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LA DIFESA DI UFFICIO: analisi sistematica della normativa ed esame di casi e questioni all’esito del laboratorio delle prassi avviato tra magistrati togati e giudice di pace del Distretto (allegato 1) Relazione tenuta all’incontro di studi del 22 marzo 2002 presso l’Università degli Studi di Trento. Premesse. Stiamo vivendo un momento di intense riforme del processo penale, tutte di grande rilevanza. Basti ricordare: l’art. 111 Cost. con relativa legge di attuazione n. 63/2001; la legge sulle indagini difensive n. 397/2000; la legge sul gratuito patrocinio n. 134/2001; la legge sulla difesa di ufficio n. 60/2001. Il quadro di riferimento che si sta delineando configura una decisa svolta in senso accusatorio dell’intero sistema, in linea generale da accogliere con favore, anche se restano discutibili alcune modalità tecniche di attuazione, come ad es. l’uso disinvolto delle nullità processuali nelle leggi sul gratuito patrocinio e sulla difesa d’ufficio, tra l’altro con disposizioni di incerta interpretazione. Venendo direttamente all’argomento del mio intervento, la legge 6 marzo 2001, n. 60 (in G.U. n. 67 del 21 marzo 2001) ha ridisegnato il sistema complessivo della difesa d’ufficio. L’ambito di operatività della novella, peraltro, non si limita esclusivamente all’ufficio del difensore, ma si estende anche alle modalità operative degli uffici giudiziari, genericamente intesi, imponendo nuove prescrizioni ed adempimenti, talvolta a pena di nullità. L’obiettivo che la riforma si propone, desumibile dai lavori preparatori ed espressamente enunciato dal comma 2 dell’art. 97 c.p.p. (indicazione, peraltro, presente anche nella versione precedente della norma), è costituito dall’effettività della difesa d’ufficio, con tendenziale equiparazione, sostanziale e non solo 1

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LA DIFESA DI UFFICIO: analisi sistematica della normativa ed esame di casi e questioni

all’esito del laboratorio delle prassi avviato tra magistrati togati e giudice di pace del Distretto

(allegato 1)

Relazione tenuta all’incontro di studi del 22 marzo 2002 presso l’Università degli Studi di

Trento.

Premesse.

Stiamo vivendo un momento di intense riforme del processo penale, tutte di grande rilevanza.

Basti ricordare:

• l’art. 111 Cost. con relativa legge di attuazione n. 63/2001;

• la legge sulle indagini difensive n. 397/2000;

• la legge sul gratuito patrocinio n. 134/2001;

• la legge sulla difesa di ufficio n. 60/2001.

Il quadro di riferimento che si sta delineando configura una decisa svolta in senso accusatorio

dell’intero sistema, in linea generale da accogliere con favore, anche se restano discutibili alcune

modalità tecniche di attuazione, come ad es. l’uso disinvolto delle nullità processuali nelle leggi

sul gratuito patrocinio e sulla difesa d’ufficio, tra l’altro con disposizioni di incerta

interpretazione.

Venendo direttamente all’argomento del mio intervento, la legge 6 marzo 2001, n. 60 (in G.U. n.

67 del 21 marzo 2001) ha ridisegnato il sistema complessivo della difesa d’ufficio. L’ambito di

operatività della novella, peraltro, non si limita esclusivamente all’ufficio del difensore, ma si

estende anche alle modalità operative degli uffici giudiziari, genericamente intesi, imponendo

nuove prescrizioni ed adempimenti, talvolta a pena di nullità. L’obiettivo che la riforma si

propone, desumibile dai lavori preparatori ed espressamente enunciato dal comma 2 dell’art. 97

c.p.p. (indicazione, peraltro, presente anche nella versione precedente della norma), è costituito

dall’effettività della difesa d’ufficio, con tendenziale equiparazione, sostanziale e non solo

1

formale, tra difensore di ufficio e difensore di fiducia, nella convinzione che il diritto di difesa,

definito inviolabile dall’art. 24 Cost. e presupposto irrinunciabile del principio di parità delle

armi posto dall’art. 111 Cost., non possa subire condizionamenti o limitazioni dalle particolari

condizioni in cui si trova a dover essere esercitato. E’ in questa ottica che vanno lette le

disposizioni che tendenzialmente garantiscono al difensore d’ufficio la retribuzione in caso di

insolvenza od irreperibilità dell’assistito (cfr. artt. 17 e 18 della legge – nuovi artt. 32 e 32 bis

disp. att. c.p.p.). L’individuazione della ratio di fondo della legge, nei termini sopra esposti,

potrà tornare utile per dirimere i dubbi interpretativi più spinosi che le singole disposizioni di

legge pongono.

1. La nomina del difensore d’ufficio: modalità operative e presupposti sostanziali (art. 1 – 2

e da 6 a 14 della legge: commi 1, 2, 3 e 5 artt. 97 c.p.p. e 29 disp. att. c.p.p.).

Anzitutto sono state radicalmente modificate le modalità di nomina del difensore d’ufficio con

una decisa e, a mio avviso, opportuna delimitazione del potere di intervento in materia da parte

dell’autorità giudiziaria. In particolare scompare il coinvolgimento del presidente del tribunale

nel definire, d’intesa col consiglio dell’ordine, i criteri della nomina “sulla base di turni di

reperibilità” (vecchio art. 97, comma 2 c.p.p.) nonché le tabelle dei turni giornalieri e settimanali

(vecchio art. 29, comma 3 disp. att. c.p.p.).

Vengono anche modificati i presupposti sostanziali per l’iscrizione agli elenchi dei difensori

d’ufficio e, per la prima volta, agganciati a presupposti sostanziali di una certa pregnanza,

abbandonandosi il sistema che, in pratica, consentiva l’iscrizione a semplice domanda (cfr.

vecchio art. 29, commi 1 disp. att. che si limitava ad un generico riferimento agli “idonei e

disponibili” ad essere iscritti nell’elenco). Infatti il “nuovo” art. 29 disp. att., quasi per intero

riscritto dagli artt. da 6 a 14 della legge, prevede che per l’iscrizione all’albo sia necessario un

attestato di idoneità rilasciato dall’ordine forense di appartenenza al termine della frequenza di

corsi di aggiornamento professionale organizzati dagli ordini o dalla camera penale territoriale

ovvero dall’unione delle camere penali o, in alternativa, l’esercizio della professione in sede

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penale per almeno due anni, la cui prova deve essere fornita dall’interessato previa produzione di

“idonea documentazione” (art. 7 - nuovo comma 1 bis dell’art. 29 disp. att. c.p.p.). Come

conseguenza della previsione di indici di idoneità legalmente tipizzati, al primo comma è stato

eliminato il riferimento all’idoneità, come a ribadire che questo presupposto non è più lasciato

all’incontrollato e discrezionale apprezzamento dell’ordine forense ma risponde ormai a criteri

tipizzati legislativamente. Il primo comma per il resto è rimasto immutato, sicché spetta ancora

al consiglio dell’ordine forense predisporre e aggiornare almeno ogni tre mesi l’elenco degli

iscritti disponibili ad assumere le difese d’ufficio. Permane quindi il riferimento alla

“disponibilità”, quale ulteriore requisito per l’iscrizione all’albo.

Ulteriore ed importante novità è l’istituzione di un ufficio centralizzato “presso l’ordine forense

di ciascun distretto di corte d’appello con recapito centralizzato” 1 col compito di fornire i

nominativi dei difensori d’ufficio richiesti dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria,

mediante un sistema informatico capace di assicurare a) rotazione automatica, b) un turno

differenziato per gli imputati detenuti e di escludere c) l’attribuzione di incarichi contestuali ad

un unico difensore per procedimenti pendenti avanti ad autorità giudiziarie distanti tra loro.

E’ peraltro previsto che il sistema informatico non sia utilizzato per procedimenti relativi a

“materie che riguardano competenze specifiche”. La deroga risponde all’esigenza di garantire la

necessaria competenza professionale specifica in materie particolari, quali - si potrebbe pensare -

i reati tributari, di criminalità organizzata o di terrorismo, senza peraltro individuare con un

minimo di chiarezza sia l’ambito oggettivo della previsione sia, soprattutto, le modalità operative

che si debbano seguire in questi casi. Non è chiaro, in particolare, se l’ufficio centralizzato o il

singolo consiglio dell’ordine forense debbano, come parrebbe ragionevole, predisporre elenchi

distinti di difensori d’ufficio per questo tipo di procedimento, in modo da assicurare comunque

una sia pure più circoscritta “rotazione”.

1 La prima attuazione pratica di questa disposizione ha evidenziato la tendenza, verosimilmente attribuibile a difficoltà organizzative e a costi di gestione, ad “accentrare” l’ufficio centralizzato ancor più di quanto non preveda la legge, mediante accorpamento tra più distretti di corte di appello. Così l’ufficio centralizzato per il distretto della corte di appello di Trento ha attualmente sede a Torino.

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Gli ultimi due commi del nuovo art. 29 disp. att. c.p.p., il sesto ed il settimo, dispongono che il

presidente del consiglio dell’ordine forense o un suo delegato vigila sul rispetto dei criteri per

l’individuazione e la designazione del difensore d’ufficio, essendo stato coerentemente eliminato

il potere concorrente in precedenza attribuito al presidente del tribunale, e che i difensori inseriti

nei turni giornalieri hanno l’obbligo della reperibilità.

Venendo alle disposizioni che coinvolgono direttamente l’autorità giudiziaria con riferimento

alla nomina del difensore d’ufficio, l’art. 97 c.p.p. sul punto è stato quasi interamente riscritto.

Al riguardo va subito posta una netta distinzione tra nomina del difensore d’ufficio in quanto

tale, ossia quale titolare dell’ufficio di difesa, alla quale sono dedicati i primi tre commi dell’art.

97 c.p.p. ed il quinto, nell’ipotesi in cui si renda necessaria una sostituzione definitiva e la

designazione del sostituto del difensore d’ufficio cui si riferisce il quarto comma.

Per la nomina vera e propria del titolare dell’ufficio di difesa, è prevista una sola modalità, priva

di eccezioni: giudice, PM e polizia giudiziaria quando hanno necessità di compiere un atto per il

quale è prevista l’assistenza del difensore richiedono all’ufficio centralizzato il nominativo del

difensore e provvedono quindi alla relativa nomina. E’ evidente che il sistema sottrae qualsiasi

spazio di discrezionalità all’autorità procedente nell’individuare il nominativo del difensore di

ufficio, che deve inderogabilmente essere loro indicato dall’ufficio centralizzato, tanto da far

dubitare che sia necessario un formale atto di nomina, essendo sufficiente un mero atto

ricognitivo di individuazione nel rispetto delle disposizioni di legge previste in materia2.

(quesito 1.1.) La rigidità del sistema e l’abbandono del precedente sistema affidato a criteri

elastici induce a ritenere che in caso di violazione di queste modalità di norma si integri una vera

e propria nullità della nomina a difensore d’ufficio, con dirette conseguenze sull’atto compiuto

in presenza del difensore illegittimamente nominato. E’ vero che in senso contrario si potrebbe 2 Così già Cass., 12 ottobre 1993, n. 1858, Magliulo CED 195209. Da notare però che questo vale con sicurezza solo con riferimento alla “prima nomina” del difensore di ufficio, perché, come si vedrà subito nel testo, quando vi sia la necessità di procedere ad una “seconda nomina” per il venire meno della precedente vi è non solo l’opportunità ma anche la necessità che l’autorità giudiziaria proceda ad un formale atto di nomina. In tal caso, infatti, è necessario che il provvedimento contenga una sintetica motivazione che indichi con chiarezza le circostanze di fatto che hanno fatto venire meno la precedente difesa, rendendo necessario procedere alla nomina del nuovo difensore (ovviamente nel rispetto delle procedure di legge previste).

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addurre che ciò che conta è che il difensore sia abilitato alla professione, in considerazione della

sostanziale parificazione tra difesa di fiducia e di ufficio, ma in contrario sembra decisiva

l’osservazione che la legge ha ritenuto di ricollegare l’effettività della difesa, in caso di nomina

d’ufficio del difensore, al rigoroso rispetto delle nuove modalità di nomina, sicché tanto la

richiesta all’ufficio centralizzato quanto l’iscrizione all’apposito elenco, costituiscono veri e

propri presupposti di validità della nomina medesima. Netta da questo punto di vista è

l’inversione di tendenza rispetto al sistema originario del codice, caratterizzato da previsioni

tanto generiche da precludere alla radice la possibilità stessa di ravvisare nullità in caso di

violazioni della procedura di nomina del difensore d’ufficio3.

La nomina potrebbe essere valida anche in mancanza della richiesta all’ufficio centralizzato solo

nel caso in cui, ad es. per un blocco delle linee telefoniche, essa non risultasse in concreto

possibile e l’urgenza dell’atto da compiere non consentisse di attendere il ripristino delle linee.

Invece il requisito dell’iscrizione all’elenco non sembra in grado di sopportare deroghe di sorta,

ove si consideri che la nuova disciplina lo configura non semplicemente come un adempimento

burocratico, ma lo ricollega a precisi indici sostanziali di professionalità, sicché deve ritenersi

che, in mancanza, l’avvocato non ha la legittimazione a difendere in un procedimento penale

sulla sola base di una nomina d’ufficio, pur essendo in grado di farlo in presenza in una nomina

fiduciaria. La scissione che in questo modo si attua tra difesa fiduciaria e difesa d’ufficio si

giustifica appunto col rapporto fiduciario sul quale la prima, a differenza della seconda, si fonda,

sulla necessità di non interferire nell’insindacabile potere di scelta del difensore da parte

dell’interessato e sulla necessità di garantire standard minimi di professionalità dei difensori di

3 Da Ultimo cfr. Cass., 27 dicembre 2001, n. 45915, Tosi, CED 220387, secondo la quale “la designazione quale difensore di ufficio di un legale diverso da quelli di turno secondo la tabella formata dal consiglio dell’ordine forense d’intesa con il presidente del tribunale, ai sensi dell’art. 29 disp. att. c.p.p., non implica nullità riconducibile all’art. 178 lett. c) c.p.p., poiché la prescrizione della nomina nell’ambito e secondo l’ordine della tabella mira alla migliore reperibilità dei difensori ed alla razionale distribuzione degli incarichi, ma non incide sull’assistenza tecnica a cura di un difensore di ufficio assicurata dalla legge all’interessato”. Va peraltro osservato che anche nel sistema attuale la mera inosservanza dei criteri di turnazione non sembra comportare alcuna sanzione processuale, una volta che la designazione sia avvenuta previa richiesta all’ufficio centralizzato, trattandosi di materia ormai del tutto sottratta al potere di controllo della magistratura ed per intero affidata all’avvocatura.

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ufficio, chiamati ad assistere indagati od imputati che non vogliono o non possono nominare un

difensore di fiducia e che, appunto per questo, appaiono bisognosi di particolare tutela.

A questo punto occorre chiedersi che tipo di nullità sia configurabile.

Il riferimento più immediato sembra essere quello di cui all’art. 178 lett. c) c.p.p., relativo

all’assistenza e rappresentanza dell’imputato, come tale a regime intermedio a norma dell’art.

180 c.p.p., salva la possibilità di sanatoria ex art. 183 lett. b) c.p.p., ad es. in caso di nomina di un

difensore di fiducia. Va però avvertito che si tratta di una nullità a regime intermedio del tutto

particolare perché idonea a perpetuarsi di momento in momento, almeno nella fase

dibattimentale nella quale l’assistenza del difensore è sempre indispensabile, con la pratica

inoperatività dei termini di decadenza, sino a quando non intervenga una sanatoria o il passaggio

in giudicato. Si può peraltro sostenere che se la nomina irregolare avviene nella fase delle

indagini preliminari ad opera, ad es., della polizia giudiziaria si verifica una nullità relativa a

norma dell’art. 181, comma 1 c.p.p., con la possibilità di porvi rimedio con una successiva (e

motivata) nomina d’ufficio regolare (ovvero una nomina fiduciaria) e salva comunque

l’avvertenza che se ciò non accade, necessariamente la nullità coinvolgerà le successive fasi

processuali (quesiti 1.2 e 1.3.)4.

Tutto ciò reagisce sotto il profilo operativo. E’ in particolare opportuno, a scanso di possibili

successive contestazioni, inserire nell’atto di nomina l’indicazione che il difensore è stato

individuato previa richiesta all’ufficio centralizzato. E’ inoltre opportuno che l’autorità

procedente si munisca degli elenchi aggiornati dei difensori d’ufficio e che ad ogni nomina

controlli che il nominativo indicato sia effettivamente inserito nell’elenco aggiornato. 4 La risposta al quesito 1.2 che si propone è la seguente: GUP o giudice del dibattimento dovranno dichiarare la nullità ed inviare gli atti al PM in ogni caso, affinché provveda alla notificazione della richiesta di rinvio a giudizio o della citazione diretta al difensore regolarmente nominato, sempre che, ovviamente, la nullità non sia già stata sanata durante la fase delle indagini preliminari, con una nomina regolare di un difensore al quale siano state eseguite tutte le notifiche e gli avvisi prescritti. Quanto al quesito 1.3 si ritiene di poter rispondere nei seguenti termini: la mancata iscrizione allo speciale elenco determina nullità della nomina, sicché l’autorità che ha provveduto a chiedere il nominativo del difensore d’ufficio da nominare ha l’onere di controllare che sia iscritto e di provvedere, in caso contrario, a nuova richiesta all’ufficio centralizzato (al quale sarà bene segnalare il grave disguido verificatosi ed imporre la cancellazione del nominativo dai turni di reperibilità); viceversa il mancato rispetto dei criteri di rotazione costituisce una mera irregolarità, in alcun modo imputabile all’autorità procedente e, come tale, priva di conseguenze processuali d sorta.

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E’ molto importante osservare che il difensore di ufficio, al pari di quello di fiducia, è

tendenzialmente inamovibile, perché la difesa è effettiva solo se stabile e continua per tutto il

procedimento. E’ infatti principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, almeno a

partire da un’importante sentenza delle Sezioni Unite5, quello secondo il quale il nuovo codice di

procedura penale, al fine di assicurare la continuità dell’assistenza tecnico – giuridica e di

garantire la concreta ed efficace tutela dei diritti dell’imputato, ha attuato la sostanziale

equiparazione della difesa d’ufficio a quella di fiducia, nel senso che anche la prima è

caratterizzata dall’immutabilità del difensore fino all’eventuale dispensa dall’incarico o

all’avvenuta nomina fiduciaria. Del resto questo principio trova testuale conforto nel comma 5

dell’art. 97 c.p.p. (restato immutato), secondo il quale il difensore d’ufficio può essere sostituito

solo per “giustificato motivo”, mentre il comma terzo dell’art. 30 disp. att. c.p.p. nel prevedere

che il difensore d’ufficio che si trova impossibilitato ad adempiere l’incarico deve avvertire

l’autorità giudiziaria, indicandone le ragioni, affinché si provveda a sostituirlo, chiarisce che una

sostituzione definitiva del difensore d’ufficio è legittimata solo da fatti e circostanze che rendono

impossibile l’adempimento dell’incarico. Tutto ciò induce a ritenere che il relativo

provvedimento debba essere motivato sul punto, dal momento che la nuova nomina è legittima

solo e soltanto se quella precedente è venuta per qualsiasi causa meno6. Sotto questo profilo, da

un lato, non può escludersi un residuo spazio di discrezionalità da parte dell’autorità giudiziaria,

non in riferimento alla nomina del nuovo difensore, la cui individuazione è comunque rimessa

all’ufficio centralizzato, bensì in riferimento all’apprezzamento delle circostanze che consentono

di considerare inefficace la precedente nomina e, dall’altro, si deve ammettere che in tal caso sia

5 Cass. Sez. Un., 19 dicembre 1994, n. 22, Nicoletti, CED 199399, in Cass. pen. 1995, 883 che ha risolto – nel primo senso - il dubbio se le notifiche successive alla sentenza debbano essere eseguite al difensore d’ufficio originariamente nominato ovvero al sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p., presente all’udienza nella quale la sentenza è stata pronunziata, pur ammettendo la legittimazione ad impugnare anche al “sostituto”. Per il contrario orientamento, ormai superato, secondo il quale il destinatario degli avvisi è il difensore sostituto ex art. 97, comma 4 c.p.p. cfr. Cass. 16 marzo 1993, n. 1043, Delle Fave, CED 194071, in Cass. pen., 1994, 2121 con nota di RANDAZZO, I diritti del difensore: tra sostituto e sostituito e Cass., 10 febbraio 1992, n. 116, Marchio, CED 189152, in Cass. pen., 1993, con nota di RANDAZZO, Il diritto di impugnazione e la nomina del sostituto del difensore. 6 Secondo Cass., 13 dicembre 1994, n. 4321, Patanè, CED 199882, l’omessa motivazione non comporta alcuna nullità, non essendo prescritta da alcuna espressa disposizione di legge.

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necessaria l’adozione di un atto formale adeguatamente motivato, appunto perché non si tratta

soltanto di individuare il nuovo difensore di ufficio ma, per così dire, di “revocare” il precedente

(rectius di dichiarare definitivamente venuta meno la precedente difesa).

Quanto all’individuazione dei casi di “giustificato motivo” che, a norma dell’art. 97, comma 5

c.p.p., legittima una sostituzione definitiva, ossia la nomina di un nuovo difensore di ufficio,

titolare dell'ufficio di difesa, occorre appunto riferirsi a circostanze fattuali, non identificabili

esaustivamente a priori, che tuttavia sono tutte caratterizzate dal lasciare privo di difensore

l’imputato in via definitiva. Si pensi alla morte o alla perdita della condizioni di legittimazione a

svolgere le funzioni di difensore (perdita della capacità, radiazione dall’albo, ecc…),

all’insorgenza di cause di incompatibilità, all’abbandono (definitivo) o al rifiuto di assumere la

difesa. Si pensi ancora alle ragioni di impossibilità ad adempiere l’incarico comunicate dallo

stesso difensore, ai sensi dell’art. 30, comma 3 disp. att. c.p.p., eventualmente anche per ragioni

di salute, personali o di concomitanti impegni professionali, tali da non consentire lo

svolgimento dell’incarico, pur doveroso, in termini di effettività.

In tutte queste ipotesi, quando sia certo che l’indagato o l’imputato sia rimasto senza alcun

difensore occorre nominare un nuovo difensore d’ufficio, non essendo sufficiente la mera

designazione di un mero “sostituto” ai sensi dell’art 97, comma 4 c.p.p. ed il nuovo difensore

assumerà la difesa per tutto il corso del procedimento, divenendo il nuovo titolare del relativo

ufficio.

La non chiara percezione di questo aspetto può portare a conseguenze devastanti in termini di

nullità degli atti processuali e di interi processi.

Si consideri, ad esempio, il caso in cui la polizia giudiziaria proceda regolarmente alla nomina di

un difensore d’ufficio per effettuare un determinato atto nel corso delle indagini preliminari e poi

che il PM, non avvedendosi della nomina già effettuata in precedenza, nomini un ulteriore

difensore d’ufficio, anche in questo caso in piena osservanza dell’art. 97 c.p.p., provvedendo ad

inviargli tutti gli avvisi sino alla notifica della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di

citazione diretta a giudizio, ma senza che sussista alcuna circostanza tale da far venir meno la

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precedente nomina: ebbene, a rigore, la successiva nomina del difensore d’ufficio, deve

considerarsi radicalmente nulla, perché avvenuta in assenza del “giustificato motivo” richiesto

dall’art. 97, comma 5 c.p.p., sicché l’effettivo difensore rimane quello in precedenza nominato,

con tutte le conseguenze in tema di notifiche della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di

citazione a giudizio e dei giudizi conseguenti7.

Quanto al tipo di nullità ravvisabile in questi casi, sembra ancora si tratti di nullità generali a

regime intermedio ex artt. 178 lett c) e 180 c.p.p., attenendo all’assistenza e rappresentanza

dell’imputato. Va tuttavia subito rilevato che ciò vale per l’atto di nomina in quanto tale, ma è

ben possibile ravvisare negli atti successivi nullità assolute, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., in

riferimento all’omessa citazione dell’imputato o assenza del suo difensore in giudizio. Può infatti

sostenersi che la notifica della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta a

giudizio al “secondo” difensore d’ufficio arbitrariamente nominato sia stata eseguita ad un “non

difensore”, appunto perché il vero ed effettivo difensore è in realtà quello in precedenza

7 Cfr. da ultimo Cass., 17 settembre 2001, n. 33724, Ben El Hadj, CED 219926, che ha configurato in tali casi una nullità di ordine generale non assoluta, provvedendo ad annullare le sentenze di primo e secondo grado per nullità del decreto di citazione notificato a difensore di ufficio diverso da quello nominato in sede di indagini preliminari; Cass., 19 febbraio 1996, n. 3058, Derbari Mounir, CED 203827 che ha ravvisato una nullità assoluta ai sensi del’art. 179 c.p.p. per l’omesso avviso all’effettivo difensore di ufficio (fattispecie relativa a mancato avviso al difensore d’ufficio dell’udienza di convalida dell’arresto); Cass. 28 settembre 1993, n. 3418, Calvanese, CED 195537 che ha ravvisato una nullità “inquadrabile tra quelle assolute ai sensi dell’art. 178 c.p.p in quanto attinente all’assenza del difensore”. Secondo Cass., 3 aprile 1997, n. 924, Jovanovic, CED 207279 “nel caso in cui il tribunale non ritenga di accogliere l’istanza di rinvio presentata dal difensore di ufficio che adduca legittimo impedimento per altro impegno professionale, non può procedere alla sostituzione in via definitiva del difensore in applicazione dell’art. 97, comma 5, ma deve nominare un sostituto (…) ai sensi dell’art. 97 comma 4 c.p.p., rimanendo questo titolare della difesa e destinatario degli avvisi”. Per l’affermazione generale che il difensore nominato d’ufficio non può essere sostituito senza “giustificato motivo” per lo più in riferimento al problema di chi sia destinatario delle notifiche e degli avvisi successivi alla sentenza cfr. anche Cass., 1 dicembre 2000, n. 12550, Picchi, CED 218658; Cass., 3 giugno 1998, n. 6493, Esposito, CED 210759 (che, tuttavia, ammette che il principio di immutabilità del difensore possa subire deroghe nel caso in cui il difensore d’ufficio originariamente nominato si astenga dal compiere qualsiasi attività difensiva); Cass., 30 agosto 1995, n. 9284, Lanzara, CED 202229; Cass. 25 luglio 1997, n. 7337, Trojano, CED 209744 ha persino affermato che la nomina del difensore d’ufficio resta ferma anche nel caso in cui il procedimento sia stato trasferito ad altra autorità giudiziaria per competenza territoriale; Cass., 13 novembre 1993, n. 195349, Radulovic,. Contra Cass., 6 marzo 1996, n. 2545, Galati, CED 204582, secondo la quale non sussisterebbe alcun principio che, in mancanza di un difensore di fiducia, garantisca all’imputato l’immutabilità del difensore di ufficio per tutte le fasi e i gradi del processo e Cass., 23 novembre 1994, n. 4347, Motisi, CED 199484 che ha escluso qualsiasi profilo di nullità in caso di sostituzione definitiva ai sensi dell’art. 97, comma 5 c.p.p. senza giustificato motivo “in difetto di espressa previsione” e considerando che l’assistenza dell’imputato è comunque assicurata dal nuovo difensore di ufficio.

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nominato, con riflessi anche sulla validità della citazione dell’imputato tutte le volte in cui

avvenga presso il difensore (ad es. per irreperibilità, rifiuto di eleggere domicilio od elezione di

domicilio inidonea).

Si tratta di una situazione di nullità particolarmente insidiosa, perché spesso “occulta” per il

giudice del dibattimento, nel cui fascicolo può anche non essere inserita l’originaria nomina del

difensore d’ufficio, compiuta dalla polizia giudiziaria che sola rende evidente la nullità della

successiva nomina, sicché è forte il rischio dell’inutile celebrazione di interi processi poi

annullati in Cassazione, come i precedenti sopra citati rende manifesto8.

2. Nomina del sostituto processuale (art. 3 della legge – art. 97, comma 4 c.p.p.).

Notevoli novità sono previste dalla legge n. 60 del 2001 riguardo alle modalità di designazione

del sostituto del difensore d’ufficio, mentre sono rimaste immutati i presupposti: il sostituto

processuale dovrà essere designato quando è richiesta la presenza del difensore e quello di

fiducia o di ufficio non è comparso, non è stato reperito o ha abbandonato la difesa. In

particolare l’art. 3 della legge riscrive il comma 4 dell’art. 97 c.p.p. introducendo una prima

grande distinzione a seconda che vi provveda “il giudice” (in dibattimento, in udienza

preliminare, per il compimento di atti avanti al giudice per le indagini preliminari ovvero in

procedimento di esecuzione) ovvero il PM o la polizia giudiziaria durante le indagini

preliminari.

Il giudice può designare come sostituto “un altro difensore immediatamente reperibile per il

quale si applicano le disposizioni di cui all’art. 102”, esattamente come accadeva in passato, ma

con una importante modifica introdotta proprio al termine del comma, dove si chiarisce che “nel 8 Va peraltro avvertito che l’esito sopra evidenziato non sembra imporsi come necessitato in ogni caso, ma deve piuttosto essere attentamente vagliato in stretta aderenza alla concreta vicenda processuale. Infatti sfruttando il principio di tassatività delle nullità ed il dato che nessuna norma processuale impone l’adozione di un atto formale motivato per i casi di sostituzione definitiva del difensore d’ufficio, le nullità indicate dovrebbero essere escluse almeno tutte le volte in cui, pur in mancanza di un atto motivato, sia in concreto ravvisabile un “giustificato motivo” di sostituzione, tra i quali deve considerarsi, come si avrà modo di vedere e come è desumibile dall’art. 108 c.p.p., anche l’abbandono (definitivo) della difesa, evidenziato, ad es., dal fatto che lungo tutto il corso del procedimento il difensore d’ufficio originariamente nominato si sia completamente disinteressato del suo assistito e non abbia compiuto alcun concreto atto di difesa.

10

corso del giudizio può essere nominato sostituto solo un difensore iscritto nell’elenco di cui al

comma 1”. (quesito 2.1.) Ragionando a contrario si deve concludere che fuori dal giudizio il

giudice può designare in sostituzione anche difensori “immediatamente reperibili” non iscritti a

quell’elenco, senza necessità di adottare alcuna motivazione al riguardo. Questa conclusione è

l’unica in grado di dare un senso alla norma.

La norma, come tutto il comma 4 dell’art. 97 c.p.p., si riferisce non al difensore di ufficio

nominato originariamente che, come si è sopra visto, deve essere sempre iscritto nell’elenco in

questione (cfr. art. 97, comma 2), bensì al suo “sostituto” che viene designato in caso di sua

assenza ed al quale si applicano le disposizioni dell’art. 102 c.p.p, ossia la disciplina del sostituto

nominato dal difensore titolare. In sostanza occorre tener ben presente la netta distinzione tra la

nomina pura e semplice del difensore d’ufficio ovvero la sua sostituzione in via definitiva ai

sensi del quinto comma, da un lato, e la designazione “provvisoria” di un sostituto ai sensi del

comma quarto, dall’altro 9.

La distinzione non direttamente interessata dalla novella, ma da questa senz’altro presupposta,

rileva a vari fini: in primo luogo ai fini della concessione del termine a difesa ai sensi dell’art.

108 c.p.p., come si avrà modo di vedere in seguito più diffusamente e, in secondo luogo, ai fini

dell’individuazione del destinatario degli avvisi e delle notifiche durante il procedimento e dopo

la sentenza10. In sostanza il “sostituto” costituisce una sorta di difensore vicario o di “alter ego”

9 Distinzione tracciata con grande chiarezza da Cass. Sez. Un., 19 dicembre 1994, n. 22 cit. ed accolta da tutta la giurisprudenza successiva. La possibilità di equivoci in questa materia è aumentata dal fatto che è la stessa legge ad usare il termine “sostituzione” nei due diversi sensi sopra illustrati nei commi 4 e 5 dell’art. 97 ovvero nel nuovo art. 30 disp. att., comma 3 c.p.p., secondo il quale il difensore di ufficio che si trovi nell’impossibilità di adempiere all’incarico può evitare la sua sostituzione (nel senso di nomina di un nuovo difensore) da parte dell’autorità giudiziaria mediante la nomina di un sostituto (nel senso di cui all’art. 102 c.p.p.). In tal caso la sostituzione (intesa come nomina di un nuovo difensore) del difensore di ufficio è evitata perché in realtà, a ben vedere, costui adempie al proprio incarico proprio mediante la nomina di un sostituto quale proprio “alter ego”. 10 Cfr La giurisprudenza dopo Cass. Sez. Un. 19 dicembre 1994, n. 22 cit. (precedenti citati alla nota 6) è consolidata nel ritenere destinatario di tutti gli avvisi e delle notifiche il difensore titolare e non il sostituto ex art. 97, comma 4 o 102 c.p.p. Di recente Cass., 1 dicembre 2000, n. 12550 cit., in Dir. pen. proc. 2001, 67 pur aderendo in astratto ai principi esposti, ha tuttavia in concreto ritenuto regolare la notifica dell’estratto contumaciale di condanna all’imputato presso il difensore designato in sostituzione, a norma dell’art. 97, comma 4 c.p.p. e non presso il titolare dell’ufficio di difesa, sulla base del presupposto fattuale che quest’ultimo aveva nella specie omesso di svolgere qualsiasi attività difensiva, sicché effettivo titolare dell’ufficio di difesa doveva ritenersi il sostituto che, in concreto, aveva seguito la difesa nel corso di tutto il procedimento.

11

del difensore titolare per la singola attività per la quale viene designato (la singola udienza o il

singolo atto da compiere con la presenza necessaria del difensore), senza che tuttavia ciò

comporti mutamento della titolarità dell’ufficio della difesa, che rimane fissata in virtù della

precedente nomina (e non di una mera “designazione”). La relativa “designazione” è giustificata

dalla necessità di compiere un atto che impone la presenza necessaria del difensore e dal fatto

che questi non compaia o non venga reperito o sia comunque assente senza addurre legittimo

impedimento, ma ciò non esclude che il difensore titolare in qualsiasi momento possa

successivamente riassumere la difesa in via attiva.

Questa distinzione, già valida alle stregua della normativa precedente, appare rafforzata alla luce

della nuova formulazione (oltre che dell’art. 108 c.p.p.) dell’art. 102 c.p.p. che, da un lato, ha

espressamente esteso anche al difensore di ufficio la facoltà di nominare un sostituto, già

ammessa in passato in via interpretativa ma non senza contrasti e, dall’altro, ha svincolato questa

facoltà dal presupposto, in precedenza richiesto, della sussistenza di un impedimento per il

titolare. In sostanza secondo la nuova disciplina la facoltà di nominare un sostituto processuale

per uno o più atti da svolgere è configurata come una scelta discrezionale ed insindacabile del

difensore, anche in riferimento al tempo di durata, e non semplicemente come un possibile

rimedio ad un personale impedimento. (quesito 3.1) E se è vero che l’eliminazione del

presupposto (anche temporale) del legittimo impedimento per la nomina del sostituto da parte

del difensore di fiducia a norma dell’art. 102 c.p.p. rende ipotizzabili sostituzioni anche per più

atti e, al limite, per tutta la durata del procedimento, ciò non toglie che il sostituto ha una

legittimazione alla difesa meramente derivata, fondata com’è sulla designazione da parte del

titolare dell’ufficio, revocabile in qualsiasi momento e, in quanto tale, tendenzialmente e

geneticamente “temporanea”. Correlativamente la nomina di un sostituto a norma dell’art. 97,

comma 4 c.p.p. da parte dell’autorità giudiziaria non può di per sé sola comportare la

sostituzione definitiva del titolare dell’ufficio di difesa, senza che sussista un giustificato motivo

12

ai sensi del comma quinto e sia adottato un provvedimento formale in questo senso (quesito

2.8)11.

A questo punto si può anche comprendere perché mai il sostituto designato, al contrario del

difensore di ufficio nominato, possa anche non essere iscritto nell’elenco di cui all’art. 97,

comma 2 c.p.p. (salvo che non venga designato nel corso del giudizio): perché si tratta di

compiere, in linea di principio, una singola attività in sostituzione di un difensore titolare e una

tantum. Pertanto la legge non richiede gli indici di professionalità (assunti quali requisiti per

poter ottenere l’iscrizione negli appositi elenchi) richiesti invece per i difensori di ufficio che, in

quanto tali, hanno l’obbligo di assistere l’indagato o l’imputato nel corso di tutto il procedimento

con la necessità di predisporre una strategia complessiva di difesa, non limitata al compimento di

singoli atti.

Fatta questa premessa va notato come al giudice non sia mai richiesto, per designare un sostituto

processuale, ai sensi dell’art. 97, comma 4 c.p.p., di richiedere il relativo nominativo all’ufficio

centralizzato e ciò per la ragione che la sua posizione di terzietà è parsa ragione sufficiente a

scongiurare il rischio di designazione di difensori compiacenti all’autorità inquirente. Pertanto il

giudice ha il potere di designare sempre come sostituto un difensore “immediatamente

reperibile”, pur con l’avvertenza che nel corso del giudizio può scegliere solo un difensore

iscritto nell’elenco di cui al comma 2.

Due sono le questioni interpretative che si pongono, l’una relativa al significato da attribuire al

termine “giudizio” - solo dibattimento o anche udienza preliminare ? -, l’altra alle conseguenze

della violazione della norma.

(quesito 2.2.) La prima questione sembra doversi risolvere in senso estensivo, ossia nel senso di

ritenere compresa nel termine “giudizio” anche l’udienza preliminare. E’ vero che sotto l’aspetto

11 Generalmente la designazione del sostituto processuale vale per il singolo atto, in giudizio per la singola udienza e nulla impedisce che all’udienza successiva sia designato altro sostituto. Tuttavia nulla esclude neppure che la prima designazione valga per più udienze e, al limite, per l’intero dibattimento, ma ciò non dovrebbe comportare avvicendamenti nella titolarità nell’ufficio di difesa, con tutte le conseguenze in punto di individuazione del destinatario delle notifiche e degli avvisi, perché un simile avvicendamento presuppone a rigore una “sostituzione definitiva” adottata espressamente a norma dell’art. 97, comma 5 c.p.p. sulla scorta di un “giustificato motivo”.

13

puramente terminologico la parola “giudizio” parrebbe riferirsi essenzialmente al dibattimento,

quale fase processuale istituzionalmente destinata a concludersi con un giudizio riguardo alla

penale responsabilità dell’imputato, ma in senso contrario spinge decisamente la ratio della

norma. In particolare appare evidente che la disposizione di cui trattasi ha la funzione di

garantire un minimo inderogabile di preparazione tecnica, quale supporto sostanziale al diritto di

difesa, del difensore designato in sostituzione in tutti quelle occasioni in cui l’attività da svolgere

appare particolarmente importante e potrebbe concludersi con una decisione in grado di segnare

le sorti dell’imputato. Ora, l’udienza preliminare può concludersi con un giudizio abbreviato,

con una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti o con una sentenza di non

luogo a procedere (oltre che con un decreto che dispone il giudizio), ossia con decisioni

senz’altro in grado di essere ricondotte tra quelle sopra indicate. Inoltre, secondo un significato

estensivo del termine “giudizio”, nella specie conforme alla ratio della norma, potrebbe ritenersi

sussistente un giudizio anche in caso in cui il giudice dell’udienza preliminare pronunci un

decreto che dispone il giudizio e non una sentenza. Anche in tal caso è infatti necessario un

“giudizio” (in senso lato) in relazione alla sussistenza dei sufficienti elementi per sostenere

l’accusa in dibattimento (cfr. art. 425, comma 3 c.p.p.)12.

(quesito 2.3.) Venendo alla seconda questione sopra prospettata occorre chiedersi cosa succede

nel caso in cui il giudice “nel corso del giudizio” designi quale sostituto un difensore non iscritto

negli appositi elenchi, posto che la norma nulla prevede al riguardo, sicché parrebbe attraente la

conclusione che, facendo leva sul principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.), escluda

qualsiasi sanzione processuale, obbligando a ricercare le conseguenze della norma

esclusivamente sul piano della responsabilità, anche disciplinare, del giudice. Inoltre si potrebbe

ancora far leva sull’argomento della tendenziale equiparazione tra difesa fiduciaria e difesa

d’ufficio e sui rispettivi sostituti e rilevare che come il sostituto processuale nominato dal 12 Analoga risposta positiva può essere ottenuta con riferimento all’incidente probatorio, sulla base della semplice osservazione che l’incidente probatorio comporta una sorta di anticipazione del dibattimento, capace di condizionarne l’esito mediante l’utilizzazione delle prove in esso acquisite. Negativa, invece, sembra dover essere la risposta con riferimento all’incidente di esecuzione, quale fase in alcun modo accostabile neppure in senso funzionale al “giudizio dibattimentale”.

14

difensore (ora anche d’ufficio) a norma dell’art. 102 c.p.p. non occorre certo sia iscritto negli

elenchi dei difensori d’ufficio, così è ragionevole che anche il sostituto designato dal giudice, a

norma dell’art. 97, comma 4 c.p.p., è sufficiente abbia la legittimazione a difendere, essendo

iscritto all’albo professionale.

A ben vedere si tratta però di una tesi non difendibile, in primo luogo perché quel requisito è

espressamente richiesto dall’art. 97, comma 4 c.p.p., mentre la disciplina dettata dall’art. 102

c.p.p. è diversa, in secondo luogo perché si tratta di una violazione compiuta in giudizio, ossia in

una fase processuale particolarmente delicata che il legislatore ha inteso circondare da precise

garanzie difensive e, in terzo luogo, perché, come già si è notato in riferimento alla nomina del

difensore d’ufficio in quanto tale ai sensi dell’art. 97, comma 3 c.p.p., l’iscrizione nell’elenco è

ancorata ad indici di capacità tecnica del difensore (svolgimento del corso professionale di

aggiornamento o documentato svolgimento per due anni della professione in sede penale), che

ben possono essere interpretati quali requisiti minimi inderogabilmente richiesti dalla legge.

Alla luce di tali rilievi sembra ancora una volta fondata l’eccezione di nullità generale a regime

intermedio, ex artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p., coinvolgente gli atti compiuti durante l’udienza (=

tutte le udienze) con l’assistenza difensiva del sostituto irregolarmente designato ed il suo

rilievo, durante il corso del giudizio, imporrà eventualmente la relativa rinnovazione ai sensi

dell’art. 185, comma 2 c.p.p. e, in mancanza e nei casi più gravi, potrà anche determinare

l’annullamento in sede di impugnazione con rinvio della sentenza di primo grado, sussistendone

i relativi presupposti13. Questo tipo di nullità reagisce sulle prove in termini di radicale

inutilizzabilità, dovendosi ritenere assunte in un contraddittorio falsato da una difesa tecnica non

rispondente agli indici minimi di effettività legalmente tipizzati14.

13 Ad es. tali presupposti andranno esclusi nell’ipotesi che l’intervento del sostituto irregolarmente designato e non iscritto nell’elenco sia avvenuto unicamente in un’udienza di puro rinvio (ad es. per legittimo impedimento dell’imputato o per assenza dei testi). E’ evidente infatti che in tali casi la nullità non determina la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado, come invece è richiesto dall’art. 604, comma 4 c.p.p., per consentire l’annullamento della sentenza con rinvio. 14 Anche in questo caso, se non ci si inganna, non è sempre imposta l’annullamento della sentenza di primo grado in sede di gravame, non potendosi escludere che, ad es., le prove illegittimamente assunte in presenza del sostituto del difensore d’ufficio non iscritto nell’elenco, siano del tutto irrilevanti ed inconcludenti ai fini del decidere e siano

15

(quesiti 2.4 – 2.5 e 2.6) Le maggiori novità coinvolgono tuttavia il caso in cui la designazione

del sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma 4 c.p.p. sia compiuta, nelle medesime circostanze,

durante le indagini preliminari dal PM o dalla polizia giudiziaria (che in precedenza non era

espressamente indicata tra le autorità capaci di designare il sostituto). In tal caso il “nuovo”

comma quarto dell’art. 97 c.p.p. impone la richiesta di un altro nominativo all’ufficio

centralizzato secondo le medesime modalità previste per la nomina in quanto tale. La previsione

si propone in tutta evidenza di limitare fortemente l’ambito di discrezionalità del PM e della

polizia giudiziaria nella scelta del sostituto processuale, con l’intento di scongiurare il rischio di

designazione di difensori compiacenti agli organi investigativi. Anche al PM o alla polizia

giudiziaria è tuttavia consentito ricorrere alla designazione di un sostituto “immediatamente

reperibile”, senza passare attraverso la richiesta all’ufficio centralizzato dei consigli dell’ordine

forense, “nei casi di urgenza”, ma in tal caso occorrerà l’adozione “di un provvedimento

motivato che indichi le ragioni dell’urgenza”.

La norma non indica alcuna sanzione in caso di inosservanza, ossia nel caso in cui PM o la

polizia giudiziaria provvedano de plano alla designazione di un sostituto al difensore assente

fuori dai casi d’urgenza ovvero in presenza di una situazione d’urgenza ma in mancanza del

provvedimento motivato. Anche in questo caso è possibile una risposta che escluda una nullità

sfruttando il principio di tassatività in tema di nullità (art. 177 c.p.p.) e che sostenga la

sussistenza di una mera irregolarità procedimentale nella designazione del sostituto del difensore

non coinvolgente la difesa in senso tecnico, ossia la legittimazione del soggetto designato a

svolgere quell’attività difensiva (nel qual caso la nullità sarebbe senz’altro ravvisabile, non per

violazione dell’art. 97, comma 4 c.p.p., ma perché è stato designato in sostituzione un “non

difensore”)15. Sennonché anche in questo caso questa interpretazione sembra porsi in insanabile

contrasto con la ratio complessiva della riforma che, al contrario, sembra proprio ricollegare invece del tutto sufficienti a sorreggere l’eventuale condanna le altre prove regolarmente assunte (cfr. art. 604, comma 5 c.p.p.). 15 E’ pacifico che nel caso di assistenza da un parte di un “non difensore”, non iscritto all’albo professionale (ovvero da esso radiato), si integri una nullità assoluta ai sensi dell’art. 179, comma 1 c.p.p. Cfr. Cass., 15 settembre 2000, n. 9730, Venidtto, CED 217664.

16

l’effettività della difesa tecnica d’ufficio, alla scrupolosa osservanza delle procedure previste. Ne

deriva che appare preferibile l’interpretazione che ravvisa una nullità dell’atto garantito svolto in

presenza del sostituto irregolarmente designato e di eventuali atti conseguenti, in applicazione

dell’art. 178 lett. c) c.p.p., almeno nelle ipotesi in cui la violazione consista nella mancanza del

presupposto sostanziale dei casi d’urgenza. Invece una diversa soluzione potrebbe giustificarsi

nei casi in cui la violazione sia limitata al solo caso del difetto di motivazione, purché il caso

d’urgenza sia in concreto sussistente16.

Infine la norma pone un ulteriore dubbio interpretativo, davvero di difficile soluzione: non si

capisce se il sostituto processuale “immediatamente reperibile” che il PM o la polizia giudiziaria

può designare nei casi d’urgenza e con provvedimento motivato, debba obbligatoriamente

oppure no essere iscritto nell’apposito elenco. La risposta negativa si giustifica sia perché appare

poco ragionevole ridurre la cerchia dei difensori “immediatamente reperibili” in presenza di

particolari ragioni d’urgenza, sia perché l’obbligatoria iscrizione del sostituto è prevista solo alla

fine del comma per l’ipotesi di designazione compiuta dal giudice nel corso del giudizio. Ma in

contrario potrebbe essere sfruttata la volontà del legislatore di limitare fortemente l’ambito di

discrezionalità attribuito all’autorità inquirente nella scelta anche del sostituto processuale, oltre

che del difensore d’ufficio titolare.

3. Termine a difesa (art. 5 legge - art. 108 c.p.p.).

Le modifiche intervenute sul testo dell’art. 108 c.p.p., relativo al termine per la difesa da

concedere al nuovo difensore nei casi di “rinuncia, di revoca, di incompatibilità e nel caso di

abbandono” del difensore originariamente nominato sono essenzialmente due.

16 Ciò non toglie che la mancanza di qualsiasi motivazione renda “sospetta” la designazione e più difficile per il giudice chiamato a pronunziarsi sull’eccezione di nullità ritenere sussistenti le ragioni di urgenza nel caso concreto. Quanto alla risposta al quesito 2.6 appare opportuno indicare anche nell’atto di designazione del sostituto, così come nell’atto di nomina del difensore d’ufficio in quanto tale, le operazioni materiali compiute per l’individuazione del nominativo (richiesta all’ufficio centralizzato), allo scopo d agevolare l’accertamento dell’osservanza delle procedure previste nel caso siano successivamente sollevate sul punto eccezioni.

17

La prima attiene alla durata del termine e agli spazi di discrezionalità concessi al giudice al

riguardo: secondo la disciplina precedente il termine era infatti “di norma non inferiore ai tre

giorni”, il che lasciava un certo margine di discrezionalità al giudice di concedere termini anche

inferiori in relazione a particolari esigenze processuali peraltro non predeterminate in via

legislativa; in base alla nuova disciplina invece il termine è, in via generale, “non inferiore a

sette giorni”, salvo deroghe espressamente previste al secondo comma. Più precisamente il

termine può essere inferiore se vi sia il consenso dell’imputato o del difensore (sembra anche in

via disgiuntiva) ovvero vi siano specifiche esigenze processuali relative alla decorrenza dei

termini di custodia cautelari o del termine di prescrizione. In quest’ultimo caso il giudice

recupera una certa discrezionalità, ma col limite che non potrà concedere un termine inferiore

alle 24 ore e dovrà assumere una motivazione adeguata in relazione alle specifiche ipotesi

previste dalla legge.

La seconda innovazione è la diversa formulazione con la quale viene indicato il nuovo difensore

nominato di ufficio in sostituzione a quello originario “decaduto”: anziché la locuzione “quello

designato in sostituzione” si ha ora “quello designato d’ufficio”. L’innovazione rafforza sul

piano testuale il rilievo delle cause che legittimano la richiesta del termine a difesa, che sono

rimaste immutate, quali casi che fanno venire meno l’ufficio della difesa in via definitiva con la

conseguente necessità di procedere alla nomina di un nuovo difensore, di fiducia o di ufficio,

non essendo sufficiente una semplice designazione di un mero sostituto processuale, ai sensi

degli artt. 97, comma 4 o 102 c.p.p.

(quesito 2.7) Infatti in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità17 o abbandono di difesa,

l’imputato resta in realtà privo di difensore in linea di principio in via perpetua, sicché occorre

necessariamente intervenire per colmare la vacanza che si è venuta a determinare nell’ufficio di

difesa, mediante la nomina di un nuovo titolare. Ciò vale senz’altro per i casi di rinunzia, revoca 17 L’ipotesi è importante perché costituisce l’unico caso in cui è la legge stessa ad imporre un provvedimento motivato (ordinanza) per la sostituzione in senso definitivo del difensore incompatibile, in mancanza di rimozione spontanea del motivo di incompatibilità. Aderendo all’interpretazione proposta il riferimento alle “necessarie sostituzioni a norma dell’art. 97”, compiuto dal comma 3 dell’art. 106 c.p.p. va inteso più precisamente all’art. 97, comma 5 c.p.p., con esclusione del comma quarto.

18

od incompatibilità (ai quali si potrebbero aggiungere i casi di morte, interdizione legale,

radiazione dall’albo, ecc…), mentre vale con maggiori incertezze per il caso di abbandono.

Infatti l’ipotesi è contemplata anche dall’art. 97, comma 4 c.p.p. quale causa legittimante la

designazione di un mero sostituto processuale, sicché il rischio di sovrapposizione tra le due

ipotesi, sottoposte a discipline tanto diverse, appare evidente. In realtà la contraddizione sembra

componibile mediante il rilievo che il caso dell’abbandono, a differenza dai casi di rinunzia,

revoca od incompatibilità, appare privo di elementi di evidenza formale e logicamente non del

tutto incompatibile con una durata temporanea (nulla esclude che il difensore che abbia

abbandonato la difesa, la riassuma in un momento successivo). In sostanza l’abbandono non

comporta automaticamente e indipendentemente da un provvedimento giudiziale la decadenza

dall’ufficio della difesa, che si verifica invece solo allorquando l’abbandono medesimo sia

(legittimamente) assunto dal giudice appunto quale motivo di nomina di un nuovo difensore.

Non vi è dubbio infatti che l’abbandono di difesa configuri, se definitivo, un giusto motivo che

legittima, a norma dell’art. 97, comma 5 c.p.p., la sostituzione del difensore di ufficio con altro

nuovo difensore d’ufficio. In linea generale può dirsi che il giudice può orientarsi alla nomina di

un nuovo difensore nel caso vi siano concreti elementi di fatto tali da far ritenere irreversibile la

situazione di abbandono di difesa, mentre sarà bene procedere con cautela nei casi dubbi, nei

quali l’effettività della difesa può essere adeguatamente ottenuta mediante la semplice

designazione di un sostituto ai sensi dell’art. 97, comma 4 c.p.p.

(quesito 4.1.) Fatta questa precisazione, ciò che tuttavia va con forza sottolineato è che risulta

confermata l’applicabilità dell’art. 108 c.p.p. nei soli casi tassativamente indicati di rinuncia,

revoca, incompatibilità od abbandono, nei casi cioè in cui si imponga la nomina di un vero e

proprio nuovo difensore, di fiducia da parte dell’imputato o di ufficio da parte del giudice. A dir

meglio più che di indicazione tassativa la norma fa riferimento ai più frequenti casi di definitiva

cessazione dell’ufficio di difesa, sicché ipotesi espressamente non previste potranno essere

ricondotte nel suo ambito oggettivo di previsione solo a condizione che presentino quella

19

caratteristica (ad es. morte, incapacità, radiazione dall’albo), mentre restano esclusi tutti i casi di

assenza pura e semplice del difensore non interpretabili quali cessazione definitiva della difesa.

In definitiva l’art. 108 c.p.p. non potrà trovare applicazione nei casi di mera assenza del

difensore e neppure, a maggior ragione, nei casi in cui venga rigettata la richiesta di rinvio per

legittimo impedimento del difensore18. In tali ipotesi, infatti, il giudice dovrà procedere a

nominare un mero sostituto processuale ai sensi dell’art. 97, comma 4 c.p.p., al quale si applica

l’art. 102 c.p.p., che non prevede alcun diritto di chiedere termine a difesa. Infatti, come ha avuto

modo di chiarire sia la giurisprudenza costituzionale che quella di legittimità con grande

chiarezza, la mera assenza del difensore è elemento in sé neutro, persino compatibile con una

precisa scelta di strategia processuale19. Tra l’altro ad opinare diversamente si giungerebbe

all’assurda conclusione dell’impossibilità giuridica di giungere alla conclusione di un qualsiasi

processo qualora i vari sostituti processuali, via via designati a norma dell’art. 97, comma 4

c.p.p., non si presentino alle varie udienze.

(quesito 4.2.) Ne deriva, in sostanza, che la legge presume la preparazione anche del sostituto

processuale, nominato dal giudice ai sensi dell’art. 97, comma 4 c.p.p., al quale pertanto non

spetta il termine a difesa di cui all’art. 108 c.p.p. Ciò non toglie, è bene chiarirlo, la possibilità ed

anche l’opportunità, in relazione alle concrete circostanze processuali, di concedere al sostituto

un termine ad horas o anche di qualche giorno, in caso di procedimenti particolarmente

complessi, affinché prenda diretta cognizione degli incartamenti processuali. Si tratta, tuttavia, di

una scelta rimessa alla discrezionalità del giudice che, in quanto tale, si sottrae alla disciplina di

cui all’art. 108 c.p.p. che configura invece una fattispecie di termine a difesa obbligatorio.

18 In quest’ultimo caso, anzi, sembra davvero preclusa per il giudice la possibilità di procedere ad una nomina di un “nuovo difensore”, a norma dell’art. 97, comma 5 c.p.p., perché la richiesta di rinvio per legittimo impedimento, per quanto in ipotesi infondata e, dunque, da respingere, costituisce prova certa che il difensore non intende affatto abbandonare in via definitiva la difesa, sicché il giudice è obbligato a designare un mero sostituto processuale, a norma dell’art. 97, comma 4 c.p.p. (in termini Cass., 3 aprile 1997, n. 924 cit.). 19 Cfr. Corte cost. 16-30 dicembre 1997, n. 450 e 4-8 maggio 1998, n. 162, in Cass. pen., 1999, 1693, con nota di S. CAMPANELLA, Assenza del difensore ed esigenza di tutela delle garanzie difensive: un problema ancora aperto), e Cass. pen., 12 maggio 1999, n. 6015, Lopez, CED 213381in Cass. pen., 2000, 3051 con nota di MACRÌ). Con riferimento alla nuova disciplina cfr. Trib. Torre Annunziata, 17 aprile 2001, in Giur. mer.,2011, II, 683 e in Giur. it., 2001, 2138 con nota di GIUNCHEDI, Difesa d’ufficio e “giusto processo”.

20

(quesiti 4.3. e 4.4.) La precedente versione testuale dell’art. 108 c.p.p., generica ed incentrata su

riferimenti a criteri elastici di valutazione, rendeva in concreto assai difficile per la difesa

ottenere l’accoglimento di eccezioni di nullità, fondate sulla sua violazione, almeno in tutti i casi

in cui un termine, anche molto breve, fosse stato concesso. Infatti la circostanza che il termine

dovesse essere “di norma non inferiore a tre giorni”, rendeva relativamente agevole per il giudice

dell’impugnazione rigettare l’eccezione di nullità, sulla base del rilievo che il termine anche

inferiore a quel limite doveva ritenersi comunque congruo in relazione alla concreta vicenda

processuale20. E’ tuttavia chiaro che nel momento in cui la norma viene così radicalmente

trasformata, con una riduzione drastica degli spazi di discrezionalità concessi al giudici, simili

orientamenti non possono costituire precedenti significativi, dovendosi certamente ritenere che

almeno le più patenti violazione della norma implichino una nullità generale a regime intermedio

ex art. 178 lett. c) e 180 c.p.p. Ciò vale senz’altro per il caso di rigetto puro e semplice del

termine richiesto nei casi previsti ma anche per il riconoscimento di un termine inferiore ai limiti

temporali, oggi previsti in via inderogabile dalla legge, ossia 7 giorni nella generalità dei casi e

24 ore per le ipotesi descritte dal secondo comma. Pertanto non saranno in nessun caso più

consentiti termini ex art. 108 c.p.p. di minuti o di ore.

Venendo alle violazioni meno gravi, relative al nuovo secondo comma, va osservato come la

riforma abbia tipizzato i casi in cui sia consentito un termine inferiore ai 7 giorni, che comunque

non potrà essere inferiore alle 24 ore: a) consenso dell’imputato o del difensore; b) esigenze

processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato, c) esigenze processuali che

possono determinare la prescrizione del reato. Ne deriva che non potranno essere più valorizzate

– al fine di giustificare termini inferiori ai 7 giorni - altre ragioni di natura “sostanzialistica”

quali ad es. l’estrema semplicità del processo e, si deve ritenere, ancora una volta a pena di

20 Sono chiara espressione di questo atteggiamento di estremo (forse eccessivo) rigore della giurisprudenza Cass., 11 giugno 1999, n. 7594, Ietti, CED 213786 che ha ritenuto congruo un termine anche di “pochi minuti”, sulla sola scorta della semplicità del processo e Cass., 17 febbraio 994, n. 1977, Montini, CED 19858 che ha ritenuto congruo un termine di un giorno ed ha escluso la sussistenza di qualsiasi nullità, sebbene fosse erronea la motivazione adottata dal giudice per giustificare la concessione di un termine inferiore ai tre giorni.

21

nullità. Non solo, ma la nullità non può escludersi anche in tutte le ipotesi in cui sia riconosciuto

un termine inferiore ai 7 giorni, fuori dai casi previsti dal secondo comma.

Una diversa soluzione sembra consentita unicamente nelle ipotesi in cui la violazione sia limitata

all’assenza o alla erroneità della motivazione assunta. Infatti può sostenersi che poiché la norma

mira a garantire l’effettività della difesa se il termine è concesso in misura superiore alle 24 ore

ed inferiore ai 7 giorni e sussistevano i presupposti di cui al comma 2, non è ravvisabile alcuna

lesione riconducibile all’art. 178 lett c) c.p.p. e la relativa violazione può essere qualificata in

termini di mera irregolarità, priva di ulteriori sanzioni processuali, anche perché nulla impedisce

al giudice chiamato a pronunciarsi sull’eccezione di nullità a motivare la congruità del termine

concesso o a rettificare la motivazione erronea assunta (quesito 4.5.)21.

(quesiti 4.6. e 4.7.) Qualche ulteriore dubbio interpretativo lo pone il presupposto del consenso

dell’imputato o del difensore che consente di concedere anche un termine inferiore ai 7 giorni.

Al riguardo va anzitutto osservato che il medesimo presupposto sembra consentire anche un

termine inferiore alle 24 ore, nonostante il contrario tenore letterale della norma, perché non si è

davvero ragione di negare alla difesa la possibilità di richiedere ad es. un termine di 2 ore,

trattandosi di una norma posta ad esclusiva garanzia della difesa medesima22.

Un dubbio più consistente è originato dalla formulazione del consenso dell’imputato e del

difensore in via alternativa: si tratta di stabilire se sia necessario un consenso congiunto o sia,

invece, sufficiente un consenso anche di uno solo dei soggetti indicati, ovvero, infine, se accolta

questa seconda alternativa se sia possibile che il consenso espresso dall’uno sia posto nel nulla 21 Questa sembra essere l’unica concessione possibile ad argomentazioni “sostanzialistiche” tese a delimitare in ambiti circoscritti la nullità conseguente alla violazione della norma. Ne deriva che la risposta al quesito 4.5. è, fuori da questa ipotesi, radicalmente negativa, ossia quando la norma è violata non solo in riferimento all’obbligo di motivazione ma in riferimento ai presupposti sostanziali, non sembra proprio possibile negare la nullità argomentando sulle peculiarità della vicenda processuale ed osservando che dalla violazione non siano conseguiti concreti effetti pregiudizievoli. 22 L’unico dubbio che questa ipotesi pone è se si tratta di un’ipotesi in cui trovi davvero applicazione la norma di cui all’art. 108 c.p.p., nel senso che si potrebbe sostenere che detta norma trovi applicazione solo nelle ipotesi in cui la richiesta sia di un termine perlomeno superiore alle 24 ore. Tuttavia sembra preferibile l’opinione contraria, perché uscire dall’ambito applicativo della norma comporta la conseguenza che il giudice potrebbe discrezionalmente negare anche il minor termine richiesto, mentre se si ritiene che trovi comunque applicazione il giudice sarebbe vincolato o ad accogliere la richiesta del minor termine (in ipotesi 2 ore) oppure di concedere un termine superiore, che sembra essere la soluzione in concreto più ragionevole.

22

dal dissenso dell’altro. Esclusa la prima soluzione (consenso congiunto) perché chiaramente

contraria alla lettera della legge, più difficile è sciogliere la seconda alternativa, perché si

potrebbe sostenere che sebbene sia sufficiente il consenso espresso anche da uno solo deve

tuttavia essere espressione di una linea concorde, sicché, in mancanza, il termine richiesto deve

essere comunque di 7 giorni. In contrario si può tuttavia argomentare non solo dalla lettera della

legge ma anche dal fatto che la norma garantisce l’effettività tecnica della difesa, a sua volta

funzionale all’interesse sostanziale dell’assistito, sicché, da un lato, il consenso espresso dal

difensore, anche contro la volontà del suo assistito, appare sufficiente a consentire un termine

inferiore e, dall’altro, il consenso espresso dall’imputato svuota di contenuto la richiesta del

difensore di un termine maggiore. In conclusione il consenso anche solo dell’imputato o solo del

difensore e di per sé sufficiente a legittimare un termine a difesa inferiore ai 7 giorni, a

prescindere dal dissenso manifestato dall’altro.

4. L’informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa (art. 19 legge -

art. 369 bis c.p.p.): la “nullità degli atti successivi”.

L’art. 19 della legge n. 60/2001 ha inserito un nuovo articolo all’interno del codice di procedura

penale, l’art. 369 bis c.p.p., intitolato “Informazione della persona sottoposta alle indagini sul

diritto di difesa”. Gravi difficoltà interpretative sono connesse in primo luogo all’assoluta

indeterminatezza del contenuto dell’atto da notificare all’indagato, ma si estendono, in secondo

luogo, anche all’esatta individuazione degli effetti dell’eventuale violazione, dal momento che la

norma prevede in caso di mancata notificazione l’espressa sanzione processuale della “nullità

degli atti successivi”.

(quesito 5.1.) Partendo da questo secondo aspetto va infatti notato come la locuzione “a pena di

nullità degli atti successivi” sia fortemente equivoca, perché non si riesce a capire se si tratta di

una mera ripetizione dei principi di cui all’art. 185 c.p.p., ma in tal caso si tratterebbe di una

norma inutile (sarebbe stato sufficiente dire “a pena di nullità” puramente e semplicemente)

ovvero se il legislatore abbia inteso attribuire alla nullità in parola una disciplina speciale e più

23

rigorosa. L’incertezza è aggravata dal fatto che mancano norme che ricollegano alla mancata (o

alla nullità della) comunicazione in parola la nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del

decreto di citazione diretta a giudizio avanti al giudice monocratico, sulla falsariga degli artt. 416

e 552, comma 2 c.p.p., in riferimento al caso della omessa notifica dell’avviso di cui all’art. 415

bis c.p.p. Non si riesce allora a comprendere se in caso di mancata comunicazione ai sensi

dell’art. 369 bis c.p.p. si abbia nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di

citazione diretta a giudizio. Si potrebbe pensare che il riferimento alla nullità “degli atti

successivi” alluda in primo luogo proprio agli atti indicati, ma questa opinione rischia di entrare

in insanabile contraddizione col principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.), a maggior

ragione ove si consideri che la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di

citazione diretta a giudizio è oggetto di espresse disposizioni di legge, sicché mai come nel caso

di specie parrebbe pertinente il ricorso al criterio logico di interpretazione secondo il quale ubi

lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit.

In definitiva secondo l’interpretazione proposta si tratterebbe di una nullità relativa disciplinata

dall’art. 181 c.p.p. e più in particolare, trattandosi di nullità concernente gli atti di indagine

preliminare, dal comma 2 della norma richiamata, con la conseguenza che il termine ultimo per

poterla eccepire è la pronuncia del provvedimento previsto dall’art. 424 c.p.p., in caso di

procedimento che passa attraverso l’udienza preliminare ed il termine previsto dall’art. 491,

comma 1 c.p.p., in caso contrario. Tuttavia, una volta ritualmente eccepita non sembra possibile

evitare la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, a norma dell’art.

185, comma 3 c.p.p., con la necessaria trasmissione degli atti al PM.

( quesito 5.2.) Ma le incertezze riguardo alla nullità in parola investono anche un piano distinto

e, precisamente, il piano dell’individuazione dell’esatta fattispecie che ne costituisce il

presupposto. Si tratta cioè di stabilire se la sanzione di nullità degli atti successivi sussista solo

nel caso in cui sia omessa la comunicazione della nomina del difensore d’ufficio, come parrebbe

dalla lettera della legge, o se si estenda anche ai casi in cui siano semplicemente omessi i

24

(ovvero taluno dei) contenuti previsti dal comma 2 del nuovo art. 369 bis c.p.p., come parrebbe

desumersi dall’espressione “deve contenere” contenuto nel citato comma.

Anche in tal caso l’interpretazione restrittiva parrebbe attraente e potrebbe fondarsi su un solido

fondamento teorico rappresentato, ancora una volta, dal principio di tassatività delle nullità (art.

177 c.p.p.). Ad ulteriore conferma si potrebbe poi invocare l’assoluta indeterminatezza del

contenuto della comunicazione di cui al comma 2 lett. a) mediante il riferimento, del tutto

generico, alle “facoltà e ai diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini”. Sulla

scorta del rilievo che un simile riferimento appare del tutto inidoneo a selezionare, con un

minimo di precisione, cosa in concreto debba essere comunicato all’indagato, si potrebbe trarre

la conclusione che attribuire la sanzione della nullità in caso di omissione costituisce violazione

al principio di tassatività in tema di nullità.

Ma, a ben vedere, non sembra che questa linea interpretativa possa essere accolta. Sotto il profilo

testuale se è vero che la sanzione della nullità è – al comma 1 – direttamente collegata alla (sola)

comunicazione della nomina del difensore d’ufficio, è altrettanto vero che ciò avviene solo

perché il contenuto di detta comunicazione è determinato al comma successivo. Appare allora

arbitrario qualsiasi limitazione o anche solo attenuazione della forza cogente del nuovo obbligo

ad uno o più dei contenuti indicati nel suddetto comma 2, tanto più che l’indicato comma

esordisce con il perentorio inciso “la comunicazione di cui al comma 1 deve contenere”, la cui

indiscutibile forza cogente sarebbe del tutto vanificata se non fosse assistita dalla sanzione della

nullità prevista dal comma 1.

Se si passa poi all’esame dei singoli contenuti ci si accorge che, a parte il generico riferimento

alla facoltà e ai diritti attribuiti dalla legge, di incerta determinazione, si tratta di informazioni

strettamente legate al rapporto col difensore (obbligatorietà della difesa tecnica – nome, indirizzo

e recapito telefonico del difensore – facoltà di nominare un difensore di fiducia con

l’avvertimento che, in mancanza, sarà assistito da quello di ufficio – obbligo di retribuzione del

difensore – indicazioni delle condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio). Ne deriva che

appare indiscutibile un forte legame funzionale tra primo e secondo comma che non sembra

25

proprio possibile sciogliere, con riguardo alla previsione della nullità in caso di inosservanza

della norma. Si consideri che l’indicazione del nome, dell’indirizzo e del recapito telefonico del

difensore di ufficio è contenuta nel secondo comma (lett. b), sicché ad accogliere

l’interpretazione avversata si dovrebbe escludere la “nullità degli atti successivi” nel caso in cui

la comunicazione si limiti ad informare l’indagato dell’avvenuta nomina di un difensore

d’ufficio, senza peraltro indicarne il nome, l’indirizzo ed il recapito telefonico. Ma l’assurdità di

una simile conclusione appare evidente ove si consideri che ratio dell’intera norma non è

semplicemente quella di avvertire che è stato nominato un difensore di ufficio, ma di avvertire

l’indagato della necessità di una predisposizione di un precisa linea difensiva mediante il diretto

contatto col difensore nominato di ufficio o con uno nominato di fiducia.

Del resto assai problematica, e inevitabilmente esposta all’accusa di arbitrarietà, sembra essere

una selezione in via astratta delle informazioni indicate al comma 2 la cui omissione sia in grado

di determinare la nullità prevista dal comma 1.

Sotto un profilo più generale ed in riferimento al principio di tassatività in tema di nullità (art.

177 c.p.) l’interpretazione qui avversata potrebbe essere accolta solo sulla scorta della

dimostrazione dell’esistenza di un obbligo costituzionale del legislatore di configurare le singole

ipotesi di nullità processuale con norme chiare, precise e determinate, (gli indici costituzionali di

riferimento potrebbero essere l’art. 25, comma 2, l’art. 97, comma 1 e 112 Cost., oltre che l’art 3

Cost., sotto il profilo del criterio di ragionevolezza). In sostanza si dovrebbe riuscire a

dimostrare che il principio di tassatività in tema di nullità ha una portata analoga al principio di

tassatività operante per il diritto penale sostanziale e, in particolare, per le norme incriminatrici.

Tuttavia in contrario può osservarsi che manca nei due casi una identità di ratio (la tassatività in

materia penale è posta a garanzia della libertà personale del cittadino, mentre la tassatività in

tema di nullità processuale mira a garantire la funzionalità dell’apparato repressivo dello Stato) e

la stessa descrizione delle nullità generali avviene mediante formule aperte (cfr. art. 178 c.p.p.).

Si deve pertanto concludere che, in linea di principio, la sanzione di nullità di cui al comma 1

diviene operativa in caso di omissione di ciascuna delle informazioni previste dal comma 2,

26

mentre qualsiasi tentativo di limitarne la portata in via generale (ossia prescindendo dalla

concreta vicenda processuale e sulla sola base dell’interpretazione dell’art. 369 bis c.p.p.) appare

arbitraria configurandosi come una sorte di fuga dalle proprie responsabilità da parte

dell’interprete (quesito 5.4.)23.

4.1 (segue) : il contenuto della comunicazione di cui all’art. 369 bis c.p.p.

Si tratta ora di individuare il contenuto della comunicazione ex art. 369 bis c.p.p. Il problema,

come già anticipato, si pone esclusivamente per il riferimento, del tutto generico, all’indicazione

“della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini” (cfr. art. 369

bis lett. a) c.p.p.), perché le altre informazioni richieste non pongono problemi particolari.

Si può tentare di seguire un’interpretazione restrittiva.

(quesito 5.3.) In particolare partendo dalla considerazione che l’art. 369 bis, comma 2 lett. a)

c.p.p. recita “l’informazione della obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale, con

l’indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle

indagini”, sicché quest’ultima indicazione è configurata quasi come accessoria all’informazione

relativa all’obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale ed aggiungendo l’osservazione

che tutte le altre informazioni richieste attengono al rapporto tra indagato ed ufficio della difesa,

può sostenersi che la facoltà (si noti al singolare) e i diritti attribuiti dalla legge alla persona

sottoposta alle indagini cui la norma si riferisce, attengono a questo rapporto e non al rapporto

tra indagato con l’ufficio del PM.

Titolo ed oggetto dell’intera legge nella quale la novella è inserita sembrano confermare

l’assunto.

23 Va avvertito che considerando la ragione della comunicazione, che è quella di informare l’interessato del diritto di difesa e di avvertirlo della necessità di prendere contatto col difensore onde concordare una strategia difensiva, l’avviso non è dovuto nel caso in cui l’indagato sia già munito di difensore di fiducia. E’ inoltre possibile ipotizzare una sanatoria della nullità per l’omessa notifica, qualora intervenga successivamente una nomina fiduciaria, a norma dell’art. 183 lett b.) c.p.p., per raggiungimento dello scopo cui mirava l’atto omesso. E’ necessario, tuttavia, per evitare la regressione del procedimento, che la nomina del difensore di fiducia intervenga prima dell’esercizio dell’azione penale, onde consentire piena effettività alla difesa con riferimento alle facoltà previste a seguito dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.

27

Le informazioni relative attengono pertanto, ad es., alla possibilità di farsi assistere anche da due

difensori di fiducia, di revocare in qualsiasi momento i precedenti difensori di fiducia,

nominandone di nuovi o avvalendosi del difensore di ufficio, di nominare consulenti tecnici di

propria fiducia o investigatori privati, di attribuire ai difensori procura speciale ai fini dei riti

alternativi e così via.

In questo modo si consegue l’apprezzabile risultato di delimitare entro limiti accettabili l’ambito

della sanzione di nullità prevista dal comma primo, perché tutte le facoltà e tutti i diritti attribuiti

dalla legge alla persona indagata, anche nei rapporti con la pubblica accusa, appaiono

difficilmente definibili all’interno di un elenco di informazioni da comunicare all’indagato, in

considerazione delle varie evenienze processuali che possono di volta in volta configurarsi, di

impossibile predeterminazione in via astratta e dei singoli diritti e facoltà che possono

riconoscersi, anche in via interpretativa all’indagato. Ne segue che assumere quale punto di

riferimento dell’art. 369 bis, comma 2 lett. a) c.p.p. questa categoria così vasta ed indeterminata

comporta il rischio di sottoporre l’intero procedimento al rischio di una nullità non

preventivamente ipotizzabile ed evitabile.

Una interessante alternativa interpretativa di delimitare il contenuto della norma, seguita da

alcune procure (ad es. Roma) in sede di prima applicazione, è quella che ravvisa uno stretto

collegamento col singolo atto garantito da compiere per primo, perché altrimenti l’informazione

sarebbe collegata alla semplice nomina del difensore di ufficio, mentre l’art. 28 disp. att. c.p.p. è

rimasto immutato24. Si tratta però di una interpretazione che presenta il grave inconveniente di

dover apprestare una modulistica differenziata a seconda dell’atto che deve essere compiuto ed

un’individuazione del contenuto della comunicazione corrispondentemente “variabile”.

Inconveniente tanto più grave quanto più si ponga mente al fatto che la violazione da luogo alla

nullità “degli atti successivi”. Se si considera poi il fatto che l’atto garantito può anche mancare,

24 L’art. 28 disp. att. c.p.p. dispone che il nominativo del difensore di ufficio è comunicato senza ritardo all’imputato con l’avvertimento che può essere nominato, in qualunque momento, un difensore di fiducia. La giurisprudenza escludeva che la violazione della norma desse luogo a nullità di sorta, in applicazione del principio di tassatività delle nullità: Cass., 23 febbraio 1993, n. 205, Mattiuzzi, CED 193089.

28

nel senso che l’informazione può anche essere fornita semplicemente al termine delle indagini

preliminari, non sembra sia un’interpretazione del tutto convincente.

Ultima, drastica, interpretazione “riduttiva” potrebbe essere quella che considera la formula una

indicazione del tutto pleonastica, priva di effettivo contenuto precettivo. Una simile

interpretazione conduce ad un risultato assai simile di quella, già prima criticata, secondo al

quale la sanzione di nullità attiene alla violazione del solo primo comma, perché in sostanza

finisce con l’escludere la rilevanza dell’unico contenuto del secondo comma che presenta

problemi di individuazione. Ma proprio questo potrebbe essere il suo maggiore punto di forza.

A prescindere di quale sia l’interpretazione ritenuta preferibile, va infine osservato che rimane

comunque ferma l’opportunità di predisporre una modulistica di più ampio respiro non fosse

altro per ragioni di prudenza, al fine di predisporre un atto che si esponga nel minor grado

possibile ad eventuali eccezioni difensive e, al tempo stesso, risponda alla ratio legis di offrire,

per quanto possibile, una informazione completa all’indagato, e ciò anche in relazione alla

possibilità dell’affermarsi di interpretazioni diverse nella giurisprudenza di merito e di

legittimità. Naturalmente se si segue l’interpretazione proposta va esclusa qualsiasi nullità nel

caso di omissione di queste ulteriori informazioni relative non al rapporto tra indagato ed ufficio

di difesa, ma al rapporto tra indagato e PM.

Tali ulteriori informazioni potrebbero essere poste alla fine dell’atto e a seguito di una formula di

chiusura, ricopiata sulla falsariga di quella di fonte legale. Riguardo alla loro individuazione,

tralasciando le informazioni previste già dagli artt. 369 e 415 bis c.p.p., si potrebbe pensare: al

diritto al silenzio e alla complessa disciplina di cui all’art. 64 c.p.p., così come modificata

dall’art. 2 legge 1 marzo 2001, n. 63 di attuazione dell’art. 111 della Costituzione; alla facoltà di

eleggere domicilio per ricevere le notificazioni (sotto forma dell’invito di cui art. 161 c.p.p. e

sempre che non sia stato già eseguito in precedenza); alla facoltà di chiedere di presentarsi

spontaneamente al PM e rilasciare dichiarazioni (art. 374 c.p.p.); alla facoltà di chiedere i riti

alternativi del giudizio abbreviato (art. 438 s c.p.p.) e dell’applicazione della pena su richiesta

delle parti (artt. 444 s. c.p.p.).

29

RICCARDO DIES

Allegato 1

DIFESA D’UFFICIO (LEGGE 6 MARZO 2001, N. 60)

LABORATORIO DI PRASSI E QUESTIONI

1.

Nomina del difensore di ufficio (art. 97, comma 2 c.p.p.)

1.1.

La nomina da parte del giudice, del PM o della PG all’indagato o all’imputato di un difensore di

ufficio in violazione delle regole poste dall’art. 97, commi 2 e 3 c.p.p. (richiesta all’ufficio

centralizzato ed iscrizione del difensore nell’apposito elenco), quali conseguenze comporta sugli

atti processuali successivi ?

a) in virtù del principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) nessuno: è una mera

irregolarità (unica conseguenza: responsabilità, anche disciplinare, del magistrato o

dell’ufficiale di PG).

b) nullità relativa ex art. 181 c.p.p. se compiuta dal PM o dalla PG nella fase delle indagini

preliminari, di ordine generale o assoluta secondo l’alternativa che segue se compiuta dal

giudice dopo l’esercizio dell’azione penale.

c) Nullità d’ordine generale ex art. 178 lett c) c.p.p. attenendo all’intervento, all’assistenza

o alla rappresentanza dell’imputato, ma a regime intermedio a norma dell’art. 180 c.p.p.

d) Assoluta e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento.

1.2.

Nel caso il GUP all’udienza preliminare o il giudice in dibattimento si accorga della violazione

cosa deve fare ?

30

a) Sanare l’irregolarità mediante la nomina di un nuovo difensore di ufficio e proseguire.

b) Procedere alla nomina di un nuovo difensore di ufficio, dichiarare la nullità di tutti gli atti

successivi alla nomina irregolare e disporre la trasmissione degli atti al PM, ma solo se

sono rispettati i termini di decadenza previsti dall’art. 181 c.p.p. e vi sia eccezione di

parte.

c) Dichiarare la nullità e la trasmissione degli atti al PM in ogni caso.

1.3.

Cosa accade se il difensore indicato all’autorità giudiziaria procedente dall’ufficio centralizzato

non dovesse essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 29, comma 1 bis disp. att. c.p.p.

(attestato di idoneità conseguente alla frequentazione di corsi di aggiornamento o svolgimento

per almeno due anni della professione in sede penale per almeno due anni)? Ovvero se il

nominativo sia indicato in violazione al criterio di rotazione col sistema informatizzato ?

a) nulla, non spetta all’autorità giudiziaria controllare questi requisiti e nulla si può

imputare ad essa

b) si ripropongono le alternative di cui al quesito 1.1., trattandosi di requisiti minimi previsti

per legge per garantire adeguatamente una difesa appropriata.

2

Nomina di un sostituto processuale (art. 97, comma 4 c.p.p.)

2.1.

Quando vi sia necessità di designare un sostituto del difensore assente, a norma dell’art. 97,

comma 4 c.p.p., da parte del giudice, può essere nominato un difensore “immediatamente

reperibile” senza bisogno di provvedere alla richiesta all’ufficio centralizzato. Fuori dai casi del

“giudizio”, il giudice può designare anche un difensore non iscritto all’elenco di cui al comma 2

(ad es. un “civilista”) ?

31

2.2.

E’ invece certo che l’iscrizione all’elenco del sostituto designato dal giudice è necessaria “nel

corso del giudizio”: cosa si intende per questa espressione e, in particolare, possono considerarsi

“giudizio” le seguenti fasi processuali (dando per scontato il dibattimento):

a) incidente probatorio.

b) udienza preliminare

c) incidente di esecuzione.

2.3

Quali conseguenze comporta la violazione della norma, ossia la designazione da parte del

giudice di un sostituto “nel corso del giudizio” non iscritto nell’elenco ?

a) mera irregolarità formale (eventuale responsabilità anche disciplinare del giudice).

b) nullità relativa ex art. 181 c.p.p.

c) nullità ex art. 178 lett c) e 180 c.p.p.

d) nullità assoluta ex art. 179 c.p.p.

2.4.

A norma del nuovo comma 4 dell’art. 97 c.p.p. quando il sostituto è designato dal PM si deve

seguire la procedura di cui al comma 2 salvo i “casi di urgenza” che legittimano la designazione

di un altro difensore - sostituto immediatamente reperibile previo provvedimento motivato che

individui le ragioni di urgenza. Quali sono le conseguenze in caso di violazione della norma,

ossia in caso di designazione di un sostituto immediatamente reperibile fuori dai casi di urgenza

?

a) mera irregolarità

b) nullità del solo atto (= di tutti gli atti) garantito svolto in presenza del sostituto

irregolarmente designato.

c) nullità di tutti gli atti conseguenti

32

d) nullità secondo l’alternativa di cui alle precedenti lettere b) e c), ma solo quando sia stato

designato in sostituzione un difensore non iscritto all’elenco di cui al comma 2 dell’art.

97 c.p.p.

2.5.

Quando la violazione consista esclusivamente nel difetto di motivazione (ossia designazione di

un sostituto immediatamente reperibile da parte del PM o della PG nei casi di urgenza), la

soluzione data al quesito precedente è la stessa o è diversa ?

2.6.

E’ opportuno e/o necessario che le modalità di nomina del difensore di ufficio o del suo sostituto

emergano dall’atto di nomina, che pertanto dovrà indicare le operazioni materiali compiute dal

collaboratore di cancelleria per ottenere il nominativo del difensore ?

2.7

Per abbandono della difesa quale situazione (insieme all’assenza pura e semplice) che legittima

la designazione di un sostituto del difensore, cosa si intende ? In particolare si intende una

situazione identica o diversa dall’abbandono della difesa cui fa riferimento l’art. 108 c.p.p. ?

2.8.

Il sostituto designato da parte del giudice (in dibattimento o in udienza preliminare) ex art. 97,

comma 4 c.p.p., può essere designato sostituto per tutto il procedimento o, almeno, per tutta la

fase che si svolge avanti al giudice che lo ha designato (o, invece, la designazione vale solo per

la singola udienza) ?

a) si

b) no

33

c) si, ma ciò non esclude che tutti gli avvisi e le notifiche siano eseguite al “titolare”

originario dell’ufficio della difesa e non al sostituto designato.

3.

Nomina di un sostituto da parte del difensore (art. 102 c.p.p)

3.1.

E’ possibile la designazione di un sostituto del difensore, a norma dell’art. 102 c.p.p., da parte

del difensore “titolare” per tutto il corso del procedimento a carico dell’imputato ?

a) si

b) no

c) si, ma solo da parte del difensore di fiducia.

4.

Termine a difesa (art. 108 c.p.p.)

4.1.

Il termine a difesa previsto dall’art. 108 c.p.p. spetta anche al sostituto del difensore (o, invece,

solo al difensore nominato nuovo titolare dell’ufficio di difesa previo venir meno della

precedente nomina) ?

a) si

b) no

c) si, ma solo al sostituto designato dal giudice ex art. 97, comma 4 c.p.p. e non a quello

designato dal difensore ex art. 102 c.p.p.

d) si, ma solo al sostituto designato dal giudice ex art. 97, comma 4 c.p.p. per il caso di

abbandono della difesa (non per il caso di assenza pura e semplice ovvero nel caso di

rigetto del rinvio per legittimo impedimento chiesto dal difensore “titolare”).

4.2. 34

In caso di risposta negativa è possibile (e/o opportuno) concedere un termine, eventualmente

anche di alcuni giorni o settimane per procedimenti particolarmente complessi (normalmente

invece ad horas), al sostituto del difensore per studiare gli atti, sia pure al di fuori della

disciplina di cui all’art. 108 c.p.p. ?

4.3.

Quali sono le conseguenze della violazione della norma di cui all’art. 108 c.p.p. ?

a) mera irregolarità

b) nullità relativa ex art. 181 c.p.p.

c) nullità di ordine generale ex art. 178 lett. c) e 180 c.p.p.

d) nullità assoluta ex art. 179 c.p.p.

4.4.

Il quesito precedente merita una risposta differenziata rispetto alle varie tipologie ipotizzabili di

violazione ? Precisamente, devono essere considerate le seguenti situazioni: 1) mancato

riconoscimento del termine nei casi previsti; 2) riconoscimento di un termine inferiore al limite

minimo per legge previsto (7 giorni o 24 ore); 3) riconoscimento di un termine inferiore ai 7

giorni (e superiore alle 24 ore) ma senza che sussistano i presupposti di cui al comma 2 (consenso

dell’imputato, del difensore ovvero specifiche processuali che possano determinare la

scarcerazione dell’imputato o la prescrizione del reato); 4) riconoscimento di un termine inferiore

ai 7 giorni (e superiore alle 24 ore) nei casi previsti ma in mancanza di motivazione o con

motivazione incongrua.

4.5.

Sempre con riferimento alle conseguenze della violazione dell’art. 108 c.p.p. ritenete che esse

debbano essere individuate non in astratto ma in stretta correlazione con il caso processuale

singolo, nel senso ad es. che una nullità sia prospettabile solo a condizione che in concreto risulti

una effettiva violazione del diritto di difesa (impossibilità o grande difficoltà a svolgere

proficuamente una difesa appropriata).

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4.6.

Il consenso che, a norma del comma 2 dell’art. 108 c.p.p., consente un termine a difesa inferiore

ai 7 giorni anche fuori dai casi di “urgenza processuale”, può essere prestato disgiuntamente da

imputato e difensore oppure deve essere congiunto (o comunque frutto di una linea concorde) ?

4.7.

In particolare il consenso prestato dal difensore può essere posto nel nulla dal dissenso espresso

dell’imputato (e viceversa) ?

5.

Informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa (art. 369 bis c.p.p.).

5.1.

Cosa si intende per “a pena di nullità degli atti successivi” ai sensi dell’art. 369 bis c.p.p., comma

1 c.p.p. ?

a) nullità relativa che si comunica al rinvio a giudizio disciplinata dall’art. 181, comma 3

c.p.p. (deve essere eccepita entro il termine di cui all’art. 491, comma 1 c.p.p.)

b) nullità relativa “concernente gli atti delle indagini preliminari” che non si comunica al

rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 181, comma 2 c.p.p. ma che, se eccepita nei termini (ex

artt. 424 o 491, comma 1 c.p.p.; da notare che in questo caso, a differenza del precedente,

l’omessa eccezione in udienza preliminare preclude la rilevanza della nullità in

dibattimento, mentre se è stata eccepita e respinta in udienza preliminare deve essere

riproposta in dibattimento entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p.) comporta la

regressione del procedimento con la trasmissione degli atti al PM

c) nullità generale ex art. 178 lett. c) e 180 a regime intermedio

d) nullità assoluta ex art. 179 c.p.p.

5.2.

La nullità in parola, comunque intesa, consegue dalla violazione solo del comma 1 o anche del

comma 2 dell’art. 369 bis c.p.p. e, in particolare, della lett. a) ?

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5.3.

Qual è il contenuto della lettera a) del comma 2 dell’art. 369 bis c.p.p. ?

a) tutti i diritti e tutte le facoltà dell’indagato in quanto tale

b) tutti i diritti e tutte le facoltà dell’indagato in quanto tale ma relativi al singolo atto

garantito da compiere

c) tutti i diritti e tutte le facoltà dell’indagato ma non in quanto tale, neppure in riferimento

al singolo atto da compiere (che può in concreto mancare) bensì con esclusivo riferimento

al rapporto col difensore

d) indicazione pleonastica, priva di effettivo contenuto normativo (il PM potrebbe adempiere

all’obbligo di avviso al riguardo anche con una formula di stile ripetitiva della formula

utilizzata dalla legge)

5.4.

E’ possibile escludere la nullità in parola in virtù della successiva nomina (o anche precedente:

cfr. legge sulle indagini difensive) di un difensore di fiducia, almeno con riferimento a tutti gli

atti successivi alla suddetta nomina del difensore di fiducia ? In particolare, giunti al dibattimento

o all’udienza preliminare, è possibile escludere la regressione del procedimento e la trasmissione

degli atti al PM qualora l’interessato abbia nominato un difensore di fiducia prima dell’esercizio

dell’azione penale e ciò in applicazione dell’art. 183 lett. b) c.p.p. ?

6.

Compenso al difensore di ufficio (artt. 32 e 32 bis c.p.p.)

6.1.

Cosa si intende per “quando dimostri (il difensore) di aver esperito inutilmente le procedure per il

recupero dei crediti professionali” ?

a) invio di una mera richiesta di pagamento rimasta senza risposta

b) invio del precetto rimasto senza risposta

c) invio del precetto e pignoramento non andato a buon fine

d) altro

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6.2.

E’ possibile liquidare al difensore che abbia “dimostrato di aver esperito inutilmente le procedure

per il recupero dei crediti professionali” anche le spese per le suddette procedure, oltre che il

compenso per le prestazioni professionali eseguite nei confronti dell’imputato inadempiente ?

6.3.

E’ possibile negare la liquidazione sulla scorta della negligenza del difensore nell’esperire “le

procedure per il recupero dei crediti professionali” non andate a buon fine ? Se si è possibile

assumere informazioni al riguardo ed attraverso quali canali o mezzi ?

6.4.

L’art. 32 bis disp. att. c.p.p. è applicabile solo al caso in cui la persona sia irreperibile al

momento dello svolgimento dell’incarico professionale oppure anche alla persona divenuta

irreperibile dopo lo svolgimento dell’incarico professionale ?

6.5.

E’ comunque necessario che la condizione di irreperibilità persista al momento in cui viene

chiesta la liquidazione ? In caso positivo, il giudice richiesto della liquidazione deve disporre le

ricerche usuali ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità ? E’ possibile ritenere che

qualora queste ricerche diano esito positivo, nel senso che la persona viene rintracciata, la

liquidazione deve essere negata a norma dell’art. 32 bis disp. att. c.p.p., essendo venuto meno il

presupposto dell’irreperibilità e dovendosi in tal caso applicare l’art. 32 disp. att. c.p.p. (necessità

che il difensore esperisca le procedure per il recupero dei crediti professionali) ?

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