Alessandro Defilippi - arpajung.it · chiave hillmaniana, associando la nostra fantasia su di essa...

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1 Mito e psicologia analitica Gli Inferi e la Malinconia Alessandro Defilippi Il bisogno di mitologia è il bisogno di senso. C.G. Jung Che cosa significhi vivere con o senza un mito. C. G. Jung

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Mito e psicologia analitica Gli Inferi e la Malinconia

Alessandro Defilippi

Il bisogno di mitologia il bisogno di senso. C.G. Jung

Che cosa significhi vivere con o senza un mito.

C. G. Jung

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Sommario Mito e psicologia analitica .............................................................................................................. 1

1. Introduzione .................................................................................................................................. 3

2. Storie ............................................................................................................................................... 6

3. Un po dordine .1 ....................................................................................................................... 39

4. Un po' di teoria ........................................................................................................................... 56

5. Una grande storia: Gilgamesh ................................................................................................. 63

6. Un po dordine .2 ....................................................................................................................... 81

7. Altre storie ................................................................................................................................... 87

Interludio: mitopoiesi ................................................................................................................. 103

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1. Introduzione

1. Quando iniziai a preparare questa serie di seminari mi trovai di fronte a un

problema di metodo. Il loro fine pratico quello di preparare gli allievi dellARPA al terzo esame e in particolar modo al modulo dedicato alla mitologia. Quindi, in teoria sarebbe stata necessaria una certa organizzazione del testo, per cos dire didattica. Pensai in un primo tempo di dare al tema una scansione concettuale. Il metodo presentava il vantaggio di semplificare lascolto e soprattutto lorientamento in un campo di estreme complessit e variet. Mi resi per presto conto che non era possibile sottrarsi ai molteplici rimandi e collegamenti che ogni argomento trattato suscitava. Un tentativo seppur minimo di sistematizzazione avrebbe tolto al tutto la dinamicit e linevitabile ambiguit che i miti portano. Le storie si richiamano tra di loro, tessendo una fitta tela anche tra luoghi e tempi lontani. E daltro canto, non rei stato certamente in grado, non essendo uno storico delle religioni, di dare ragione in modo organico dei temi mitologici.

Decisi pertanto di adoperare un altro metodo, centrato sulla narrazione. Soltanto

un andamento narrativo, rapsodico, pu dar conto, seppure solo in parte, della complessit e delle intime connessioni del mondo mitico. Questo fa s che nel procedere del nostro discorso saremo costretti a fare uno sforzo di elasticit e di collegamento, interrompendo a volte il fluire di una storia per seguirne unaltra o per precisare alcuni concetti. Mi rendo conto del rischio di confusivit cui ci si espone in questa maniera ma daltronde ogni metodo imperfetto e quindi cercheremo di adoperare questo nel modo pi proficuo possibile. Ci saranno comunque momenti in cui ci fermeremo nelloceano delle storie per cercare di riassumere i temi principali che ne saranno emersi, soffermandoci su di essi per ulteriori riflessioni.

Non c e non sarebbe possibile alcuna pretesa di completezza n di organicit in

quello che diremo. Per usare un termine che ci proietti subito nel campo di nostro interesse, diciamo che cercheremo di compiere una circumambulazione intorno al mito. Una circumambulazione augurale, al fine di ottenere qualche beneficio, che sar fatta di concetti, di narrazioni, di amplificazioni. Perch quello che noi dobbiamo tornare a intuire il senso del mito e del suo linguaggio e pertanto anche il senso della narrazione. Questo ci conduce allaltro fine di questa serie di seminari: quello di imparare a riconoscere e ad adoperare le categorie del mito, nei racconti dei pazienti e nella nostra stessa vita. Come ho gi riportato altrove, Scarlett Thomas, una scrittrice inglese, scrive: Abbiamo bisogno della narrativa perch siamo condannati alla morte.

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Questa frase costituir uno dei nostri punti di partenza. Possiamo intenderla come se dicesse: la narrativa lantidoto alla paura della morte; ci permette di vivere pi vite, anche se soltanto immaginalmente, e infatti il periodo delle grandi letture quello delladolescenza, in cui le possibilit paiono infinite e non si sono ancora ristrette nei binari della quotidianit. Allo stesso modo in et avanzata torneremo ad avvicinarci alla narrativa con voracit, come a esplorare tutto quello che ci siamo perduti e che perderemo e anche come a battere strade nuove, ora che il tempo si va riducendo. Non a caso Eliot scrive: I vecchi dovrebbero essere esploratori.

Scarlett

Thomas

T. S. Eliot

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Daltronde, quelle stesse narrazioni che ci consolano e che ampliano lesperienza

che abbiamo di noi stessi sono anche un modo di avvicinarci alla morte e di aderire consapevolmente a essa. Basti pensare a un racconto come La morte di Ivan Illic di Tolstoi o al mito di Alcesti, di cui parleremo tra poco: la loro lettura ha qualcosa in comune con gli esercizi spirituali dei gesuiti, in cui ci simmagina nella morte. Ci immerge, anche tramite langoscia che ci trasmette, in un sentimento di maggiore pienezza, di maggiore adesione alla nostra identit. Ci rende, in poche parole, pi centrati e consapevoli, dandoci una percezione di maggiore profondit, allo stesso modo di quando prendiamo contatto consapevole con lOmbra. Diveniamo pi coscienti della tensione tra i due opposti, Vita e Morte e di come ci sia necessario cercare tra essi un personale equilibrio.

Ma in questo caso sto pensando alla morte, come a molti sar chiaro, anche in chiave hillmaniana, associando la nostra fantasia su di essa al regno infero, quello stesso dei sogni e del sonno, alla profondit e quindi allinconscio.

Daltronde Thanatos, la morte, Hypnos, il sonno e Oneiros, il sogno, sono fratelli, figli di Erebos, loscurit e di Nyx, la notte: Notte poi gener lodioso Moros [il destino] e Ker nera [la morte violenta] e Morte, gener Sonno, gener la stirpe dei Sogni (Esiodo, 211-212). Parlando degli Inferi, come sovente accadr in questi seminari, ci troveremo spesso quindi nel loro territorio.

Profondo e profondit sono parole che ricorrono nelle frasi precedenti. Di questa profondit Hillman parla citando Eraclito: Il logos dellanima profondo e quindi a noi toccher cercare questa profondit per entrare in contatto con lanima. Ma di tutto questo diremo meglio pi avanti. Aggiungo solo, per chiarezza, che, quando parleremo di anima (anima come Seele e non come Anima), ci riferiremo, con le parole di James Frazer, al principio ignoto della vita (Frazer, 6).

La seconda frase da cui partiremo invece quella di Jung posta in esergo a queste pagine: Il bisogno di mitologia il bisogno di senso. Un senso che sia contro lapparente insensatezza dellineluttabilit della morte e della casualit della vita. Ma anche di questo parleremo pi avanti. Cominciamo piuttosto dalle storie.

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2. Storie

1. Condanna, morte, senso. Gi in queste tre parole sembra condensarsi un mito.

Quello di Sisifo, ad esempio? Re di Efira, il pi astuto degli uomini come lo definisce Omero, Sisifo un

esempio di hybris. Riusc a ingannare, non stato tramandato come, persino Thanatos, la morte, incatenandola. Cos, da quel momento, nessuno mor pi, con grande smacco di Ade, il Signore degli Inferi, che vedeva il suo regno privo di nuovi sudditi. And avanti cos finch Ares la liber e le consegn Sisifo stesso. Ma questi, con unaltra astuzia, chiese a Thanatos la grazia di un ultimo colloquio con la moglie, alla quale ordin di non fare pi alcun sacrificio agli dei inferi. E cos Merope fece, finch Persefone, stanca di non ricevere pi omaggi e doni, non ne liber lo scaltro marito. Non si pu togliere spazio al regno dei morti, si potrebbe dire. Non si pu non nutrirlo con altre morti e con omaggi, cio con la riflessione sulla stessa morte.

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Nonostante la vittoria di Sisifo le regole sono altre: anche lui morir e la sua punizione sar la condanna a una fatica priva di senso. Dovr, a forza di braccia, sospingere un enorme masso fino alla vetta di una montagna. Ma ogni volta, a pochi passi dalla meta, il macigno torner a rotolare in basso, costringendo Sisifo a riprendere da capo la sua insensata fatica. Il rifiuto della morte dunque non produce senso, ma insensatezza.

Condanna, morte, mitologia, senso. E una storia. Meglio che a Sisifo andr invece alla vecchia di una fiaba ungherese: Forse vero, forse non lo , ma c'era una volta una donna vecchia, vecchia. Ma

molto, molto vecchia, pi vecchia del giardiniere che piant il primo albero del mondo. Ciononostante era piena di vita, e non si sognava per niente di morire. Era sempre indaffarata in casa sua a lavare, pulire, cucinare, cucire, stirare e spolverare, proprio come una giovane massaia. Ma, un giorno, la Morte si ricord della vecchia e venne a bussarle alla porta di casa. La vecchia, che stava facendo il bucato, disse che non poteva andarsene proprio in quel momento: doveva ancora sciacquare, strizzare, far asciugare e stirare le sue cose. A far in fretta, pensava che sarebbe stata pronta, nel migliore dei casi, la mattina dopo; quindi, la Morte avrebbe fatto bene a ritornare da lei il giorno successivo.

Aspettatemi, allora, domani alla stessa ora, fece la Morte e scrisse col gesso sulla porta: Domani.

Il giorno dopo la Morte torn a prendere la vecchia.

Il Sisifo di Franz Von

Stuck

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Ma, signora Morte, vi siete certamente sbagliata. Guardate sulla porta e vedrete quando fissato che veniate a prendermi, osserv la vecchia. La Morte guard sulla porta e lesse: Domani.

Vedete, dunque, aggiunse la vecchia. Venite domani e non oggi. La Morte se ne and e ritorn il giorno dopo. La vecchia l'accolse con un sorriso

dicendo: Ma, signora Morte, vi siete sbagliata un'altra volta. Non vi ricordate d'aver scritto voi stessa sulla porta che sareste venuta domani e non oggi? E cos la storia and avanti per un mese intero. Ma la Morte fin per stancarsi. L'ultimo giorno del mese disse:

Mi state ingannando, vecchia mia! Domani verr da voi per l'ultima volta. Ricordatevelo bene!

E cancell dalla porta quel che lei stessa aveva scritto e se ne and. La vecchia, a questo punto, dopo tanto riflettere pens: Mi nasconder nel bariletto del miele, diceva fra s e s la vecchia. La Morte non mi trover certo l dentro!. E si nascose nel bariletto del miele, lasciando scoperto soltanto il naso. Ma subito pens: Per l'amor del cielo, la Morte furba! Mi trover anche nel bariletto del miele e mi porter via!.

Salt fuori dal bariletto e and a nascondersi in una cesta piena di piume d'oca. Ma subito pens: Per l'amor del cielo, la Morte furba! Mi trover anche nella cesta. Mentre saltava fuori dalla cesta la Morte entr nella stanza. Guard intorno e non riusc a vedere la vecchia da nessuna parte, ma vide una spaventosa, orribile figura, tutta coperta di piume bianche, e con qualcosa di denso che le gocciolava di dosso. Non poteva essere un uccello, e neppure una persona: era, comunque, una cosa terribile a vedersi. La Morte fu cos terrorizzata che fugg a gambe levate, e non torn pi a cercare la vecchia.

Daltronde, anche Hnsel, nella fiaba raccolta dai fratelli Grimm, inganner la morte, dando da tastare, alla vecchia strega orba che lo ingrassa per cucinarselo e mangiarselo, ossa spolpate e non le sue ormai grassocce dita. Ora ad Hnsel venivano cucinati ogni giorno i cibi pi squisiti, poich doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: -Hnsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso. Ma Hnsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. La fiaba continua poi con lastuzia di Gretel, che, resasi conto che la vecchia intende farla entrare nel forno, con un inganno convince lei a infilarvisi, chiude il forno e accende il fuoco, salvando se stessa e il fratello.

Anche Alcesti sfugge alla morte e vale la pena di riprenderne la storia, narrata da Euripide nellomonima tragedia. Alcesti la figlia minore di Pelia, re di Iolco, in Tessaglia. Di tutte le figlie la pi bella e la pi dolce e la sua mano ambita da molti pretendenti. Ma Pelia chiede che il futuro marito di Alcesti superi una prova impossibile: aggiogare allo stesso carro due animali aggressivi e naturalmente nemici, un leone e un cinghiale. Nessuno ne in grado. Un giorno giunge a Iolco Admeto, re di Fere. Giunge in compagnia di Apollo, che stato bovaro per punizione- delle sue mandrie.

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A questo punto per dobbiamo inserire la prima di molte divagazioni. Daltronde, come scrive Maurizio Bettini, la mitologia una rete di rimandi. Potremmo aggiungere che, ad entrarvi da una qualsiasi porta, ci si trova impigliati. Parliamo dunque del motivo che ha spinto Zeus a punire cos Apollo, anche perch questo mito ci introduce ancora di pi nel tema che abbiamo accennato: condanna, morte, senso.

Dunque, Apollo, giacendo con Coronide, una mortale, aveva concepito un figlio, Asclepio. Figlio di un dio e di una mortale, un eroe, quindi, Asclepio venne istruito nelle arti mediche dal centauro Chirone e ricevette il potere di guarire i malati e risuscitare i morti. Ci fece adirare Ade, che vedeva diminuire i suoi sudditi nel regno degli Inferi e lo stesso Zeus, che temeva che cos venisse abolita la grande differenza tra uomini e dei, ossia limmortalit. Per questa ragione Zeus incener Asclepio con la folgore. Apollo, per vendicare il figlio, uccise i Ciclopi, che avevano fabbricato la folgore e Zeus lo pun costringendolo a servire un mortale. Il nostro Admeto. Asclepio venne poi comunque elevato al rango di un dio minore, immortalato nella costellazione di Ofiuco.

Ma torniamo ad Admeto, che con Apollo sera dimostrato un padrone e un ospite gentile e rispettoso. Grato del trattamento usatogli durante la sua servit, Apollo lo aiuta a superare la prova. Solo un dio daltronde poteva riuscirvi. E sempre Apollo strappa al Fato la promessa che, quando giunger lora della morte di Admeto, egli potr chiedere a qualcuno di sacrificarsi al suo posto.

Il matrimonio tra Alcesti e Admeto felice, ma presto viene il tempo in cui Thanatos bussa alla porta del re di Fere. Admeto chiede al padre e alla madre, ormai vecchissimi, di sacrificarsi, ma entrambi rifiutano. E invece Alcesti, per amore, a scegliere di seguire la Morte che la conduce allAde. Il giorno del funerale della fanciulla giunge a Fere un antico compagno di Admeto, Eracle, che fu con lui nellimpresa degli Argonauti. Leroe, commosso e indignato, scende nellAde e lotta con la morte, liberando infine Alcesti.

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Tre vittorie sulla morte; la vecchina, Hansel e Gretel, Alcesti. Ma di questultima

parleremo ancora. Veniamo invece a Eracle, il cui ruolo nel mito apparentemente quello del deus

ex machina, quindi dellevento imprevisto che risolve una situazione. Non sempre gli riuscir una simile impresa, sebbene Eracle degli Inferi sia un habitue. In uno dei tanti miti che orbitano intorno alla figura di Teseo, questultimo accompagna lamico Piritoo nel mondo sotterraneo per soddisfarne la sfrenata ambizione di rapirne la regina, la divina Persefone e farne la sua sposa. Ma Ade potente e i due vengono catturati e imprigionati su seggi da cui non possibile alzarsi. Toccher ancora a Eracle tentare di liberarli. Vi riuscir con Teseo, a costo di lacerargli le carni dei glutei (e da allora degli Ateniesi si disse che avevano il deretano piccolo) ma non con Piritoo. Quando cercher di scioglierne i vincoli, la terra tremer, e anche Eracle capir che una simile impresa non concessa. Teseo dunque torner tra i vivi, mentre lamico, colpevole di un atto dinconcepibile hybris, vi rester rinchiuso. C da dire, come vedremo parlando di Demetra e di Persefone, che un tale atto sarebbe stato linfrazione di un foedus importante, quello tra maschile e femminile, tra il tempo immobile e il tempo ciclico delle stagioni, tra quel che sta di sopra e quel che sta di sotto.

2. Proviamo ora a capire che cosa ci dicono queste storie. Partiamo da una citazione

di Neumann, molto importante per noi, in relazione a ci che abbiamo appena narrato di Eracle nel fallimento del salvataggio di Piritoo: Leroe, proprio perch

Alcesti velata in una moderna

rappresentazione teatrale

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figlio di Dio, deve essere pio e aver piena coscienza di quel che fa. Quando invece agisce mosso dalla superbia e dallesaltazione del proprio Io, che i Greci chiamano hybris, e non rispetta n teme il numinoso, contro cui combatte, allora la sua azione fallisce. Volare troppo in alto e cadere [come Icaro], penetrare troppo a fondo e rimanere prigioniero [come Teseo e Piritoo], sono sintomi di una sopravvalutazione dellIo, che finisce nella rovina, nella morte o nella pazzia. Se lIo disprezza le potenze transpersonali superiori o inferiori ne diventa la vittima [] (Neumann, 172).

Su questa frase torneremo pi avanti, parlando della figura delleroe e quando cercheremo di tirare le fila del nostro discorso, ma per ora diciamo solo che in realt la figura delleroe che noi conosciamo non sembra affatto godere della consapevolezza che secondo Neumann dovrebbe avere.

Ci premesso, torniamo alle nostre storie. In ciascuna di esse, sia in quelle legate al mito, sia nelle due fiabe, il punto focale la relazione con la morte e in modo specifico il tentativo di sfuggirle. Tentativo ovvio, si potrebbe dire, naturale in ogni persona pi o meno sana.

Nel mito di Sisifo e in quello di Piritoo, della morte per sottolineata lineluttabilit, legata in entrambi allhybris, al voler andare oltre i confini dati.

Nella storia di Alcesti e nelle due fiabe lhybris assente, sostituita dalla pietas di Alcesti e dallastuzia della vecchia e di Gretel, immagini, potremmo dire, della metis. Come a dire che amore, compassione e intelligenza pratica, quella del nocchiero o dellartigiano o del polpo, la metis appunto, possono soccorrerci di fronte al pensiero della morte. Lamore e la compassione distogliendoci dai nostri narcisismi e la metis permettendoci di affinare quello che Pavese chiam, pur praticandolo con dolore e difficolt, il mestiere di vivere. La narrazione su Piritoo sottolinea invece limpermeabilit tra mondo dei vivi e mondo dei morti, che ritroviamo per esempio, in un mito anteriore quale quello della discesa di Inanna agli Inferi, di cui parleremo pi avanti.

Torniamo ad Alcesti. Nel mito possiamo anche ravvisare una costellazione psichica collegata alla figura dellAnima e alla depressione. Di fronte allangoscia della morte, la scadenza che gli dei annunciano ad Admeto e che gli si presenta nellimmagine di Thanatos, lIo, nellimmagine di Admeto, lascia che lAnima Alcesti- sprofondi negli Inferi, operando cos un processo di scissione. un meccanismo regressivo, legato ad aspetti narcisistici e di autocommiserazione. In una parola uno degli aspetti dei processi depressivi che possiamo vedere in noi e nei nostri pazienti. Ed anche legato a una delle tre forme del suicidio di cui parla Starobinski. Esistono, secondo lo psicoanalista francese, tre categorie di suicidio, delineate da tre diverse immagini. Le prime corrispondono al Werther del suicidio romantico e al Catone del suicidio etico. A noi interessa invece la terza forma, immaginalmente rappresentata da Ofelia.

Ofelia, respinta da Amleto (Va in convento), gli dona, in una straordinaria scena, un ramo di rosmarino (Il rosmarino per il ricordo. Ti prego, amore,

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ricorda). Verr poi ritrovata morta in uno stagno in cui si lasciata affogare (vedi il bellissimo quadro di Millais).

Il suo , potremmo dire, il suicidio regressivo, in cui ci si lascia scivolare nel nulla, come lAnima sprofonda nellinconscio nelle fasi regressive, venendo cos meno al suo ruolo di ponte tra inconscio stesso e Io.

Se la storia dellAnima finisse cos, con la morte di Ofelia e di Alcesti e la

sopravvivenza della coppia di egocentrismi costituita da Amleto e Admeto, poco vi sarebbe da aggiungere. Sul piano clinico ci troveremmo di fronte a uno dei tanti aggiustamenti nevrotici che vediamo nei pazienti: una scissione dellAnima, non proiettata su un oggetto esterno ma segregata nellinconscio, da dove provocherebbe una serie di quei sintomi che spesso cerchiamo di risolvere uno alla volta, letteralizzandoli direbbe Hillman, senza invece coglierne il significato.

Per parlare ancora, in chiave diversa, della scissione dellAnima, con una nuova divagazione (che a torto sembra esulare dal discorso), andiamo a frugare tra le configurazioni di quella mitologia creativa di cui parla Joseph Campbell. Campbell, nel suo Le maschere di Dio, scrive: [] dalla met del XII secolo una crescente disintegrazione ha distrutto la formidabile tradizione ortodossa che si era affermata fino ad allora; e con il suo crollo si sono liberati i poteri creativi di una serie di eccezionali individui: cosicch [] dobbiamo prendere in considerazione non una e nemmeno due o tre mitologie, ma unintera galassia (Campbell, IV, 1, 11). La mitologia, lo vediamo un farsi continuo che porta a galla immagini simboliche che poi abitano i nostri sogni e i nostri incontri.

Inoltrandoci dunque nella mitologia creativa vincontreremo Don Giovanni, Don Juan Tenorio. La figura di Don Juan ha origini antiche e complesse. Troviamo la sua prima, piena manifestazione in un testo del 1630, la commedia El burlador de Sevilla y convidado de piedra, attribuita a Tirso de Molina. In Don Juan, puer eterno, narcisista perfetto fino a un tratto sociopatico o sadico, lAnima viene totalmente

LOfelia di J.Millais

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scissa e apparentemente proiettata di volta in volta sulle milleetr donne del suo catalogo. In realt, lAnima di Don Giovanni sembra completamente inconscia: egli non sa cosa sia il femminile, n il suo n quello delle donne che incontra; non ha alcuna relazione con linconscio; non pu esservi guidato n esserne salvato e in effetti, la conclusione della parabola di Don Giovanni non pu che essere, per converso, la caduta e lo smarrimento negli Inferi, dove condotto dal Convitato di Pietra, Don Gonzalo Ulloa, padre di una delle vittime di questo seduttore seriale.

Si potrebbe dire che, in una situazione di totale scissione dellAnima quale quella caratteristica di Don Giovanni, il risultato finale lincontro distruttivo con la figura del Padre. La Legge del Padre condanna alla discesa agli Inferi, come in un naufragio finale nellinconscio, con il quale non vi stata la mediazione rappresentata dalla funzione animica.

Il passaggio attraverso gli Inferi depressivi pu pertanto coincidere con un

processo di scissione dellAnima. Clinicamente parlando possiamo assistere a un vero e proprio episodio psicotico, con aspetti deliranti e incapacit a mantenere la distinzione tra Io e inconscio, tra Io e Ombra. Senza la mediazione salvifica dellAnima lIo naufraga nellOmbra, attraverso un fenomeno didentificazione con essa, quello che Toni Wolff definisce uno scambio tra Io e Ombra (cfr. Trevi e Romano, 41). Mario Trevi parla a questo proposito di unenergia psichica bloccata o che circola solo ai livelli inferiori e dinamizza soltanto le parti buie della personalit (ib.). Un mio paziente che attraversava una fase depressiva acuta accentuata dallassunzione di alcool si comport per circa due mesi come se possedesse e ne fosse dominato- una seconda personalit, rancorosa, maligna e vendicativa, con tratti auto ed etero distruttivi in campo sia affettivo sia lavorativo, associati a fasi deliranti. Un autentico scambio tra Io e Ombra. Il miglioramento inizi solo con la consapevolezza di ci che aveva causato la crisi: una malattia organica acuta che lo aveva posto per la prima volta di fronte alla perdita dellimmortalit. Nella seconda met dellesistenza rimane vivo solo chi, con la vita, vuole morire (Jung, VIII, 437). Senza laccettazione della nostra mortalit, non possiamo vivere se non ossessionati dallangoscia e senza consapevolezza. Fenomeno questo, per nulla raro, anche nel mito: proseguendo nel nostro discorso vedremo presto come tali comportamenti distruttivi in cui lAltro non viene pi visto sono frequenti nei miti eroici. Ma ne parleremo pi avanti.

Noi per sappiamo che il meccanismo depressivo pu anche essere uno degli

strumenti del processo individuativo. E in questo senso possiamo leggere nel mito di Alcesti un reculer pour mieux sauter. Una sorta di nigredo alchemica, una regressione verso linconscio durante la quale matura la trasformazione. Una nekya, come dice Jung, non una caduta nell'abisso distruttiva e priva di scopo, ma una significativa catabasi, il cui obiettivo il ripristino dell'intero uomo. Ma a questo punto dovremmo domandarci, in chiave terapeutica, quale sia listanza che salva la fanciulla e quindi, fuor di metafora, chi recuperi lAnima ricomponendo la

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scissione. A scendere negli abissi un singolare psicopompo, Eracle, che siamo abituati ad associare ad altri tratti psicologici, legati alla figura delleroe e alla sua tragicit. In effetti per, sia nel mito di Piritoo sia in quello di Alcesti, Eracle leroe che si batte con le forze degli Inferi, quindi, potremmo dire, contro i mostri dellinconscio, luogo, direbbe Hillman, della notte e della morte. Freud per primo a suggerirci questa consonanza tra inconscio e morte: dellEs, ne LIo e lEs, scrive: come se [] stesse sotto il controllo delle mute ma possenti pulsioni di morte. Noi sappiamo che per Freud, nella sua metafora guerresca e topografica e quindi nella sua psicologia eroica, linconscio era terra di conquista: L dove cera lEs dovr esserci lIo, mentre Jung vede linconscio come una fonte di ricchezza potenziale (daltronde, per rimanere nella metafora della morte, ricordiamo che i nomi con cui apotropaicamente era chiamato Ade erano Pluto e Trofonio: ricchezza e nutrimento dunque). Quindi, in unottica freudiana non ci stupiremo di vedere leroe battersi contro le mute ma possenti pulsioni di morte. Ma anche per Jung linconscio comunque un luogo pericoloso, in cui lo sprofondare pu essere letale. E noi possiamo evitare di sprofondare soltanto attraverso la consapevolezza di quel che stiamo facendo mentre prendiamo contatto con esso. Nella tragedia di Euripide, Eracle, per mille versi caratterizzato altrove come un eroe trascinato dal proprio destino, sembra essere lunico consapevole di ci che veramente accade. Questo, forse, ci che gli permette di affrontare quelli che Hillman definisce i processi di distruzione e di morte localizzati nelle profondit dellanima. In questo modo, attraverso la consapevolezza di quel che sta avvenendo, anzich soffrire la segregazione regressiva dellAnima rifiutando la trasformazione che il suo inabissarsi ci richiede, lIo pu recuperarla dalla scissione, al termine di un processo evolutivo, quale appunto ossimoricamente la nigredo. Ma, come vedremo, ogni trasformazione ha in realt un prezzo.

3. Spostiamoci ora in unarea geografica pi lontana, il Medioriente e precisamente

nella terra di Sumer, dove incontriamo un mito che ci parla, ancora una volta di una discesa agli Inferi e di uno scambio di persona.

Inanna, la protagonista del nostro mito, la dea celeste dellamore puro (famiglia, nozze e fecondit) e impuro (tradita da Dumuzi, il suo sposo, diverr la sacra prostituta degli dei) ed assimilabile alla babilonese Ishtar, in cui presente per anche un aspetto legato alla guerra e alla distruzione.

Nel poema La discesa di Inanna agli inferi, la dea dunque decide di scendere nel Kur, il sotterraneo luogo del non ritorno, dove regna Ereshkigal, sua sorella. Ma, come agli dei delloltretomba vietato visitare i cieli, a Inanna vietato scendere agli Inferi. Infrangendo dunque questo divieto, Inanna, forse per spodestare la sorella, si veste dei sette attributi della sua divinit, i Sette Poteri e, accompagnata da unancella, si presenta alla porta di Kur e si fa aprire. Dichiara al custode di venire per i funerali dello sposo della sorella, Gugalanna, ucciso da Gilgamesh. Da sola condotta attraverso sette sale, in ciascuna delle quali le viene tolto uno degli

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attributi divini. Giunge cos nuda di fronte alla sorella e agli Annunaki, i mostruosi giudici di Kur. La sua punizione sar terribile: lo guardo furioso di Ereshkigal la uccide. Il suo cadavere appeso a un chiodo come un pezzo di carne.

Toccher alla fida ancella rivolgersi agli dei del cielo per liberarla ed Enki, con uno stratagemma, riuscir a riportarla in vita. Ma gli Annunaki non intendono lasciarla andare se non in cambio di un altro prigioniero. Il prescelto infine sar lo sposo di Inanna, il pastore Dumuzi, che dopo la sua morte festeggia, insediato sul trono della sposa, destando lira irrimediabile di Inanna. Il mito continua poi in un altro documento di cui parleremo pi avanti, a proposito di Demetra e di Persefone.

4. Sia nel mito di Alcesti sia in quello di Inanna ci troviamo di fronte a uno scambio:

Alcesti per Admeto, Dumuzi per Inanna. Quello che ci tocca ora cercare di guardare questo meccanismo con uno sguardo psicologico, cercando di capire quel che ci comunica. C tra i due miti una differenza evidente: in quello di Alcesti lo scambio avviene nel mondo supero, in quello di Inanna nel mondo infero. Proviamo dunque a psicologizzare questa differenza.

NellAlcesti abbiamo sottolineato come lo scambio abbia il sapore di una scissione dellAnima legata alla paura della morte. E possiamo aggiungere che tutte le nostre paure, se osservate in profondit, rivelano sullo sfondo questa, unica e primordiale, di cui risuonano labbandono, la fine, la separazione, la malattia, il fallimento... A proposito della scissione dellAnima, Augusto Romano scrive: Larroccamento dellIo e la perdita dellAnima significano la perdita del coinvolgimento personale e dellattaccamento nei confronti di s e del mondo. Da

Rilievo Burney del British Meseum:

Inanna/Ishtar? Lilith?

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ci seguono: rigidit, conformismo, apatia, monotonia, aridit, rassegnazione, il senso che niente conta o che tutto, fuori e dentro, come svuotato. In una parola, il quadro depressivo, che la manifestazione nel mondo diurno di quello che si sta svolgendo nel mondo notturno, negli Inferi. Abbiamo separato da noi lAnima, scindendola e non proiettandola su un oggetto esterno che ce ne restituisca le risonanze, ma sprofondandola nellinconscio. Non siamo pi in grado di sentirla e i messaggi dellinconscio ci arrivano senza il suo filtro, investendoci con i loro contenuti mortiferi non pi elaborati. Nella depressione non siamo pi in grado di avvertire n calore n senso, ci sentiamo smarriti in un deserto in cui laridit una sofferenza ancora maggiore del dolore.

Ma osserviamo quel che accade sotto, attraverso la narrazione mitica. Nel mito di Inanna la situazione cambia topograficamente, nel senso che esso apre uno spiraglio sul mondo infero. E in questo sono due le cose che ci colpiscono.

La prima che Ereshkigal la sorella di Inanna e ne costituisce anche la parte infera. Le due facce della dea, come accade nel mondo greco per esempio con Afrodite e Afrodite Ctonia (lAfrodite Ctonia aveva un tempio a Locri Epizefiri, in Magna Grecia, dove veniva praticata la ierodulia, cio la prostituzione sacra). Potremmo dire, seguendo la metafora junghiana, che Inanna, negli Inferi, viene in diretto contatto con la sua Ombra e ne viene inghiottita. segregata nel Kur.

La seconda cosa a colpirci lo scambio: anche dopo essere tornata in vita, Inanna non pu risalire nel mondo celeste senza che qualcuno prenda il suo posto. Questo scambio necessario ci suggerisce che non si pu ritornare dagli Inferi senza avervi lasciato qualcosa. In un processo trasformativo noi cambiamo, acquisendo nuove consapevolezze, facendo un passo sul sentiero individuativo. Ma al tempo stesso dobbiamo lasciare cadere qualcosa, le nostre parti morte, quelle che non sono pi funzionali al nostro divenire ma che, al contrario ci appesantiscono fino a fermarci. Dobbiamo fare quello che pu essere definito un sacrificium, un patto con il numinoso, con il S, che implica questa caduta. In altri termini diciamo che un abbandono, una separazione, un cambiamento di vita impongono che, per riemergere, ci si distacchi da qualcosa. Freud aveva intuito giusto distinguendo tra lutto e melanconia, nel dire che la differenza che, se siamo troppo identificati con loggetto perduto la sua perdita ci fa sentire come se ci venisse asportato un pezzo di noi. Non siamo pi in grado di elaborare la perdita e dal meccanismo del lutto scivoliamo in quello della melanconia.

5. LOmbra, dunque. Abbiamo accennato sopra ai doppi ctoni degli dei. Zeus-

Ade (lo Zeus ctonio), Afrodite-Afrodite ctonia. Di questi doppi un esempio molto chiaro , abbiamo visto, quello della coppia Inanna-Ereshkigal, divinit celeste luna, ctonia laltra. Entrambe sono legate a Dumuzi, il dio che in morte giacque con la seconda, ma che in vita fu lamante della prima (Campbell, II, 61). Questa presenza dOmbra la stessa che riscontreremo pi avanti nel mito di Demetra e Persefone, dove la coppia non di sorelle ma madre-figlia. Lamante bambino

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Dumuzi il pastore (assimilabile allAdone greco) diventa in questo caso il figlio adottivo di entrambe, Trittolemo (di cui parleremo pi avanti), altro esempio palese della sizigia luce-ombra che vedremo con grande chiarezza nella figura delleroe. Di Trittolemo, Campbell dice che avesse portato il dono di Demetra (il grano) nel mondo e che, come figlio di Persefone, regnasse nel mondo dei morti (ib., 62). Daltronde, dice sempre Campbell, citando Jane Harrison: Bench Demetra e Core [Persefone ] siano due persone distinte, sono ununica divinit (ib.). Nella figura sottostante sarebbero rappresentate in un avorio miceneo conservato al Museo di Atene.

6. Storie, miti, narrazioni. Ma perch abbiamo insistito tanto sulla narrazione?

Perch raccontare il modo che possediamo di inserire la nostra vita in un contesto di significati. Un prima e un dopo, una concatenazione causale, un fine, una serie di progetti. Un ingannare, temporaneamente, la morte. E, nel racconto, noi possiamo intravedere il filo aggrovigliato della nostra esistenza, intuendo quale sia o quali siano i miti che a esso si sovrappongono. O meglio, ai quali ci sovrapponiamo, cercando cos di porre rimedio alla nostra domanda sulla presenza o assenza di senso. La risposta, daltronde, semplice: non esiste. Non possiamo sapere se gli avvenimenti e le nostre scelte abbiano un senso o meno. Quello che

Avorio miceneo conservato al Museo di Atene: rappresenterebbe Demetra, Persefone e Trittolemo

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possiamo cercare di fare comunque di costruirne uno, affidandoci, per il resto, a quella magnifica traditrice che la speranza.

Abbiamo detto che siamo noi a sovrapporci ai miti. Scrive Jung: Le immagini mitiche appartengono alla struttura dellinconscio e sono di possesso impersonale: e la maggior parte degli uomini sono da esse posseduti anzich possederle. (IX, 1, 181). Posseduti dai miti, dunque: senza rendercene conto continuiamo ad agire come gli dei e gli eroi, con i loro splendori, le loro nefandezze e le loro miserie. Seguiamo tracce inconsce e per riconoscerle e riconoscerci siamo costretti a ricorrere a un sapere che abbiamo dimenticato. Dimenticato solo coscientemente per, perch il nostro inconscio di quel sapere continua a essere maestro e ce lo propone attraverso le immagini, nei sogni, nelle fantasie, nelle proiezioni che facciamo. Daltronde, Hillman, che la sapeva lunga, scrisse: Non siamo noi che personifichiamo, sono le epifanie che giungono a noi come persone. larchetipo che incontriamo attraverso le sue immagini. E altrove: Durante i sogni vengono a farci visita daimones, ninfe, eroi e dei nelle sembianze dei nostri amici della sera avanti. Dunque sono gli dei a presentarsi a noi nelle vesti delle immagini e delle persone che incontriamo. E sar capitato anche a noi di intravedere, in una giovane donna, il profilo di Calypso o di Afrodite o in un valoroso quello di Teseo o di Odisseo. Non ci stiamo inventando nulla, in quel momento, semplicemente vediamo, incontriamo. Come scrive Jung: Non si pu certo supporre che il mito o il mistero siano stati coscientemente inventati per qualche fine: tutto fa pensare piuttosto che essi rappresentino un involontario riconoscimento di una precondizione psichica inconscia. (Ib, 183). Dunque, mito e mistero non sono da noi creati, ma esistono, nel mondo archetipico dellinconscio collettivo. E a noi resta solo il tentare, come dice Eliot. Il tentare, in questo caso, di decifrare il significato del mito in noi e di accettare la presenza del mistero.

7. In questo modo siamo costretti a riconoscere che esiste una storia pi grande

che costituisce lordito delle nostre storie individuali e le trascende. In questo senso noi siamo inscritti nello sfondo dellinconscio, individuale e collettivo e pertanto in quello del mito.

Questa riflessione sul rapporto tra storia individuale e mito, questo essere posseduti come dice Jung dalle immagini mitiche, apre la strada al concetto di destino. Sisifo dovr morire, Edipo uccider suo padre e sposer sua madre, Odisseo lascer la divina Calypso e torner a Itaca da quella stessa Troia dove Achille ha trovato la morte, nonostante i tentativi fatti per salvarlo da Teti, la Nereide che lo ha partorito. Stiamo parlando al futuro e al passato, ma potremmo parlare indifferentemente anche al presente, perch ci troviamo in quel tempo mitico di cui diremo pi avanti e che il nostro tempo pur non essendo il nostro tempo. O meglio il tempo, circolare, in cui psicologicamente sinscrive il nostro lineare tempo umano. Riconoscendo di essere posseduti dalle immagini mitiche noi non facciamo altro che riconoscere il nostro destino.

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Ma che cosa intendiamo con questa parola? Pier Francesco Pieri scrive che esso: fondamentalmente indicato attraverso la nozione del S nella sua accezione di depositario dellessere e del divenire individuali [] ci che condiziona e limita la possibilit, ovvero la libert e la progettualit umane (Pieri, 206-207). In questo modo, Pieri pone il destino come un polo di una sizigia, la coppia di opposti complementari, di cui laltro la nostra libert. Ed nella tensione tra questa coppia di opposti che muove il processo individuativo.

Ritorniamo a Odisseo. Il suo destino, uno dei poli della sizigia, ritornare a Itaca. A proteggerlo nel suo viaggio Atena, che lo aiuta contro il volere di Poseidone e il nostos, il ritorno, il risultato finale. Il destino dunque compiuto. Ma, nel suo viaggio per Itaca sono evidenti le deviazioni che gli impongono il desiderio di conoscenza e di libert e le sfide che la metis delleroe si trova a fronteggiare. In una parola, la sua volont di autodeterminarsi.

Il destino dellUlisse dantesco, daltronde diventa, ossimoricamente, proprio la scelta della libert (come daltronde la sua libert il suo destino): [] Quando / mi diparti da Circe, che sottrasse / me pi dun anno l presso a Gaeta, / prima che s Ena la nomasse, / n dolcezza di figlio, n la pieta / del vecchio padre, n l debito amore / lo qual dovea Penelop far lieta, / vincer potero dentro a me lardore / chi ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore; / ma misi me per lalto mare aperto / sol con un legno e con quella compagna / picciola da la qual non fui diserto (Inferno, XXIII, 90-102).

La fine nota: Noi ci allegrammo, / e tosto torn in pianto; / ch de la nova terra un turbo nacque / e percosse del legno il primo canto. / Tre volte il f girar con tutte lacque; / a la quarta levar la poppa in suso / e la prora ire in gi, comaltrui piacque, / infin che l mar fu sovra noi richiuso".(ib., 136-142).

Il libero arbitrio di Odisseo si rivela nella lettura che ne fa Dante un comportamento di hybris e il risultato, ancora una volta lo sprofondare negli Inferi.

Proviamo a essere pi chiari pensando a quelle che Jaspers definisce situazioni-limite, come la morte, la lotta, il dolore.

Se nelle situazioni-limite ci troviamo a confrontarci con schemi mitici, con modelli o forme che determinano il nostro agire, se ci ritroviamo a scoprire, in altre parole, quale sia il mito che conduce la nostra vita, potremmo sentire che la nostra libert coartata o perlomeno limitata. Al di l del fatto che la liberta non pu non essere limitata, se non nel gesto estremo del disporre della propria vita attraverso il suicidio, il punto centrale che noi quel destino, quel mito dobbiamo riconoscerlo ed entrare con esso in una relazione dialettica e talora conflittuale. In questa dialettica, miticamente ravvisabile nella lotta di Giacobbe con lAngelo del Signore, si costituisce la relazione con il S da cui prende le mosse il processo individuativo. Noi sappiamo che esso , con le parole di Pindaro, il diventa ci che hai appreso di essere. E sappiamo anche che il suo richiamo non arriva per tutti. Jung ne parla accennando a una voce interiore, a un demone: Cera dentro di me un demone, e alla fine la sua presenza si dimostrata decisiva (Jung, 1962, p. 416). Ma aggiunge, poche righe, sotto: Dovevo ubbidire a una legge interna che mi simponeva senza

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lasciarmi libert di scelta. Naturalmente non sempre le ho obbedito. Chi potrebbe vivere senza mai essere incoerente? (ib., pag. 417).

Se noi obbediamo completamente alla nostra voce interiore, al mito che ci domina, vi affonderemo dentro, naufragando nellinconscio. Il nostro destino diverr allora la catastrofe esistenziale, magari psicotica. Se invece ci muoviamo allinterno della tensione degli opposti tra la chiamata del S e la nostra coscienza, possiamo, imperfettamente, incompletamente, procedere lungo la strada del processo individuativo. Dobbiamo ricordarci, da terapeuti e da esseri umani, che, come avere unanima propriamente il rischio della vita (Jung, IX, 1, 25), anche ricevere il dono avvelenato di non poterci accontentare delladattamento alla vita e invece avvertire la chiamata del S , al tempo stesso, un rischio e una responsabilit.

8. Ma torniamo alle storie e in particolare a una storia che con il destino ha molto a

che fare. Ci spostiamo ancora una volta nello spazio per ritrovarci nel gelo della Scandinavia.

Silenzio chiedo a tutte le divine genti, piccole e grandi, progenie di Heimdallr! Tu vuoi che io, o Valfodhr [Odino], narri compiutamente le antiche storie delle creature, le cose che prime ricordo (Vlusp, X sec. d. C., 1).

Cos la Vlva, la Veggente, allinizio della Vlusp, il poema che apre lEdda Poetica, summa della mitologia scandinava. Poema cosmogonico caratterizzato dalla percezione della fine incombente (il Ragnark, etimologicamente il destino degli dei) di quello stesso ordine cosmico e perci da un insolito sentimento crepuscolare. Io conosco molte arti, l lontano vedo il Ragnark, frammenti della fine (ib.).

Il mito del Ragnark un mito palingenetico, ossia di rinnovamento del cosmo attraverso un meccanismo di distruzione e rinascita ed associabile ad altri apparentemente lontani, come quelli relativi al Diluvio. Un mondo finisce, un mondo rinasce. Ma quel che rende il Ragnark unico che in esso la fine del mondo prevede anche la fine del mondo divino. Sembra non esistere un Kosmos che possa sopravvivere al Chaos e gli dei soggiacciono allo stesso destino degli uomini. E ora vediamo il mito, leggendo il Gylfaginning (linganno di Gylfi), contenuto nellEdda in prosa di Snorri.

Durante tre anni di durissimo inverno i legami tra gli uomini si spezzano e il mondo viene attraversato dalla violenza. Tempo di asce, tempo di spade, s'infrangeranno scudi, tempo di venti, tempo di lupi, prima che il mondo crolli. Il sole e la luna scompaiono, divorati dai lupi che li inseguono dallinizio dei tempi, lo stesso frassino Yggdrasil, Axis Mundi, scosso: Accadr poi che la terra tutta tremer e cos i monti, finch i boschi si sradicheranno dalla terra, le montagne crolleranno, mentre tutte le catene e tutti i vincoli si scioglieranno e si spezzeranno. Le potenze di Hel, gli Inferi scandinavi, vanno a combattimento sulla nave dei morti contro gli dei celesti: Avverr anche che Naglfar, la nave che cos si chiama, salper libera. Essa costruita con le unghie dei morti. Guidati dal gigante dei

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ghiacci Surtr attraverseranno il ponte Bifrost che unisce la terra al cielo e giungeranno ad Asgard, dimora degli dei. Dei inferi e celesti si uccidono a vicenda e infine il gigante Surtr incendia il mondo con la sua spada ardente. Poi Surtr appiccher fuoco alla terra e tutto il mondo brucer.

Un nuovo mondo rinascer da quel rogo. Saranno i figli degli dei, accompagnati da Baldr, il pi saggio tra gli dei, morto e risorto e da Hr, il suo cieco e inconsapevole assassino, a trovare nellerba i pezzi degli scacchi con cui giocavano i loro genitori. La terr emerger dal mare e sar allora verde e bella. I campi cresceranno senza esser stati seminati. Varr e Vli vivranno poich n il mare n la fiamma di Surtr avranno arrecato loro danno e abiteranno a Iavllr, l dove prima sorgeva sgard. Giungeranno poi i figli di rr [Thor], Mi e Magni, e avranno con loro Mjllnir. Ritorneranno anche Baldr e Hr da Hel, allora tutti siederanno insieme e converseranno, ricorderanno la loro rune e parleranno degli avvenimenti passati, del Migarsormr e del lupo Fenrir. Troveranno poi nell'erba le pedine dorate che erano appartenute agli sir. [] Nel bosco detto di Hoddmmir, due persone si nasconderanno dalla fiamma di Surtr. Cos si chiameranno: Lf e Leifrasir. Essi avranno la rugiada del mattino come cibo e da loro verr una progenie cos grande che popoler tutto il mondo. (Gylfaginning, passim).

Un mito complesso, diverso come abbiamo detto dagli altri miti palingenetici.

Nel Ragnark anche il mondo degli dei sottosta alle leggi del destino e a quello che Mircea Eliade definisce lEterno Ritorno. Potremmo chiamare, alla luce delle ultime cose dette, il Ragnark il mito dei miti, il mito del destino, perch in esso giunge a compimento anche il destino del mito stesso. E si rinnova, nel tempo

Odino secondo Georg von Rosen

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ciclico del mito. Nel mondo scandinavo lunica libert, anche per gli dei, quella di andare incontro al loro destino di morte.

Al tempo stesso per ci troviamo di fronte a un rinnovamento che anche, ancora una volta, una trasformazione. Perch tutto ricominci necessario che gli attori cambino. Non vi sar pi Odino sul trono, ma i suoi figli Varr e Vli e a portare Mjllnir, il sacro martello, larma di rr, saranno i figli di questultimo, Mi e Magni.

Gli unici superstiti del ciclo conclusosi sono gli innocenti, Baldr, dio puro per

definizione e il suo cieco assassino, Hr. La storia delluccisione di Baldr una storia interessante e poich siamo qui a parlare di narrazione, raccontiamola.

Baldr, figlio di Odino il pi saggio e bello tra gli dei. invulnerabile, perch alla sua nascita Frigg, la madre, ha chiesto a tutti gli esseri, animati e inanimati, di non nuocergli. Egli anche il nemico del male ed per questo e per invidia- che diviene subito il bersaglio di Loki, che del male il dio. La storia singolare: conoscendo linvulnerabilit di Baldr, gli dei si divertono a colpirlo con ogni arma sapendo di non poter fargli del male. Ma Loki, con uno dei suoi stratagemmi, riesce a carpire a Frigg un segreto: tutti gli esseri, animati e inanimati, hanno giurato, ma non il vischio, un germoglio troppo giovane e tenero perch glielo si potesse chiedere. Cos Loki invita Hr, il dio cieco, a lanciare contro Baldr un ramo di vischio. Hr esegue e uccide Baldr. La conseguenza la prigionia di Loki, che si risolver solo al momento del Ragnark, di cui il perfido dio sar motore. Ma

Thor con Mjllnir

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spendiamo qualche parola per Loki, anche perch egli ci permette di parlare di un concetto centrale nel pensiero junghiano, quello di Ombra.

9. Loki, figlio di giganti e quindi non della stirpe degli sir gli dei olimpici

della mitologia nordica- accolto ad Asgard, la corte di Odino, grazie a un patto stabilito tra lui e lo stesso Signore degli Dei: Ricordati, Odino, che noi due al principio dei tempi mischiammo il nostro sangue: birra non avresti mai consumato, dicevi, se insieme a me non lavessi presa (Lokasenna, 9).

Di lui Snorri, nellEdda in prosa, dice: Si annovera ancora fra gli sir colui che

taluni chiamano il calunniatore degli sir, origine degli inganni, e disgrazia di tutti, di e uomini. Questi chiamato Loki o Loptr, figlio del gigante Frbauti. [] Loki bello e avvenente alla vista, malvagio nell'animo e molto volubile nel temperamento. Ricevette pi di ogni altro quella capacit che si chiama astuzia e ordisce inganni in tutte le occasioni. Mise ripetutamente gli sir in gravi difficolt, anche se poi spesso li soccorse con i suoi inganni(Gylfaginning, 33 a).

Loki un dio complesso, ambiguo e riveste, come vedremo, un ruolo centrale nella mitologia scandinava e precisamente quello di colui che porta a termine il destino. Pu, seppure con una forzata semplificazione, essere considerato il dio del male, portatore di discordia, come nel Lokasenna, in cui copre di insulti gli dei, fuggendo solo dinanzi al comparire di Thor e del suo martello.

Scrive Gianna Chiesa Isnardi: Loki incarna in realt il principio del male che ha origine nelle origini stesse del mondo [](Chiesa Isnardi, 246). Dio del male, i

Loki. Incisione islandese del 1600

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suoi stessi figli ne sono lincarnazione: Hel la signora degli inferi, Fenrir, il lupo cosmico che affronter Odino durante il Ragnark in un duello mortale per entrambi, Jrmungandr il serpente uroborico che circonda il mondo e che combatter, alla fine dei tempi, con Thor, rimanendone ucciso ma uccidendolo a sua volta con il suo ultimo, velenoso, respiro1.

Ma Loki ha anche altri figli, non legati al male, come Sleipnir, il cavallo a otto

zampe, il pi veloce e resistente, destriero di Odino, cui Loki ne fa dono. Talora in effetti Loki collabora con gli altri dei, che non riuscirebbero in certe imprese senza il suo sostegno: Mise ripetutamente gli sir in gravi difficolt, anche se poi spesso li soccorse con i suoi inganni.

Gli inganni di Loki richiamano quelli di Odisseo e la sua metis. Come il figlio di Laerte riesce a raggirare Polifemo, cos agisce Loki nel Thrymskvia, dove il gigante Thrym, per restituire il Mjollnir, il martello sacro di Thor, principale difesa degli dei, chiede in sposa nientemeno che Freya, dea dellamore, della fertilit e della guerra, caratteristiche che condivide con la Ishtar babilonese. Ebbene, Loki convince Thor a indossare gli abiti di Freya e lo accompagna, travestito da ancella, nella terra dei giganti. Al momento di celebrare il matrimonio, Thrym depone Mjollnir sulle ginocchia di Thor per consacrare il rito. E il dio, riappropriatosene, fa strage dei giganti.

Un dio ambivalente, quindi. Sempre Chiesa Isnardi dice: [Loki] tuttavia necessario allesistenza del cosmo, incentrata su un dualismo fondamentale e

1 Loki mostra una singolare parentela con Zeus che partor, come si sa, Atena dal cranio e Dioniso dalla coscia. Infatti,

di lui si narra come trovasse tra le ceneri il cuore della gigantessa Angrboa. E se ne cibasse rimanendone gravido.

Partor poi I suoi tre figli: Fenrir, Jrmungandr e Hel, una fanciulla dal volto per met roseo e per met livido e

avvizzito.

I figli di Loki

secondo Emil

Doepler

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sullequilibrio di opposti principi (Chiesa Isnardi, 246). E Loki necessario al compimento dei tempi come Giuda necessario a Cristo perch avvenga quel che deve avvenire. Anche Loki ha un destino, legato al Ragnark, di cui motore e protagonista: [] egli il veleno dellesistenza: talora per per assurdo deve difendere e preservare il principio del bene perch la sua lotta contro di esso dovr concludersi solamente al tempo prestabilito nellultimo giorno (Chiesa Isnardi, 246). E in effetti Loki uno dei condottieri delle schiere infere nel Ragnark e perir, insieme al suo avversario, nello scontro con Heimdallr, il guardiano di Asgard.

10. Ma perch soffermarci sulle storie di Loki? un dio che sta sulla soglia, abbiamo

detto, mai da una parte sola, nemmeno il giorno della battaglia finale. La sua ambivalenza infatti necessaria perch il destino degli dei si svolga come stabilito e al momento stabilito. Loki contribuisce a mantenere lordine cosmico aiutando Thor a recuperare il suo martello, senza il quale gli dei potrebbero soccombere ai giganti, ma genera Fenrir che uccide Odino, il padre degli dei, alla fine dei tempi. Loki si presenta come un esecutore del destino: fa la cosa necessaria al momento necessario. Un dio dal duplice volto, da un lato conservatore dellordine e dallaltro suo eversore, come, in tuttaltra area e in maniera pi codificata ed esplicita, lo iva creatore e distruttore del pantheon ind. In lui i contrari e la sizigia vita-morte si tengono e si manifestano, allo stesso modo in cui lo Zeus olimpico e Ade, il suo doppio ctonio sono funzionali al kosmos.

Se passiamo sul piano della psicologia personale possiamo dire che la consapevolezza della morte e la sua accettazione sono necessarie per la vita. Scrive Jung: Nella seconda met dell'esistenza rimane vivo soltanto chi, con la vita, vuole morire. Perch ci che accade nell'ora segreta del mezzogiorno della vita l'inversione della parabola, la nascita della morte. La vita dopo quellora non significa pi ascesa, sviluppo, aumento, esaltazione vitale, ma morte, dato che il suo scopo la fine (Jung, VIII, 437).

Il mondo della morte e degli Inferi, come abbiamo visto sopra, ha un rapporto diretto con la depressione e con la trasformazione psichica. Possiamo vedere Loki, nella sua ambiguit, come un sovvertitore dellomeostasi, dellequilibrio, sovvertimento necessario perch la trasformazione possa avvenire. La sua presenza e la sua opera sono centrali nel Ragnark, guidando la palingenesi del mondo umano e divino e quindi il mutamento. Daltronde, come ricorda Wendy Doniger, a proposito della mitologia ind: [] il bene quiescente, il male caotico e creatore di vita. Il bene omeostatico, cerca di mantenere un equilibrio che nega per il mutamento; il male invece antiomeostatico e dunque portatore di alterazioni del vecchio equilibrio che conducono a uno nuovo. E dalla nigredo successiva alla fiamma di Surtr rinasce il mondo.

Spostiamoci ora in unaltra area geografica, quella del vicino oriente, a proposito della mitologia mazdea. Narra il Bundahishn Libro della creazione- che il mondo

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venne creato da Ahura Mazda, il signore saggio, lo spirito della giustizia, esistente dalleternit. Poich esso era perfetto, era del tutto immobile, intangibile e luminoso e proprio per questo invisibile, trasparente; privo di profondit diremmo noi. Lo spirito del male, Angra Mainyu, invidioso dellopera di Ahura Mazda, fece allora entrare il male nel mondo, per distruggerne la bellezza. Ma il male opaco (banale, come direbbe Hannah Arendt, e quindi concreto, quotidiano), e con esso nel mondo, penetr anche lombra. Da allora il mondo commisto di bene e di male, imperfetto ma proprio per questo visibile. Reale.

Il mito zoroastriano mostra con grande chiarezza quello che uno dei significati pi profondi della presenza del male nel mondo: il renderlo reale il mondo- attraverso una tensione dialettica, linserire in esso lombra, o, per usare lefficace terminologia junghiana, lOmbra. Per adoperare altri termini, la presenza del male insedia nel mondo il conflitto e di conseguenza la necessit di porsi di fronte a esso, in esso e di reggerlo. Ed dal conflitto che a sua volta nasce la dinamicit del cambiamento. In altri termini potremmo dire che il male porta nel mondo lentropia (nel senso di consumazione, degradazione, disordine), senza la quale il mondo stesso sarebbe immobile, privo di ulteriori possibili sviluppi. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto Giovanni, 12, 24). E di nuovo il discorso sul male e sullentropia ci riporta inevitabilmente a quello legato agli Inferi e alla depressione, ad Alcesti e Inanna. La morte lorizzonte che permette la vita e la trasformazione passa attraverso il viaggio agli Inferi.

Lambigua coesistenza tra bene e male ancor pi evidente in un tardo sviluppo del mazdeismo: lo zurvanismo. Secondo questa concezione Ahura Mazda e Angra Mainyu nascono entrambi, come fratelli, da un Dio primigenio, Zurvan, il Tempo. Sembrano quindi essere sullo stesso piano ontologico. Sul piano psicologico viene qui rappresentata archetipicamente la scissione della psiche in due parti, inconoscibili luna allaltra proprio perch scisse, non pi consapevoli della loro comune origine e della loro possibile integrazione. La scissione di Dio fuoriesce dal tempo, come dal tempo si pone fuori la psiche nella nevrosi.

11. Tramite Loki e il mito persiano siamo approdati al concetto junghiano di Ombra

e alla sua funzionalit nel processo individuativo. Ricorda Jung che: Ci si pu lasciar sfuggire non soltanto la propria felicit, ma anche la propria colpa, senza la quale un uomo non raggiunger mai la propria totalit.

questo un concetto solo apparentemente vicino a quello cristiano, attualmente molto discusso, della felix culpa, attribuito da taluni ad Agostino e da altri ad Ambrogio. La liturgia pasquale dice: Dio permette infatti che ci siano i mali per trarre da essi un bene pi grande. [] Perci nella benedizione del cero pasquale si dice: 'O felice colpa che ha meritato un tale e cos grande redentore' (Tommaso

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D'Aquino, Summa Theologiae, III, q.1, a.3, ad. 3). La colpa felice non nientemeno che lo stesso peccato originale, il mito fondatore della religione cristiana e ci porrebbe di fronte a un campo -un vespaio sarebbe meglio dire- di interpretazioni e di riflessioni riguardo al rapporto tra male e Dio. Non di questo vogliamo parlare adesso, ma solo notare che nella concezione cristiana il sacrificio che Dio fa di se stesso a se stesso tramite la crocifissione insedia la redenzione su uno sfondo trascendente. Essa proviene dall'alto, dall'esterno, ed legata alla felix culpa del peccato originale: se non vi fosse stato questo male non sarebbe stato possibile un bene cos grande come il sacrificio del Figlio per l'umanit.

Nella frase di Jung che abbiamo citato, invece, la passivit di fondo dell'attesa di una redenzione trascendente si rivolge nel meccanismo immanente e attivo del processo individuativo. In esso l'Ombra, nel qui e ora contribuisce all'evoluzione della psiche in un'ottica teleologica. Proprio tenendo conto di quest'ultima caratteristica, possiamo piuttosto accostare l'idea junghiana al concetto di eterogenesi dei fini, cos definito da Wilhelm Wundt e che si rif al pensiero di Vico, secondo cui la Storia contiene potenzialmente la realizzazione di certe finalit che, pur attraverso processi apparentemente rivolti ad altre mete, vengono comunque raggiunti (cfr. J. Hillman: Plotino, Ficino e Vico, precursori della psicologia junghiana. Riv. Ps. An.).

LOmbra -potremmo dire- motore della trasformazione. Al processo partecipano sia la sua ricognizione, ossia l'operazione di ricerca e di riconoscimento dei suoi aspetti nella psiche individuale, sia i fenomeni di integrazione o di consapevole rifiuto cui tali frammenti d'Ombra vanno incontro (cfr. Trevi-Romano). Operazioni e fenomeni, questi legati all'Ombra, in cui hanno parte fondamentale sia il passaggio per gli Inferi depressivi legati alla presa di coscienza, sia i confronti che essa impone allIo e che lo rendono pi consapevole, smussandone gli aspetti narcisistici.

Ma torniamo al mito. Parlando dellOmbra non si pu, come vedremo, non parlare degli eroi, impastati di luce e di buio: buoni, malvagi, splendenti, oscuri. E per cominciare partiamo da uno dei pi noti, Teseo, uno degli eroi fondatori della civilt greca. La complessit del suo mito ci permetter di fare unampia serie di osservazioni.

E come sempre incominciamo dalla narrazione. Teseo figlio di Egeo, re di Atene, ma anche, sebbene possa suonare strano, di Poseidone. In realt, la madre Etra, figlia di Pitteo, re di Trezene, ha giaciuto nella stessa notte sia con Egeo ubriaco sia con Poseidone. Dopo che si fu ridestato, sobrio finalmente, nel letto di Etra, Egeo ripart per Atene, raccomandando allamante che il figlio che fosse nato venisse allevato senza conoscere le sue origini. Alle prese gi con una complicata linea di successione, Egeo lasci sotto una roccia la sua spada e suoi sandali. Se il figlio fosse stato tanto forte e valente da ritrovarli, allora avrebbe potuto rivendicare la sua eredit. Di quel figlio, dal canto suo, Poseidone gli concesse la paternit.

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Il tema del doppio padre caratteristico della figura delleroe: c un padre umano, come Egeo per Teseo e Anfitrione per Eracle, e uno divino, come rispettivamente Poseidone e Zeus. Daltronde, in un altro ambito culturale, Ges, figlio di Dio, ebbe Giuseppe.

Le madri degli eroi, dice Maurizio Bettini, [] partorivano dei figli che, secondo le concezioni biologiche della mitologia greca -che erano abbastanza fantastiche e soprattutto molto pi confuse delle nostre- erano contemporaneamente figli di un padre divino, che era il vero padre e anche di un padre mortale (Bettini, 67). Il padre vero, quello che d al figlio le sue caratteristiche superumane, il dio: gli eroi sono dunque una sorta di incrocio, una stirpe bastarda, che dei meticci ha la resistenza e la lunga vita. Gli eroi non sono immortali dice ancora Bettini- ma comunque sono molto pi forti, molto pi belli, pi potenti, talora anche pi cattivi, pi pericolosi, degli uomini mortali (ib. 66).

Questo ci mostra subito lambiguit e la complessit della figura delleroe; a cavallo tra due mondi, quello divino e quello mortale, egli diventa paradossalmente un outsider, come se il surplus di energia, fisica e psichica, gli impedisse di essere uno. Leroe, potremmo dire, scisso per definizione, lacerato fra due mondi. E quasi sempre fa una brutta fine.

Parlando di eroi non si pu non citare Neumann con il suo Storia delle origini della coscienza. Secondo lautore la costellazione del doppio padre legata al compito delleroe, che deve necessariamente infrangere lantica legge (Neumann, 160) rappresentata dal padre umano. Leroe il nemico del vecchio sistema dominante ed entra cos in contrasto con i padri e con il loro rappresentante, il padre personale. In questo conflitto la voce interna, cio il compito imposto dal padre transpersonale, dal padre archetipico che vuole la trasformazione del mondo, urta contro il padre personale che impersona la legge antica(ib.). Naturalmente qui Neumann legge il conflitto tra la voce interna e la legge antica alla luce del processo individuativo, che Jung ci ricorda essere il definire la propria identit nei confronti della collettivit. La scissione dell'eroe legata quindi alla prepotenza del processo individuativo. A questo proposito mi pare utile ritornare indietro di qualche pagina, riproponendo ci che abbiamo detto sul destino e sul processo individuativo parlando del viaggio di Odisseo: Se noi obbediamo completamente alla nostra voce interiore, al mito che ci domina, vi affonderemo dentro, naufragando nellinconscio. Il nostro destino diverr allora la catastrofe esistenziale, magari psicotica. Se invece ci muoviamo allinterno della tensione degli opposti tra la chiamata del S e la nostra coscienza, possiamo, imperfettamente, incompletamente, procedere lungo la strada del processo individuativo. Dobbiamo ricordarci, da terapeuti e da esseri umani, che, come 'avere unanima propriamente il rischio della vita' (cos ci dice Jung), anche ricevere il dono avvelenato di non poterci accontentare delladattamento alla vita e invece avvertire la chiamata del S , al tempo stesso, un rischio e una responsabilit.

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12. Le storie di Teseo sono complesse e si intrecciano con quelle di molti altri

personaggi mitici, come Medea. A noi basti, per il momento, che Teseo adolescente si rec ad Atene e si fece riconoscere dal padre, che lo elesse anche suo erede.

Ma su Atene pesa un terribile tributo: ogni nove anni, sette fanciulli e sette fanciulle devono essere mandati a Creta, dove regna Minosse. Qui verranno condotti al labirinto e offerti in sacrificio al Minotauro, chimerico mostro met uomo e met animale, figlio degli amori di Pasifae, la sposa di Minosse, con il toro bianco di Poseidone.

Quando viene il tempo, nonostante il padre cerchi di dissuaderlo, Teseo si offre

volontario e parte con lintento di affrontare e uccidere il mostro. Sappiamo bene come va la storia: con laiuto di Arianna, figlia di Minosse e quindi sorellastra di Asterion, il Minotauro, Teseo riesce nell'impresa. Riparte dunque con la fanciulla, che abbandona per a Nasso, dove verr salvata da Dioniso. Riprende poi il mare e raggiunge Atene. Va detto che, alla partenza, la nave di Teseo aveva issato delle vele nere ed Egeo si era fatto promettere dal figlio che, in caso di successo, tornando ad Atene, ne avrebbe alzate di bianche. Ma Teseo scorda la promessa e giunge al Pireo con le vele nere. Egeo, vedendo da lontano la nave, sconvolto per la presunta morte del figlio, si suicida gettandosi nel mare che da lui prender nome.

Il Minotauro in una kylix (coppa da

vino del 515 a. C. circa

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Che cosa, se non lOmbra pu spingere Teseo a una simile dimenticanza, proprio lui, uomo cos attento ai segni? il destino che lo spinge, potremmo dire o, in altre parole, il processo individuativo. Nel mito di Teseo sembra risuonare quello di Edipo. Entrambi uccidono il padre, entrambi inconsapevolmente, entrambi divengono re al suo posto. Il figlio prende il posto del padre, sovvertendo l'ordine antico di cui parla Neumann in nome di quella che la voce interiore, il destino, il processo individuativo. Ma il sovvertimento dell'ordine richiede comunque una punizione, evidente nel mito di Edipo. E Teseo stesso causer la morte del figlio Ippolito.

Veniamo a Teseo. Egli inconsapevole della sua Ombra e cade infatti nellhybris, come abbiamo visto con chiarezza nella storia della discesa agli Inferi con Piritoo. Anche labbandono di Arianna, d'altronde, uno dei vari episodi mitici che possono esser collegati alla scissione dellAnima, che nel caso di Teseo stata guida nella lotta con i mostri dell'inconscio rappresentati dal Minotauro e collocati nel Labirinto, il Palazzo delle Viscere. La scissione si accompagna con uno scambio tra Io e ombra, come lo definisce Toni Wolff. E il risultato la morte di Egeo. LOmbra fondante dunque nel percorso individuativo di Teseo.

Teseo nel labirinto

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13. Abbiamo raccontato di figli che causano, volontariamente o meno, la morte del

padre e ne prendono il posto, spinti dal loro destino, dal fine cui tende la loro vita e di cui non sono consapevoli. Ma, se la sostituzione del figlio al padre fa parte dell'ordine naturale delle cose, seppure avvenga in modo cruento, cos non per l'uccisione, spesso crudele, dei figli da parte di un genitore o di chi ne fa le veci. Si tratta di un tema frequente anche nelle fiabe: basti pensare a Biancaneve e alla matrigna, a Pollicino e i suoi fratelli sperduti nel bosco... Qui l'ordine naturale delle cose si sovverte, fino a richiedere, nel mito, l'intervento diretto degli dei.

significativa a questo proposito la storia di Tantalo. Tantalo, re della Frigia o della Lidia, era particolarmente benvoluto dagli dei (forse perch figlio dello stesso Zeus), che lo onoravano spesso sedendo alla sua mensa. Un giorno per, in un gesto di folle hybris, per mettere alla prova l'onniscienza dei suoi ospiti, Tantalo fece macellare e cucinare in un calderone suo figlio Pelope. All'inizio gli dei non si resero conto di quel che stava accadendo e Demetra giunse persino a consumare una spalla di quel pasto cannibalico ma, quando Zeus cap, la punizione fu terribile. Tantalo venne folgorato e sottoposto negli Inferi a uno dei rari supplizi senza fine narrati dalla mitologia greca, come gi era avvenuto a Sisifo: di fronte a cibi e bevande di ogni tipo egli non avrebbe mai potuto soddisfare la sua fame e la sua sete. Il ben noto, nel linguaggio comune, supplizio di Tantalo, un esempio ante litteram di contrappasso dantesco. Pelope invece fu riportato in vita: solo, al posto della spalla gi mangiata da Demetra, avrebbe avuto una protesi d'avorio, confezionata da Efesto, il dio dei fabbri. Con Pelope ci troviamo ancora di fronte a un passaggio attraverso gli Inferi, ancora a una rinascita, a una liberazione. E ancora a una parte che viene lasciata, abbandonata, a un segno che rimane, questa volta sul corpo del fanciullo. Dagli Inferi non si pu ritornare integri o uguali a prima, perch la rinascita -nel linguaggio psicologico la trasformazione- ha sempre un pesante prezzo.

Tornando a divagare, il calderone si ripresenta nella mitologia, e non solo in quella greca. Nella mitologia celtica compare spesso come un moltiplicatore di cibo, simile alla cornucopia, come il calderone dei Dagda irlandesi, o addirittura di guerrieri. Presso gli Ittiti, racconta Bettini, esistono invece dei calderoni che si trovano nel mondo degli Inferi. Sono racchiusi in uno spazio serrato da sette porte e sette chiavistelli, i loro coperchi sono di piombo e le chiusure di ferro: 'ci che vi entra [] non torna pi su, ma vi muore dentro' (Bettini, ib., 225). Le sette porte ci richiamano alle sette sale del Kur sumero per cui passa Inanna durante la sua visita a Ereshkigal, ma questa volta non vi lieto fine, sia pur per modo di dire; non esiste, come gi per Sisifo o per Tantalo, via di uscita.

Non sempre il calderone del mondo infero restituisce ci che inghiotte, sia esso un colpevole di hybris o la nostra anima. Con esso e con l'inconscio bisogna trattare con cautela, con timore e tremore, con consapevolezza, per evitare di esserne travolti.

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una sorta di commercio con le ombre, come nel titolo di un libro di Margaret Atwood. E noi sappiamo che l'Ombra pu non perdonare e condurci allo smarrimento della scissione o dell'identificazione con essa. Ad esempio, Tantalo nella sua arrogante follia si identifica con l'Ombra e con il suo aspetto distruttivo e autodistruttivo e il risultato la segregazione nel mondo infero, privo del nutrimento della vita: il cibo e le bevande che lo perseguitano con la loro inattingibile vicinanza sono una metafora adatta a rappresentare gli aspetti nutritivi della vita concreta da cui si separati nell'esilio della psicosi. Il nutrimento esistenziale diviene qualcosa di desiderato e irraggiungibile.

Ma che cosa spinge Tantalo a un gesto cos spaventoso che, se cerchiamo di immaginarlo al di l del velo dell'abitudine che gli studi classici vi hanno posto, ne rimaniamo sconvolti, con la percezione di aver sfiorato realmente il male? Il mondo greco un mondo ossimorico, a un tempo luminoso e oscuro, saggio e brutale, crudele e pietoso. un mondo arcaico, in cui si agitano le forme dell'inconscio collettivo.

Il punto il potere: Tantalo figlio di un dio, il pi potente e temuto e come tale anche lui vuol essere un dio e dimostrare di essere in grado di ingannare gli Olimpi. Anche Sisifo cerca di ingannarli, sovente con successo, come accade quando ordina a Merope, la moglie, di non sacrificare pi agli dei inferi, destando il malcontento di Persefone e approfittandone per essere liberato. Ma la differenza tra Sisifo e Tantalo enorme. Sisifo si batte per amore della vita. un furfante, un ingannatore, un uomo dotato di metis. Un personaggio che possiamo accostare a quelli del romanzo picaresco come Lazzarillo de Tormes o a quelli dei fabliaux medievali come la volpe Renart de Le Roman de Renart, astuta e sempre in grado di beffare il potente lupo Ysengrin, signore della foresta. Uno di noi, potremmo dire, un ingannamorte, come tutti tentiamo di essere.

Tantalo invece compie un gesto privo di senso: uccide il figlio per dimostrare di essere simile agli dei. In lui l'Ombra del narcisismo assoluto non affatto sfiorata dalla piet o dagli aspetti salvifici della depressione. In questo far soffrire colui che ama e che lo ama ci pu ricordare il Dio di Giobbe, preda della sua stessa Ombra.

Abbiamo visto in Tantalo l'hybris dell'identificazione con l'Ombra. Per fare un altro esempio dei rischi connessi all'Ombra possiamo allargare la nostra visione del significato del termine mitologia, che siamo abituati a considerare legato a un passato remoto e oscuro. Joseph Campbell (e altri con lui) inserisce invece nel corpus mitologico anche l'attivit mitopoietica letteraria ed artistica moderne e contemporanee. Di questa mitologia creativa fa certo parte lo Stevenson de Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde, che ci mostra invece il meccanismo di scissione dell'Ombra stessa, scissione che si conclude con l'impossibilit della sopravvivenza sia delle parti scisse (Hyde, colui che nascosto, da to hide) sia dell'Io Jekyll.

Questo incontro con i processi di distruzione e di morte localizzati nelle profondit dell'anima (Hillman, 26), alla luce del processo individuativo necessario quanto pericoloso e spesso nelle fasi trasformative ci viene reso evidente

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dai nostri sogni, costellati di quelle immagini peggiori che sempre secondo Hillman sono le pi significative. Dice Pasqualetti a questo proposito: Le immagini che nei sogni e nelle fantasie sono pi angosciose, quelle dalle quali fuggiamo, tanto il disgusto per le loro distorsioni e perversioni, sono precisamente quelle che spezzano lintelaiatura allegorica di ci che pensiamo di sapere su questa o quella persona, questo o quel tratto di noi stessi. per questo che le immagini peggiori sono per Hillman 'le migliori, giacch sono quelle che restituiscono a una figura il suo originario potere di persona numinosa attiva nellanima' (Pasqualetti, 2006). La parola chiave qui allegorica: le immagini peggiori ci permettono di squarciare il velo di cui parlavamo prima, e di vedere, per restare al mondo classico, oltre la prospettiva winckellmaniana di un'Ellade candida e olimpica, in cui i simboli perdono il loro significato attivo e vivo per ridursi a mere allegorie, figurazioni di concetti astratti e irrigiditi.

Noi sappiamo in effetti, ancora con Hillman, che il passaggio dalla prospettiva materiale a quella psichica si accompagna spesso a immagini oniriche di malattia e di morte (ib, 56). Il punto non esserne inghiottiti e trattenuti come dai sette sigilli ittiti.

14. Questo passaggio attraverso la prospettiva della morte, della sua ineluttabilit e

della speranza nonostante tutto di sfuggirla un tema centrale della mitologia greca e non solo. Forse, fra i tanti, il mito che la racconta nella maniera pi disperata e toccante quello di Orfeo ed Euridice.

Orfeo il grande cantore dell'immaginario greco: talmente abile con la sua cetra e con il suo canto da riuscire a smuovere per seguirlo anche gli alberi e le rocce. Cos persuasivo e invincibile nella sua arte da sconfiggere anche il canto delle Sirene, i favolosi esseri dal volto di donna e dal corpo di uccello (e non di pesce come invece verranno raffigurati e descritti dal Medioevo in poi). Cos infatti, accade durante il viaggio degli Argonauti, quando gli eroi incontrano le Sirene. Mentre Odisseo, , si salver facendosi legare all'albero della nave dopo aver riempito le orecchie dei suoi uomini di cera, Orfeo affronta le Sirene e le batte sul loro terreno, inducendole addirittura a trovare la morte, incredule della sconfitta, gettandosi dalla rupe su cui sono appostate.

Ma chi era questo straordinario poeta? Figlio di un uomo (secondo altre versioni invece di Apollo) e di Calliope dalla bella voce, la musa della poesia epica, all'origine dei culti misterici orfici. Celeberimmo il suo amore per la ninfa Euridice, conclusosi tragicamente. La bella Euridice, sposa di Orfeo, era concupita da Aristeo, personaggio singolare, che introdusse secondo il mito l'allevamento delle api nella cultura greca. Inseguita da lui la ninfa venne morsa da un serpente velenoso e ne mor. Orfeo, disperato, ottenne con il suo canto da Ade e da Persefone di poterla riportare tra i vivi. Ma ancora una volta, come sempre, c' un prezzo da pagare. E questa volta si tratta di una minuzia, di qualcosa talmente trascurabile da sembrare di nessun conto o quasi: Orfeo pu ricondurre Euridice tra

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i vivi, ma deve precederla lungo il cammino e mai voltarsi finch non avr oltrepassato le porte dell'Ade. Semplice, parrebbe. E invece Orfeo non resiste e proprio in vista della meta si volta e voltandosi vede la pallida larva della ninfa risucchiata dalle profondit. In realt molti testi parlano di oblio: il cantore si volterebbe perch, nel mondo della dimenticanza, quello in cui scorre, non dimentichiamolo, il Lete, il fiume dell'oblio, quello stesso oblio lo avrebbe colto. Vernant? E' interessante quel che dice Bettini a questo proposito: ricorda che Levi-Strauss definisce l'oblio come una perdita di contatto con se stessi, come invece la nostalgia sarebbe un eccesso di contatto (cfr. Bettini, 262).

Continuando a psicologizzare potremmo dire che in un certo senso quel che

accade a Orfeo il contrario di quel che succede a Eracle nella storia di Alcesti: viene a mancare la consapevolezza. La consapevolezza dell'Io nel suo tentativo di recuperare la figura scissa dell'Anima. Forse perch troppo forte la nostalgia; e questo ci riconduce alla distinzione freudiana tra lutto e melanconia, in cui v' un'identificazione con l'oggetto perduto, che trattiene anche l'Io negli Inferi depressivi. Per Orfeo non ne muore, n concretamente, n metaforicamente, ma torna nel mondo dei vivi.

In realt ci non esatto. Morir anche Orfeo, secondo taluni sbranato dalle Menadi aizzategli contro dal geloso Dioniso. Ma a noi interessa di pi la versione che della sua morte troviamo nelle Georgiche. Narra dunque Virgilio come Orfeo tornato dall'Ade piangesse per sette mesi la perduta Euridice e da allora rifiutasse

Orfeo ed Euridice di Turi Volanti,

1991

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ogni approccio femminile. Le donne tracie, innamorate di lui e furiose per il suo ricusarle, lo uccisero.

Ed ecco che anche l'Io, combattuto tra oblio e nostalgia, naufraga nel mare infero. Ci si potrebbe domandare per quale ragione per a Orfeo sia vietato di voltarsi.

Si tratta di un divieto apparentemente senza senso. Potremmo pensare che, come talora accade, qualcosa nel racconto sia andato perduto e vi fosse una precisa ragione per una tale richiesta. Forse quello di Ade e di Persefone un gioco crudele, dettato dalla consapevolezza che un mortale, seppure di stirpe eroica come Orfeo, non sarebbe stato in grado di rispettare il divieto. O forse dobbiamo pensare a quelli che sono gli interdetti riguardo alla morte nella cultura popolare. Gli antichi pensavano che in presenza di un fantasma ci si dovesse coprire gli occhi per non vederlo e anche oggi vedere un fantasma non considerato qualcosa di positivo, ma invece un segno della possibile nostra morte prossima; su questo sono spesso imperniate le tradizionali ghost stories. Colui che vede gi toccato dalla morte, come Amleto che vede lo spettro del padre sui bastioni di Elsinore. Vi sono cose che non vanno viste e Orfeo, spezzando questo tab consegna la sua sposa e se stesso al territorio della morte. O infine, non ci si deve voltare perch il mondo della morte il mondo degli invisibili. Ade linvisibile e colui che rende invisibili i morti, serrandoli negli spazi della sua Casa.

C anche unaltra possibile interpretazione. Augusto Romano, che ha letto questi appunti, mi ha fatto notare come forse un altro motivo dellincapacit di Orfeo a portare a termine la sua gi straordinaria impresa stia nel principio di reciprocit: Orfeo pu riprendersi Euridice ma deve a sua volta pagare un prezzo (il non voltarsi indietro). Questo prezzo corrisponde a una dimostrazione di autocontrollo, di maschilit consapevole: forse, in questo modo, egli deve riguadagnarsi Euridice.

15. Torniamo ora alla Vlusp. La Veggente narra, perch il mito in primo luogo

una narrazione e il raccontare soddisfa un profondo bisogno umano, permettendoci di dare un senso a eventi che altrimenti potrebbero apparirci insensati. Come abbiamo detto, narrare la nostra storia, a noi stessi, allanalista, a un diario, ci permette di riconoscere in essa un prima e un dopo, dei collegamenti causali, delle prospettive future. Ci permette, in una parola, di cogliere un senso. Fermiamoci su questultima parola. Nel leggere Se questo un uomo, di Primo Levi, siamo colti da quella percezione di assenza di senso che costituisce parte dellesperienza del male. In realt, ci che accadde nei Lager ha un significato che nasce da motivazioni, politiche, razziali e psicopatologiche. In quegli eventi si vede con chiarezza un disegno, una concatenazione di cause e di effetti in vista di un fine, sia pure malvagio o insensato. Se lo si valuta da un punto di vista totalmente

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astratto, in cui le vite delle persone sono oggetti, se ne pu comprendere il significato. Quel che manca invece il senso.

A questo punto devo introdurre una distinzione, in parte arbitraria e personale, tra significato e senso. Il significato dellevento-Lager privo ai nostri occhi di senso, nellaccezione che diamo abitualmente a tale parola in un simile contesto. Per spiegarmi meglio ricorrer a una delle definizioni di senso del Dizionario Treccani, che recita: la capacit naturale di intendere le cose, di apprezzarle nel loro giusto valore, di giudicare rettamente. Una tale accezione avr valenze diverse nelle diverse culture e nei diversi tempi: basti pensare al valore della vita altrui per i musulmani e per i cattolici nel mondo contemporaneo. Oggi linterpretazione integralista del Corano afferma come giusto e necessario uccidere gli infedeli: La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra che siano uccisi o crocifissi (Corano, 8, 12). Al contrario, lodierna Chiesa cattolica predica il valore della tolleranza. Diverse culture: ma ci basta migrare di tempo, e, con le Crociate o lInquisizione da un lato e dallaltro la civilt mozarabica nella Spagna araba, ci troviamo in piena inversione di atteggiamento psicologico e di comportamento. Proprio nel tempo delle Crociate Omar Khayyam scriveva: Alcuni vivono per la gloria del mondo / altri per i paradisi dei profeti a venire; / prendi ci che hai e lascia andare le promesse /esse non sono che il suono di un tamburo lontano. Versi in cui risuona il laico carpe diem di Orazio.

Il punto che il relativismo culturale esiste, piaccia o meno, ma esistono, come diceva Marcello Bernardi gi su Linus negli anni 70: cose sbagliate e basta. Cos possiamo a buona ragione pensare che nellOccidente del XX secolo il giusto valore e il retto giudizio di cui parla la Treccani non coincidessero con latteggiamento dei nazionalsocialisti. Da questo punto di vista i Lager avevano significato ma non senso, inteso come il retto giudizio.

In termini pi tecnici, prendiamo in considerazione la differenza tra denotazione (il significato) e connotazione (la risonanza emotiva). Il Devoto Oli scrive: La connotazione il significato associato o secondario di una parola o espressione in aggiunta al significato ovvio e primario (denotazione); per esempio le parole piccino, bambino, bimbo, fanciullo, pupo hanno uguale denotazione ma diversa connotazione, in quanto, pur indicando tutte la stessa nozione, evocano risonanze affettive diverse.

Qualsiasi evento, anche levento-Lager ha una risonanza, una connotazione affettiva, un senso, ma nel momento in cui questa connotazione, che attiene alla percezione che noi abbiamo dellevento, cadr al di fuori del retto giudizio o verr sentita come innaturale, quel che noi sentiremo sar lassenza di senso. E la presenza del male: lineluttabilit della morte, la violenza, il nulla.

A questo proposito sempre Augusto Romano, rifacendosi a Jaspers, mi ha fatto notare come, in base a questi ultimi ragionamenti, per me significato corrisponda a spiegazione (Erklrung): i Lager possono essere spiegati attraverso lanalisi di fenomeni storici, economici, di mentalit ecc., o anche archetipicamente con lo

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scatenamento di Wotan. Senso significherebbe invece attribuzione di valore, che permette la comprensione (Verstehen) intesa come appropriazione e identificazione. Ci non significa per consolazione. La comprensione pu avere valenze drammatiche: noi, con Gilgamesh, scopriamo lineluttabilit della morte, patiamo il suo dolore e contemporaneamente riconosciamo nella morte un fatto umano per definizione.

naturale che la prospettiva della morte sia per noi cos significativa e impregni tutte le attivit umane. A questo proposito la psicologia sociale, attraverso il contributo di autori come Jeff Greenberg, Sheldon Solomon, e Tom Pyszczynski, ha proposto daltronde una teoria nota come Terror Management Theory (TMT). Gli autori, partendo dalle riflessione dellantropologo Ernest Becker, vedono nella consapevolezza dellineluttabilit della morte e nel conflitto con lumano desiderio di vita la fonte principale di angoscia. La cultura, intesa nel senso tedesco di Kultur, di civilt cio, sarebbe il tentativo di porre argine a questa insopprimibile angoscia attraverso ledificazione di sistemi valoriali, religiosi, etici, o legati ai talenti personali. Questi sistemi avrebbero il fine ultimo di assegnare un senso alla vita umana.

E il punto sta qui: nel bisogno di senso da parte dellessere umano, senso che viene (ri)costruito attraverso la narrazione, mitica o meno, cos come accade in quella terapeutica. Non cos importante, forse, che un senso realmente esista. Ci che conta il nostro costruirlo, cos in terapia come nella nostra vita. E il mito, sfondo degli accadimenti personali, dona senso.

In parole pi semplici e migliori Jung scrive: Il bisogno di mitologia il bisogno di senso.

16. Narrazione, parola, dunque. Le nostre radici ebraico-cristiane ci insegnano che

tramite la parola pu anche avvenire la creazione del mondo. In principio era il Verbo (Logos), il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli

era in principio presso Dio: tutto stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente stato fatto di tutto ci che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta (Giovanni, 1-5).

Ma, nella nostra apparentemente casuale circumambulazione, spostiamoci ancora, fino agli antipodi questa volta. Nella cultura degli aborigeni australiani, la creazione del mondo risale al Tempo del Sogno, in cui gigantesche creature totemiche attraversarono la Terra cantando di ci che incontravano (rocce, pozze d'acqua, animali, piante) e cos facendo portarono questi elementi alla realt. Tra gli aborigeni esistono i custodi dei racconti del Tempo del Sogno e i racconti, narra Bruce Chatwin ne Le vie dei canti, sono tramandati come canti; e di questi ciascuno narra il viaggio di una creatura mitica, con una struttura musicale che corrisponde, alla morfologia del territorio per cui il viaggio si svolto. La creazione del mondo e al tempo stesso una sua mappa del mondo attraverso la narrazione, in questo caso in forma di canto.

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Presso gli indios Makiritare della regione dellOrinoco in Venezuela, invece, La donna e luomo sognavano che Dio li stava sognando. Dio li sognava mentre cantava e agitava le sue maracas, avvolto in fumo di tabacco, e si sentiva felice e insieme turbato dal dubbio e dal mistero. Gli Indios Makiritare sanno che, se Dio sogna cibo, fruttifica e d da mangiare. Se Dio sogna la vita, nasce e d la nascita. La donna e luomo sognavano che nel sogno di Dio cera un grande uovo splendente. Dentro alluovo essi cantavano e ballavano e facevano un gran baccano, perch erano pazzi dalla voglia di nascere. Sognavano che nel sogno di Dio la gioia era pi forte del dubbio e del mistero; e Dio, sognando, li creava, e cantando diceva: Rompo questuovo e nasce la donna e nasce l uomo. E insieme vivranno e moriranno. Ma nasceranno nuovamente. Nasceranno e torneranno a morire unaltra volta. E mai cesseranno di nascere, perch la morte menzogna.

Tra gli Egizi, a Menfi, capitale