Alla scoperta di Canzo - Prontoprof vidella dominazione spagnola. Se non si fosse distinto per la...
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Alla scoperta di Canzo
Il giorno 10 febbraio 2016 un esperto del Gruppo culturale «La
Martesana» di Erba, associazione che si occupa di valorizzare e far
conoscere il nostro territorio, è venuto nella nostra scuola e ha
raccontato a noi alunni delle classi prime alcune particolarità del
nostro paese.
Siamo rimasti proprio a bocca aperta nell’apprendere credenze,
leggende, informazioni relative ai luoghi dove abitiamo.
Ascoltate un po’…
Classe I F - Scuola Secondaria di I grado "F. Turati" - Canzo
La Rossa e la rivolta di Canzo
A Canzo, ai tempi della dominazione spagnola, la guarnigione straniera di
stanza al castello creava disordine e scompiglio: i soldati pretendevano, infatti,
di essere mantenuti e riveriti dagli abitanti di Canzo, i quali, semplici
contadini e carbonari, faticavano a privarsi del poco che avevano a vantaggio
degli spagnoli e a pagare ogni mese l’onerosa tassa sul sale loro imposta, pena
la gogna e la prigione.
Un giorno il padre della Rossa non riuscì a pagare quella tassa, perciò la
fanciulla fu costretta a lavorare nella cucina del castello per saldare il debito.
Ma dopo in po’, stanca di essere ingiustamente sfruttata, si ribellò: calata la
notte, si avvicinò al pozzo del castello dove gettò una strana polvere. Si
trattava di veleno.
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Il giorno seguente le guardie che
andarono a dissetarsi al pozzo
iniziarono a sentirsi male.
Allora la Rossa avvertì la
popolazione che attaccò il
castello e cacciò la guarnigione
spagnola, vendicando le
umiliazioni da lungo tempo
subite.
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E la leggenda del «murnée»?
Il «murnée» in dialetto è il mugnaio, il quale visse, anche lui, all’epoca
della dominazione spagnola. Se non si fosse distinto per la sua audacia,
oggi nessuno si ricorderebbe di lui; invece i canzesi lo hanno talmente
apprezzato che gli hanno intitolato una via tra le più centrali del paese,
la via Mornerino appunto.
Si narra che a capo della guarnigione spagnola a Canzo ci fosse uno scellerato
capitano che, oltre a pretendere che le proprie milizie venissero mantenute
con i prodotti sottratti ai poveri abitanti del paese, aveva ripristinato lo «Jus
primae noctis», come compenso per la sua preziosa presenza nel borgo di
Canzo.
Il malcontento serpeggiava tra la popolazione che non sapeva come fare a
ribellarsi a simili soprusi.
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Ci pensò il giovane mugnaio, il mornerino, che, in procinto di sposarsi, non
sopportava l’idea che la sua sposa dovesse trascorrere la prima notte di nozze
tra le braccia dell’infame capitano spagnolo.
Perciò, seguendo il consiglio della vecchia «Maganza», un’anziana donna che
spesso aveva risolto con successo situazioni complicate, quando i soldati del
capitano vennero a prendere la giovane donna per accompagnarla al castello, il
mornerino, in abiti femminili con uno scialle che gli copriva quasi
completamente il volto, si fece scortare dal capitano al posto della ragazza.
Quando fu al suo cospetto, estrasse un affilato pugnale e lo trafisse a morte
dando poi fuoco al castello.
A quel punto la popolazione insorse distruggendo la guarnigione spagnola
e Canzo fu finalmente libero.
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Nel castello menzionato nelle due leggende, c’era fino a non tanti anni
fa e forse c’è ancora, una misteriosa iscrizione:
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«Non te fidare de femina nesuna che tutte sono dela casa di Maganza»
(20 aprile 1472)
Cosa significa questa sentenza?
Non bisogna fidarsi di nessuna donna
perché sono tutte menzognere.
Ci è stato raccontato che nel 1472 la Corte di Casale, territorio che
comprendeva Canzo, Longone, Proserpio, Caslino, Castelmarte e parte
di Erba, fu data in feudo alla famiglia Negroni, detti i Missaglia. Essi
erano abili armaioli, fabbricanti di bellissime armature, al servizio degli
Sforza, duchi di Milano.
Nel nostro territorio i Missaglia avevano scoperto una miniera di ferro,
costruito un altoforno e comprato fucine per sviluppare la loro attività.
Ancora oggi è visibile presso il Ceppo Rosso l’accesso ad una miniera, la
Tampa del Maglio.
Ma cosa c’entrano in tutto questo le donne?
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Entrata della Tampa del Maglio
C’entrano, c’entrano…
Si narra, infatti, che gli Sforza commissionavano
ai Missaglia le armature, ma poi non le pagavano
mai…
Fu proprio Bona di Savoia, moglie di Galeazzo
Maria Sforza, a suggerire al marito come evitare
di sborsare denaro ai Missaglia: invece del
denaro promesso, venne data loro in feudo la
Corte di Casale appunto.
Allora i Missaglia, che a Canzo avevano posto la
loro residenza nel castello, lasciarono scritto tale
monito sopra ad un camino di quel luogo.
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E infine, abbiamo scoperto, «chicca» inedita, il significato
dell’attuale stemma di Canzo…
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Il nostro stemma riprende quello che si trova
disegnato nel codice cartaceo compilato nel 1673
da Marco Cremosano.
Questo codice, custodito all’Archivio di Stato di
Milano, contiene, oltre agli stemmi delle famiglie
più importanti presenti sulterritorio, anche gli
emblemi di diverse comunità, tra cui appunto
Canzo.
Dal momento che di poco precedenti sono le cartine disegnate
dall’Argonio per le visite pastorali di Federigo Borromeo nella diocesi di
Milano, si è pensato di ricercare in quella di Canzo il significato dello
stemma in questione.
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I tre alveari dello stemma
rappresenterebbero le tre
comunità che all’epoca
costituivano Canzo: San Donato
(di cui ora non c’è più traccia),
San Miro (in realtà San Francesco)
e Santo Stefano.
Le sette stelle a otto punte,
invece, farebbero riferimento ai
quattro alpeggi, ai due mulini
lungo il Lambro e alla cascina in
prossimità del lago del Segrino.
Classe I F - Scuola Secondaria di I grado "F. Turati" – Canzo
Anno Scolastico 2015- 2016
Quante curiosità abbiamo appreso attorno a
questo nostro piccolo, grande paese!