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Alla fonte delle n ostre radici Classe 3^A Scuola Secondaria di primo grado “E.Toti” Musile di Piave con la collaborazione dell’Associazione “G.R.I.L. Basso Piave” Anno Scolastico 2016-2017 1

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Alla fonte delle n ostre radici

Classe 3^AScuola Secondaria di primo grado “E.Toti” Musile di Piave

con la collaborazione dell’Associazione “G.R.I.L. Basso Piave”

Anno Scolastico 2016-2017

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PremessaQuesto disegno riprende un'incisione del sec. XV di Raffaello Sanzio: rappresentaEnea in fuga con il figlioletto Ascanio e con il padre Anchise che sorregge l’urnacontenente le ossa degli antenati. Questi personaggi sono il simbolo del tempo: ilpresente, il passato e il futuro insieme. Abbiamo scelto quest'immagine comecopertina del presente fascicolo che racchiude il percorso intrapreso verso la“scoperta” del dialetto dei nostri genitori.Come il protagonista virgiliano, anche noi con questa esperienza che ci è statagratuitamente proposta dall’Associazione “G.R.I.L. Basso Piave”, abbiamo volutotentare un viaggio, ma un viaggio interiore, seppure simile per complessità a quellodell’eroe Enea. Un viaggio che ci ha permesso di avvicinarci alla poesia in linguadialettale, una sfida che all’apparenza ci sembrava facile, ma che si è dimostratapresto in tutta la sua complessità. Infatti ci si è resi conto delle seguenti difficoltà:1. molti termini della lingua italiana che noi oggi usiamo dialettizzandoli, in realtànel passato non esistevano; proprio perché la lingua è viva, continua a modificarsi eil nostro attuale dialetto è il risultato anche della fusione di quello parlato nelterritorio di provenienza da entrambi i nostri genitori o dai nonni;2. qualsiasi dialetto veneto è una lingua a tutti gli effetti, con una sua grammatica,

un lessico, delle regole tutte sue, come addirittura l'uso degli accenti, degliapostrofi, come pure delle altre forme di interpunzione atte ad esprimere inmaniera esaustiva l’attuale linguaggio usato da ciascuno dei vari parlanti.

Non si può pretendere di scrivere poesie in una lingua – il dialetto del Basso Piave –se la cultura di quella lingua non è davvero dentro di noi: sarebbe come rubare leossa degli antenati di altri, a qual fine?La vera difficoltà è stata proprio nel “penetrare” quello che è rimasto ancora in noi,all’interno delle nostre famiglie, della nostra cultura passata, fatta di tradizioni, usi,costumi, canti, talvolta molto lontani dal nostro mondo “molto digitale e virtuale”.Grazie a questo percorso abbiamo potuto costruire un più “solido” ponte che ciconduce ai nostri nonni in modo diverso: ora possiamo dire di comprendere con piùconsapevolezza il loro vissuto, l’affermazione della loro dignità, il ricco bagaglio a cuisanno di appartenere.Speriamo col tempo di riuscire, come Enea, a portare sulle nostre spalle le “ossa” deinostri antenati: solo con la sicurezza che ci può venire da esse potremo andareincontro al nostro futuro con la leggiadra sicurezza di Ascanio. Un albero non puòcrescere forte se non ha radici profonde!

Luisa Florian

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PREFAZIONE

Il presente lavoro è stato seguito dall'Associazione "G.R.I.L. Basso Piave" in diverse fasi del suosvolgimento durante l'intero anno scolastico 2016-2017.La volontà di aderire al progetto "Alla scoperta dell'identità e del dialetto del Basso Piave", presentato allescuole secondarie di I° grado del medesimo territorio e normalmente rivolto alle classi prime e seconde, èstato motivato dalla presenza in classe 3^A di parecchi alunni che avevano già conosciuto l'azioneprogettuale dell'Associazione nel corso di una precedente esperienza vissuta alla scuola primaria.Tale esperienza, appunto, ha consentito alla maggior parte degli studenti di concentrarsi sullo studio degliaspetti linguistici, oltre che identitari, specifici della zona del Basso Piave. La contestuale presenza inclasse di alunni provenienti da altre realtà identitarie limitrofe ha stimolato il gruppo ad analizzare ladiversa resa fonematica e grafematica delle varie parlate dialettali a loro note in quest'area, nonché amantenere vivo il confronto con la lingua italiana. Infatti, risulta inevitabile l'interazione continua fra ildialetto e la lingua italiana nei giovani del giorno d'oggi, soggetti anche più frequentemente rispetto alpassato allo scambio di espressioni d'uso dall'una a all'altra parlata, così come all'intromissione delleforme espressive tipiche di un dialetto in quelle di un altro: del resto, molte sono le occasioni di incontro fraparlate diverse in un mondo come quello globale che facilita gli scambi quotidiani fra svariate identità.La difficoltà di parlare / scrivere discernendo fra le caratteristiche dell'una e dell'altra parlata dialettalenon erano dunque previste dai ragazzi che, avviando i loro primi esercizi di scrittura in questo senso,hanno cominciato a scontrarsi con problematiche eminentemente tecniche in merito allo studio della linguaed è stato inevitabile per loro anzitutto riscoprire il valore degli studi grammaticali fin qui svolti, inparticolare per ciò che riguarda l'uso di segni grafici distintivi come gli accenti (tonici e atoni, acuti egravi, spesso ancora confusi dalla gran parte degli studenti) oppure sulla natura e sull'uso dell'apostrofo...Allora lo studio scolastico della grammatica della lingua italiana, affrontato in classe, si è fatto uso vivo diuna lingua, la parlata dialettale, di cui si è cominciato a cogliere la specificità e particolarità.L'approfondimento si è fatto interessante quando i ragazzi hanno potuto analizzare la diversa realizzazionefono-articolatoria dei foni vocoidi e la complessa natura dei foni contoidi, ma questa prima presentazionedegli aspetti fonematici generali ha consentito, in un secondo momento, di affrontare il problema delladiversa modalità espressiva implicita nei dialetti che, come avviene per qualsiasi altra lingua, usanoespressioni spesso non precisamente traducibili nella lingua italiana. Da ciò è sorta negli allievi ladifficoltà di trovare una giusta corrispondenza fra i loro pensieri e la forma da tradurre sulla carta. Di quila necessità di sostenere i primi interventi di scrittura con le dovute indicazioni di carattere linguistico el'opportunità di presentarle con caratteri diversamente colorati per facilitare la visualizzazione di taliindicazioni e consentire un successivo adattamento o l'evenutale correzione da parte degli allievi.Alcuni testi, inseriti in questo saggio sintetico del loro lavoro, rappresentano appunto le fasi di primastesura (da parte degli alunni) e di primo intervento di riflessione linguistica (da parte dei membridell'Associazione): si è preferito non riportare tutti i testi oggetto di analisi per ovvie esigenze di spazio, perlasciare invece quelli sui quali si è intervenuti col maggior numero di indicazioni, che poi servivano damodello operativo per tutta la classe.La fucina dello scrittore dialettale si è fatta certamente più complessa quando i ragazzi hanno scoperto lediverse anime identitarie che spesso caratterizzavano le loro stesse famiglie: nonni o genitori provenienti daaree dialettali diverse da quelle del Basso Piave tendono poi in famiglia a perpetuare le forme dell'identitàpersonale, nell’usuale evoluzione che da sempre attraversa e contraddistingue le diverse generazioni,fondendole con quelle del coniuge e dei suoi familiari o, semplicemente, con quelle sentite quotidianamentenell'area di attuale residenza. Ecco allora la necessità di stimolare i ragazzi a prendere in esame,possibilmente con sempre maggiore definizione, una sola variante dialettale fra quelle parlate in famiglia,per ovviare al problema dell'eccessiva compenetrazione tra modi espressivi tipici dell'una e dell'altraparlata, il che dà luogo in genere ad un'ulteriore variante linguistica personale o familiare...Come Associazione siamo lieti che il lavoro abbia consentito ai ragazzi uno sviluppo della riflessionelinguistica finora mai affrontato in tal modo in una scuola secondaria di I° grado, soprattutto per ciò cheriguarda il dialetto, consci, certamente, che i risultati raggiunti non sono definitivi dal momento che,completata ormai la frequenza al corso di studi previsto, è venuta meno la presenza dei ragazzi all'internodell'Istituto Comprensivo. Siamo certi, però, che la riflessione linguistica così avviata rimarrà sempre unutile punto di partenza per l'analisi di qualsiasi lingua, anche straniera, ch'essi vorranno avviare e chel'esperienza fatta in corso d'anno potrà rappresentare un ulteriore livello nello sviluppo della loro personalecompetenza linguistica.

L'Associazione "G.R.I.L. Basso Piave"

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1. Dopo aver messo su carta le proprie emozioni, nate man mano che i ragazzi venivano accompagnati daAidi e nonno Pierluigi a prendere maggiore consapevolezza di quella che era stata la vita ai tempi dei nonni,i ragazzi hanno chiesto di votare le poesie più belle per decidere poi quali inserire nella scaletta della seratain cui sarebbero state recitate. La poesia più votata dagli alunni della classe è quella di Riccardo. In essal’autore sottolinea l’ideazione e la progettazione della casa da parte del nonno geometra. Così,inconsapevolmente, egli fa emergere il sogno di tutti gli uomini ricchi o poveri: l’avere una casa, ilpossederla; tale concetto di possesso viene ulteriormente sviluppato nel verso “gavemo tante robe par starben”: la “roba”, come in Verga, equivale a felicità e per chi aveva poco o niente questa era “IL TUTTO”!La lirica sembra concludersi con un’immagine di malinconia: la suscita il pensiero che fra qualche anno lavita lo porterà fuori da questa casa; ma è un sentimento che viene subito allontanato, sostituito dai beiricordi che essa gli lascerà.

CIAO CASA

’A me casa ’a é granda, ’l à disegnada me nonoe ghe stén in cuatro.

Sen mi, me fradel me mare e me pare.

So ’l toc in banda sta i me nonie da drio ’a casa ven un bel jardin.

’Sto cua ’l é grando, pien de piante e co tanti tzioghi sia par mi che me fradel.

Vén ’e stantze tant grande e tute ’e à almanco do finestre: có de istà ’l fa tant sòfego, tute vèrte se sta un gran ben.

Son fortunà parché drento no manca propio gnént,ven tante robe par star ben.

Ciao casa grandache te ne ospita tuti cuanti,forse tra un fià de ani no vivarò pi cuà, ma de sicuro de ti me restarà sol che bei ricordi.

Ciao casa.

Riccardo Caresia

____________________2. La lirica che segue ha il pregio di accompagnarci nella casa-rifugio di Angela. In questa casa ognunosembra invitato ad entrare, inebriandosi di quegli odori tanto diversi, ma che sanno di tanto amore. Eccoperò che, sulla soglia della sua camera, quegli odori si fanno profumo. Quel luogo si fa “sacro”,inviolabile, ed è vietato oltrepassare quella soglia; a noi rimane solo l’immagine di quelle coccole, deigiochi e dei sogni dentro il cassetto dei ricordi preziosi della sua infanzia.Il testo, come tutti gli altri, è stato fatto oggetto di una particolare analisi linguistica: qui proponiamo soloun saggio parziale del lavoro di riflessione compiuto per arrivare alla forma ritenuta più consona al vissutoespresso dal testo. L'autrice è stata invitata a orientarsi verso una precisa scelta linguistico-identitaria,pena la mescolanza poco chiara fra dialetti diversi: quello con influenza lagunare veneziana o diterraferma trevigiana (identità di provenienza di un familiare) e quello del Basso Piave (identità di attualeappartenenza geografica).

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Ecco alcune indicazioni fornite - rispetto al testo originale - soprattutto di ordine grafico, in vista dellapossibile scelta:

________________________3. Con queste piccole indicazioni iniziali per i ragazzi è stato più facile cominciare la stesura dei loro primitesti poetici, partendo appunto dall'oggetto “casa”, così significativo per chiunque.Laura si proietta nel futuro e immagina di rivedere la sua casa: la ripercorre tutta, stanza dopo stanza, escepoi ad ammirare l’orto retrostante pieno dell’amore dei nonni, quindi ci accompagna nel giardino davanti“bello e ben curato”, tanto che ricorda l’ordine del padre di non salire sull’erba; ma solo ora che è adultariconosce che la bellezza di quel prato è frutto di quel contestato divieto. Dalla casa materiale passa poi allepersone, ai nonni che l’hanno educata anche con le “TZAVATAE” di cui ora è grata perché sa che è grazie aquei modi bruschi se è cresciuta ben educata. La lirica si conclude ribadendo il messaggio che È CON I NOCHE SI CRESCE e infatti conclude proprio così: “grazie a voaltri, noaltri sen mejorai”.

CIAO CASA MIA

Ciao casa mia,co ’e to stanze piene,e co ’l to sofito bas;se jèra cussì streti inte cuée camere:mi, co me pare, me mare e me fradel pi pìcoeose jèra inte ’a stanza pi granda,me fradel pi grando in cuéa pi pìcoeae inte cuéa camara el vea sol che ’l ’et,

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ma ’a jera un bel che gnanca Dio sa!Ciào ortesel da drio ’a casa:i me Noni i te déa cussì tant amorpar far cressar cuel maravejóso pomidoro;e cuel jardin che ’l jera cussì bel e rincurà...Me papà senpre me racomandéa:“No pestar cuéa erba!” e gratzie a lu ’a jera sulsèrio bea.Ciao Nona,ti te me à evà a modo tuo: no desmentegarò mai’e to tzavatàe, te voée cussì tant ben!Ciao noni, des se tuti eassù che ne vardè noàntri cua zo:gratzie a valtri, noàntri sen mejorài!

Laura Montagner

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4. Originale la definizione di casa di Federico, che la dichiara “na maravéja”: bella, grande, contutto il necessario dentro e con camere rifinite nei particolari con un tale buon gusto da sembrare treincantevoli scatole-regalo impreziosite dalle “ciochéte”.

’A ME CASA

’A mé casa ’a é na maravéja,’a é bea e anca granda.’A é cofà ’l sol.El so jardìn ’l é un fià picenìn,ma drènto ’a à tante bèe robe:’a à na teevision grandae anca na bea cusìnae tre camaréte propio co ’e ciochéte.Da come ’a ò racontàda’a me casa ’a par na maravéja,ma da ’l vivo ’a é anca mèjo!

Federico Bozzo

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5. In “Casa Mia” Carla con poche parole descrive un ambiente piccolo, ma dove non manca nulla per farlacrescere. Ora che è più grande continua a fare le stesse cose di quand’era più piccola: i compiti e giocare.Qui non manca il calore e l’accoglienza, per questo nella sua casa va e viene tanta gente ed è per questo chelei non la cambierebbe con nessun’altra. Qui trascorre la vita giocando e facendo i compiti CONTENTA.

CASA MIA

Casa Mia… casa bea…No te sì tant granda,ma cuel che basta pa’ farme créssare deventar na brava putèa.’L é tut cuà: na “entrata”, na cusìna, un saeòto,un sgabutzìn, un bagno, na càmara grandae na camaréta ’ndove che anca des ziòghe

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e fae ’e ’etzion cofà có jere tòseta.Ti te dà caeór e te sì “acoljente”e ’l é par cuesto che va e vien tanta zent.Mi son contenta de vivar drento inte tìe no te ganbiarie co nessùnagnanca par morir!

Carla Zorzetto

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6. Chiara ha fuso nella sua poesia le identità territoriali dei genitori, ma lo sforzo di Aidi e Pierluigi con iloro suggerimenti ha fatto sì che anche questa lirica sia stata molto apprezzata dai compagni. I versi ciimmergono in un quadretto prima esterno poi interno: un giardino e due bimbe che giocano, poi i muri dellacasa pitturati dalla madre, qualche mobile fatto dal padre, ed ecco il profumo dei dolcetti in cucina appenasfornati, che ci porta nella cameretta delle bimbe dove arriva il richiamo della madre per invitarle a tavola.Obbedienti, le due sorelline prese per mano scendono dalle scale e ognuna prende il suo posto: una vicino alpadre e l’altra vicino alla madre. In questa atmosfera sembra di sentire l’allegro vociare della famiglia unitache si racconta la giornata. L’autrice, che si immagina adulta, ci riporta poi all'esterno dell'abitazione, dove sisente l’odore dell’erba tagliata e si vede la gatta felice a rincorrere qualche uccellino; è passato ormai tantotempo, ma i bei ricordi rimangono intatti nel cuore.Per Chiara la scelta linguistico-identitaria è stata veramente complessa: lo si comprende dalle tanteannotazioni colorate sparse nel testo con le quali si è tentato di far cogliere la differenza fra dialetti di areediverse; infatti nella versione originale l'autrice alternava in vario modo l'una e l'altra varietà linguistica, ilche denotava la sua grande difficoltà ad orientarsi versa una definita scelta personale (quasi a non volerfar torto ad alcuna specifica provenienza identitaria dei familiari!).

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_______________________7. Giada conosce bene il dialetto, ma quello vivo e attuale, che talvolta annovera forme influenzate dallalingua italiana, e perciò intitola la sua poesia “La mia dimora”, termine non in uso in passato, nontrovandone un altro che possa equivalergli nel dialetto. Anche lei esalta la capacità accogliente della suacasa, dove sta così bene che non le vien voglia di uscire… ma in realtà sono gli altri che vi entrano gioiosicome quando vanno alla fiera!I ricordi, seguendo una scansione stagionale, sono molteplici e suscitano anche qualche ilarità. E così nellabella stagione possiamo assistere al suo inciampare tagliando l’erba e lasciandosi bruciacchiare dal sole, algelato mangiato beatamente di sera se non fosse per la zanzara sempre in agguato, all’assistere allatrebbiatura e alla fuga dei gatti provocata dallo stridore dell’infernale macchinario, alla nonna intenta albuon pranzetto. Allo stesso modo possiamo immaginare la pioggia invernale ascoltata da sotto le coperte, ildesiderio della focaccia, la dolce attesa dell’atmosfera natalizia e della nascita del Gesù Bambino che lerichiama il tanto tempo passato. Tanto tempo: tante piogge e nevicate, ma la casa rimane così bella chesembra preparata per una sposa. Come andarsene via da una casa di cui è tanto innamorata? NO! Lei vuolerestarsene lì!

’A ME “DIMORA”

Cara casa mia,có me altze a matina no ò vòja de ’ndar vìa:te si cussì calda e ʻacoljenteʼ che da noàntri tuti i vien vuintièrae cua a tzént a ’e come aèa fiera.Su sto prà cuante volte che son inciampàa...Tajando ’a erba d’istà,bratzi e schèna me son brusàda.E de sera, intànto che magnée el geato,tac! Un moscat el me bechéa.Có jera el seràr de ’a stajón ’e panoce ’a trebia ’a batéae tuti i me gati de paca ’a spaseméa!E me nòna col capùtz na anaréta a cusinéa.Có fora piovea che Dio la mandéa,soto e cuèrte proprio ben se stéa!E cuando che Nàdal rivéana bèa féta de fugatza se magnéa!Co ’e luci tacàe so ’l to camìn,se spetéa che nassése Gesù Bambin.Tante volte à piovù e nevegà...E tant tempo ’l é ormai passà.Ti, tuta piturada de rosa,in mezo a cuèi fiori, te me paréa na sposa.Mi no vae via, mi reste qua!De ti, cara casa mia,me son inamorada!

Giada Bortoletto

_______________________8. Con pochi aggettivi, Desirée descrive la sua casa: grande, bella, ospitale, pulita, provvista di un grandegiardino in cui accogliere tutti i suoi tanti amici con i quali giocare a dondolarsi o col pallone e con i qualid’estate ama mangiare anche una fresca fetta di melone. I ricordi di tanti momenti di gioia e allegria le fannocapire quanto bene voglia alla sua casa.

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’A ME CASA

Fin da putèa ò sempre amà ’a me caséta:granda, bea, ʻospitàeʼ e sempre nèta.’A à un bel jardin, cussì grando davanti,che có riva i me amìghi se ghe sta tuti cuanti.Se se sghìndoea so ’l dóndoeo e se ziòga co ʼl baeóne có ’l è istà se magna anca el meon.Che bei ʻricordi’ che me fa sovegnér ’sta poesiae cuant ben te vùi, caséta mia!

Desirée Bianco

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9. Quella che segue è una poesia speciale scritta da Giulia, una ragazzina con cittadinanza italo-rumena. Hascelto lei l’Italia come suo Co-Paese e in onore di esso ha voluto cimentarsi anche nel dialetto, aiutata daAngela nella traduzione. È stata la professoressa Florian a scegliere questa poesia, non solo per lo sforzolodevole di Giulia e per l’altruismo di Angela, ma anche per il contenuto. In questi versi traspare l’aspettodella casa vissuta: momenti felici, tristi, speciali, le tante persone accolte e lasciate partire; i piccoli segretinascosti e disseminati nelle varie stanze insieme alle tante storie nuove e vecchie apprese insieme alle tanteemozioni. La casa viene infatti personificata e si fa essa stessa “scrigno” che accoglie i tanti vissuti. Essa haanche un giardinetto sempre curato e colorato dove Giulia ama stare e giocare. La lirica si conclude con ungrazie sincero perché questa casa significa, e ha significato, un bene fondamentale. Rilevante è l’ultimoverso, isolato, con quel “Ti” personificato, carico di quel suo mondo prezioso.

’A ME CASA

Cara caséta,senpre ʻacoljenteʼ e calda te si stada.Tanti ricordi t’à conservà:momenti feìtzi, tristi, speciài;tanta zent ti t’à ospitàe altra ancora t’à assà.Inte ogni càmara un pìcoeo segreto,storie nove e vece t’à frontàe anca tante emotzion ven provà,co ’l jardinet senpre curà e coeorà’ndove tant tenpo ò passà.Me piaséa tant córar e tziogàrin mèzo a tuti quei fiori coeorài.Gratzie parché una dée robe fondamentaite si, e te si stada,Ti.

Giulia Ilie

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10. Ci si può innamorare di una casa?A quanto pare sì: ce lo dice Samantha in questa poesia in cui a lei stessa suona strano questosentimento per un oggetto. Eppure è così! Bella l’immagine per cui “ad ogni angolo rivive unricordo”, persino nel giardino in cui da piccola giocava, ma dove ora cerca solo un po’ di pace.Proponiamo un saggio delle modifiche effettuate sul testo originale di Samantha concentrandol'attenzione su particolari aspetti di resa grafica oppure su specifiche scelte grammaticali rispetto

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ad alcune espressioni troppo italianizzate, secondo un modello di utilizzo attuale.

________________________11. La casa è il luogo dove si sta bene, dove - dopo una giornata di tanto impegno scolastico - al rientro cisi può finalmente rilassare sul divano guardando la televisione. E, in modo particolare, quando è inverno efuori fa freddo diventa ancora più faticoso alzarsi dal letto per uscire!Anche nel caso di Claudia le scelte lessicali non sono state affatto semplici, soprattutto per l'influenza delleodierne forme dialettali ormai sempre più soggette a forme di italianizzazione.

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12. Anche in questa poesia il ricordo ha il sopravvento: i giochi, l’albero delle giuggiole, l’ortoannaffiato tante volte col papà... Ma Manila non vuole andare oltre coi ricordi, sente comunque ildesiderio di concludere, ringraziando la sua casa piccina e carina, ma sempre protettiva.

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13. Originale questa presentazione della casa: bella, grande, immersa nella campagna dove impera ilsilenzio, la pace e l’amore! Isabella fa poi un confronto fra la nuova e la vecchia che le sta vicino, ma èquest’ultima ad uscirne vittoriosa: lì si sta meglio sia d’estate che d’inverno; essa poi è ricca dei ricordi disuo padre, di suo zio e di suo nonno. Conclude affermando che, comunque sia, la sua casa rimarrà sempre lasua casa!È stata suggerita all'autrice la scelta delle forme del dialetto veneziano, che le sembravano più congenialinella stragrande maggioranza dei casi.

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14. Semplice nel suo contenuto, questa poesia di Alessio ha però la capacità di farci immaginare il suogrande appartamento dove la vita è molto intensa e dove quattro persone “fanno per otto”. In realtà sicapisce subito che sono i due ragazzini a fare per sei, divertendosi col pallone e col cane a trascorrere la lorobella “vita da bocia”!

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15. Ilaria parte dall’esterno dove due soli alberi fanno il “suo giardino”, ma bastano queste poche paroleper farci capire l’importanza di questo fazzoletto di terra, seppure descritto nella stagione autunnale, quandole foglie a terra lo rendono più malinconico. Passa poi a descrivere l’interno dove un’entrata conduce alsalotto che richiama col suo colore il cielo; gialla e allegra è invece la piccola cucina, povera di mobili, maricca del calore del sole estivo; tre le camere per le tre persone che vi abitano, ma su queste stanze Ilaria nonaggiunge alcun aggettivo facendo immaginare una triste solitudine che si può cogliere solo negli ultimi dueversi quando ci fa vedere la taverna: grande e scura, usata per la cena di Natale.

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_______________________16. Anche Tommaso prova a mettere in versi i sentimenti che la sua casa gli suscita ed anche lui lofa un po’ descrivendola, un po’ rivivendo qualche ricordo. Bellissima l’immagine finale in cuiemerge che la “casa” per lui non è solo lo spazio entro le quattro mura, ma anche il giardino, la“paeàda”, i campi esterni: “beissimo posto” dove ha vissuto tutta la sua infanzia; conclude con unanota di malinconia, forse perché è consapevole che l’infanzia è passata.Nel suo caso le maggiori difficoltà sono state di ordine grammaticale. Vediamo quali accorgimenticorrettivi sono stati adottati:

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17. Conclude questa carrellata di capolavori “A me casa”, di Gaia. Anche qui si inizia con unapersonificazione che rende la casa un’amica così cara da non volerla cambiare mai e che, come unaculla, l’ha protetta nella sua crescita. Ha assistito a tutti i momenti belli e brutti vissuti lì dentrocogliendo tutte le sfumature delle varie emozioni provate da lei, da sua madre e da suo padre.Gaia ricorda quand’era piccola e come le bastava poco per passare un intero pomeriggio a divertirsicoi suoi amici: bastava una bicicletta, un pallone e una corda. Ricorda poi il campo dietro casa,sempre quello, sempre lo stesso, ma che solo lei sa vedere con occhi ogni volta diversi: sempre piùbello e colorato. Ringrazia quindi la sua casa per tutto ciò che lei le ha fatto sopportare.Accomiatandosi, le viene da pensare a quando la dovrà lasciare e allora le viene da piangere perchésa già quanto le mancherà.

’A ME CASA…

Ciao casa,tuta zàea, co ’l jàrdin davanti, tut verde.No te canbiarìa par gnènt al mondo.Drento de ti son cressùa.Ti te si ’a me cùna:da picenina che jèrete m’ à vist deventar granda.Ti t’à vist tuti i me momenti, bei e bruti,e anca tute ’e marachèe che ò conbinà.Có torne da ti, mi me sinte proteta.Ti te ne conosse mejo de tuti,te me conosse mi, me màre e me pàre,te conosse tute ’e nostre deboétze,te sa có che sen tristi, inrabiài o contenti.Me ricorde có mi e me amighi se jera picenini …Se se divertia inte ’a stradèa, davanti de ti, e ne servia poc: na bicicreta, un baeón, na cordai bastea da meodì a sera.E cuel canp, da drio de ti,el è senpre cuèl, ma ogni ano el è senpre pi bel:el à de cuéi coeori!Deve ringratziarte, par tuti sti ani che te ne à soportà.Des te vàrde e me vien da piànzar.Son drio pensàr có dovarò assarte: te me mancarà…Gratzie casa, mia!

Gaia Crispo

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1. Quelle che seguono sono poesie a tema libero. La prima scelta da noi è di Claudia, composta di getto inclasse in un momento di grande ispirazione. Pochi versi, ma molto incisivi e che sembrano scritti daun’adulta per il messaggio trasmesso. Implicito è il rapporto di grande amore dei suoi cari che le hannosaputo spiegare il senso del dolore prima che lo possa incontrare: come una medicina esso aiuta a vivere. Malei, pur giovane, ha capito qualcosa in più della vita: come al furore della tempesta segue il raggio di sole,così dopo le lacrime viene il sorriso! L’autrice conclude questa bellissima lirica con un altro insegnamentoche viene sempre dai suoi cari e per il quale vuole ringraziarli: l’importante è splendere nell’anima perchésolo ciò che è in lei dura a lungo, non come la pioggia che è solo passeggera. Con questo stile incisivo,Claudia riesce a trasmettere tutto il sapere appreso amorevolmente da chi la vita ha reso saggio.

EL RÀJO DE SOL

I me cari i me disea:“Chi no ’l é bon de sofrirno ’l é bon de vìvar.”Mi ò capio na roba in pi inte ’sta pìcoea vita:come na tenpesta ’a é seguìa da un ràjo de sol,a na àgrema vien senpre drìo un soriso.Voria ringratziarli par vérme fat capir che“L’inportante ’l é spléndar drentoparché ’a pìova ’a é sol passejèra!”

Claudia Agnolon

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2. Desirée apre la sua poesia con un ricordo forse banale, ma tipico di tutti i bambini: la nonna che preparail piatto preferito alla nipotina per il gusto di vederla sazia e felice, e lei in cambio le fa un disegno. Nulla dispeciale, ma sa che quando tornerà lì lo troverà in mostra sul muro come fosse un bel quadro; sorride ora aquel pensiero rammentando quanto brutti in realtà erano quei disegni nati dalla manina di una bambinainesperta. Ricorda poi le tortine di sabbia, la complicità della nonna nel gioco e quel panino di cioccolata…fatto con tanto amore e perciò così appetibile come non le riesce più di trovare. La poesia si conclude conl’incapacità di trovare le parole adeguate per ringraziare questa nonna speciale, che non è solo un “angelo”,ma l’angelo più bello!

ME NONA

Cara nona, jere propio drio pensar a quando jere putéa: vegnée da ti a magnar e te me parecéa senpre ’e patate fritee tute ’e volte ghi ne magnée un piatón pien.Dopo magnà, me metée a disegnare cuéi disegni, có sarie tornada da ti, li varìe trovai picai so ’l muro.Mama mia! Se pense a cuéi disegni… cuant bruti che i jera!Ma ti te me diséa che i jèra davero bei.Pó ’ndee fora a ziogar co ’a sabia e me divertie a far ’e tortee có te ’e portée ti te fea finta de magnarle e te me soridéa.E ti te sovién có che te dimandée de farme el pan co ’a ciocoeàta?Anca se el jera un semplice panin, ti te me ’o parecéa co tanta passion.Te m’ à senpre dat tant, tant amor e mi no so come ringratziarte.Te vui tant ben, nona mia: te si ’l àngeo pi bel che ghe sia!

Desirée Bianco

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_______________________3. L’amore di Chiara per la nonna si vede soprattutto in due immagini inconsuete; la prima è quella diassociarla a Babbo Natale, il mito per eccellenza dei bambini, il buon vecchietto che li ama in modoincondizionato e smisurato; la seconda è rappresentata dalla fiducia che ripone in lei nel lasciarle in affido ilsuo amato gatto perché sa che lo curerebbe anche oltre i bisogni fisici, non facendolo sentire solo.La stesura di un testo poetico è spesso il risultato di un’ispirazione contingente, legata indissolubilmente aduno stato d'animo irripetibile: va fissato dunque sulla carta così come viene. Poi interviene, giustamente, unmomento di riflessione, sia in merito ai contenuti espressi sia in merito alla forma con cui sono statiespressi, che deve risultare adeguata alla comprensione altrui. Da qui lʼesigenza, più volte riscontrata inclasse, di lavorare in modo collettivo alla ricerca della grafia e dell'identità linguistica più precise possibili.Di quest'enorme sforzo, compiuto prima col gruppo classe e poi dai signoli allievi a casa con un'ulterioreriflessione morfo-sintattica e lessicale, diamo qui un altro esempio:

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4. Carla parte da una considerazione generale riferibile a tutti i nonni: il grande amore che provano per inipoti; da qui passa poi a qualche ricordo personale come le corsette in bicicletta, ma ciò che le premericordare sono i tanti insegnamenti che le hanno trasmesso, essendo essi come un grosso libro in cui trovarei suggerimenti per far crescere la mente e il corpo.

NONI CARI… NONI BEI…

Noni cari… noni bei…ghe voé tant ben ai vostri tosatèi…Me ricorde có jère tosétache inte ’e sere d’istàse ’ndea sempre a far na corseta.Ò tanti ricordi che adès no stàe cuà a contàr,ma na roba ’a é tzèrta, cari noni:par mi sé na risorsa…

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inte ’a me vita… e pa’ ’a me ʻesistenzaʼ.Pa’ imparar tante robe basta sol che parle co vàltriche sé cofà na ʻenciclopedia’…par ʻnutrir’ ’a me mente e ’a vita mia.

Carla Zorzetto

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5. Anche Riccardo si lascia toccare il cuore dall’amore per i nonni che tramuta in versi. Ma se ha apertoquesta raccolta di poesie ricordando il nonno geometra che aveva ideato la casa, in questa lirica pensa allanonna che in quella dimora lo ha cresciuto con tanto amore, sostituendosi bene ai genitori impegnati nellavoro. Pochi ricordi tratteggiati con delicatezza, ma i versi fanno capire la forte gratitudine nei loroconfronti.

NONA CARA

Nona cara, che có jère pìcoeote me tegnéa dopodisnà parché’a mama e ’l papà i jèra a lavorar...E pó, me *ricorde* có tornée da scuòea *sovièn*e *trovée* el piato pronto, *catée*se no ’l me piaséa, te me déa tut quel che voée.A! nona come che te m’ à vitzià.A! che ricordi che me à restàde cuéi bei jórni có, dopodisnà, inte ’a vertase ’ndea a far un giro in bici o na bea caminada.Nona, gratzie de tut!Co ti ho passà tante bee jornàde...

Riccardo Caresia

________________________6. Già il titolo della prossima poesia ci immerge nel rapporto speciale che lega una nonna alla nipote e tuttipossono rivedersi in esso. È una splendida estate, all’ombra della tranquillità del giardino retrostante la casa:una nonna custodisce il suo bene più prezioso e come un guerriero lo controlla, guai che si faccia male! Mala vita, sin da piccoli, è fatta di cadute e ʻrialzateʼ... Quel guerriero, però, rende sicura la piccolina cheperciò non le teme.Il ruolo della nonna-guerriero, cambia poi in casa dove tutto si fa dolcezza e dove alla nipotina vieneconcesso tutto, persino di giocare con la pasta vera! Purtroppo il tempo passa e quella bambina, cresciuta,non sa più guardare a quel giardino con quegli stessi occhi incantati dalla magia e non sa più trovare iltempo per rivivere quei momenti felici con la sua nonna, ma sa che è grazie a lei che la sua infanzia è statadavvero felice. Queste riflessioni si concludono con un grazie finale che sembra uscire anche dalla nostrabocca e riempire le nostre orecchie.

GRATZIE NONA!

Nona cara,me *ricorde* *sovièn*de tute ’e jornae passae co ti,inte ’l jardin da drìo ’a to casa;me *ricorde* *sovièn*de tute ’e ridéste fate par na paròea dita mal;

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me *ricorde* *sovièn*có, da picenina, corée in giro da par tut e ti te me tzighéa:«Gaia! Fermate, vien cuà! Sta tenta che te casca inte ’l fos!»E mi ridée e corée pi forte.Dée volte caschée e tachée a pianzaraeóra ti te rivéa e te me diséa roba,ma dopo te me vardéa e te me cocoéa.Eco, aeóra tut tornéa a posto,me paréa che eà, inte i to bratzi, gnent de brut podesse capitarme,me sintìe proteta.Có te me moéa, te me ciapéa par man e te me portéa drento:mi tachée a tirar fora tuti i tzioghi che vée,ciapée i tecéti e i metée sora el gas,cioée ’a pasta e ’a butée drento.Cuànt che me son divertìa insieme a ti,anca des me diverte, ma i é pochi i jorni che se vedén.Me manca el jardin,vist co i oci de na putèae me manca tute ’e jornàe de istà passàe a divertìrse.Ciao nonae gratzie de verme regaeà na ʻinfanziaʼ cussì feìtze.

Gaia Crispo

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Giulia Ilie

Se è complessa la riflessione sul testo poetico, ancora più impegnativa è quella relativa a un testo in prosa...I ragazzi della classe Terza A si sono voluti cimentare anche in questa prova. Eccone alcuni esempi e irelativi suggerimenti su come poter operare eventuali scelte sotto il profilo linguistico:

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1. A NOSTRA GENERAZIÓN

Mi són nassùa nel 2003, cuesta ‘a è na generazión tuta par conto suo. Ancùo i tosáti ‘i va in girosenpre co ’e cufie so ’e rece, no ’i se parla gnanca pì tra de lori, sol che co i mesagi. Ancùo i tosáti,‘i zioga co ’l teefono, có na’ volta l’unico ziogo iera el baeón. Ancùo i tosáti ’i se scrive soltanto co’l teeofono, có na’ volta l’unico modo pa’ sentirse iera mandarse ’e étare. Iera senpre na’ grandaemozión vedar che rivéa posta par ti: no te vedéa ora de lezarla e rispondar. Ancùo i tosáti ‘i va ingiro co ’e braghe sbregae, có na’ volta e none e féa de tut pa’ justarle co i tacóni. Ancùo i tosáti i sediverte scoltando ’a musica serai su in càmara, có na’ volta se fea de tut pa’ ‘ndar a ziogàr inte ’ljardin. ’l é brut védar ’e nostre radìse che pin pianin ’e va’ perse. ’l è brut vedar che el nostro diaeto,che el vegnéa parlà ogni dì, ades nessun se ’o ricorda pì.

Desirèe Bianco

A NOSTRA GENERATZIÓN

Mi són nassùa inte ’l 2003: ’sta qua ’a é na generatzión tuta par conto suo. Ancùo i tosáti i va ingiro senpre co ’e cufie so ’e rece, no i se parla gnanca pì tra de eóri, fora che co i messagi. Ancùo itosáti i zioga co ’l teèfono, có na volta ’l unico ziogo jèra el baeón. Ancùo i tosáti i se scrivesoeamente co ’l teèfono, có na volta ’l unico modo par sentirse jèra mandarse ’e étere. Jèra senprena emotzión granda védar che te rivéa de ’a posta par ti: no te vedéa ’a ora de èzarla e rispondar.Ancùo i tosáti i va in giro de stornoeón co ’e braghésse sbregae, có na volta ’e none ’e féa de tut parjustarle co i tacóni. Ancùo i tosáti i se diverte scoltando ’a musica serài su inte ’a so stanza (incàmara sua), có na volta se fea de tut par ’ndar a ziogàr inte ’l jardin. ’L é brut védar ’e nostreràdise che pin pianìn ’e va perse. ’L è brut vedar che el nostro diaèto, che ’l vegnéa parlà ogni dì,ades nessun el se ’o ricorda pi.

Per il termine: (cuesta) scegliere tra; - sta cuà - o - ’sta qua –In questa poesia si evidenzia tale “quesito”: ( ’i ) in realtà significherebbe ( i li ) ( i se ) etc. (doppio pronome maschile),per cui non è indispensabile l'uso dell'apostrofo, non essendo avvenuta in effetti alcuna elisione.Si consiglia di prendere una ponderata decisione, dopo unʼoculata osservazione di quanto il prof. Silvano Belloni,riferendosi ad un’altra variante (padovana), evidenzia nella sua “Grammatica Veneta” (Esedra Editrice 2009). Inparticolare quando scrive (p. 77):Sono pronomi personali di terza persona plurale.- i, lori = essi, loro [ lat. “i(l)loru(m” > luri, juri ]- le, loro = esse, loro [ lat. “(il)laru(m) > lore, eore ]Es. Lori i fa tuto par dispeto. Essi fanno tutto per dispetto.Lore le strussia senpre. Esse si affaticano sempre.Beati lori ! Fortunae lore ! Beati loro ! (masch.) Fortunate loro ! (fem.)Dell'opportunità o meno di usare l'apostrofo il prof. Belloni parla quando cita il caso di - na o ’na – (p. 60), simile aquanto accade agli articoli femminili la / le:na è l’articolo indeterminativo che si premette ai nomi di genere femminile. Poiché la parola è completa in sé, non hasenso premettervi un apostrofo, quasi derivasse dall’italiano.Es. na bossa de ojo = una bottiglia di olio; na casa poareta = una casa povera; na iena, na oca, na ùlsera ( ulcera ).

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2. NONO, COSA TE PENSA DEI ZÓVANI DE ANCÙO?

- L’è n’altra generaziòn rispèto a mia de sicuro. Tuti piturài sui brazi, gambe e man. Mi nó capisecosa ghe trovè de bel. Par nó parlar dei braghe sbusae sui zenòci. Có iere picenin me pare mecontéa che có ea iera putea se a vea e braghe sbusae, só mama ’ndea dirèta a ciòr ago e fil parcusirghe el buso in drio man. Me disèa che nó se podéa ‘ndar a scuoea co’ braghe ròte e senza zòcoiparchè e maestre te mandéa casa. Inveze se te varda, tuti i va via co’ e braghe coi busi pa’ tuti icantóni: se li vedése me nona a ciaparìe un mucio de schei se dovese cusirli tuti. Nó sta’ dirme cheanca ti te va in giro cusì -

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- Ma no nono, nó i me piase. E cosa te pensa de cuei che i fuma? -- Mi pense che fa de sicuro mal, ma te deve dir che co’ iere zóvane mi nó se savea che fea mal,fumar iera normal e iera come na “moda”. Ma có i ga capìo che el fea mal iera zà masa tardi parchètanti lo fea e smetar nóe fazie. Mi te dise solche na’ roba, se nó te o fa l’é mejo parchè se tescumizia nó te finise pì. Scolta el to vecio, fame un piazer. -

Angela Salvalaio

NONO, COSS’ÉO CHE TE PENSA DE I ZÓVANI DE ANCÙO?

- ’L é nantra generatzión rispèto àea mia, de sicuro. Tuti piturài sui bratzi, gambe e man. Mi nocapisse cosa che ghe trovée de bel. Par no parlar dée braghésse sbusae so i zenòci. Có mi jèrepicenin me pare me contéa che, có eù el jèra putel, se ʼl vésse vu ’e braghésse sbusae, só mama’ndea drìta a ciór ago e fil par cusirghe el buso indrioman. El me disèa che no se podéa ’ndar ascuòea co’ ’e braghésse ròte e senza tzòcoi parchè ’e maestre ’e te mandéa casa. Inventze, se tevarda ben, tuti i va via co ’e braghésse co busi da par tuti i cantóni: se i li vedésse me nona aciaparìe un mucio de schei se dovesse cusirli tuti. No sta’ dirme che anca ti te va in giro cussì!? -- Ma no nono, no i me piase. E coss’éo che te pensa de cuei che i fuma? -- Mi pense che fa de sicuro mal, ma te deve anca dir che, có jère zóvane mi no se savea che fea mal,fumar jèra normal e jèra come na ʻmodaʼ. Ma có i à capìo che el fea mal jèra za massa tardi parchètanti za i lo fea e smetar no é fàtzie. Mi te dise sol che na roba, se no te ’o fa ’l é mejo parché, se tescuminzia, no te finisse pi. Scolta el to vecio, fame un piatzér. -

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3. A TECNOEOGIA E A NOVA GENERASION

Chialtra sera jère drio ciacoeàr co' me nona sul fato che nialtri boce se dopera massa i teefonini. Ame disea che co' a jèra picoea ea, ghe bastea poc pa' divertirse e invesse nialtri sà sempre bisognodea tecnoeogia e, sensa, non sen boni de far niente.Mi ghe disee: - Cara nona, i tempi i è cambiai, a nostra generasion è nata coʼ tuta sta tecnoeogia. -Secondo mi, bisogna tegner conto che tute ste robe nove e ne dà na caterva de possiibità. Bastapensar che in un atimo se pol comunicar da un posto a che altro del mondo o comprar via internetqualsiasi roba, da un biglieto aereo a na maglia, sensa gnianca alsarse daea carega. I tempi i ècambiai.Però è anca vero che se pol perdar certi vaeori, stando sempre da soi in compagnia del teefonin ebasta. E' importante saver star anca coi amighi, i familiari....Bisogna saver trovar el giusto equilibrio, in modo che se sappia sfruttar e robe nove sensadesmentagar i insegnamenti dei nostri genitori e dei noni.

Claudia Agnolon

A TECNOEOGÌA E ʼA NOVA GENERATZION

Cheàltra sera jère drio ciacoeàr co me nona so ’l fato che noantri bòce se dòpara massa i teefonini.’A me disea che, có ’a jèra pìcoea éa, ghe bastéa poc par divertirse e inventze noantri se à senprebisogno de ’a ʻtecnoeogia’ e, sentza, no sen pi boni de far gnent.Mi ghe disée: - Cara nona, i tenpi i è canbiai, ’a nostra generatzion ’a é nassùa co tuta staʻtecnoeogìaʼ. -Secondo mi, bisogna tegner conto che tute ’ste robe nove ’e ne dà na stràje de possibiità. Bastapensar che inte un atimo se pol comunicar da un posto a cheàltro de ’l mondo o conprar via Internetqualsiasi roba, da un bijéto aereo a na màja, sentza gnanca evarse dàea carega. I tenpi i è canbiai.Però é anca vero che se pol perdar tzerti vaeóri, stando senpre da soi in conpagnia de ’l teefonin e

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basta. ’L é inportante saver star anca co i amighi, co i tui de faméja...Bisogna saver trovar el caìbrio just, in modo che se sàpia sfruttar ’e robe nove sentzadesmentagarse de i insegnamenti de i nostri genitori e de i noni.

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4. I PROBLEMI DE DES

- Ciao nona - saeude me nona ’ndando drento.- Ciao stea - a me dise ea. - Come ea andaa ancuo? -- Ben ben nona, spero de aver fato justo a verifica! - risponde mi.- Co sta jornaa freda qua no te a fredo co e braghese tute sbregae? - me domanda ea.- No nona, stae benon - ghe dise ridendo.Se sentemo a magnar e continuemo a ciacoear.-Varda ti, des voialtri ande’ in tzerca dee braghe sbregae; quando jere picinina mi invese no se n’dea gnanca fora de casa e se e portea suito a far ramendar - me dise me nona.Mi ghe soride e tachem a tivision “Tosato el sa impica”, eco a prima notisia del teejornal.Me nona a se gira ’a vardarme.- Satu na volta nesun tosato el se copea, no jera tempo de pensar a ste robe, bisognea lavorar ostudiar e anca jutar casa. - a dise sospirando.- O so nona ma des tuti i pensa a altre robe e fameje no sempre e juta i fioi e jori ciapa strade bruteche li porta a far ste fine qua- risponde mi.Dopo me metto a vardar el teefonin e digo: - Che bel che ‘l stato la’, varda sta foto nona! -- Bea si , ma cossa eo sto stato? - a me domanda ea.- El e’ na frase che se mete su whatsapp. -- E cossa eo sto whatsapp? -- A e’ na roba sul teefono par scrivar co e persone. -- Ah mi no ghe capise de ste robe cua, cuanto ben se stea co no ghe jera sti teefonini e sti computer!Co jere tosa mi,e ste robe no jera, jerimo tuti più corajiosi, se se disea e robe in facia. I tosati de desi fa tut par mesajo co sti computer a vita e’ più fasie si ma tuti se move manco - a me dise. - Atumagnà ben? Des fate i compiti che dopo te me da na man a far i laori. -- Va ben nona des scominsie. -

Gaia Crispo

I PROBLEMI DE DES (? poblemi ?) Se vuoi, potresti metterlo, era una forma usata ai primi anni del 1900- Ciao nona - ’ndando drento saeùde me nona.- Ciao stéa - ’a me dise éa . - Come éa ’ndàa ancùo? -- Ben ben, nona, spere de ver fat just ’a verifica! - risponde mi.- Co ’sta jornàa freda qua no te à fredo co ’e braghesse tute sbregae ? - devi decidere se: qua o cuàper tutto il testo’a me dimanda éa. - No nona, stae benon- ghe dise ridendo.Se sentén a magnar e continuén a ciacoeàr. -Varda ti, des valtri ’ndé in tzerca dée braghe sbregàe;có mi jère picenina, inventze, no se ’ndea gnanca fora de casa e se ’e portéa suìto a far ramendar-me dise me nona. Mi ghe soride e tachén ’a teevisión.“Un tosàt el se à picà”, èco ’a prima notìtzia de ’l teejornàl. Me nona ’a se volta a vardarme. - Sàtu?Na volta no jèra nissun tosat che ’l se copéa, no se véa gnanca ’l tenpo de pensar a ’ste robe,bisognéa eavoràr o ’ndar a scuòea e anca jutar casa - ’a dise sospirando. - ’O so nona, ma des tuti i pensa a altre robe e ’e faméje no ’e è tute che ’e juta senpre i fioi e aeóraeóri i ciapa brute strade che pó i li porta a far ’sta fin qua - risponde mi.Dopo me mete a vardar el teefonin e dise: - Che bel che ’l è ’sto ʻstatoʼ qua, varda ’sta foto nona! -- Bea, si, ma cossa éo ’sto ʻstatoʼ? - ’a me dimanda éa. - El é na frase che se mete so whatsapp. -- E cossa éo ’sto whatsapp? -- ’A é na roba so ’l teèfono che ’a ne serve par scrivar co ’a zent. -

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- A! mi no ghi ne capisse gnent de ’ste robe cua; cuant ben che se stéa có no jèra tuti ’sti teefonini e’sti computer ! Có mi jère tosa, ’ste robe no ’e jèra mia, se jèra tuti pi corajósi, se se disea ’e robe infacia. I tosati de des i fa tut par messàjo. Co ’sti computer ’a vita ’a é piu’ fatzie, sì, ma tuti se semove manco - ’a me dise.- Àtu magnà ben? Des, aeóra fate ’e etzión, che dopo te me dà na man a far i eavóri. -- Va ben nona, des scumìntzie. -

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5. I PROBLEMI DEI TOSATI DE ANCUO

Ancuo i zovani i se butta zo co gnent. No je pì in grado de frontàr e dificoltà dea vita e i preferissealtre strade; un pochi i se copa, altri i se droga, altri i beve e i deventa deinquenti.I è tuti insemenii coi ziogheti e i perde tempo a farse foto par far vedar a che altri quel che i à.I vol vivar sue spae dei so vèci senza far fadiga; no i j api voja de studiar e i moea a scuoea a sedeseani.I pensa tuti ae morose e ai morosi senza saver che a è na gran rotura. El sabo de sera i va a imbriagarse in discoteca, i ciol pastiglie par divertirse, i se mete in machina, ise copa lori e che altri.I ghe rimete sempre i bravi tosati! Vitime de buismo, je vitime de tosati pì grandi che i mena.Quando che me noni i vea a so età za i lavorea e j era responsabili, des je tuti imbaucai su! No è pì itosati de na volta!

Giada Bortoletto

I PROBLEMI DE I TOSATI DE ANCUO(? POBLEMI ?) Se vuoi, potresti metterlo, era una forma usata ai primi anni del 1900 (Le note in verde sonoconsigli “opzionali”)

Ancuo i zovani i se buta zo co gnent. No i é pi in grado de frontàr ’e dificoltà de ’a vita e ipreferisse altre strade; un pochi i se cópa, altri i se droga, altri i beve e i deventa deinquenti. I è tuti insemenìi co i ziogheti e i perde tenpo a farse foto par farse vedar da chealtri (farghe vedar achealtri) quel che i à.I vol vivar sóra ’e spae de i so vèci sentza far fadiga; no i à pi vòja de studiar e a sédese ani i mòea’a scuoea. I pensa sol che a ’e morose e a i morosi sentza saver che ’a é na “gran rotura”. El sabo de sera i va a inbriagarse in discoteca, i ciól pastiglie (de i bocóni cussì,) par divertirse(spasso) e po’ i se mete in machina e cussì i se copa, eòri e anca chealtri. I ghe rimete senpre i tosati pi bravi! I è vìtime de ’l ʻbuismoʼ, i é vitime de i tosati pi grandi de eóri,che i li mena. Có i me noni i véa ’a so età za i lavorea e i jèra responsabii; des i é tuti inbaucai su! No i é pi i tosatide na volta!

Conclusioni.

Viene da chiedersi cosa si è imparato in questo corso di “poesia dialettale del Basso Piave”.Sicuramente abbiamo imparato che la “lingua” veneta esiste: ha una sua storia, sue tradizioni, è composta dadiversi dialetti ed è il patrimonio prezioso di tutti noi: un patrimonio di cui andare orgogliosi (anche se nonsi è di origine italiana o veneta, ma solo per il fatto che noi stiamo vivendo in questo territorio)!Un detto veneto afferma: “un àlbaro che no ’l ga raixe, el more presto”: noi non vogliamo che le nostretradizioni finiscano nelle pagine di un libro dimenticato e per questo speriamo di continuare a coltivarequesto interesse, nato da un incontro a scuola con l’Associazione G.R.I.L. Basso Piave.

I ragazzi della 3^A

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