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A.Dumas

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Alexandre Dumas. LA SANFELICE. Adelphi Edizioni, Milano 1999 (gli Adelphi 144). PRIMO VOLUME. Titolo originale: "La San Felice". Traduzione di Fabrizio Ascari, Graziella Cillario e Piero Ferrero. Cura editoriale di Emma Bas. Cura redazionale di Pia Cigala Fulgosi e Stefano Zicari. "La Sanfelice" apparve a puntate sul quotidiano parigino La Presse fra il 15 dicem bre 1863 e il 3 marzo 1865 - e, con uno scarto di qualche mese (10 maggio 1864-2 8 ottobre 1865), sull'Indipendente, il giornale che proprio a Napoli Dumas aveva f ondato e diretto. Pressoch contemporanea l'edizione in nove volumi di Michel Lvy, Parigi, 1864-1865. INDICE. PRIMO VOLUME. Premessa. 1. La galea capitana. 2. L'eroe del Nilo. 3. Il passato di Lady Hamilton. 4. La festa della paura. 5. Il palazzo della regina Giovanna. 6. L'inviato di Roma. 7. Il figlio della morta. 8. Il diritto d'asilo. 9. La maga. 10. L'oroscopo. 11. Il generale Championnet. 12. Il bacio di un marito. 13. Il cavaliere Sanfelice. 14. Luisa Molina. 15. Il padre e la figlia. 16. Un anno di prova. 17. Il re. 18. La regina. 19. La camera illuminata. 20. La camera buia. 21. Il medico e il prete. 22. Il Consiglio di Stato. 23. Il generale barone Karl Mack. 24. L'isola di Malta. 25. Nella casa di uno studioso. 26. I due feriti. 27. Fra Pacifico. 28. La questua. 29. Assunta. 30. I due fratelli. 31. Dove entra in scena Gaetano Mammone. 32. Un dipinto di Lopold Robert. 33. Fra Michele. 34. Loque e Chiffe. 35. Fra Diavolo.

36. Il palazzo Corsini a Roma. SECONDO VOLUME. 37. Giovannina. 38. Andrea Backer. 39. I canguri. 40. L'uomo propone. 41. L'acrostico. 42. I versi saffici. 43. Dio dispone. 44. Il presepio di re Ferdinando. 45. Ponzio Pilato. 46. Gli inquisitori di Stato. 47. La partenza. 48. Qualche pagina di storia. 49. La diplomazia del generale Championnet. 50. Ferdinando a Roma. 51. Castel Sant'Angelo si fa sentire. 52. Dove ricompare Nanno. 53. Achille e Deidamia. 54. La battaglia. 55. La vittoria. 56. Il ritorno. 57. Le preoccupazioni di Nelson. 58. Tutto perduto, anche l'onore. 59. In cui Sua Maest comincia col non capire nulla e finisce col non aver capito nulla. 60. In cui Vanni raggiunge finalmente lo scopo che si prefiggeva da tempo. 61. Ulisse e Circe. 62. L'interrogatorio di Nicolino. 63. L'abate Pronio. 64. Un discepolo di Machiavelli. 65. In cui Michele il Pazzo nominato capitano in attesa di essere nominato colon nello. 66. Amante-sposa. 67. I due ammiragli. 68. In cui si spiega che differenza c' fra popoli liberi e popoli indipendenti. 69. I briganti. 70. Il sotterraneo. 71. La leggenda di Montecassino. 72. Frate Giuseppe. 73. Padre e figlio. 74. La risposta dell'imperatore. 75. La fuga. 76. In cui Michele si arrabbia sul serio con il Beccaio. 77. Fatalit. 78. La giustizia divina. TERZO VOLUME. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. La tregua. I tre partiti di Napoli all'inizio dell'anno 1799. In cui succede quello che doveva succedere. Il principe di Moliterno. Rottura dell'armistizio. In cui il comandante di Castel Sant'Elmo diventa pi umano. La diplomazia del governatore di Castel Sant'Elmo.

86. Il biglietto. 87. In cui si vede finalmente come la bandiera francese fosse stata inalberata s u Castel Sant'Elmo. 88. Le Forche Caudine. 89. La prima giornata. 90. La notte. 91. La seconda giornata. 92. La terza giornata. 93. La veglia d'armi. 94. In cui il lettore ritorna nella casa della Palma. 95. Il voto di Michele. 96. San Gennaro patrono di Napoli e comandante in capo delle truppe napoletane. 97. San Gennaro e la sua corte, in cui l'autore costretto a prendere a prestito dal suo "Corricolo" un capitolo gi pronto non sperando di riuscire a fare meglio. 98. Come san Gennaro fece il suo miracolo e della parte che vi ebbe Championnet. 99. La Repubblica partenopea. 100. La burrasca. 101. Il "Vanguard" e la "Minerva". 102. La tempesta. 103. Qual era la grazia che il pilota intendeva chiedere. 104. I reali a Palermo. 105. Le notizie. 106. Come il principe ereditario poteva essere contemporaneamente in Sicilia e i n Calabria. 107. Il diploma del cardinale Ruffo. 108. Il primo passo verso Napoli. 109. Eleonora Fonseca Pimentel. 110. Andrea Backer. 111. Il segreto di Luisa. 112. In cui Michele il Pazzo fa propaganda. 113. Lealt per lealt. 114. Michele il Saggio. 115. Gli scrupoli di Michele. 116. L'arresto. 117. L'apoteosi. 118. In cui torna in scena una nostra vecchia conoscenza. 119. I sanfedisti. 120. In cui il falso duca di Calabria fa ci che avrebbe dovuto fare quello vero. 121. Nicola Addone. 122. L'avvoltoio e lo sciacallo. 123. L'aquila e l'avvoltoio. 124. L'accusato. 125. L'esercito della Santa Fede. 126. I piccoli doni conservano l'amicizia. 127. Ettore Carafa. 128. Schipani. 129. I sanfedisti davanti ad Altamura. 130. Il vessillo della regina. 131. Il principio della fine. 132. La festa della fraternit. 133. Francesco Caracciolo. 134. Il ribelle. 135. Di quali elementi si componeva l'esercito cattolico della Santa Fede. QUARTO VOLUME. 136. Corrispondenza reale. 137. La moneta russa. 138. Le ultime ore.

139. In cui un uomo onesto propone una cattiva azione che altri uomini onesti so no cos stolti da non accettare. 140. La "Marsigliese" napoletana. 141. In cui Simone Backer chiede un favore. 142. La liquidazione. 143. Un ultimo avvertimento. 144. Gli avamposti. 145. La giornata del 13 giugno. 146. La giornata del 13 giugno. 147. La giornata del 13 giugno. 148. Che cosa andava a fare il Beccaio in vico dei Sospiri dell'Abisso. 149. La notte fra il 13 e il 14 giugno. 150. La notte fra il 13 e il 14 giugno. 151. La notte fra il 13 e il 14 giugno. 152. La giornata del 14 giugno. 153. La giornata del 14 giugno. 154. La notte fra il 14 e il 15 giugno. 155. In cui sant'Antonio trionfa e san Gennaro cade in disgrazia. 156. Il messaggero. 157. L'ultimo combattimento. 158. L'ultimo pasto. 150. La capitolazione. 160. I predestinati alla vendetta. 161. La flotta inglese. 162. La nemesi lesbica. 163. Il cardinale e l'ammiraglio. 164. In cui il cardinale fa quello che pu per salvare i patrioti e i patrioti fan no quello che possono per finir male. 165. In cui Ruffo fa il suo dovere di uomo onesto e Sir William Hamilton il suo mestiere di diplomatico. 166. La lealt cartaginese. 167. Due onesti compari. 168. Per ordine di Horace Nelson. 169. L'esecuzione. 170. In cui il romanziere adempie al compito dello storico. 171. In cui si dice che cosa abbia impedito al colonnello Mejean di uscire da Ca stel Sant'Elmo insieme a Salvato nella notte fra il 27 e il 28 giugno. 172. In cui si dimostra che frate Giuseppe vegliava su Salvato. 173. Il benvenuto a Sua Maest. 174. L'apparizione. 175. Il peccato commesso dal cardinale Ruffo. 176. Un uomo di parola. 177. La Fossa del coccodrillo. 178. Le esecuzioni. 179. Il tribunale di Monteoliveto. 180. In cappella. 181. La porta di Sant'Agostino alla Zecca. 182. Come si moriva a Napoli nel 1799. 183. Che cosa accadeva a Palermo tre mesi pi tardi. 184. Quali notizie portava la goletta "The Runner". 185. Marito e moglie. 186. Piccoli fatti attorno a grandi eventi. 187. La nascita di un principe reale. 188. Tonino Monti. 189. Il capocarceriere. 190. La pattuglia. 191. L'ordine del re. 192. La martire. Note.

"A Napoli, nel nome del padre e della Rivoluzione" di Ena Marchi. *** LA SANFELICE. La presente traduzione stata condotta sul testo della "San Felice" stabilito da Claude Schopp per l'edizione Gallimard (Parigi, 1996); anche le note (qui ridott e al minimo indispensabile) si basano su quelle dell'edizione francese. PREMESSA. Gli avvenimenti che ci accingiamo a raccontare sono cos strani, e i personaggi ch e metteremo in scena cos eccezionali, che ci sentiamo in dovere, prima di dedicar loro il primo capitolo di questa storia, di parlarne un poco con i nostri futur i lettori. La vicenda si svolge nel periodo del Direttorio compreso tra il 1798 e il 1800. I due eventi principali sono la conquista del regno di Napoli da parte di Champi onnet e la restaurazione di Ferdinando Quarto ad opera del cardinale Ruffo: due eventi incredibili entrambi, giacch Championnet, con diecimila repubblicani, scon figge un esercito di sessantacinquemila soldati e si impadronisce, dopo tre gior ni di assedio, di una capitale di cinquecentomila abitanti; quanto a Ruffo, part ito da Messina con cinque uomini, li vede via via aumentare percorrendo la penis ola da Reggio al ponte della Maddalena, arriva a Napoli con quarantamila sanfedi sti e rimette sul trono il re deposto. Solamente Napoli, con il suo popolo ignorante, volubile e superstizioso, poteva trasformare in eventi storici dei fatti cos inverosimili. Eccoli, nell'ordine in cui si svolsero: L'invasione dei francesi, la proclamazione della Repubblica partenopea, l'afferm azione delle grandi personalit che hanno fatto la gloria di Napoli nei quattro me si che dur questa repubblica, la reazione sanfedista di Ruffo, la restaurazione d i Ferdinando e i massacri che ad essa seguirono. Quanto ai personaggi, come in tutti gli altri libri di questo genere da noi scri tti, essi sono in parte storici e in parte immaginari. Sembrer forse singolare ai nostri lettori che noi consegniamo loro, senza perorar ne in alcun modo la causa, i personaggi di nostra invenzione che costituiscono l a parte romanzesca del libro; ma questi lettori sono stati per oltre un quarto d i secolo cos indulgenti nei nostri confronti da indurci a credere che, ripresenta ndoci dopo sette o otto anni di silenzio, non abbiamo bisogno di fare appello al la loro antica simpatia. Se saranno verso di noi quali sono sempre stati, la rit erremo gi una gran fortuna. Su qualcuno dei personaggi storici giudichiamo invece assolutamente necessario s offermarci un po'; altrimenti potremmo correre il rischio che vengano scambiati, se non per creazioni della fantasia, almeno per maschere camuffate a nostro cap riccio, a tal punto, nella loro grottesca eccentricit o bestiale ferocia, essi ap paiono lontani non solo da ci che avviene sotto i nostri occhi, ma anche da tutto quello che possiamo immaginare. Cos, non abbiamo alcun esempio di monarchi simili a Ferdinando, di un popolo che comprenda individui come Mammone. Vedete bene che scelgo i due estremi della sca la sociale: il re, "capo dello Stato"; il contadino, "capo della banda". Cominciamo dal re e, perch le coscienze monarchiche non gridino alla lesa maest, i nterroghiamo un uomo che ha fatto due viaggi a Napoli e che ha visto e osservato re Ferdinando all'epoca in cui, per esigenze di struttura narrativa, siamo cost retti a metterlo in scena. Quest'uomo Giuseppe Goriani, "cittadino francese", co me egli stesso si definisce, autore delle "Memorie segrete e critiche delle cort i, dei governi e dei costumi dei principali Stati d'Italia". Citiamo tre frammenti di questo libro, e mostriamo il re di Napoli scolaro, il r

e di Napoli cacciatore, il re di Napoli pescatore. Colui che parla adesso Goriani, non pi io: L'EDUCAZIONE DEL RE DI NAPOLI. Allorch, alla morte del re Ferdinando Sesto di Spagna, Carlo Terzo rinunci al trono di Napoli per salire su quello di Spagna, dichiar il maggiore dei suoi figli inc apace di regnare, attribu al secondo il titolo di principe delle Asturie e lasci i l terzo a Napoli, dove venne riconosciuto re nonostante la giovanissima et. Il pr imogenito era debole di mente a causa dei maltrattamenti inflittigli dalla regin a, che lo picchiava sempre, come le cattive madri della feccia del popolo. Era u na principessa di Sassonia, dura, avara, dispotica e malvagia. Carlo, partendo p er la Spagna, giudic che si dovesse dare un precettore al re di Napoli, ancora ba mbino. La regina, che esercitava la massima influenza sul governo, band un'asta p ubblica per assegnare quell'incarico cos importante. Il principe di San Nicandro fu il miglior offerente e se lo assicur. Costui aveva l'animo pi empio che abbia mai vegetato nel fango di Napoli. Ignorant e, dedito ai vizi pi turpi, non aveva mai letto in vita sua altro che l'"Uffizio della Santa Vergine", per la quale aveva una devozione particolare, che non gli impediva per di vivere nella dissolutezza pi sfrenata: tale era l'uomo a cui venne affidata l'importante missione di formare un re. E' facile indovinare quali fur ono le conseguenze di una simile scelta: non sapendo nulla, il principe non pote va certo insegnare alcunch al suo allievo; ma ci non era sufficiente a mantenere i l sovrano in una perenne infanzia: egli lo circond di individui della sua risma e allontan da lui qualunque uomo di valore potesse ispirargli il desiderio di istr uirsi. Godendo di un'autorit illimitata, egli vendeva favori, impieghi, titoli. D esiderando rendere il re del tutto incapace di occuparsi anche in minima parte d ell'amministrazione del regno, gli instill fin dall'inizio la passione della cacc ia, con il pretesto di far cosa gradita al padre che aveva sempre avuto un debol e per quel tipo di svago. Come se tale passione non bastasse a tenerlo lontano d agli affari di Stato, fece in modo che vi si aggiungesse quella della pesca, e q uesti sono tuttora i suoi passatempi preferiti. Il re di Napoli molto vivace, e lo era ancor pi da bambino. Aveva bisogno di piace ri che gli riempissero ogni momento della giornata. Il suo precettore gli cerc nu ove distrazioni, che contribuissero anche a modificare l'eccessiva mitezza e la bont che erano al fondo del suo carattere. San Nicandro sapeva che il principe de lle Asturie, oggi re di Spagna, amava particolarmente scorticare conigli; al suo allievo ispir la passione di ucciderli. Il re andava ad aspettare le povere best ie all'uscita di uno stretto passaggio che venivano obbligate a imboccare; e, ar mato di una mazza adeguata alle sue forze, le accoppava con grandi scoppi di ris a infantili. Come variante a questo svago, afferrava un coniglio, un cane o un g atto e si divertiva a lanciarlo per aria sino a farlo morire. In seguito, per pr ovare un piacere ancor pi vivo, espresse il desiderio di veder beffeggiare degli uomini, cosa che il suo precettore trov del tutto ragionevole: contadini, soldati , operai e persino gentiluomini della corte servirono cos da giocattolo al fanciu llo incoronato. Un ordine di Carlo Terzo venne per a interrompere tale nobile sva go; da allora al re fu consentito di prendersi gioco soltanto degli animali, fat ta eccezione per i cani che il re di Spagna prese sotto la sua cattolica e regal e protezione. Fu questo il modo in cui venne educato Ferdinando Quarto, al quale non insegnaron o nemmeno a leggere e a scrivere. La sua prima maestra di scuola fu sua moglie. IL RE DI NAPOLI CACCIATORE. Una simile educazione avrebbe dovuto produrre un mostro, un Caligola. Cos si aspet tavano i napoletani; ma la bont innata del giovane sovrano ebbe la meglio sugli e ffetti di insegnamenti cos perversi. Sarebbe stato un principe eccellente se foss e riuscito a frenare la sua passione per la caccia e la pesca, alla quale dedica

tanto tempo che potrebbe invece dedicare utilmente agli affari pubblici. Ma il timore di perdere una mattinata propizia per il suo svago preferito gli fa trasc urare anche le questioni pi importanti, e la regina e i ministri non esitano ad a pprofittare di questa debolezza. Nel gennaio del 1788 Ferdinando presiedeva un Consiglio di Stato nella reggia di Caserta. Erano presenti la regina, il ministro Acton, Caracciolo e alcuni altri. Si trattava di una questione della massima importanza. Nel bel mezzo della disc ussione si ud bussare alla porta. Tutti si sorpresero di quell'interruzione, e ne ssuno riusciva a immaginare chi potesse avere l'ardire di intervenire in un simi le momento; il re si precipit alla porta, la apr e usc dalla sala. Rientr poco dopo, dando segni di una gioia incontenibile, e invit i presenti a concludere al pi pre sto, giacch lo aspettava una faccenda ben pi importante di quella che si stava tra ttando. Il Consiglio fu sospeso e il re si ritir nella sua camera per coricarsi d i buon'ora, al fine di essere in piedi l'indomani prima del giorno. Quella faccenda cos importante era una battuta di caccia. E i colpi bussati alla p orta della sala del Consiglio erano un segnale convenuto fra il re e il suo batt itore, il quale, secondo gli ordini ricevuti, veniva ad avvertirlo che un branco di cinghiali era stato avvistato all'alba nella foresta, dove gli animali si ra dunavano ogni mattina. E' chiaro che il re doveva sciogliere il Consiglio per po tersi coricare di buon'ora ed essere in grado di sorprendere i cinghiali. Se fos sero scappati, che ne sarebbe stato della sua gloria? Un'altra volta, nello stesso luogo e nelle medesime circostanze, si udirono tre f ischi. Era un altro segnale concordato fra il re e il suo battitore. Ma la regin a e i partecipanti al Consiglio non apprezzarono affatto lo scherzo. Il re invec e, divertito, si affrett ad aprire una finestra e diede ascolto all'altro, che gl i annunciava l'arrivo di uno stormo di uccelli, aggiungendo che Sua Maest non ave va un minuto da perdere se voleva cogliere al volo la fortuna. Terminato il dial ogo, Ferdinando rientr a precipizio e disse alla regina: 'Mia cara signora, presiedi tu in mia vece e decidi secondo il tuo intendimento l a questione che ci ha qui riuniti'. LA PESCA REALE. Quando si sente dire che il re di Napoli non solo pesca, ma vende lui stesso il p esce che ha preso, sembra di ascoltare un racconto inventato di sana pianta. E i nvece non c' niente di pi veritiero. Io ho assistito di persona a questo spettacol o divertente e unico nel suo genere, e ve lo descriver. Il sovrano solito pescare nel tratto di mare vicino al promontorio di Posillipo, a tre o quattro miglia da Napoli. Dopo aver catturato una gran quantit di pesce, ritorna a terra e, appena sbarcato, si abbandona al massimo diletto che questo s vago gli procuri. L'intero frutto della pesca viene esposto sulla riva e richiam a i compratori, che fanno i loro acquisti dal monarca in persona. Ferdinando non d niente a credito; pretende anzi di essere pagato prima di consegnare la merce, e si mostra assai diffidente e sospettoso. Tutti possono in quell'occasione avv icinarsi al re, un privilegio di cui godono soprattutto i lazzaroni, ai quali eg li d prova di amicizia pi che a tutti gli altri. I lazzaroni hanno per dei riguardi per gli stranieri che vogliono vedere il sovrano da vicino. Quando inizia la ve ndita, la scena che si presenta davvero comica. Il re vende al prezzo pi alto pos sibile, decanta il suo pesce prendendolo nelle sue mani regali e dicendo tutto q uello che ritiene idoneo a solleticare la voglia dei presenti. I napoletani, che sono in generale molto alla mano, in queste circostanze trattano il re con la m assima familiarit, e gli lanciano ingiurie come a un qualsiasi venditore di pesce che chieda un prezzo eccessivo. Il re si diverte un mondo alle loro invettive, e ride a piena gola; poi va dalla regina e le racconta tutto quello che accaduto , prima alla pesca e poi alla vendita del pesce, traendone spunto per svariate f acezie. Ma durante tutto il tempo che egli dedica alla caccia o alla pesca, la r egina e i ministri, come abbiamo detto, governano a loro piacimento, e gli affar i di Stato non se ne avvantaggiano di certo. E adesso re Ferdinando ci apparir sotto una nuova luce. Questa volta, anzich inter

pellare Goriani, il viaggiatore che intravede per un attimo il re intento a vend ere il suo pesce o a passare al galoppo per andare a una battuta di caccia, ci r ivolgeremo a un intimo della casa, Palmieri de Miccich, marchese di Villalba (1), amante dell'amante del re, il quale ci mostrer quest'ultimo in tutta la sua cini ca codardia. Ascoltate bene: il marchese di Villalba che parla: Voi conoscete sicuramente i particolari della ritirata di Ferdinando o, per esser e pi precisi, della sua fuga, all'epoca dei fatti avvenuti nell'Italia meridional e alla fine dell'anno 1798. Li ricorder in due parole. Sessantamila napoletani, al comando del generale austriaco Mack e incoraggiati da lla presenza del loro re, avanzarono trionfalmente fino a Roma, quand'ecco che C hampionnet e Macdonald, radunando le loro esigue forze, piombarono su quell'eser cito e lo misero in fuga. Ferdinando si trovava ad Albano, allorch gli giunse la notizia di questa fulminea sconfitta. "Fuimmo! Fuimmo!" si mise a gridare. E' in effetti fugg. Ma, prima di salire in carrozza: 'Mio caro Ascoli,' disse al suo accompagnatore 'tu sai quanti giacobini vi siano in giro di questi tempi. Quei figli di p... non desiderano altro che assassinarm i. Facciamo una cosa, scambiamoci gli abiti. Durante il viaggio tu sarai il re, e io il duca d'Ascoli. In tal modo, io sar meno esposto al pericolo'. Detto fatto: il generoso Ascoli ader con gioia all'incredibile proposta; si affret ta a indossare l'uniforme del re e gli d in cambio la sua, poi sale in carrozza s edendosi a destra, e via, cocchiere! Novello Dandino, il duca recit alla perfezione la sua parte durante la corsa fino a Napoli, mentre Ferdinando, al quale la paura era buona consigliera, se la cava va a meraviglia in quella del pi docile dei cortigiani, tanto da far credere che non fosse mai stato altro in vita sua. Il re, per la verit, fu sempre grato al duca d'Ascoli per quella straordinaria pro va di dedizione alla monarchia, e finch visse non smise mai di dimostrargli manif estamente il suo favore; ma, per una bizzarria che si pu spiegare solo con il car attere di questo sovrano, gli accadeva spesso di canzonare il duca per la sua fe delt, facendosi beffe al tempo stesso della propria vigliaccheria. Un giorno mi trovavo insieme a quel gentiluomo e alla duchessa di Floridia in cas a di quest'ultima, nel momento in cui il re venne a offrirle il braccio per acco mpagnarla a tavola. Essendo nient'altro che un amico come tanti della padrona di casa, e sentendomi fin troppo onorato dalla presenza del nuovo arrivato, borbot tavo tra i denti il "Domine, non sum dignus" e indietreggiavo perfino di qualche passo, allorch la nobile dama, dando un ultimo sguardo alla propria acconciatura , si mise a tessere l'elogio del duca e della di lui dedizione alla persona del suo regale amante. 'Egli senza alcun dubbio' disse 'il vostro vero amico, il pi fedele dei vostri ser vitori, eccetera, eccetera'. 'S, s, donna Lucia' rispose il re. 'Domandate pure ad Ascoli che tiro gli ho giocat o quando siamo scappati da Albano'. Poi le raccont dello scambio di abiti e del modo in cui avevano recitato ciascuno la propria parte, e aggiunse, con le lacrime agli occhi e ridendo a crepapelle: 'Era lui il re! Se avessimo incontrato i giacobini, lui era bell'e che impiccato, e io sano e salvo!'. In questa storia tutto strano: strana la sconfitta, strana la fuga, strana la riv elazione di questi fatti davanti a un estraneo, giacch tale io ero per la corte e soprattutto per il re, al quale avevo parlato soltanto una volta o due. Fortunatamente per l'umanit, la cosa meno strana la dedizione dell'onesto cortigia no. A questo punto, lo schizzo che stiamo tracciando di uno dei personaggi del nostr o libro, alla verosimiglianza del quale temiamo che non si riesca a credere, sar ebbe incompleto se questo pulcinella reale ci apparisse soltanto come un lazzaro ne: se di profilo grottesco, visto di faccia egli terribile. Ecco, tradotta testualmente dall'originale, la lettera che il re scrisse a Ruffo

, che, dopo la vittoria, stava per entrare a Napoli; una lista di proscrizione d ettata dall'odio, dalla sete di vendetta e insieme dalla paura: Palermo, 1 maggio 1799 Mio eminentissimo, dopo aver letto e riletto e soppesato con la massima attenzione il passo della vo stra lettera del 1 aprile relativo al piano da stabilire circa il destino dei num erosi criminali caduti o che possono cadere nelle nostre mani, sia nelle provinc e, sia nella capitale, quando, con l'aiuto di Dio, essa torner in mio dominio, de vo per prima cosa annunciarvi che ho trovato tutto quanto mi dite in proposito c olmo di saggezza e dettato da quei lumi, da quell'ingegno e da quell'affetto di cui mi avete dato e mi date continuamente prove inequivocabili. Vengo dunque a informarvi delle mie disposizioni. Sono d'accordo con voi che non dobbiamo accanirci troppo nelle nostre ricerche, t anto pi che i cattivi soggetti si sono fatti conoscere cos apertamente che si potr in brevissimo tempo mettere le mani sui pi perversi. E' quindi mio intendimento che le seguenti categorie di colpevoli "siano arrestat e e tenute sotto debita sorveglianza. tutti i membri del governo provvisorio e della commissione esecutiva e legislativ a di Napoli; tutti i membri della commissione militare e della polizia istituita dai repubblic ani; tutti coloro che hanno fatto parte delle diverse municipalit e che, in generale, h anno ricevuto un incarico dalla Repubblica o dai francesi; tutti coloro che hanno aderito a una commissione avente lo scopo di compiere rice rche sui presunti sperperi e malversazioni del mio governo; tutti gli ufficiali che erano al mio servizio e che sono passati a quello della c osiddetta Repubblica o dei francesi". E' inteso che, nel caso in cui i miei uffi ciali fossero sorpresi a usare le armi contro le mie truppe o contro quelle dei miei alleati, "essi saranno fucilati entro le ventiquattr'ore senza alcuna forma di processo, cos come tutti i baroni che si opponessero con le armi ai miei sold ati o a quelli dei miei alleati; tutti coloro che hanno fondato giornali repubblicani o stampato proclami o altri scritti, ad esempio quelli atti a istigare i miei popoli alla rivolta o a diffon dere le massime del nuovo governo. Saranno inoltre arrestati i sindaci delle citt e i deputati delle localit che esaut orarono il mio vicario generale Pignatelli o si opposero alle sue operazioni e a dottarono misure contrastanti con la fedelt che essi ci devono. Voglio inoltre che vengano arrestati certa LUISA MOLINA SANFELICE e certo Vincenz o Cuoco, i quali hanno scoperto la controrivoluzione che si proponevano di fare i realisti, capeggiata dai Backer padre e figlio". Ci fatto, mia intenzione nominare una commissione straordinaria di uomini scelti e fidati che sottoporranno a giudizio militare i principali criminali fra quelli che verranno arrestati, "con il massimo rigore della legge". Coloro che saranno giudicati meno colpevoli verranno "economicamente" deportati f uori dai miei domini per tutta la vita, e i loro beni confiscati. A questo proposito, vi devo dire che ho trovato molto sensato ci che "voi osservat e" in merito alla deportazione; ma, a parte qualsiasi inconveniente, trovo che m eglio "sbarazzarsi di quelle vipere" piuttosto che tenerle fra noi. Se possedess i un'isola molto lontana dai miei domini e dal continente, accetterei senz'altro il vostro suggerimento di relegarveli; ma la vicinanza delle mie isole ai due r egni renderebbe possibile qualche cospirazione che quella gente potrebbe tramare con gli scellerati e gli scontenti che non fossimo riusciti a estirpare dai mie i Stati. D'altronde, le sconfitte considerevoli che, grazie a Dio, i francesi ha nno subito e che spero subiranno ancora, metteranno i deportati nella condizione di non poterci pi nuocere. Bisogner tuttavia riflettere bene sul luogo della depo rtazione e sul modo per effettuarla senza alcun rischio: del che mi sto attualme nte occupando. Quanto alla commissione che deve giudicare i reati di tutti costoro, non appena N

apoli sar di nuovo nelle mie mani vi penser senz'altro, e provveder a trasferire ta le commissione da questa citt alla capitale. Quanto alle province e ai luoghi in cui ora vi trovate, De Fiore potr proseguire la vostra opera, se siete d'accordo. Inoltre, fra gli avvocati provinciali e reali dei governi che non sono scesi a patti con i repubblicani, che si sono mantenuti fedeli alla corona e che hanno g iudizio, se ne possono scegliere alcuni e assegnare loro tutti i poteri straordi nari e incondizionati, per evitare che certi magistrati, sia della capitale sia delle province, che abbiano servito sotto la Repubblica, sia pure per esservi st ati spinti, come mi auguro, da inderogabili necessit, vengano chiamati a giudicar e dei traditori, nelle file dei quali io li colloco. A proposito di coloro che non sono compresi nelle categorie che vi ho indicato e che mi riservo di integrare, vi lascio la libert di fare in modo che vengano pron tamente ed esemplarmente puniti, con tutto il rigore delle leggi, nel caso li ri conosceste come i veri principali colpevoli e giudicaste necessaria tale punizio ne. Quanto ai magistrati della capitale, quelli che non avessero accettato incarichi speciali dai francesi e dalla Repubblica e avessero semplicemente assolto la fun zione di esercitare la giustizia nei tribunali di loro competenza, non saranno p erseguiti in alcun modo. Sono queste, per il momento, tutte le disposizioni che vi incarico di far eseguir e nel modo che giudicherete pi confacente e nei luoghi in cui ci sar possibile. Non appena avr riconquistato Napoli, mi riservo di aggiungerne di nuove, qualora g li eventi e le conoscenze da me acquisite lo richiedano. "Dopodich mia intenzione adempiere ai miei doveri di buon cristiano e di padre benevolo dei suoi popoli: dimenticare interamente il passato e concedere un perdono totale e incondiziona to che assicuri a tutti l'oblio delle colpe passate, sulle quali vieter di indaga re pi a lungo, nella speranza che tali colpe siano state causate non dalla corruz ione degli animi, ma da timore e pusillanimit". Non dimenticate tuttavia che i pubblici incarichi devono essere assegnati nelle p rovince a persone che si siano sempre comportate bene verso la corona e che, di conseguenza, non abbiano mai cambiato partito, giacch solo in tal modo potremo es sere sicuri di conservare ci che abbiamo riconquistato. Prego il Signore che vi conservi per il bene del mio servizio e per potervi espr imere in qualsiasi circostanza la mia autentica e sincera gratitudine. Nell'attesa, credetemi sempre Il vostro affezionato Ferdinando B. (2). Abbiamo in precedenza rilevato che una delle personalit pi incredibili, quasi inve rosimili, da noi inserite nel nostro libro affinch Napoli apparisse ai nostri let tori quale veramente fu nei giorni della rivoluzione, quella sorta di mostro, me t tigre e met gorilla, di nome Gaetano Mammone, che si colloca, rispetto al re, al l'altra estremit della scala sociale. Un solo autore ne parla come se lo avesse conosciuto di persona: Cuoco (3). Gli altri non fanno che ripetere quello che egli ne dice: Mammone Gaetano, dapprima mugnaio, poi comandante in capo degli insorti di Sora, fu un mostro sanguinario, di una barbarie senza pari. Nel giro di due mesi, in u na piccola zona del paese, egli fece fucilare trecentocinquanta disgraziati, sen za contare quelli - circa il doppio - che furono uccisi dai suoi sgherri. Non pa rlo dei massacri, delle violenze, degli incendi; non parlo delle orribili fosse in cui gettava gli infelici che cadevano nelle sue mani, n degli insoliti tipi di morte escogitati dalla sua crudelt di novello Procuste o Mezenzio. La sua sete d i sangue era tale da indurlo a bere quello che usciva dalle ferite dei poveretti che assassinava o faceva assassinare. "Chi scrive queste righe lo ha visto" ber e il suo proprio sangue dopo essere stato sottoposto a salasso, e cercare bramos amente, nella bottega di un barbiere, il sangue di coloro che erano stati salass ati prima di lui. Egli mangiava quasi sempre tenendo sul tavolo una testa mozzat a e beveva in un cranio umano. Ed a un simile mostro che Ferdinando di Sicilia scriveva: "Mio generale e amico". Quanto agli altri personaggi dell'opera - parliamo sempre dei personaggi storici -, un po' pi simili a esseri umani, essi sono: la regina Maria Carolina, della q

uale tenteremmo di fare uno schizzo preparatorio, se esso non fosse gi stato trac ciato a grandi linee in un magnifico discorso pronunciato dal principe Napoleone davanti al Senato, discorso che ancor vivo nella memoria di noi tutti; Nelson, la cui biografia stata scritta da Lamartine; Emma Lyonna, di cui potrete ammirar e venti ritratti nella Biblioteca imperiale; Championnet, il cui nome gloriosame nte inscritto nelle prime pagine della nostra Rivoluzione, e che, come Marceau, come Hoche, Klber e Desaix, come mio padre, ha avuto la fortuna di non sopravvive re all'avvento della libert; e infine alcune di quelle gloriose e poetiche figure che rifulgono in occasione di grandi rivolgimenti politici, quali furono in Fra ncia Danton, Camille Desmoulins, Biron, Bailly, Madame Roland, e a Napoli Ettore Carafa, Manthonnet, Schipani, Cirillo, Cimarosa, Eleonora Pimentel. Quanto all'eroina a cui s'intitola il libro, diciamo una parola non su di lei, m a sul suo nome: la Sanfelice. In Francia, parlando di una donna nobile o semplicemente distinta, si dice Madam e; in Inghilterra, Milady o Mistress; in Italia, paese della familiarit, si dice: la Tale. Da noi, una simile denominazione sarebbe giudicata scorretta; in Itali a, e soprattutto a Napoli, quasi un titolo di nobilt. A Napoli non verrebbe in mente a nessuno di dire, parlando di questa povera donn a resa famosa dalle enormi sciagure che la colpirono: La signora Sanfelice, o La no bildonna Sanfelice. Si dice semplicemente: LA SANFELICE. Ho ritenuto di dover conservare al libro, senza alcuna modifica, il titolo che e sso trae dalla sua eroina. Con ci, cari lettori, avendovi detto quello che vi dovevo dire, entreremo in argo mento, se davvero lo desiderate. ALEXANDRE DUMAS 1. LA GALEA CAPITANA. Fra il promontorio al quale Virgilio, collocandovi la tomba del trombettiere di Enea, ha dato il nome di capo Miseno, e il capo Campanella, che su uno dei suoi versanti vide nascere l'inventore della bussola e sull'altro aggirarsi, proscrit to e fuggiasco, l'autore della "Gerusalemme liberata", si estende il magnifico g olfo di Napoli. Questo golfo, sempre ridente, sempre solcato da migliaia di imbarcazioni, sempre echeggiante del suono di strumenti e del canto dei passanti, il 22 settembre 17 98 era ancora pi gaio, pi rumoroso e pi animato del solito. A Napoli il mese di settembre gi di per s splendido, collocato com' fra l'arsura so ffocante dell'estate e le piogge capricciose dell'autunno, ma il giorno dal qual e prende inizio la nostra storia lo era in modo particolare. Il sole riversava f iotti di luce dorata su quel vasto anfiteatro di colline che sembra allungare un o dei suoi bracci fino a Nisida e l'altro fino a Portici per premere la fortunat a citt contro i fianchi del colle di Sant'Elmo, dove sorge, simile a una corona m urale sulla fronte della moderna Partenope, la vecchia fortezza dei principi ang ioini. Il golfo, un'immensa distesa di azzurro simile a un tappeto disseminato di pagli uzze d'oro, fremeva al soffio della brezza mattutina, leggera, balsamica, profum ata; cos dolce da far sbocciare un sorriso ineffabile sui volti che accarezzava; cos viva che nei petti sollevati ad accoglierla nasceva all'istante quell'immenso anelito verso l'infinito che induce l'uomo a credere orgogliosamente di essere o almeno di poter diventare un dio, e che questo mondo sia soltanto un asilo mom entaneo, costruito sulla strada del cielo. Alla chiesa di San Ferdinando, che sorge all'angolo fra via Toledo e piazza San Ferdinando suonavano le otto. L'ultima vibrazione del suono che scandisce il tem po si era appena dissolta nello spazio che le mille campane delle trecento chies e di Napoli balzarono fuori, allegre e chiassose, dalle aperture dei loro campan ili, mentre i cannoni del Castel dell'Ovo, del Castel Nuovo e del Carmine, esplo dendo come rombi di tuono, sembravano voler soffocare quel fragoroso scampanio e

avvolgevano la citt in un cerchio di fumo; intanto Castel Sant'Elmo, fiammeggian te e annuvolato come un cratere in eruzione, improvvisava, di fronte all'antico vulcano silenzioso, un novello Vesuvio. Campane e cannoni salutavano con la loro voce di bronzo una magnifica galea che in quel momento, staccatasi dal molo, attraversava il porto militare e, sotto la doppia spinta dei remi e della vela, avanzava maestosa verso il largo, seguita da dieci o dodici imbarcazioni pi piccole ma splendidamente ornate quasi quanto l a loro capitana, la quale avrebbe potuto competere in sfarzo con il "Bucintoro", che porta il doge a sposare l'Adriatico. Al comando della galea c'era un ufficiale di quarantasei o quarantasette anni ch e indossava la fastosa uniforme di ammiraglio della marina napoletana; il suo vi so maschio, di una bellezza severa e imperiosa, era temprato dal sole e dal vent o; bench avesse il capo scoperto in segno di rispetto, egli teneva alta la fronte su cui ricadevano i capelli brizzolati attraverso i quali doveva essere passato pi di una volta il soffio violento della tempesta; fin dalla prima occhiata appa riva evidente che, per quanto illustri fossero i personaggi che portava a bordo, era lui che deteneva il comando; il portavoce in vermeil appeso alla sua mano d estra sarebbe stato il segno visibile di quel comando se la natura non avesse pr ovveduto a imprimere tale segno in modo ben pi indelebile nel lampo dei suoi occh i e nel tono della sua voce. Si chiamava Francesco Caracciolo e apparteneva all'antica famiglia dei principi Caracciolo, avvezzi a essere ambasciatori dei re e amanti delle regine. Egli stava in piedi sul ponte di comando, come avrebbe fatto in caso di combatti mento. Tutta la tolda della galea era sormontata da una tenda di porpora ornata dello s temma delle Due Sicilie e destinata a riparare dal sole gli augusti passeggeri. Costoro erano suddivisi in tre gruppi, diversi nell'aspetto e negli atteggiament i. Il primo, il pi ragguardevole, si componeva di cinque uomini che stavano al centr o della nave, tre dei quali non erano al riparo della tenda: portavano al collo dei nastri variopinti ai quali erano appese croci di tutti i paesi, e avevano il petto cosparso di decorazioni e attraversato da cordoni. Due di essi portavano attaccate a un bottone della giacca, come segni distintivi del loro rango, delle chiavi d'oro, che stavano a indicare il titolo onorifico di ciambellani. Il personaggio principale di questo gruppo era un uomo sui quarantasette anni, a lto e magro ma di struttura solida. L'abitudine di chinarsi per dare ascolto a c hi gli parlava gli aveva leggermente incurvato la schiena. Nonostante l'abito ri coperto di ricami in oro e le insegne di diamanti che gli scintillavano sulla gi acca, nonostante il titolo di Maest che ricorreva in continuazione sulle labbra d i coloro che a lui si rivolgevano, il suo aspetto era volgare, e nessuno dei suo i tratti, esaminati a uno a uno, rivelava la dignit regale. Aveva i piedi grossi, le mani tozze, polsi e caviglie tutt'altro che sottili; la fronte bassa, che de notava l'assenza di sentimenti elevati, e il mento sfuggente, segno di un caratt ere debole e indeciso, mettevano ancora pi in risalto il naso smisuratamente larg o e lungo, indice di un'abietta lussuria e di bassi istinti; soltanto lo sguardo era vivace e scherzoso, ma quasi sempre falso, a volte crudele. Questo personag gio era Ferdinando Quarto, figlio di Carlo Terzo, per grazia di Dio re delle Due Sicilie (4) e di Gerusalemme, infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza e Cast ro, principe ereditario di Toscana, che i lazzaroni di Napoli chiamavano pi sempl icemente, senza tante cerimonie, re Nasone. La persona con cui egli sembrava pi interessato a intrattenersi e che era vestita pi semplicemente di tutti, bench indossasse la giacca ricamata dei diplomatici, e ra un vecchio di sessantanove anni, piccolo di statura, con i radi capelli bianc hi pettinati all'indietro. Aveva un viso affilato, del tipo che la gente del pop olo chiama, con espressione caratteristica, a lama di coltello, naso e mento appun titi, bocca rientrante, occhio indagatore, chiaro e intelligente; le sue mani, e stremamente curate e sulle quali ricadevano i polsini in splendido pizzo inglese , erano cariche di anelli con preziosi cammei antichi montati in oro. Portava so ltanto due decorazioni, l'insegna dell'ordine di San Gennaro e il cordone rosso del Bagno con la medaglia d'oro a stella raffigurante al centro uno scettro fra

una rosa e un cardo, e intorno tre corone imperiali. Costui era Sir William Hamilton, fratello di latte del re Giorgio Terzo, e da tr entacinque anni ambasciatore di Gran Bretagna alla corte delle Due Sicilie. Gli altri tre erano il marchese Malaspina, aiutante di campo del re; l'irlandese John Acton, suo primo ministro, e il duca d'Ascoli, suo ciambellano e amico. Il secondo gruppo, che sembrava un dipinto di Angelica Kauffmann, era composto d a due donne alle quali, pur ignorandone il rango e la fama, anche l'osservatore pi indifferente non avrebbe potuto fare a meno di prestare un'attenzione particol are. La pi anziana delle due, pur avendo superato il periodo giovanile e pi brillante d ella vita, aveva conservato tracce considerevoli della passata bellezza; la sua figura, piuttosto alta, cominciava ad appesantirsi per via di una pinguedine che la freschezza del corpo avrebbe potuto far giudicare precoce se certe rughe pro fonde, scavate nell'avorio della fronte ampia e autoritaria dalle preoccupazioni della politica e dal peso della corona pi che dall'et, non avessero rivelato i qu arantacinque anni che ella stava per raggiungere; i suoi capelli biondi, di rara finezza e di una tinta incantevole, incorniciavano mirabilmente un viso il cui ovale primitivo si era leggermente deformato per effetto dell'inquietudine e del dolore. I suoi occhi azzurri, stanchi e distratti, emettevano, quando il pensie ro di colpo li animava, un bagliore cupo, e per cos dire elettrico, che, dopo ess ere stato il riflesso dell'amore, e poi il fuoco dell'ambizione, era diventato i l lampo dell'odio; la bocca umida di color carminio, con il labbro inferiore, pi sporgente dell'altro, che a tratti conferiva al viso un'espressione di indicibil e disdegno, si era disseccata e scolorita sotto i morsi continui di denti ancora belli e luccicanti come perle. Il naso e il mento erano rimasti di una purezza greca; il collo, le spalle e le braccia erano tuttora impeccabili. Questa donna, figlia di Maria Teresa e sorella di Maria Antonietta, era Maria Ca rolina d'Austria, regina delle Due Sicilie, sposa di Ferdinando Quarto, verso il quale, per ragioni che vedremo pi avanti, aveva provato dapprima indifferenza, p oi repulsione, infine disprezzo. Adesso si trovava in questa terza fase, che non sarebbe stata l'ultima, ed erano soltanto le necessit politiche a tenere uniti i due illustri sposi, che per il resto vivevano completamente separati, il re ded ito alla caccia nelle foreste di Lincola, di Persano, di Asproni, con pause di r iposo nel suo harem di San Leucio, la regina intenta a far politica a Napoli, a Caserta o a Portici, insieme al suo sinistro Acton, o a riposarsi sotto i pergol ati di aranci con la sua favorita Emma Lyonna, che in quel momento era distesa a i suoi piedi come una schiava regina. Bastava, d'altronde, gettare uno sguardo a quest'ultima per comprendere non solo il favore alquanto scandaloso di cui ella godeva presso Carolina, ma anche l'en tusiasmo frenetico suscitato dal suo fascino fra i pittori inglesi, che la ritra ssero in ogni possibile forma, e fra i poeti napoletani che la cantarono in tutt i i toni; se la natura umana pu conseguire la perfezione della bellezza, certamen te Emma Lyonna aveva raggiunto tale perfezione. E' indubbio che dalla sua intimi t con qualche moderna Saffo ella avesse ereditato quell'essenza preziosa donata d a Venere a Faone per farsene irresistibilmente amare; l'occhio meravigliato, pos andosi su di lei, sembrava dapprima distinguere i contorni di quel corpo mirabil e solo attraverso l'alone di volutt che da esso emanava; poi, penetrandovi a poco a poco, lo sguardo riusciva a scoprire la dea. Proviamo a dipingere questa donna, che scese negli abissi pi profondi della miser ia e raggiunse le pi splendide vette della ricchezza, e che, all'epoca in cui ci appare, avrebbe potuto gareggiare in belt, grazia e intelligenza con la greca Asp asia, l'egizia Cleopatra e la romana Olimpia. Ella era, o almeno pareva, giunta a quell'et in cui il corpo della donna in piena fioritura; la sua persona, a esaminarla nei particolari, suscitava allo sguardo un senso di graduale meraviglia; i capelli castani incorniciavano un volto roto ndo come quello di una fanciulla appena giunta alla pubert; gli occhi iridescenti , di cui sarebbe stato impossibile precisare il colore, scintillavano sotto due sopracciglia che sembravano dipinte da Raffaello; il collo era flessuoso e candi do come quello di un cigno; le spalle e le braccia, che con la loro morbidezza e rotondit e la grazia seducente delle movenze ricordavano non gi le fredde creazio

ni dello scalpello antico, ma i marmi soavi e palpitanti di Germain Pilon, gareg giavano con questi in compattezza e nell'azzurro delle venature; la bocca, simil e a quella della principessa della favola, figlioccia di una fata, che a ogni pa rola lasciava cadere una perla e a ogni sorriso un diamante, sembrava uno scrign o inesauribile di baci d'amore. In contrasto con le vesti prettamente regali di Maria Carolina, ella indossava una semplice tunica lunga di cachemire bianco con ampie maniche e di foggia greca, raccolta e stretta in vita da una cintura di m arocchino rosso con ricami d'oro, incrostata di rubini, opali e turchesi, e agga nciata con uno splendido cammeo raffigurante Sir William Hamilton. Ella si avvol geva, come in un mantello, in un ampio scialle indiano dai colori cangianti e a fiori d'oro, che pi di una volta, nelle serate intime organizzate dalla regina, l e era servito per eseguire la danza dello scialle, da lei inventata, della quale n essuna danzatrice o ballerina riusc mai a eguagliare la voluttuosa e magica perfe zione. Pi avanti avremo occasione di illustrare ai nostri lettori il singolare passato d i questa donna, alla quale, in un capitolo di semplice introduzione descrittiva, non possiamo dedicare, per quanto importante sia il posto da lei occupato nella storia che stiamo per raccontare, se non una rapida occhiata e una fuggevole at tenzione. Il terzo gruppo, simmetrico a questo, che si trovava alla destra di quello del r e, era composto da quattro persone: due uomini di et diversa che discorrevano di scienza e di economia politica, e una giovane donna pallida, triste e assorta ne i suoi pensieri, che teneva in braccio, cullandola e stringendola al cuore, la f iglioletta di pochi mesi. Una quinta persona, la quale altro non era che la nutrice della bimba, una flori da contadina con indosso il costume delle donne di Aversa, stava ritirata nella penombra, dove peraltro si vedevano scintillare le passamanerie in oro di cui er a guarnito il suo corpetto. Il pi giovane dei due uomini, di soli ventidue anni, con i capelli biondi, il men to ancora imberbe, la figura appesantita da una precoce obesit, che il veleno avr ebbe pi tardi trasformato in magrezza cadaverica, vestito di un abito azzurro ric amato in oro e sovraccarico di cordoni e insegne onorifiche, era il figlio maggi ore del re e della regina Maria Carolina e presunto erede al trono, Francesco, d uca di Calabria. Nato con un'indole mansueta e timida e spaventato in seguito da lle violenze reazionarie della regina, si era perci immerso nella letteratura e n elle scienze, e non chiedeva altro che di rimanere al di fuori della macchina po litica, temendo di essere stritolato dai suoi ingranaggi. Colui con il quale il principe si intratteneva era un uomo dall'aspetto austero e freddo, di una cinquantina d'anni, che non era esattamente un erudito ma, cosa c he a volte conta molto di pi, uno studioso. Egli portava come unica decorazione, su una giacca dagli ornamenti molto semplici, la croce di Malta, che richiedeva du ecento anni di nobilt ininterrotta: era in effetti un nobile napoletano, il caval iere di Sanfelice, bibliotecario del principe e cavaliere d'onore della principe ssa. La principessa, dalla quale avremmo forse dovuto iniziare, era la giovane madre alla quale abbiamo solo accennato, che, quasi avesse intuito di dover presto las ciare la terra per il cielo, stringeva al cuore la sua creatura. Anch'ella, come la suocera, era arciduchessa della illustre casa d'Asburgo; si chiamava Clement ina d'Austria; a quindici anni era venuta da Vienna per sposare Francesco di Bor bone e, fosse per un amore lasciato laggi, fosse per la delusione provata qui, ne ssuno, neanche sua figlia, qualora avesse avuto l'et per comprendere e per parlar e, avrebbe potuto dire di averla mai vista sorridere. Fiore del Nord, appena sbo cciata cominciava gi ad appassire sotto il sole ardente del meridione; la sua tri stezza era un segreto di cui lentamente moriva senza lagnarsi n con gli uomini n c on Dio; sembrava consapevole di essere condannata e, pura e devota vittima espia toria, si era rassegnata alla condanna che subiva non per le sue colpe ma per qu elle altrui; Dio, che ha tutta l'eternit per essere giusto, manifesta a volte cer te misteriose contraddizioni che la nostra giustizia mortale ed effimera non com prende. La figlia che ella stringeva al cuore, e che solo da qualche mese aveva aperto gli occhi alla luce, era quella seconda Maria Carolina che ebbe forse le

debolezze ma non i vizi della prima; fu la giovane principessa che and sposa al d uca di Berry, resa poi vedova dal pugnale di Louvel, e che, unica del ramo primo genito dei Borboni, tuttora ricordata in Francia per la sua simpatia e nobilt d'a nimo. E tutto quel mondo di re, principi e cortigiani che scivolava su quel mare azzur ro, sotto quella tenda di porpora, al suono di una musica melodiosa diretta dal bravo Domenico Cimarosa, maestro di cappella e compositore di corte, si lasciava via via alle spalle Resina, Portici, Torre del Greco, e avanzava sulla splendid a nave spinta verso il largo da quella nobile brezza di Baia cos fatale all'onore delle dame romane, e il cui soffio voluttuoso spirando sotto i portici dei temp li di Pesto, ne faceva fiorire i rosai due volte all'anno. Nello stesso tempo si vedeva profilarsi all'orizzonte, molto al di l di Capri e d el capo Campanella, un vascello da guerra che per parte sua, scorgendo la flotti glia reale, esegu le manovre di avvicinamento e, puntando la prua su di essa, spa r un colpo di cannone. Una leggera nuvola di fumo comparve sulla fiancata del colosso, intanto che sul pennone saliva leggiadramente il rosso stendardo d'Inghilterra. Dopo qualche sec ondo si ud una detonazione prolungata, simile al rombo di un tuono lontano. 2. L'EROE DEL NILO. Il bastimento che correva incontro alla flottiglia reale, e sul pennone del qual e abbiamo visto salire il rosso stendardo d'Inghilterra, si chiamava "Vanguard". L'ufficiale che lo comandava, il commodoro Horace Nelson, aveva appena distrutto la flotta francese ad Abukir e tolto a Bonaparte e all'esercito repubblicano og ni speranza di ritorno in Francia. Diremo in poche parole chi fosse questo commodoro Horace Nelson, uno dei pi grand i uomini di mare mai esistiti, il solo che abbia saputo contrastare e persino me ttere a repentaglio nelle acque dell'oceano la fortuna continentale di Napoleone . Qualcuno si stupir forse di sentir tessere proprio da noi l'elogio di Nelson, di quel terribile nemico della Francia che le ha estratto dal cuore il suo sangue m igliore e pi puro ad Abukir e a Trafalgar; ma gli uomini come lui sono un prodott o della civilt universale, che i posteri, senza far distinzione di nascita e di p aese, considerano parte della grandezza del genere umano, il quale deve circonda rli di reverente amore e ammirarli con immenso orgoglio; una volta scesi nella t omba, essi non sono pi n compatrioti n stranieri, n amici n nemici: si chiamano Annib ale e Scipione, Cesare e Pompeo, ovverosia opere e azioni. L'immortalit naturaliz za i grandi geni a vantaggio dell'universo. Nelson era nato il 29 settembre 1758; all'epoca di cui parliamo, aveva dunque qu arant'anni. Era nato a Burnham Thorpe, un piccolo villaggio della contea di Norf olk di cui suo padre era pastore; la madre era morta giovane lasciando undici fi gli. Uno zio che stava nella marina, e che era imparentato con i Walpole, lo prese co n s come allievo ufficiale sulla nave "Redoubtable", dotata di sessantaquattro ca nnoni. Egli and quindi al polo, dove rimase per sei mesi bloccato fra i ghiacci e lott co rpo a corpo con un orso bianco che lo avrebbe stritolato fra le zampe se uno dei suoi compagni non avesse ficcato la punta del moschetto nell'orecchio dell'anim ale e fatto fuoco. In seguito si rec a sud dell'Equatore, si smarr in una foresta del Per, e qui, addo rmentatosi ai piedi di un albero, fu morso da un serpente della peggiore specie, rischi di morire e conserv per tutta la vita delle chiazze livide simili a quelle del serpente stesso. In Canada ebbe il suo primo amore e fu sul punto di fare una vera e propria pazz ia. Per non lasciare colei che amava decise di dimettersi da capitano di fregata . I suoi ufficiali lo colsero di sorpresa, lo legarono come un criminale o come un folle, lo trascinarono sul "Sea Horse", su cui allora navigava, e lo rimisero

in libert solo in mare aperto. Di ritorno a Londra, si spos con una vedova, tale Mistress Nisbet; l'am con la pas sione che gli si accendeva nell'animo con tanta facilit e tanto ardore e, quando si rimise in mare, port con s il figlio Josuah che ella aveva avuto dal primo mari to. Allorch Tolone fu consegnata agli inglesi dall'ammiraglio Trogov e dal genera le Maudet, Horace Nelson, che era allora capitano dell'"Agamemnon", fu mandato c on il suo bastimento a Napoli per annunciare al re Ferdinando e alla regina Caro lina la resa del nostro primo porto militare. In tale occasione Sir William Hamilton, che, come abbiamo detto, era ambasciator e d'Inghilterra, lo incontr dal re, lo port a casa sua, lo lasci nel salotto, and ne lla camera della moglie e le disse: Vi ho portato un ometto che non pu certo vantarsi di essere bello; ma, o mi sbagli o di grosso, o un giorno sar la gloria dell'Inghilterra e il terrore dei suoi nem ici. E che cosa ve lo fa prevedere? domand Lady Hamilton. Le poche parole che abbiamo scambiato. Egli in salotto; venite, mia cara, a fare gli onori di casa. Non ho mai ospitato alcun ufficiale inglese; ma non voglio ch e questo alloggi altrove che in casa mia. Cos Nelson alloggi all'ambasciata d'Inghilterra, situata all'angolo fra la riviera di Chiaia e la via omonima. Egli era allora, nel 1793, un uomo di trentaquattro anni, basso di statura come aveva detto Sir William, pallido in viso, con gli occhi azzurri e quel naso aqui lino che contraddistingue il profilo degli uomini di guerra e che fa somigliare Cesare e Cond a uccelli da preda, con quel mento prominente che indica la tenacia spinta fino all'ostinazione; quanto ai capelli e alla barba, erano di un biondo pallido, radi e mal distribuiti. Niente lascia supporre che in quell'occasione Emma Lyonna sia stata, circa il fi sico di Nelson, di parere diverso dal marito; la folgorante bellezza dell'ambasc iatrice produsse invece il suo effetto: Nelson lasci Napoli portando con s i rinfo rzi che era venuto a chiedere alla corte delle Due Sicilie, e follemente innamor ato di Lady Hamilton. Fosse per pura ambizione di gloria, o per guarire da quell'amore che sentiva irr imediabile, egli volle sfidare la morte durante l'assedio di Calvi, dove perse u n occhio, e nella spedizione di Tenerife, dalla quale torn con un braccio amputat o. Nessuno lo sa; ma in entrambe quelle occasioni Nelson mise in gioco la propri a vita con tanta incoscienza da indurre a pensare che ci tenesse ben poco. Lady Hamilton lo rivide dunque guercio e monco, e non c' motivo di credere che il suo cuore abbia provato per l'eroe mutilato un sentimento diverso dalla tenera e solidale piet che la bellezza deve tributare ai martiri della gloria. Il 16 giugno 1798 egli torn per la seconda volta a Napoli, e per la seconda volta si trov alla presenza di Lady Hamilton. La sua posizione era alquanto critica. Incaricato di bloccare la flotta francese nel porto di Tolone e di sferrare l'at tacco qualora tentasse di uscirne, si era visto sfuggire di mano quelle navi che , dopo aver conquistato Malta senza problemi, avevano poi sbarcato trentamila uo mini ad Alessandria! E non tutto: investito da una tempesta, avendo subto gravi avarie e mancando d'ac qua e di viveri, impossibilitato a continuare l'inseguimento, si era visto costr etto a riparare a Gibilterra per riassestarsi. Si sentiva perduto: poteva essere accusato di tradimento, visto che, dopo aver c ercato per un mese nel Mediterraneo, ossia in un grande lago, una flotta di tred ici bastimenti di linea e di trecentottantasette navi da trasporto, non solo non l'aveva raggiunta, ma non ne aveva neppure scoperto le tracce. Si trattava di ottenere dalla corte delle Due Sicilie il permesso di rifornirsi di acqua e di viveri nei porti di Messina e di Siracusa, e di legname per sostit uire alberi e pennoni spezzati in Calabria. Il tutto sotto gli occhi dell'ambasc iatore francese. Ora, la corte delle Due Sicilie aveva sottoscritto con la Francia un trattato di pace che le imponeva la neutralit assoluta; concedere a Nelson quello che chiede va avrebbe significato venir meno al trattato e infrangere quella neutralit.

Ma Ferdinando e Carolina detestavano a tal punto i francesi e avevano giurato al la Francia un odio cos feroce che ebbero l'impudenza di accordare a Nelson tutto quanto desiderava, e questi, sapendo che solo una grande vittoria poteva salvarl o, lasci Napoli pi innamorato, pi folle e pi esaltato che mai, giurando di vincere o di farsi uccidere alla prima occasione. Egli vinse e rischi di essere ucciso. Giammai, dopo l'invenzione della polvere da sparo e l'impiego dei cannoni, una battaglia navale aveva sconvolto i mari con una simile catastrofe. Dei tredici bastimenti di linea di cui, come abbiamo detto, si componeva la flot ta francese, soltanto due erano riusciti a sottrarsi alle fiamme e a sfuggire al nemico. Uno, l'"Orient", era saltato per aria; un altro bastimento e una fregata erano c olati a picco, nove erano stati catturati. Nelson si era comportato da eroe per tutta la durata della battaglia, si era offerto alla morte, e la morte non lo av eva voluto; ma aveva riportato una grave ferita. Una palla di cannone del "Guill aume Tell", piombata a bordo del "Vanguard", su cui egli era imbarcato, aveva sp ezzato un pennone, e questo gli era caduto sulla fronte proprio nel momento in c ui alzava la testa per scoprire la causa del terribile schianto, gli aveva lacer ato la pelle del cranio facendola ricadere sull'unico occhio che gli restava, e lo aveva abbattuto sul ponte in un lago di sangue, come un toro colpito da una m azza. Nelson, credendo che la ferita fosse mortale, fece chiamare il cappellano per ri cevere la benedizione e lo incaric di portare il suo ultimo saluto alla famiglia; ma, insieme al prete, era salito il chirurgo. Questi esamin il cranio e lo trov intatto; solo la pelle della fronte era staccata e gli ricadeva sul viso fino alla bocca. La pelle venne riattaccata alla fronte, trattenuta da una benda nera. Nelson rac colse subito da terra il portavoce sfuggitogli di mano e riprese la sua opera di distruzione gridando: Fuoco!. C'era davvero la forza di un Titano nell'odio di qu est'uomo per la Francia! Il 2 agosto, alle otto di sera, della flotta francese r estavano, come si detto, soltanto due bastimenti che si rifugiarono a Malta. Una nave leggera port alla corte delle Due Sicilie e all'ammiragliato d'Inghilter ra la notizia della vittoria di Nelson e della distruzione della nostra flotta. Da tutta l'Europa si lev un immenso grido di gioia che echeggi fino in Asia, tanto i francesi erano temuti, tanto la Rivoluzione francese era esecrata! La corte di Napoli in particolare, dopo essere stata folle di rabbia, impazz dall a gioia. Fu naturalmente Lady Hamilton a ricevere la lettera di Nelson con l'annuncio di questa vittoria, che relegava per sempre trentamila francesi in Egitto, e con es si Bonaparte. Bonaparte, l'uomo di Tolone, del 13 vendemmiaio, di Montenotte, di Dego, di Arcole e di Rivoli, che aveva sconfitto Beaulieu, Wurmser, Alvinczi e il principe Carlo, il vincitore di battaglie che in meno di due anni aveva fatto centocinquantamila prigionieri, conquistato centosettanta bandiere, preso cinqu ecentocinquanta cannoni di grosso calibro, seicento pezzi di artiglieria, cinque equipaggiamenti di ponte; l'ambizioso che aveva definito l'Europa una tana di t alpe e secondo il quale non vi erano mai stati grandi imperi o grandi rivoluzion i fuorch in Oriente; il capitano avventuroso che a ventinove anni, pi grande gi di Annibale e di Scipione, volle conquistare l'Egitto per essere grande quanto Ales sandro e Cesare, eccolo ora isolato, soppresso, cancellato dall'elenco dei comba ttenti; nel grande gioco della guerra aveva finito per trovare un giocatore pi fo rtunato o pi abile di lui. Sulla gigantesca scacchiera del Nilo, le cui pedine so no degli obelischi, i cui cavalieri delle sfingi, le cui torri delle piramidi, i cui alfieri si chiamano Cambise, i re Sesostri, le regine Cleopatra, gli avevan o dato scacco matto! E' interessante valutare il terrore che ispiravano ai sovrani d'Europa i due nom i uniti insieme della Francia e di Bonaparte sulla base dei doni che Nelson rice vette da quei sovrani, pazzi di gioia nel vedere la Francia umiliata e Bonaparte - cos almeno credevano - perduto. Enumerarli facile; li trascriviamo da un elenc o redatto da Nelson in persona:

Da Giorgio Terzo, la dignit di Pari d'Inghilterra e una medaglia d'oro; dalla Camera dei Comuni, per lui e per i suoi due eredi pi diretti, il titolo di barone del Nilo e di Burnham Thorpe, con una rendita di duemila sterline a decor rere dal primo agosto 1798, giorno della battaglia; dalla Camera dei Pari, stessa rendita, alle stesse condizioni, a partire dallo s tesso giorno; dal Parlamento d'Irlanda, una pensione di mille sterline; dalla Compagnia delle Indie orientali, diecimila sterline una tantum; dal sultano, una fibbia di diamanti con la piuma del trionfo, del valore di duem ila sterline, e una sontuosa pelliccia del valore di mille sterline; dalla madre del sultano, una scatola incrostata di diamanti, del valore di mille duecento sterline; dal re di Sardegna, una tabacchiera incrostata di diamanti, del valore di milled uecento sterline; dall'isola di Zante, una spada con impugnatura d'oro e un bastone con pomo d'oro ; dalla citt di Palermo, una tabacchiera e una catena d'oro su un piatto d'argento; per finire, dal suo amico Benjamin Hallowell, capitano del "Swiftsure", un dono tipicamente inglese, che determinerebbe una grave lacuna per il nostro elenco se lo passassimo sotto silenzio. Abbiamo detto che il bastimento "Orient" era saltato per aria; Hallowell ne recu per l'albero maestro e lo fece portare a bordo della sua nave, poi, con l'albero e le sue guarnizioni di ferro, ordin al carpentiere e al fabbro di bordo di costr uire una bara ornata di una targa con questo certificato di origine: Certifico che questa bara costruita interamente con il legno e il ferro del basti mento "Orient", in gran parte salvato nella baia di Abukir dalla nave di Sua Mae st al mio comando. Ben. Hallowell. Della bara munita di tale certificato egli fece poi dono a Nelson con questa let tera: All'onorevole Nelson C.B. Mio caro signore, vi mando, insieme alla presente, una bara ricavata dall'albero maestro del bastim ento francese "Orient", affinch possiate, quando lascerete questa vita, riposare entro il vostro trofeo. La speranza che quel giorno sia ancora lontano nei desid eri del vostro obbediente e affezionato servitore Ben. Hallowell. Di tutti i doni che gli vennero offerti, non esitiamo a dire che quest'ultimo fu quello che parve commuovere maggiormente Nelson; egli lo accolse con manifesta soddisfazione, lo fece collocare nella sua cabina, addossato alla parete dietro la poltrona dove si sedeva a mangiare. Un vecchio domestico, rattristato dalla v ista di quel funereo oggetto, ottenne dall'ammiraglio che venisse trasportato ne ll'interponte. Allorch Nelson pass al "Fulminant", abbandonando il "Vanguard" orribilmente mutila to, la bara, non avendo trovato subito posto nel nuovo bastimento, rest per qualc he mese sul castello di prua. Un giorno che gli ufficiali del "Fulminant" stavan o ammirando il dono del capitano Hallowell, Nelson grid loro dalla sua cabina: Ammiratela quanto volete, signori, ma non a voi che destinata. Infine, alla prima occasione, Nelson la sped al suo tappezziere in Inghilterra, p regandolo di foderarla immediatamente di velluto, giacch, col mestiere che faceva , poteva rendersene necessario l'utilizzo da un momento all'altro, e in caso di bisogno desiderava trovarla pronta. Inutile dire che Nelson, ucciso sette anni dopo a Trafalgar, venne sepolto in qu esta bara.

Ma torniamo al nostro racconto. Abbiamo detto che una nave leggera aveva portato la notizia della vittoria di Ab ukir a Napoli e a Londra. Non appena ebbe ricevuto la lettera di Nelson, Emma Lyonna si precipit dalla regi na Carolina e gliela porse aperta; la sovrana vi pos lo sguardo e gett un grido, o meglio un ruggito di gioia; chiam i figli e il sovrano, corse come impazzita neg li appartamenti reali abbracciando quelli che incontrava, stringendo a s la messa ggera della buona novella e ripetendo incessantemente: Nelson! Bravo Nelson! Oh, salvatore! Oh, liberatore dell'Italia! Dio ti protegga, il cielo ti conservi!. Poi, senza darsi pensiero dell'ambasciatore francese Garat - lo stesso che aveva letto a Luigi Sedicesimo la sentenza di morte e che senza dubbio era stato mand ato a Napoli dal Direttorio in segno di avvertimento alla monarchia napoletana , pensando di non aver pi niente da temere dalla Francia, ordin di fare, ostentata mente e in piena luce, tutti i preparativi necessari per accogliere Nelson come si accoglie un trionfatore. E, per non essere da meno degli altri sovrani, ritenendo di essergli pi di ogni a ltro debitrice, in quanto si sentiva esposta a una duplice minaccia per via dell a presenza delle truppe francesi a Roma e della proclamazione della Repubblica r omana (5), fece sottoscrivere al re, tramite il primo ministro Acton, il brevett o di duca di Bronte con tremila sterline di rendita annua, mentre il re, insieme a tale brevetto, si riservava di offrire personalmente a Nelson la spada donata da Luigi Quattordicesimo al nipote Filippo Quinto allorch questi era salito al t rono di Spagna, e da Filippo Quinto al figlio don Carlos che si accingeva a conq uistare Napoli. Oltre ad avere un valore storico inestimabile, quella spada, che, secondo le ist ruzioni di Carlo Terzo, era destinata unicamente al difensore o al salvatore del regno delle Due Sicilie, era valutata, per via dei diamanti che la ornavano, ci nquemila sterline, ossia centoventicinquemila franchi della nostra moneta. La regina, inoltre, si proponeva di fare a Nelson un regalo ben pi prezioso per l ui di tutti i titoli, i favori, le ricchezze dei re della terra: intendeva offri rgli quella Emma Lyonna che da cinque anni era oggetto dei suoi sogni pi ardenti. Per questo, la mattina di quel memorabile 22 settembre 1798 aveva detto all'amic a, scostandole i capelli castani per baciare la sua fronte ingannevole, in appar enza cos pura da sembrare quella di un angelo: Mia diletta Emma,, perch possa continuare a fare il re e tu, di conseguenza, la re gina, bisogna che quell'uomo sia nostro, e perch quell'uomo sia nostro tu devi es sere sua. Emma aveva abbassato gli occhi e, senza rispondere, aveva afferrato le mani dell a regina e le aveva baciate con passione. Ora spiegheremo come Maria Carolina potesse rivolgere una simile preghiera, o me glio dare un ordine simile a Lady Hamilton, ambasciatrice d'Inghilterra. 3. IL PASSATO DI LADY HAMILTON. Nel breve e incompleto ritratto che abbiamo tentato di tracciare di Emma Lyonna, abbiamo accennato al "singolare passato di questa donna"; in effetti, nessun de stino fu pi straordinario, nessun passato fu mai pi fosco e insieme pi fulgido del suo; ella non aveva mai saputo n la sua et esatta, n il luogo della sua nascita; ne l ricordo pi lontano al quale giungeva con la memoria, si rivedeva bambina di tre o quattro anni, con indosso un misero abito di tela, che camminava scalza su un a stradina di montagna, fra le nebbie e le piogge di un paese settentrionale, at taccata con la manina gelida alle vesti della madre, una povera contadina che la prendeva in braccio quando era troppo stanca o doveva superare i ruscelli che a ttraversavano il sentiero. Ricordava di aver sofferto la fame e il freddo, durante quel viaggio. Ricordava inoltre che, nell'attraversare una citt, sua madre si fermava davanti a lla porta di una casa di ricchi o alla bottega di un fornaio, e con voce supplic hevole chiedeva una moneta, che spesso le veniva rifiutata, o del pane, che le v

eniva dato quasi sempre. Di sera, la bambina e la madre si fermavano alla porta di una fattoria isolata e domandavano ospitalit, che veniva loro concessa nel fienile o nella stalla; le n otti in cui le due povere viandanti ottenevano il permesso di dormire in una sta lla erano notti di festa; la bimba si scaldava rapidamente al dolce fiato degli animali, e la mattina dopo, prima di riprendere il cammino, riceveva quasi sempr e, dalla padrona della fattoria o dalla serva che andava a mungere le vacche, un bicchiere di latte tiepido e schiumoso, leccornia tanto pi gradita in quanto vi era ben poco avvezza. Finalmente la madre e la figlia raggiunsero la cittadina di Flint, meta del loro viaggio; l erano nati la madre di Emma e John Lyon, suo padre. Quest'ultimo, per cercare lavoro, aveva lasciato la contea di Flint per quella di Chester; ma il suo impiego era stato poco redditizio. John Lyon era morto giovane e povero, e l a sua vedova tornava alla terra natia per vedere se questa le sarebbe stata ospi tale o matrigna. Recuperando i ricordi di tre o quattro anni dopo, Emma si rivedeva sul pendio di una collina erbosa e fiorita, intenta a far pascolare le pecore della padrona d i una fattoria presso cui sua madre faceva la serva, o mentre indugiava accanto a una limpida fonte in cui si specchiava compiaciuta, dopo essersi incoronata co n i fiori nei campi vicini. Due o tre anni pi tardi, quando stava per compierne dieci, in famiglia si era ver ificato un evento felice. Un certo conte di Halifax, che probabilmente, per uno dei suoi capricci di aristocratico, aveva scoperto la bellezza della madre di Em ma, mand una piccola somma di denaro, in parte destinata al benessere della madre , in parte all'educazione della bambina; Emma ricordava di essere stata portata in un pensionato per fanciulle, la cui uniforme consisteva in un cappello di pag lia, un abito azzurro e un grembiule nero. L ella rimase due anni, impar a leggere e scrivere, apprese i primi elementi della musica e del disegno, arti nelle quali, grazie alla sua natura mirabilmente dot ata, faceva rapidi progressi. Ma un mattino la madre venne a prenderla: il conte di Halifax era morto, e nel suo testamento si era dimenticato delle due donne. Emma non poteva restare al pensionato, poich nessuno pagava pi la retta; dovette p erci decidere di entrare come bambinaia nella casa di un certo Thomas Hawarden, l a cui figlia era morta vedova e in giovane et lasciando tre bambini orfani. Un giorno, mentre portava a passeggio i bambini in riva al mare, fece un incontr o che decise della sua vita. Una celebre cortigiana di Londra, chiamata Miss Ara bell, e un pittore di grande talento, allora suo amante, si erano fermati, il pi ttore per fare lo schizzo di una contadina del Galles, e Miss Arabell per guarda rlo disegnare. I bambini affidati a Emma si avvicinarono incuriositi, alzandosi sulla punta dei piedi per vedere quello che faceva il pittore. La fanciulla li s egu; il pittore, voltandosi, la vide e gett un grido di sorpresa: Emma aveva tredi ci anni, ed egli non aveva mai visto niente di cos bello in vita sua. Le domand chi fosse e che cosa facesse. Quel poco di educazione che Emma Lyonna a veva ricevuto le permise di rispondere con un certo stile. Il pittore si inform d i quanto guadagnasse a occuparsi dei figli di Mister Hawarden; ella rispose che, oltre ai vestiti, al vitto e all'alloggio, riceveva dieci scellini al mese. Venite a Londra, le disse il pittore e io vi dar cinque ghinee ogni volta che mi con sentirete di ritrarvi. E le porse un biglietto sul quale erano scritte queste parole: George Romney, Cav endish Square, n. 8, mentre Miss Arabell staccava dalla cintura un borsellino con tenente qualche moneta d'oro e glielo offriva. La fanciulla arross, prese il biglietto e se lo infil nella scollatura; ma istinti vamente rifiut il borsellino. E, poich Miss Arabell insisteva, dicendo che il dena ro le sarebbe servito per il viaggio a Londra: Grazie, signora, disse ma, se vado a Londra, utilizzer le piccole economie fatte fin ora e che ancora far. Sui vostri dieci scellini al mese? chiese ridendo Miss Arabell. S, signora rispose semplicemente la fanciulla. E tutto fin l. Qualche mese pi tardi, il figlio di Mister Hawarden, James Hawarden, celebre chir

urgo di Londra, venne a trovare suo padre; anch'egli fu colpito dalla bellezza d i Emma Lyonna, e durante tutto il tempo che rest nella cittadina di Flint le dimo str bont e affetto; purtuttavia, a differenza di Romney, non la esort affatto ad an dare a Londra. In capo a tre settimane di soggiorno in casa del padre, egli part lasciando due g hinee per la piccola governante, quale ricompensa per le cure che dedicava ai su oi nipoti. Emma le accett senza repulsione. Aveva un'amica che si chiamava Fanny Strong, la quale a sua volta aveva un frate llo di nome Richard. Emma non le aveva mai chiesto che cosa facesse, sebbene ves tisse meglio di quanto i suoi mezzi sembrassero consentirle; probabilmente riten eva che prelevasse il necessario per il suo abbigliamento dai loschi proventi de l fratello, che era notoriamente un contrabbandiere. Un giorno che Emma - all'epoca quasi quattordicenne - si era fermata davanti al negozio di un vetraio per guardarsi in una specchiera esposta nella vetrina, si sent toccare alla spalla. Era la sua amica Fanny Strong, che interruppe la sua contemplazione chiedendole: Che cosa fai, qui?. Emma arross senza rispondere. Una risposta veritiera sarebbe stata: Mi guardavo e mi trovavo bella. Ma Fanny Strong non aveva bisogno di alcuna risposta per sapere che cosa stesse accadendo nell'animo di Emma. Ah, disse con un sospiro se fossi bella come te, non rimarrei a lungo in questo orr ibile paese. E dove andresti? le chiese Emma. Andrei sicuramente a Londra! Tutti dicono che, con un aspetto attraente, a Londra si fa fortuna. Vacci, e quando sarai milionaria mi assumerai come cameriera. Vuoi che ci andiamo insieme? domand Emma Lyonna. Volentieri; ma come fare? Non possiedo neanche sei pence, e non credo che Dick si a molto pi ricco di me. Io, invece, disse Emma ho quasi quattro ghinee. E' pi di quanto ci serva, per te, per me e per Dick! esclam Fanny. E decisero di par tire. Il luned successivo, senza dir niente a nessuno, i tre fuggiaschi presero a Chest er la diligenza per Londra. Arrivati al termine del viaggio, Emma spart con l'amica i ventidue scellini che l e restavano. Fanny Strong e il fratello avevano l'indirizzo di una locanda dove alloggiavano i contrabbandieri, situata nella piccola Villiers Street, che andava dal Tamigi allo Strand. Mentre Dick e Fanny si cercavano una sistemazione, Emma prese una c arrozza e si fece portare al numero 8 di Cavendish Square. George Romney era ass ente, e nessuno sapeva dove fosse n quando sarebbe tornato; probabilmente era in Francia, e il suo ritorno non era previsto prima di due mesi. Emma ne fu sconcertata. Non aveva nemmeno lontanamente considerato l'eventualit c os naturale dell'assenza di Romney. Ma ebbe una sorta di folgorazione: le torn all a mente James Hawarden, il famoso chirurgo che, lasciando la casa paterna, le av eva cos generosamente donato le due ghinee che erano servite a pagare in gran par te le spese del viaggio. Egli non le aveva lasciato il suo indirizzo, ma due o tre volte l'aveva incarica ta di spedire le lettere che scriveva alla moglie. Abitava in Leicester Square, n. 4. Emma risal in carrozza, si fece portare in Leicester Square, poco distante da Cav endish Square e, tutta tremante, batt alla porta. Il dottore era in casa. Quel gentiluomo non trad le sue aspettative; la fanciulla gli disse tutto ed egli si impietos, promise di prendersi cura di lei e, nell'attesa, la ospit sotto il s uo tetto, la ammise alla sua tavola e la assegn come dama di compagnia a Mistress Hawarden. Una mattina annunci alla fanciulla di averle trovato un posto in una delle princi pali gioiellerie di Londra; ma la vigilia del giorno in cui doveva iniziare quel lavoro volle festeggiarla portandola a teatro.

Il sipario si lev sulla scena del Drury Lane Theatre svelando a Emma un mondo sco nosciuto; vi si rappresentava "Giulietta e Romeo", una storia d'amore che non ha eguali in nessuna lingua; ella ne usc sconvolta, affascinata, rapita; pass la not te senza chiudere occhio, tentando di ricordare qualche frammento delle due mera vigliose scene del balcone. L'indomani si rec al negozio, ma prima chiese a Mister Hawarden dove potesse comp rare il testo che aveva visto rappresentato la sera prima. Egli and nella sua bib lioteca, prese un volume con tutta l'opera di Shakespeare e gliene fece dono. In capo a tre giorni, la fanciulla conosceva a memoria la parte di Giulietta; si mise a fantasticare su come poter tornare in quel teatro e inebriarsi ancora un a volta di quel dolce veleno distillato dalla magica miscela di amore e poesia; voleva a ogni costo rientrare in quel mondo incantato che aveva appena intravist o. A un tratto, una lussuosa carrozza si ferm davanti alla porta del negozio. Ne discese una donna, che entr con il passo risoluto proprio dei ricchi. Emma gett un grido di sorpresa: aveva riconosciuto Miss Arabell. Questa la riconobbe a sua volta ma non disse nulla; acquist settecento o ottocent o sterline di gioielli e preg il negoziante di farglieli portare a domicilio dall a nuova commessa, precisando l'ora in cui l'avrebbe trovata in casa. La nuova commessa era Emma. All'ora stabilita, la fecero salire in carrozza con gli astucci di gioielli e la spedirono da Miss Arabell. La bella cortigiana la stava aspettando; aveva ormai raggiunto l'apice del succe sso: era l'amante del principe reggente, un giovinetto di soli diciassette anni. Si fece raccontare ogni cosa da Emma, poi le domand se, nell'attesa del ritorno di Romney, non preferisse restare da lei per distrarla nelle ore di noia piuttos to che tornare al negozio. Emma fece un'unica domanda, ossia se le sarebbe stato permesso di andare a teatro. Miss Arabell le rispose che, nei giorni in cui non ci andava lei, avrebbe potuto disporre del suo palco. Poi mand qualcuno a pagare i gioielli e ad avvertire che Emma sarebbe rimasta a c asa sua. Il gioielliere, che annoverava Miss Arabell tra le sue migliori clienti , si guard bene dall'urtarsi con lei per cos poco. Quale strano capriccio indusse la cortigiana in voga a concepire l'incauta idea, il singolare desiderio di tenere presso di s quella bella creatura? I nemici di Miss Arabell - e la sua eccezionale fortuna gliene aveva creati parecchi - diede ro a quella stravaganza una spiegazione che la Frine inglese, trasformata per l' occasione in Saffo, non si diede nemmeno la pena di smentire. Per due mesi Emma visse nella casa della bella cortigiana, lesse tutti i romanzi che le capitavano fra le mani, frequent tutti i teatri, e, tornata nella sua cam era, ripet tutte le parti che aveva visto recitare, imit tutti i balletti cui avev a assistito; quello che per gli altri era soltanto uno svago divenne per lei un' occupazione costante. Ormai quindicenne, era nel fiore della giovent e della bell ezza; la sua figura agile e armoniosa si adattava a qualunque posa, e con la sua flessuosit naturale aveva raggiunto la maestria delle danzatrici pi esperte. Quan to al suo viso, nonostante le traversie della vita, esso conserv sempre i colori immacolati dell'infanzia, la virginea freschezza del pudore e, dotato com'era di un'estrema mobilit di espressione, diventava una maschera di dolore nei momenti di malinconia, un incanto nei momenti di gioia. Sembrava che il candore dell'ani ma trasparisse sotto la purezza dei tratti, cosicch un grande poeta del nostro te mpo, esitando a offuscare quello specchio celestiale, ha detto, a proposito dell a sua prima colpa: Ella cadde non nel vizio, bens nell'imprudenza e nella bont (6). La guerra condotta a quell'epoca dall'Inghilterra contro le colonie americane er a in pieno svolgimento, e si reclutavano uomini a tutto spiano. Fra questi vi fu anche Richard, il fratello di Fanny, il quale dovette entrare in marina suo mal grado. Fanny corse a chiedere aiuto all'amica; la trovava cos bella da credere ch e nessuno avrebbe potuto resistere a una sua preghiera: la supplic di esercitare il suo fascino sull'ammiraglio John Payne. Emma sent nascere in s la vocazione della seduttrice; indoss il suo abito pi elegant e e and con l'amica a trovare l'ammiraglio: ottenne quello che chiedeva; ma anche l'ammiraglio chiese, ed Emma pag la libert di Dick, se non con il suo amore, alme no con la sua riconoscenza. Emma Lyonna, amante dell'ammiraglio Payne, ottenne u na casa, dei domestici, dei cavalli; ma tale fortuna ebbe lo splendore e la rapi

dit di una meteora: la flotta part, e la fanciulla vide il vascello dell'amante po rtarsi via, sparendo all'orizzonte, tutti i suoi sogni dorati. Ma non era certo donna da uccidersi come fece Didone per il volubile Enea. Un am ico dell'ammiraglio, Sir Harry Fethertonhaugh, un gentiluomo bello e ricco, le o ffr di mantenerla nella stessa posizione in cui l'aveva trovata. Emma aveva gi fat to il primo passo sull'allettante cammino del vizio: accett e divenne, per un'int era stagione, la regina delle cacce, delle feste e delle danze; ma al termine di essa, dimenticata dal secondo amante, avvilita da un nuovo abbandono, cadde a p oco a poco in una tale miseria che dovette ridursi sul marciapiede di Haymarket, il pi lurido fra tutti i marciapiedi battuti dalle povere creature costrette a m endicare l'amore dei passanti. Fortunatamente, la mezzana abietta alla quale si era rivolta per entrare nel com mercio della pubblica depravazione, colpita dall'aspetto distinto e modesto dell a nuova pensionante, invece di prostituirla come le compagne, la condusse da un celebre medico, assiduo frequentatore della sua casa. Era il famoso dottor Graham, una sorta di ciarlatano mistico e gaudente, che pro fessava davanti alla giovent di Londra la religione materialistica della bellezza . All'apparire di Emma, costui riconobbe in lei la sua Venere Astarte sotto le sem bianze della Venere pudica. Lo pag caro, questo tesoro; ma per lui esso non aveva prezzo; la coric sul letto d i Apollo; la ricopr di un velo pi trasparente della rete con la quale Vulcano avev a tenuto prigioniera Venere sotto gli occhi dell'Olimpo, e annunci su tutti i gio rnali di essere finalmente entrato in possesso di quell'esemplare unico e suprem o di bellezza che gli era fino ad allora mancato per far trionfare le sue teorie . Nell'udire questo appello alla lussuria e alla scienza, tutti gli adepti della g rande religione dell'amore, che estende il suo culto al mondo intero, accorsero nel gabinetto del dottor Graham. Fu un trionfo assoluto: n la pittura n la scultura avevano mai prodotto un simile capolavoro; Apelle e Fidia erano sconfitti. I pittori e gli scultori si presentarono a frotte. Romney, di ritorno a Londra, arriv insieme agli altri e riconobbe la fanciulla della contea di Flint. La ritra sse nelle forme pi svariate, come Arianna, come baccante, come Leda, come Annida, e la Biblioteca imperiale possiede una raccolta di incisioni che raffigurano la maliarda in tutti gli atteggiamenti voluttuosi inventati dalla sensualit degli a ntichi. Fu allora che, spinto dalla curiosit, il giovane Sir Charles Greville, dell'illus tre famiglia di quel Warwick che veniva chiamato il creatore di re, e nipote di Sir William Hamilton, vide Emma Lyonna e, abbagliato da tanta bellezza, se ne in namor perdutamente. Ma ella rispose alle brillanti promesse fattele dal giovane L ord dicendosi legata al dottor Graham dal vincolo della riconoscenza e resistett e a ogni allettamento, dichiarando che ormai avrebbe lasciato l'amante solo per seguire uno sposo. Sir Charles s'impegn sul proprio onore a prenderla in moglie non appena avesse ra ggiunto la maggiore et. Nell'attesa, Emma acconsent a lasciarsi rapire. I due amanti vissero, in realt, come marito e moglie, ed ebbero tre figli che, st ando alle promesse del padre, sarebbero stati legittimati dal matrimonio. Senonch, durante la loro convivenza, a causa di un cambiamento di governo Grevill e perse l'impiego che gli garantiva la maggior parte delle sue entrate. Ci accadd e fortunatamente in capo a tre anni, durante i quali, studiando con i migliori p rofessori di Londra, Emma aveva fatto immensi progressi nella musica e nel diseg no; inoltre, mentre perfezionava la conoscenza della propria lingua, aveva impar ato anche il francese e l'italiano; recitava versi con la stessa bravura di Mist ress Siddons, ed era insuperabile nell'arte della pantomima e delle pose plastic he. Nonostante la perdita del suo incarico, Greville non era riuscito a ridurre le s pese; la sola cosa che fece fu di scrivere allo zio per chiedergli del denaro. S ir William Hamilton soddisfece prontamente parecchie sue richieste; ma all'ultim a rispose che contava di recarsi a Londra entro pochi giorni e che avrebbe appro

fittato di quel viaggio per studiare la situazione del nipote. La parola studiar e aveva molto spaventato i due giovani; essi desideravano - e quasi altrettanto temevano - la venuta di Sir William. Questi entr da loro all'improvviso, senza ch e fossero stati avvertiti del suo arrivo. Era a Londra da otto giorni, durante i quali aveva raccolto informazioni sul nipote, e coloro ai quali si era rivolto non avevano esitato a dirgli che la causa delle sue sregolatezze e della sua mis eria era una prostituta che gli aveva dato tre figli. Emma si ritir nella sua stanza e lasci l'amante solo con lo zio, il quale non gli offr altra alternativa che quella di abbandonare seduta stante la compagna o di r inunciare all'eredit, l'unica cosa su cui potesse ormai contare. Quindi se ne and, dando al nipote tre giorni di tempo per decidere. Tutte le speranze dei due giovani si fondavano ormai su Emma; a lei spettava il compito di ottenere da Sir William il perdono per il suo amante, dimostrando qua nto lo meritasse. Allora, invece di indossare gli abiti adatti alla sua nuova condizione, ella si abbigli come faceva in giovent, con il cappello di paglia e il vestito di tela; le lacrime, i sorrisi, le varie espressioni del viso, le moine e la voce avrebbero fatto il resto. Introdotta al cospetto di Sir William, Emma si gett ai suoi piedi; fosse una moss a abilmente calcolata o effetto del caso, i lacci del cappello si sciolsero e i bei capelli castani le si sparsero sulle spalle. La seduttrice era inimitabile nel dolore. Il vecchio archeologo, fino a quel giorno innamorato soltanto dei marmi di Atene e della Magna Grecia, vide per la prima volta la bellezza vivente prendere il s opravvento sulla fredda e pallida venust delle dee di Prassitele e di Fidia. L'am ore che non aveva voluto comprendere nel nipote irruppe con violenza nel suo cuo re e se ne impadron per intero senza che egli neppure tentasse di difendersi. I debiti del nipote, le modeste origini di Emma, gli scandali della vita, lo sca lpore dei trionfi, la venalit delle carezze: tutto, persino i figli nati dal loro amore, tutto venne accettato da Sir William, alla sola condizione che la donna compensasse con il possesso della sua persona il sacrificio della di lui dignit. Il trionfo di Emma andava molto al di l delle sue speranze; ma questa volta ella pose delle condizioni precise; soltanto una promessa di matrimonio l'aveva unita al nipote: adesso dichiar che sarebbe andata a Napoli unicamente come moglie leg ittima di Sir William Hamilton. Questi acconsent a tutto. A Napoli, la bellezza di Emma sort l'effetto abituale: non solo stup, ma affascin t utti. Eminente archeologo e mineralogista, ambasciatore di Gran Bretagna, fratello di latte e amico di Giorgio Terzo, Sir William riuniva a casa sua il fior fiore del la capitale delle Due Sicilie in fatto di studiosi, uomini politici e artisti. P ochi giorni furono sufficienti a Emma, artista pure lei, per apprendere quanto e ra necessario nel campo della politica e delle scienze, e i suoi giudizi divenne ro legge per tutti coloro che frequentavano il salotto del marito. Il suo trionfo era per destinato a non limitarsi a questo. Non appena fu presenta ta a corte, la regina Maria Carolina la proclam sua intima amica e fece di lei la sua inseparabile favorita. La figlia di Maria Teresa non solo si mostrava in pu bblico con la prostituta di Haymarket, percorreva la via Toledo e il lungomare d i Chiaia in carrozza con lei, vestita con gli stessi abiti, ma, dopo le serate t rascorse a imitare le pose pi voluttuose e sensuali dell'antichit, faceva avvertir e Sir William, inorgoglito da tanto favore, che solo l'indomani gli avrebbe rest ituito l'amica di cui non poteva fare a meno. Nacquero cos innumerevoli odi e gelosie nei confronti della nuova favorita. Carol ina sapeva bene quali commenti velenosi circolassero a proposito di quella strao rdinaria e improvvisa intimit; ma era uno di quegli spiriti li