Al via i Nuovi Processi Per i Matrimoni _falliti_. Ma Quanta Confusione

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Al via i nuovi processi per i matrimoni "falliti". Ma quanta confusione Il Vaticano prima tiene in vita e poi abroga l'efficiente sistema dei tribunali regionali introdotto in Italia da Pio XI. In pericolo anche il riconoscimento civile delle nuove sentenze. Le critiche di un canonista di Sandro Magister ROMA, 16 dicembre 2015 – Dal giorno dell'Immacolata sono in vigore in tutto il mondo i due motu proprio – il secondo per le Chiese cattoliche di rito orientale – con cui papa Francesco ha rivoluzionato i processi di nullità matrimoniale: > “Mitis iudex Dominus Iesus” > “Mitis et misericors Iesus” L'esordio è stato però alquanto tormentato. Non solo per le critiche severe che autorevoli esperti hanno rivolto all'impianto della riforma, ma anche per i tentennanti aggiustamenti apportati dalle autorità vaticane ai due motu proprio, prima e dopo la loro entrata in vigore. * Il primo di questi aggiustamenti porta la data del 13 ottobre ed è un responso a firma del presidente del pontificio consiglio per i testi legislativi, il cardinale Francesco Coccopalmerio, e del segretario dello stesso organismo, il vescovo Juan Ignacio Arrieta: > "Reverendissimo Monsignore…" Il richiedente voleva sapere come mettere d'accordo l'imperativo della riforma di papa Francesco di creare in ogni diocesi un tribunale per le cause di nullità matrimoniale con l'ordinamento stabilito per l'Italia da papa Pio XI con il motu proprio "Qua cura" dell'8 dicembre 1938, che assegnava la trattazione di tali cause a dei tribunali interdiocesani, uno per ogni regione. La risposta del pontificio consiglio per i testi legislativi è stata che il motu proprio "Qua cura" di Pio XI restava in Italia "in pieno vigore". E quindi se un vescovo intendeva staccarsi dal rispettivo tribunale regionale per istituire un tribunale nella propria diocesi, doveva prima "ottenere la relativa Al via i nuovi processi per i matrimoni "falliti". Ma quanta confusione http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351193 1 di 7 21/12/2015 17.47

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La nuova riforma di Francesco sull'annullamento in crisi

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Al via i nuovi processi per i matrimoni "falliti". Ma quantaconfusioneIl Vaticano prima tiene in vita e poi abroga l'efficiente sistema dei tribunali regionali introdotto inItalia da Pio XI. In pericolo anche il riconoscimento civile delle nuove sentenze. Le critiche di uncanonista

di Sandro Magister

ROMA, 16 dicembre 2015 – Dal giorno dell'Immacolata sono in vigore in tutto il mondo i due motuproprio – il secondo per le Chiese cattoliche di rito orientale – con cui papa Francesco harivoluzionato i processi di nullità matrimoniale:

> “Mitis iudex Dominus Iesus”

> “Mitis et misericors Iesus”

L'esordio è stato però alquanto tormentato. Non solo per le critiche severe che autorevoli espertihanno rivolto all'impianto della riforma, ma anche per i tentennanti aggiustamenti apportati dalleautorità vaticane ai due motu proprio, prima e dopo la loro entrata in vigore.

*

Il primo di questi aggiustamenti porta la data del 13 ottobre ed è un responso a firma del presidentedel pontificio consiglio per i testi legislativi, il cardinale Francesco Coccopalmerio, e del segretariodello stesso organismo, il vescovo Juan Ignacio Arrieta:

> "Reverendissimo Monsignore…"

Il richiedente voleva sapere come mettere d'accordo l'imperativo della riforma di papa Francesco dicreare in ogni diocesi un tribunale per le cause di nullità matrimoniale con l'ordinamento stabilito perl'Italia da papa Pio XI con il motu proprio "Qua cura" dell'8 dicembre 1938, che assegnava latrattazione di tali cause a dei tribunali interdiocesani, uno per ogni regione.

La risposta del pontificio consiglio per i testi legislativi è stata che il motu proprio "Qua cura" di PioXI restava in Italia "in pieno vigore". E quindi se un vescovo intendeva staccarsi dal rispettivotribunale regionale per istituire un tribunale nella propria diocesi, doveva prima "ottenere la relativa

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'dispensa' della Santa Sede", facendone richiesta al tribunale della segnatura apostolica.

Il cardinale Coccopalmerio, oltre che presidente del pontificio consiglio per i testi legislativi, è statoanche membro delle commissione creata da papa Francesco il 27 agosto 2014 per preparare lariforma dei processi matrimoniali. Tutto faceva presumere, quindi, che la sua risposta fossedefinitiva, anche perché l'organizzazione processuale introdotta in Italia da Pio XI ha dato fino adoggi buona prova, sia per la facilità di accesso ai tribunali, sia per la serietà dei processi, sia per laquasi gratuità degli stessi, con i maggiori costi a carico della conferenza episcopale.

Invece, meno di un mese dopo, ecco arrivare da un'altra istanza vaticana – e su mandato del papa– una presa di posizione di segno diverso, se non opposto.

*

È il 4 novembre e nel Palazzo della Cancelleria si tiene l’atto di apertura del nuovo annoaccademico dello Studio rotale. Tre giorni dopo, "L'Osservatore Romano" riferisce chenell'introdurre la cerimonia il decano della Rota romana, monsignor Pio Vito Pinto – già presidentedella commissione di stesura dei motu proprio –, ha letto la seguente dichiarazione:

"Il Santo Padre, al fine di una definitiva chiarezza nell’applicazione dei documenti pontifici sullariforma matrimoniale, ha chiesto al decano della Rota romana che venga chiaramente manifestatala mens del supremo legislatore della Chiesa sui due motu proprio promulgati l’8 settembre 2015:

"1. Il vescovo diocesano ha il diritto nativo e libero in forza di questa legge pontificia di esercitarepersonalmente la funzione di giudice e di erigere il suo tribunale diocesano;

"2. I vescovi all’interno della provincia ecclesiastica possono liberamente decidere, nel caso nonravvedano la possibilità nell’imminente futuro di costituire il proprio tribunale, di creare un tribunaleinterdiocesano; rimanendo, a norma di diritto e cioè con licenza della Santa Sede, la capacità chemetropoliti di due o più province ecclesiastiche possano convenire nel creare il tribunaleinterdiocesano sia di prima che di seconda istanza".

Questa volta del motu proprio "Qua cura" di Pio XI non si fa parola. L'orizzonte non è più italianoma mondiale. Ma l'insistenza sul "diritto nativo e libero" che ogni vescovo diocesano ha di erigereil suo tribunale fa intuire che a giudizio del papa – la sua "mens" – non c'è più bisogno di alcuna"dispensa" da norme precedenti, né in Italia né altrove.

Evidentemente, però, questa dichiarazione di monsignor Pinto, a nome del papa, non brilla diquella "chiarezza" che a parole decanta. Tant'è vero che un mese dopo Francesco si sente indovere di intervenire nuovamente, ma in forma più diretta e ufficiale, con un rescritto "ex audientia"consegnato il 7 dicembre al decano della Rota romana, ancora lui, e reso pubblico l'11 dicembre:

> Rescritto del Santo Padre Francesco…

Il rescritto si articola in un'introduzione e in due parti.

La prima delle due parti è di poche righe e archivia per sempre il "Qua cura" di Pio XI e altre normeanaloghe del passato:

"Le leggi di riforma del processo matrimoniale succitate abrogano o derogano ogni legge o normacontraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in formaspecifica (come ad es. il motu proprio 'Qua cura', dato dal mio antecessore Pio XI in tempi bendiversi dai presenti)".

Nella seconda sezione si vieta il ricorso alla Rota romana "dopo che una delle parti ha contratto unnuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione".Ed è il punto sottoposto a severa critica dal canonista Guido Ferro Canale, nella nota alla fine diquesto servizio.

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Mentre nell'introduzione la frase emblematica è la seguente:

"Le leggi che ora entrano in vigore vogliono proprio manifestare la prossimità della Chiesa allefamiglie ferite, desiderando che la moltitudine di coloro che vivono il dramma del fallimentoconiugale sia raggiunta dall’opera risanatrice di Cristo, attraverso le strutture ecclesiastiche,nell’auspicio che essi si scoprano nuovi missionari della misericordia di Dio verso altri fratelli, abeneficio dell’istituto familiare".

Si può notare come qui si continui ad adottare una formula, quella del "fallimento coniugale", chegià nel motu proprio “Mitis iudex Dominus Iesus” aveva sollevato critiche da parte di giuristi.

Dire "matrimonio fallito", infatti, non è la stessa cosa che dire "matrimonio nullo". La nullità èpropria di un matrimonio che non è mai stato tale, mentre il fallimento può riguardare unmatrimonio in sé validissimo.

L'uso dell'espressione "matrimonio fallito" può indurre a pensare che le sentenze di nullità sianoequiparabili a dei divorzi, cioè proprio ciò che lo stesso papa Francesco sembra temere là dovescrive, nel proemio del motu proprio “Mitis iudex Dominus Iesus”, a proposito della facilità erapidità dei nuovi processi:

"Non mi è sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principiodell’indissolubilità del matrimonio".

*

Ma c'è di più. La riforma dei processi matrimoniali promulgata da papa Francesco può incontrareserie difficoltà di applicazione anche in campo civile, oltre che in campo ecclesiastico.

In paesi a regime concordatario come l'Italia le sentenze di nullità emesse da un tribunaleecclesiastico hanno effetti civili attraverso la "delibazione" – o "exequatur" –, cioè l'atto con cui iltribunale civile attribuisce forza esecutiva alla sentenza del tribunale ecclesiastico, equiparandolaa una sorta di divorzio.

La "delibazione" è data però a condizione che la sentenza del tribunale ecclesiastico – comeanche di un tribunale straniero – sia stata emessa dopo un regolare contraddittorio nel quale leparti abbiano avuto pari opportunità di accusa e di difesa.

Ora, il processo "più breve" con giudice unico il vescovo, la maggiore novità introdotta eincoraggiata dalla riforma di Francesco, che può arrivare a sentenza in meno di due mesi con unaprocedura sommaria, per un tribunale civile italiano manca dei requisiti indispensabili per una"delibazione".

È quindi facile prevedere il contrasto che ne deriverà tra i due regimi giuridici, quello dell'Italia equello della Chiesa.

Ma il caso italiano sarà solo uno fra tanti.

Eleggendo ogni vescovo a economo della grazia nella sua diocesi, con poteri fulminei discioglimento dei matrimoni "falliti", papa Francesco ha posto un precedente che avrà seri effettianche "extra ecclesiam", con contraccolpi giuridici diversi da nazione a nazione.

*

Tornando al rescritto papale del 7 dicembre, nel quale si vieta il ricorso alla Rota romana "dopoche una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che constimanifestamente dell’ingiustizia della decisione", ecco qui di seguito le conseguenze che nederivano, a giudizio di un giovane canonista di valore come Guido Ferro Canale.

L'analisi è molto tecnica ma nello stesso tempo chiara. Anche se dopo una sentenza di nullità e

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un nuovo matrimonio canonico si palesasse l'ingiustizia della sentenza, Ferro Canale mostrache le contraddizioni del dispositivo rendono comunque impraticabile un ricorso alla Rota. Inpratica – scrive – varrà da qui in avanti la regola che “nel dubbio si sta per le nuove nozze”. Eciò "equivale a negare l'indissolubilità del primo matrimonio", attribuendo di fatto a una purdubbia sentenza, una volta celebrate le nuove nozze, l'effetto d'aver sciolto il precedente vincolomatrimoniale.

Ma lasciamo la parola al canonista.

__________

Dal rimedio per divorziati al divorzio cattolicodi Guido Ferro Canale

La riforma dei processi di nullità matrimoniale varata con il motu proprio "Mitis iudex" hasuscitato molte perplessità e una ridda di commenti critici; che io sappia, però, soltanto ilprofessor Danilo Castellano, in un'intervista su questo sito, si è soffermato su una delleinnovazioni a mio avviso più criticabili, ossia il nuovo canone 1675, secondo cui il giudice,prima di ammettere alla trattazione un giudizio di nullità, "deve avere la certezza che ilmatrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenzaconiugale".

Dovrebbe essere piuttosto evidente che vi sono matrimoni falliti che non sono affatto nulli e,viceversa, matrimoni nulli che non falliscono (almeno per molto tempo). Subordinare l'avvio delprocesso, cioè dell'accertamento sulla validità del vincolo del matrimonio-atto, ad unacondizione estrinseca come il fallimento del matrimonio-rapporto, equivale ad affermare che laChiesa non ha interesse ad accertare la verità su un sacramento, a meno che non siasopravvenuta una crisi irreversibile della coppia. Il che, sia detto per inciso, lascerebbesprovvisti di tutela proprio i coniugi più coscienziosi – o scrupolosi – che, agitati da dubbi sullavalidità del loro matrimonio, volessero vederli risolti dall'autorità ecclesiastica, senza però averfatto “saltare” la loro unione. A tutto vantaggio, invece, di separati e divorziati che convivano, iquali, proprio in forza della nuova convivenza, ben potranno dirsi impossibilitati (almenomoralmente) a ristabilire quella di prima.

A dire il vero, un'interpretazione rigorosa e attenta ai diritti delle parti dovrebbe evitare similieffetti perniciosi, riducendo il can. 1675 ad un obbligo di informazione previa, che noncomporterebbe l'inammissibilità o l'improcedibilità per mancanza di una previsione legaleespressa (cfr. cann. 10 e 18). Tuttavia, è lecito dubitare della "mens legislatoris", dato che le"Regole procedurali" annesse al motu proprio riservano la nuova "investigatio praeiudicialis" aseparati o divorziati che dubitano o sono certi della nullità del proprio matrimonio (n. 3) e, nelpreambolo, assegna ai tribunali in materia matrimoniale il compito di rispondere ai fedeli chechiedono la verità sull'esistenza del vincolo “sui collapsi matrimonii”.

Ma, comunque sia, l'innovazione testé menzionata impallidisce rispetto al rescritto "exaudientia" del 7 dicembre, pubblicato l'11 successivo dal bollettino della sala stampa della SantaSede.

In esso – che, pur denominato “rescritto”, presenta in realtà tutti i requisiti formali del breve,tranne forse il suggello dell'"anulus Piscatoris" – papa Jorge Mario Bergoglio ha voluto risolveredefinitivamente il dubbio interpretativo sulla possibilità, per i vescovi italiani, di ricostituire itribunali diocesani e, soprattutto, impartire disposizioni per un primo adeguamento alla riformadelle norme speciali della Rota romana.

Nel fare ciò, Francesco ha ripreso, rendendole stabili, alcune facoltà speciali accordate daBenedetto XVI, per un triennio, al decano della Rota stessa, con un rescritto "ex audientia"

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singolarmente emanato proprio l'11 febbraio 2013, il giorno della sua rinuncia al pontificato.Tale rescritto prevedeva tra l'altro, per quanto interessa in questa sede, il divieto di introdurrericorsi per nuova proposizione di causa, se, divenuta esecutiva la sentenza di nullità, una delleparti avesse contratto nuovo matrimonio canonico.

La nuova proposizione di causa è il rimedio accordato dal diritto (can. 1644) contro lesentenze in materia di stato delle persone – quindi anche sullo stato libero o coniugato – nonpiù impugnabili in altro modo, quando si danno nuove prove o nuovi argomenti,che rendonoprobabile la riforma della sentenza stessa (cfr. istruzione "Dignitas connubii", art. 292). Nelcaso, quindi, avremmo una dichiarazione di nullità probabilmente sbagliata, che però non vienesottoposta a nuova verifica giudiziale, in virtù di un dato assolutamente estrinseco alla veritàsul primo matrimonio, ossia la sopravvenienza del secondo. Il quale però – è evidente – sta ocade con la nullità del primo.

Questa previsione delle facoltà speciali è stata, perciò, vivamente criticata in dottrina, tra glialtri da Mons. Joaquin Llobell, uno dei massimi studiosi viventi del processo canonico, materiadi cui è professore ordinario alla Pontificia Università della Santa Croce. Probabilmente perquesto motivo non è stata ripresa dal "Mitis iudex", che, al nuovo can. 1681, conferma che lanuova proposizione di causa è sempre esperibile sul presupposto degli argomenti nuovi egravi.

Il motu proprio, ci informa ora il rescritto del 7 dicembre, abroga o deroga "ogni legge o normacontraria finora vigente, generale, particolare o speciale", quindi, con la sua entrata in vigore,sarebbe caduta anche la preclusione in discorso; ma, presumibilmente su iniziativa del decanodella Rota, essa è stata riproposta nel rescritto stesso, al punto 3, peraltro in una versioneattenuata, si suppone per tener conto delle critiche ricevute. La nuova versione recita: "Dinanzialla Rota romana non è ammesso il ricorso per la N.C.P. (Nova Causae Propositio), dopo cheuna delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamentedell’ingiustizia della decisione".

Anzitutto, chiariamo che il divieto, formalmente limitato alla Rota romana, in realtà è generale,perché la N.C.P. si propone al tribunale di terza istanza (cfr. il nuovo can. 1681), che, nellaChiesa latina, è appunto la Rota. Vi sono solo altri tre giudici competenti in pianta stabile per ilterzo grado, e tutti per un ambito territoriale circoscritto: la Rota della nunziatura apostolica inSpagna (che giudica anche in quarto grado), il tribunale del primate di Ungheria e quello diFriburgo in Brisgovia; quindi, per un verso la generalità dei fedeli di rito latino è soggetta ainuovi limiti posti alla N.C.P.; peraltro ci si può chiedere se essi non debbano estendersi anchea questi tribunali locali, dato che non ha senso né offrire maggiori possibilità di azione solo aifedeli che ivi abbiano introdotto le proprie cause, né attribuire al tribunale del papa unacompetenza minore rispetto agli altri, né, infine, conculcare il diritto di appello – in questo caso,per N.C.P. – alla sede apostolica, che spetta ad ogni fedele in virtù del primato pontificio (cfr.can. 1417 §1). È vero, come osservava Mons. Llobell in sede di commento alle facoltàspeciali, che le norme restrittive di diritti non possono essere estese dall'interprete a casi ivinon previsti (cfr. can. 18); tuttavia, la lettura restrittiva, in sé appropriata, porta ad esiti assurdie, per giunta, contrastanti con un corollario del primato di giurisdizione del papa. Per quantopossa sembrare strano che si modifichi in dicembre – senza neanche dirlo esplicitamente –una norma riconfermata in agosto, sono dell'avviso che il rescritto, di fatto, modifichi il nuovocan. 1681, introducendo una regola di procedura valida per l'intera Chiesa latina, anche neicasi che potrebbero essere portati ad un giudice di terza istanza diverso dalla Rota.

Ciò detto, veniamo agli effetti della restrizione così introdotta.

Probabilmente, l'estensore materiale del rescritto ha creduto di aver trovato una formulaidonea a superare le critiche formulate riguardo alla corrispondente facoltà speciale. Di fatto,tuttavia, ha peggiorato notevolmente la situazione. Se prima infatti si poteva pensare ad unadisposizione di carattere eccezionale e transitorio, legata alla necessità di smaltire l'arretratodella Rota, ora ci troviamo di fronte ad una norma permanente. E anche il suppostomiglioramento, che fa salvo il caso in cui "consti manifestamente dell’ingiustizia delladecisione", crea molti più problemi di quelli che risolve. La formula impiegata, in effetti, è la

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stessa che il can. 1645 § 1 impiega per descrivere il presupposto della "restitutio in integrum";e il successivo § 2 stabilisce tassativamente quali siano i casi di manifesta ingiustizia. Difficilenon pensare che quest'elenco valga anche per la N.C.P., come modificata dal rescritto del 7dicembre.

Senonché, dalla semplice lettura del can. 1645 § 2, è agevole desumere che difficilmentepotrà rientrarvi il caso, in la verità non così raro, in cui una parte, in genere quella che hachiesto e ottenuto la declaratoria di nullità, confessi di aver mentito e/o manovratoingiustamente a tale scopo: non sembra che si tratti di dolo di una parte in danno dell'altra (n.3), sia perché potrebbe esservi stata collusione di entrambe (o indifferenza dell'altro coniugeall'esito del giudizio canonico) sia perché, dal punto di vista spirituale, l'autore della frodeprocessuale danneggia anzitutto sé stesso; di sicuro, poi, non ci troviamo in presenza diprove scoperte false (n. 1), perché la falsità era nota fin dall'inizio, almeno al ricorrente; e lasua dichiarazione confessoria, anche se redatta per iscritto, non si qualificherebbe certocome un documento “scoperto” dopo la sentenza (n. 2). Inoltre, le prove false debbonoessere state assunte ad unico fondamento della decisione; il che lascia scoperti quei casi incui sono state valutate decisive insieme con altri elementi, dimodoché la riforma dellasentenza appaia probabile, ma non certa. Queste ipotesi sarebbero normalmente copertedalla N.C.P., ma non lo sono in caso di "restitutio in integrum".

La differenza si spiega agevolmente: la "restitutio" non si applica mai alle sentenze di nullitàmatrimoniale, ma soltanto alle decisioni passate in giudicato; per questo i suoi presuppostisono più stringenti, perché è maggiore la stabilità dell'accertamento giudiziale pregresso.

A questo punto, ci si può chiedere se non si potrebbe evitare il vuoto di tutela supponendoche la N.C.P. resti possibile in tutti i casi di manifesta ingiustizia, anche se non inclusi nel can.1645 § 2.

Ma a questa lettura è di ostacolo sia il tenore dello stesso § 2 (“Non si ritiene che constipalesemente l'ingiustizia, se non quando...”); sia il fatto che in linea di principio il rescrittopone un divieto e che, per questa via, si verrebbe ad ampliare un'eccezione (cfr. can. 18); sia,soprattutto, l'analogia innegabile, perché, anche se si desse per richiamato, anzi riprodotto,solo il can. 1645 § 1 (dunque il presupposto della manifesta ingiustizia), si dovrebbecomunque concludere che, se alla pronunzia "pro nullitate" è seguito un nuovo matrimoniocanonico, essa ha acquisito la stabilità propria del giudicato (cfr. can. 1642 § 1); inevitabile, aquesto punto, ammettere la N.C.P. nei soli casi previsti per la "restitutio".

Non si dice, beninteso, che la sentenza di nullità matrimoniale è passata in giudicato: ciò èescluso dal can. 1644, dal nuovo can. 1681 e anche dal fatto che si continui a parlare diN.C.P., anziché dichiarare semplicemente applicabile la "restitutio". Tuttavia, nel rescritto del7 dicembre si accorda la stabilità caratteristica del giudicato alla situazione “sentenza di nullitàpiù nuovo matrimonio canonico”. E questo è inaccettabile sotto ogni punto di vista.

In primo luogo, il giudicato consegue ad una vicenda interna al processo, l'esaurimento deimezzi di impugnazione diversi dalla "restitutio" (cfr. can. 1642 § 1: “La cosa passata ingiudicato gode della stabilità del diritto e non può essere direttamente impugnata se non anorma del can. 1645 § 1”). Mai lo si lega ad un evento estrinseco e sopravvenuto, quale èappunto il nuovo matrimonio. E neppure si può dire che esso determini la cessazionedell'interesse alla verità sul primo vincolo, perché è evidente che, se questo è valido, sononulle le nuove nozze.

Non solo. Un ricorso ammissibile per N.C.P. getta, per definizione, un dubbio probabile sulladeclaratoria di nullità. La certezza morale che correggeva il giudizio è venuta meno ed ètornata probabile la tesi "pro vinculo". E ciò significa che il coniuge che si è risposato si trovain probabile stato di adulterio. Fosse o non fosse in buona fede – potrebbe trattarsi anchedella parte innocente rispetto all'inquinamento delle prove – qui si afferma che egli non hadiritto a una risposta su questo dubbio. E non ce l'ha perché il nuovo matrimonio canonicoaggiunge un "quid pluris" di stabilità alla sentenza, per la cui revisione non basta più unsemplice dubbio.

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Ciò equivale a dire che la nuova unione è meritevole di tutela in sé stessa, senza neanche unriferimento all'eventuale buona fede dei suoi contraenti. Al punto di precluderel'accertamento della verità su quella precedente. E nonostante il potenziale caratterepeccaminoso. Non è mai lecito compiere un'azione se si dubita che sia peccato, altrimentil'accettazione del rischio equivale a commettere proprio il peccato che si teme sussista(perfino se di fatto non sussistesse: è il vero senso della regola per cui non bisogna maiagire contro la propria coscienza). Eppure, qui o si afferma il contrario, o si offre un modonuovo di risolvere il dubbio.

Però, questa sorta di regola per cui “nel dubbio, si sta per le nuove nozze” equivale a negareo la dipendenza del secondo matrimonio dal primo, oppure, che è lo stesso, l'indissolubilitàdi questo. Di fatto, in effetti, si finisce per dire che la sentenza di nullità – se vi si aggiunge ilnuovo matrimonio – non ha più efficacia dichiarativa, o di mero accertamento, macostitutiva: rende nullo ciò che non lo era. Perché è passibile di revisione solo nei casi in cuilo sarebbe il giudicato, che "facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis et falsum mutat inverum".

All'apparire del "Mitis iudex", da più parti si è gridato al “divorzio cattolico”. Si tratta di ungiudizio che non condivido, criticando, semmai, l'impostazione del giudizio di nullità cometerapia per coppie in crisi e/o situazioni irregolari.

Ma ora, poco importa se in modo obliquo e per vie traverse, questa nuova logica è sfociatanell'esito da tanti auspicato e da tanti altri temuto: il nuovo matrimonio canonico, seppurindirettamente e non in tutti i casi, scioglie il precedente. Signore e signori, ecco a voi ildivorzio cattolico.

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I precedenti servizi di www.chiesa sul tema:

> Vietato chiamarlo divorzio. Ma quanto gli somiglia (15.9.2015)

> Nuovi processi matrimoniali. Un giurista demolisce la riforma dipapa Francesco (2.10.2015)

__________16.12.2015

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