Alberigo - 1970 - "Una cum patribus". La formula conclusiva delle decisioni del Vaticano II

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Giuseppe Alberigo, “‘Una cum patribus’. La formula conclusiva delle decisioni del Vaticano II,” in Ecclesia a Spiritu Sanctu edocta. Mélanges théologiques Hommage à Mgr Gérard Philips, 1970, 291–319.

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  • Una cum patribus

    La formula conclusiva delle decisioni del Vaticano I I.

    Il Regolamento del concilio Vaticano II, pubblicato- come noto-col Motu proprio Appropinquante Concilio di Giovanni XXIII del 6 agosto Ig6z, dedicava il I capo della III parte alle norme De ratione procedendi in sessionibus publicis >> raccolte negli articoli 44-SI 1. I primi articoli contengono disposizioni preliminari, mentre gli artt. 48 e 49 fissano la procedura relativa all'atto proprio che costituisce l'oggetto e il centro della sessione pubblica conciliare, cio l'approvazione e la promulgazione delle decisioni conciliari. E' infatti previsto che il Segreta-rio generale del Concilio, data lettura dei testi di tali decisioni, chieda ai padri di manifestare il proprio consenso o dissenso mediante apposite schede. Eseguito il conteggio dei voti il medesimo Segretario presenta i risultati al Papa. A questo punto il secondo paragrafo dell'art. 50 prevede che il Papa, se decide di confermare le decisioni del Concilio, pronunci la seguente formula : Decreta et canones modo lecta placuerunt Patribus, netnine dissentiente (vel si quis forte dissenserit, tot numero exceptis) Nosque, sacro approbante Concilio, illa ita decemimus, stat~timus atque sancim~ts, ut lecta sunt 2

    Paolo VI nell'udienza del I3 settembre I963, alla vigilia cio del secondo periodo del Concilio, approv tutta una serie di modifiche al Regolamento conciliare cosi che si ebbe un' editio altera recognita del-l' Ordo concilii oecumenici Vaticani II celebrandi 3, contenente alcune sensibili modificazioni suggerite dall'esperienza del primo periodo, conciliare. Esse culminavano nella creazione di un collegio di moderatori ai quali era affidata la direzione dei dibattiti conciliari. Comunque

    I. Uso l'Orda Concilii Oecumenici Vaticani II celebrandi, Typis Polyglottis Vaticanis MCMLXII in cui tali articoli sono editi alle p. 39-41. Il medesimo testo fu poi pubblicato negli AAS 54 (1962) 609-631.

    2. La formula introdotta dall' espressione Stttmmts Pontifex si Decreta et Canones confirmare dignatftr, sollemnem formulam prommtiat :Decreta ... , Ordo Concili i ... , 41.

    3 Uso anche in questo caso il fascicoletto a stampa edito dalla Poliglotta Vaticana nel 1963; le modifiche erano state disposte da Paolo VI in un'udienza al cardinale Segretario di Stato del 13 settembre 1963. Non risulta che esse siano state pubblicate negli Acta Apostolicae Sedis.

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    per lo schema generale del Regolamento restava immutato, cosi che la terza parte era sempre dedicata alla Ratio procedendi e in essa il primo capo conteneva disposizioni De ratione procedendi in sessionibus publicis (sempre artt. 44-51). Immutata restava, infine, anche la formula con la quale il Papa avrebbe dovuto confermare le decisioni conciliari.

    Tale formula peraltro non era stata ancora collaudata, dato che il primo periodo si era concluso senza l'approvazione definitiva di alcun documento.

    Sin qui fin troppo facile indicare la fonte della formula stessa, che era stata ripresa letteralmente dall'VIII paragrafo, dedicato appunto alle sessioni pubbliche, del Regolamento del Concilio Vaticano I, pubbli-cato il 27 novembre r86g da Pio IX col motu proprio Multiplices inter 4 Tale formula fu effettivamente impiegata dal papa nella sessione pubblica dell'8 dicembre r86g e non fu modificata neppure in occasione delle con-trastate restrizioni regolamentari pubblicate da Pio IX il 20 febbraio r87o. E' peraltro interessante ricordare che nelle due successive sessioni pubbliche dell'aprile e del luglio, nelle quali furono pubblicate le costitu-zioni dogmatiche Dei Filitts e Pastor aetermts la formula effettivamente usata da Pio IX fu sensibilmente modificata. Infatti nella seconda parte, quella propriamente riguardante il papa, invece di decemi11ms, stattti1mts atq,ue sancimus ,Pio IX disse deftni1mts et apostolica attctoritate conftrma-mtts 6 Il fatto stesso che a poche settimane di distanza si fosse sentito il bisogno di modificare la formulazione regolamentare induce a chiedersi quali possano esserne state le ragioni, per poi valutare meglio il significa-to della modifica.

    A questo proposito non inutile ricordare che il regolamento del Vatica-no I prescriveva che le decisioni conciliari dovessero essere lette in ses-sione solenne ea adhibita solemni tituli praejatione qtta Praedecessores nostri in eiusmodi conciliari actioni uti consttever,unt, nempe : Pius Episcopus servus servormn Dei, sacro approbante concilio, ad perpetuam rei memoriam 6 Tale intestazione figura infatti in tutte le decisioni del Vaticano I, ma nelle due costituzioni dogmatiche essa ripresa e rafforzata alla fine del proemio, prima che il testo passi alla parte pi direttamente impegnativa. Cos la Dei Filius sulla fede, approvata il 24 aprile r87o, avanti il capo I recita : Nunc atttem sedentibus 1wbis-

    4 Uso l'edizione del VII volume della Collectio Lacensis, Friburgi, 1892, p. 17-24.

    5 Ibid. 7, p. 24a. Per la formula della sessione dell' 8 dicembre I86g ibid. 7, p. 33; per quelle del 24 aprile e 18 luglio 1870 ibid. 7, p. 257 e 488.

    6. Ibid. 7, p. 23d ; cfr Conciliomm Oecmnenicormn Decreta ( = COD), ed. Centro di Documentazione-Istituto per le scienze religiose, Friburgi, 1962, p. 780, I-2 e p. 787, 28-29.

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    cmn et iudicantibtts tmiversi orbis episcopis, in hanc oecmue-nicam synodum atectoritate nostra in Spiritu Sancto congregatis ... , ex hac Petri cathedra i1t conspecttt omnimn sal1ttarem Cltristi doctrinam profiteri et declarare constitttimtts.. . 7

    Rispetto all'intestazione prevista dal regolamento non si tratta solo di una ripresa letteraria degli stessi motivi. Infatti opportuno sotto-lineare che il soggetto sempre il papa in prima persona, il quale si associa i vescovi della chiesa universale, vescovi anzi, si aggiunge, riuniti attctoritate nostra. Non agevole ritenere con sicurezza se con tale inciso si volesse solo richiamare il fatto che il Vaticano I era stato convocato dall'autorit del papa, fatto che nessuno metteva in discussione, o se si intendesse piuttosto pregiudicare una questione aperta e dibattutissima, quella dell'origine dell'autorit del Concilio. Tale impressione potrebbe essere rafforzata dall' ex hac Petri cathedra , che quanto meno sposta ulteriormente l'asse di tutto il periodo sul papa rispetto al concilio. Anche questi elementi sembrerebbero tali da far propendere verso un'interpretazione pregnante della modifica della formula di approvazione del papa, dove definire e confirmare sono sostituiti a decemere, statuere e sancire. Si tratta cio di modifiche intese sia a rafforzare il valore preminente dell'atto del papa, il quale definisce - anche se non va dimenticato che si trattava di una costituzione dogmatica, cio di materia rispetto alla quale definire era particolar-mente indicato- sia a distinguere da esso la

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    costituzione Pastor aeternus >> sul primato del Romano Pontefice e la convocazione di un nuovo concilio ecumenico da parte di Giovanni XXIII.

    Comunque questi problemi non tardarono a porsi nell'intersessione del 1963. Infatti la conferma da parte di Paolo VI che il Vaticano II avrebbe regolarmente ripreso e proseguito i suoi lavori nell'autunno dello stesso 1963 port in primo piano il problema dell'approvazione delle decisioni conciliari da parte del papa e quello della loro promulga-zione. Queste questioni d'altra parte ricevevano nuova luce dalle discus-sioni in corso, nell'aula conciliare e nella Commissione dottrinale, sullo schema di costituzione sulla Chiesa, dibattito iniziato vigorosamente negli ultimi giorni del primo periodo conciliare con interventi di grande impegno, tra cui quello del cardinale di Milano, divenuto pochi mesi pi tardi Paolo VI. D'altro canto anche il clima dei rapporti tra concilio e papa si era manifestato sin dalle primissime battute sostanzialmente di-verso rispetto a quello del 1869-1870 e caratterizzato da un rispetto ed una sintonia profondi tra il successore di Pietro e l'episcopato universale. Entrambi questi elementi contribuirono in modo determinante alla decisione del papa di promuovere lo studio di una formula di approva-zione da parte del papa delle decisioni conciliari che tenesse conto sia del mutato clima generale, sia del progresso della teologia sulla chiesa che il concilio si avviava a sancire, sia infine dell'opportunit che tale formula fosse adeguatamente studiata e ponderatamente articolata in obbedienza alla singolare pregnanza dell'atto che essa doveva espri-mere.

    In vista di tutto questo, un ristretto gruppo di teologi, storici e ca-nonisti studi l'argomento e si trov d'accordo nel proporre l'abbandono della formulazione contenuta nell'Ordo Concilii a favore di una formula pi articolata. Essa era risultata la seguente: In 1~omine sanctissimae et individttae Trinitatis. Decretum (vel Decreta) quod (vel quae) in hac sacrosancta et universali synodo Vaticana II in Spiritft Sancto legitime congregata modo lectum placuit ( vel lecta placuemnt) Patri bus nemine dissentiente (vel tot dissentientibus) Nos Paulus VI apostolica auctoritate Capitis lmts sacri Concilii [et Vicarii Christi] consenti1mts et quae ita synodaliter statuta s1mt promftlgari iubemus 9 La decisione definitiva spettava naturalmente al papa e fu conosciuta solo nell'atto stesso in cui Paolo VI il 4 dicembre 1963 pronunzi la formula di approvazione

    g. Per quanto mi risulta alle riunioni intervennero C. Colombo (Milano), H. Jedin (Bonn), G. Dossetti (Bologna), R. Morsdorf (Monaco) e K. Rahner (lnnsbruck). Il testo della formula proposta conservato nella documentazione relativa al Con-cilio Vaticano II custodita presso l'Istituto per le Scienze religiose di Bologna.

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    due volte, prima per la costituzione sulla liturgia e poi per il decreto sui mezzi di comunicazione sociale 10

    Con viva soddisfazione si apprese allora che il papa, accogliendo sostan-zialmente la proposta che gli era stata fatta e sanzionando autorevol-mente il clima di comunione esistente tra papa ed episcopato, aveva considerato superata la formula prevista dall'Orda Concilii e l'aveva profondamente rinnovata. Infatti, dopo l'annunzio del risultato favore-vole del voto sulla costituzione de s. liturgia, Paolo VI aveva detto : l1t nomine sanctissnae et indz'viduae Trinitatis Patris et Filii et Spiritns Sancti. Decreta, quae in hac sacrosancta et universali synodo V aticana sewnda legitime congregata modo lecta stmt placttemnt Patribzts. Et Nos, apostolica a Christo Nobis tradita potestate, illa, una cum venerabili-bus Patribtts, in Spiritu Sancto approbamus, decemimus et statuimus, et qt.tae ita synodaliter statuta sunt ad Dei gloriam promulgari iubemus 11.

    Malgrado l'art. 50 del regolamento del Vaticano II non sia mai stato formalmente modificato, di fatto Paolo VI rest sempre fedele alla formula del 4 dicembre rg63 anche in occasione dell'approvazione solenne dei numerosi documenti successivi sino agli ultimi, votati nella sessione solenne del 7 dicembre rg65.

    Sembra pertanto legittimo esaminare anzitutto le ragioni d'ordine storico che possono aver presieduto alla modifica della formula per cercare poi di identificare il nucleo ecclesiologico di tale modifica e pertanto il suo significato globale.

    Si gi ricordato sopra che con la conclusione del primo periodo conciliare si pose, con notevole ampiezza, il problema della modifica

    10. E' interessante che il fascicolo a stampa iV/ etlzodus servanda per la sessione del 4 dicembre 1963, preparato a cura della Segreteria del Concilio, lasciasse in bianco il testo della formula, che fu pertanto nota solo al momento in cui fu pronunciata.

    11. L'Osservatore Romano del 5 dic., 1963 n. 281; la stessa identica dizione fu pubblicata nel medesimo giorno ne L'Avvenire d'Italia e come tale ristampata in R. LA VALLE, Coraggio del Concilio, Brescia, 1964, p. 471. E' pertanto molto singo-lare che invece le successive edizioni ufficiali, e cio prima quella degli AAS (56, 1964,p. 134pubblicatonel maggio 1965) e poi quella dell' Editio typica di tutte le decisioni conciliari (Sacrosanctum oecttmenicmn concili1111t Vaticanttm II. Consti-tutiones Decreta Declarationes. Cura et studio Secretariae generalis concilii oecmneniC'i V aticani I I, 1966, p. 62), attribuiscano al contrario al Papa una formula sensibilmen-te diversa e, almeno nella prima parte, usata effettivamente solo un anno pi tardi, a partire cio dalla solenne approvazione il 21 novembre 1964 della Costituzione dogmatica Lwnm Gentittm, cfr AAS 57, 1965, p. 67. Anche V. FAGIOLO (La fommla di approvazione e promulgazione dei decreti conciliari, Diritto ecclesiastico 75, 1964, p. 370-386) rileva la discrepanza tra il testo della formula effettivamente pronun-ciata da Paolo VI il 4 dicembre 1963 e quello pubblicato dagli Acta Apostolicae Sedis e dall' Editio typica. Va aggiunto che anche un controllo effettuato sulla regi-strazione magnetica della medesima sessione solenne conferma che le pubblicazioni ufficiali hanno arbitrariamente mutilato e alterato una formula papale solenne la cui redazione il papa aveva espressamente riservato a s.

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    del regolamento del concilio. Tale esigenza fu ripresa dall'antico arci-vescovo di Milano dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro e si concret nelle modifiche del 13 settembre 1963, esattamente due settimane avanti la ripresa dei lavori conciliari. Queste modifiche, pur non riguar-dando direttamente la formula di approvazione delle decisioni conciliari da parte del papa, avevano il significato fondamentale di una ratifica autorevole e coraggiosa del nuovo modo di porsi dei rapporti tra papa e concilio. A Basilea, come a Trento e al Vaticano I il papa aveva provve-duto a farsi rappresentare in concilio da Legati, incaricati sostanzial-mente di tutelare i diritti e le prerogative della Sede Romana di fronte alle istanze dell'episcopato universale, spesso direttamente o indi-rettamente in polemica verso il papa.

    L'Ordo Concilii del Vaticano II nella misura in cui si era prevalente-mente ispirato alle norme regolamentari del Vaticano I era rimasto sostanzialmente fermo al clima di tensione istituzionale caratteristico del r86g-r87o. Ma invece il Vaticano II si apriva in una situazione sostanzialmente diversa, sia dal punto di vista psicologico che da quello propriamente istituzionale e costituzionale. Il Vaticano I e in particolare la Pastor aetermts avevano dato i loro frutti e il grande rinnovamento ecclesiologico si era orientato in direzione diametralmente opposta ai contrasti istituzionali, mettendo invece finalmente in luce i motivi di convergenza e il sostanziale regime di comunione. Il primo periodo di vita del Vaticano II, nell'autunno 1962, aveva confermato tutto questo. L'assemblea conciliare aveva manifestato una vitalit intensa e ricca, orientata ad una ricerca della conformit della Chiesa alla sua vocazione, ma, pi che aliena, estranea a qualsiasi forma di contrap-posizione o di minor solidariet col successore di Pietro, capo inconte-stato del concilio 12

    Traendo le conseguenze di questa nuova situazione le modifiche regolamentari dell'estate rg63 erano imperniate sulla creazione del gruppo dei quattro Delegati Moderatori, deputati dal papa a dirigere il concilio formando una specie di giunto elastico tra l'assemblea e il papa stesso. Non era privo di significato che fosse stata preferita questa

    12. E' interessante come la decisione di Giovanni XXIII di convocare un concilio ecumenico abbia goduto di un larghissimo consenso nell' episcopato universale, nel setiSIIS fidei del popolo cristiano e, infine, tra i cristiani di altre chiese e confessioni. Eppure non vi atto di eguale gravit e di altrettanto rilievo per la chiesa uni-versale che sia stato consumato da un papa con un grado cos esclusivo di decisione personale quanto questo. Tutti i particolari che si conoscono dei mesi intercorsi tra l'elezione di Roncalli e l'annuncio ufficiale del 25 gennaio 1959 confermano che la decisione matur nel papa in modo completamente indipendente da qualsiasi partecipazione altrui. Si tratt cio di un atto nel quale si realizzarono contestual-mente sia l'iniziativa libera del pontefice, fondata sul carisma proprio del suo ufficio primaziale, che la adesione corale dell' episcopato e del popolo cristiano.

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    figura a quella pi consueta dei legati papali. Quest'ultima infatti era stata caratteristica di un regime di rapporti ora superato e la sua utilizza-zione avrebbe potuto risuscitare ombre ormai dissipate. Se il problema non era pi quello di salvaguardare i diritti del papa dalle insidie del-l'episcopato, ma piuttosto quello di realizzare un concorso organico del-l'uno e dell'altro alla grande opera di rinnovamento della Chiesa, la creazione di un gruppo di prelati di grande prestigio anche presso l'episco-pato, gruppo al quale veniva affidata la funzione di mediare dinamicamen-te tale concorso, acquistava un valore sintomatico. E anche la concreta composizione del gruppo dei Moderatori, scelti quasi tutti tra i capi spontanei e riconosciuti del Concilio, corrispose a tale orientamento, segnando una svolta rispetto alla scelta dei Legati papali, i quali - sia a Trento che al Vaticano I - erano stati designati avendo di mira l'efficace rappresentanza e tutela degli orientamenti ed interessi del papato.

    Con le modifiche regolamentari dell'intersessione del 1963 la svolta sto-rica avvenuta nei rapporti tra papa e concilio aveva dunque trovato una prima sanzione tecnica. Nel frattempo, come si gi accennato, l'attenzione del Concilio si concentrava sulla problematica ecclesiologica nei tre momenti della discussione generale alla fine del primo periodo, dell'intenso lavoro della Commissione dottrinale tra il gennaio e il settembre 1963 e, infine, del nuovo dibattito in aula lungo l'ottobre e parte del novembre dello stesso anno. Durante ciascuna di queste tre fasi si ebbe un fatto decisivo nell'iter formativo della Costituzione dog-matica sulla Chiesa destinata ad essere approvata il 21 novembre 1964. Infatti il breve dibattito del 1962 bast ad indicare in modo inequivoca-bile quali fossero gli orientamenti del Concilio in ordine alla problematica ecclesiale e quanto essi fossero impropriamente espressi o addirittura traditi nello schema di costituzione predisposto dalla Commissione pre-paratoria. Nel successivo lavoro di Commissione furono tratte le necessa-rie conseguenze dell'orientamento tanto nettamente manifestato in aula e fu deciso l'abbandono del testo preparatorio e l'adozione, come base di lavoro, del testo predisposto dal teologo lovaniense G. Philips (26 febbraio 1963). Il 30 settembre i padri iniziarono il dibattito sul nuovo schema e il 30 ottobre successivo si ebbe il terzo momento forte con l'approvazione da parte di una larga maggioranza di cinque quesiti proposti dai Moderatori in accordo col papa e relativi agli argomenti pi controversi, sui quali era opportuno che l'assemblea manifestasse chiaramente il suo orientamento in modo da fornire precise indicazio-ni al successivo lavoro di commissione. In particolare il III e il IV quesito contenevano elementi direttamente inerenti il rapporto tra papa ed episcopato e perci anche la questione del concorso del papa nelle decisioni conciliari.

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    Infatti, rispondendo affermativamente al terzo quesito i padri (r8o8 contro 336) manifestavano di ritenere che il corpo, ossia il collegio, episcopale succede al collegio apostolico nella funzione di evangelizzare, santificare e pascere e che lo stesso collegio, insieme col suo capo il roma-no pontefice e mai senza questo capo (del quale rimane salvo ed integro il diritto di primato su tutti i pastori e fedeli) investito della piena e suprema potest nella Chiesa universale . Questa comunione tra papa e collegio episcopale e la potest relativa nella Chiesa universale trovava il suo fondamento, sempre secondo i padri (1717 contro 408), diretta-mente nel diritto divino 13

    Tutti questi fatti costituiscono gli antecedenti storici e le premesse dottrinali della deCisione di modificare la formula predisposta per l'appro-vazione papale delle decisioni conciliari. Era infatti ormai evidente lo scarto tra la formula dell'Ordo Concilii, che risaliva letteralmente al Vaticano I, e la nuova situazione teologica. La formula usata per la prima volta il 4 dicembre rg63 aveva dunque la sua causa nei fatti e negli orientamenti sopra ricordati. E'ora possibile esaminare in quale misura essa abbia effettivamente innovato rispetto a quella in uso nel Vaticano I, cercando di mettere in evidenza la simmetria dei principi ecclesiologici sottesi alla nuova formulazione rispetto agli indirizzi generali del Concilio in questa materia 14.

    13. Credo opportuno trascrivere il testo dei quesiti 3 e 4 cosi come fu votato dai padri, tanto pi che essi non hanno trovato posto in nessuna delle edizioni dei testi conciliari, malgrado abbiano giocato un ruolo almeno altrettanto rilevante quanto la cosiddetta Nota praevia . Essi recitavano:

    3 Utrum placeat Patribus ita apparari sclzema ut dicatur Corpus sett Collegium Episcopomm in munere evangelizandi, sanctiftcandi et pascendi succedere Collegio A postolormn ; et ipsum, tma cum capite suo Romano Pontiftce et 1mmquam #ne lzoc capite ( witts salvum et integmm remanet ius primatiale in omnes pastores et ftdeles), piena et steprema potestate in tmiversam Ecclesiam pollere (Placet: 1808 ; non placet: 336).

    4 Utmm placeat Patribus ita apparari sclzema ut dicatm praedictam potestatem ipsi Collegio Episcopomm Capiti tmito competere iure divino (Placet: 1717; non placet : 408).

    N.B. : Sensus propositiomem tertiae et quartae est : a) actuale exercitimn potestatis Corporis Episcopomm regitter ordinationibus a Romano Pontiftce adprobatis ; b) actus vere collegialis Corporis Episcopomm non datur nisi i1witante aut saltem libere reci-piente (cfr Schema De Ecclesia , p. 27, !.38) Romano Pontiftce ; c) modus practicus et concretus, quo duplex forma supremae potestatis in Ecclesia exercetter, ad ulteriorem determinationem tlzeologicam et iuridicam pertinet, Spiritu Sancto lzarmoniam inter utramque jormam indejectibiliter roborante .

    14. Furono sostanzialmente unanimi nel rilevare la novit della formula adottata da Paolo VI tutti i principali commentatori del Concilio : Y. CoNGAR, Le concile au jottr le jottr. Deuxime session, Paris, 1964, p. 153; J. RATZINGER, Das Konzil auj dem Weg. Rilckblick auj die zweite Sitzungsperiode, Ki:iln, 1964, p. 73-75; R. LAUREN-T1N, L'enjett du Concile. Bilan de la deuxime session, Paris, 1964, p. 187-188 e 296; A. WENGER, Vatican II. Cllronique de la deuxime session, Paris, 1964. p. 258-260;

  • (I)

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    Anzitutto opportuno confrontare sin otticamente la formula dell'Orda Concilii- ripresa dal Vaticano I-, quella proposta dal gruppo di esperti incaricato di studiare il problema, quella impiegata da Paolo VI il 4 dicembre 1963 e, infine, quella successivamente rettificata e usata nelle seguenti sessioni solenni a partire dal 21 novembre 1964.

    l ti: .l Orda concili i oecume- Proposta autunno 1963 Sessio 4.XII.x963 nici Vaticani II cele brandi (art. 49)

    (OR s.XII.I963 n. 281)

    In nomine sanctissimae et In nomine sanctissimae et individuae Trinitatis individuae Trinitatis Patris

    et Filii et Spiritus Sancti

    Sessio4.XI1.1963 (AAS 56 (1964) 134, ed. V.x964 e anche Editio typi&a)

    (II) Decreta et canones modo lecta placuerunt patribus nemine dis-sentiente (ve! si quis forte dissenserit, tot numero exceptis)

    decretum (ve! decreta) quod (vel quae) in hac sacrosancta et u~iversali synodo Vaticana II in Spiritu sancto legitime congregata modo lectum pia-cui! (ve! Iecta placuerunt) patri bus, nemi ne dissentiente (ve! tot dissentientibus)

    decreta, quae in bac sacro-sancta et universali synodo Vaticana II legitime congre-gata modo Iecta sunt, placue runt patribus.

    Haec omnia et singula quae j.{ hac constitutione edicta sunt placuerunt sacrosancti concilii patrihus

    (III) Nos Paulus VI apostolica auctoritate capitis huius sacri concilii [et vicarii Christi] piene consentimus

    Et Nos, apostolica a Cbristi Nobis tradita potestate, illa una cum venerabilibus patri-bus, in Spbitu sancto appro-bamus, decernimus et sta-tuimus,

    Et Nos, apostolica a Cbristo Nobis tradita potestate, illa una cum venerabilibus patri .. bus, in Spirito sancto appro bamus, decemimus ac sta tuimus

    (IV) Nosque, sacro appro-bante concilio, illa ita decemimus, statuimus atque sancimus, ut lecta sunt.

    et quae ita synodaliter sta-tuta sunt promulgari iube-mus.

    et quae i t a synodaliter sta-tuta sunt ad Dei gloriam promulgari iubem us.

    et quae ita synodaliter sta-tuta sunt ad Dei gloriam promulgari iubemus.

    Non privo di fondamento nella stessa struttura delle formule pi complesse - quelle cio del 1963 - individuare quattro articolazioni fondamentali. La prima (I) ha letterariamente una funzione di premessa e di invocazione e costituisce il membro teologicamente pi rilevante in quanto ribadisce il fondamento trinitario della fede cristiana e costi-tuisce la testimonianza della volont del concilio e del papa di subordi-nare il loro magistero all'essenziale professione trinitaria. E' probabil-mente per queste ragioni che la proposta dell'autunno 1963 e la formula effettivamente usata nell'approvazione papale della costituzione liturgica e del decreto sui mezzi di comunicazione sociale si aprivano con una

    X. RYNNE, Tlze second Session, New York, 1964, p. 297; G. CAPRILE, Il concilio Vaticano Il. III Roma, 1966, p. 448 non avverte della modifica della formula pre-vista dal regolamento. Riguarda pure i problemi discussi in questo saggio il lavoro di B. RoMANo-U. SANTINO, Lo sviluppo storico della procedura conciliare, Milano, 1963 condotto sfortunatamente con insufficiente conoscenza della problematica sia ecclesiologica che canonistica. Con la sua abituale competenza ha fatto invece riferimento a queste questioni H. }EDIN in due brevi note: Gesclziiftsordmmg und Gesclliiftsgang, inDie Autoritiit der Freiheit. Gegenwart des l(onzils mtd Zukrmjt der [(irclle im okumen.iscllm Disput, hrsg. J.C. HAIIIPE, I Miinchen, 1967, p. 55-61 e Die Gesclziijtsordmmg des Konzils, in Das Zweite Vatikanisclle l(onzil, III Freiburg, 1968, p. 6xo-623.

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    premessa trinitaria sostanzialmente analoga. Che tale premessa mancasse nella formula dell'Orda conc-ilii si spiega agevolmente ricordando che essa era stata semplicemente ripresa da quella del Vaticano I, invece meno chiaro comprendere perch essa sia scomparsa nelle edizioni ufficiali delle decisioni del dicembre 1963 e nella formula impiegata nelle sessioni successive.

    Il secondo membro {II) presente in tutte le formulazioni ed ha in tutte una funzione essenzialmente dichiarativa del definitivo consenso gi manifestato dai padri conciliari, o - almeno - dalla loro maggioran-za, sul documento ora sottoposto al papa. Le varie formulazioni sono concordi nell'usare il verbo placere per esprimere il voto definitivo dei membri del Concilio, tanto pi che anche il Vaticano II ha continuato la tradizione dei precedenti concili chiedendo che i padri manifestino il loro consenso o dissenso con le espressioni placet o non placet. Peraltro rispetto alla formula del Vaticano I la proposta del gruppo di esperti aggiungeva una qualificazione precisa del concilio : tTJ al olKovp.ev&KTJ

    a.Jvo8os ..j KaT 6EOV x.J.p1v Kal 6tomop.a TWv ec1f:f3ea-rdTwv al r/JI>..oxplaTCJJV vp.wv {3ao1Mwv O.laEVTIVIavov Kal MapKiaVOV a.lyo.SoTWV ovvax6eloa v Tf XaK"'8ovJwv P."/TpomSe Tfs B.6vvwv , , , .... , ... c l ' E1Tapxas ev Ttp fLapTIIP''P T"/S ayas Kal KavlKOII p.&pTvpos E.lrf>"'p.las wp!OE

    [Definitio fidei] Sancta et magna et universalis syno-

    dus quae per gratiam Dei et prae-cepta piissimorum et christianissi-morum imperatorum nostrorum Valentiniani et Marciani augusto-rum congregata est in Chalcedona metropoli provinciae Bithyniorum in ecclesia sanctae et victricis mar-tyris Euphemiae, haec definivit quae subter scripta sunt.

    e per il Niceno II all' analoga premessa all' "Opos (COD p. 109, I-II) : ["Opos]

    'H dyla p.ey&.\"1 Kal olKollp.EVIK~ o.Jvo8os, ..j KaT 6eov xtJ.piV Kal 6tomop.a TWV e.loe{Jwv Kal rf>.\oxploTwv "'fLWV {3ao1Mwv KwvaTavTlvov Kal Elp~V"'S Tfs a.lTov fL"/Tps ovva6po1o6e

  • UNA CUM PATRIBUS 301

    l'autorit del Concilio sia dal punto di vista dottrinale sia rispetto alle varie obbedienze papali esistenti. A tale scopo anzitutto il testo delle decisioni si apre abitualmente con una professione trinitaria cui segue la qualificazione che l'assemblea d di s. Cos ad esempio la sentenza di condanna degli articoli di Wicliff del 4 maggio 1415 si apre con queste parole : Sacrosancta Constantiensis synod1ts, generale concilittm faciens, et ecclesiam catlzolicam repraesentans, ad extirpationem presentis schismatis, errontmque et haeresimn sttb ets umbra pullulantimn eliminationem, et reformationem ecclesiae, in Spiritlt Sancto legitime congregata, ad perpetztam rei memoriam n 16. Ci si preoccupava dunque di qualificare l'assemblea costantiense come generale concilimn, legittimamente riunito nello Spirito santo e perci garantito dalla sua assistenza e, infine, investito della rappresentanza dell'intera chiesa cattolica.

    A Basilea, sin dalla prima sessione il decreto adottato sotto la presi-denza del legato papale card. Cesarini conteneva una formula analoga :

  • 302 G. ALBERIGO

    Risulta evidente che la formulazione proposta nell'autunno rg63 riprendeva su questo punto letteralmente la formula tridentina, sia pure non in sede di intestazione delle decisioni, ma invece come parte delle premesse alla manifestazione dell'adesione del papa alle decisioni conciliari. Secondo la proposta infatti il papa stesso avrebbe sottolineato la caratteristica universale dell'assemblea e la legittimit della sua riunione nello Spirito Santo. In sostanza la formula usata il 4 dicembre rg63 acquisiva tale proposta, salvo il riferimento allo Spirito Santo, omesso forse in considerazione dell'estesa invocazione trinitaria della prima parte della formula effettivamente adottata. Al contrario, la redazione delle successive sessioni omette tutte le novit adottate nel rg63 per tornare in sostanza alla formulazione dell'Orda concilii se non nel suo contenuto materiale almeno nella sua sostanza, limitandosi alla scarna dichiarazione che tutto quanto stato letto ha avuto l'appro-vazione dei padri.

    Dopo questa constatazione, la formula del Vaticano I passava alla parte centrale e cio alla manifestazione della volont del papa espressa con i verbi decemere, statuere e sancire. Il papa diveniva cosi il soggetto personale ed esclusivo dell'atto che comprendeva nel medesimo tempo sia l'approvazione di quanto il concilio aveva deciso, sia l'attribuzione a tutto ci di un'efficacia giuridica nell'ordinamento canonico. Il rapporto tra il romano pontefice e il concilio ecumenico espresso nell'inciso sacro approbante concilio n, che appare per la prima volta nella storia dei concili generali nel decreto

  • UNA CUM PATRIBUS

    al di l di queste oscillazioni semantiche, molto meno incerto il signi-ficato storico globale di quest'uso, che interviene nel momento in cui l'autorit del romano pontefice in grande ascesa e trova, con sempre maggiore frequenza e rigore, adeguate formulazioni dottrinali. Basti qui richiamare il XVI punto del Dictattts papae di Gregorio VII che intendeva legare indissolubilmente non solo la convocazione, ma anche la legittima celebrazione di concili generali all'esclusiva sanzione da parte del vescovo di Roma 21 La celebrazione dei concili lateranensi uno degli indizi pi evidenti di questa nuova stagione, nella quale l'iniziativa del papa rispetto all'episcopato e alle sue riunioni diviene sempre pi ampia e meno contrastata. In questo clima storico e dottri-nale le decisioni dei concili, anche di quelli generali, sono abitualmente intestate al papa regnante, quando addirittura non sono redatte nella forma di bolle papali. Il papa, ancora, non ha alcuna incertezza a modi-ficarle o, comunque, a manipolarle dopo la chiusura del Concilio e prima della loro entrata in vigore. Esse sono atti steoi, sacro approbante concilio>> 22 Entro questo contesto globale cio al concilio assegnata una funzione relativamente marginale, come di un coro che si associa solennemente ad atti che hanno per un soggetto ben individuato : il papa.

    E' noto come questo regime nei rapporti tra vescovi di Roma ed episco-pato universale abbia caratterizzato i concili generali compresi tra il Lateranense I {II23) e il concilio di Vienne (I3II-I3I2), per essere poi ripreso nel concilio Lateranense V (I5I2-I5I7). Al Tridentino invece, malgrado la solida e indiscussa posizione del papa, il concilio ribadi le proprie fondamentali prerogative, riconducibili sostanzialmente

    21. Quod nulla synodu.s absque precepto eius debet generalis vocari " ed. E. CASPAR, MGH Epp. sei. II /r, Berolini, 21955, p. 205, 6-7.

    22. Malauguratamente il recente studio di R. FoREVILLE sui primi quattro concili del Laterano non presta speciale attenzione a questo aspetto, malgrado il suo significato ecclesiologico come indizio del regime di rapporti tra papa e concilio (Latran I, II, III et Latran IV, Paris, 1965). Ha formulato invece un giudizio acuto, ancorch globale, H. ]EDIN, Iaeine I(onziliengescllicl!te, Freiburg 71966, qualificando questo gruppo di concili come Piipstlichm generalkonzilien des Hocli-mittelalters ovvero Piipstliclze Reformsynode (p. 39). D'altronde il problema della posizione subalterna dei concili medievali rispetto al papa non limitato ai Lateranensi, ma riguarda in modo clamoroso anche il primo concilio di Lione (1245). Infatti nella grande bolla di deposizione di Federico II, Innocenza IV esordisce con la formula Innocentius episcopzts servus servorwn Dei sacro praesente concilio ... (COD p. 254. 2), secondo la quale al concilio attribuita una esclusiva funzione di testimonianza. Tale impressione risulta solo attenuata dalla formula conclusiva del medesimo atto, la quale suona: Nos ... cttm fratribus nostris et sacro concilio deli-beratione praeltabita diligenti ... (COD, p. 259, r6-r8). In questo caso ancora pi chiaro che il concilio solo una cassa di risonanza particolarmente solenne e quali-ficata per la pubblicazione degli atti papali, nella formazione e determinazione dei quali all' episcopato non riconosciuto alcun concorso autonomo e responsabile.

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    all'affermazione della sussistenza autonoma dell'assemblea. Anzi questa rivendicazione, a causa delle circostanze storiche, si spinse ad una acentuazione formale della distinzione tra papa e concilio espressa particolarmente dall'approvazione da parte di Pio IV delle decisioni conciliari solo vari mesi dopo la conclusione del Tridentino come un atto completamente separato dal corpus delle decisioni dell'assemblea 2a.

    Quando fu stabilita la celebrazione di un nuovo concilio generale, il Vaticano I, l'atmosfera dottrinale e storica era tale da riproporre l'uso della formula sacro approbante concilio . Essa fu effettivamente usata sia nell'intestazione delle decisioni, sia nelia formula di approva-zione finale di Pio IX 24 Invece non se ne fece uso nel contesto delle decisioni, neppure in quella sulla fede, dove anzi furono usate espressioni pi adatte a manifestare un certo concorso dell'opera e dell'autorit del papa con quella dell'assemblea sedentibtts nobiscmn et i11dicantibtts tmiversi orbis episcopis >>. Solo nella conclusione delle premesse ai quattro capi della costituzione sul primato e l'infallibilit del Romano pontefice si ritorn alla formula medioevale 25 in un contesto dominato, anche letterariamente, dall'iniziativa del papa, rispetto al magistero del quale l'assemblea episcopale si ritrova ad esercitare soprattutto un ruolo corale e di testimonianza.

    A ben vedere per neppure questa riesumazione di una formula caratteristica di un particolare momento della storia giunse ad offuscare

    23. Cio avvene, come noto, con la bolla Benedictus Deus di Pio IV, che reca la data del 26 gennaio I564, ma in realt fu promulgata solo il 30 giugno successivo a causa dei tentennamenti provocati nel papa dalle correnti curiali e conservatrici contrarie all' approvazione globale dell' opera del Concilio (P."PRODI, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1557}, I Roma, p. I95-I97). Dal punto di vista della ricerca condotta qui altrettanto interessante ricordare che con l'ultima decisione del Tridentino - votata all' unanimit da tutti i padri - si dava mandato ai Legati di chiedere omnium et singulorum, quae tam sttb felicis recordationis Paulo III; et lttlio I I I, qua111 mb sanct-issimo domino nostro Pio I V Romanis pontiftcibus in ea decreta et definita sunt, conftrmatio(nem) .nomine sanctae lmius synodi , (COD, p. 775, 5-8). La richiesta era cio molto rigida quanto all' inscindibilit delle diverse decisioni conciliari- sia che fossero state adottate in periodi diversi, sia che riguar-dassero argomenti disparati vuoi di dottrina che di riforma - e, ancor pi, quanto alla natura delle decisioni stesse che il Concilio riteneva. compiute e definitive, suscettibili cio solo di promulgazione da parte del papa. Tale posizione d'altronde appare molto rigorosa dato che alle discussioni e votazioni conciliari avevano parte-cipato tanto i vescovi quanto i legati in rappresentanza del papa. Questa imposta-zione fu fatta propria da Pio IV e anche materialmente ripresa nel testo della Bene-dictus Deus.

    24. COD p. 778, 2 e I I ; p. 780, 2 ; p. 787, 28. La stessa formula ricorre anche nella lettera apostolica Postquam Dei m1111ere del 20 ottobre 1870 con la quale Pio IX sospendeva il Vaticano I, Collectio Lacensis, 7. p. 498c.

    25. COD p. 78I, 24 (conclusione delle premesse della costituzione Dei Filius) ; per sacro approbante concilio , nella Pastor aetemus : COD p. 788, g.

  • UNA CUM PATRIBUS

    una visione pi limpida dei rapporti complessi e articolati tra papa e concilio come testimoniato dal fatto che il Codex ittris canonici non prevede l'uso della formula sacro approbante concilio , ma. si limita a prescrivere col canone 227 che concilii decreta vim deftnitivam obligandi non habent, nisi a Romano pontiftce fuerint conftrmata et eiu.s tssu promulgata. Cosi dunque la legislazione canonica vigente tra il Vaticano I e il Vaticano II prevedeva che rispetto alle decisioni di un concilio ecumenico il papa potesse esercitare due atti sostanzialmente distinti: anzitutto una conftrmatio, cio un atto inteso a portare ali~ deliberazioni conciliari il concorso della volont del vescovo di Roma, e in secondo luogo un ordine di promulgazione, un atto dunque tipicamente formale, destinato a rendere operante nell'ordinamento canonico vigente la decisione prec;edentemente perfezionata.

    Il dettato del Codex lasciava ancora una volta impregiudicata la questione dell'origine della potest del collegio episcopale riunito in concilio, limitandosi a fissare schematicamente le prerogative del papa rispetto al concilio, di cui per ci stesso si supponeva ed ammetteva una sussistenza autonoma e distinta sino al punto anzi- indubbiamente oltre il segno - di dar l'impressione che l'intervento del papa nell'iter formativo delle decisioni conciliari fosse circoscritto solo al momento in cui tali decisioni dovessero ottenere una

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    che sono appunto gli aspetti salienti del voto del papa quando si unisce all'episcopato universale in una determinata decisione. Era cosi soddi-sfatta anche l'esigenza che la manifestazione. di volont del papa non fosse privata del suo contenuto pregnante di voto qualificato e ridotta solo ad un'adesione formale alle decisioni conciliari.

    La formula effettivamente pronunciata il 4 dicembre 1963 accetta sostanzialmente quasi tutti i suggerimenti della commissione ma ne modifica completamente il dettato formale. La variante pi significativa consiste nella diversa formulazione della qualifica del vescovo di Roma riferita pi direttamente al Cristo e con la sostituzione !fi potestas in luogo di auctoritas. L'impressione globale che si ricava dalla modifica di questa parte di un'accentuazione della fisionomia autonoma della figura del papa rispetto al concilio, consistente appunto nel fatto che egli esercita una potest apostolica conferitagli da Cristo stesso. Il corrispondente brano della proposta sembrava sottolineare piuttosto la funzione di capo dell'assemblea episcopale del papa stesso. Complessiva-mente parrebbe fondato ritenere che la formulazione del 4 dicembre 1963 mentre usa espressioni concettualmente pi nette, non rinuncia per a soddisfare l'esigenza centrale tenuta presente dalla commissione di studio, quella cio di mettere in luce come in questa circostanza il papa manifesti il suo voto sulle decisioni conciliari come membro (quali-ficato) del concilio.

    Infatti al

  • UNA CUM PATRIBUS

    conciliare e si fatto rinvio a quanto contenuto nel testo approvato nella X sessione solenne del Concilio di Firenze (27 maggio 1440). In quella occasione fu rinnovato il monitorio gi rivolto il 23 marzo prece-dente ai Basileesi e all'antipapa Felice V perch recedessero dalle loro posizioni. E' proprio richiamando tale seduta che il testo fiorentino recita : .. una cmn hoc sacro Fiorentino concilio synodaliter redargui1mts et detestati fuimus n 27 In realt non si tratta n dell'unico n del primo caso in cui in questo concilio si usano espressioni analoghe, alternate peraltro col medioevale

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    il contesto storico. Da un punto di vista formale per opportuno aggiungere un altro ordine di considerazioni. Infatti non difficile costa-tare che l'tma wm viene usato in passaggi importanti ma mai in quelli decisivi e dispositivi, nei quali ricorre invece il consueto sacro approbante concilio>>. L'esempio pi tipico costituito dall'ultimo dei passi citati, quello dell'atto d'unione coi Siri, di cui opportuno rileggere l'intero periodo che conclude le premesse : 30 Risulta chiaramente che quando si vuole indicare in senso tecnico il concorso delle volont del papa e del concilio si fa ricorso, anche a poclssima distanza dalla precedente espressione, al >. Ci confermato anche dal fatto che l'mta cmn spesso accompagnato da prelzabito( a) o comunque si riferisce ad una fase preliminare di preparazione dell'atto. L'uso comunque delle due espressioni non pare promiscuo e indifferenziato, ma anzi qualificato e controllato, come ben si addiceva ad una cancelleria agguerrita e preparata come quella di cui disponeva a Firenze Eugenio IV.

    Un'ulteriore conferma in questo senso sembra costituita dalla formula-zione usata nel passo centrale del documento di gran lunga pi impor-tante di tutto il Fiorentino, e cio il decreto >. Qui infatti l'enunciazione della serie dei punti dottrinali comuni a latini e greci solennemente introdotta cosi :

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    rio un significato particolarmente pregnante ed una funzione tecnica 32 Non si tratta perci n di un'alternativa n di un analogo della formula medioevale fosse gi stata usata per esprimere l'unione della volont del papa a quella del concilio, in luogo cio dell'espressione con la quale nei con-cili medioevali e poi nel Vaticano I era stata manifestata la funzione corale dell'assemblea rispetto alla potest decisionale esercitata dal vescovo di Roma. Ci posto, resta per da vedere se dal punto d[ vista dottrinale la modifica introdotta da Paolo VI ha un contenuto specifico e perci innovatore o se deve intendersi come una semplice variante letteraria.

    Non ci si deve nascondere, mi pare, che vi almeno una presunzione -come dicono i giuristi- a favore della prima ipotesi. Non si vedrebbe cio la ragione di(venir mer.o .ad una formula che poteva vanta~e almeno otto secoli di vita e che era espressamente prevista dal vigente regola-mento conciliare senza l'intenzione e lo scopo di un'effettiva modifica e non solo di una rettifica letteraria. Anche il fatto che sino alla vigilia della sessione solenne del4 dicembre 1963 il fascicolo a stampa contenente la N! ethodus servanda et preces recitandae... die 4 decembris 1963 avesse lasciato in bianco lo spazio riservato alla formula che il Papa avrebbe pronunziato, sta ad indicare che, indipendentemente dalla preferenza per una formulazione o per un'altra, la volont di non ricor-rere alla formula del Regolamento era comunque consolidata ed esplicita sino al punto da escludere che Paolo VI potesse usarla. Essa cio non

    32. Di diverso avviso il FAGIOLO, secondo il quale" l'uso dell' espressione" tma cmn venerabilibus patribus " non coinvolge una sostanziale innovazione n pu essere interpretata in tal senso, sia perch in termini analoghi si espresso un altro concilio [il Fiorentino], sia perch sostanzialmente l'espressione identica al-l'altra "sacro approbante concilio, p. 384. L'autore anzi si preoccupa di respingere persino l'opinione di W. BERTRAMS (La collegialit episcopale, La Civilt Cattolica 115/1, 1964, p. 4487), secondo il quale la formula usata il 4 dicembre 1963 manifesta il concorso della potest del pontefice col potere proprio dei vescovi, conferito immediatamente da Cristo. Il FAGIOLO argomenta anche che la formula del4 dicem-bre 1963 non potrebbe essere vista come un' espressione dell' ecclesiologia del III capitolo della Lmnen Gentium dato che quest'ultima fu definitivamente votata solo un anno pi tardi, il 21 novembre 1964. Argomentazione che risulta infondata qualora si ponga mente al fatto che con i voti del 30 ottobre 1963 il concilio aveva . espresso inequivocabilmente il suo orientamento sui punti decisivi di questa materia.

    33 H. }EDIN, Die Geschiijtsordmmgen der beiden letzten okmnenischen Konzilien in ekklesiologischer Sicht, Catholica 14, 1960, p. 105-118 e ora in J(irche des Glaltbms-J(irche der Gescllicllte, II, Freiburg, 1966, p. 577-588 sottolinea che la diversit si espresse anche nella diversa intestazione delle decisioni, conciliare a Trento e papale al Vaticano I.

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    rispondeva pi alla coscienza e alle convinzioni ecclesiologiche come si erano venute modificando e chiarendo lungo il dibattito conciliare.

    Passando ora a considerare in s il valore della parte centrale della formula usata il 4 dicembre 1963, sembra possibile raccogliere la discus-sione sulla sua novit intorno ad alcuni punti nodali. Anzitutto appare di notevole importanza la introduzione di una chiara distinzione tra manifestazione del voto del Papa sulle decisioni prese dagli altri padri conciliari e atto di promulgazione delle decisioni conciliari da parte del papa come organo supremo dello specifico ordinamento giuridico cano-nico. I due atti trovano il criterio decisivo della loro distinzione nel diverso rapporto che hanno con il Concilio. Il primo infatti un atto sostanziale col quale si manifesta - all'interno del Concilio -la volont del vescovo di Roma, capo del Collegio episcopale, di consentire (o dissentire) dall'opinione della maggioranza del Concilio stesso; senza tale manifestazione non possibile ritenere perfezionato l'iter formativo della volont conciliare. Naturalmente non costituiscono difficolt n il caso in cui la volont del vescovo di Roma sia espressa da suoi rappre-sentanti (legati), n quello in cui il consenso possa legittimamente e fondatamente presumersi. L'atto di promulgazione invece un atto strettamente formale mediante il quale - secondo uno dei principi che reggono gli ordinamenti giuridici - si inserisce pubblicamente un atto nel corpus delle leggi vigenti, riconoscendogli con ci valore cogente. Sar opportuno tornare pi diffusamer.te su questo aspetto, gi presente nei concili medievali e riservato invece all'imperatore per quelli dell'anti-chit.

    E' opportuno sottolineare come il fatto di aver dedicato la parte centrale della nuova formula al voto del papa, distinguendolo dall'atto di promulgazione, costituisca una interessante novit nel modo di porre i rapporti tra papa e concilio, ispirato alla rivalutazione del collegio episcopale comprendente- sia pure come membro sui generis- anche il papa. Ci contribuisce a dissipare le ombre dense che dentro e fuori la teologia cattolica si erano addensate, soprattutto dopo il Vaticano I. Infatti non pochi teologi e canonisti, riprendendo motivi che gi avevano serpeggiato nei secoli precedenti, si erano orientati dopo il 1870 a porre in una prospettiva dualistica i rapporti tra papa e concilio sottolineando l'alterit dell'uno rispetto all'altro, piuttosto che la loro fondamentale unione come espressione dell'unit del collegio episcopale, comprendente non solo i vescovi ma anche il papa. Anzi era proprio tale prospettiva dualistica che era stata spesso all'origine delle tensioni dottrinali e sto-riche che si erano manifestate sia in occasione delle affermazioni pi estremistiche delle prerogative papali, che in risposta alle posizioni pi intransigentemente gallicane.

    Proprio a causa di tutto ci risulta significativo che la formula sostituita da Paolo VI a quella dell'Orda Concilii contenesse un'inequivocabile

  • UNA CUM PATRIBUS 3II

    riferimento alla condizione del vescovo di Roma come membro del Concilio e all'esercizio dell'atto supremo inerente a tale condizione: il voto. Tanto pi che di tale condizione invece non si faceva alcuna menzione negli articoli del Codex iuris canonici 34, relativi al Concilio ecumenico e ai suoi rapporti col papa. In tale sede infatti si garantivano al papa la convocazione, la presidenza, la direzione dei lavori e la deter-minazione degli argomenti, il trasferimento, la sospensione e lo sciogli-mento del concilio e, infine, la conferma dei suoi decreti, ma si lasciava completamente in ombrala vera e propria partecipazione del vescovo di Roma al concilio. Le sue prerogative erano state identificate cio partendo principalmente da un'ottica di accentuata estraneit del papa rispetto al concilio e, forse, di potenziale conflitto.

    La nuova formula del dicembre 1963 rappresenta pertanto un indizio significativo degli sviluppi che l'indirizzo ecclesiologico indicato dal Vaticano II pu avere anche in ordine al ((tab classico dell'ecclesio-logia cattolica: i rapporti tra papa e concilio 35 Peraltro essa costituisce non pi che un primo passo. Infatti movendosi nella direzione di riportare dentro il Collegio episcopale, e perci all'interno del Concilio ecumenico, la potest del papa sin qui concepita, formulata ed esercitata come esterna, si apre un numero cospicuo di problemi di una certa difficolt, soprattutto perch relativi ad aspetti ecclesiali atrofizzati da secoli. Alludo alla densit e fecondit di un effettivo rapporto dialettico tra il vescovo di Roma e tutti gli altri vescovi della Chiesa universale riuniti a concilio in una comune ricerca di fedelt alla volont di Dio e meno preoccupati di difendere o riaffermare le proprie specifiche prerogative. Forse non azzardato auspicare che la determinazione delle prerogative papali fatta al Vaticano I e quella delle prerogative dell'episcopato (sacramentalit e origine sacramentale dei (( munera )sancita al Vaticano II consenta nel prossimo futuro di dedicare maggiore attenzione agli aspetti di comunione del reciproco rapporto, superando e inverando gli elementi autentici della concezione prevalentemente garantista di ta-li rapporti che si affermata nei secoli pi recenti. Gi si avuta un'avvi-saglia di questa nuova problematica in occasione degli interventi operati dal Papa nel corso dei dibattiti conciliari 36 Dal punto di vista formale

    34 Can. 222 e 227. 35 Malgrado I'Ordo concilii non disponesse nulla al riguardo, le decisioni del Vati-

    cano II hanno avuto la seguente intestazione Paulus episcopus serv1ts servormnDei t ma cum sacrosanct-i Conc-ilii patribus ad perpetuam rei memoriam. Anche in questo caso si abbandonata la formula papale" dei concili medievali e del Vaticano I a favore di un' espressione egemonizzata dal medesimo " wza cwn " della formula conclusiva.

    36. Si vedano a questo proposito le pertinenti osservazioni di J. RATZINGER, Ergebnisse ttnd Probleme der dritten J(onzilsperiode, Kiiln, 1965, p. 47-50. Anche il teologo tedesco fa osservare come gibt es keine rechtlich regulierten Formen, wie der Papst seine Meinung im Konzil ins Spie! bringen kann "

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    infatti sia un intervento come quello di Giovanni XXIII nel novembre del 1962 per sanzionare la reiezione dello schema sulle due fonti della Rivelazione e il suo rinvio ad una commissione mista per un integrale rifacimento, sia quelli di Paolo VI, vuoi per modifiche ai testi conciliari, vuoi in occasione della discussa operazione che va sotto il nome di Nota explicativa praevia alla Lmnen gentittm comunicata ai padri conciliari Superiore Auctoritate , risultano privi di ogni qualificazione e garanzia formale. Cio sia rispetto al diritto del papa di intervenire nei dibattiti conciliari dal momento che egli un membro dell'assemblea, sia rispetto al diritto del concilio di non subire pressioni arbitrarie in quanto di provenienza incerta o sottratte al normale vaglio dell'esame e della discussione, la procedura conciliare risulta completamente sprovveduta. Sar probabilmente fecondo riesaminare le modalit degli interventi, spesso di grande peso sull'andamento dei lavori conciliari, fatti dai vescovi di Roma nei concili dell'antichit, senza peraltro che ci si risolvesse in alcun modo in un'offesa della dignit e del buon ordine delle assemblee 37 E accanto a tale riesame occorrer ripensare con libert e fantasia forme di funzionamento del concilio ecumenico che esprimano adeguatamente la nuova coscienza ecclesiologica e tengano conto della possibilit e necessit di un dibattito pi largo e articolato di quello che si ebbe in circostanze storiche diverse 38

    Proprio la possibilit e l'opportunit di questi sviluppi costituiscono da se stessi una riprova che non solo l'ecclesiologia del Vaticano II ha rinnovato in molti punti la dottrina ritenuta tradizionale, ma che nella fattispecie la formula del 4 dicembre 1963 ha un significato oggettivo ed un valore storico di innovazione rispetto alla prassi pi recente, rispecchiata da ultimo dall'Orda Concilii. Anche se occorre ammettere che la formulazione proposta dagli esperti si staccava ancora pi netta-mente dal sacro approbante concilio .

    Non va per trascurato che un passaggio di primaria importanza per la soluzione di questo problema costituito dalla frase di transizione che apre l'ultimo membro (IV) della formula : ... et q~eae ita synodaliter stat~eta s1mt ad Dei gloriam ... . Inizia qui infatti la parte dichiarativa

    37 Si vedano in proposito i significativi riconoscimenti di uno studioso prote-stante come G. I(RETSCHMAR, Die J(onzile der Alten J(irche in Die okumeniscllen J(onzile der Cllristenheit, hrsg. H.J. MARGULL, Stuttgart, 1961, p. 46-47 e 61-62.

    38. Senza attenuare in nulla la sostanziale differenza che intercorre tra il con-cilio ecumenico e il Synod-us episcopalis, istituito nel 1965 da Paolo VI, cade qui l'opportunit di osservare che anche per il funzionamento del Synodus rimasta del tutto inevasa la necessit di regolare i rapporti col papa sia in sede di formazione della volont del consesso che, poi, in sede di utilizzazione delle deliberazioni. In questo caso la totale discrezionalit in cui resta l'atteggiamento del papa ha peraltro un significato univoco, quello di ribadire la natura consultiva del Sinodo, attinente alla forma personale di esercizio del supremo potere nella chiesa universale.

  • UNA CUM PATRIBUS

    - notarile, per cosi dire - di tutta la formula ed di estremo interesse che Paolo VI abbia integralmente accolto il suggerimento degli esperti 39, i quali avevano appunto proposto che tra l'espressione dell'adesione del vescovo di Roma alla volont espressa dagli altri membri del collegio episcopale e la promulgazione agli effetti giuridici della decisione conci-liare, fosse inserita una dichiarazione che si potrebbe qualificare come

  • G. ALBERIGO

    namento canonico. Come si gi accennato, viene soddisfatta cos un'esigenza di certezza giuridica, cui d'altronde simmetrica anche la determinazione di una vacatio legis , stabilita per la costituzione sulla liturgia e poi anche per altre decisioni del Vaticano II allo scopo di fissare un termine a qtto per l'entrata in vigore delle disposizioni conciliari.

    Si tratta della parte dottrinalmente meno rilevante di tutta la formula, anche se potrebbe forse essere interessante discutere l'omogeneit sostanziale di questo atto con la natura solenne e definitiva delle decisioni di un concilio generale. Esse infatti non si situano ad un livello pi elevato della legislazione canonica ordinaria, per cui non si ponga altro problema che quello di un'adeguazione di quest'ultima a quelle, piuttosto che una entrata in vigore di quelle nell'ambito di questa ? E' una discus-sione che porterebbe molto lontano, sino al rapporto tra chiesa e diritto canonico. Qui basta prendere atto che anche secondo la formula conclu-siva delle decisioni del Vaticano II la promulgazione disposta dal papa risulta un atto esterno, aggiunto, rispetto alle decisioni conciliari che sono compiutamente tali quando sono il risultato del concorso dell'assisten-za dello Spirito Santo e della volont dei vescovi di tutta la chiesa e di quella del vescovo di Roma 41

    E' facile ammettere che da un lato la formula costituisce un sostanziale passo avanti rispetto a quelle precedenti, mentre da un altro lato non esprime che timidamente e imperfettamente il nuovo livello della co-scienza ecclesiologica, che dovrebbe consentire in occasioni future una fusione pi spontanea e meno meccanica e giustapposta della volont del papa con quella del collegio episcopale. In questa prospettiva si pu auspicare che - come per molti altri aspetti - il Vaticano Il segni un inizio, per cui in un futuro concilio possa essere lasciata cadere, dopo aver compiuto sino in fondo un'interessante parabola storica, la stessa occasione in cui il papa si associa ex post alle decisioni concilia-ri 42 L'ecclesiologia cristiana, e in essa la coscienza di una posizione

    41. Mi sembra che risulti anche da questa analisi come siano rudimentali e insuf-ficienti le argomentazioni formulate per chiarire i1 rapporto tra autorit del concilio ecumenico ed autorit del papa da solo. Mi riferisco sia alla opinione secondo la quale l'autorit conciliare sarebbe maggiore extensive ma non intensive, sia a quella per cui esisterebbero due soggetti inadeguatamente distinti della suprema autorit nella chiesa.

    42. I rari riferimenti che la Lumen Gentiwn fa al Concilio ecumenico- cap. III, nn. 22 e 25 - sono abbastanza significativi delle incertezze che sono rimaste anche nel testo conciliare, malgrado le precise opzioni intervenute sui problemi di fondo. Infatti, mentre al n. 22 si indica nel Concilio ecumenico una manifestazione parti-colarmente significativa della natura collegiale dell' episcopato e al n. 25 si afferma che l'episcopato nel concilio ecumenico definisce le questioni di fede e di costumi, nel medesimo n. 22 si trova un' affermazione tipicamente dualistica del rapporto tra papa e concilio : Concilium oecumenicum memquam datur, quod a successore Petri non sit ut tale confinnatum vel saltem l'eceptwn , et Romani Pontijicis praerogativa

  • UNA CUM PATRIBUS

    stti generis del successore di Pietro, consente e richiede nello stesso tempo che il papa ritrovi pienamente il suo posto all'interno del collegio episcopale rinunciando a steccati e garanzie di difesa suggeriti da circo-stanze ormai passate, il cui costo ecclesiale stato molto elevato.

    D'altronde non difficile comprendere come n la commissione di esperti n Paolo VI abbiano creduto di omettere quest'ultima clausola della formula. L'esigenza che essa esprime ha infatti alle spalle una lunga e complessa storia. Per i concili dell'antichit e dell'alto medioevo celebrati in Oriente opinione comune, anche tra gli studiosi cattolici pi seri - soprattutto dopo le decisive ricerche di F. X. Funk 43 -, che non si possa parlare in alcun modo di approvazione o conferma, n tanto meno di promulgazione da parte del Vescovo di Roma. A questa ultima infatti, secondo la prassi introdotta a Nicea, provvedeva un atto imperiale 44 Anche per Calcedonia- a proposito del quale si voluto sostenere a lungo l'esistenza di una conferma da parte di Leone I -gli storici pi attendibili sono ormai concordi per escludere qualsiasi atto del genere 45

    I concili del medioevo latino, soprattutto quelli del Xiii e XIV secolo 46; offrono invece casi pi interessanti 47 Per essi, celebrati

    est haec Concilia convocare, iisdem praesidere et eadem conformare . Si pu compren-dere che G. PHILIPS commentando questi passi provi un certo imbarazzo (L' glise et sonmystre au II concile du Vatican, I, Paris, 1967, p. 287-288 e 301-302).

    43 Mi riferisco soprattutto a Die piipstliclle Bestiitigu.ng der acllt erstetl allgemei-nen Synoden, ora in I(ircltengescltichtliclten A bllandltmgen 1md Untersuclumgen, I Paderborn, 1897, p. 87-121. Sulle sue conclusioni si basa J. FoRGET trattando la voce Conciles nel D T TIC 3, 1908, p. 655-664, il quale sottopone ad una critica serrata la vecchia tesi apologetica sostenuta ancora dall' HEFELE nella sua ConcUien-gesclliclite, ma gi abbandonata dal suo editore francese LEcLERCQ, Histoire des Conciles ... , I, p. 58-68.

    44 I. 0RTIZ DE URBINA, Nice et Constantinople, Paris, 1963, p. 88-90, 122 e 233 45 Il testo discusso la lettera di papa Leone del 21 marzo 453 al Concilio, edi-

    ta da E. ScHWARTZ, Acta ConcU.'.mtm Oec~tmenicomm, II /4 Berolini et Lipsiae, 1932, p. 70-71. Per l'orientamento attuale degli storici si veda per tutti Th. CAME-LOT, Le ConcUe et les conciles, Pris, 1960, p. 69 e dello stesso Epltse et Chalcdoine, Paris, 1961, p. 63, 136-137 e 172-173: Rispetto a queste conclusioni della critica storica appaiono in luce singolarmente apologetica le affermazioni contenute in una pagina del decreto Pastor aetermts del concilio Lateranense V col quale si abrogava la Prammatica Sanzione (19 dicembre 1516). Il Concilio infatti si dilun-gava a sottolineare come tutti i concili antichi, da Nicea in poi, avessero chiesto e ottenuto dai papi un'approvazione, COD p. 619, 1-16.

    46. Per la procedura dei concili lateranensi e in modo particolare per quanto riguarda i rapporti del concilio col papa si dispone tuttora di una documentazione completamente insufficiente, il che impedisce agli studiosi di giungere a qualsiasi conclusione attendibile: R. FoREVILLE, Latran I, II, III et Latran IV, Paris, 1965, p. so, 136, 152 e 271 e della stessa Procdttre et dbats dans les conciles mdivmtx du Latran (1123-1215}, Rivista di storia della Chiesa in Italia 19, 1965, 21-37.

    47 A questo proposto restano fondamentali le ricerche di A. HAUCK, Die Recep-

  • 3!6 G. ALBERIGO

    sempre presso la stessa residenza papale e sotto la presidenza del papa o dei suoi legati, non si conosce alcun atto di conferma o approvazione, ma si hanno sistematicamente atti formali di promulgazione o pubbli-cazione mediante l'invio alle Universit e la notifica ai fedeli. Cos avvenne per il Lugdunense I, le cui costituzioni vennero inserite nelle raccolte canoniche ufficiali mediante tre atti papali di invio alle Univer-sit intercorsi il 25 agosto 1245, il 21 aprile 1246 e il g novembre 1253 48 . Altrettanto avvenne per il concilio di Vienne, le cui decisioni vennero notificate alle Universit e inserite nelle Clementinae con la bolla Quoniam ulla di Giovanni XXII 49.

    Ma il caso forse pi interessante quello delle decisioni del Lugdu-nense II per le quali Gregorio X provvide con due atti, entrambi dell'I novembre 1274- Infatti con la bolla Cmn mt.per invi il corpo delle decisioni alle principali universit - Padova, Parigi, Bologna ecc. -con l'esplicito scopo di promulgarle e di renderle esecutive tam in iudiciis q1tam in sclzolis 50 Contemporaneamente l'enciclica Injra scriptas diretta a tutti i cristiani provvedeva allo stesso scopo nei con-fronti dell'intera Cristianit 61 .

    Per i concili di Costanza e Basilea non si pose ovviamente alcun problema di promulgazione 62 ; lo stesso fu per Firenze, forse anche a

    tion und Umbildung der allgemeinen Synode im Nlittelaller, Historische Vierteljahrcs-schrift ro, 1907, p. 465-482.

    48. COD 250-251 e gli studi ivi citati. La prassi di invio alle Universit era stata introdotta da Innocenzo III con la bolla Devotioni vestrae con la quale invio a Bologna la cosidetta CompilaNo III (Quinque Compilatioues antiquae, ed. Ae. FRIEDBERG, Leipzig-Graz, r882-19S6, p. ros), cfr St. KuTTNER, Conciliar Law in tlle Jl1aking. T h e Lyonese Constitutions ( 1274) of Gregory X in a 111 anuscript at W ashin.gton, in 111iscellanea P. Paschini, II Roma, 1949, p. 39

    49. FRIEDBERG II II29-1132, cfr J. LECLER, Vienne, Paris 1964, p. 136 e q6. so. Il testo, che ricalca letteralmente la bolla di Innocenza IV del 1246 per il

    Lugdunense I, edito nel Chartularium Universitatis Parisiensis, ed. H. DENIFLE, I Parisiis, 1899, [1964], n. 449 p. 514-515 e suona: Cwn nuper in generali concilio Lugdunensi et post quasdam constitutiones super certis articulis duxerimus promul-gandas, universitati vestre per apostolica scripta mandamus quatinus eis, quas sub bulla nostra vobis transmittimus, uti velitis amodo tam in iudiciis quam in scolis ipsas sub suis titulis, prout super eis exprimitur, inseri faCientes " ; cfr A. FRANCHI, Il concilio II di Lione (1274) secondo la OrdinaNo c~ncilii generalis Lugdmzensis, Roma, 1965, p. roo.

    51. Universis Christi ftdelibus presentes litteras inspectttris salutem etc. Infra-scriptas constitutiones nuper in generali concilio Lugdmzeusi, et post super certis articulis duxnus promulgandas, quibus tmiversos uti volmnus et mandalnus in iudi-ciis et in sclzoliis, ipsasque sub suis titulis inser, prout exprimitur super eis : Grego-rius X in generali concilio Lugdunensi etc. " Les registres de Grgoire X, ed. J. GuiRAUD, Paris, 1892-1960, n. 576, p. 241-250; cfr H. WoLTER, H. HoLSTEIN, Lyon I et Lyon II, Paris, 1966, p. 74, 79, 81 e 187.

    52. Cfr H. }EDIN, Bischofliches J(onzil oder Kirchenparlameut ? Ein Beitrag zur Ekklesiologie der J(onzitien von J(onstan~ ttnd Base!, Basel-Stuttgart, 1963, p. 15-16

  • UNA CUM PATRIBUS

    causa della personale partecipazione di Eugenio IV. Come si gi accen-nato, alla conclusione del concilio di Trento il problema si present in termini del tutto singolari : infatti la pressione perch Pio IV confer-masse le decisioni conciliari muoveva dalla preoccupazione che egli, solleci.tato dagli ambienti ostili alla riforma della chiesa, potesse cercare di ridurre la portata dei decreti di riforma, come testimonia la bolla Sicttt ad sacromm dell'agosto 1564, con la quale Pio IV dovette stroncare tutte le dicerie che venivano fatte circolare su un rinvio dell'entrata in vigore dei decreti disciplinari 63.

    Se dunque la prassi di provvedere ad una forma di pubblicazione delle decisioni conciliari pu vantare interessanti anche se recenti prece-denti storici, essa lascia pur sempre aperto un grave problema ecclesio-logico, forse il pi delicato e decisivo di fronte al quale si trova oggi la teologia cristiana relativa al concilio ecumenico, quello cio del rappor-to non pi del concilio con il papa, ma del concilio con la Chiesa come comunione delle diverse comunit cristiane 54 Anzi, mi pare che proprio nella misura in cui col Vaticano II si riguadagnata un'immagine pi piena del concilio come assemblea che comprende, insieme ai membri dell'episcopato universale, anche il vescovo di Roma - e anche rap-presentanti delle chiese estranee alla comunione gerarchica e semplici fedeli -, si creato lo spazio dottrinale ed ecclesiale perch possa porsi con prospettive e vigore nuovo il problema del rapporto tra chiesa e concilio, sia in ordine alla partecipazione al concilio che in relazione all'accettazione delle sue decisioni da parte delle chiese. Anche a proposito di ci appare necessario il superamento di una prospettiva esclusiva-mente o prevalentemente giuridica 55 Basta forse la riflessione sugli

    e P. DE VooGHT, Les pouvoirs du conci/e et l'autorit du pape au Concile de Constance, Paris, 1965, p. 73 ; interessante che, partendo da punti di vista molto diversi e con differenti argomentazioni, i due studiosi siano pervenuti al medesimo risultato.

    53 Concilium Tridentimem, ed. Societas Goerresiana, IX Friburgi Br., 1923, p. II61-II62.

    54 Il problema era gi stato posto da varie parti prima del Vaticano II; ricordo in modo particolare: St. ZANKOW, Die prinzipiellen Schwierigkeiten der AbhaUung eines Okwuenischen Konzils, in Procs-verbaux du premier Congrs de Thologie orthodoxe ( 1936}, Athnes, 1939, p. 268-283 ; due brevi articoli del 1950 sul punto di vista riformato e ortodosso: E. WoLF, Zur Entstelmngder kaiserlichen Synodal-gewalt, zu illrer theologischen Begrindun! und kirchlicllen Rezeption, J(irche 1md J(osmos, 1950, p. 153-168 e A. KARTASCHOW, Die Entstelmng der kaiserlichen Synodal-gewalt unter J(onstanti1i dem Grossen, ilwe theologisclle Begri!ndung und il!re kircl!-liche Rezeption, ibidem, p. 137-152; G. RACOVENEANU, L'Oecumnicit. Point de vue de l'Orthodoxie roumaine, Lmnire et vie 8, 1959, p. 124-145 e infine Y. CoNGAR nella conclusione a Le Concile et les conciles, Paris, 1960, p. 287 e 317-318. Aveva gi fatto un'approfondita discussione del problema, J .F. ScHULTE, Die Steltung ... , p. 96-109.

    55 Ha sviluppato soprattutto questi problemi H. KuENG, Strukturen der Kirche, Freiburg 1962 riprendendo il precedente saggio Das theologisclle Verstiindnis des iikmneniscllm J(onzils, Tiibinger Theologische Quartalschrift 141, 1961, p. 50'-77.

  • G. ALBERIGO

    ultimi quattro concili, dal Lateranense V in poi, per suggerire interes-santi considerazioni 56 Infatti, al di l della loro autorit giuridica, le decisioni del Lateranense di Giulio II e Leone X non hanno trovato alcuna eco n attuazione dentro la chiesa cattolica, e tanto meno fuori. Le decisioni tridentine, malgrado fossero molto pi controverse, hanno invece esercitato, anche al di l dei confini confessionali delle chiese rimaste in comunione con Roma, un cospicuo influsso su tutto il cristia-nesimo occidentale, tanto che si pu parlare per questa area spirituale di un' et tridentina >> 57

    Le chiese cristiane hanno tenuto un atteggiamento completamente diverso, in Occidente come in Oriente, di fronte alle due costituzioni approvate dal Vaticano I. Particolarmente la costituzione sulle prero-gative papali rimasta fondamentalmente estranea sia alle chiese riformate che a quelle ortodosse ; anzi la stessa ricezione da parte della chiesa cattolica andata ben poco al di l di un'adesione formale, segnan-do quasi solo la fine del gallicanesimo, gi pervenuto per parte sua al termine della parabola declinante. E' significativo che non sia percepi-bile un influsso della Pastor aetermts nel senso di un approfondimento del valore proprio e specifico del servizio primaziale nell'economia globale della comunione ecclesiale, ma solo uno schieramento a favore o contro una crescente estensione dell'autorit del papa e della sua curia 58

    In occasione dell'annuncio, della celebrazione e ora dell'attuazione del Vaticano II si assiste ad un vasto, complesso e profondo fenomeno

    56. Il problema ancora ai margini della teologia .cattolica : K. RAHNER, Zur Tlleologie des J(onzils, in Sdwijten zur Tl!eologie, V Einsiedeln, 1962, p. 278-302; J. RATZINGER, Zttr Tlleologie des J(onzils, Catholica 15, 1961, p. 292-304 ; C. VAGAG-GIN1, Osservazioni intorno al concetto di concilio ewmenico, Divinitas 5, 1961, p. 4II-430. Il problema posto indirettamente da Fr. WETTER, Die sakramentale Struktur des J(onzils, Milnchener Tl!eologiscl!e Zeitsclwijt 17, 1966, p. 1-12 e lasciato in ombra da H. ]EDIN, Strukturprobleme der iikumenischen Konzilien, Koln u. Opladen 1963. Maggiore attenzione vi hanno dedicato C. TECKLENBURG J OHNS, Luthers Konzilsidee in ilwer llistoriscllen Bedingtl!eit mzd illrem rejormatorischm Neuansatz, Berlin 1966 e H.M. BIEDERMANN, Zter Prage der Synode in der Ortllodoxen Theologie, Ostkirclz-liclle Studien 16, 1967, p. II3-131, ma soprattutto esso stato dibattuto nel corso degli studi che il Segretariato di Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiesa ha dedicato alla teologia del Concilio, i cui risultati sono raccolti nel volume Konzile und die iikwnenische Bewegung, Genf, 1968. Sono di particolare interesse le pp. 16 e 17 del rapporto conclusivo e i saggi di L. STAN, Ueber die Rezeption der Besclllilsse der iikmneniscllm Konzile seitens der J(ircl!e (p. 72-81) e Rezeption. Prole-gomena zte einer systematisdzen Ueberlegtmg (p. 81-104).

    57 Cfr G. ALBERIGO, Vues nouvelles sur le concile de Trente, Concilium 7. 1965, p. 65-79

    58. Si ricordino le penetranti osservazioni formulate in proposito da R. AUBERT, L'ecclsiologie au concile du Vatican, in Le concile et les conciles, Paris, 1960, p. 245-284.

  • UNA CUM PATRIBUS

    di ricezione da parte di larghe aree delle chiese cristiane, al di l delle articolazioni confessionali. E' chiaro che non si tratta affatto di una ricezione formalizzata in atti classificabili secondo il diritto canonico, ma di un'accettazione molto pi articolata, diseguale, capace peraltro di esercitare un'influenza determinante ben pi interessante di quella che spesso sottesa ad un'obbedienza completa ma estrinseca. Si pu dire che dopo il Vaticano II e in larga misura a causa di esso le chiese cristiane hanno attuato profonde modificazioni sia di atteggiamenti dottrinali e di abiti mentali che di prassi e istituti ecclesiali. Pi che per il passato, oggi sembra difficile affrontare i rapporti tra chiesa e concilio senza riflettere a fondo su questa dimensione, che indica tutta la fecondit di un approfondimento della nozione di ecumenicit, sia per condurla definitivamente fuori dalle secche di una concezione rigida e schematica, restia ad ammettere l'esistenza di diversi gradi di ecumenicit, sia per cogliere la complementarit di diversi criteri dell'ecumenicit stessa, nessuno dei quali pu essere ritenuto decisivo senza cadere in contraddi-zioni storiche e teologiche insanabili 59.

    Giuseppe ALBERIGO

    59 Ho espresso alcuni punti di vista su queste questioni in Note di storia e teologia cot1ciliare, Ephemerides Theologicae Lovanienses 40, 1964, p. 81-103.

  • IMPRIMATUR: Lovanii, die ua februa rii 1970. t A. L. DESCAMPS,

    episc. Tuneten., rect. m. univ.

    ditions J. DucuLoT, S.A., r8, rue Pierquin, 58oo Gembloux (1970) (Imprim 811 Belgique) D.I970.00352o

  • BIBLIOTHECA EPHEMERIDUM THEOLOGICARUM LOVANIENSIUM

    XXVII

    Ecclesia a Spiritu Sancto edocta

    Lumen Gentium, 53

    Mlanges thologiques Hommage Mgr Grard Philips

    Verzamelde Theologische Opstellen aangeboden aan

    Mgr. Grard Philips

    ditions J. DUCULOT, S. A., GEMBLOUX (Belgique)

    160F_p0001_2R160F_p0002_1L160F_p0002_2R160F_p0003_1L160F_p0003_2R160F_p0004_1L160F_p0004_2R160F_p0005_1L160F_p0005_2R160F_p0006_1L160F_p0006_2R160F_p0007_1L160F_p0007_2R160F_p0008_1L160F_p0008_2R160F_p0009_1L160F_p0009_2R160F_p0010_1L160F_p0010_2R160F_p0011_1L160F_p0011_2R160F_p0012_1L160F_p0012_2R160F_p0013_1L160F_p0013_2R160F_p0014_1L160F_p0014_2R160F_p0015_1L160F_p0015_2R160F_p0016_1L160F_p0016_2R