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Alla Locanda Alla Locanda dei Girasoli dei Girasoli A Roma, nella zona del Quadraro, c’è un ristorante dove le pietanze hanno un sapore in più, quello della “diversità”. La Locanda dei Girasoli è nata nel 2000 per dare un futuro di lavoro alle persone con la sindrome di Down. Questa è la storia. di Leonardo Zellino

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A Roma, nella zona del Quadraro, c’è un ristorante dove le pietanzehanno un sapore in più, quello della “diversità”. La Locanda dei

Girasoli è nata nel 2000 per dare un futuro di lavoro alle personecon la sindrome di Down. Questa è la storia.

di LeonardoZellino

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DDoovvee llaa ddiivveerrssiittàà scompareDDoovvee llaa ddiivveerrssiittàà scompare

L’entrata è di quelle chenon lasciano indifferenti.Incrocia le mani a mez-z'aria con i colleghi e ac-compagna lo schioccosalutando con un roma-

nesco “bella”. Ha i capelli gellati all'insù,pantaloni larghi a vita bassa e una catenache gli pende da un fianco. Al collo l'inse-parabile sciarpa giallorossa della “Magi-ca”, la Roma, “la squadra di Bruno Contie Francesco Totti”. Quando apre le portedella Locanda dei Girasoli gli occhi sonotutti per lui: Claudio ha 29 anni, è di Fi-lacciano, un paese poco lontano dallaCapitale, ama le donne, suona la batteriada dio e da sei anni fa il cameriere in que-sto ristorante alla periferia di Roma.Claudio ha la sindrome di Down.Per trovare la Locanda dei Girasoli biso-gna procedere a tentoni tra le stradine delQuadraro, uno dei quartieri che si apro-no intorno alla Tuscolana. Il ristorante èin via dei Sulpici 113, vicino alla fermatadella metropolitana Numidio Quadrato,sulla linea A. Agostina Balsamo quandodecise che la Locanda sarebbe nata qui,lo fece per questo motivo: “Non sapeva-mo chi ci sarebbe venuto a lavorare - rac-conta - ma la metro costituiva un'oppor-tunità per i ragazzi con la sindrome di

Down che si muovevano da soli”.Era il 1999, la signora Agostina aveva ac-compagnato suo figlio Valerio in via delleMilizie, nella sede dell'Aipd (Associazio-ne italiana persone Down), per un corsoall'autonomia. Per caso, chiacchierandodavanti a una rivista di gastronomia conla responsabile della sezione romanadell'Associa-zione, FulviaFrancisci, bal-zò l'idea: “Per-ché non apria-mo un risto-rante e faccia-mo lavorare iragazzi?”. Det-to, fatto! Siscandagliò ilterritorio allaricerca del po-sto giusto enacque la co-operativa so-ciale “la lo-canda dei gi-rasoli”. “Scelsi il girasole - ricorda la si-gnora Agostina - perché è un fiore solare,orgoglioso, però con la capacità di pie-garsi al buio, di notte”. “Noi dell'Associa-zione all'inizio abbiamo dato una consu-

lenza burocratica e un supporto psicolo-gico ai ragazzi - spiega Fulvia Francisci -ma l'idea e il coraggio di portarla avantisono merito solo di Agostina”. E in effettiquello della Locanda era un progettodavvero ambizioso: offrire un futuro la-vorativo alle persone con la sindrome diDown.

Il ristorantepartì alla finedi ottobre del2000. La con-duzione erac o m p l e t a -mente fami-liare. “All'ini-zio - spiegaAgostina, cheper 24 anniaveva lavoratoal le r isorseumane dell'E-ni e sapeva co-me gestire ungruppo - era-vamo io, mio

marito, mio fratello e mia cognata in cu-cina. I nipoti e i figli facevano i camerieri.E poi c'erano i ragazzi con la SD, quattroin tutto, tre sono quelli che lavorano an-che oggi: mio figlio Valerio, Viviana e

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Claudio”. La Locanda dei Girasoli è stato uno deiprimi ristoranti in Italia, in cui le perso-ne con questo tipo di disabilità sono sta-te impegnate nella gestione dell'impre-sa. I ragazzi con la SD sono anche socidella cooperativa. Da allora il caso hafatto scuola e “molte altre esperienze so-no nate nel nostro Paese e all'estero,proprio ispirandosi a noi”, raccontanoalla Locanda. Secondo loro questo di-mostrerebbe che “l'integrazione lavora-tiva delle persone con SD si può fare, an-che quando è difficile”. E di difficoltà, dal2000 a oggi, ce ne sono state molte, so-prattutto economiche, e il ristorante harischiato più volte di chiudere. Tra alti ebassi la crisi è arrivata fino a metà del-l'anno scorso quando, grazie a una gros-sa donazione di un anonimo imprendi-tore immobiliare, all'ingresso nel capi-

tale sociale dell'impresa didue altre cooperative e al-l'appoggio del X municipiodi Roma e del sindaco WalterVeltroni, le sorti del ristoran-te si sono risollevate. Dopola chiusura estiva per i lavoridi ristrutturazione, la Lo-canda è stata riaperta a set-tembre del 2005: un nuovoconsiglio d'amministrazio-

ne, l'assunzione di veri professioni-sti della ristorazione e un look tut-to nuovo delle pareti e degli arre-damenti. Una rinascita. Ciò chenon è cambiata è la gioia di la-vorare di Viviana, Claudio e Va-lerio, una felicità che dà un sa-pore più gustoso alle specialitàdella cucina romana che ser-vono in tavola. I tre sonocamerieri per scelta.Hanno provato il lavoroin cucina, ma amanotroppo il contatto con i

clienti per stare dietro le quinte. “Vivia-na - racconta Antonio Anzidei, vice pre-sidente della cooperativa e nuovo diret-tore del ristorante - è un diesel, va pianoma non si ferma mai. Valerio sa più ditutti come si fanno le cose, ma certi gior-ni gli va e altri no. Claudio è invece loshowman, l'animatore, della Locanda.Non smette mai di scherzare con i clien-ti”. Qui, ricordano ancora col sorriso lavolta in cui è venuto a cena il magrissimo

segretario dei Ds Piero Fassino con isuoi collaboratori. Claudio portò alloro tavolo un vassoio di supplì e ri-volgendosi a Fassino disse: “Nun teli magnà tutti tu, eh?”. Far diverti-re i clienti è uno dei trucchi che uncameriere usa per farli tornarenel suo locale. Claudio, Viviana

e Valerio lo hanno imparato.Hanno imparato il mestie-

re. “Col tempo hanno ac-quisito professionalità -dice con orgoglio la si-gnora Agostina, che con-tinua a lavorare alla Lo-canda - era il nostroobiettivo principale.Adesso i nostri ragazzi

potrebbero lavorare inqualsiasi ristorante di

Roma”.

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DOSSIER

à ssccoommppaarreeà ssccoommppaarree La sindromedi Down è l’handicappiù bello chec’è. Queste personemiglioranochi viene in contattocon loro

’’

’’

-Agostina Balsamo, ex presidente delCda della Locanda dei Girasoli emamma di Valerio

IN ALTO: l’ingresso del risto-ranteA DESTRA: Valerio, il camerierepiù elegante della LocandaA SINISTRA: Claudio intrattiene iclienti con un piccolo sketch

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AlL

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ontecompatri è uno diquei posti dove i romanivengono a smaltire lasbornia da lavoro quan-do arriva la pensione: unmigliaio di case appog-

giate sulle colline che a sud circondano laCapitale. Il frastuono delle auto di piazzaVenezia e il ciarlare dei turisti in fila davan-ti al Colosseo sono davvero lontani. Il viag-gio di Viviana inizia da qui, da via delle Pe-dicate 33.La famiglia Polselli si è trasferita a Monte-compatri nel '99, quando il signor Gian-franco ha raggiunto l'età buona per lascia-re la divisa da conducente di autobus.“Adesso sono l'autista personale di Vivia-na”, scherza il padre. “Spesso qui i mezzipubblici non vanno e devo accompagnarlaio fino alla metro”. Lui, sua moglie Anna e lasecondogenita Viviana, vivono in un appar-tamento che guarda verso Rocca Priora, ilpiù alto dei Castelli romani. Al cancello ilcane da caccia, Billy, guarda diffidente, mapoi accompagna senza abbaiare l'ospitesulle scale che portano all'ingresso. Una se-rie di quadri a tempera tappezza il salone. E'la grande passione di Gianfranco: “Daquando ho smesso di lavorare - racconta -ho iniziato a dipingere”. Al centro dellastanza c'è una natura morta di girasoli, glistessi che la signora Anna ha raccolto in unvaso vicino al tavolo. Quei fiori raccontanodi Viviana, nata 32 anni fa con la sindromedi Down e del suo lavoro alla Locanda. “Lanascita di Viviana - dice il padre - ci ha cam-biato la vita. Siamo sempre condizionati daquello che fa lei”. “Nostra figlia, però - con-tinua Anna - rispetto a altri ragazzi con la SDè molto indipendente. Siamo fortunati”. Vi-viana ha sempre voluto viaggiare da sola. E'successo in passato, quando seguiva uncorso di formazione agricola, o quando halavorato il vasellame in una cooperativa,fuori Roma. E succede pure ora, quando sisposta autonomamente per raggiungere laLocanda dei Girasoli, ufficialmente duevolte a settimana, più spesso quattro volte.“Il fatto di prendere i mezzi pubblici da so-la - dice Gianfranco - la fa sentire importan-te”. La stanza di Viviana è al secondo piano.Un letto, un armadio, una scrivania e tantoordine che, assicurano i genitori, riesce amantenere da sola. “Ultimamente Vivianapassa molto tempo nella sua stanza - rac-conta la madre - si è chiusa in se stessa, par-la meno. Forse perché si stanca a lavoro. Ecomunque, in generale, i figli oggi parlanocon i genitori?”. Sulla scrivania di Vivianac'è un computer - “Mi piace scrivere pen-sieri”, dice lei - e su una mensola, in bella vi-

sta, una coppa dorata. “L'ha vinta - ricordaGianfranco - quando è arrivata prima inuna gara di ballo. Viviana ama ballare. Lo fasempre, anche quando è sola in camera sua.Preferisce i latino-americani, è campiones-sa di Macarena. La musica ce l'ha dentro.Strimpella pure la chitarra”.Sono le 15.45 e Viviana esce di casa. “Quan-do deve andare a lavoro - dice il padre - hal'ansia di andare via. Nonostante abbiamospostato indietro le lancette dell'orologionella sua stanza, si muove comunque conlargo anticipo”.La corriera per Romapassa alle 16.20. E'una calda giornata disole, quasi non sem-bra il 31 marzo. La di-scesa verso la Capita-le è una serie di curvee panorami mozzafia-to. Quando il percorsoinizia a raddrizzarsi lastazione di Anagninaè ormai vicina. L'au-tobus si ferma dopo45 minuti e Vivianaimbocca l'ingressodella metropolitana.E' il capolinea della li-nea A e c'è quasi sem-pre posto a sedere.Cinque fermate ed ègià tempo di risalire in superficie. La stazio-ne è quella di Numidio Quadrato. Vivianaindossa un giubbetto nero e una borsa cele-ste a tracolla: “L'ho comprata con i miei sol-di. 5 euro. Ti piace?”. Dieci minuti a piedi e siè in via dei Sulpici, alla Locanda dei Girasoli,che si nasconde tra palazzoni della periferiaromana. Viviana si muove con disinvoltura,mette in fila passi a memoria. Del resto, i suoigenitori l'avevano detto: “Nostra figlia simuove perfettamente da sola, non si è maipersa nella città. Quando è capitato è perchél'ha voluto lei”. Come quando è finita a piaz-za Vittorio, nei pressi della stazione Termini,e non sapeva più tornare indietro. “Era anda-ta lì - spiega la madre - perché voleva com-prare un abito da sposa. Sapeva che lì aveva-mo trovato quello della sorella”. Viviana vuo-le sposarsi. Lo dice continuamente: “Adessoho un lavoro e posso comprarmi l'abito bian-co”. E' il suo grande sogno. Del resto un fi-danzato già ce l'ha: si chiama Massimiliano,ha 34 anni e come lei ha la SD. “L'ultima vol-ta che ci siamo visti è stata l'estate scorsa”, di-ce lei.Sono le 17.35 e Viviana è arrivata alla Lo-canda. A mezzanotte c'è papà Gianfrancoad aspettarla all'uscita.

Più di un ora tra autobus e metro,completamente da sola da casa al lavoro

Il racconto di una ragazza speciale

Il viaggio di Viviana

MONTECMONTEC OMPOMPAATRITRI

22,8 Km22,8 Km

RROMAOMA

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DOSSIER

MPMPAATRITRI

Mo n t e c o m p a t r i . V i v i a n aaspetta l’autobus per la stazio-ne di Anagnina. Un viaggio indiscesa che dura 45 minuti. Inalto a sinistra, il grafico mostra il tragitto fino alla Locanda dei Girasoli.

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LASINDROME

Che cos’è. La sindro-me di Down è una condi-zione genetica che si ca-ratterizza per la presenzadi un cromosoma in piùnelle cellule. Chi è colpitodalla sindrome ha 47 cro-mosomi nel nucleo di ogni cel-lula invece dei consueti 46. Ilcromosoma in più è il numero21. Per questo la sindrome diDown viene chiamata anche“Trisomia 21”.

I tipi. Ci sono tre diversi tipi dianomalie cromosomiche nellasindrome di Down, tutte comun-que si caratterizzano per il fattoche nelle cellule i geni del cro-mosoma 21 sono in triplice dose.La “Trisomia 21 libera completa”(quando in tutte le cellule dei va-ri organi ci sono tre cromosomi21 invece che due) si presentanel 95% dei casi. La “Trisomia 21libera in mosaicismo” (quandonell’organismo ci sono sia cellu-le normali con 46 cromosomiche cellule con 47 cromosomi) siregistra nel 2% dei casi. La “Tri-somia 21da traslocazione”(quando il cromosoma 21 in piùpuò essere attaccato indifferen-temente al cromosoma 14, o al21, o al 22) riguarda il 3% dei ca-si.

Il nome. Fu il medico ingleseLangdon Down, nel 1866, a defi-nire in un articolo le principalicaratteristiche di questa sindro-

me che da quel momentoprese il suo nome. Per ildottor Langdon i trattiprincipali delle personecolpite dalla sindromeerano fronte ampia, pie-ghe intorno agli occhi, lin-

gua grossa, difficoltà linguisti-che e durata della vita più breverispetto al normale.

Quanti sono. Le personecon SD che oggi vivono in Italiasono circa 40mila. Di queste il61% ha più di 25 anni. Nel nostroPaese ogni giorno nascono duebambini con questa disabilità,uno ogni 1200 parti. Una mediadavvero elevata. E se non lo è an-cora di più è solo perchè unaconsistente quota di feti con laSD va incontro a aborto sponta-neo. La prevalenza alla nascitadella SD, infatti, è il 30% inferio-re rispetto a quella prenatale.

Le cause. Attualmente non siconoscono i motivi percui alcuni bambini nasco-no con la sindrome diDown. Si parla di un feno-meno “naturale” legato fi-siologicamente alla ripro-duzione umana. L’inci-denza delle anomalie cro-mosomiche è assolutamente co-stante nelle diverse popolazioni,quindi sia nel tempo che nellospazio.

L’età materna. E’ stato ac-

certato che il rischio che nasca-no bambini con sindrome diDown cresce con l’avanzare del-l’età materna. La probabilità, in-fatti, è di 1 su 1500 se la donna hameno di 30 anni e di 1 su 38 se neha più di 45 anni.

La mortalità. Negli anni 50-60 la mortalità entro i primi 5 an-ni di vita era intorno al 60%. Og-gi, grazie agli sviluppi della me-dicina e all’accresciuta sensibili-tà sociale nei confronti delle per-sone con sindrome di Down, si èabbassata al 15%. Le principalicause di morte sono rappresen-tate da malformazioni congenitedell’apparato intestinale, da car-diopatie e dalle loro conseguen-ze. Una cardiopatia congenita èpresente nel 45% dei bambinicon questa sindrome.

La diagnosi. L’amniocentesiconsiste nel prelievo, a partiredalla 16a settimana di gestazio-

ne, di una piccola quanti-tà del liquido che avvolgeil feto all’interno dell’ute-ro. Qui si trovano le cellulecutanee del nascituro ed èpossibile procedere all’a-nalisi cromosomica. Lavillocentesi, invece, è una

tecnica usata meno e che per-mette una diagnosi molto preco-ce, a partire dalla 12a settimanadi gestazione. In questo caso siprelevano i villi coriali, le celluleda cui si svilupperà la placenta.

I numeri

“La sindrome di Down non è una malattia che deveessere curata, ma una condizione di base che si ca-ratterizza per la presenza di tre cromosomi 21 inveceche due, come tutti noi”. Per il professor PierpaoloMastroiacovo (nella foto), direttore del Centro inter-nazionale difetti congeniti, il concetto fondamenta-le è quello di “condizione”. Per capire cosèla SD bisogna partire da qui. “La condizio-ne maschile ha una Y e una X nei cromo-somi, quella femminile ha due X. Non perquesto si dice che il maschio è malato ri-spetto alla femmina. Così chi ha la SD nonè malato rispetto a chi ha 46 cromosomi.La SD,quindi,non si cura?Se per la polmonite la terapia è l’antibioti-co, per la SD è l’interazione con l’ambien-te. Le cure vere e proprie, quindi, non ri-guardano la condizione di queste persone, ma le ma-lattie che possono essere legate a essa, come le car-diopatie.Perché tra le persone con la SD c’è chi riesce a espri-mersi molto bene e chi ha grosse difficoltà a parlare?Se avessi la risposta sarei un Nobel. Questo tipo di va-riabilità biologica riguarda tutta la popolazione e nonne conosciamo i motivi. Si sa, però, che su qualsiasiattività relazionale influisce molto l’interazione con

l’ambiente, che deve essere il più normale possibile.Che intende?Che in famiglia bisogna essere accettati per quelloche si è. Se i genitori ogni volta che vedono il propriobambino alzano gli occhi al cielo e dicono ‘peccatonon diventerà mai un ingegnere’, questo avrà conse-

guenze sulla sua crescita intellettuale.Non si conoscono ancora le cause dellaSD. A che punto è il dibattito? Cosa au-spica per il futuro?C’è la possibilità che un alterato metabo-lismo di un aminoacido, la omocisteina,che è più alto nelle persone che hanno po-co acido forico, possa aumentare il ri-schio di SD. Questa è la teoria che si sta ap-profondendo oggi e che sta in piedi so-prattutto perché se ne sa ancora poco. Per

ora, comunque, più importante è consentire a tutti icittadini di usufruire delle conoscenze psico-socio-mediche che già abbiamo a disposizione. E’ fonda-mentale aiutare questi ragazzi nelle relazioni con glialtri e bisogna insegnare loro lavori semplici. Solo co-sì un giorno potremo avere ragazzi con la SD inseritinel mondo lavorativo e con una grande gioia di vive-re. Si sa, oggi senza un lavoro è difficile essere con-tenti.

L’epidemiologo: “Non parliamo di malattia”

E’ il numerodelle persone con sindrome diDown che vivono attualmentein Italia. Oltre il 60% di loro hapiù di 25 anni di età

40 mila

E’ la loroaspettativa di vita alla nascita.La durata della vita si è allunga-ta molto negli ultimi anni grazieagli sviluppi della medicina

62 anni

Oggi la mortalità deibambini con la sindrome Downentro i primi cinque anni di vitaè del 15%. Negli anni 50 era del50-60%

15%

Una cardiopatiacongenita è presente nel 45%dei bambini con sindromeDown. Questa è una tra le causepiù comuni della loro mortalità

45%

La sindrome di Downnel 98% dei casi non è eredita-ria. Al momento non si cono-scono ancora le cause di questaanomalia cromosomica

98%

La probabilità chenascano bambini con la SD è di1/38 per le donne con più di 45anni di età e di 1/1500 per quel-le che ne hanno meno di 30

1/38

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DOSSIER

ILLAVORO

I numeri

E’ il tasso dioccupazione delle persone condisabilità. Per il resto dellapopolazione la percentuale è di55,8%. (Istat, 2002)

19,3%

Nel 2004,secondo il ministero del Lavoro,le persone disabili iscritte nellegraduatorie provinciali di collo-camento erano 556.056

556 mila

Nel 2004 le per-sone disabili che hanno trovatolavoro attraverso il nuovo stru-mento della “convenzione”sono state 6.954

7 mila

Secondo una ricercadell’Aipd, la valutazione di pro-duttività di una persona con SDè per l’azienda del 70% rispettoal resto dei lavoratori

70%

Le personecon disabilità che nel 2004hanno trovato lavoro sono state19.036. Solo al Nord, gli assuntisono stati 12 mila

19 mila

Dei 19 mila dis-abili che nel 2004 hanno trovatolavoro, il 55,3% è stato assuntoattraverso una richiesta nomi-nativa dell’azienda

55,3%

Il miraggio dell’assunzioneIn Italia solo poche persone con la SD sono occupatee non esiste un censimento che inquadra il fenomeno

Al Sud, ritardo nel recepire la nuova legge sulla disabilità

Anche se non c'èuna statistica chelo conferma, lasensazione è quasiuna certezza: lepersone con la sin-

drome di Down che lavorano so-no troppo poche. In Italia, oggi,sono in 40 mila ad avere questo ti-po di disabilità. La maggior partedi loro, circa 25 mila, ha più di 18anni e potrebbe avere un'occu-pazione. Ma così non è."In Italia - spiega Anna Contardi,responsabile nazionale dell'Aipd- non credo si arrivi nemmeno amille persone con la SD che lavo-rano". Questi ragazzi e queste ra-gazze svolgono lavori abbastanzasemplici. Al Nord lavorano so-prattutto in fabbrica, al Centro eal Sud invece sono impiegati so-prattutto nel terziario. Ma perché è così basso il numerodei lavoratori con la SD? "Innan-zitutto perché la presenza diadulti con la SD - continua la dot-toressa Contardi - è abbastanzarecente. Solo da poco queste per-sone riescono a raggiungere l'etàmatura. Poi perché ci sono anco-ra tanti pregiudizi nei confrontidell'handicap intellettivo all'in-terno delle aziende e si tende ascoraggiare l'inserimento lavora-tivo di chi ha questo problema.Infine, perché solo con la legge n.68 del 1999 le persone con la SDsono state coinvolte nel meccani-smo dell' inserimento al lavoro.La legge precedente si riferivaprincipalmente alla disabilità fi-sica". E infatti, l'entrata in vigoredella legge n. 68 "Norme per il di-ritto al lavoro dei disabili" ha fat-to tornare il buonumore alle tan-te associazioni che si occupano diDown. La nuova legge, arrivata a31 anni dalla precedente, intro-duce il concetto di "collocamen-to mirato": dopo un analisi ergo-nomia dell'azienda accogliente elo studio delle attitudini del dis-abile, si può piazzare l'uomo giu-

sto al posto giusto. "Questoaspetto è fondamentale - spiegala dottoressa Contardi - perchémentre un disabile fisico può ar-rivare al posto di lavoro attraver-so le liste di collocamento, i dis-abili psichici, e quindi le personeDown, oltre al meccanismo di do-manda-offerta hanno bisogno diun servizio che li accompagni an-che prima, durante e dopo avertrovato lavoro. ". Questa media-zione tra azienda e aspirante la-voratore disabile dovrebbe esseresvolto dai Servizi per l'integrazio-

ne al lavoro (Sil), che la legge nonsancisce formalmente ma si limi-ta a auspicare. Spetterebbe alleregioni, e quindi alle province, re-cepire la legge e istituire i Sil. "Lasituazione in Italia è a pelle di leo-pardo - racconta Enrico Montob-bio, fondatore del Centro studiper l'integrazione lavorativa del-la Asl 3 di Genova e neuropsichia-tria infantile - a Nord quasi tuttele regioni si sono dotate di stru-mentazioni e servizi per l'inte-grazione lavorativa. A Sud inveceè tutta un'altra storia”.

A lavo-ro conla piz-za. Lanuovaleggepreve-de lostru-mentodellaCon-venzio-ne, uti-le percom-pletareil per-corsoforma-tivo diquesteperso-ne

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Partiamo dallo stereotipo più diffuso. Abi-tualmente si pensa alle persone Down comeuna categoria indistinta. Si crede siano tuttiuguali.

In generale è sbagliato ragionare per catego-rie, anche quando si tratta di persone nor-mali. Bisogna sempre guardare all’individuoe non alla categoria. Nel caso della sindromedi Down, è chiaro che i ragazzi abbiano ca-ratteristiche comuni. Caratteristiche chepermettono al medico di riconoscere la sin-drome nel bambino appena nato. Però ci so-no casi e casi. Per dire, ci sono ragazzi con lasindrome che non hanno il classico taglio amandorla degli occhi.

Le persone Down non sono consapevoli diessere diverse. È vero?

La percezione della propria diversità, anchequi, varia da persona a persona. In ogni caso,però, ci si rende conto della propria inade-guatezza. Poi ci sono ragazzi che questa per-cezione la esprimono ed altri no. Addiritturaalcuni negano di essere diversi e allora noioperatori dobbiamo lavorare affinché ri-escano ad accettarsi. A volte il conflitto che ilragazzo Down ha con se stesso si risolve. C’èanche chi se lo porta dietro per sempre. Inol-tre c’è chi vive in maniera dolorosa la sua di-versità e chi invece la sfrutta. Jacopo, un ra-gazzo della nostra Associazione, la usa perevitare la fila alle Poste.

Se sanno della loro diversità, cade anche illuogo comune che queste persone sianosempre contente, felici, che non abbianoproblemi per la testa?

Sì, viene meno anche questo stereotipo. Que-sto luogo comune forse era vero quando lepersone con la sindrome di Down morivanoabbastanza presto e vivevano una vita preva-lentemente adolescenziale. Oggi, nel mondoci sono molte persone Down che sono adul-te. E non tutte sono felici. Come nel resto del-l’umanità, d’altronde.

Ci sono forme gravi e forme lievi di sondro-me di Down?

La sindrome o c’è, o non c’è. Non è una ma-lattia per cui si possa parlare di una forma lie-ve e di una grave. C’è chi ha un ritardo mag-giore rispetto ad altri, questo sì. Ma se i geni-tori di un bambino che nasce con la sindro-me ci chiedessero che cosa è in grado di fareil loro figlio da grande, non potremmo ri-spondergli. Nessuno può dire quale sarà ilsuo sviluppo. L’importante è che venga sem-pre seguito e che gli vengano dati tutti glistrumenti per crescere. Poi si vedrà. Spesso,sottoponendo questi ragazzi a identiche te-rapie, si ottiene comunque un differente ri-tardo a seconda delle diverse persone.

È vero che i ragazzi Down cercano sempre ilcontatto fisico e sono super affettuosi?

No. Questa convinzione c’è perché si credeche i Down siano eternamente bambini. Nonè vero. E poi conta quello che si insegna loro.Se ogni volta che li incontriamo li abbraccia-mo e li baciamo, loro impareranno questo esi comporteranno di conseguenza.

Tutte le persone Down, soprattutto nell’a-dolescenza hanno in testa un chiodo fisso: ilsesso.

Ci sono due stereotipi opposti su questo te-ma. C’è chi crede che queste persone sianocompletamente asessuate e chi invece iper-sessuali. In realtà, l’esigenza sessuale è vis-suta come dal resto degli adolescenti. Su que-ste dicerie incide l’atteggiamento che tuttihanno nei loro confronti, per cui si tende anegare la loro sessualità.

Un ragazzo con la sindrome può avere unamico, una fidanzata, una moglie?

Le relazioni dei ragazzi con la sindrome sonocompromesse da motivi esterni alla loro con-dizione. Qui in associazione nascono amici-zie, ma si coltivano solo una volta a settima-na. Lo stesso discorso vale per le relazioniamorose. Queste persone possono avere rap-porti di coppia normali, ma c’è la difficoltàpratica di vivere assieme. Conosco moltecoppie che sono scoppiate per l’impossibili-tà di vedersi frequentemente. Anche per gliinnamorati con la sindrome di Down, comeper tutti gli altri, la lontananza può essereuna brutta bestia.

Tutto quello che non sappiamoIn genere conosciamo davvero poco delle persone con la sindrome di Down

E quando il problema non ci tocca da vicino ci accontentiamodel “sentito dire”. Facciamo chiarezza con Patrizia Danesi del “Telefono D”

LAREALTA’

Il servizio di consulenzadella AIPD

è attivo dal 1993 per rispondere

a tutti gli interrogatividelle famiglie

su questo tipo di disabilità