparte maschile aveva molte più difficoltà. Tuttavia il divismo maschile ha una

maturazione più lenta che gli consentirà di crearsi una base molto più duratura, che culminerà

alla fine nella costruzione del divo/duce Mussolini, attraverso i documentari dell’istituto Luce1.

Inoltre non bisogna trascurare il fatto che Ghione non fu solo attore, e dunque divo, ma anche

un autentico metteur en scène, sceneggiatore, scenografo, scrittore, cronista di cinema,

memorialista e novellista, insomma un vero poligrafo multidisciplinare2.

A partire dagli anni 30 -Ghione muore nel 1930- gli scritti a lui dedicati di natura critica,

giornalistica o storici lo inquadrano in un divismo fortemente stereotipato.3La ragione

principale di questa inesattezza di informazione è la stessa che accumuna tutte le lacune attorno

al cinema muto: la carenza di materiali filmici4. Ghione in questi anni viene presentato come

una sorta di incarnazione della caducità umana, quasi come se il suo fisico descrivesse lo stato

di profonda sofferenza su cui versava il cinema muto. Storia e leggenda si confondono e si

1 Denis Lotti, Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano, Rubbettino, Roma/Soveria Mannelli,

2016. p.11. 2 Ibidem, p.95. 3 Ibidem, p.98. 4 Ivi

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mescolano più volte, tant’è che la critica non riesce più a distinguere tra il semplice aneddoto,

provocando la nascita di improbabili ricostruzioni storiche5.

Fortunatamente la situazione cambia nel 1979 quando Brunetta gli dedicò una retrospettiva alla

Mostra Internazionale del Cinema a Venezia, celebrando il centenario della nascita. Ma buona

parte delle informazioni biografiche ci vengono fornite da Ghione stesso in Memorie e

Confessioni, un’autobiografia pubblicata a puntate sulla rivista “Cinemalia”, oggi curata da

Denis Lotti in Scritti sul cinematografo.

2.2 Za la mort

Za la mort - o Za-la-mort come riportato sulla “Cine-Revista” -ha una genesi insolita, nel senso

che non nasce per il cinema, ma per uno spettacolo di varietà drammatico chiamato Un quarto

d’ora di angoscia, probabilmente del 19136.

Come lo descrive lo stesso Ghione nella sua prima comparsa nella storia: “Rapidissima l’arma

sottile e mortale, brillava nella destra di colui che un giorno, scriverà a caratteri d’oro nella

storia dell’Arte Muta, creando, dando cuore, muscoli, sangue alla generosa, leale silhouette di

‘Za la Mort’”7. Tuttavia l’etimologia del nome rimane nell’ombra e anche la sua creazione.

Nelle sue memorie Ghione dice di ispirarsi agli apache, che era il nome riservato agli abitanti

dei bassifondi parigini. Egli raccontava di essersi ispirato a questi spettacoli per sua creatura:

“Za la Mort, che in gergo significa ‘Viva la Morte’ fu, ed è, l’espressione più sana della vita”8.

L’attrice Francesca Bertini invece raccontò che il personaggio venne creato nel suo

appartamento, dove lei e Ghione scrissero la sceneggiatura di Nelly la gigolette e creando il

personaggio di Za la Mort. Ma oggi l’ipotesi più valida e condivisa è quella elaborata da Monica

dall’Asta, che fa risalire l’origine del nome a fonti letterarie. L’origine sarebbe da attribuirsi nel

grido di battaglia della “Banda degli Z” del feuilleton Zigomar: “Z à la mort! Z à la vie!”. La

prima riduzione cinematografica di tale opera è distribuita in Italia nel 1914, proprio l’anno in

cui venne realizzato da Ghione Nelly la gigolette9.

5 Ivi 6 Ibidem, p.154. 7 Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni seguito da La parabola

del cinema italiano [1929-1930], AIRSC – Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema/Cattedrale,

Roma/Ancona, 2013, pp.48-51. 8 Ibidem, p. 64. 9 Denis Lotti, Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, Cineteca di Bologna,Bologna,

2008, p.152.

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Za la Mort è un giustiziere, il delinquente che rispetta i codici d’onore. Nei suoi film è sempre

presente un forte nucleo di moralità e sentimenti, una condanna a quel mondo dei ricchi

celebrato nei film delle eteree dive10. Ghione medesimo disse che il suo personaggio era la

risposta italiana alla moda dei cine-delinquenti, i quali dominavano gli schermi europei. In

particolare Za la Mort sarebbe ispirato al ladro gentiluomo creato dall’ingegno di Maurice

Leblanc, Arsenio Lupin11. Da quest’ultimo di fatto Ghione ruba vari caratteristiche peculiari

come: il frac, i modi eleganti e le ambientazioni12. La carriera da divo di Ghione è del tutto

distante da quella dei suoi colleghi, infatti aveva militato sia nel filone dei “forzuti” sia in quello

degli amorosi, senza mai rimanerne intrappolato ed elevandosi spesso come autore popolare di

respiro europeo13.

La recitazione di Ghione portò una ventata di aria fresca negli studi italiani. Fino all’età di

trent’anni non aveva mai recitato e non aveva mai avuto contatti col mondo del cinema. Ciò

comportò nella sua recitazione la perdita dei “ritegni teatrali, pur non essendo immune dalle

esagerazioni tipiche della sua epoca, è uno dei pochi attori che si preoccupa di dare vita alla

scena attraverso la vibrazione del corpo14. La sua è una recitazione che agisce per stilizzazione

e sottrazione. Un’alta caratteristica per cui i film di Ghione colpiscono particolarmente, è

l’ambientazione e la presenza dominante del paesaggio, come scrisse Umberto Barbaro “C’è

più Italia nei Topi Grigi di Emilio Ghione e Kally Sambucini che non nei film italiani del

periodo”15.

È davvero interessante come la figura di Ghione occupi così tanto spazio all’interno della “Cine-

Revista”, dedicando ai suoi film addirittura due prime pagine. Il primo articolo su Ghione lo

troviamo nel numero 14 della rivista, del 15 aprile del 1918, in occasione della proiezione

avvenuta il 17 marzo presso il cinema Salão Central di Lisbona del film La grande vergogna

(in portoghese tradotto come A grande Vergonha).

10 Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), Einaudi, Torino, 2003, p.51. 11 Denis Lotti, Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, op.cit., p.154. 12 Ivi 13 Denis Lotti, Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano, cit., p.101. 14 Ibidem, p.102. 15 Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), op.cit., p.50.

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5" Cine-Revista”, n. 14, 15 aprile 1918, p.5

Un altro dato importante che emerge da questo articolo è il fatto che sia “mais conhecido entre

nós”, quindi in Portogallo, col nome di “Caveira” cioè teschio. Il soprannome, come è

facilmente intuibile, è da attribuirsi alla particolare fisionomia dell’attore. L’insieme di tutti

questi elementi ci dà prova di come la figura di questo “apache temivel do drama” fosse già ben

radicata nel pubblico portoghese, come ci daranno conferma gli articoli successivi. La grande

vergogna arriva in Portogallo con due anni di ritardo, vede l’attore affiancato dall’attrice Ida

Carloni-Talli. Come apprendiamo dalla stessa penna di Ghione, egli scrisse una storia dove il

suo personaggio, l’alter ego Za la Mort, non compariva, ma anzi vedeva come protagonista uno

splendido ufficiale della guardia imperiale inglese16. Pur riconoscendo le potenziali del suo

film, purtroppo la pellicola non riscosse il successo sperato dall’autore. La figura dell’apache

Za la Mort, che gli aveva donato così tanto successo, cominciava a stringersi attorno al suo esile

corpo impedendogli di vestire altre vesti oltre a quella. “Ancora una volta, fra le mie capacità

di svariate creazioni d’arte ed il pubblico, si profilava la sagoma livida di Za che tutto

distruggeva”. Con queste parole l’attore torinese mostrava le sue prime insofferenze verso la

sua creatura, la quale persisteva anche oltre i confini italici. Infatti si noti come anche

nell’articolo portoghese si parla di Ghione in termini di apache, e non vi sia nessun cenno al

nuovo personaggio.

16 Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni seguito da La

parabola del cinema italiano [1929-1930], AIRSC – Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del

Cinema/Cattedrale, Roma/Ancona, 2013, p.101.

L’articolo cita a sua volta un altro tratto dalla

rivista “A Capital”, che ci regala

un’entusiasta descrizione delle doti recitative

dell’attore italiano. L’articolo era stato

scritto in occasione della vigilia

all’anteprima lisboneta.

“Scrive le sceneggiature, dirige le prove, e

interpreta personalmente i suoi scritti. Tale è

Ghione [scritto “Chione” nel testo], come

scrittore, direttore e attore, e dei suoi

straordinari mezzi bisogna aspettarsi di

tutto.”

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Il successivo articolo dedicato a Za la Mort lo troviamo poco più avanti nel numero 21, datato

15 dicembre 1918 in occasione dell’uscita del film in otto parti I topi grigi (As Ratas Pardas in

portoghese). Come accadeva anche in Italia, la “Cine-Revista” mantiene i nomi dei personaggi

alter ego inventati dagli autori17: quindi Za la Mort per Ghione e Za la Vie per Kally Sambucini.

L’articolo in questione si estende in ben tre pagine della rivista, trattandosi della trama

dettagliatissima del nuovo film suddivisa in otto episodi. La grafica del titolo è la seguente:

6" Cine-Revista”, n. 21, 15 novembre 1918, p.6

Come si può facilmente notare l’attenzione grafica riguardante il titolo del film è molto alta,

cosa per niente scontata per la rivista che stiamo considerando. Infatti, sfogliando le pagine,

questo titolo attira subito l’attenzione rispetto agli altri molto più poveri.

La grande pubblicità riservata al film di Ghione la si può ricondurre al fatto che spesso la “Cine-

Revista” si appoggiava, per avere nuove notizie, alle riviste spagnole. Abbiamo certezza dello

straordinario successo ottenuto dal film in Spagna da una testimonianza diretta di Ghione. Egli

raccontava nelle sue Memorie di aver ricevuto un telegramma da Madrid, dopo la proiezione

nel Real Teatro Silenzioso, dove era stato richiesto addirittura necessario l’intervento della

gendarmeria per trattenere la folla18.

Il telegramma è firmato “Verdaghen”, ovvero si riferisce all’agenzia di Barcellona, Agencia

Verdaguer, che ha come rappresentante in Portogallo il signor Raul Lopes Freire. Il suo nome

e quello dell’agenzia compare più volte all’interno della “Cine-Revista”, che otteneva da questa

agenzia non solo informazioni ma anche proiezioni speciali di anteprime. Tutto ciò ci fa

17 Denis Lotti, Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano, cit. pp.16-17. 18 Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni seguito da La

parabola del cinema italiano [1929-1930], cit., p.73.

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ragionevolmente supporre che il successo della pellicola a Madrid, avvenuto due mesi prima,

abbia poi influenzato le pubblicazioni in Portogallo.

Nella pagina successiva, nella sezione dedicata alle nuove uscite nelle sale di Lisbona,

apprendiamo che la prima del film si svolse il 25 novembre al Salao Central.

Nell’immagine a fianco è riportata una delle tane

pubblicità presenti nei numeri della “Cine-Revista”

sull’Agencia Verdaguer, che si occupava della vendita

e del noleggio delle pellicole in tutta la penisola iberica

e nelle isole Baleari e nelle Canarie.

Pubblicità sulla "Cine-Revista" dell'Agencia Verdaguer dove è presente nella distribuzione

anche i film di Ghione I Topi Grigi.

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I topi grigi fu il secondo serial prodotto da Ghione, creato in una situazione complicata nella

quale l’Italia si trovava nell’ultimo anno della prima guerra mondiale. Alla tragedia bellica si

sovrappone a quella personale dell’attore, il quale si sente oppresso dalla sua stessa creatura Za

la Mort. Scrive nelle sue memorie: “Questo smercio mondiale della produzione mia, fu per me

una camicia di Nesso, creando Za La Mort, mi ero reso prigione suo”19 .

Ma di tutta la rivista gli articoli più importanti sono sicuramente le prime pagine dedicate a

Ghione e alla Sambucini.

7" Cine-Revista”, n.28, 15 luglio 1919, p.1

19 Ibidem, p.74.

La prima è dedicata allo stesso Ghione,

e a dividere le due colonne del testo è

presente una sua foto in abiti tipici da

apache.

La prima pagina aveva come fine,

probabilmente, quello di pubblicizzare

le nuove pellicole di Ghione: Sua

eccellenza la morte e Dollari e Fracks,

prodotti dall’Itala Films.

Per l’artista italiano sono riservate solo

parole di elogio e lo si considera come

uno specializzato in quelle che

vengono chiamate serie

cinematografiche.

La Cine-Revista riconosce in Ghione

un artista eccellente e desidera riferire

ancora per molto tempo delle brillanti

creazioni “do raro temperamento” di

Za la mort.

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"Nella vasta galleria dei principali attori del teatro grafico, il nome di Emilio Ghione occupa

uno dei posti salienti. Questo notabile artista, che, insieme alla distinta Kally Zambucini, è stato

il talentuoso interprete di numerosi film di avventura, ha lasciato dentro di noi una viva

impressione del suo alto valore fin dalla esibizione, nel Salao Central, del famoso Triangolo

Giallo, che ha ottenuto un successo straordinario, grazie alla grande interpretazione che gli fu

data. Più tardi, nell'altro film del medesimo genere I topi grigi, che gli fece guadagnare il

soprannome di Za-la-Mort, Emilio Ghione ha messo in evidenzia una tale arte e un tale acuto

spirito di osservazione e adattamento che è diventato l'attore amato dal pubblico."

Nelle pagine successive nella sezione delle prossime uscite si apprende che Sua eccellenza la

morte sarà proiettato presso il Salao Central di Lisbona.

Nel numero successivo, del 15

agosto del 1919, la prima pagina è

dedicata all’inseparabile compagna

Kally Sambucini. In arte Za la Vie.

Anche in questo caso viene allegata

una sua foto con abiti di scena.

Nel testo si leggono le seguenti

frasi: “"Kally Zambucini onora

sopra ogni modo l'alta

cinematografia, nella quale si

legano assieme tutte le sue preziose

facoltà, divenendo ammirata da

tutto il mondo, che già ha tessuto

attorno del suo prestigioso nome la

più brillante aureola a cui le più

notabili della scena muta possono,

giustamente, ambire".

Anche in questo articolo la rivista

portoghese non risparmia i

complimenti per l’attrice. Va messa

anche il risalto anche l’ode all’Italia che apre lo scritto, la quale ha il merito di donare al “teatro

8" Cine-Revista”, n.29, 15 agosto 1919, p.1

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grafico” i suoi principali elementi. Tra questi un grande esempio è proprio Kally Sambucini,

alla quale si riconosce un grandissimo talento soprattutto per quanto concerne i film

d'avventura. Nei quali padroneggia e non ha rivali, in quanto sono film che richiedono un grosso

sforzo fisico e competenze. Si noti che Za la Vie non è considerata una “spalla” della sua

controparte maschile, ma una vera e propria attrice protagonista dei film.

Il nome Kally Sambucini era il nome d’arte dell’attrice romana Calliope Sambucini, la quale

stette al fianco di Ghione sia come compagna e come protagonista dei suoi film per ben undici

anni a partire da Za la Mort nel 1915. La sfida che dovette affrontare all’inizio non fu per niente

semplice in quanto avrebbe dovuto sostituire la prima compagna di scena di Ghione, che era

niente poco di meno che la prestigiosa Francesca Bertini, la quale era passata dalla Tiber alla

Caesar Film. Ma la sua abilità fu proprio quella di opporre il proprio modello estetico a quello

della diva20, ponendo la sua immagine più vicina alla quotidianità.

Così Ghione nelle sue Memorie ricordò affettuosamente il loro primo incontro: “In quella rude,

aspra, battaglia, fra quell’incessante, febbrile attività, che impone la Dea Muta, mi si squarciò

un lembo di serena pace. Era una nervosa figurina, giovane, bruna, dai grandi occhi pensosi e

dalla maschera già sagomata ad onta dell’età ancor freschissima. Strano, curioso fu il modo col

quale il faretrato monello legò il diafano nodo. […] Così il tenace artista, nell’affetto

tenacissimo, volle, conobbe, stimò e fece sua la creatura dai grandi occhi pini d’ombre”21.

Questa loro unione sia affettiva che professionale, li espose più volte alle malelingue dell’epoca,

che descrissero la Sambucini come una figura passiva, un capriccio di Ghione da riempire di

gioielli e da lanciare sul grande schermo22. Lo stesso figlio di Ghione, Pierfrancesco, avuto

dalla moglie dalla quale si separò nel 1913, intervenne per scagionare l’attrice da questa fama

di approfittatrice. Raccontò infatti che la Sambucini rimase al fianco del padre fino alla fine,

quando ormai di Ghione restava solo un ricordo sfocato consumato dalla malattia e dalle novità

di un cinema sonoro contro il quale non aveva armi, spegnendosi nella clinica “Cesare Battisti”

di Roma tra le braccia sue e della compagna Za la Vie23.

L’ultimo articolo giunto fino a noi riguardante Ghione è dell’anno successivo nel numero 37

del 15 aprile 1920. In questo piccolo trafiletto veniva riportato riporta il passaggio di Emilio

20 Denis Lotti, Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, cit., p.33. 21 Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni seguito da La

parabola del cinema italiano [1929-1930], cit., p.68. 22 Denis Lotti, Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, cit., p.33. 23 Denis Lotti, Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, cit., p.34.

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Ghione dalla Lombardo Film all'Unione Cinematografica Italiana, con uno stipendio di mezzo

miliardo di lire all'anno.

9" Cine-Revista” n. 37, 15 aprile 1920, p.6

L’articolo riporta una notizia sbagliata, perché nel ’20 Ghione passa alla Lombrardo, e non

viceversa. Professionalmente parlando lavorare con l’apache torinese non doveva essere

semplice, infatti si era spesso dimostrato poco incline ai compromessi e sono frequentissimi

nella sua carriera i cambi di case di produzione. La notizia riportata dalla rivista portoghese non

avrebbe certo fatto piacere all’attore, il quale nelle sue memorie aveva mostrato tutto il suo

disprezzo per l’U.C.I., come scrisse, con parole profetiche:

” La lotta per il primato di questo nuovo Ente, era stata accanita, due energie s’erano battute a

morte, per soverchiarsi. Ogni arma, mezzo, sistema, fu adoperato per vincere. Vi fu davvero un

vincitore? Quello che è certo è, è che vi fu una vittima: la cinematografia italiana”24.

Dopo la fine della Grande Guerra la cinematografia italiana attraversa una grave crisi, dovuta

sia alle conseguenze della guerra sia all’incapacità delle case di produzione di rispondere alla

concorrenza dei film americani, che venivano importati in maniera massiccia e riempivano le

sale. Nel 1919 l’industria italiana tenta di fornire una risposta unitaria alla crisi, i maggiori

dirigenti delle case produttrici decidono di fondare il 30 gennaio, creando un vero e proprio

trust nazionale25. Il quasi azzeramento della concorrenza reciproca potrebbe sembrare una

buona strategia, se non fosse che di fatto che l’U.C.I. si rilevò ben presto il risultato di una

speculazione. Infatti società era nata grazie al finanziamento di due banche: la Banca italiana

di Sconto e la Banca Commerciale. Queste due si erano considerevolmente arricchite durante

la guerra, quindi erano alla ricerca di opportunità per rinvestire i guadagni, in modo da muovere

24 Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni seguito da La

parabola del cinema italiano [1929-1930], cit., p.114. 25 Silvio Alovisio, Giulia Carluccio, Introduzione al cinema muto italiano, Torino, UTET, 2014, p.21.

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capitali immobili da sottrare al fisco. Questo combinato alla mancanza di un serio piano di

sviluppo, porta ad un’eccessiva sovrapproduzione di pellicole che resteranno nei magazzini,

alimentate dalle crescenti richieste economiche da parte delle dive, portò allo sfascio definitivo

della società nel 192626.

Le ultime pagine delle Memorie di Ghione sono dedicate proprio alla nascita della società e il

suo conseguente passaggio alla Lombardo di Napoli. Mentre aspettava il positivo originale del

film Dollari e Fracks, gli venne annunciato che entro la fine del mese l’Itala Film sarebbe

passata sotto la proprietà dell’Unione. Alla sua richiesta di spiegazioni circa la natura del nuovo

ente gli venne riposto che si tratta di un trust: “La parola barbara, ebbe un rintocco funebre”27.

Ma dato che Ghione non era stato interpellato sul passaggio di proprietà della casa di

produzione, ciò lo rendeva per diritto libero di andarsene. Lombardo colse la palla al balzo e

viaggiò fino a Torino per assicurarsi il divo apache. L’U.C.I. ovviamente non poteva lasciarsi

sfuggire uno dei suoi attori di punta, allora Barattolo in persona lo convocò proponendogli un

contratto da 160mila lire annue, 10mila lira di premio per ogni negativo girato per cinque anni.

A questa proposta Ghione chiese la completa libertà artistica e di alzare il suo stipendio a

200mila lire annue, in modo da potersi garantire un guadagno anche per la vecchiaia. La

seconda proposta, ovviamente, venne rifiutata con la seguente giustificazione:” Caro Ghione,

io sono qua investito dai capitalisti d’una missione di fiducia, che riveste carattere economico,

non posso quindi aumentarle d’un soldo, l’offerta che le ho fatta”28.

Alle undici di sera dello stesso giorno Ghione si recò all’Hotel d’Europe per firmare il contratto

con Gustavo Lombardo, con un contratto molto più svantaggioso rispetto a quello dell’Unione

percependo solo 160mila lire annue. “Se qualche curioso volesse sapere il perché di quella mia

rinuncia, non dovrebbe che analizzare l’anima d’un artista, sulla quale può talvolta più una

parola, un tratto, un gesto, che no un fascio di banconote”29 .

L’errore grossolano della rivista portoghese non ci deve comunque sorprendere, infatti, anche

nelle stesse riviste italiane, non era raro che spesso venissero riportate notizie inesatte. Possiamo

inoltre immaginare che le notizie tra uno stato e l’altro venissero spesso distorte, complice,

magari, una cattiva traduzione.

26 Ibidem, pp. 22- 24. 27 Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni seguito da La

parabola del cinema italiano [1929-1930], cit., p.114. 28 Ibidem, p.116. 29Ibidem, p.117.

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2.3 Maciste: o hercules-actor

Se sulla “Cine-Revista” abbiamo un cospicuo numero di articoli su Emilio Ghione, lo stesso

non si può dire di un altro grande divo dell’epoca ovvero Bartolomeo Pagano, in arte Maciste.

Purtroppo non possiamo sapere se la scarsità degli articoli è da attribuirsi al fatto dei numerosi

numeri mancanti della rivista, o dal fatto che in Portogallo al personaggio di Maciste non si

dedicarono effettivamente molti articoli. Ad ogni modo anche nel suo caso la stampa si rivolge

a lui sempre con il suo nome d’arte, segno che, come in Italia, il pubblico aveva perfettamente

assimilato il suo personaggio.

La prima traccia ritrovata è nel

numero 30, datato 15 settembre

1919 che si apre con la prima

pagina dedicata all’uscita del

film Maciste atleta (As ultimas

aventuras de Maciste in

portoghese), nei cinema di

Lisbona Chiado Terrasse e

Olympia. Nell’articolo non si

parla solo di Maciste, ma

soprattutto della protagonista

femminile del film interpretata

dall’attrice Italia Manzini

Almirante. “Di Italia Manzini, la

prodigiosa creatrice di tante

meraviglie cinematografiche,

tutti conoscono il vasto

repertorio, unicamente costituito

di opere di pura arte, nel quale il

suo talento è cresciuto

ammirabilmente. [...] Italia Manzini è, poi, una delle più belle figure della scena italiana, oggi

celebrata in tutto il mondo, dovunque il teatro grafico ha attinto il suo reale grado artistico. Di

pari passo con Maciste, Italia Manzini trovò in quest'altra gigantesca figura dell'arte del silenzio

un collaboratore validissimo, come ampiamente attestano le culminanti scene sensazionali di

10" Cine-Revista” n. 30, 15 settembre 1919, p.1

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Maciste atleta del notabile attore-atleta, uno dei più portentosi artisti nella sua specialità.

Maciste in tutte le sue creazioni dispensa elogi; egli riunisce in sé tutti i predicati indispensabili

per i lanci di entusiasmo, producendo, pertanto, film di assoluta sensazione tutte le volte che si

incarica di fare vivere una di queste storie di avventure singolari”.

Nell’articolo inoltre si parla delle future uscite dei film riguardati Maciste, destinate ad un

grandioso successo, come Maciste innamorato. Quest’ultimo era già stato annunciato nella

futura programmazione del cinema Salao Central di Lisbona, nel numero 28 della rivista.

L’epopea di Maciste non inizia tra le pagine della mitologia romana, ma tra il vociare del porto

di Genova, dove il possente scaricatore di porto Bartolomeo Pagano viene ingaggiato da

Pastrone in quello che sarà il film di maggiore successo del cinema muto italiano: Cabiria.

La figura di Maciste è di Dannunziana invenzione, in Cabiria è il forzuto schiavo africano di

Fulvio, egli possiede la stessa forza di Ercole e al pari di esso è come un semidio alieno alle

tentazioni della carne e di una rigorosità morale unica30. Egli diviene una sorta di gigante buono,

la forza che può rovesciare l’ingiustizia, ma è anche un personaggio meno complesso di Za la

Mort che è giustiziere e vilain allo stesso tempo31. Maciste conquista il pubblico di ogni genere

ed età, consentendo al regista Pastrone di sfruttare al massimo il suo personaggio, creando una

serie di film dove le avventure del personaggio sono ambientate sia nel passato che nel presente,

come per esempio in Maciste alpino del 1916 ambientato al fronte bellico32. Questi film si

dimostrano degli autentici veicoli divistici, costruzioni in abisso dell’immagine di Maciste33.

La sua figura viene inevitabilmente associata a quella di Mussolini, simbolo dell’uomo virile

italico non solo nella stazza fisica ma anche nelle pose che è vista come la conclusione ideale

di una metamorfosi iconologica34

La creazione di questo divo e la sua influenza immaginifica sul pubblico la troviamo anche

nelle pagine della rivista portoghese. Infatti nel numero 41 del 15 agosto del 1920, nella sezione

“Respigando da toda a parte”, viene riportata la notizia che Maciste si trova negli Stati Uniti

per un viaggio di riposo.

30 Silvio Alovisio, Giulia Carluccio, op. cit., p.84.

31 Denis Lotti, Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano, cit., pp.120-121. 32 Ibidem, p.86. 33 Ivi 34 Ibidem, p.15.

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11" Cine-Revista” n. 41, 15 agosto 1920, p.3

Il trafiletto potrebbe passare come una semplice notizia di gossip dell’epoca, se non fosse per

il fatto che il semidio che incanta il pubblico non è “o famoso atleta italiano”. La copertina di

questo numero non contiene un articolo, ma bensì la gigantografia dell’attore americano Elmo

Lincoln nei panni di Tarzan.

Nella pagina successiva viene

presentato il film e le doti

dell’attore, il quale viene descritto

come un “popular e notavel

hercules-actor” che con la sua

prodigiosa agilità ed enorme

muscolatura domina la foresta.

Questo articolo da solo ci offre la

prova dell’avanzare inesorabile

della cinematografia americana,

che trovava davanti a sé un’Europa

distrutta dalla guerra. Se anche un

semidio come Maciste poteva

essere schiacciato dai nuovi

kolossal americani, non dobbiamo

stupirci che anche nelle stesse

pagine della “Cine-Revista” a

partire dagli anni venti la

stragrande maggioranza degli

articoli sia dedicata al cinema

americano e ai suoi nuovi divi.

Figura 12"Cine-Revista" n.41 15 agosto 1920, p.1

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L’ultimo articolo giunto fino a noi su Maciste è datato il 15 dicembre 1921, nel numero 57. In

questo articolo viene annunciato il trasferimento di Maciste in Germania per la produzione di

alcune pellicole tedesche. Il divo-atleta effettivamente sarà in Germania tra il 1921 e il 1923,

ma la trasferta tedesca non darà i risultati positivi sperati.

13" Cine-Revista” n. 57, 15 dicembre 1921, p.7

Il mito di Maciste continuerà poi fino al 1926 con Maciste all’Inferno di Guido Brignone, una

discesa verso gli inferi a cui parteciperà anche la cinematografia italiana, prima che sia avvii

una lenta ripresa35. La sorte non fu magnanima nemmeno con l’attore ligure, costretto gli ultimi

anni della sua vita su una sedia a rotelle, si spense nella sua amata Genova nel 1947.

35 Ibidem, p.87.

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Capitolo 3 - Storia di un viaggiatore: il caso Rino Lupo

“Questo Viaggio in Portogallo è una storia. Storia di un viaggiatore all’interno del viaggio da

lui compiuto, storia di un viaggio che in se stesso ha trasportato un viaggiatore, storia di un

viaggio e di un viaggiatore riuniti nella fusione ricercata di chi vede e di ciò che è visto, un

incontro non sempre pacifico tra soggettività e oggettività.”

L’estratto dal libro dello scrittore portoghese José Saramago Viaggio in Portogallo, ben si

adatta allo spirito nomade che animò una delle figure più interessanti dell’epoca dell’arte do

silencio in Portogallo. Cesare Vitaliano Lupo, detto Rino, romano classe 1888, in Italia ci

rimase ben poco a causa della sua storia che aveva da compiersi, e delle tante che avrebbe

raccontato, che lo portarono a viaggiare per mezza Europa, fino a trovare in Portogallo la sua

seconda casa.

“Fiquei maravilhado com o vosso País. Que sol esplendoroso, que estonteamento de paisagem,

que rincões soberbos de vegetação e de cor, que majestade de serranias, de vales e de

montanhas!”

Così Lupo in un’intervista al “Diário de Lisboa”1 descriveva il suo primo impatto col

Portogallo, ma il suo amore per il cinema lo aveva portato già da tempo molto lontano da casa.

Nel 1911 lo troviamo negli studi della Gaumont in Francia2, dove inizia la sua carriera

cinematografica a soli 23 anni, lavorò sia come regista che come attore. Nel 1913 invece è in

Germania, precisamente a Berlino, dove un anno più tardi realizzerà anche il suo primo film da

regista Wenn Volker Streiten3. In questo film purtroppo non riuscì a pieno ad esprimere le sue

capacità, infatti, trattandosi di un film di propaganda, ebbe poca libertà artistica. Ma ad uno

spirito libero come il suo queste restrizioni dovettero risultare decisamente troppo strette, per

questa ragione nel 1915 si trasferì a Copenaghen, dove si mise subito al lavoro per la

Kinografen. Tuttavia anche da qui fu presto costretto ad andarsene, infatti la situazione di

1 M.Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949, Lisbona, Cinemateca

Portuguesa, 1983, p.101.

2 M.Felix Ribeiro, O cinema português antes do sonoro: esboço histórico, Luanda, Circulo Universitário de

Cinema, 1968, p.14.

3 Caterina Cucinotta, Un italiano tipicamente portoghese. Breve storia del cineasta Rino Lupo., Lisbona,

Est.Ital.Port., 2016, pp.2-3.

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instabilità politica che teneva in bilico tutta l’Europa, si ripercorse anche su una casa di

produzione importante come la Kinografen che fu costretta a chiudere.4

A quel punto trovò fortuna a Mosca, tant’è che tra il 1916 e il 1917 realizzò diversi film e

addirittura una serie comica intitolata Rino.5 Ma il terremoto politico causato dalla guerra in

Europa giunse fino all’interno della Piazza Rossa, Lupo fu costretto per l’ennesima volta a fare

le valigie per dirigersi un’altra volta ad ovest, a Varsavia.

È proprio in Polonia che la sua capacità di uomo d’affari si fece sentire di più, qua infatti fondò

la prima scuola di cinema polacca, insieme anche ad una rivista chiamata “Kinema”. Ma fu

soprattutto frequentando l’ambiente cinematografico polacco, che venne a conoscenza

dell’Invicta Film di Porto e della nascente industria cinematografica in Portogallo. Possiamo

essere assolutamente certi di questa notizia grazie alla testimonianza raccolta personalmente da

M. Felix Ribeiro6, primo direttore della Cinemateca Portuguesa, di tale António da Silveira.

Quest’ultimo aveva incontrato casualmente Lupo a Varsavia e gli aveva consigliato di

trasferirsi in Portogallo, date le numerose possibilità di impiego nel settore.

È per le stesse parole di Ribeiro, divenute ormai celebri in Portogallo, che abbiamo la prima

presentazione di Rino Lupo, giunto finalmente in terra lusitana dopo un lungo viaggio:

“Uma tarde de Agosto de 1921 um homem de aspecto estranho, de estatura mediana e de olhos

vivos a espreitarem por detrás de umas lunetas pequenas, que cintilavam sob um boné de

viagem enterrado até as orelhas, tranpôs o portão da Quinta da Prelada.”7

3.1 Uma casa portuguesa

La sua svolta portoghese di Lupo aveva una duplice valenza: sebbene avesse dichiarato in varie

interviste di essere stanco dei paesi freddi, tuttavia quando lasciò Varsavia dichiarò di

intraprendere questo viaggio, che toccava anche altre capitali europee, alla ricerca di fondi per

sviluppare il cinema polacco. Questo probabilmente perché egli voleva presentarsi agli occhi

dell’Invicta come un regista indipendente, ma allo stesso tempo non voleva precludersi i contatti

polacchi.8

4 Ivi 5 Tiago Baptista, As cidades e os filme: uma biografia de Rino Lupo, Lisbona, Cinemateca Portuguesa, 2008,

p.51. 6 M.Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949, cit., p.101. 7 Ivi 8 T. Baptista, op.cit., p.80.

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Decise di proporsi come regista all’Invicta, la quale era una rinomata casa di produzione di

Porto, fondata nel 1910 da Alfredo Nunes de Matos, è ricordata ancora oggi come una delle

maggiori glorie dell’industria su pellicola lusitana, che produsse molti dei film più significativi

dell’epoca del muto. Fu grazie alla grande influenza del regista francese George Pallu, all’epoca

uno dei registi di punta dell’Invicta, che Lupo venne accettato all’interno della casa di

produzione, sebbene all’inizio solo in via sperimentale e provvisoria.9 A quel punto gli venne

assegnato il film Mulheres da Beira, un adattamento dal romanzo di Abel Botelho, il quale

sarebbe servito anche per far riprendere l’Invicta dalla cattiva annata precedente.10Il film

racconta la tragica storia di Aninhas, una ragazza originaria di un piccolo villaggio che viene

abbagliata dal fascino della città vicina, Arouca, dove verrà sedotta da un uomo senza scrupoli.

In questo film oltre al regista abbiamo un altro pezzo d’Italia, ovvero l’attrice italo-portoghese

Brunilde Júdice, nata a Milano nel 1898 come Maria Júdice Caruson, la quale era solita

comunicare in italiano con Lupo e per il quale avrà sempre parole di stima11. In questa occasione

Lupo rilevò tutto il suo lato da artista eccentrico, di fatto il suo lavoro si basava sulla più

completa improvvisazione, venendo meno a tutte quelle convenzioni lavorative dell’epoca che

richiedevano una rigida organizzazione preliminare, egli era totalmente incapace di seguire i

piani prestabiliti. Ciò, come si può ben immaginare, non era molto gradito dai piani alti

dell’impresa, ma il provvidenziale intervento del collega regista Georges Pallu, divenuto non

solo il suo protettore ufficiale ma anche il montatore del film, riuscì a calmare le acque.12

Un’altra particolarità registica di Lupo era l’uso costante di riprese in esterni, cosa abbastanza

atipica per l’epoca, che rimase il suo leitmotiv per tutte le sue opere. Nella stessa intervista

sopracitata per il “Diário de Lisboa”, apprendiamo dalle sue stesse parole che la cosa che

detestava maggiormente del suo lavoro era il lato burocratico, egli infatti non si considerava un

metteur-en-scéne ma bensì un pittore. Lupo disse di essere stato catturato dalla bellezza del

Nord del Portogallo e decise di girare il film nei pressi di Arouca, per dirla meglio con le sue

parole in quel luogo in cui “Tudo aquilo me impressionou, me seduziu”13. Lupo era sicuro

dell’audacia del suo lavoro, descrivendolo come un autentico film d’arte, di emozione e di

“beleza campesina”14. Questo film sarebbe servito anche agli stessi portoghesi a scoprire, e a

9 M. Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949, cit., p 101. 10 M.Felix Ribeiro, O cinema português antes do sonoro: esboço histórico, Luanda, Circulo Universitário de

Cinema, 1968, p.14. 11 C. Cucinotta, op. cit., p.5. 12 M.Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949, cit., p.102. 13 Ivi 14 Ivi

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riscoprire, la propria terra in quanto, oltre alle riprese dei paesaggi del selvaggio Nord, era

intriso dell’autentico spirito portoghese e della sua cultura a cui Lupo si era ben adattato.

Complici le esperienze precedenti come artista nomade in giro per l’Europa, l’abilità ad

adattarsi alle nuove culture con cui veniva in contatto venne dimostrata anche nel suo film

successivo come si vedrà nei paragrafi successivi.

Dopo il successo del film ripropose anche in Portogallo l’esperimento della scuola

cinematografica, cercando di ripetere lo stesso successo ottenuto a Varsavia. La “Cine-

Revista”, la quale fu da sempre pronta ad intercettare i cambiamenti e le novità nel settore

cinematografico, in questo senso gli offrì alcuni articoli scritti in modo affettuoso, segno

dell’indubbia stima che doveva intercorrere tra le due parti. La prima testimonianza, dai numeri

arrivati fino ad oggi e custoditi nell’archivio della Cinemateca Portuguesa, l’abbiamo nel

numero 58 del 15 gennaio del 1922, ovvero il quinto anno di vita della rivista. Rino Lupo viene

qui chiamato come “este distinto metteur-en-scène”, che dopo aver abbandonato l’Invicta film

di Porto, si trova a Lisbona per fondare un’accademia simile a quella di Varsavia. Seguono alla

fine dell’articolo i migliori auguri della rivista per la riuscita dell’impresa.

Ma già nel numero successivo troviamo ben due trafiletti dedicati all’eccentrico regista italiano.

Infatti nel numero 59 troviamo un articolo estremamente interessante, in quanto si parla

dell’inaugurazione della scuola cinematografica a Lisbona, il 2 febbraio 1922, presso il Teatro

Polyteama. Del maestro venuto dalla città eterna, la rivista fa una sontuosa presentazione

presentandolo con queste parole: “[…] conosce a fondo tutti i segreti dell’arte del silenzio, e

come professore di questa medesima arte, ha rilevato, in Portogallo, le sue notabili capacità”.

L’articolo prosegue informando che la scuola era al momento composta da venticinque alunni,

un numero importante per l’epoca, tra i quali diverse signore entusiaste dei corsi. L’articolo è

molto importante non solo perché ci conferisce una data ed una ubicazione precisa della scuola,

ma è fondamentale perché stiamo parlando della prima scuola di cinema in Portogallo, dove tra

gli altri studierà un giovanissimo Manoel de Oliveira (nella sede di Porto)15.

Nonostante l’entusiasmo della rivista, sulla scuola di Lupo si ebbero all’epoca delle opinioni

discordanti. Per prima cosa questa vedeva come unico insegnamento quello di recitazione

cinematografica, al contrario di quando invece accadeva a Varsavia, dove alcune lezioni

15 C.Cucinotta, op. cit., p.15.

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prevedevano anche l’insegnamento dei rudimenti di regia e sceneggiatura. Ma volendo

contestualizzare questa scelta si può trovare la sua origine nel fatto che all’epoca la lotta tra

cinema e teatro era ancora parecchio accesa, quindi si aveva la necessità di differenziare le due

pratiche attoriali, in modo da avvalorare il cinema, come fa notare la Dottoressa Cucinotta nel

suo articolo.

Non a caso la stessa “Cine-Revista” nel suo primissimo numero del 1916, dedicò un intero

articolo a questa disputa, chiamando il teatro come “o seu grande inimigo”. Il cinematografo

viene invece descritto come “una delle arti più complete ed interessanti”, oltre ad essere più

economico rispetto al teatro e quindi più accessibile al pubblico, discorso che si ricollega al

concetto di cinema come arte totale ripreso da diversi intellettuali dell’epoca.

Vi è comunque da aggiungere che lo stesso Oliveira in seguito non avrà belle parole per la

scuola, ma non fu il solo, dato che Lupo venne accusato di utilizzare le scuole come fonte di

finanziamento dei suoi film.16 Seguendo il ragionamento della Dottoressa Cucinotta, va anche

fatto notare che il successo della scuola di Varsavia era anche dovuto al fatto che in Polonia il

cinema era ancora un’arte prematura. Invece in Portogallo, benché l’attività cinematografica

non fosse paragonabile a quella dell’Italia o della Francia, la presenza di una casa di produzione

virtuosa come quella dell’Invicta aveva di certo alzato le aspettative. A Lupo va comunque

riconosciuto il merito di aver aperto la prima scuola di cinema in assoluto in Portogallo, la quale

scatenò un fenomeno a rapida espansione dove gli alunni, o altri artisti dell’epoca come Lion o

Duarte, aprirono a loro volta le loro scuole, che comunque non furono immuni dalle critiche.17

La sede della scuola di Lisbona è comunque molto reclamizzata sulle pagine della “Cine-

Revista”, nei numeri a noi prevenuti la troviamo pubblicizzata dal numero 58 al numero 68,

(sebbene in questo intervallo di numeri vi sia qualcuno mancante, possiamo ben ipotizzare che

anche in questi vi fosse presente la pubblicità), con la seguente immagine:

16 Ivi 17 T. Baptista, op cit, p.102.

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14Pubblicità della scuola di Rino Lupo presente in diversi numeri della "Cine-Revista"

Dall’ inserto pubblicitario possiamo dedurre diversi fattori. Per prima cosa è interessante notare

come si parli di insegnamenti completi di “arte cinematografica”, il che ci fa ricollegare al

discorso di prima per quanto riguarda il riconoscimento del cinema in quanto arte, che anima

le discussioni degli intellettuali di quegli anni, sicuramente caro a Lupo. Troviamo

un’importante informazione riguardante la durata del corso, che si estendeva lungo tre mesi ed

era articolato in due parti.

La prima è chiamata “preparatorio” che prevede una prima fase teorica di elementi e teoria

generale sull’arte cinematografica, per passare allo studio dei gesti improntanti sulla recitazione

davanti all’obiettivo cinematografico. Si vedano per esempio gli ultimi due punti, il nove e il

dieci, dove si parla di “Aplicaçao da mimica e gesto a Arte Cinematografica” e di “Scenario e

Mise-en-scene”. Nella seconda parte, detta “accademico”, il corso si fa ancora più articolato

proponendo, come primo insegnamento, due differenti modi recitativi: naturalismo ed

impressionismo. Gli altri insegnamenti sono legati sia alla recitazione e alla pratica gestuale,

nella commedia e nel dramma, sia alla composizione della scena, fino ad arrivare all’ultimo

passaggio (il numero nove), che ha come titolo “composiçao dum film” che possiamo

considerarlo come una sorta di summa degli insegnamenti precedenti. Inoltre all’inizio del

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comunicato viene specificato che sono accettate anche quelle che possiamo tradurre come

lezioni personalizzare (leçoes particulares).

Un altro particolare da tenere conto è che sono promesse delle facilitazioni di carriera per i

diplomati alla scuola. Non a caso, come vedremo più avanti, alcuni dei suoi alunni di Porto

saranno presenti come attori in uno dei suoi film di maggior successo Os Lobos del 1923.

15"Cine-Revista” n.59, 15 febbraio 1922, p.5

Tornando all’estratto di Saramago con cui si è deciso di aprire questo capitolo, la frase “storia

di un viaggio che in se stesso ha trasportato un viaggiatore” non può non farci pensare a

quest’altro piccolo trafiletto che si trova sempre nel numero 59 della “Cine-Revista”. Il giorno

di uscita del numero, il 15 febbraio 1922, coincideva con quello del trentaquattresimo

compleanno di Lupo, o meglio col suo aniversario natalicio. La rivista non perde l’occasione

per fare i suoi auguri a quello che Ribeiro definì “um homem de aspecto estranho […] de olhos

vivos”. Possiamo dedurre come la sua intelligenza imprenditoriale e il suo essere poliedrico

l’abbiano fin dal principio fatto guadagnare la stima del mondo cinematografico e ci piace anche

pensare che il suo essere italiano, data la fama del nostro cinema in quegli anni, contasse come

valore aggiuntivo.

Si legge inoltre che “este distinto professor de cinematographia” stesse lavorando ad un nuovo

film chiamato Capital e tabalho, che possiamo facilmente identificare con il celebre Os Lobos.

3.2 La creazione del film Os Lobos

Lo stesso anno infatti Lupo fondò la sua personale casa di produzione a Porto: la Iberia Film.

Probabilmente il periodo di instabilità che stava attraversando l’industria cinematografica di

Lisbona, spinse Lupo a ritornare nel Nord del paese, dove invece gli affari erano più floridi.

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Grazie ai contatti che possedeva a Porto, riuscì ad ottenere un prestito da un’importante banca

portoghese, consentendogli di aprire inoltre un’altra scuola di cinema e la pubblicazione di una

rivista chiamata “Arte Muda”.18 L’abbandono dell’Invicta da parte di Lupo lo troviamo

testimoniato anche nel numero 64 della “Cine-Revista”, precisamente a pagina 11, dove viene

riportato brevemente che la casa di produzione di Porto aveva invitato il “distinto metteur-en-

scéne” a rientrare tra il suo gruppo di professionisti.

La casa di produzione di Lupo non disponeva studi o laboratori adeguatamente attrezzati,

tuttavia sotto il nome di questa modesta azienda venne creato quello che Ribeiro definì il

miglior film muto portoghese.19

L’inizio delle riprese di Os Lobos viene riportato sul numero 68, a pagina 14, della “Cine-

Revista” e si sapeva già che il film sarebbe stato composto in 6 atti. La storia è tratta dalla pièce

omonima di Joao Correia De Oliveira e Francisco Lage, che dopo il grande successo sarà

presentata no écran dall’autorevole metteur-en-scéne Rino Lupo per la sua casa di produzione.

Tuttavia il film non venne accolto bene dalla critica a causa della sua eccessiva lunghezza, che

costrinse il regista italiano a creare una versione più corta,20 che è anche quella che possiamo

ammirare oggi grazie al recente restauro della Cinemateca Portuguesa.

Anche in questo film le riprese in esterno di Lupo sono predominanti e il paesaggio diviene

esso stesso protagonista della storia. Infatti nemmeno un metro di pellicola venne usato per

filmare scene con luce artificiale, allungando di conseguenza le riprese di alcune settimane21.

Questa sua scelta stilistica dà atto non solo dell’intelligenza e della capacità di Lupo di essere

un autentico precursore stilistico della sua epoca, improntando le sue opere verso uno stile

realista, ma è stata sicuramente influenzata da quanto appreso dal suo vagabondare in giro per

l’Europa.

Non va trascurato il fatto che trascorse un lungo periodo di tempo in Nord Europa, Berlino e

Copenaghen su tutte, dove la tradizione cinematografica, di cui egli era un grande ammiratore

e conoscitore, prevedeva lunghe riprese di paesaggi. La lunga tradizione drammatica del Nord,

si pensi per esempio al cinema di Victor Sjöström su tutti, prevedeva che il paesaggio diventasse

la modalità espressiva principe per esaltare e riflettere le emozioni interiori dei personaggi. Una

sorta di espressionismo paesaggistico, che invitava il pubblico a riflettere e a decifrare la psiche

18 Felix M. Riberio, O cinema português antes do sonoro: esboço histórico, cit., p.17. 19 Ivi. 20 C. Cucinotta, op.cit., p.7. 21 Felix M. Riberio, O cinema português antes do sonoro: esboço histórico, cit., p.17.

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dei personaggi attraverso l’elemento comune a tutti gli essere umani: la natura e il suo essere

madre e matrigna al medesimo tempo. La Serra se Estrela, luogo dove vennero compiute la

maggior parte delle riprese, è il maggior gruppo montuoso del Portogallo22. Il suo paesaggio

rurale e selvaggio, rigetta e annienta tutto quello che non gli appartiene, come il pescatore

protagonista che cerca di farsi accettare all’interno della comunità rurale. L’asprezza di queste

montagne rispecchia il carattere sei suoi abitanti rudi, ma dai modi semplici, attaccati alla loro

terra e alle loro tradizioni23.

Ciò che sorprende è la capacità di Lupo di portare in scena tutto questo ammontare di emozioni

in maniera assolutamente portoghese, ed ecco qua la sua più grande abilità: egli sapeva adattarsi

al recipiente, pur senza perdere la sua densità, le sue attitudini personali. Non sapremo mai che

tipo di artista Lupo sarebbe potuto diventare se fosse rimasto in Italia, ma possiamo dire con

certezza che la sua giovinezza spesa tra le grandi capitali europee, gli ha donato una sensibilità

unica a captare le esigenze e i desideri dei pubblici di nazionalità diverse coi quali ha dovuto

confrontarsi.

Il cast del film vedeva come protagonisti gli ex alunni della scuola fondata da Lupo, per la

maggior parte di loro si trattava della prima esperienza davanti all’obiettivo. Nonostante ciò

Ribeiro li descrive come un valido gruppo di lavoro capace di “um notável sentido de verdad”24

per i personaggi interpretati. Inoltre possiamo affermare con certezza che le riprese dei paesaggi

avrebbero reso molto di meno senza la maestria nell’uso della fotografia di Artur Costa de

Macedo. Egli aveva iniziato la sua carriera lavorando per la Lusitânia Film, per poi aprire un

laboratorio personale a Porto, vantava una lunga carriera sia in Portogallo che in Brasile.

Contribuì alla realizzazione di un cospicuo numero di film e documentari all’epoca del muto,

spesso anche in veste di produttore, diversi dei quali insieme al regista romano25.

Il film venne distribuito in Italia, Francia, Brasile e Romania.

3.3 La fine del viaggio

Secondo i critici portoghesi Roberto Nobre e José de Matos Cruz, i primi due film di Lupo sono

da considerarsi come i film più nobili ed espressivi del periodo del muto e il loro regista, come

aveva già detto Riberio, il più bravo della sua epoca. Il film sicuramente rappresentava per Lupo

22 https://it.wikipedia.org/wiki/Serra_da_Estrela 23 Ivi 24 Ivi 25 M.Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949, cit., p.107.

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un trampolino di lancio per altri progetti per il suo cinema cosmopolita, che si nutriva delle

particolarità di un luogo per trasportarle nell’universalità della storia umana 26. Un incontro non

sempre pacifico tra soggettività e oggettività.

Non fu troppo pacifico quando la crisi del cinema lusitano tra il 1924 e 1925 causò la chiusura

delle piccole case di produzione, salvando quindi l’Invicta Film, che vide la dipartita dei registi

stranieri tra i quali Lupo e l’amico francese Pallu27. Non a caso anche la “Cine-Revista” smise

di pubblicare nel 1924.

Nel ’26 Lupo si trova in Spagna per girare un altro dei suoi drammi rurali carichi di un forte

messaggio morale, tuttavia le riprese vennero girate all’interno degli studi dell’Invicta e

possiamo interpretarla come una mossa strategica da parte sua, per riagganciare i rapporti con

la sua vecchia casa di produzione.

Ma in Portogallo tornò già nel 1928, infatti ormai era diventato il suo paese di adozione, tanto

che si era costruito una nuova famiglia, a Roma aveva lasciato una moglie e una figlia, con la

giovane Aida de Oliveira. Aida era diventata l’anima autentica della sua scuola di Porto e

apparve nei film del marito col nome da sposata Aida Lupo28.

Nel 1928 realizzò con l’Invicta il suo film di maggiore successo, del quale purtroppo si sono

perse le bobine, che è Fátima milagrosa in occasione del decennale del miracolo della Madonna

di Fatima. Questo film ha un duplice significato: da un lato segnò l’allontanamento di Lupo dai

drammi rurali, dall’altro il Portogallo si aprì al cinema come fine commerciale per attirare

migliaia di fedeli. L’ultimo successo di Lupo fu sancito dall’uscita nel 1929 di José do Telhado,

ma con l’avvento del sonoro e della nuova generazione di cineasti c’era poco spazio per i registi

stranieri e Lupo fu di nuovo costretto a vagabondare tra Francia e Germania, accontentandosi

di piccoli ruoli29.

La favola di Rino Lupo termina a Roma nel 1934 a causa di una polmonite, circondato dalla

sua prima famiglia, che comunque non mancherà di avvisare Aida, dalla quale Lupo aveva

avuto un’altra figlia, del decesso del regista. La storia di questo viaggio in Portogallo e del suo

viaggiatore si conclude così, sottovoce, senza che egli abbia mai realizzato un film nella sua

terra natia. Il grande rammarico che lascia dietro la storia di questo genio della macchina da

26 C.Cucinotta, op.cit., p.12. 27 Ivi 28 M.Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949, cit., p.107. 29 C. Cucinotta, op. cit., p.11.

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presa è il fatto che, nonostante il successo ottenuto in vita e delle sue innegabili capacità

artistiche, il suo nome non compaia in nessuna storia del cinema, e che in Italia il suo nome sia

praticamente sconosciuto. C’è da augurarsi per il futuro che la fama di questo regista italiano,

che scelse il Portogallo come paese adottivo, venga presto riconosciuta anche da noi e dargli il

giusto posto che merita all’interno dei grandi nomi del cinema muto italiano.

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Conclusioni

La ricerca effettuata ci mostra quante sorprese il mondo delle riviste cinematografiche ci riservi.

Ancora di più le riviste estere come la “Cine-Revista”, infatti nonostante il Portogallo all’epoca

fosse considerato come una nazione molto distante, non è stato esime dal potere del nostro

cinema. Se già lo studio sulle riviste italiane offre un grandissimo numero di spunti e di

informazioni, lo studio sulle riviste straniere ci offre non solo tutto questo, ma soprattutto un

nuovo punto di vista. Degli occhi nuovi capaci di mostrarci come una differente cultura e

società, ci considera e valuta.

Naturalmente il lavoro da fare è ancora tantissimo. Se in Italia da molti anni si sta lavorando

sulla scoperta, e riscoperta, del muto e del mondo che ruotava attorno ad esso, in Portogallo c’è

ancora molta strada da fare. Fortunatamente, grazie la nuova generazione di studiosi, si stanno

facendo molti progressi in questo senso. Gli archivi della Cinemateca Portuguesa sono pieni di

riviste, poster e fotogrammi che aspettano solo di essere catalogati e di riavere il loro giusto

posto all’interno della Storia. Già con questa piccola ricerca si è riusciti a far emergere nuove

figure come Rino Lupo, il regista italiano che trovò fortuna in Portogallo, e non solo, del quale

in Italia non si conosce nemmeno il nome. Anche su di lui c’è ancora tanto da scoprire. Per

esempio ad oggi non si sa ancora niente sul periodo che riguarda il suo ritorno in Italia prima

di morire e non si hanno informazioni sulla sua famiglia italiana.

Un altro punto interessante è stato conoscere come i nostri divi erano visti in Portogallo. Il

fascino delle dive è imperante anche qui, al confine dell’Europa, dove esse sulle pagine della

“Cine-Revista” vengono descritte al pari di dee e questo mito si mantenne forte negli anni.

Ancora più interessante è stato il fatto di come era presentato il divismo maschile. Infatti il

quantitativo trovato di articoli su Emilio Ghione era del tutto inaspettato, ancora di più il fatto

che fosse una figura molto famosa in Portogallo, tanto da avere un soprannome tipicamente

portoghese come caveira.

Questo è solo un piccolo tassello di una ricerca molto più complessa e lunga nel mondo delle

riviste cinematografiche, ma che lentamente sta emergendo grazie al contributo di tutti coloro

che lavorano in questo settore.

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Bibliografia

• Silvio Alovisio, Giulia Carluccio, Introduzione al cinema muto italiano, Torino, UTET,

2014.

• Tiago Baptista, As cidades e os filme: uma biografia de Rino Lupo, Lisbona,

Cinemateca Portuguesa, 2008

• Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano (1905-2003), Einaudi,

Torino, 2003.

• Cinemateca Portuguese-Museu do Cinema, Jorge Pelayo (a cura di), Bibliografia

Portuguesa del cinema. Uma visão cronologica e analitica, Lisbona, Cinemateca

Portuguesa, 1998.

• António Horta e Costa, Subsidios para a historia do cinema português (1896-1949),

Lisbona, Empresa Literaria Universal, s.a.

• Denis Lotti (a cura di), Emilio Ghione, Scritti sul cinematografo. Memorie e Confessioni

seguito da La parabola del cinema italiano [1929-1930], AIRSC – Associazione

Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema/Cattedrale, Roma/Ancona, 2013.

• Denis Lotti, Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano, Rubbettino,

Roma/Soveria Mannelli, 2016.

• Denis Lotti, Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano, Cineteca

di Bologna, Bologna, 2008

• M.Felix Ribeiro, Filmes, figuras e factos da história do cinema português 1896-1949,

Lisbona, Cinemateca Portuguesa, 1983.

• M.Felix Ribeiro, O cinema português antes do sonoro: esboço histórico, Luanda,

Circulo Universitário de Cinema, 1968.

• M.Felix Ribeiro, Os mais antigos cinemas de Lisboa (1896-1939), Lisbona, Cinemateca

Portuguesa, 1978.

Sitografia

• Caterina Cucinotta, Un italiano tipicamente portoghese. Breve storia del cineasta Rino

Lupo., 18/10/2017, Lisbona, Est.Ital.Port., 2016,

https://www.academia.edu/32393348/UN_ITALIANO_TIPICAMENTE_PORTOGHESE

._BREVE_STORIA_DEL_CINEASTA_RINO_LUPO

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Filmografia

• Andreina, Gustavo Serena, Caesar Film, 1917.Interpreti principali: Francesca Bertini,

Vittorio Bianchi.

• Cabiria, Giovanni Pastrone, Itala Film, 1914. Interpreti principali: Lidia Quaranta, Umberto

Mozzato.

• Dollari e fracks, Emilio Ghione, Tiber Film, 1919.Interpreti principali: Emilio Ghione,

Kally Sambucini.

• Falena, Carmine Gallone, Cines,1916. Interpreti principali: Lyda Borelli, Andrea Habay.

• Fátima Milagrosa, Rino Lupo, Invicta Film, 1928.Interpreti principali: Rafael Alves, Carlos

Azevedo.

• Fedora, Giuseppe de Liguoro, Gustavo Serena, Caesar Film,1916. Interpreti principali:

Francesca Bertini, Carlo Benetti.

• Gli spettri, A.G. Caldiera, Milano Film,1918. Interpreti principali: Ermette Zacconi.

• I sette peccati capitali, Camillo De Riso, Caesar Film,1918. Interpreti principali: Francesca

Bertini, Camillo De Riso.

• I topi grigi, Emilio Ghione, Tiber Film, 1918.Interpreti principali: Emilio Ghione, Kally

Sambucini.

• José do Telhado, Rino Lupo, 1929.Interpreti principali: Carlos Azedo, Julieta Palmeiro.

• La donna abbandonata, Baldassarre Negroni, Tiber Film,1917. Interpreti principali:

Hesperia, Tullio Carminati.

• La gemma di Sant'Eremo, Alfredo Robert, Itala Film, 1918.Interpreti principali: Pina

Menichelli.

• La grande vergogna, Emilio Ghione, Tiber Film, 1916.Interpreti principali: Emilio Ghione,

Ida Carloni Talli.

• La passeggera, Gero Zambuto, Itala Film,1918. Interpreti principali: Pina Menichelli,

Arnold Kent.

• La signora Arlecchino, Mario Caserini, Tiber Film,1918Interpreti principali: Maria

Jacobini.

• La signora delle camelie, Gustavo Serena, Caesar Film,1915. Interpreti principali:

Francesca Bertini, Carlo Benetti.

• Maciste alpino, Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi, Itala Film, 1916. Interpreti

principali: Bartolomeo Pagano

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• Maciste atleta, Vincenzo Denizot, Giovanni Pastrone, Itala Film,1918. Interpreti principali:

Bartolomeo Pagano, Italia Manzini Almirante.

• Mulheres da Beira, Rino Lupo, Invicta Film, 1923.Interpreti principali: Brunilde Júdice,

António Pinheiro.

• My little baby, Giuseppe de Liguoro, Caesar Film, 1916. Interpreti principali: Francesca

Bertini.

• Os Lobos, Rino Lupo, Iberia Film, 1923. Interpreti principali: Joaquim Almada, Francisco

Amores.

• Sua eccellenza la Morte, Emilio Ghione, Tiber Film, 1919. Interpreti principali: Emilio

Ghione, Kally Sambucini.

• Tigre Reale, Giovanni Pastrone, Itala Film, 1916. Interpreti principali: Pina Menichelli,

Alberto Nepoti.

Riviste

• “Cine-Revista”, n.1, 15 aprile 1917

• “Cine-Revista”, n. 2, 15 aprile 1917

• “Cine-Revista”, n. 3, 15 maggio 1917

• “Cine-Revista”, n. 4, 15 giugno 1917

• “Cine-Revista”, n. 13, 15 marzo 1918

• “Cine-Revista”, n. 14, 15 aprile 1918

• “Cine-Revista”, n. 21, 15 novembre 1918

• “Cine-Revista”, n. 25, 15 marzo 1919

• “Cine-Revista”, n. 26, 15 aprile 1919

• “Cine-Revista”, n.27, 15 maggio 1919

• “Cine-Revista”, n.28, 15 luglio 1919

• “Cine-Revista”, n.29, 15 agosto 1919

• “Cine-Revista” n. 30, 15 settembre 1919

• “Cine-Revista” n. 37, 15 aprile 1920

• “Cine-Revista” n. 38, 15 maggio 1920

• “Cine-Revista” n. 41, 15 agosto 1920

• “Cine-Revista” n. 57, 15 dicembre 1921

• “Cine-Revista” n.58, 15 gennaio 1922

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• “Cine-Revista” n.59, 15 febbraio 1922

• “Cine-Revista” n. 62 settembre 1922

• “Cine-Revista” n. 64 novembre 1922

• “Cine-Revista” n. 67 dicembre 1922

• “Cine-Revista” n. 68 gennaio 1923

• “Cine-Munidial” maggio 1913