ALBERI MONUMENTALI DEL VARESOTTO - Camera di Commercio Varese

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I T I N E R A R I LOMBARDIA NORD-OVEST N S ALBERI MONUMENTALI DEL VARESOTTO Testo e fotografie di PAOLO COTTINI

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ALBERI MONUMENTALIDEL VARESOTTOTesto e fotografie di PAOLO COTTINI

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ALBERI MONUMENTALIDEL VARESOTTO

Un ruolo davvero centrale nella vita degli antichi Romaniera ricoperto dal ‘luco’ o bosco sacro, collegato a un cultodendrologico che risaliva a epoche remote. Fin dai tempi deiprimi re, la città di Roma poteva vantare un numero altissi-mo di boschi ricchi di enormi alberi, in molti casi consacratia una divinità, come il Clivus Publicus, dedicato da ServioTullio a Diana, o il Lucus Libitinae, da cui si ricavava legna-me destinato esclusivamente alla fabbricazione di pire e cas-se da morto, poiché Libitina era la dea che presiedeva i

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funerali. La natura sacra di tali boschi faceva sì che ogniloro danneggiamento venisse considerato un sacrilegio,anche se comunque essi erano governati da un piano fore-stale sistematico. Anzi, una gran cura si ebbe riguardo all’ar-ricchimento delle essenze, introducendo specie che fosseroin sintonia con la tradizionale classificazione delle piante infelices e infelices: le prime producevano frutti utili, mentre leseconde no.

In questa logica inviolabile, fin dall’antichità ci si era pre-murati di introdurre specie esotiche, la cui natura fosse con-gruente con il culto della divinità cui dovevano essere consa-crate. In tal modo fecero la loro comparsa in Italia albericome il platano, che a detta di Teofrasto e di Plinio fu intro-dotto espressamente per decorare la tomba di Diomede,posta nelle isole Tremiti. Il culto e il rispetto per gli alberi,ovviamente, non erano prerogativa solo romana, ma riguar-davano tutto il bacino del Mediterraneo e, anzi, risalivano auna sorta di sentimento archetipico e universale. In Cipro,ad esempio, una legge vietava il taglio di qualunque piantad’alto fusto, così che quando il re macedone Demetrio riuscìa impadronirsene, esse avevano raggiunto dimensioni incre-dibili. Teofrasto (forse esagerando un po’) narra che alcuneavevano un diametro di 6 metri, tanto che Demetrio potécostruire con queste piante una nave di undici ordini diremi.

Con il passare del tempo, il culto degli alberi gradual-mente s’attenuò, senza però mai cessare del tutto (si pensial cosiddetto ‘albero cosmico’, al cristiano ‘Albero della vita’,ecc.) fin quasi ai giorni nostri. Gli ultimi secoli, peraltro, han-no registrato il livello più basso di rispetto da parte dell’uo-mo nei confronti di questi esseri vegetali, sempre più consi-derati alla stregua di beni puramente economici, privi cioè diquel contenuto sacrale che da sempre li aveva caratterizzati.Negli ultimi anni, tuttavia, si è assistito a una sorta di mar-cia indietro, con un insospettato riscatto di parte degli anti-chi valori, forse grazie non solo alle mode di tipo ‘ecologisti-co’, ma anche a un più sincero tentativo di recupero delletradizioni storiche e a una maggior considerazione delnostro territorio.

Su questa linea si è mosso anche un ente benemerito, ilCorpo forestale dello Stato, che, oltre a cercare di proteggerefisicamente il patrimonio vegetale, ha recentemente condot-to una vasta ricerca sugli alberi monumentali d’Italia, compi-lando un vero e proprio censimento nazionale degli esem-plari più interessanti. Il criterio di scelta non è stato impron-tato solo a dati di tipo strettamente botanico e dimensiona-le, ma si è allargato altresì a parametri di natura ‘storica’,interessando così piante importanti anche per il loro legame ▲

In copertina: Il celebre viale di platani sul lungolago di Luino.

A fronte: L’albero dei tulipani (Liriodendron tulipifera)di Villa Cagnola a Gazzada.

A destra: Una varietà coltivata di albero dei tulipani (Liriodendron tulipifera ‘Aureomarginatum’) nel parco ‘Bassetti’ di Gallarate.

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con la storia sociale della comunità o del territorio in genera-le. Sono state così redatte ben 22.000 schede di altrettantiindividui, 2000 dei quali, infine, hanno ricevuto una speciedi attestato morale di particolare eccezionalità.

Cliccando sul sito Internet del Cfs (Corpo Forestale delloStato.webmaster), siamo così in grado di scaricare un elencofatto non solo di nomi latini, di località e di dati dendrometri-ci, ma soprattutto di ‘storia’, magari con la ‘s’ minuscola,ma pur sempre storia di tutti noi. Ovviamente, come ammet-tono gli stessi responsabili del progetto, “un censimento diquesto tipo non può che restare aperto a ulteriori revisionie acquisizioni”, non pretendendo di aver già raccolto tuttala documentazione possibile relativa all’intero territorionazionale.

Ad esempio, prendendo in esame l’elenco dei ‘patriarchiverdi’ di grande importanza, che sono radicati in provincia diVarese, veniamo a sapere che essi sono 79, ma non è pernulla detto che questo numero non possa aumentare. Lanostra zona, è risaputo, annovera infatti un eccezionalenumero di giardini e parchi privati, molto spesso di originestorica, ciascuno dei quali potrebbe ospitare esemplari sfug-giti, per qualche motivo, agli operatori addetti al censimento.Inoltre, stabilire quali siano i parametri dell’eccezionalità di

un albero, soprattutto sotto il profilo della storia sociale e cul-turale di una comunità, non è cosa facile, perché ognuno dinoi vorrebbe, per fare un esempio alla buona, tramandarealla storia ‘quel’ certo esemplare perché lo conosce fin dallapropria infanzia o per le motivazioni più disparate.

L’elenco della Forestale ci assicura che alcune aree dellaprovincia sono ben ‘coperte’, come Luino (con 13 unità),Varese (10), Venegono Superiore (9) e così via, mentre altre,che pure possiedono un notevole peso sulla composizionedel quadro provinciale per diversi altri aspetti, neppuresono citate. Prendiamo come esempio non tanto BustoArsizio – che non ha mai vantato una particolare inclinazio-ne per giardini e parchi di un certo rilievo – quanto inveceGallarate, assai più vivace e versatile sotto questo profilo.Eppure così parlano, sia pure freddamente, la matematica ela statistica: nemmeno un ‘patriarca’ a Gallarate, ma nellavicina Somma Lombardo ve ne sono quattro, tutti nel Castel-lo visconteo. Abbiamo però preso Gallarate come esempio,proprio per dimostrare quanto affermato dal Cfs, vale a direche un censimento di alberi monumentali è un’opera sem-pre in progress, aperta quindi ai contributi anche dei cittadi-ni qualsiasi. Nel caso di GGaallllaarraattee, infatti, auspicheremmo unripensamento relativo al patrimonio del Parco Bassetti, realiz-

A fronte: Il vetustoplatano (Platanusorientalis) di VillaMirabello (Varese).

A destra: Una dellepiù belle coniferedi Lombardia: ilCedrus libani di VillaMirabello (Varese).

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Sotto: Sempre a Villa Mirabello di Varese vive questo magnificoesemplare di Ginkgo biloba.

A fronte: Il cedro d’Atlante (Cedrus atlantica ‘Glauca’) del CastelloVisconti (Somma Lombardo).

zato dall’omonima famiglia di industriali verso la fine dell’Ot-tocento su preesistenze settecentesche. La moda dell’esoti-smo vegetale di modello romantico vide qui operare sceltedavvero inconsuete, così che oggi, in quello che è ora il mag-gior giardino pubblico della città, si trovano specie vegetali dinotevole rarità. Ecco, questo è un altro parametro chepotrebbe essere preso in considerazione: la ‘rarità’, presanon in senso assoluto, bensì relativo a quella certa zona fito-climatica. Così, ad esempio, una betulla comune (Betulapendula) è una presenza banale in Lombardia, ma se lavediamo svettare in Sicilia, il discorso cambia, così comeaccadrebbe se una betulla dell’Etna (Betula aetnensis) si tro-vasse in Calabria. Questo a livello di flora spontanea, ma lecose non cambiano per la flora ornamentale: nei parchiamericani (lo abbiamo controllato nell’‘Arnold Arboretum’ diBoston) v’è sovrabbondanza di alberi di Gymnocladus dioica(una leguminosa simile alla robinia, ma assai più decorativain autunno), mentre l’esemplare che vive – non troppo bene– nel Parco Bassetti dovrebbe riscuotere maggior attenzione,data la sua ‘rarità’ nella nostra provincia. A poche decine dimetri di distanza, poi, svetta altissimo un Liriodendron tulipi-fera ‘Aureomarginatum’ dal fogliame splendido, soprattuttoin autunno ma anche in estate: una cultivar davvero pococomune nel Varesotto, oltretutto di altezza notevole. La spe-cie-tipo, da cui questa varietà è stata tratta, è piuttosto diffu-sa in molti parchi con superficie sufficientemente ampia dapoter ospitare una specie tanto imponente: gli esemplari chevivono, ad esempio, nella Vil la Cagnola di GGaazzzzaaddaaSScchhiiaannnnoo, pure meritevoli di citazione, hanno trovato quicondizioni ottime per svilupparsi in altezza e in diametro del-la chioma.

Non è insolito, poi, che determinate piante arboree, acausa delle favorevoli condizioni climatiche e pedologiche delnostro territorio, abbiano qui trovato un habitat addiritturamigliore rispetto a quello originario, così che molti esemplaridi quelle specie assumono facilmente proporzioni meritevolidi essere menzionate in un censimento di questo tipo. Ciriferiamo, ad esempio, alle conifere del genere Cedrus, cheda noi non faticano certo a diventare grandi, grosse e belle,anche se poi gli esperti di arboricoltura ci mettono in guardiadai facili entusiasmi, perché, dicono, ciò che si guadagna inun senso (accrescimento troppo veloce) si può pagare in unaltro (tendenza alle debolezze strutturali). Come che sia, laprovincia va famosa per la maestosità di cedri di ogni specie,che troviamo distribuiti un po’ su tutto il territorio, da Luino aSSoommmmaa LLoommbbaarrddoo. In quest’ultima sede, all’interno del giar-dino del Castello che fu dei marchesi Visconti di San Vito,troneggia in mezzo a un prato un notevole cedro d’Atlante(Cedrus atlantica ‘Glauca’), che lancia verso l’alto i suoi foltirami per una trentina di metri. Tuttavia, il cedro più bello eimponente del Varesotto e forse d’Italia crediamo sia il cedrodel Libano (Cedrus libani) che vive nel giardino di Villa Mira-bello di VVaarreessee. In questo caso, le vicende storiche e le scel-te dei proprietari (prima i Taccioli, poi i Litta Modignani) suc-cedutisi in questo arioso ambiente, affacciato sul lago e sulla

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catena alpina, gli hanno consentito di svilupparsi con agio,espandendo senza costrizioni la sua splendida chioma. Di que-sto albero, ciò che suscita maggiormente la nostra ammirazio-ne, non è tanto l’altezza – non gigantesca, sui 28 metri – quantolo splendido portamento, con una corona perfetta, con i tipicirami a ‘palchi’, e soprattutto con il massiccio innalzarsi a cande-labro dei numerosi tronchi: quello basale è enorme, con una cir-conferenza di 9,30 metri, ma se si comprende anche un ramoche nasce quasi dal terreno, essa supera gli 11 metri. Una tradi-zione orale – per quanto ne sappiano non suffragata da unasicura documentazione – gli attribuisce più di due secoli di vita,ma la realtà storica e anche scientifica lo vuole assai più giova-ne, facendoci ipotizzare un’età massima di circa 160 anni, con-fermata da una recente indagine dendrocronologica. Sempreall’interno della stessa Villa Mirabello, a non molta distanza dalcedro secolare, vivono altre specie degne d’attenzione, come unplatano (Platanus orientalis), posto a nord della villa, che vantaun’altezza di 32 metri e un tronco con una circonferenza di oltre5,50 metri, ma soprattutto un ginkgo (Ginkgo biloba), nonsegnalato nel censimento, ma incantevole nella sua veste autun-nale. A lungo si è ritenuto che questa specie fosse d’origine giap-ponese, ma solo nel 1950 si è scoperto che, se

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Il Corpo forestale dello Stato harecentemente condotto una vastaricerca sugli alberi monumentalid’Italia, compilando un vero e proprio censimento nazionaledegli esemplari più interessanti.Sono state così redatte ben22.000 schede di altrettanti indivi-dui, 2000 dei quali, infine, hannoricevuto una specie di attestatomorale di particolare eccezionalità.

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Sopra: L’imponente gruppo di faggi nel parco delle Ville Ponti (Biumo Superiore di Varese).

A fronte: Il cerro (Quercus cerris) di Villa Menafoglio-Litta-Panza (Biumo Superiore di Varese).

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ai giapponesi va dato il merito di averla coltivata per secoli, inrealtà la sua patria era la Cina, in un’area montuosa a sud delfiume Yangtze, a cavallo fra le province di Anhwei e Chekiang.Sia in Cina sia in Giappone, in ogni caso, esso è sempre statoconsiderato un albero sacro ed è quindi messo a dimora accan-to ai templi buddisti, dove si cerca di ricorrere ai soli esemplarimaschili, poiché quelli femminili producono frutti maleodoranti.

VVaarreessee, come si è detto, vanta un numero di presenze‘patriarcali’ più o meno analogo a quello di altri comuni, comeLuino e Venegono Superiore, ma questi ultimi le vedono quasitutte concentrate in due soli ambienti storici (Villa ‘Fonte Viva’,nel primo caso, e Villa Caproni di Taliedo nel secondo). Il capo-luogo, invece, le ha distribuite qua e là in tutto il territorio comu-nale, tanto in siti privati, quanto in spazi oggi pubblici. Oltre alledue piante sopra segnalate, diversi altri monumenti vegetalisono radicati qua e là, in ambienti molto diversificati, anche per-ché la città è caratterizzata da uno sviluppo urbanistico del tuttosingolare, determinato da un andamento geomorfologico cheha visto le varie ‘castellanze’, sorte su rilievi o poggi, disporsi acorona attorno all’ovale pianeggiante creato dal torrente Vellone.Il colle più ‘nobile’ della città, quello di Biumo Superiore, ècostellato di giardini storici privati uno più bello dell’altro, tutti

Sotto: Racchiuso fra gli edifici dell’Istituto dei Padri Salesiani (Varese)giganteggia la grande sequoia (Sequoiadendron giganteum).

A destra: Il faggio a foglia di felce (Fagus sylvatica ‘Asplenifolia’) di Villa Toeplitz (Sant’Ambrogio di Varese).

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dotati di qualche esemplare notevole. Fra tutti, la nostra sceltacade su una quercia (Quercus cerris), gigantesca e molto benformata, posta a conclusione del parterre mozzafiato che sistende davanti alla villa, la quale nel Settecento appartenne almarchese Paolo Menafoglio e oggi è stata donata dal contePanza al Fai, per realizzarvi un pre-stigioso Museo d’arte contempora-nea. La sua altezza (37 metri) e lacirconferenza del tronco (4,70metri) sono dati che non riesconoa comunicare tutta l’emozione chequesto albero riesce a trasmettereai visitatori del giardino in una bel-la giornata invernale, sullo sfondodelle Alpi innevate. Proprio di fron-te a Villa Panza, si apre un grandeparco paesaggistico, quello delleVille Ponti, di proprietà della Came-ra di Commercio di Varese, dovesopravvivono interessanti speciequi introdotte dagli industriali Pontinel XIX secolo: fra loro, un romanti-co e avvincente gruppo di faggi(Fagus sylvatica) di grande impat-to, soprattutto nella varietà ‘Pendu-la’. Il nostro giro fra le dimore stori-che di Biumo Superiore non puòterminarsi senza una visita a Villa‘San Francesco’, oggi Veratti, dovela dolcezza delle linee architettoni-che, che caratterizza questo giardi-no molto ben curato, si sposa per-fettamente con la scelta delle spe-cie, una delle quali si presentacome una sentinella posta all’in-gresso della proprietà: un magnifico cipresso del Kashmir(Cupressus cashmeriana), alto 30 metri, che è riuscito a svilup-pare una chioma folta e compatta a dispetto della localizzazionepiuttosto angusta. Ma la città di Varese riserva altre piacevolissi-me sorprese, che non possono essere sottaciute anche se noncompaiono nell’elenco del Corpo forestale. Almeno tre di loro cilasciano a bocca aperta, per lo stupore che si prova di frontealle preziosità che la natura, con l’aiuto dell’uomo, riesce a

creare. La prima è la celeberrima magnolia di Soulange(Magnolia x soulangeana) del giardino Bellotti-Baroggi di viaSanvito, in pieno centro cittadino, la quale in primavera si rico-pre di centinaia di delicatissimi fiori a coppa, a beneficio di tuttii passanti. In questa villa visse il milanese Cristoforo Bellotti,

proprietario intorno al 1840, mala magnolia qui piantata da lui o,assai più probabilmente, da unsuo discendente, pur sembrandoultracentenaria non potrebbecomunque essere più anziana di170 anni, per il semplice fattoche anteriormente al 1828 que-sta pianta non esisteva del tutto,trattandosi di un ibrido creatodall’uomo proprio in quell’anno.Il secondo albero importante delcentro urbano è una conifera,racchiusa fra le mura dell’edificioche oggi è sede dell’Istituto reli-gioso dei Salesiani: si tratta diun’imponente sequoia (Sequoia-dendron giganteum), che rappre-senta uno degli ultimi brandellivegetali della Varese ottocente-sca, quando cioè il borgo eraancora pullulante di giardini ealberi, prima di lasciare il posto apalazzi e asfalto. Questa piantaoriginaria della California (doveraggiunge dimensioni incredibili esoprattutto età da contarsi in mil-lenni) è la superstite di un vec-chio giardino privato, quello dicasa Grossi, realizzato nei primi

decenni dell’Ottocento a ridosso della piazza del Cappello (oraBeccaria). Un terzo ‘campione’ varesino, anche se non inclusonella lista dei ‘patriarchi’, va non solo menzionato, ma soprattut-to ammirato, se possibile, nella sua veste autunnale: è il faggioa foglia di felce (Fagus sylvatica ‘Asplenifolia’) che vive nel giar-dino-parco di Villa Toeplitz. Ai primi di novembre – lo assicuria-mo a chi non avesse mai visitato questo seducente ambientenovecentesco – la chioma giallo-ruggine della pianta è a dir

A fronte: Un’altra immagine dei tronchi massicci dei platani di Luino.

Sotto: Un raro cipresso del Kashmir (Cupressus cashmeriana), nel parco di Villa Veratti (Biumo Superiore di Varese).

Il mitico, scenografico viale di platani, che da sempre costituisce ilbiglietto da visita di Luino, purtroppo, negli ultimi anni è stato semidistrut-to da due mali congiunti, il cosiddetto ‘cancro colorato’ del platano eun’improvvida legge, dannosa e inutile, che dovrebbe combatterne ladiffusione mediante l’abbattimento di piante malate e sane.

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poco commovente, non meno delle robuste radici affiorantisul terreno, che tengono saldamente in piedi un gioiello dicui tutti siamo proprietari.

Abbandonando il capoluogo e dirigendoci verso il norddella provincia, non dimentichiamo di percorrere la via Cam-pigli, dove, all’altezza della località ‘Truno’ ancora respiranogli ultimi stomi di un vecchissimo e riverito antenato dellavegetazione di città, quel castagno (Castanea sativa) la cuirinomanza è legata tanto al suo portamento, ormai stanco esfinito come quello di un sovrano che ha perso il proprioregno, quanto alla sua posizione strategica lungo la stradaper Masnago.

Arrivati nel Gaviratese, chiediamo della frazione di CCaallddaa--nnaa ddii OOrriinnoo: nel centro del paese viveva, fino al marzo scor-so, un albero ‘utile e bello’, un grosso noce (Juglans regia).Gli abitanti di questo paesino, abituati da troppo tempo aconversare e prendere decisioni all’ombra della sua chioma– esattamente con lo stesso spirito che regolava la vita neivillaggi di secoli fa – non potranno mai rassegnarsi adammettere che le malattie colpiscono perfino i nostri buoniantenati, anche coloro che ci hanno visto nascere, giocare,sposarci e incanutire sotto le loro odorose foglie. Il Corpoforestale ha senz’altro avuto le sue buone motivazioni pernon ammettere nell’olimpo degli alberi monumentali esem-plari come questo, ma sicuramente comprenderà le ragioniche ci spingono a rammaricarcene, perché il concetto dimonumentalità, pur partendo da ovvi dati oggettivi, non puòdisconoscere gli affetti che legano una comunità a una pian-ta speciale, anzi alla ‘sua’ pianta. Identico discorso va fattoanche per il tiglio (Tilia cordata) di OOrriinnoo, che merita tutte leattenzioni, non solo perché ha raggiunto dimensioni conside-revoli soprattutto per l’espansione della chioma, ma anche acausa del magico sposalizio che si celebra quotidianamentefra l’esemplare e l’ambiente che lo ospita, a ridosso delcimitero e della chiesa di San Lorenzo, davanti alla quale siapre un agreste e mistico sagrato.

All’estremo nord della provincia, si giunge alla vivace esempre piacevole LLuuiinnoo, che soprattutto nel XIX secolo è sta-ta oggetto d’attenzione di molti possidenti milanesi, come inobili Crivelli Serbelloni, i quali qui realizzarono stupefacentiville e parchi, ricchi di essenze d’ogni genere. Già si è vistoche la Villa ‘Fonte Viva’ vanta ben otto dei tredici ‘monumen-ti’ cittadini (Quercus coccinea, Sequoia sempervirens,Aesculus hippocastanum, e così via), tutti da ammirare eproteggere. Tuttavia, non crediamo di soffrire di eccessivamiopia se ci limitiamo a puntare la nostra attenzione sulmitico, scenografico viale di platani (Platanus orientalis) cheda sempre costituisce il biglietto da visita di Luino, benconosciuto dai milioni di frequentatori del celeberrimo mer-cato del mercoledì. Questo viale, purtroppo, negli ultimi anniè stato semidistrutto da due mali congiunti, il cosiddetto‘cancro colorato’ del platano (Ceratocystis fimbriata) e

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un’improvvida legge, dannosa e inutile, che dovrebbe combat-terne la diffusione mediante l’abbattimento di piante malate esane. A dispetto delle due sciagure, alcuni esemplari sonorimasti in piedi con i loro tronchi enormi, lì a dimostrare chela potenza di questa specie, amata sin dai tempi dei Romani,forse riuscirà a vincere l’impari lotta.

Lasciando Luino e costeggiando la dolce sponda del Ver-bano, si arriva a IIsspprraa, altra sede di ville e giardini storici ditutto rispetto. In una di queste residenze, Villa Quassa, giàappartenuta dapprima al generale Raffaele Cadorna e poi aiconti Castelbarco Albani, isolato sulla spianata erbosa cheguarda il lago, s’innalza, sottile ed elegantissimo, il tronco diuna specie tipicamente lombarda, il pioppo cipressino (Popu-lus nigra ‘Italica’). È una pianta non molto longeva, ma unesemplare come questo, alto 27 metri e con una circonferen-za di oltre 4 metri, deve godere della massima tutela. Ancheper ricordare a tutti che la costituzione di questa varietà dipioppo avvenne, forse nel Settecento, nella nostra regione,tanto che gli Inglesi le assegnarono il nome comune di Lom-bardy Poplar.

A fronte, sopra: Il vetusto e malandato castagno del Truno (via Campigli, Varese).

A fronte, sotto: La magnolia di Soulange (Magnolia x soulangeana) della Villa Bellotti-Baroggi a Varese.

Sopra: Il tiglio (Tilia cordata) di Orino in Valcuvia.

In IV di copertina: Sulla sponda del lago Maggiore, nella Villa Quassadi Ispra, si innalza il superbo pioppo cipressino (Populus nigra ‘Italica’).

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