Per una cipolla di Tropea (Italian Edition) - Defilippi, Alessandro.pdf

77

Transcript of Per una cipolla di Tropea (Italian Edition) - Defilippi, Alessandro.pdf

Il libro

In una giornata di sole splendente, capace di illuminare anche icaruggi più angusti e bui di Genova, un cadavere vienerecuperato nelle acque del porto. Sembrerebbe il corpo di unpescatore, ma la pistola e il silenziatore rinvenuti nelle sue tascheaprono scenari non previsti. Il colonnello Enrico Anglesio,chiamato sul posto a occuparsi del caso, viene catturato da uninsolito indizio, che si rivelerà il suo asso nella manica: le cipolledi Tropea trovate nella barca del presunto pescatore…

L’autore

Alessandro Defilippi, psicoanalista torinese, ha pubblicato leraccolte di racconti Una lunga consuetudine, con Sellerio, e Cuoribui, usanze ignote, con Antigone Edizioni. Per Passigli sono usciti iromanzi Locus animae, Angeli e Le perdute tracce degli dei. PerEinaudi ha pubblicato Manca sempre una piccola cosa (2010). Nel2011 ha preso parte al progetto “Il romanzo di Roma” con ilvolume Danubio rosso e nel 2012, sempre per Mondadori, è uscitoil thriller La paziente nº 9. Ha inoltre collaborato alla sceneggiaturadi Prendimi l’anima di Roberto Faenza.

Alessandro Defilippi

PER UNA CIPOLLA DI TROPEA

Tratto da Giallo panettone

Per una cipolla di Tropea

Questo racconto è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citatisono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicitàalla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive oscomparse, è assolutamente casuale.

Cipolla,luminosa ampolla,

petalo su petalos’è formata la tua bellezza

squame di cristallo t’hanno accresciutae nel segreto della terra buia

s’è arrotondato il tuo ventre di rugiada.P. NERUDA, Ode alla cipolla

1

Il coltello era un Laguiole. L’uomo lo pulì dal sangue su un sacco dijuta e, sporgendosi dalla fiancata del gozzo, tagliò la cima chetratteneva la rete. Poi lo fece scivolare nella tasca dei pantaloni.

Notte, luna crescente. Mare deserto, se non per la luce di unalampara, a mezzo miglio di distanza. All’alba mancavano ancora treore. Con un grugnito, l’uomo trascinò il cadavere a poppa,ricoprendolo con il sacco.

Sedette, cercando di dominare il tremito che lo aveva assalito. Sisporse nuovamente e vomitò un liquido nerastro e amaro. Si sciacquòil volto con l’acqua salata e iniziò a remare, lottando con la correnteche lo spingeva verso la costa.

Presto la lampara fu solo una scintilla contro la massa oscura diGenova. Continuò a remare a lungo, fendendo l’acqua priva di onde.Oltre Nervi intravide finalmente, a qualche centinaio di metri, lasagoma del peschereccio. Accelerò il ritmo della vogata, mentre sulponte dell’imbarcazione un uomo accendeva e spegneva per tre volteun fanale. Accostò alla fiancata, da cui pendeva una scala di corda. Visi afferrò e con un calcio spinse via il gozzo, nella corrente.

Solo quando vide la barca allontanarsi, ancora aggrappato allascaletta, si accorse di non avere sulle spalle il peso familiare dellabisaccia. Non c’era più tempo. Sputò in mare un ultimo grumo disaliva e di bile e riprese a salire.

2

Ci sarebbero volute le cipolle di Tropea. Non si poteva fare lacaponata senza le cipolle di Tropea. Nel dargli la ricetta prima dipartire, Spataro era stato categorico. Rosse e dolci, diceva. Ma, aquanto pareva, impossibili da trovare. Le melanzane c’erano, quellelunghe, e pure i peperoni, uno rosso e uno giallo. Il sedano era bellocroccante, ma con quel caldo bisognava sbrigarsi a metterlo inghiacciaia. E i pomodori, maturi, da sugo, glieli aveva portati Vercesi.

In quel luglio del 1952, i mercati di Genova erano un trionfo diverdura fresca e di frutta. Una grazia di Dio, a ricordare la guerra. Macipolle di Tropea, niente. Chiedevi ai venditori e quelli ti guardavanocome uno scemo. Un besugo. Ah, trovarle, rispondevano. Al loroposto, ti dicevano, sarebbero andate bene quelle rosse di Albenga. Mala stagione era troppo avanzata. Ci sono quelle gialle, ma si sa, sonoun po’ forti. E quelle bianche san di poco.

Il colonnello Enrico Anglesio, Arma dei Carabinieri, LegioneLiguria, sbirciò il vecchio Omega che portava al polso. Le undici. Ilsole picchiava su piazza Palermo come un maglio ed era ora di andareal comando. Da quando, il mese prima, Spataro era tornato a Siracusa,a godersi la fidanzata e la Fonte della Ninfa, non era stato sostituitoda nessuno. E così, il lavoro burocratico toccava a lui. E acinquant’anni suonati ormai gliene era passata la voglia, se mail’aveva avuta.

Controllò la sporta della spesa. Sì. Per il resto c’era tutto: i capperi, ipinoli, l’uvetta e le olive. Quelle della Riviera, piccole e saporite. Maniente cipolle. Ancora un tentativo, pensò. Il banco del siciliano,quello proprio in fondo al mercato.

«Cosa vi servo, oggi, colonnello?»Il siciliano era alto e secco, capelli brizzolati e occhi azzurri nelle

orbite scavate.«Cipolle di Tropea, Vito. Le conosci?»Il siciliano si portò le dita unite alla bocca, scoccandovi un piccolo

bacio.«Magnifiche sono. Calabresi. Volete fare la caponata?»«Quella.»«Ma lo sapete che deve riposare?»«Volevo farla stasera per domani.»«Ospiti, colonnello? Fimmine?» Di fronte all’espressione di

Anglesio, Vito contrasse le labbra, facendosi serio. «Qui in Ligurianon se ne vedono» disse affrettandosi a riordinare una cassetta dimelanzane. «Eppure…» Si grattò la fronte abbronzata, tracciandovistrie biancastre. «C’era qualcuno che le teneva. Ma non riesco aricurdari.» Sorrise. «Avete provato al mercato orientale? O ai mercatigenerali?»

«E ai mercati generali, a che ora ci devo andare, Vito?»«I grossisti finiscono verso le nove e poi aprono al pubblico. Ma a

quell’ora non troverete più niente di buono.» Vito ghignò. «Però,colonnello, se vi mettete la divisa, voi potete andare anche allequattro. Di notte.»

Prima di rientrare, si concesse un chinotto – Recoaro, intimò al barista– al caffè davanti al banco del pesce, dando un’occhiata al “Secolo”.Le olimpiadi di Helsinki, i funerali di Evita Perón, la crisi egiziana.Churchill che annuncia il riarmo britannico e giustifica la vendita diarmi a paesi stranieri. C’era puzza di guerra, più forte di quell’odoredi acciughe fresche e di meloni. Forse perché l’ultima era finita dapoco. O forse perché la guerra non finisce mai.

Con una smorfia, s’infilò in tasca il quotidiano e raggiunse laLambretta. Prima, portare la verdura a casa, poi dritto al comando. Ele cipolle le avrebbe comprate la sera, bianche o gialle, nella bottegad’a scignua Lina. Ma sarebbero andate bene lo stesso? Magari,aumentando la dose di zucchero… Sistemò la borsa sul fondo e acceseil motore. Stava per partire quando si sentì chiamare.

«Signor colonnello! Signor colonnello!»Traballante e preceduto dall’addome rotondo, il maresciallo

Medardo Vercesi si faceva largo nella piazza. Urtò una signora con un

bassotto, sollevò un piede per liberarsi dal guinzaglio che gli si eraintrecciato alla caviglia e rovinò su una piramide di angurie,facendole rotolare sul selciato. Si fermò per raccoglierne una, la lasciòricadere scusandosi con l’inferocito venditore e subito riprese acorrere per raggiungere Anglesio.

«Signor colonnello» ansimò. La camicia kaki dell’uniforme sitendeva minacciosamente a ogni respiro.

«Vercesi. Hai fatto più danni di un’incursione tedesca.»«Abbiamo un problema.»«Un’ispezione?»«Omicidio, signor colonnello. Hanno trovato una barca in secca a

Boccadasse. Il pescatore è morto. Coltello.»«E non può andarci Spataro?» Anglesio indicò la sporta della spesa.

«Io devo correre a casa.»«Spataro, signor colonnello?» Il maresciallo giunse le mani davanti

al petto, facendole oscillare avanti e indietro. «Ma è trasferito inSicilia da un mese.»

«Un accidente anche a lui.» Anglesio sbuffò. «Non voglio proprioricordarmene. Laudi?»

«In malattia. E il capitano Bersani è impegnato.» Vercesi fece unsorriso soddisfatto. «La moglie è in travaglio e lui è corso al SanMartino.»

«E resto solo io.»«Sì, signor colonnello.» Togliendosi il cappello, Vercesi si passò una

mano tra i capelli radi e biondicci. «Bisogna andare subito, signorcolonnello.»

«E proprio noi dovevano chiamare? Non c’è anche la polizia?»Vercesi taceva.«Le verdure andranno tutte al diavolo.» Anglesio sollevò gli occhi

verso il maresciallo. «E la mia cena…»Gli occhi di Vercesi erano contriti. «Bisògna végh ’mar in buca e spüdà

duls» borbottò con un largo accento pavese.«Sì certo, teniamoci pure l’amaro in bocca e sputiamo dolce. Anche

tu, con i tuoi proverbi. Monta. Andiamo.»

3

La prua arenata sulla sabbia, il gozzo beccheggiava alla risacca.La piccola insenatura di Boccadasse era gremita di folla, tenuta a

bada da due carabinieri dalle uniformi chiazzate di sudore. Vecchievestite di scuro si sporgevano dalle finestre delle case scolorite dalsole, mentre l’intero personale del ristorante Al Mare - Da Vittorios’era riunito sul terrazzo per non perdersi nulla. Meglio della radio,quel mattino.

«Ferrari!» Anglesio si rivolse al più anziano dei carabinieri. «Fa’sgomberare tutti.»

«Ci abbiamo provato, colonnello, ma è impossibile.» Ferrari serrò lelabbra. Il colonnello aveva la faccia dei giorni peggiori, di quando, piùsi teneva la bocca chiusa, meglio era.

«Abbiamo un megafono?»«Nella Campagnola.»Senza una parola, Vercesi si affrettò alla jeep. Tornò rapido e tese il

megafono ad Anglesio.«Se entro due minuti l’area non sarà sgombrata, i miei uomini

prenderanno le generalità a tutti i presenti.» La voce di Anglesiorisuonava tra i muri scrostati. «E sarete convocati al comando. Allesette del mattino.»

Brontolando, la folla iniziò a disperdersi, mentre le finestre sisvuotavano. Anglesio levò gli occhi verso la casa di fronte. Al primopiano, una donna dalla crocchia bianca restava serafica al davanzale.

«E quella?»«È la vedova Pastorino, colonnello.» Ferrari fece un gesto vicino

all’orecchio. «Sorda comme una campann-a.»Anglesio gli lanciò il megafono.«E che si goda lo spettacolo, allora.»S’incamminò rabbiosamente verso la riva. L’abito di lino gli pesava

sulle spalle e rivoli di sudore gli correvano lungo la schiena. Si sfilò lagiacca e sollevò il panama per tergersi la fronte. Accanto al gozzo, un

anziano pescatore in canottiera rispondeva alle domande di unappuntato. Ignorandoli, Anglesio si sporse oltre il bordo della barca.

Il cadavere giaceva su un fianco, le ginocchia sollevate fin quasi almento. Accanto, un sacco di juta. La maglia blu di lana grossa –maglia da pesca notturna, pensò Anglesio – era incrostata di sanguecoagulato. L’origine era evidente. Una ferita larga, slabbrata,all’altezza del rene destro. Però di sangue ce n’era poco dentro ilgozzo. Emorragia interna.

«Hai raccolto le testimonianze?» domandò senza voltarsi.«Sissignore», l’appuntato accennò al pescatore, «il Bruzzone ha

riferito…»«Io e il Bruzzone ci conosciamo bene.» Anglesio lo interruppe.

«Balarin, l’hai trovato tu?»«De bonn’öa. Stamattina presto. Sono venuto per arrangiâ a rae. Per

riparare la rete.» L’uomo si arruffò i capelli candidi. «Ieri non ho fattoin tempo. Sono arrivato per primo. Come tutti i giorni, lo sapete.»

«Adesso si usa il lei, Balarin. Il Duce non c’è più.»«Come preferite.»«Continua» sospirò Anglesio.«Il gosso era a pochi metri dalla riva. Le onde lo portavano avanti e

indietro. Così sono entrato in acqua e l’ho trascinato sulla sabbia.»Anglesio si voltò a osservare il mare. «La corrente tira verso la

costa.»Il vecchio annuì.«C’era qualcun altro quando lo hai trovato?»«No ghera nisciun. Mi sono accorto del morto solo sulla spiaggia.

Allora ho chiamato il comando.» L’uomo ammiccò. «Non mi piace lapolizia, lo sapete.»

«Lo so. Hai fatto bene. Lo conosci?»«Mai visto.»«E la barca?»«Manco. Non è di qua.»«Hai toccato qualcosa?»«Niente.»

«Bravo.» Anglesio tornò a studiare il cadavere. Una quarantinad’anni, corporatura e statura medie. Muscoloso. Capelli a spazzola. Ilviso, seminascosto da un braccio, aveva un’espressione di sorpresa.Gli occhi erano spalancati, vitrei.

«Va’ pure a casa.» Anglesio si rimboccò le maniche della camicia einfilò la cravatta tra un bottone e l’altro. «Domani vieni al comandoper la deposizione.» Un mezzo sorriso. «Come sta Adelaide?»

«Sta bene, colonnello. Quando venite a pescare?»«La settimana prossima, magari. Ti avviso il giorno prima.»«All’alba mi trovate qui.» Il vecchio si strinse nelle spalle.

«Sempre.» Poi, senza salutare, si voltò e si allontanò.Mentre Anglesio afferrava il braccio del cadavere, si udì la voce

preoccupata dell’appuntato.«Mi scusi, signore, ma non abbiamo ancora fatto i rilievi.»«E li farete dopo» grugnì Anglesio. «Chiamami Vercesi, piuttosto.»

Liberò il braccio dalla manica del maglione. Nessun tatuaggio.Dischiuse a fatica le dita del cadavere. Il rigor mortis era quasicompleto. Con il caldo di quel luglio, era difficile stabilire l’oradell’omicidio. Durante la notte, certo. Ma per capirlo non ci volevaEinstein.

Vercesi si era chinato accanto a lui, il respiro pesante.«Dovresti dimagrire, Vercesi.»«Come dice lei, signor colonnello. Ma la Olga la conosce. Se non fa

primo e secondo non è contenta.» Mentre Vercesi parlava, i suoi occhistudiavano attenti le dita del cadavere. «Non ha le mani di unpescatore.» La pelle era liscia, le unghie ben curate. Nessun callo.

«E indossa scarpe da città. Suola di cuoio.» Sbuffando, Anglesiofece leva sulla schiena del morto. «È rigido. E stanotte faceva caldo.Potrebbero averlo ucciso tra mezzanotte e l’alba.»

Con uno sforzo, il cadavere venne girato sull’altro fianco. La tascadestra dei pantaloni era rigonfia. Anglesio vi frugò aiutandosi con unfazzoletto.

«Guarda qui.»

La pistola era pesante. Un’automatica. Dalla canna sporgeva uncilindro tozzo e brunito.

«Un silenziatore.»«Emme. Le. Millenovecentotrentacinque. A» compitò Vercesi sul

carrello dell’otturatore. «E cos’è?»«Pistolet Automatique, Modèle mille neuf cent trente-cinq, A.» La voce

di Anglesio era assorta. «Una 7.65 francese. Una pistola da guerra.»«E che ci fa su un gozzo, a Genova?»«Quando eravamo con i partigiani circolava di tutto. Nagant,

Browning, P38.»«Mi ricordo una pistola giapponese.»«Una Nambu. Era una Nambu.» Anglesio fece un mezzo sorriso.«L’abbiamo portata via a quel repubblichino con i baffi. A Vado.»

Sorrise anche Vercesi. «Marzo del ’44. Lo sciopero della BrownBoveri.»

«Già. Marzo del ’44. Quando hanno preso Giacomo.» Gli occhi diAnglesio si erano fatti lontani. «Giacomo Buranello.» Si riscosse.«Basta. Ricordare i morti non serve a niente. L’Italia è piena di arminon denunciate. I nostri e i fascisti se le tengono sotto il materasso,cariche.»

«Mio cugino in cantina c’ha un bazooka.» Il maresciallo scosse latesta. «L’ha trovato a Montecassino e se l’è portato a casa. Dice chenon si sa mai.»

«E bravo il cugino. Ma qui il problema non è la pistola. È ilsilenziatore.»

«Un’attrezzatura da professionisti.»«Proprio così.» Anglesio annusò la canna della pistola. «Ha sparato

di recente.» Sempre usando il fazzoletto estrasse il caricatore.«Mancano due pallottole.»

Vercesi si era allontanato di qualche passo, scorrendo l’interno delgozzo.

«C’è qualcos’altro, qui sotto.» Il maresciallo era chino a testa in giù,le dita che sollevavano il pagliolato. Riemerse reggendo una borsa di

tela verde. «Dev’essere scivolata.»«Una bisaccia militare.»«Solo roba da mangiare. Pane.» Vercesi estrasse una pagnotta. «E

queste.» Nel palmo aveva due cipolle.Anglesio posò con cautela la pistola e tese la mano. Le cipolle

avevano la forma di una fiaschetta e la buccia era setosa, di un rossocupo, come il vino.

«Non ne ho mai viste così. Le nostre sono più rotonde e piùchiare.» Vercesi avvicinò il volto, fiutando. « Bon odòr.» Sorrise. «Conpatate e cipolla dentro l’orto, mai di fame nessuno è morto.» Chiusebruscamente la bocca sogguardando Anglesio. Ma il colonnellocontinuava a fissare le cipolle con la fronte aggrottata.

«Dammi un coltello.»Anglesio pelò una delle cipolle e ne tagliò una fetta sottile. La mise

in bocca e ne offrì un’altra a Vercesi.«Dulsa» bofonchiò il maresciallo. «È dolce.»Anglesio annuì lentamente. Prese la bisaccia e vi infilò la cipolla

ancora intera.«Nemmeno tu ne hai mai viste così, hai detto?»«Nossignore. E la Olga gira tutti i mercati perché dice che la roba

buona si fa fatica a trovarla.» Vercesi allargò le braccia. «Chissà dadove viene.»

«Già.» Anglesio si risollevò. L’appuntato e i due carabinieri liosservavano in silenzio, gli occhi sgranati che s’affrettarono a volgeresulle scarpe non appena il colonnello li fissò.

«Che avete da guardare? I rilievi, subito.» Con un cenno, Anglesiofermò l’appuntato. «Tu sei Dadone, vero?»

«Sissignore.»«E hai famiglia?»L’appuntato, rigido sull’attenti, era pallido.«Sissignore.»«E come hai fatto a sposarti così presto? Una dispensa?»«Nossignore. Non sono sposato.»«E cosa diavolo sei?» Il tono di Anglesio era pericolosamente mite.

«Hai famiglia o no?»«Ho i miei genitori, signor colonnello. A Genola, in Piemonte. E tre

fratelli.» L’appuntato s’era fatto ancora più pallido. «E due sorelle»aggiunse rapidamente. «Wanda ha tredici anni…»

«Sì, sì, basta così. Vivi in caserma, insomma.»«Sissignore.»«Allora prendi la sporta che c’è sulla Lambretta e portala al cuoco.

Digli di usarla per voi.» Anglesio si cacciò le mani nelle tasche incerca di un toscano. Niente cena, l’indomani. E non aveva ancorafumato, quella mattina. «E lasciami la borsa in ufficio, ché ho soloquella! Tu, Vercesi, porta la pistola al comando e cerca di scoprire chiè il morto. Fa’ i soliti accertamenti. Impronte, casellario e tutto ilresto. E controlla bene il gozzo. Balarin dice che non è di qui.»

«Sì, signor colonnello.» Vercesi indicò il cadavere. «Sembra unmilitare» annuì pensoso. «Con quei capelli.»

Anglesio rifletté per qualche secondo, poi controllò l’Omega.«Quasi l’una. Se corro faccio ancora in tempo.» Si passò la cinghiadella bisaccia sulla spalla. «Questa la prendo io, per il momento. Tutorna con la Campagnola. Ci vediamo dopo.»

Mentre il colonnello si allontanava a passo veloce, Vercesi scosse latesta.

«Pover om. Gnint sèna. Neanche questa volta.»

4

Al mercato stavano smontando i banchi. Anglesio lasciò la Lambrettain uno degli spazi liberi e assicurò la catena con un gesto meccanico.Si avviò, nell’aria umida e immobile, tra le cassette che i venditoricaricavano su furgoni Ape di di un verde tenue. Il sole era pallido,filtrato dalla coltre d’afa. Oltrepassò un vecchio che curvava laschiena frugando tra i rifiuti. Dalle verdure appassite cadute a terrasaliva un odore acido e fresco.

Quando Anglesio raggiunse il fondo del mercato, Vito stavaservendo l’ultimo cliente. Il siciliano chiuse con cura l’involto dipatate e fagiolini e strizzò l’occhio al colonnello.

«Le trovaste, le vostre cipolle?»«Forse.» Anglesio rovistò nella bisaccia. «Che mi dici di questa?»Vito portò la cipolla alle narici con aria dubbiosa. Poi, il volto gli si

aprì in un sorriso.«Che biddizza.» Aspirò a lungo. «Cipudda ri Tropea. Col purpu la

dovete fare. Assaggiatela e mi direte.»«Sì, va bene.» Anglesio annuì. «Ora però ho bisogno di uno sforzo.

Devi dirmi dove le posso trovare.»«È lavoro, allora?» Scosse il capo. «Non importa, scusate.

Stamattina, quando ve ne andaste, mi sforzai per farmi vèniri in mentichi la teneva qui a Genova.» Vito si fece serio. «E ricurdai che miamoglie, l’anno scorso, comprò le cipolle e ci fece ’u purpu. Dice chequelle che vendo io non sono buone così.»

Anglesio si sporse oltre il banco. «Fammi parlare con lei.»«A Palermo è.» Vito si strinse nelle spalle. «Dalla sorella che ha

partorito. E quella non sa nemmeno cos’è il telefono.»«Quando torna?»«Una simana? Un misi?» Il siciliano abbassò gli angoli della bocca.

«E chi lo sa?»

5

Il comando pareva deserto. Anglesio finì di controfirmare una serie didenunce – piccoli furti e un barbone accoltellato alle Mura diMalapaga, giù al porto – e fece capolino nella stanza accanto.

«Hai finito con il rapporto?»Dadone sollevò lo sguardo dalla vecchia Olivetti, il volto subito

arrossato.«In questo momento, colonnello.»«C’è qualcosa di nuovo?»«Niente di più di quello che ha già visto lei.» Dadone sfilò i due

fogli dal rullo, ripose ordinatamente la carta copiativa e tese ilrapporto ad Anglesio.

«Testimoni?»«Nessuno.»«E del morto?»«Non si sa niente. Vercesi è uscito due ore fa e non è ancora

tornato.»«Va bene. Io vado a casa. Se c’è qualcosa di nuovo, telefonatemi.»«Sissignore.»

6

Sugli scalini di Salita Santa Brigida i bambini giocavano con biglie diterracotta e dalle finestre aperte veniva profumo di sugo e diminestra. Più avanti, lo sfrigolio dell’olio annunciava che Barba Angelcucinava le zucchine ripiene, come ogni sera. E come ogni seraavrebbe litigato con la moglie, che ci voleva mettere la menta.Anglesio attraversò piazza dei Truogoli, accennando un saluto alvecchio seduto di fronte al ferramenta, e infilò le chiavi nel portone dicasa. E poi le scale, fino all’ultimo piano.

Rimase alla finestra della cucina qualche minuto, osservando i vicolidella città e le gru del porto, sino al mare in lontananza. Poi sbirciònella ghiacciaia semivuota. Uova, burro, olio, un pugno di fagiolinisempre più malinconici, due fette della cima preparata il giornoprima da sua madre. Non faceva la spesa da una settimana, sempre inattesa di quella cena che avrebbe dovuto rimandare un’altra volta. Enemmeno cucinava, e questo lo faceva sentire a disagio. Incompleto.

Si decise. Lavò i fagiolini e li mise in una pentola d’acqua salata.Per aprire il barattolo delle acciughe sotto sale dovette togliere ilpesante sasso che premeva sul coperchio di legno. Ne deliscò alcune,sciacquandole appena, e tritò uno spicchio d’aglio che fece soffriggerelentamente con due cucchiai d’olio. Lasciò sciogliere le acciughe nelsoffritto, schiacciandole con una forchetta e godendosi intanto l’odoreaspro che saliva dai fornelli. Cotti i fagiolini – ancora un po’ croccanti, Enrico, diceva sempre sua madre – li versò nella padella e li fece saltare mescolando bene. Pepe nero, avolontà.

Cenò su una tovaglia pulita, fagiolini e cima, con una fetta difocaccia e mezza bottiglia del Pigato che gli aveva procurato Vercesi.Sparecchiò, lavò rapidamente piatto e pentole e sedette in poltrona,accanto alla radio, un toscano tra le labbra. Doveva telefonare perrimandare la cena. Ma prima non ne aveva avuto voglia, e adesso era

tardi. Troppo tardi.Stava dormicchiando durante una replica di Filumena Marturano,

quando lo squillo del telefono si sovrappose alla voce di Eduardo DeFilippo.

«Colonnello? Vito sono.»«Vito?» Nella confusione di quel mezzo risveglio, faticò a

riconoscere l’accento siciliano. «Ah, Vito. Che vuoi?»«Mi scusi se la disturbo a casa. Mi diede il numero il maresciallo

Vercesi.» La voce di Vito si inframmezzava a voci e tintinnio dibicchieri. Il siciliano doveva chiamarlo da un caffè ancora aperto.

«Hai qualcosa per me?»«Stasera mi chiamò la moglie, qui al bar, e scesi giù.»«E allora?»«Allora mi feci dire.»«Vai avanti.» Anglesio si frugò in tasca, in cerca di un altro toscano.«Lei dice che quelle cipolle le tiene solo l’algerino.»«L’algerino?»«Qui lo chiamano così. Il nome vero non lo conosco. Ha un

deposito a Sottoripa. E gli arrivano le verdure anche dal Sud.» Vitofece una pausa. «Dovrebbe avere una sessantina d’anni.»

«Sai l’indirizzo?»«No. E nemmeno la moglie se lo ricorda. Dice che è dietro piazza

Caricamento.»Dopo che ebbe riattaccato, Anglesio rimase per qualche secondo

immobile. Sprecò due fiammiferi prima di riuscire ad accendere iltoscano. Non aveva senso andare adesso e cacciarsi in quel dedalo divicoli alle spalle di Caricamento. Bisognava aspettare la mattina,certo. Non aveva senso. Però…

Fu in quel momento che sentì bussare.Sulla soglia, le guance rosse come al solito, una camicia kaki stirata

di fresco, c’era un Vercesi dallo sguardo preoccupato.«Che ci fai qui?»«Buonasera, signor colonnello. Buonanotte, anzi. Sì, buonanotte.

Io…»

«Tu…?»«Le ha telefonato Vito, quello del banco?»«Sì, ma entra.» Anglesio si fece di lato.«Veramente…» Rimanendo sulla porta, Vercesi fece una pausa.

«Ha parlato anche a me dell’algerino. E delle cipolle.» Esitò. «Non èche le cerca per la caponata, vero?»

«La caponata è andata, con questa storia.»«Mi dispiace, signor colonnello. La signorina s’arrabbierà?»«Lo sai tu?» Anglesio scrollò le spalle. «Io no.»«Le ha già telefonato?»«E piantala!» Anglesio aspirò violentemente e il fumo acre del

toscano lo fece tossire a lungo. Cosa si telefona a fare, a cinquant’anni,a una donna che ne ha venti meno di te? «Sai qualcosa diquest’algerino?» disse a fatica.

«Gli algerini sono tre. Ho tirato giù dal letto un funzionario dellaCamera di Commercio.» Il maresciallo aveva estratto un piccolotaccuino. «Legga lei. Mi sono fatto dettare i nomi lettera per lettera.»

«Omar Djaout. Abdellah e Kaddour Djaout.»«Padre e figli. Sono arrivati da Orano, prima della guerra. Omar è il

padre. Sessant’anni, nessun problema con la giustizia. Abdellah è suitrenta, una cicatrice da ustione sul braccio destro. Sposato, ma lamoglie è tornata in Algeria. Kaddour è il più giovane, una testa calda.Un paio di risse con i camalli del porto, ma poi il padre ha sistematotutto.» Vercesi gonfiò le guance, lasciando uscire un lungo sospiro.«Hanno due furgoni e una volta al mese scendono fino al Sud.Calabria, Sicilia. Caricano peperoncini, arance, melanzane, cime dirapa. E cipolle. Qui a Genova quelle di Tropea ce le hanno solo loro,ma pare che se le tengano perché ce ne sono sempre troppo poche. Cifanno i loro piatti. Ne vendono qualcuna al dettaglio, a gente checonoscono.»

«Se le tengono e se le mangiano.» Anglesio rimase con la manosospesa in aria, fissando la brace del sigaro. «Magari crude, con ilpane.»

«Magari.»«Dove conservano la merce?»«In un deposito in vico della Lepre, vicino al casino… Con pardon,

signor colonnello. Vicino alla casa di tolleranza, intendevo.»«Quella di zia Rina?»Il maresciallo annuì.«E sei venuto fin qui per dirmelo? Non potevi telefonarmi?»«Mi scusi, signor colonnello…»Vercesi, pensò Anglesio, doveva avere la stessa faccia quando la

Olga lo trovava con la testa nella dispensa.«Allora?»«Mi son detto che se le avessi telefonato sarebbe partito subito per

dare un’occhiata al magazzino anche se è notte e quella di notte non èuna bella zona.» Il maresciallo aveva parlato tutto d’un fiato. «Così…sono venuto per accompagnarla.»

«E tua moglie? Non s’è arrabbiata a vederti uscire alle undici?»«La Olga m’ha quasi spinto fuori di casa. Va’ dal signor colonnello,

mi ha detto, va’, testone, ché ha bisogno di te.»«Ha pensato bene, la tua Olga.» Anglesio annuì. «Aspetta che

metto la giacca.» Diede le spalle a Vercesi. «E grazie» disse tra i denti.Infilò la giacca e prese le chiavi. «Andiamo.»

«Viene così?»«E come devo venire?» Anglesio fissò il maresciallo per qualche

secondo, poi, scuotendo il capo, si diresse verso la camera da letto.Aprì il secondo cassetto del comodino, quello chiuso a chiave.

Infilò la Beretta nella tasca dei pantaloni.

7

Lasciarono la Lambretta all’ingresso del vicolo illuminato dalla luna.Incrociandoli, un uomo in abito grigio affrettò il passo e volse il capoverso il muro. Per il resto, vico della Lepre era deserto.

«L’uomo è fuoco e la donna è stoppa» sentenziò Vercesi. «Lodiceva sempre la me mama. E quello era un cliente della zia Rina.»

«Smettila. Sai dov’è il magazzino?»«Subito, signor colonnello.» L’espressione compunta, Vercesi s’era

fermato di fronte a una serranda chiusa da un pesante lucchetto.Indicò il lampioncino che illuminava una porta dall’altro lato delcarruggio. «Là c’è la casa di tolleranza. E questo…» Il numero civico sileggeva a stento. «Dovrebbe essere il magazzino di Omar.»

«È nuova.» Anglesio esaminava la serranda. «E deve costareparecchio. Gli altri negozi hanno tutti le imposte di legno.»

«Gli affari gli andranno bene.»«Forse. Ma tu prenderesti tante precauzioni per qualche cassa di

verdura?» Anglesio fissò la porta illuminata del casino. «La conosci?»domandò bruscamente.

«Chi, signor colonnello.»«Zia Rina.» Il viso di Anglesio era impassibile.«Per lavoro… sì, insomma, controlli…» Vercesi abbassò il capo. «La

conosco, signor colonnello.»«Bene. Allora andiamo a vedere se sa qualcosa.»

L’ingresso della casa di tolleranza era caldo di luce. La bionda dailineamenti pesanti che aveva aperto la porta schiuse le labbra in unsorriso.

«E chi c’è qui?» Appoggiandosi allo stipite, squadrò Anglesio dacapo a piedi. «Uno nuovo. Un bel moretto.» Lasciò scivolare lavestaglia rosa dalle spalle nude, facendo intravedere un seno. Poi,dietro Anglesio, fece capolino Vercesi.

«Carabinieri?» Il tono della ragazza era subito mutato.

«Non è il caso di spaventarsi.» Anglesio mostrò il tesserino.«Vogliamo parlare con la signora.»

«È di sopra.» Il volto della bionda era impallidito nonostante iltrucco. Si fece da parte. «Si accomodino.»

Entrarono in un’anticamera tappezzata da carta color cipria, conspesse tende di velluto alle finestre. Su una parete, un grandeacquario gremito di pesci rossi. Nell’aria stagnava un sentore pesantema non sgradevole, misto di acqua di colonia, sudore, tabacco. Daibattenti di una porta chiusa provenivano risate femminili e bassimaschili. Il rumore di un bicchiere infranto, un gridolino e un coro dirisate. La musica di un 78 giri.

«Vado a chiamare la signora.» Titubante, la ragazza si diresse versoun cancelletto di ferro battuto. «Un momento.» Scivolò in una strettacabina di legno richiudendosi il cancelletto alle spalle.

Nell’ingresso frusciava lo swing del Quartetto Cetra.

Dimmi un po’ Sinatra come fai?Le conquisti tutte, come mai?Solamente quando canti tulacrime d’amore cadon giù.

«Anche l’ascensore.» Con una smorfia, Anglesio studiò uno stemmasemicancellato sulla parete. «Una vecchia casa nobiliare.» Si rivolse aVercesi con tono innocente. «Tu ci vieni spesso? Per lavoro,naturalmente.»

Vercesi evitò di rispondere grazie al rumore metallicodell’ascensore che ritornava a terra. La donna che ne uscì potevaavere qualsiasi età tra i quaranta e i cinquanta. Capelli brizzolati,occhi privi di trucco, un velo di cipria sulle guance. Un tailleursemplice, color tortora, una camicetta dal colletto di pizzo chiusa finoall’ultimo bottone. Una segretaria, pensò Anglesio. Una segretariacon gli occhi da padrona.

«Buonasera, colonnello.» La voce era bassa, con un forte accentonapoletano. «Noi non ci conosciamo.» Zia Rina fece un lieve cenno

del capo a Vercesi. «Buonasera, maresciallo.» Sorrise ad Anglesio.«Posso esservi utile? Non credo che siate qui… per piacere.»

«Semplice routine. E niente che la riguardi direttamente.»«Meglio così. Non sono mai tranquilla da quando quella signora si

occupa tanto di noi.» Zia Rina stirò le labbra in un sorriso sottile. «Lasenatrice. Merlin, mi pare.»

«Merlin.» Anglesio annuì. Zia Rina sembrava una donnaintelligente. E cauta.

«Volete sedere?»«Siamo di fretta.»«Mi dica, allora.»«Lei conosce il signor Djaout?»«Mi scusi?»«Omar Djaout.»«Omar?» Una lieve esitazione. «Ah. L’algerino. Ha il deposito poco

lontano.»«Lo conosce?» Il tono di Anglesio era noncurante.«Ci salutiamo.» Questa volta la risposta era stata rapida, pensò

Anglesio. Forse troppo. «Lui apre quando io vado a dormire.»Un’altra esitazione. «E un paio di volte il ragazzo più giovane èvenuto qui.»

«Kaddour?»«Mi pare. Chi si ricorda quei nomi strani?» La donna indicò un

tariffario appeso al muro. «Deve aver chiesto la doppia.» Inarcò lesopracciglia. «Settecento lire. Una sciocchezza per ragazze come lemie.»

«A che ora apre Djaout?»«Non lo so. Ieri comunque era chiuso e non ho visto nessuno. Né

lui, né i figli.» La donna pareva più tranquilla.«Sono via? Al Sud, forse?»Zia Rina si strinse nelle spalle. «I furgoni li tengono da un

meccanico qua vicino. Stamattina, quando sono andata dallapettinatrice, erano ancora lì.»

«Dov’è questo meccanico?»

«Piazza San Luca.»«Si sono assentati altre volte? Tutti insieme, intendo?»«Non lo so.» Un rapido sorriso. Zia Rina aveva ancora delle armi

nel suo arsenale di seduttrice. «Non spio i miei vicini.»«Ho capito.» Anglesio annuì, l’espressione svagata. «Bene, Vercesi.

Non abbiamo altro da domandare, direi.»Mentre il maresciallo lo guardava perplesso, Anglesio si avviò alla

porta.«Andiamo. E scusi il disturbo.» Si voltò, le dita già sulla maniglia.

«Ah, sì» si portò la mano alla fronte scuotendo il capo. «Che sciocco!Lei ha detto che uno dei figli frequenta la casa.»

«Non è proprio così.» Zia Rina ricambiò lo sguardo. «È venuto solouna volta o due.»

«E si potrebbe parlare con la ragazza? O le ragazze?»«Oh.» La donna arricciò le labbra. «Mi faccia pensare.» Sollevò lo

sguardo verso il soffitto. «Mi pare fosse Rachele, la brunetta.» Annuìlentamente. «Sì. Ne sono sicura. Era proprio Rachele.»

«Ce la potrebbe chiamare?»«Mi spiace davvero.» Un altro sorriso. «È ritornata a casa. Al

paesello, come si dice.»«Capisco. E dove?»«Non saprei proprio.» Sempre sorridendo, zia Rina si strinse

nuovamente nelle spalle. «Campania, Calabria. Chissà.»

8

«Non era contenta che le domandassimo di Omar.»Sui tetti di vico della Lepre i gatti si scambiavano sfide e amori. La

luna illuminava una serie di cirri azzurrini.«No.» Anglesio masticava il toscano spento. «Per nulla.»«E la storia della ragazza…»«Magari si chiama davvero Rachele, ma certo non è tornata al

Sud.»«Controllo negli elenchi o chiediamo un mandato?»«Con calma.» Anglesio studiava la serranda del magazzino. «Ora

abbiamo altro da fare.» Si guardò intorno. «Vediamo.» Si accoccolò difronte al lucchetto, attento a non sporcare l’abito chiaro. «Mettitidietro di me e tieni d’occhio se arriva qualcuno.»

La fronte aggrottata, Vercesi si spostò laboriosamente alle spalledel colonnello. Il carruggio era deserto, le finestre delle case, buie.

«Nessuno.»Un tintinnio. Nella mano di Anglesio era comparso un anello

metallico da cui pendevano sottili ferretti di varia forma.«Ma dove li ha scovati quei grimaldelli, signor colonnello?» Vercesi

scoppiò in una risata soffocata.«Uno scambio equo. Ho chiuso un occhio con un vecchio

scassinatore. Lui ha restituito la refurtiva.» Anglesio sbuffò. «E dài,gira» bofonchiò armeggiando sul lucchetto. «Ah, ecco.» Un clicsonoro.

Rialzandosi, Anglesio fece scorrere in alto la serranda. «E in cambiomi ha dato questi e mi ha insegnato a usarli.» Rimise l’anello in tasca.«È ben oliata.» Risalendo, la serranda aveva emesso solo un sottilegemito. «C’è una porta, ancora.» Tentò la maniglia.

Il battente si aprì con un lieve scricchiolio.Si guardarono.«’Na seranda tuta nèùva…» mormorò Vercesi.«E una porta solo accostata. Non mi piace.»

Senza una parola, Vercesi slacciò la fondina ed estrasse la pistola.«Anche lei, signor colonnello.»«È un ordine?»Il maresciallo fissò Anglesio senza rispondere.«D’accordo. D’accordo.» Anglesio controllò che la sicura della

Beretta fosse in posizione orizzontale e fece scivolare un colpo incanna.

«Permette, signor colonnello.» Vercesi fece un passo innanzi. «Vuavanti mi.»

Il magazzino era immerso nel buio. Solo la serranda sollevata lasciavatrapelare una lama di luce. La luce del bordello, pensò Anglesio.Sentiva la bocca asciutta, i muscoli indolenziti. Rimase immobilenell’ombra, la Beretta puntata davanti a sé, le orecchie in ascolto. Apoco a poco iniziava a distinguere la struttura del deposito. Un localelungo, che attraversava l’intero fabbricato. Casse accumulate contro lepareti fin quasi a ostruire il passaggio, una grossa stadera, un carrettoa due ruote, con le stanghe rivolte in alto, come braccia alzate. Unascala a pioli appoggiata per il lungo contro il muro. Odore di chiuso,di verdure che iniziavano a marcire.

Anglesio girò lo sguardo verso destra.Sussultò.A pochi metri da lui, più oscuro del buio, un uomo avvolto in un

impermeabile.Le dita gli si irrigidirono sulla pistola, mentre nello stomaco gli si

apriva un vuoto.Un respiro roco. Vicino. Ansimante.Tese il braccio armato facendo scattare la sicura.Poi, il respiro divenne quello di Vercesi, e l’immagine dell’uomo

con l’impermeabile si ricompose in una serie di lunghi grembiuli neriappesi al muro. Sentì le mani diventare prima fredde e poi bollenti.Abbassò la pistola e, con un cenno a Vercesi, iniziò a spostarsi lungola parete. Il locale sembrava deserto.

«Nessuno» disse, e il mormorio rimbombò sotto l’alto soffitto.«Accendo la luce?» Anche Vercesi aveva sussurrato.«No.» Anglesio ripose la pistola. «Riesci ad abbassare la serranda

da dentro?»«Ci provo, signor colonnello.»Un fruscio metallico rotto dallo sbuffare di Vercesi.«Fatto. Ci ho infilato sotto una trave. Così possiamo fare leva per

uscire.»«Bene. Adesso accendi.»Il neon illuminò lo stanzone con una luce cruda e gelida. Non c’era

altro, oltre le casse. Solo la scala, la bilancia e il carretto. Due finestredagli scuri serrati, alte sulla parete di fondo.

«Non c’è un ufficio? Una stanza per tenere registri, conti?»Anglesio si avvicinò alle casse. Fagiolini, melanzane, zucchine,peperoncini.

Cipolle.Solo una decina, rosse come il vino, setose. «Eccole» mormorò.

Sarebbe bastato farne scivolare due in tasca e la sua caponata sarebbestata al sicuro. Tastò invece una melanzana, saggiandone laconsistenza. «La verdura sembra ancora fresca.»

«Eppure c’è odore di marcio.»«Sì.» Il colonnello lasciò ricadere la melanzana percorrendo il

locale con lo sguardo.C’era qualcosa. Qualcosa.«L’uomo con l’impermeabile.»«Come dice, signor colonnello?»Ma già Anglesio era davanti ai grembiuli appesi e li strappava dalla

parete con gesti bruschi.Una porta. Nascosta dai grembiuli che qualcuno aveva accumulato.«Ed ecco l’ufficio.» Anglesio scosse la maniglia. «Chiusa.»«Bèla rubusta, la seradura.» Vercesi si chinò. «E qualcuno ha infilato

della stoppa sotto il battente» aggiunse lentamente. Fiutò. «Spussa.»Quando Anglesio tornò a estrarre il mazzo di grimaldelli, aveva le

dita percorse da un lieve tremito. Si piegò su un ginocchio, lo sguardoalla toppa, e scelse un ferro piatto e sottile con la punta a forma dirombo. Lo introdusse nella serratura e cercò con cura i pistoncini,allineandoli uno a uno.

Nella strada, il rumore di una porta. Risate. Qualcuno stavauscendo dal bordello.

«Hai una torcia?»«Sì, signor colonnello.»«Va’ a spegnere i neon. Da sotto la serranda passa la luce.»

Anglesio aspettò, immobile, che Vercesi tornasse.«Fa’ luce sulla serratura.»Ancora un po’ di pressione sui pistoncini. Ecco.«Adesso devi aiutarmi. Sfila dall’anello il ferro con la punta

ondulata e passamelo.»«Quello che sembra ’n serpenton?»«Quello.»Anglesio infilò il secondo grimaldello di fianco all’altro e ruotò

delicatamente verso sinistra. Niente. Mosse appena il grimaldello,aumentò la pressione, ruotò ancora. Uno scatto. Un altro. Vercesi feceun passo indietro, la pistola puntata, mentre Anglesio si appoggiavaalla porta con tutto il peso per aprirla.

L’odore di decomposizione era denso come miele. Anglesio cercò atentoni l’interruttore.

Abbassò la levetta di ceramica.Non vide subito quel che c’era sul pavimento. I suoi occhi lo

sfiorarono e poi vagarono lungo la stanza. Un tavolo di metallo, unamacchina da scrivere, documenti. Un calendario appeso alla parete,congelato sulla data di due giorni prima. Una finestra dagli scurichiusi. Uno schedario di legno.

Poi, si costrinse a guardare.I cadaveri sembravano abbracciati sul battuto di cemento. L’uomo

dai capelli bianchi aveva un foro di proiettile nella nuca e stringevatra le braccia quello più giovane, come per lottare con lui. O perproteggerlo. Il volto del più giovane era affondato nell’ascella del

vecchio, quasi vi avesse cercato rifugio. Il sangue, nero e secco,formava una larga pozza sul pavimento.

«E alla fine, Omar lo abbiamo trovato» disse Vercesi con una stranavoce bassa. Spostò delicatamente la spalla del vecchio. Il visodell’altro uomo semplicemente non c’era più. Una pallottola di medioo grosso calibro lo aveva devastato, riducendolo a una maschera dicarne. «Ha la pelle olivastra anche lui. Dev’essere uno dei figli.» Sirialzò, con un rapido segno di croce. «Requiem aeternam dona eis,Domine.» Portò l’indice alle labbra, con un piccolo bacio, come ibambini quando si segnano. «Non mi abituo mai.»

«Neanch’io.» Anglesio scosse il capo. «Neanch’io.»«Sono morti da giorni.»«Almeno da due giorni. Da mercoledì.» Anglesio si avvicinò. In

quel lezzo insostenibile, in quella luce fredda, gli sembrava giustoessere lì, a guardare, a osservare. A testimoniare la morte di un padree di un figlio, abbracciati. «Il ragazzo ha le mani legate dietro laschiena. Ed era imbavagliato.» Sfiorò con le dita le gambe rattrappitedel cadavere. La parte inferiore dei pantaloni era impregnata disangue. Trattenendo il respiro, spinse via il corpo di Omar Djaout.«Guarda.»

Entrambe le ginocchia del ragazzo erano state sfracellate con unoggetto pesante.

«C’è una leva. Qua, nell’angolo.» Con un fazzoletto Vercesi avevasollevato una grossa sbarra di metallo. L’estremità inferiore erachiazzata di scuro.

«Lo stavano torturando.» La voce di Anglesio era priva di colore.«Come facevano i repubblichini.»

«Buranello lo massacrarono così. A botte, per un giorno e unanotte. E poi lo fucilarono.»

«E noi eravamo là fuori, davanti a Forte San Giuliano. Nascosti. Enon potevamo fare niente.» Anglesio aprì e richiuse le mani.«Niente.» Chinò il capo.

«Non serve pensare ai morti.» Vercesi gli sfiorò il braccio. «Lo ha

detto lei, ricorda?»«Non ci hai creduto nemmeno tu.» Anglesio si strinse nelle spalle.«No. Non c’ho creduto.»Rimasero entrambi in silenzio. Poi, Anglesio si riscosse, le labbra

pallide.«Abbiamo un lavoro da fare. E qualcuno da prendere.» Indicò il

cadavere dal volto maciullato. «Volevano fargli dire qualcosa. E ilpadre dev’essere sopraggiunto. Due soli colpi. Uno per lui e uno perOmar.»

«Un’esecuzione in piena regola.»«Vedi se riesci a scoprirgli il braccio destro.»«C’è una cicatrice. Sembra da ustione.»«Abdellah.» Facendo un passo indietro, Anglesio urtò un oggetto

che rotolò via con un suono stridente, metallico. Si chinò. Un cilindrod’ottone dai bordi lacerati. «E questo sembra il bossolo di una 7.65.»

«Come la pistola del morto di stamani.»«Che non era un algerino.»«Quello ha ammazzato il vecchio e il figlio maggiore.»«Possibile.»«E il minore ha fatto la festa a lui.»«Così sembra.»«Lo avrei fatto anche io.» Nel chiarore crudo il volto di Vercesi era

cereo.Un fruscio dall’esterno. Forse un animale. Un gatto, un cane

randagio. Un topo.Forse.Con un gesto istintivo, Anglesio spense la luce. Tese la mano a

Vercesi, facendosi dare la torcia. Un altro rumore: uno stridio lieve.«La serranda» mormorò Anglesio. Si acquattarono entrambi contro

la parete, estraendo le pistole. La serranda ora era sollevata e ladebole luce della strada illuminava il passaggio. Il resto delmagazzino era immerso nell’oscurità.

Passi. Cauti. Lo scricchiolio di suole di cuoio. Anglesio teneva laBeretta con la canna puntata in basso. Vercesi gettò uno sguardo oltre

la soglia per subito ritrarsi, l’indice e il medio sollevati. Due dita. Dueuomini. Anglesio annuì e si rialzò silenziosamente. Impugnò la torciacon il pollice sull’interruttore e sporse il braccio e la testa dalla porta.Trasse un respiro profondo. Poi accese la torcia, tenendola lontana dalcorpo.

«Fermi!» gridò. «Carabinieri!»Un suono sordo, simile a un violento colpo di tosse. Un ronzio

acuto, come di una gigantesca zanzara, a pochi centimetri dalla suatesta. Uno schianto. Lasciando cadere la torcia, Anglesio si gettò aterra, mentre Vercesi esplodeva alcuni colpi alla cieca. Altri colpi ditosse in risposta, e pallottole invisibili scheggiarono il telaio dellaporta. Uno scalpiccio rapido. Anglesio si alzò in ginocchio, la pistolaimpugnata a due mani, il mirino e la tacca della Beretta in linea con laluce proveniente dalla serranda.

Un’ombra scivolò fuori rasentando la parete.Anglesio trattenne il respiro.Un’altra ombra seguì la prima.Anglesio sparò.Un gemito soffocato.Passi. Di corsa.Silenzio.

Quando uscirono dall’ufficio, sedettero in silenzio sulle casse, al buio.Le mani di Anglesio tremavano ancora. Fu Vercesi infine ad alzarsipesantemente. Accese i neon e iniziò a esaminare il pavimento e lepareti del deposito. Anglesio rimase immobile a lungo, il capo chino,la mente attraversata da pensieri lenti. Non aveva provato paura, sirese conto, ma un senso di fine imminente. Qualcosa che si sollevavadentro di lui, più forte di lui. Qualcosa che lo attraeva e lo respingevaallo stesso tempo. Non c’è modo di riflettere, quando ti sparano. Èsolo dopo che la mente torna a muoversi; solo dopo che capisci.Capisci che questa volta è andata ma che prima o poi una pallottola ola malattia ti schianteranno, come una quaglia colpita in volo. O che

scivolerai sul pavimento ancora umido, un mattino, mentre ti prepariil caffè.

«Ho raccolto una decina di bossoli, signor colonnello.» La voce diVercesi risuonò alle sue spalle. «Sono simili a quello che abbiamotrovato di là.»

«7.65.» Anglesio si frugò in tasca cercando la scatola dei toscani. Neaccese uno con lente boccate, aspirando finché non si sentì girare latesta. Si appoggiò al muro, i pensieri confusi. «Forse anche le pistolesono le stesse. Modèle mille neuf cent trente-cinq, A.»

«Stesso calibro. Stesse pistole silenziate. Il morto del gozzo avevadei complici.»

«Quando è arrivato Omar sono stati costretti a uccidere lui e ilfiglio.» Anglesio si passò la mano sul pizzo. Odorava di cordite. «Maperché hanno torturato il ragazzo? Cosa volevano sapere?»

«Con pardon, signor colonnello ma, secondo me, quello del gozzoha agito da solo.» Vercesi scosse la testa rotonda. «Nell’ufficio c’eranosolo due bossoli e la pistola che gli abbiamo trovato in tasca avevasparato due colpi. Gli altri non c’erano.»

«E perché sarebbero venuti qui, stanotte?»«Forse perché pensavano di trovarci Kaddour.»«Sta in piedi» annuì Anglesio. «O forse cercavano l’informazione

che il loro complice non è riuscito a farsi dare. Magari undocumento.»

«Il ragazzo non ha parlato.»«Già.» Anglesio osservò rabbiosamente le casse di verdure. Ce

n’erano decine e decine. «Dovremo frugare dappertutto.» Scosse ilcapo. «In che cazzo di affare ci siamo cacciati? Tortura. Armi militari.Silenziatori.» Batté il pugno contro il muro. «E questo schifo dideposito, pieno di verdure.»

«Chiamo il comando, signor colonnello? Da zia Rina hanno iltelefono.»

«Chi c’è stanotte?»«Lazzari e Festuccia.»«Lazzari va bene. Fallo venire e occupati di tutto. Quando hai

finito lascialo di guardia e vai a dormire. Avvisa anche la medicinalegale.» Anglesio si risedette pesantemente su una cassa vuota. Lemani avevano smesso di tremare, ma lo stomaco era un nodo. Unnodo di ghisa, pensò. «Che mestiere di merda. Non si dovrebbemorire così. Come Buranello» disse sottovoce. «Non si dovrebbemorire. E basta.»

«Ghè d’andà avanti, signor colonnello. Ma lei è stanco. Vada a casa elasci fare a me, qui.»

«Sì.» Anglesio si rialzò. Le giunture gli dolevano, come al mattino,quando scendeva dal letto. I cinquant’anni erano uno schifo. Unabestia che ti azzanna. E non ti molla più.

«L’accompagno alla Lambretta.» Gli occhi di Vercesi eranopreoccupati. «Così vado a telefonare.» Uscendo, il maresciallo si chinòsull’acciottolato del vicolo. «Ne ha ferito uno, signor colonnello.» Sivoltò. «Sangue fresco.»

9

Filtrando attraverso le persiane accostate, il sole ritagliava una scalaluminosa sulla scrivania. Sul ripiano, nel chiaroscuro, una cipolla diTropea, una pistola Modèle mille neuf cent trente-cinq, A, un bossolo7.65 e tre fotografie. Di cadaveri.

Anglesio si alzò bruscamente: gli oggetti parlano, ma lui quelgiorno era sordo. Spalancò le imposte, inspirando a fondo. La stradasottostante era invasa dalla luce e i passanti si rifugiavano all’ombradei tendoni verdi dei negozi. Un ciabattino lavorava seduto davantialla bottega. Un Ape carico di blocchi di ghiaccio si fermò di fronte aun portone. L’autista scese, una traversa di juta sulla schiena; con unlungo uncino sfilò uno dei blocchi di ghiaccio caricandoselo sullespalle e scomparve nell’androne. Dalla panetteria saliva l’odore dellafocaccia calda di forno.

«È permesso, signor colonnello?» Preceduta da un lieve bussare, latesta di Vercesi si sporse nell’ufficio. «Ha staccato il telefono.»

«Se l’ho staccato è perché non volevo che mi rompessero icoglioni.» Anglesio si voltò appena. «Scusami. Sono nervoso.»

«C’è una chiamata per lei. Urgente. Il comando di Legione.»«E adesso me lo dici?»Con un passo solo, Anglesio fu alla scrivania. Riattaccò il telefono e

premette più volte la forcella.«Dadone, sei tu? C’è una chiamata per me? Passamela subito.»Attese qualche secondo, guardando corrucciato Vercesi che pareva

non avere alcuna intenzione di uscire.«Colonnello Anglesio?»«Come sta, signor generale?»«Bene, grazie.» La voce del generale di brigata Carmine Santoro era

fredda come sempre. «Conserva ancora la pessima abitudine di nonindossare l’uniforme?»

«In certi casi le persone si fidano di più di un uomo in borghese.Parlano.»

«Sciocchezze. Sarò costretto a farle rapporto.»«Come crede, signor generale.»«Novità?»«Solita routine.»«Lei chiama routine ritrovare tre morti ammazzati in un solo

giorno? E collegati fra loro, a quanto sembra?»«Ecco, ci stiamo lavorando…»«Bene.» Il tono di Santoro divenne, se possibile, ancora più gelido.

«Di questo volevo parlarle.»«L’ascolto.»«Due dei morti sono algerini. E come lei sa, l’Algeria è una colonia

francese. E questi tre cadaveri… pare interessino molto i nostri vicinioltre confine. Il ministro», nella bocca di Santoro la parola lievitava,adornandosi di potenza e di meraviglia «il signor ministro, dicevo, miha fatto l’onore di chiamarmi. Ha avuto un’importante conversazionecon il suo… collega di Parigi.»

Una breve pausa.«Sì, signor generale?»«In definitiva, di questa faccenda si occuperanno loro, i francesi.»«Sarò felice di collaborare. Devo prendere contatto con l’Interpol?»«Non ha capito, colonnello. Da questo momento, lei non si curerà

più di questa storia. Per niente.» Un’altra pausa. «Due funzionari delgoverno francese sono già stati incaricati del caso e stanno seguendole autopsie. Noi siamo fuori. Sono stato chiaro?»

«Chiarissimo, signor generale.» Anglesio controllò a stento il tono.«Posso domandare i motivi del loro interesse?»

«No. Buona giornata.» Il generale Carmine Santoro aveva giàriattaccato.

«Ci hanno tolto l’indagine.» Anglesio era rimasto con il microfonoin mano.

Con aria innocente, Vercesi si limitò ad aspettare.«Pare che la cosa interessi i francesi.»«L’Interpol, signor colonnello?»

«No. Si sarebbero messi in contatto direttamente con noi.»Anglesio scosse la testa. «Algerini, francesi, un’indagine interrotta.Puzza di…»

«Di cosa, signor colonnello?»«Niente.» Anglesio si strinse nelle spalle. «Tanto, noi ne siamo

fuori. Come dice il generale.» Fissò nel vuoto a lungo. «Siedi»mormorò. Rigirava tra le dita la cipolla. Il segreto stava lì. «Perché treomicidi intorno a un deposito di verdure?»

«Perché non sono le verdure il punto.»«Certo. Ma ci hanno condotto dai Djaout.»«Solo da due di loro.»«Nessuna traccia del terzo?»«No, signor colonnello.» Vercesi allargò le braccia. «Ho mandato

un’informativa stanotte stessa. Ancora nulla. Stamattina presto sonotornato là con Ferrari. Ho ispezionato l’ufficio. Niente. Poi sonoandato a tirar giù dal letto la Esposito.»

«La Esposito?»«Zia Rina, signor colonnello.» Vercesi continuava a passarsi le mani

nei capelli, cercando di nascondere l’incipiente diradamento. «È nataa Napoli.»

«E che ti ha detto?»«Che non sa niente. Ma non mi convince.»«E la ragazza? Rachele.»«È schedata. Rachele Destefanis, ventitré anni, di Scicli. Sparita

anche lei. La Esposito dice che è partita una settimana fa e le altreragazze confermano. Viveva nella casa di tolleranza, ma la sua stanzaè vuota. Come se ci fossero passate le cavallette.» Vercesi fece unapausa. «C’è una cosa. Marisa…»

«Chi è Marisa?»«Una delle ragazze di zia Rina, signor colonnello.» Vercesi abbassò

gli occhi con aria noncurante. «Quella che ci ha aperto, ieri sera.»«E allora?»«La ragazza dice che Rachele e Kaddour erano fidanzati. E che

Rachele non lavorava più lì.»«Quindi il ragazzo aveva chi poteva aiutarlo.»«Proprio così.»«Bene. Ci penseremo poi. Il cadavere sul gozzo, piuttosto.

L’abbiamo identificato?»«Nossignore. La barca è stata rubata tre giorni fa, a Voltri. Rubata e

regolarmente denunciata.»«Hai interrogato il proprietario?»«Un pescatore di settant’anni. Carabiniere in pensione. Niente.»«Nessun indizio sul corpo?»«Né documenti né altro. Abiti comuni, etichette tagliate. Un

pacchetto di sigarette e un accendino. La chiave di un’auto, una Fiat,probabilmente.»

«Di che marca è l’accendino?»«Dupont. Mai sentito.»«Un cognome francese. Uno dei più comuni. Proviamo a ragionare.

Un accendino francese. Pistole francesi. Il governo francese che bloccale nostre indagini.» Anglesio succhiava pensoso un toscano spento. Loaccese, usando due fiammiferi. «Ricominciamo. Tu hai detto che auccidere i Djaout potrebbe essere stato l’uomo trovato in mare. Dasolo. E probabilmente hai ragione. È lui che Kaddour ha accoltellato.Vendetta.»

«Ma siamo sicuri che ci fosse Kaddour, nella barca?»«Chi ha lasciato la bisaccia nel gozzo si era portato un pasto

frugale: pane e cipolla. Ma quelle cipolle, salvo rare eccezioni, se letenevano i Djaout.» Anglesio lasciò uscire dalle labbra una lentanuvola grigia. «Con quello che sappiamo è un’ipotesi buona comeun’altra. L’uomo misterioso ammazza i due Djaout. Poi rintracciaKaddour.»

«E sono usciti per una pesca alla lampara?»«Forse Kaddour gli ha detto che quel che cercava era da qualche

parte lungo la costa.»«Una spiaggetta? Di quelle che ci vai solo in barca?»«Sì. O un’altra barca, al largo.»

«Vero.» Vercesi si passò una mano sugli occhi. «Contrabbando.»«Possibile.»«E poi c’è questa Rachele. Potrebbe nascondere il ragazzo. Ma resta

il problema centrale. Perché Omar e Abdellah sono stati uccisi? Qualè il movente?»

«Contrabbando» ripeté Vercesi. «Un regolamento di conti,qualcuno che ha sconfinato nel territorio dell’altro…»

Anglesio si alzò, passeggiando per la stanza. «E perché diavolo sene occupano i francesi? Fino al punto di toglierci l’indagine?» Siaccostò alla finestra. Di sotto continuavano a sfornare focaccia e il suostomaco si stava lamentando. E doveva telefonare per rimandare lacena. Il pensiero lo metteva di cattivo umore. «Quel barbone» dissed’un tratto. «Quello trovato morto al porto.»

«Sì, signor colonnello.»«È ancora a medicina legale?»«Credo di sì. Avevo chiesto al dottor Spatuzzo di esaminare prima

gli altri.»«Hai fatto bene. Chi c’è di guardia adesso al deposito?»«Ferrari, signor colonnello. Ce l’ho accompagnato stamattina

presto.»«Ma tu sei andato a casa, stanotte?»«Veramente no.»«Vai a dormire allora?»«E lei?»«Pensavo di fare un paio di cose.»«Magari» Vercesi strizzò gli occhi «magari sono le stesse che devo

fare anche io. Non ho mica sonno. Ho riposato un po’ qui, su unabranda, e al sogn l’è amis adla mort.»

«Allora d’accordo.» Anglesio si voltò con un sorriso sottile. «Va’ aprendere una macchina. Io ti raggiungo subito.»

Mentre Vercesi usciva, Anglesio continuò a sorridere. Se si dovevagiocare a scacchi, lui era pronto.

10

«L’om, l’è come le zimaes.» Vercesi si portò un fazzoletto al naso.«Come le cimici. Se lo schiacci, puzza.»

Nella sala di piastrelle bianche, la luce brutale si rifletteva sul lettometallico e sulle vasche per la raccolta dei liquidi. Il dottor Spatuzzo,capelli nerissimi e intrisi di brillantina, stava frugando nell’addomedel cadavere disteso sul tavolo settorio. Alle sue spalle, due uomini inborghese: abiti grigi di cotone, camicia bianca, cravatta nera e sottile.Il più vecchio assomigliava a un attore americano. Quello piùgiovane, capelli scuri pettinati all’indietro e mandibola sporgente,sembrava attento a imitare ogni gesto del suo superiore.

Anglesio spezzò tra i denti una mentina. James Stewart, ecco chiera l’attore; quello di Winchester ’73. 1950, regia di Anthony Mann.Con Shelley Winters e Stephen McNally. Masticò furiosamente:odiava le autopsie e quella, in cui l’odore di Brylcreem si mescolava alfetore della morte, non era meglio delle altre. Lasciò che la porta sichiudesse alle sue spalle con un tonfo. Il medico legale sollevò il capo,scrutandolo da sopra i sottili occhiali dorati.

«Il colonnello Anglesio direttamente nella mia umile dimora…»Spatuzzo afferrò il cadavere per un braccio e con una manichettadiresse un getto d’acqua nella cavità addominale. Tornò ad abbassarela testa, affondando le mani nel cavo aperto, mentre un liquidorossastro si spargeva sul tavolo, scivolando nelle gronde fino allavandino. Uno strappo, e il medico si risollevò con un organorossastro tra le dita.

«Siete interessato al nostro piccolo spettacolo?» Senza smettere diesaminare l’organo – un rene, pensò Anglesio; quello era un rene –, ilmedico continuò a parlare. «Quanta bella gente, oggi. Visite dallaFrancia e dai carabinieri.»

I due uomini in grigio fissavano Anglesio con volti immobili.«Se è qui per i nostri algerini, colonnello, resterà deluso. Ho

cominciato con l’altro, quello trovato sul gozzo.»

«In realtà volevo sapere qualcosa del barbone ucciso al porto.»«Ecco.» Il patologo aveva l’espressione soddisfatta di chi ha

finalmente messo le cose a posto. «Una sola ferita, punta e taglio.»Annuì, approvando evidentemente la sapienza dell’operazione. «Inpratica, ha reciso del tutto l’arteria renale. Non c’era molto sanguesulla barca, vero colonnello?»

«No.»«Vede? Morte quasi subitanea, per una violenta emorragia interna.

Il cavo peritoneale era pieno di sangue.» Il patologo posò il rene inuna bacinella. «Ah, il barbone. In realtà, come si dice, mi è rimastoindietro. Saprà qualcosa domani.»

«Magnifico lavoro, dottore.» Il più anziano degli uomini in grigioparlava un italiano appena venato da un lieve accento francese.«Jacques» indicò il collega più giovane «si occuperà del trasporto deicorpi.» Si avvicinò ad Anglesio con uno scricchiolio di scarpe. Il voltomagro era attraversato da un sorriso solo accennato. «Lei dev’essere ilcolonnello Anglesio.»

«Lui.» Anglesio rispose con tono leggero.«François Arnaud, Polizia di Mentone.» Il francese parlava senza

quasi muovere le labbra. «Vogliamo fare due chiacchiere fuori?»«Prego.» Anglesio spinse la pesante porta.Il corridoio era impregnato di un odore composito: disinfettanti,

putrefazione, dopobarba troppo intenso. Vercesi si allontanò diqualche passo, facendo mostra di non ascoltare la conversazione.

«So che si occupava lei del caso.» Arnaud sorrise ancora. «Midispiace togliere il lavoro a un collega.»

«Non si preoccupi.» Anglesio scrollò le spalle. «Di morti ce n’è pertutti.» Indicò il cadavere. «Li portate via?»

«Abbiamo un furgone che aspetta fuori.»«Capisco. Una procedura piuttosto irregolare o sbaglio?»«Capita. Ha parlato con i suoi superiori?»«Certo. E voi? Partirete subito per Mentone?»«Noi ci fermeremo. Per le indagini.»

«Avrete bisogno di aiuto, allora.»Arnaud scosse il capo. «Ce la caveremo» disse dopo un breve

silenzio. «Le chiedo solo l’autorizzazione di esaminare le carte delcaso. Quello che avete scoperto finora.»

«Nessun problema. Sono a sua disposizione.»«Passerò più tardi al comando. Genova Portoria, vero?»«Le farò preparare tutto.» Anglesio abbassò lo sguardo sulle scarpe

del francese. Vacchetta nera, morbide. «Magnifiche scarpe» esclamò.Arnaud lo fissò sconcertato. «Mi scusi?»«Ah, nulla.» Anglesio scosse il capo. «Sono un appassionato di

scarpe. Qui in Italia non se ne trovano di così belle. Suola di cuoio,vero?»

«Mais oui, sì, certo.»«Solo difetto che scricchiolano. Ma forse perché sono nuove.»

Anglesio si chinò. «Che peccato. Una macchia, proprio sulla punta.»Si rialzò. «Ah, ma ecco il suo collega.»

L’uomo più giovane si chinò all’orecchio di Arnaud,sussurrandogli qualcosa. Arnaud si volse, il viso imperturbabile.

«Dobbiamo andare. Il dottor Spatuzzo sta iniziando l’autopsiadegli altri due. È stato un piacere conoscerla.»

«Anche per me. E buona fortuna!» Con un gesto entusiasta,Anglesio diede una pacca sulla spalla sinistra di Arnaud. Il volto delfrancese si contrasse in una smorfia di dolore.

Mentre i francesi rientravano nella sala settoria, Vercesi si avvicinòal colonnello con aria interrogativa.

«Il capo ha le scarpe che scricchiolano.» Anglesio si frugò nelletasche. «E una macchia di sangue su quella sinistra. E ha una spalladolorante. Credo di averlo colpito a un braccio, stanotte.» Sbuffò,irritato. «Ho finito i toscani. Vieni, c’è un tabaccaio a cento metri.»

Lungo la strada, il sole colava come metallo fuso. L’aria umidalasciava sulla pelle uno strato vischioso. Maccaia pensò Anglesio,allentandosi la cravatta. Afa.

Vercesi gli camminava accanto scuotendo la testa. «Però, se quelli

son poliziotti, io sono Biancaneve.»Anglesio si fermò sulla soglia del tabaccaio. «Ministri, pistole con il

silenziatore. Poliziotti francesi. C’è puzza di SDECE in questafaccenda.» Uscì dopo pochi minuti, un toscano tra le dita. «Dammi ilcoltello.» Tagliò con cura il sigaro a metà e ne infilò una in bocca.«Ecco» sospirò. «Andiamo.»

Vercesi rimase immobile, la fronte corrugata.«Mi scusi, signor colonnello, ma io non mi muovo se non mi spiega

cosa diavolo è ’sto SDECE?»«Service de documentation extérieure et de contre- espionnage»

bofonchiò Anglesio. Studiò insoddisfatto la brace del toscano e lainumidì con un lieve sputo. «Meglio.» Alzò gli occhi su Vercesi checontinuava a fissarlo. «Servizi segreti, Vercesi. È questa la merda incui siamo finiti.» Scosse il capo. «Andiamo alla macchina, dài.»

Mentre stava per avviare il motore, il maresciallo si fermò. Mise lemani sul volante.

«E noi che facciamo, signor colonnello?»«Dovremmo mollare tutto. Come ci è stato ordinato.» Anglesio

guardò Vercesi con aria indifferente. «Perché? Tu che faresti?»Solo le orecchie riuscirono a fermare il largo sorriso del

maresciallo. «Dove si va?» Accese il motore.«Andiamo a trovare zia Rina.» Anglesio si accomodò meglio sul

sedile, aspirando profondamente il fumo aromatico. «Prima peròfermati dal fornaio di via Del Campo. È da stamattina che ho voglia difocaccia.»

11

«Non mi aspettavo di rivedervi così presto.»Quel giorno, il tailleur di zia Rina era di un viola azzurrino e tenue.

Anglesio cercò una posizione più comoda sulla poltroncina, rigidacome un vecchio arciprete. Il salotto di zia Rina pareva più lo studiodi un notaio che il boudoir di una maîtresse.

«Ah, ecco Marisa con il caffè.»La bionda che li aveva accolti la sera prima posò il vassoio sulla

scrivania. Porgendo la tazzina a Vercesi, si chinò, lasciando che unseno pesante gli indugiasse sulla spalla. Senza alcuna espressione, ilmaresciallo mandò giù il caffè tutto d’un fiato.

«Potrei avere un bicchiere d’acqua?» disse con un filo di voce.«Non dovrebbe berlo così velocemente, maresciallo. Il caffè a

Napoli lo vogliamo con le tre C.»«E sarebbero?» domandò Anglesio posando la tazza. Il primo sorso

era bollente.«Caldo, carico, comodo.» Zia Rina sorrise. «Anche se c’è un detto

molto più antico che non so se posso ripetere.»«Siamo grandi.»«Come cazz’ coce.» La volgarità sulle labbra di quella donna suonava

come un rogito notarile. Zia Rina congedò la ragazza con un cenno.«Ma non voglio farle perdere tempo. Mi dica.»

«Mi domandavo se ha avuto notizie di Rachele. Una cartolina omagari una telefonata.»

«No, purtroppo. Queste ragazze sono delle ingrate. Quando se netornano a casa lo fanno per sposarsi e, quando m’incontrano per lastrada, si girano dall’altra parte.»

«Inconvenienti del mestiere.»«Un’arte, colonnello. Non un mestiere. Comunque, temo di non

poter fare nulla per lei. Ma…» La donna lasciò scivolare uncucchiaino colmo di zucchero nella tazza. «Come mai siete cosìinteressati a Rachele?»

«Niente di particolare.» Anglesio estrasse la scatola dei toscani, poisi guardò intorno e la ripose in tasca. «Diciamo che si tratta diprevenzione.»

«Può fumare, se desidera. Anzi», zia Rina inclinò il capo, «sevolesse offrirmene uno…»

Accesero entrambi, mentre Vercesi osservava la donna che tenevail sigaro come un uomo, annusandone l’aroma.

«Prevenzione, allora.» La donna aspirò socchiudendo gli occhi. «Edi cosa?»

«Le piacciono le storie?»«Dipende.»«Gliene racconto una, se permette.» Anglesio si alzò. «Dovrebbe

mettere dei cuscini, sa? Dunque…» Si accostò alla finestra. «C’era unavolta un ragazzo che amava molto le cipolle.» Si voltò con un sorriso.«Diciamo quelle di Tropea, così, per gioco. Le conosce?»

«Certo. Sono meridionale.»«Magnifico. Allora, il nostro ragazzo era figlio di un commerciante

e si guadagnava da vivere in un paese straniero con lui e con ilfratello. Ma un giorno, per qualche misterioso motivo, arrivò unuomo malvagio. Da un regno vicino.» Anglesio cercò con lo sguardoun posacenere. «Come fosse la Francia per noi. Sempre per dire.»

«Tenga.»«Ah. Grazie.» Il colonnello studiò la cenere del toscano. «Dunque,

eravamo arrivati al cattivo.» Tornò alla finestra, seguito dagli occhiapparentemente svagati della donna. «Questo cattivo, che è moltocattivo, uccide il padre e il fratello del ragazzo.»

«Perché li uccide?» La voce della donna suonò di un’ottava piùbassa del solito.

«Chi può dirlo? Perché è cattivo. O forse perché voleva rubarequalcosa.»

«Che storia fosca, la sua. E come va avanti?»«Il ragazzo fugge, aiutato da una fanciulla del luogo. C’è sempre

una fanciulla nelle fiabe, no? E lei lo nasconde, aiutata a sua volta da

qualcuno. Magari, ma sì, dalla matrigna.» Scosse il capo. «Strano,vero? Una matrigna di buon cuore.»

«La vita è un’arte, come il mio mestiere.» La voce della donna eratornata normale. «Imprevedibile.»

«Ma torniamo al ragazzo. Lui è coraggioso, e disperato per la mortedei suoi. Così, una notte, con un inganno, attira il cattivo in un luogoisolato.» Anglesio si volta con un sorriso gentile. «Che ne dice di unabarca, signora Rina? Una barca sul mare?»

«Un luogo molto isolato.»«Bene, allora diciamo una barca. Il nostro eroe uccide il cattivo e

fugge di nuovo. Ma…» Anglesio fece una lunga pausa. «Ma, comeCenerentola, lascia una traccia. Non una scarpina di cristallo,naturalmente, ma una cipolla di Tropea.»

«Davvero stramba, la sua storia. Finisce così?»«Forse. Ma forse no. Perché gli amici del cattivo ora cercheranno il

ragazzo. E siccome sono molto potenti e molto bravi, finiranno pertrovarlo.»

«Capisco. Povero ragazzo. Senza padre, senza nessuno.»«Bisognerebbe che qualcuno lo aiutasse. Magari potrebbe lasciarsi

arrestare dalle guardie. Così sarebbe al sicuro.»«Andare in prigione non è mai facile.»«No. Ma è meglio di morire.» Anglesio controllò l’orologio. «S’è

fatto tardi. Dobbiamo andare.»Zia Rina si alzò lentamente.«Bene, allora. Grazie per il toscano. E per la storia.»

12

«Ferrari!»Al richiamo di Vercesi, dall’unico angolo in ombra del carruggio

sbucò la faccia secca e scavata del carabiniere. A quell’ora, in vicodella Lepre il sole batteva a picco e non passava nessuno. Di botteghenon ce n’erano, e fino a tardo pomeriggio la casa di zia Rina sarebberimasta chiusa.

«È venuto qualcuno?» Anglesio diede una pedata alla serrandaabbassata del magazzino.

«Sì, colonnello.» Il tono di Ferrari era un misto di rabbia e dimortificazione. «Neanche un’ora dopo che ero arrivato. Due tizi conun accento strano. Avevano un documento firmato dal generaleSantoro. Diceva che l’inchiesta era loro e che noi, con rispetto,dovevamo toglierci dai coglioni.»

«E bravi i francesi. Occupazione del territorio nemico.» Anglesioannuì. «E tu che hai fatto?»

«Sono andato a telefonare, ma Dadone mi ha detto che lei era giàuscito. Così sono tornato indietro e mi sono nascosto in un portone.Ho aspettato che finissero e mi sono messo di nuovo qui.» Stirò lelabbra in un sorriso da faina. «Sapevo che sarebbe venuto.»

«Bravo. Ma hai aspettato che finissero cosa?»«Hanno sostituito il lucchetto.»Vercesi scosse il capo. «Lä gatä malfidentä quäl ch’lä fà, lä pensä.»«Che ora era?» domandò Anglesio.«Quasi le undici.»«Peccato.» Anglesio continuava a fissare il lucchetto. «Avrei voluto

dare ancora un’occhiata. Ma i nostri amici torneranno presto.»«E se ci trovano qui…» iniziò pensoso Ferrari.«Avviseranno il generale. E a noi toccherà mandare cartoline

dall’Aspromonte. O dalla Barbagia.» Anglesio trasse un sospiroprofondo. «Mi sa che non c’è niente da fare.»

«Mia da fa?» Vercesi arricciò le labbra. «La mia Olga dice che c’è

sempre qualcosa che si può fare.» Si fece serio. «Lei i suoi ferretti ce liha sempre?»

Anglesio si toccò le tasche. «Sì. Non ho cambiato giacca.»«Allora…» Vercesi sorrise. «Posso offrirle qualcosa da bere? Con

questo caldo…»«Che ti piglia, Vercesi?»«Lei venga con me, che in piazza dei Greci c’è un’osteria con il

telefono. E tu, Ferrari, lo conosci il Verdi?»«L’osteria di Cicètta? Ci passo qualche volta per un giancu.»«Oggi niente bianchetto per te. Resta qui, e se arriva qualcuno corri

ad avvisarci.»

13

Il Verdi era uno stanzone rivestito di legno, con quattro tavolini, unaventina di bottiglie sullo scaffale e un pezzo di focaccia triste in unvassoio. Ma era fresco e in penombra, e l’odore del vino dava quasialla testa.

«Qui si deve bere, signor colonnello» sussurrò Vercesi. «Altrimentiil Cicètta s’incazza.»

Il Cicètta era un vecchio corpulento, con una canottiera macchiata,seminascosta da un grembiule grigiastro. Li fissava con un occhiosolo, perché il destro aveva optato per la libertà e se ne stava rivolto alsoffitto.

«Due bianchetti» fece Vercesi. «E un gettone.»«Telefonate brevi.» Con un grugnito l’oste lasciò cadere il gettone

sul banco di zinco. Si chinò, traendo da sotto il banco un pintone divino di un giallo verdognolo. Riempì due bicchieri rasi.

«Alla salute, signor colonnello.» Con un sorso Vercesi dimezzò ilsuo.

Anglesio assaggiò con circospezione. Asprigno, come ogniNostralino, ma con un fondo di mandorla che rimaneva in bocca. Colbicchiere in mano raggiunse Vercesi al telefono piazzato a fianco delbanco.

«Passami Dadone» stava dicendo il maresciallo. «Dadone? Sai chedevono venire dei colleghi? Dei francesi? Ah, tra mezz’ora? Alloraascoltami bene. Sai anche che devi consegnargli tutto? Bravo. Adessoperò devi preparare una segnalazione. Prendi un foglio intestato ebattici a macchina i dati di Kaddour Djaout. Devi scrivere che è statovisto un uomo somigliante a lui nella zona del porto. Un uomo incerca di un imbarco immediato. Capito tutto? Sì, segnalazionearrivata da un’ora. Ci vediamo dopo.» Vercesi mise giù con un sorriso.«L’è da catà qual lì. È proprio sveglio.»

Anglesio lo fissò in silenzio.«Se ho sbagliato, signor colonnello… però ho pensato che così ce li

levavamo per un po’ dai ciap.»Anglesio sollevò il bicchiere.«A Medardo Vercesi, artista della balla.» Bevve d’un fiato, poi:

«Altri due, per favore».

14

«Hai detto che stamattina hai di nuovo perquisito l’ufficio?»domandò Anglesio.

«Sì. Non ho trovato un accidenti» rispose Vercesi.«Effetti personali?» Anglesio passeggiava per il deposito. Questa

volta avevano lasciato la serranda sollevata e il sole illuminava illocale. L’odore delle verdure troppo mature era screziato da unsentore salmastro e oleoso. L’odore del porto. C’era mainasso quelgiorno. Scirocco.

«Solo un pettine pieno di capelli.»«Bisognerebbe svuotare tutte le casse.»«Ci vorrebbero ore.» Ferrari si lasciò sfuggire un fischio tra i denti.«E magari non troveremmo niente.» Anglesio s’immobilizzò in un

quadrato di sole. «O più niente» mormorò. Si voltò verso ilcarabiniere. «Dunque: tu sei qui dalle otto.»

«Otto e venti, forse. Sono arrivato col maresciallo.»«E prima c’è stato Lazzari.» Anglesio rovesciò una cassa vuota e vi

sedette. «Proviamo a ricapitolare i tempi» disse, rivolgendosi aVercesi. «Ieri sera tu sei venuto da me poco dopo le undici.»

«Undici e mezzo, credo.»«Abbiamo parlato. Poi abbiamo preso la Lambretta e siamo venuti

qui.» Anglesio estrasse un toscano e lo inumidì succhiandonel’estremità. «Circa venti minuti. Da zia Rina saremo stati in tuttomeno di mezz’ora.»

Vercesi annuì senza dir nulla.«Il tempo di aprire la serranda. Poi abbiamo ispezionato il

magazzino. La seconda porta…» Anglesio gettò un’occhiata alla portaaperta dell’ufficio. «In tutto circa un’ora. Poi la sparatoria…» Acceselentamente il sigaro. «Diciamo che potevano essere le due quandosiamo usciti. Avevo lasciato l’orologio a casa.»

«Ho sentito battere la mezz’ora al campanile di San Siro.»«Le due e mezzo. A che ora è arrivato Lazzari?»

«Verso le tre e un quarto.»«E tu dov’eri?»«Dopo aver telefonato sono stato sempre davanti al deposito. Ho

chiuso tutto e sono andato via verso le cinque, dopo che hannoportato via i cadaveri. E sono tornato con Ferrari a dare il cambio aLazzari.» Vercesi aggrottò le sopracciglia. «Cosa pensa, signorcolonnello?»

«Sto fantasticando.» Il calore nel deposito era stordente. L’ariapesante, immobile. Anglesio chiuse gli occhi. C’era qualcosa che loaveva colpito. Qualcosa. Poi, d’improvviso, capì: un alito di brezza gliarrivava sul volto. Riaprì bruscamente gli occhi, fissando il soffitto. «Equella?» Sulla parete di fondo, a più di due metri d’altezza, unafinestra, con un solo scuro accostato. «Avete aperto voi duel’imposta?»

«No, colonnello.» Ferrari scosse il capo. «E i francesi non sononemmeno entrati.»

Anglesio si voltò verso Vercesi. «Ieri sera c’era la luna.»«Luna crescente.»«Ma noi non abbiamo visto la luce, quando siamo entrati.»«Quindi tutti e due gli scuri erano chiusi.» Vercesi si avvicinò alla

parete. «Dietro le casse c’è uno spazio libero.»Anglesio si avvicinò. «Ieri non c’era. Le casse arrivavano fino alla

parete.»«E sul muro ci sono delle strisciate.»«Come se qualcuno avesse issato lassù le casse che mancano.»

Anglesio frugò con gli occhi il magazzino. «Dov’è la scala? Ieri notteera contro la parete.»

«È questa?» Ferrari era emerso da un cumulo di melanzane,reggendo una scala a pioli. «Era infilata tra le casse e il muro.»

«Appoggiala sotto la finestra» ordinò Anglesio. «E reggimi.»S’inerpicò fino a raggiungere la finestra e spalancò lo scuro. «Daquesta parte il vetro è rotto.» Fece ancora due scalini. «Qui dietro c’èun cortile. E un mucchio di mattoni. Facile salire.» Passò le mani sul

bordo della finestra. «E ci sono dei fili di canapa. Come di una corda.»Ridiscese lentamente. «Ferrari, corri in piazza San Luca. Trova ilcortile dove i Djaout tenevano i loro furgoni. Controlla se ci sonoancora tutti e due.»

«È venuto stanotte e ha portato via qualcosa.» Vercesi si assestòuna manata sulla nuca. «Kaddour. È passato da dietro e noi stavamoqui davanti. Come dei pirla.»

«Probabilmente era proprio lui. Sapeva di poter passare dallafinestra. Ha rotto un vetro per entrare. Poi si è calato sulle casse. Neha imbragata una ed è tornato su. L’ha issata stando fuori. E ognivolta doveva tornare giù per imbragarne un’altra. Poi ha nascosto lascala.» Anglesio posò una mano sulla spalla del maresciallo. «Non hopensato nemmeno io al retro. Capita. Adesso, però…» Misurò lospazio libero sotto la finestra. Quattro passi normali. Poco più di duemetri. Potevano starci una decina di casse. Si chinò. Sul battuto dicemento, una macchia scura, fresca, dai riflessi iridescenti. Si bagnò ipolpastrelli, strofinandoseli vicino alle narici. Odore pungente.

«Petrolio.» Vercesi si era chinato accanto a lui.«Oppure olio lubrificante.»«E che ci fa in un magazzino di verdure?»«Non lo so.» Anglesio alzò gli occhi. Passi affrettati: Ferrari entrò

correndo.«Colonnello!» Si fermò, riprendendo fiato. «Di furgoni ce n’è uno

solo.»

15

Quando si richiuse la porta alle spalle, Anglesio era esausto.Appoggiò la spesa sul tavolo della cucina e sedette, le mani inerti.Aveva trascorso il pomeriggio al telefono, in cerca di una traccia diquel dannato furgone. Niente. Svanito. Come Kaddour e comeRachele.

Si alzò, sbirciando nella dispensa. Il Pigato era quello che ci voleva.Stappò, sboccò e si versò un bicchiere. Finita. Quella faccenda erafinita, tanto valeva rassegnarsi. A penetrare nel deposito dovevaessere stato davvero Kaddour. E forse Rachele lo nascondeva daqualche parte, magari con l’aiuto della Esposito. Di zia Rina, sicorresse. Non poteva evitare di provare una certa simpatia per quelladonna. Ma cosa cazzo c’entravano i francesi? Anzi – ne era sicuro – iservizi segreti francesi. Aveva conosciuto troppo bene l’ OVRA, anniprima, per non saper individuare gente del genere. Ce l’avevanoaddosso, come un odore. E non gli piacevano.

E non gli piaceva cosa avevano fatto a Omar e a suo figlio.Mandò giù con rabbia un sorso di vino. Non aveva voglia di

fumare, non aveva voglia di leggere. Guardò il libro appoggiato sultavolo. Copertina arancione, la testa di Medusa in campo bianco. DinoBuzzati, Paura alla Scala. Si ricordò che era corso ad acquistarlo appenapubblicato. E adesso era soltanto al secondo racconto, Il borghesestregato.

C’era una cosa sola da fare.Cucinare.Quando aveva annunciato ad Anna che si doveva rimandare la

cena, la ragazza aveva sbuffato all’altro capo del filo. Se non si fa laprossima settimana, scordati il mio numero, gli aveva detto.

E che la prossima settimana sia. Intanto, poteva allenarsi.E quelle bianche aveva comprato. Al massimo, ci avrebbe aggiunto

un po’ di zucchero in più, alla fine, con l’aceto.Stava sbucciando laboriosamente la prima melanzana, quando

sentì un colpo contro i vetri. Un sasso.Un altro.Si sporse. Nella strada semibuia, un’ombra si era rifugiata contro il

muro.«Chi è?» gridò Anglesio.L’ombra fece timidamente capolino.«Colonnello Anglesio?» Una voce timida. Femminile.«Chi lo vuole?»«Posso salire?»Anglesio esitò. «Aspetti.» Prese un canovaccio e si asciugò le mani.

Gettò uno sguardo sconsolato alla melanzana pelata a metà e sistrinse nelle spalle. Quando tornò ad affacciarsi la strada era deserta.«È ancora lì?» bisbigliò.

L’ombra ricomparve. «Sì.»«Dietro il vaso di basilico, sullo scalino. C’è la chiave del portone.

Salga.»

La ragazza era bruna, esile, con il viso privo di trucco. Indossava unacamicetta bianca su una gonna blu e uno scialle che le copriva la testae il volto.

«Entri» disse Anglesio. «Si accomodi pure. La signorina RacheleDestefanis, suppongo.»

16

La notte era avanzata, sorprendendoli nel lungo silenzio seguito allaconversazione. Solo allora Anglesio si accorse che la cucina eraimmersa nel buio. Si alzò, accese la luce e iniziò a riporre le verdurenella dispensa. Studiò le melanzane per poi lasciarle cadere nel cestodella pattumiera. Versò ancora un mezzo bicchiere di Pigato allaragazza e rimase a osservarla mentre si bagnava appena le labbra.

«Lo beva tutto. Le farà bene.»La ragazza annuì e bevve, la gola che tremava, come la bocca.«Devo fare una telefonata. Torno subito.» Chiusa la porta della

cucina, Anglesio compose un numero a memoria.«Signora Parodi? Sono il colonnello Anglesio. Ah, mi ha

riconosciuto? Mi scusi se la disturbo a quest’ora. Non dormiva? Eh, loso, con gli anni si ha sempre meno bisogno di sonno. Sì, vorrei parlarecon il maresciallo. Può salire a chiamarlo? Grazie. È molto gentile.»

Anglesio attese qualche minuto prima di sentire la voce impastatadi Vercesi.

«Vercesi? Scusami ancora con la tua vicina. Ho bisogno di te. Sì,adesso. Va’ al comando e prendi una Campagnola, poi raggiungimi acasa. Venti minuti? Vestiti comodo e di scuro. Ti spiego poi. Ferrari fala notte? Bene, porta anche lui. Aspettatemi sotto.» Un’esitazione.«Ascolta» riprese Anglesio con voce più lenta. «Hai ancora ilpassamontagna? Portalo. E…» Un’altra esitazione. «Anche lamitraglietta.»

Quando tornò in cucina, la ragazza s’era addormentata, piegata sultavolo, il capo appoggiato sulle braccia conserte. La coprì con loscialle, spense la luce e scivolò in camera da letto. Indossò in fretta deipantaloni grigio scuro e una camicia blu. Soppesò il vecchiopassamontagna che s’era rifugiato sul fondo dell’armadio e se lo ficcòin tasca. Come quando si andava sulle colline, a caccia di tedeschi o direpubblichini. Calzò un paio di scarpe pesanti, dalla suola di gomma.Poi aprì il cassetto del comodino e fece scivolare la Beretta nella

cintura, sulla schiena.Si richiuse la porta d’ingresso alle spalle, attento a non fare rumore,

e scese rapido fino alla strada.La jeep era già in fondo a Salita Santa Brigida, i fari spenti. Quando

Vercesi scese, Anglesio lo fissò.«Ma cosa ti sei messo?»Il maresciallo indossava una camicia nera, un paio di pantaloni neri

alla zuava e alti stivali lucidi. Neri.«Erano le cose più scure che avevo» borbottò. «Le mettevo al

sabato fascista.» Abbassò gli occhi. «La Olga voleva rompermi unpiatto in testa, quando m’ha visto.»

«Basta che non ci arrestino per apologia del partito fascista.Ferrari?»

«È all’angolo, che controlla la strada.»«Chiamalo.»Con due dita tra le labbra, Vercesi lasciò partire un lungo fischio.

Un’ombra s’affrettò verso di loro.«Comandi, colonnello.» Uno stretto sorriso solcava come una

fenditura il volto di Ferrari. «Che facciamo?»«Tu, niente.» Anglesio gli tese le chiavi di casa. «Di sopra c’è una

ragazza. È la Destefanis.»Ferrari aprì e richiuse la bocca senza un suono.«Rimani con lei finché non torniamo. Non aprire a nessuno.

Potrebbero averla seguita.»«I francesi, vero?» Il sorriso di Ferrari era scomparso. «Devo restare

per forza? Non posso venire con voi?»Anglesio lo guardò senza rispondere.«Comandi.» Il carabiniere deglutì. «Vado.» Sparì rapidamente nel

portone.«E noi dove andiamo, signor colonnello?» Il volto di Vercesi era

imperturbabile.«Conosci la costa vicino a Bogliasco?»«È quasi tutta scogliera.»«Da ragazzo mi ci portava Balarin, a pescare. E mi ricordo di un

approdo molto ripido. Ai piedi di una villa.»«Uno scivolo in cemento, tra le rocce? E sopra c’è una villa tutta

grigia, mezza nascosta dagli alberi?»«Quello.»«È la villa degli Aglietta. Industriali di Milano. Sono anni che è

vuota, perché agli Aglietta non gli va mica tanto bene, da quando èfinita la guerra.»

«Ci sai arrivare?»«Bisogna lasciare l’Aurelia, a un certo punto. C’è una strada

privata.» Vercesi si grattò la fronte. «C’è anche un sentiero che parteun po’ più indietro e passa in mezzo agli alberi.»

«Andiamo.»

17

Nelle curve, i fari della jeep tagliavano gli strapiombi sul mare in unaserie di fotogrammi. Rocce, spuma bianca sul nero dell’acqua. Nelcielo sereno, una luna gialla e incompleta.

«Quando siamo vicini, spegni i fari.» Erano le prime parolepronunciate da Anglesio.

«Ancora qualche chilometro.» Vercesi aspirò rumorosamente colnaso.

«Ascolta.» Anglesio aveva estratto la Beretta. La guardò, come unoggetto estraneo. «Tu non vieni. Mi lasci lì e mi aspetti. Tutto qui.»

«Se il signor colonnello non mi vuole…» Vercesi gonfiò le gote,arrossendo. «O se ha paura che faccia casino…»

«Piantala. È una brutta storia. E abbiamo ordine di starne fuori. Epoi, tu hai una famiglia.» Anglesio si strinse nelle spalle. «Io no.» Ilcolonnello si girò verso il finestrino, il volto nell’ombra. «E ti ho giàcacciato in troppi guai, in questi anni.»

Ci fu un lungo silenzio.«Perché ci vuole andare?» Il tono di Vercesi era cauto. Rispettoso.

«Non è obbligato. Ed è pericoloso, lo ha detto lei.»«Sono curioso, diciamo. E non mi piace Arnaud.»«E non le piace nemmeno cosa hanno fatto ai Djaout.» Quella di

Vercesi era una constatazione. «E nemmeno a me. E non se ne parla distare ad aspettare. Con rispetto, signor colonnello. Se la lascio andareda solo, la Olga la dà fora da mat. Dice che vuole assaggiare lacaponata.»

Anglesio sorrise appena. «D’accordo» mormorò.«Allora, sarebbe meglio che mi spiegasse qualcosa. Non ci ho

ancora capito ’na cana.»«La ragazza non ne sa molto. Kaddour è arrivato da lei giovedì

notte, sporco di sangue. Era sconvolto e le ha raccontato che qualcunoaveva ucciso i suoi e che lui li aveva vendicati. E lei ha chiesto aiutoalla Esposito. Aveva smesso di lavorare nel bordello già da un paio di

mesi. Parlava di andare in Algeria con lui.» Succhiò pensoso il sigarospento che teneva tra le labbra. «E zia Rina li ha nascosti in unappartamento che ha su a Castelletto.»

«’Na dona stramba.»«Già. Dopo il nostro ultimo colloquio, la Esposito è andata a parlare

con lui. E Kaddour ha promesso che si sarebbe costituito. Ma prima,ha detto, doveva finire un lavoro.»

«Ne avrà ancora qualcuno da ammazzare.»«Credo si riferisse ad altro.» La pistola era pesante nella mano di

Anglesio. «Stasera ha ricevuto una visita. Un algerino, sembra. Lui eKaddour si sono chiusi in cucina per mezz’ora. Ma parlavano a vocealta. In francese. E Rachele ha una zia di Mentone. Ha capitoqualcosa. Parlavano di un carico e di questo approdo. Nient’altro.»Anglesio tornò a infilare la pistola nella cintura. Si sentiva sospeso,come prima di un intervento chirurgico. «Poi Kaddour e l’altro sonousciti di fretta. E Rachele è venuta da me.»

Dai finestrini aperti entrava l’odore dell’erba.«Brezza di terra» mormorò il maresciallo. «Un carico di cosa?

Sigarette?»«Possibile. Quelle di contrabbando partono tutte da Tangeri. Porto

franco. E ci sono coinvolti i francesi. Marsigliesi, corsi. Mai sentitoparlare di Pascal Molinelli?»

«Il corso?»«Sì. Qualche giorno fa Spataro mi ha chiamato e mi ha chiesto se

avevamo informazioni su di lui. Sembra che la mafia sia coinvolta nelcontrabbando.»

«E che c’entrano gli algerini? Tangeri è in Marocco.»«Magari sono solo corrieri che hanno cercato di fregarsi un grosso

carico.» Anglesio aggrottò la fronte. «Ma allora Arnaud avrebbesemplicemente chiesto la nostra collaborazione.»

«E sparerebbe a dei carabinieri? Col silenziatore?»«C’è qualcosa che ci sfugge.» Anglesio scosse il capo. «Qualcosa di

grosso.»«Ci siamo, signor colonnello.»

Un centinaio di metri più avanti, la luna illuminava unpromontorio coperto da un folto di pini marittimi che digradava finoalla scogliera. Tra le fronde, i tetti grigi di una villa. Sul lato dellastrada era parcheggiato un furgone con il telo sollevato.

Al largo, un peschereccio alla fonda, privo di luci.Vercesi tagliò la corsia opposta, infilandosi in uno stretto viottolo

in discesa. Spense il motore, lasciando che la Campagnola continuassefino a fermarsi dolcemente dietro una roccia. Tirò il freno a mano.

«Qui dietro nessuno vedrà la macchina» bisbigliò. «Neanche ifrancesi, se arrivano.»

Scesero, attraversarono silenziosamente l’Aurelia e raggiunsero ilfurgone, fermo davanti all’ingresso della strada privata checonduceva alla villa.

«È il camion dei Djaout.» Vercesi annusò a fondo il cassone vuoto.«C’è odore di cipolle.» Accennò alle sue spalle. «Il sentiero parte làsotto.»

Al riparo dei pini, il sentiero correva con un pendio lieve esdrucciolevole fino al terrazzo della villa, affacciato sul mare.

«Eccoli» mormorò Anglesio.Una lancia a motore era stata tirata in secca sullo scivolo di

cemento e gli algerini stavano caricando casse lunghe e pesanti. Eranoin tre: il più basso e tarchiato, le guance coperte da una fitta barba,sollevava le casse con l’aiuto di quello che pareva poco più di unragazzo. Il terzo era sulla trentina e si muoveva con la sicurezza di uncapo, impartendo brevi ordini a bassa voce.

«Kaddour dev’essere quello più giovane» disse Vercesi.«Scendiamo.» Anglesio aveva estratto la Beretta.«Possiamo evitare la scala. A destra c’è ancora un tratto di sentiero.

Li prenderemo alle spalle.»Si lasciarono scivolare sulla terra coperta di aghi di pino, fino a

giungere a metà dello scivolo. In quel punto l’ombra della villatracciava un ampio rettangolo nella luce lunare. Si accovacciarono al

riparo di un gozzo rovesciato e coperto da una rete smagliata.Gli algerini stavano caricando le ultime due casse.«Sono armati.» Vercesi indicò due fucili appoggiati alla lancia.

«Che si fa?»«Ormai siamo qui.»«Vado io.»«No. Tu hai la mitraglietta. Sta’ al riparo e coprimi.»Prima che il maresciallo potesse protestare, Anglesio si risollevò.

Impugnò la pistola e rimase immobile un istante, osservando le spalledei tre uomini illuminate dalla luna. L’aria sapeva di pini e di mare.

«Buonasera» disse.Gli uomini si voltarono bruscamente, e il barbuto fece un passo

verso i fucili.«Fermo.» La voce di Anglesio era pacata. «Non sono da solo.» Con

il pollice, fece scattare la sicura della Beretta, mentre Vercesi simostrava da dietro il gozzo, la mitraglietta imbracciata.

L’algerino s’immobilizzò, il volto olivastro contratto in una smorfiadi rabbia. Il ragazzo – Kaddour, doveva proprio essere Kaddour –lanciò uno sguardo disperato verso il terzo, che era rimasto fermo, lemani sui fianchi, un mezzo sorriso sulle labbra

«Les français» disse il ragazzo. «Nous sommes morts.»L’uomo più anziano fece un passo in avanti.«Ils ne sont pas français.» Avanzò ancora, fermandosi a qualche

metro da Anglesio. Un volto allungato, calmo. Occhi infossati,sottolineati dalle ciglia nerissime. Malinconici. «Polizia o carabinieri?»domandò in un italiano incerto.

«Carabinieri. Colonnello Anglesio. Siete in arresto.»«Doveva succedere.» L’uomo annuì, con un breve sorriso. Si voltò

verso i suoi uomini. «Kaddour, Moustapha, restez calmes. Il n’y a rien àfaire.»

«I fucili» ordinò Anglesio. «Me li lanci.»«D’accord.» Con gesti misurati l’uomo afferrò le armi per la canna e

le gettò ai piedi del colonnello.«Avete altre armi?»

«Eh? Vous plaisantez?» L’uomo guardò Anglesio con quella chepareva una sincera curiosità. «Mi sta… prendendo in giro?»

«Credo che lei abbia ragione.» Anglesio abbassò la pistola. Sentìalle sue spalle il respiro di Vercesi farsi più pesante. «Vuole aprire unacassa?» Sorrise. «Per favore.»

«Certainement.» L’algerino si avvicinò a una delle casse ancora dacaricare. Tese la mano senza una parola e Kaddour gli porse un piededi porco. Con un grugnito, l’uomo fece saltare il coperchio.

«Allontanatevi.» Anglesio accennò con la Beretta. «Sedete là, lemani sul capo.» Si avvicinò alla cassa. «Vieni, Vercesi.»

Sollevò il coperchio, lasciandolo ricadere a terra. La luna illuminòle canne brunite e oliate.

«Ecco da dove venivano le macchie d’olio nel deposito» sussurròVercesi. «Mitra tedeschi. Maschinenpistole 40.»

«E Thompson americani.» Con il piede di porco Anglesio aprìun’altra cassa. «E queste sono italiane. Breda.» Si risollevò, fissandol’uomo più anziano. «Comment tu t’appelles?»

«Ben Bella.» L’uomo sorrise. «Ahmed Ben Bella.»«Io lo conosco.» Per un momento la canna della mitraglietta di

Vercesi si abbassò. «Era un calciatore.»«Olimpique de Marseille» sorrise ancora Ben Bella. «Ha una buona

memoria.»«Che cosa significano queste?» Anglesio accennò alle casse.Lentamente Ben Bella si rialzò.«Non mi piace… parlare da seduto. Ha sentito parlare dell’attacco

alla posta di Orano?»«Un paio di anni fa.» Anglesio aggrottò le sopracciglia.

«Un’organizzazione antigovernativa algerina.»«L’OS. Organisation Spéciale. Un’organizzazione rivoluzionaria.» Il

volto di Ben Bella s’era irrigidito. «Abbiamo bisogno di denaro. E diarmi. Per la libertà contro gli oppressori francesi.»

«Algeria libera.»«Bien sûr.»

«Ma lei fu arrestato per quella rapina. Era in prigione.»«Ero. Ha detto bene.»«Evaso?»Ben Bella non rispose.«E queste» Anglesio tornò a indicare le casse «sono per i vostri

uomini.»«Meglio delle sigarette» si lasciò sfuggire Vercesi.Ben Bella socchiuse gli occhi. «Est-ce que vous avez eu le plaisir de

connaître le colonel Arnaud?»«Stamani. E non posso dire che mi sia piaciuto.»«C’est un homme méchant. Malvagio. Très méchant .» Il volto di Ben

Bella s’era fatto grigiastro. Le labbra livide, gli occhi fissi. «E prima…Otto maggio 1945. Le dice nulla?»

«Avevamo altro a cui pensare in quel periodo.»«A Satif ci fu una sfilata per festeggiare la vittoria. La fine della

guerra. Poi un soldato francese sparò su un ragazzo che portava labandiera algerina. Notre drapeau. Ci fu… un carnage.»

«Un massacro» mormorò Anglesio.«Ventimila moudjahidines tués, morti, trentamila forse. Non si sa

ancora.» La voce di Ben Bella era gelida. «E Arnaud era là. Agli ordinidel generale.» L’algerino sputò un grumo di saliva sul cemento. «Legénéral de Gaulle.»

Anglesio aveva abbassato la pistola. Si voltò verso Vercesi, cheannuì. Senza dire nulla, il maresciallo mise la sicura alla mitraglietta ese la fece scivolare sulla spalla.

«Che cosa significa?» domandò Ben Bella. Con un gesto fermò isuoi uomini che si erano bruscamente rialzati.

Anglesio scrollò le spalle. «Abbiamo avuto l’ordine di nonoccuparci di questo caso.» Tornò a scambiare uno sguardo conVercesi. «Per quanto ci riguarda, noi non eravamo qui, stanotte. Anzi»annusò l’aria profumata, «credo proprio sia ora di andarcene.»

L’algerino li guardò senza capire, poi chinò il capo. «Merci. Vousêtes des hommes justes.» Fece una pausa. «E strani. Molto strani.»

«Può darsi. A volte le cose sono complicate.»Ben Bella si girò verso i due uomini che attendevano immobili,

accanto alla lancia. «Finissez de charger. Vite! » Tornò a rivolgersi adAnglesio. «Grazie ancora. L’Algeria libera vi ringrazia.» Sogguardòcurioso il colonnello. «Come avete fatto a trovarci?»

«Non ci crederà.» Un sorriso. «Merito delle cipolle di Kaddour.»«Cipolle?»«Oignons. Cipolle, di Tropea. Qui non se ne trovano. Ma sarebbe

lungo a spiegarsi. Tra l’altro…» Anglesio allungò il collo verso lalancia. «Non è che ne avete qualcuna, qui con voi?»

«No.» Ben Bella lo fissò con occhi perplessi. «Mi dispiace.»Poi, brutale, un rumore che Anglesio aveva già sentito. Un violento

colpo di tosse, due, tre. Moustapha cadde a faccia in giù, una chiazzadi sangue che si allargava sotto il suo corpo.

«A terra, presto!» Anglesio si gettò indietro, riparandosi dietro ilgozzo. Al suo fianco, Vercesi armeggiava con la mitraglietta. Alle lorospalle, Ben Bella e Kaddour si erano riparati all’interno della lancia.

Altri colpi. Le pallottole scheggiarono il legno della lancia con uncupo rimbombo.

«Sono sul terrazzo, signor colonnello.»«E noi siamo nella merda.»Due rapide raffiche, rivolte verso il terrazzo. Ben Bella era emerso

per un istante dal bordo della lancia, un Thompson in pugno. Sparòun’altra raffica e tornò a scomparire.

I colpi dal terrazzo erano cessati. Poi, un lieve sibilo nell’aria e ilrumore di un oggetto che rotolava in basso.

«Giù!» gridò Vercesi.La granata esplose nella notte, in un lampo di ghiaia e frammenti

di cemento. I rami più bassi dei pini iniziarono ad ardere, crepitando.Anglesio risollevò il capo che s’era protetto con le braccia. Nelle

orecchie, un fischio e un rimbombo. Nella mente, confusione, paura.La sensazione di essere tornato indietro di anni, sulle montagne traPiemonte e Liguria, tra gli spari dei nazisti e le grida dei partigiani.

«Presto, signor colonnello!» La voce di Vercesi, lontana, metallica.Poi la sua mano che trascinava Anglesio. Buio, clangore nelleorecchie. Infine, il letto morbido del terriccio del sentiero. «Qui non cipossono vedere.»

Anglesio si risollevò, la testa in un vortice che solo lentamente sicalmava.

«È ferito, signor colonnello?»«No.» Anglesio scosse piano il capo. Meglio. Andava meglio. «E

tu?»«Nemmeno io.»«Faites-vous voir!» L’ordine proveniva dal terrazzo.«È il nostro amico francese» disse Vercesi.Un’altra serie di spari piovve sulla lancia.«Sortez! Haut les mains!»«Che facciamo?» domandò Vercesi.«Se risaliamo il sentiero, possiamo scappare.»«E loro?» Vercesi indicò la lancia.Anglesio non rispose subito. «Adesso sono in stallo. Arnaud non

può scendere allo scoperto, ma li tiene sotto tiro. E non ha moltotempo.»

«Qualcuno avrà chiamato la polizia.»«Hanno pochi minuti prima che arrivino da Genova. Forse

mezz’ora. Quindi…»«Quindi tra un po’ tireranno un’altra granata. E mireranno giusto,

questa volta.»«Sì. Dobbiamo decidere che fare.» Anglesio controllò la Beretta.

«Non mi piace quello che hanno fatto a Omar e Abdellah.» Si voltòverso Vercesi, gli occhi vuoti, lontani. «Ho visto troppe cose simili. Enon voglio più vederne.» Serrò le labbra. «Tu va’. Prendi il sentiero eva’. Torna al comando.»

«Lei dice che non dobbiamo più pensare ai morti.» Vercesi scosse ilcapo. «Ma io a Buranello ci penso sempre. E a noi, lì fuori. Senza poterfare nulla.»

«Ci penso anch’io. Sempre.»«Si ricorda quel giorno, a Cantalupo, con i partigiani?»«Due maggio del ’45. Sì. Ricordo.»Vercesi sorrise. «Gli demmo una bella batosta, ai nazisti, quel

giorno.»«Prendemmo la retroguardia alle spalle. Tu e io.»«Alle spalle.» Vercesi sollevò lo sguardo. «E da questo sentiero si

arriva al terrazzo. Alle spalle dei francesi.»«Già.» Nell’oscurità, il clic del colpo in canna nella Beretta. «E se

andasse male?»«La Olga dovrà trovarsi un altro marito.» Vercesi fece una smorfia.

«Magari uno che mangia meno.»«E la signorina Anna qualcun altro che le faccia la caponata.»

Anglesio annuì. «Sei sicuro?»«Sicuro.»«Andiamo, allora.» Anglesio si voltò bruscamente, parlando

all’oscurità. «Sono contento che tu sia qui con me, stanotte.»Risalirono in silenzio il sentiero, nell’oscurità rotta dagli spari.

Quando raggiunsero il terrazzo, si nascosero tra i tronchi dei pini.Arnaud e il suo uomo erano di spalle, accovacciati dietro la balaustra.Accanto ad Arnaud, una bisaccia aperta. Granate, illuminate dallaluna.

«C’è una decina di metri» sussurrò Anglesio.«Dovremo correre. Faccio io l’esca.»«No. Questa volta tocca a me. Io porto via Arnaud. Tu pensa

all’altro.» Anglesio si frugò in tasca, estraendone il passamontagna.Lo calzò, sentendo l’odore della lana e della naftalina. «Il solitofischio?»

«Il solito fischio.»«Buona fortuna.» Anglesio posò la mano sulla spalla di Vercesi,

stringendola.«Merda, signor colonnello.»Anglesio scivolò tra gli alberi. Più in basso, il fuoco ardeva fra i

tronchi, con un odore di legna bruciata e di resina. Pochi metri, fino albordo del terrazzo. Si riparò dietro un pino, sporgendo il capo. Ifrancesi continuavano a sparare. Avevano posato le pistole e usavanofucili mitragliatori silenziati. Lo schianto di un tronco che esplodevacoprì per un istante il rumore soffocato degli spari.

Ecco, era il momento.Non aveva tempo per pensare o per avere paura. Lui era la sua

stessa paura. Si gettò fuori dal folto, la pistola spianata.«Arnaud! Tiens, bâtard! Fils de pute!» Sparò due colpi, attento a

mirare sopra le teste dei due francesi, poi si voltò e iniziò a correrenella pineta. Alle sue spalle, il tonfo di passi pesanti, ancora lontani.Continuò a correre, sparando un altro colpo in aria, poi si nascosedietro un albero, il respiro mozzo, il cuore che pareva voler volare viadal petto. Passi, più vicini. Un colpo di tosse. Una pallottola, a menodi un metro.

Si spostò al riparo di un cespuglio, in tempo per vedere la sagomadi Arnaud ormai vicina. Infilò la Beretta nella cintura e si lanciò.Rotolarono entrambi nel buio, in una confusione di grida.

Poi, il francese fu su di lui, affondando un colpo con un grugnito. Ilsasso che teneva in mano sfiorò la spalla di Anglesio che per unistante sentì la mano intorpidirsi. Un altro colpo, diretto alla testa.Con uno sforzo che gli parve impossibile, Anglesio riuscì adivincolarsi, circondando con il braccio il collo di Arnaud. Rimaseaggrappato, mentre con l’altra mano si frugava nella cintura.

Quando ebbe la Beretta in pugno, il suo dito scivolò sul grilletto.Poi, con un gesto deliberato, lo riportò sul ponticello e abbatté la

canna della pistola sulla tempia di Arnaud.

Gli spari erano cessati. Sul terrazzo, la luna illuminava una massaoscura.

Due corpi. Nessun movimento.Anglesio si fermò, la mente vuota, un senso di nausea che gli

stringeva la gola.«Vercesi» mormorò.

La massa ebbe un sussulto e la mano di Vercesi oscillò in un saluto.Anglesio si avvicinò. Il maresciallo, il ventre oscillante sotto lacamicia nera, era seduto a cavalcioni del francese privo di conoscenza.

«Sono stanco» ansimò Vercesi. «E qui è comodo.» Sbirciò il corposotto di lui. «Un osso duro.»

«È vivo?»«Sì. Lavoro pulito, questa volta.»«Anche il mio è vivo. Ma dormirà per un bel po’.»«Pure lui. Ma si riprenderà. È giovane.»«E noi siamo vecchi.» Anglesio si lasciò scivolare a terra, sfilandosi

il passamontagna.Si guardarono in silenzio, sorridendosi.«Bisogna andare, signor colonnello.»Annuendo, Anglesio si alzò pesantemente e si diresse verso la

balaustra. Ben Bella e Kaddour stavano risalendo lungo lo scivolo, iThompson imbracciati. Anglesio fece un gesto largo con il braccio perattirare la loro attenzione.

«Via, via, andate via. Vite.»Ben Bella rimase immobile. Nel chiarore lunare sorrise. Fece un

cenno di saluto. Poi, in silenzio, i due algerini spinsero la lancia inmare.

Anglesio si voltò verso Vercesi.«Torniamo a casa» disse.

18

Le melanzane soffriggevano dolcemente. Era un profumo insolito inquella casa. Odore del Sud, pensò Anglesio. Scolò il sedano che avevafatto appena sbollentare e lo tagliò in fette spesse circa un centimetro.Si scottò, estraendo i pomodori dalla pentola. Un minuto dovevanobollire. Non di più. Si scottò ancora pelandoli e li ridusse in cubetti.

Alla radio, l’orchestra di Count Basie saliva e scendeva in Jumpin’at the Woodside. Ora veniva la parte triste. Guardò melanconico lecipolle bianche e si strinse nelle spalle. Tanto valeva.

Quasi non sentì il lieve bussare alla porta.«Arrivo» gridò asciugandosi le mani.Passò in salotto per abbassare il volume. Andò ad aprire.Non c’era nessuno sulla soglia. Solo, ai suoi piedi, una cassa piena

di cipolle. Simili a piccole bisacce, setose, profumate.Rosse come il vino.

Ti è piaciuto Per una cipolla di Tropea?

Dal 27 novembre 2012

GIALLO PANETTONE

di Capobianchi, Colitto, Corciolani, Defilippi, Fois, Guccini,Macchiavelli, Nerozzi, Simoni, Toni

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non puòessere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziatoo trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo adeccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, aitermini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quantoesplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasidistribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così comel’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritticostituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e saràsanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dallaLegge 633/1941 e successive modifiche.

Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio,commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffusosenza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso,tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cuil’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presentedovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

www.librimondadori.it

Per una cipolla di Tropeadi Alessandro DefilippiTratto da Giallo panettone© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., MilanoEbook ISBN 9788852032165

COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | GRAPHICDESIGNER: NADIA MORELLI

Indice

Il libroL’autoreFrontespizioPer una cipolla di Tropea12345678910111213Giallo panettoneCopyright