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POMPEI: ARTE, CIBO E ALIMENTAZIONE ALL’EPOCA DELL’ANTICA ROMA

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POMPEI:

ARTE, CIBO E

ALIMENTAZIONE

ALL’EPOCA

DELL’ANTICA ROMA

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INDICE

Eruzione a Pompei………………………………………………………………2

I mesi precedenti……………………………………………………………2

Quel giorno…………………………………………………………………3

Le testimonianze archeologiche…………………………………………….4

L’arte a Pompei…………………………………………………………….........5

Primo stile…………………………………………………………………..6

Maschera tragica……………………………………………………………7

Mosaico battaglia di Isso…………………………………………………...7

Mosaico Fattucchiera con due donne a consulto……………………...……8

Villa Oplontis II Stile……………………………………………………....9

Casa del Frutteto……………………………………………………………9

Casa del Meleagro…………………………………………………………10

L’alimentazione a Pompei…………………………………………….……….11

Carne………………………………………………………………………12

Frutta………………………………………………………………………13

Uova……………………………………………………………………….14

Pesce………………………………………………………………………15

Come cucinavano il pesce…………………………………………………16

Garum……………………………………………………………………..16

I dolci……………………………………………………………………...17

La ricotta…………………………………………………………………..17

La cassata………………………………………………………………….17

I banchetti………………………………………………………………….18

Le regole…………………………………………………………………...19

Il pane……………………………………………………………………...20

La preparazione……………………………………………………………21

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I legumi e le verdure……………………………………………………….22

La colazione……………………………………………………………….23

Il vino……………………………………………………………………...24

La cucina: un’arte millenaria……………………………………………….....25

Marco Gavio Apicio: Lo chef ai tempi dei romani………………………....25

I caupona…………………………………………………………………..26

I dolia……………………………………………………………………...26

I thermopolia………………………………………………………………27

Ringraziamenti…………………………………………………………..……..28

Sitografia delle immagini……………………………………..………………..29

Sitografia/Bibliografia dei testi…………………….………………………….32

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ERUZIONE A POMPEI (79 D.C.)

I MESI PRECEDENTI

Durante i mesi precedenti all’eruzione del vulcano che distrusse Pompei, gli

abitanti iniziarono a percepire un cambiamento ambientale e climatico. Dapprima

gli agricoltori notarono che la vegetazione aveva iniziato a deteriorarsi (ciò

avveniva a causa dell’esalazione dei gas tossici), in seguito ci si accorse che gli

animali manifestavano sempre più spesso comportamenti anomali. Le

caratteristiche chimiche e le temperature delle fumarole subirono delle variazioni,

le acque circostanti divennero tossiche. Inoltre, ci fu un aumento della frequenza

e dell’intensità delle scosse che già da tempo si manifestavano nel territorio.

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QUEL GIORNO

Gli abitanti cercarono di scampare alla catastrofe mettendosi al riparo sotto portici,

tettoie; qualcuno addirittura si rifugiò dentro la propria casa rimanendo

intrappolato. Coloro i quali erano rimasti all’aperto provarono a ripararsi con tutto

ciò che avevano a portata di mano. Le statue degli dei furono distrutte dalle scosse

e precipitarono addosso alla popolazione che fuggiva impazzita dal terrore. La

Natura sembrava prevalere sopra qualsiasi forza, anche quella delle divinità.

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LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

Protagonisti di questa immagine sono coloro i quali si

sono rifugiati nella speranza di sopravvivere. Molti hanno

preferito riunirsi nelle case e pregare piuttosto che fuggire.

Un uomo rannicchiato cerca di proteggersi il viso con le

mani.

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L’ARTE A POMPEI

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PRIMO STILE (II SECOLO – I SECOLO a.C.)

La decorazione murale pompeiana è caratterizzata da quattro stili. Il primo stile,

detto “ad incrostazione”, vede la parete suddivisa verticalmente in tre zone

distinte, ciascuna delle quali caratterizzata da una differente decorazione. Le

pennellate vogliono imitare le venature del marmo e inoltre c’è la presenza di

false cornici sporgenti.

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MASCHERA TRAGICA

L’immagine riporta il particolare di un mosaico ritrovato a Pompei presso la Casa

del Fauno. Rappresenta maschere tragiche con festoni. Esse erano colorate in

modo tale da riconoscere il sesso del personaggio: la carnagione scura

contraddistingueva i ruoli maschili mentre il viso truccato di bianco quelli

femminili. I tratti somatici del volto

erano molto marcati al fine di conferire

una migliore espressività facciale. La

conformazione delle maschere era tale

che esse fungevano da megafono

permettendo di amplificare la voce

dell’attore così da divenire udibile anche

a grande distanza. Le sopracciglia

piegate indicavano umiliazione, quelle a

forma di accento circonflesso la malvagità del personaggio. Inoltre, esse erano

caratterizzate da alte pettinature a riccioli che ricadevano sulla fronte e sulle tempie

incorniciando il viso.

MOSAICO BATTAGLIA DI ISSO (100 a.C.)

NAPOLI MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

L’autore è Filosseno di Eretria e rappresenta la battaglia avvenuta nel 333 a.C. tra

Alessandro e Dario III. L’opera decorava

il pavimento della sala di rappresentanza

della Casa del Fauno. È stata eseguita con

un milione di tessere molto fini con soli 4

colori: bianco, giallo, rosso, blu scuro.

Viene ritratto l’imperatore persiano Dario

nel momento in cui si dà alla fuga mentre

Alessandro, a capo scoperto, lo insegue. Il

primo piano vede protagonista la

concitazione della battaglia: ci sono cavalli accasciati per terra, uno è colto con

la parte posteriore presa di scorcio. Sul terreno ci sono le armi abbandonate

mentre nel secondo piano Alessandro è pronto a scagliare la lancia contro Dario.

Sullo sfondo appare un albero spoglio, unica nota naturalistica.

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MOSAICO FATTUCCHIERA CON DUE DONNE A

CONSULTO

Il mosaico si trovava nella Villa di Cicerone. Ora è al Museo Archeologico

Nazionale di Napoli. Rappresenta due giovani donne e una vecchia strabica le

quali indossano delle maschere teatrali. Sono riunite attorno ad un tavolino tondo

a zampe leonine sul cui piano sono poggiati due vasetti d’argento e un ramoscello,

tutti elementi che hanno fatto supporre che si tratti della preparazione di filtri

amorosi. Sulla destra appare di profilo un giovane servo coperto da un mantello.

La giovane donna a sinistra siede su un letto coperto da un drappo a scacchiera con

cuscini trapunti in vari colori.

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VILLA OPLONTIS II STILE (metà I sec. a.C.- inizi I sec.

d.C.)

In questa pittura parietale appaiono le caratteristiche del secondo stile pittorico

pompeiano. Vengono rappresentati

pilastri corinzi eretti su un podio,

dietro appaiono altri colonnati dello

stesso ordine. Al centro del riquadro

compare un braciere con un cielo

azzurro sullo sfondo. Si voleva dare

allo spettatore l’illusione di trovarsi

all’interno di un sontuoso palazzo

molto simile alle residenze dei sovrani

ellenistici le quali erano caratterizzate da un alternarsi di spazi verdi, ambienti con

funzione abitativa e piccoli santuari.

CASA DEL FRUTTETO (40-45 d.C.)

Si tratta di una domus di modeste dimensioni

che deve il suo nome agli affreschi

raffiguranti rigogliosi giardini. In questo

cubicolo si vede, al centro della scena, un

albero di fico molto alto con un serpente

avvinghiato, simbolo di prosperità.

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CASA DEL MELEAGRO (seconda metà I sec. d.C.)

Queste pareti dipinte sono un esempio di Quarto Stile. La decorazione è molto

elegante: volte e soffitti sono animati da prospettive architettoniche e

raffigurazioni che compaiono all’interno di grandi pannelli dipinti. È evidente

l’influenza della scenografia teatrale.

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L’ALIMENTAZIONE A POMPEI

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CARNE

I suini, gli ovini e i volatili erano le carni predilette così come anche le oche. Queste

ultime venivano mangiate in vari modi: per esempio erano imbottite con fichi

secchi o accompagnate da una salsa ideata da Apicio.

Il cinghiale e la lepre arrostiti erano anch'essi molto graditi. Il ghiro era tenuto in

grande considerazione. Esso era allevato in appositi recipienti ed era fatto

ingrassare per essere poi cucinato e in seguito farcito con polpette di maiale, pepe

e laser (una spezia ormai estinta).

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FRUTTA

Gli antichi Romani mangiavano ogni tipo di frutta ma soprattutto: mele, pere,

datteri, fichi, uva, noci, mandorle e castagne.

Fra le mele era molto nota quella cotogna che veniva usata per fare la marmellata.

I fichi erano molto amati e in alcuni piatti fungevano anche da condimento.

Dall'Armenia è stata importata l'albicocca spesso utilizzata nella preparazione di

alcuni piatti quali lo spezzatino di maiale.

I datteri venivano importati da paesi caldi come la Babilonia, rappresentavano il

dolce e venivano mangiati alla fine di ogni pasto. Essi venivano farciti con noci,

pinoli e pepe. Erano salati e fritti nel miele.

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UOVA

Nell'antica Roma le uova erano riservate alle tavole più importanti quando gli

invitati erano ospiti di riguardo.

Erano cucinate secondo le ricette tramandate da Apicio nel “De re coquinaria”,

difficilmente accettabili dal gusto moderno.

Eccone alcune:

-Uova fritte in salsa acida di vino

-Uova, garum, olio e vino puro

Le uova insieme al pane e alle olive e al vino componevano l'antipasto della cena.

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IL PESCE

I pesci erano parte integrante

dell’alimentazione pompeiana.

Agli schiavi erano destinati i molluschi meno

pregiati come le “balorde”, non a caso

conosciute nel Napoletano come le “cozze degli

schiavi”.

Il ceto medio consumava diverse qualità di pesci

e molluschi, ma anche tranci di tonno e di

pescespada.

SCENA MARINA

Museo Archeologico Nazionale Napoli

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COME CUCINAVANO IL PESCE

I pompeiani apprezzavano il pesce in salamoia e/o

cotto alla griglia e fritto.

Furono i primi ad affumicarlo e ad essiccarlo.

Lo intingevano in salsine particolari come il

GARUM

GARUM

Il garum è una salsa liquida ricavata da interiora

di pesce e pesce salato.

Gli antichi Romani la aggiungevano come

condimento a molti primi e secondi piatti.

Salse simili erano già usate precedentemente dai

Greci. Il nome deriva dal greco garos o garon.

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I DOLCI

I pasticceri realizzavano dolci farciti con uva e noci

o adipata, pasticci o dolci ripieni di grasso. Per i banchetti cucinavano dolci con due strati: il

primo livello era di semola e l'altro di formaggio.

Mangiavano anche ricotta di pecora zuccherata.

LA RICOTTA

Con il latte si realizzavano diversi tipi di formaggi

tra cui la ricotta fresca, frequentemente raffigurata

negli affreschi pompeiani.

Un cucchiaio di ricotta, un pugno di olive e un pezzo

di pane costituiva l'alimentazione più diffusa tra le

classi sociali meno ricche.

LA CASSATA

Il nome di cassata deriva dal latino “caseus” cioè

formaggio perché era un dolce principalmente a

base di ricotta.

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I BANCHETTI

Chi li organizzava voleva dimostrare il proprio prestigio.

Durante il banchetto apparivano i “Larvae conviviales”, scheletri lunghi 10 cm che

ricordavano che la vita è breve.

Si stava sdraiati sul triclinio appoggiati sulla sinistra per poter mangiare con la

destra. I Romani conoscevano solo cucchiai e coltelli, per le cene importanti

usavano l'argenteria.

Venivano serviti almeno 7 pasti; l'antipasto, tre primi, carni arrosto tra cui spesso

comparivano i ghiri, frutta o frutti di mare, ostriche, lumache e dessert.

Il banchetto doveva comprendere molti tipi di carne; ricci e cervi, volatili come,

pavoni, pernici, quaglie, allodole o uccelli esotici come lo struzzo e il pappagallo.

Di quest'ultimo in particolare mangiavano la lingua.

Ogni ospite doveva avere uno schiavo che lo aiutava per ogni necessità anche nel

caso in cui vomitava l'eccesso di cibo.

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LE REGOLE

Prima di mangiare era d'obbligo togliersi le scarpe, lavarsi piedi e mani con acqua

profumata e cambiarsi d'abito infilandosi la “vestis cenatoria”.

Ogni rumore corporale era gradito come segno di buona digestione. A questo

proposito era intervenuta perfino una legge che proclamava che peti e loffe si

addicevano al pasto.

Si potevano bere massimo tre coppe di vino a pasto, ma durante i banchetti era

usanza bere tante coppe quante erano le lettere del nome dell'ospite.

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IL PANE

Ai tempi dei Romani il pane era una pagnotta

di 1kg circa divisa in otto spicchi per facilitare

il consumo. Inoltre, veniva apposto un sigillo

che indicava la forneria di produzione, il nome

dello schiavo e

quello del

padrone. Il

pane veniva spesso aromatizzato grazie all’uso

delle spezie.

La panificazione avveniva in due tipi di fornerie:

in una si produceva il pane «all’ingrosso» per locande (cauponae) e bar

(pompinae), mentre nell’altra si produceva «al dettaglio».

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LA PREPARAZIONE

Preparavano l’impasto versando tutti gli

ingredienti su un piano sostituendo il lievito di

oggi con la cosiddetta «BIGA» o «MALGA»

ossia un lievito naturale. Veniva fatto lievitare

per circa 2 ore.

Si otteneva così

una pagnotta

circolare in

seguito

circondata da

uno spago che

fungeva così da stampo in modo da facilitare

l’esposizione ai fini della vendita.

Veniva diviso in otto spicchi e poi cotto in forni

a pietra.

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I LEGUMI e LE VERDURE

Dai reperti di cibo carbonizzato si comprende che l'alimentazione dei Pompeiani

era a base di verdura, frutta e di pane. La frutta e la verdura venivano vendute in

gran quantità nelle botteghe insieme all'olio, tanto che Plauto chiamava i

romani "mangiatori di erbe".

Tra le specialità dei pompeiani c'era un particolare tipo di cavolo. Plinio il Vecchio

classificò circa 1000 piante commestibili con le quali si producevano vari tipi di

lattuga, cicoria, cipolle e aglio, broccoli di rapa, basilico, carote, crescione, porri,

meloni, piselli, ceci, lenticchie, noci, nocciole, mandorle, così come diversi tipi di

frutta fresca: mele, melograni, cotogne, pere, uva, fichi e prugne.

Qualche anno prima della catastrofica eruzione del 79 d.C., vennero importate a

Pompei il ciliegio, l'albicocco, e il pesco. Gli ortaggi venivano conservati per

l'inverno in salamoia o in aceto, mentre la frutta si essiccava e si immergeva

nel miele. Quanto al pane, era diffuso già nel II secolo a.C. Esso era costituito da

un frumento più raffinato del grano usato dai primitivi e anche dall'orzo.

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LA COLAZIONE

Appena alzati, la mattina si faceva una prima colazione (jentaculum) a base di

pane con aglio e formaggio, oppure datteri, uova, miele e frutta. Poteva esserci

anche la carne dal momento che la colazione costituiva uno dei due pasti principali

della giornata. A volte i cibi del jentaculum erano gli avanzi che ogni invitato aveva

il diritto di portare via dal banchetto della sera precedente. I bambini, andando a

scuola, si fermavano lungo la strada e comperavano biscotti appena sfornati

(adipata).

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IL VINO

I Romani, pur essendo grandi intenditori di vino, non

lo trattavano affatto bene: miele, acqua di mare,

ostriche, gesso, petali di fiori e pece erano gli

ingredienti con cui poteva essere «sofisticato». I

Romani avevano profonda conoscenza dei segreti

della viticultura e della vinificazione appresi dagli

Etruschi, Greci e Cartaginesi. I vini più strutturati

venivano arricchiti con l’aggiunta di «DEFRUTUM», un mosto concentrato che

alzava la gradazione alcolica di uno o due gradi. Il vino più pregiato veniva

invecchiato in soffitta o al sole. Dai vigneti meno pregiati o troppo giovani

proveniva un vino addizionato con gli ingredienti descritti in precedenza. Il vino

era parte essenziale di ogni banchetto. Veniva diluito

in acqua fredda o calda secondo la stagione. Il vino

poteva essere ATRUM (Rosso), CANDIDUS

(Bianco) o ROSATUM (Rosato). Il ROSATUM si

poteva ottenere dalle foglie verdi di limone che

venivano sistemate in un cestino e lasciate in infusione

per 40 giorni. La

mirra era

considerata un ottimo condimento.

Vinum mulsim era il vino dolcificato con il

miele.

Granum paradisi era il vino con chiodi di

garofano, miele, zenzero e cannella.

Fino all’epoca

repubblicana il vino poteva essere gustato solo dai

maschi di età superiore ai trent’anni. Le donne

sorprese a bere erano punite severamente.

Si poteva bere tre coppe di vino a pasto, mentre, nei

banchetti erano permesse tante coppe di vino quante

erano le lettere del nome dell’ospite.

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LA CUCINA: UN'ARTE MILLENARIA

Nell'antica Roma esistevano molte scuole di cucina che

insegnavano agli schiavi a diventare degli ottimi cuochi. Per

esercitare questa professione bisognava possedere dei requisiti

speciali: essere capaci di rendere i prodotti

naturali teneri e appetibili senza modificare

le loro caratteristiche organolettiche,

stimolare l'appetito dei convitati, favorirne

la digestione utilizzando spezie e sapori forti ed elaborare nel

miglior modo possibile la presentazione del piatto.

MARCO GAVIO APICIO: LO CHEF AI TEMPI DEI ROMANI

Il nome di Apicio viene spesso citato per designare uno dei primi cuochi della

storia del mondo occidentale: vissuto nel I secolo d.C., secondo alcune fonti

sarebbe stato il cuoco ufficiale e personale dell’imperatore Tiberio. Apicio è infatti

l’autore di un trattato intitolato “De re coquinaria” che, tramandato nel corso dei

secoli, fu ristampato alla fine del 1400, influenzando i professionisti e gli amanti

della cucina rinascimentale. Il trattato, che in dieci libri affronta il tema della

cucina prendendone in esame vari aspetti, tra cui quello merceologico, può essere

considerato il primo ricettario della storia. Secondo la versione più accreditata,

l’opera deriverebbe dalla fusione di due unità distinte solo

successivamente unite: un testo dedicato interamente alla

preparazione delle salse e un libro di ricette illustrate.

Apicio dedicò gran parte della sua vita alla sua

“professione” e ai piaceri della cucina tanto che, secondo

alcuni, morì suicida a causa delle condizioni di miseria in

cui era caduto a forza di spendere e spandere per i suoi banchetti. La notorietà del

personaggio ha alimentato nel corso dei secoli un numero consistente di aneddoti

e dicerie, molte delle quali difficili da credere o da provare. Si dice, ad esempio,

che nutrisse le murene con la carne degli schiavi e i maiali con mosto dolce per

ottenerne un fegato dal gusto particolare. Secondo Plinio il Vecchio Apicio sarebbe

l’inventore del foie gras. Sembra infatti che il cuoco romano alimentasse le sue

oche con abbondanza di fichi per rendere il loro fegato più grasso e quindi più

gustoso

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I CAUPONA

I caupona, simili agli alberghi di oggi; spesso con le

stalle per i cavalli, offrivano la possibilità di alloggiare

e consumare cibo o vino. Per secoli questi luoghi,

frequentati prevalentemente dal popolo, furono il punto

d'incontro tra persone di classi sociali e paesi diversi.

Erano costituiti da uno o più ambienti. Importante era

quello all’aperto sulla strada, fornito di un grande bancone in muratura sul quale

spesso si trovava un piccolo fornello per scaldare l’acqua e su cui erano poggiati

contenitori di vario tipo. Nel bancone erano inoltre murati alcuni grandi orci per

contenere il vino, e il loro numero indicava le tipologie di offerte.

L’arredamento era essenziale: tavoli, sedie, sgabelli, panche di legno e banconi in

muratura. Qualche volta, nei locali migliori, le pareti erano abbellite da decorazioni

a festoni o da drappi e ghirlande, se non addirittura affreschi che illustravano

tipiche scene da osteria. I DOLIA

La deperibilità di quasi tutte le derrate alimentari e la

contrapposta necessità di conservare a lungo sia i

prodotti stagionali, sia quelli di origine animale, per

avere a disposizione delle scorte da consumare a poco

a poco, richiesero nell'antichità, e fino a tempi

relativamente recenti, l'utilizzo di tecniche diverse.

Carne, pesce, formaggi, ma anche legumi, ortaggi e

frutta (tutti cibi essenziali), sia pure in diversa misura, nella dieta dei Romani, se

non consumati immediatamente, venivano sottoposti a particolari trattamenti e

riposti in contenitori che, in opportune condizioni ambientali, ne permettevano la

conservazione per tempi abbastanza prolungati. Alcuni prodotti della terra, come i

legumi o i cereali, richiedevano soltanto, per durare nel tempo, di essere essiccati,

preservati dall'umidità e dagli attacchi di agenti esterni come parassiti o roditori.

Per la loro conservazione si provvedeva utilizzando grandi contenitori di terracotta

o di legno detti dolia, simili a grossi orci dalle pareti robuste e dall'imboccatura

stretta, che venivano sistemati negli ambienti di servizio parzialmente interrati,

così da preservare la freschezza del contenuto. Lo stesso tipo di contenitore serviva

anche per conservare il vino in grandi quantità prima di sottoporlo ad eventuali

lavorazioni come ad esempio la miscelatura con acqua di mare oppure prima di

travasarlo in recipienti dalle dimensioni inferiori, come giare o anfore, destinati

anch'essi alla conservazione e al trasporto.

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I THERMOPOLIA

Il thermopolium era un luogo di ristoro dell’antica Roma dove era possibile

acquistare cibi pronti e caldi per il consumo in loco, poiché i romani usavano

pranzare fuori casa.

Esso era costituito da un locale aperto sulla strada di piccole dimensioni con un

bancone in muratura, decorato da lastre marmoree, nel quale erano incassate grosse

anfore di terracotta (dolia), atte a contenere le vivande. Talvolta c’erano ambienti

retrostanti dove ci si poteva sedere e consumare il pasto: probabilmente avevano

una funzione simile ai moderni fast food. Il vocabolo ha origine greca,

thermopolium, che letteralmente significa “spaccio di caldo” (o “di cose calde “).

In realtà esso compare molto raramente, ma si utilizzava più comunemente il

termine d’origine osco-umbra popina (da cui popinarius e popinaria per i gestori),

ampiamente attestato

dalla letteratura e dall’epigrafia latina. Un altro

termine era quella di caupona, che indicava però più

la locanda, in cui, oltre a mangiare e bere ci si

poteva anche dormire e ricoverare il proprio

cavallo.

I cibi che venivano serviti non di rado erano

raffigurati in pitture murali, all’interno e anche all’esterno del locale. Si trattava di

legumi, verdure, uova, olive, cipolle, spiedini di carne, salsicce, cacciagione, pesci,

formaggi, frutta secca o di stagione, focacce e dolci.

I Thermopolia sono stati rinvenuti a Pompei, dove se ne contano ben 89 ad

Ercolano e ad Ostia antica. Uno dei più famosi e ben conservati è quello di Vetutius

Placidus (I,8,8), caratterizzato da un larario (edicola sacra) in stucco, ornato da un

affresco: ai lati del Genius del padrone vi sono i Lari (protettori della casa),

Mercurio (dio del commercio) e Dioniso (dio del vino). Uno dei doli fungendo da

cassa, conteneva ancora 1385 monete, oggi esposte nella sezione numismatica nel

Museo Archeologico di Napoli, mentre nella casa annessa alla bottega interessante

è il triclinio decorato in tardo “terzo stile”.

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RINGRAZIAMENTI

Il presente ebook è stato realizzato dagli alunni della classe 2°B dell’Istituto

Alberghiero “Caterina De’ Medici” di Desenzano del Garda grazie al

coordinamento della professoressa Carpentieri Rossella (docente di Lingua e

letteratura italiana e Storia), dalla professoressa Raffa Daniela (docente di

Sostegno) e dalla signora Lorenzoni Federica (Assistente ad personam).

Si ringrazia, inoltre, il dirigente scolastico dell’Istituto professor Boselli

Venceslao.

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SITOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA DEI TESTI:

Eruzione a Pompei:

Alberto Angela, “I tre giorni a Pompei”, 2014, Rizzoli

Arte a Pompei:

V. Pavani O. Sori V. Viola, “Plauto e le sue storie”, 2001, Narrativa Scuola

Loescher

C. Molinari, “Storia del Teatro”, 2006, Editori Laterza

P. Adorno, “L’arte Italiana”, 1986, Casa Editrice Sant’Anna

F. Pesando M. Bussagli G. Mori, “Pompei la pittura”, Art Dossier Giunti

www.pompei.it

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Carne, Frutta e uova:

www.pilloledistoria.it

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Il pesce:

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Catalogo “Alle origini del Gusto. Il cibo a Pompei nell’Italia antica”, Editore

Marsilio

www.beniculturali.it

Pane, Legumi, verdure, colazione e vino:

www.linkiesta.it

www.pompeionline.net

www.ilmondodiaura.altervista.org