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Rottura capsulare con perdita di vitreo in corso di intervento di cataratta Provider: Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - [email protected] Modulo didattico n. 5 del Percorso Formativo “Chirurgia della Cataratta e Refrattiva” (Rif. 77-938), della durata complessiva di 21 ore. Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test di apprendimento: 21.

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Numero di Accreditamento Provider: 77Data di Accreditamento Provvisorio: 22/04/10 (validità: 24 mesi)Questa attività ECM è stata predisposta in accordo con le regole indicate dallaCommissione Nazionale ECM mediante collaborazione tra la Fabiano Group el’AICCER (Associazione Italiana di Chirurgia della Cataratta e Refrattiva).La Fabiano Group è accreditata dalla Commissione Nazionale a fornire programmidi formazione continua per medici chirurghi con specializzazione in Oftalmologia eOrtottisti/Assistenti in Oftalmologia e si assume la responsabilità per i contenuti, laqualità e la correttezza etica di queste attività ECM.Iniziativa FAD rivolta a Medici Oculisti e Ortottisti/Assistenti in Oftalmologia.Obiettivo formativo: Innovazione tecnologica: valutazione, miglioramento deiprocessi di gestione delle tecnologie biomediche e dei dispositivi medici.Technology Assessment

Modulo didattico n. 5 del Percorso Formativo “Chirurgia della Cataratta eRefrattiva” (Rif. 77-938), della durata complessiva di 21 ore.Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test diapprendimento: 21.

Formazione a Distanza

Rottura capsulare con perdita di vitreoin corso di intervento di cataratta

Provider:

Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT)Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - [email protected]

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4 Incidenza e tempistica potenziale di rottura capsularenella chirurgia della catarattaAldo Caporossi

18 Gestione della rottura capsulare mediante viscoelasticiDaniele Tognetto

27 Faco con rottura capsulare: come e perché e comecompletare la procedura in questa situazioneGiovanni Alessio

32 Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con e senzaperdita vitrealeAlessandro Franchini

45 Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale.Cosa fare?Riccardo Sciacca

52 Come visualizzare il vitreo in camera anterioreSimonetta Morselli

55 La vitrectomia anteriorePaolo Vinciguerra

61 Impianto immediato con IOL nel solcoVincenzo Orfeo

68 Masse disperse nel vitreoGiorgio Tassinari

76 Impianto secondario: solco, iride o fissazione scleraleScipione Rossi

Indice dei contenuti

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La rottura della capsula posteriore nella chirurgia della cataratta, seppurrara, rappresenta la più importante e temuta tra le complicanze intraope-

ratorie della facoemulsificazione. L’incidenza delle complicazioni legate allachirurgia della cataratta è progressivamente diminuita negli ultimi tempi, gra-zie al miglioramento delle tecniche di facoemulsificazione, dello strumentariochirurgico, delle moderne IOLs ma soprattutto delle nuove macchine la cuifluidica appare sempre meno aggressiva1. La capsula è la membrana basale dell’epitelio lenticolare ed è la membrana basa-le più spessa dell’organismo2. La figura 1 evidenzia l’anatomia e gli spessori della

capsula anteriore e posteriore. La capsulaperi-equatoriale è la porzione più spessa(circa 21-23 µm), mentre nella zona cen-trale la capsula anteriore è spessa circa 14µm mentre la capsula posteriore è estrema-mente sottile (2.8-4 µm) e non aumenta dispessore con l’età3. La capsula posteriorerisulta però molto più elastica di quellaanteriore, per cui la forza necessaria perprovocare una rottura è maggiore rispettoa quella per interrompere la capsula ante-riore. Per questo motivo una capsuloressieffettuata nella capsula posteriore si com-porta in modo simile a quella della capsu-

Incidenza e tempisticapotenziale di rottura capsularenella chirurgia della cataratta

Aldo Caporossi

Figura 1.

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la anteriore ed è più resistente a rotture radiali; infatti essa difficilmente provocauna rottura a V che può estendersi fino all’equatore, in quanto i margini riesco-no a mantenere l’integrità.Secondo i dati della letteratura, l’incidenza di rottura intraoperatoria della capsu-la posteriore è variabile. Questo può dipendere dall’esperienza del chirurgo, dalletecniche chirurgiche, dal tipo, eziologia e stadio della cataratta e da fattori dirischio legati all’occhio da operare. Per i chirurghi con buona esperienza questacomplicanza va dallo 0,45 al 3,6%4, mentre è riportata un’incidenza del 6-7%per i chirurghi in training che effettuano l’intervento di cataratta in anestesiatopica e senza precedente esperienza di estrazione extracapsulare della cataratta5,6.L’incidenza di rottura capsulare inoltre si riduce con l’aumento dei casi effettua-ti. Infatti, uno studio ha dimostrato un’incidenza del 7.5% nei primi 200 casi chesi riduce a 1.5-5% nei successivi 200 casi7.La rottura della capsula posteriore è più frequente in pazienti con pupilla pocodilatata, con nucleo duro, con sindrome da pseudoesfoliazione o con diabetemellito8. Inoltre secondo un recente studio epidemiologico, in soggetti che pre-sentano una “floppy iris syndrome” intraoperatoria, l’incidenza può arrivare finoal 7%9, mentre scende allo 0,6% se questi pazienti vengono operati da chirurghiesperti: essere inoltre a conoscenza della terapia preoperatoria con alfa-antagoni-sti, permette di usare appropriati accorgimenti e rendere di conseguenza la chi-rurgia più sicura (uso di atropina topica, retrattori iridei, uso frequente di sostan-ze viscoelastiche, riduzione dei parametri di flusso oculare)10.È stata riportata un’incidenza del 10% con il 3% di perdita vitreale nel caso dicataratte bianche11. Inoltre, sono più a rischio cataratte traumatiche e polariposteriori. Infatti queste ultime possono presentare una deiscenza intrinsecadella capsula posteriore. Osher et al hanno riportato in questo tipo di catarattaun’incidenza di rottura capsulare del 26%12, Vasavada del 36%13, Hayashi del 7.1%14, Lee dell’11%15.Inoltre, l’incidenza di rottura della capsula posteriore è maggiore nei paesi in viadi sviluppo a causa delle risorse limitate e di un trattamento ritardato, che portaa cataratte avanzate16. Il tipo di facoemulsificatore utilizzato non sembra correlarsi con un’aumentatafrequenza di rottura capsulare, ma sicuramente ha la sua importanza17.Una tempestiva diagnosi e attenta valutazione così come un’adeguata gestioneintra e post-operatoria può comunque garantire un ottimo recupero postopera-torio ed una buona prognosi visiva. Johansson et al hanno riportato un’acuitàvisiva pari o peggiore a quella preoperatoria nel 27% dei pazienti che hannoavuto una rottura capsulare durante l’intervento18. In questo senso i fattori cru-ciali sono la riduzione del trauma oculare, l’accurata pulizia del vitreo eventual-mente prolassato in camera anteriore e la fissazione stabile della IOL. Per questo dovrebbe essere fatto ogni tentativo per conservare il supporto capsu-lare e permettere un impianto in camera posteriore. Concorrono ad un limitato

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recupero visivo le complicanze che si possono asso-ciare alla rottura della capsulare posteriore, comel’edema maculare cistoide, il distacco di retina el’endoftalmite8. La rottura capsulare può verificarsi in diversi tempichirurgici durante un intervento di cataratta. Infattiè riportata durante la capsuloressi, l’idrodissezione,la facoemulsificazione, l’infusione/aspirazione deiresidui corticali e infine durante il posizionamentodella IOL (Figura 2).Indispensabile sempre, ma tanto più quanto è più presente materiale cristallinico, una diagnosiimmediata sul meccanismo che ha prodotto la rottura capsulare, sulla sede ed ampiezza della

rottura per realizzare quelle manovre tanto più sicure, efficaci e riproducibiliquanto più precoci.Le fasi più a rischio di rottura capsulare sono durante l’emulsificazione, comeriportato da Mulhern19 e Osher20 e durante l’irrigazione/aspirazione, come ripor-tato da Gimbel21 e Zheng22. Nella casistica di Gimbel et al è riportato che nel50,6% dei casi la rottura della capsula posteriore è avvenuta durante la fase difacoemulsificazione (di questi il 90,5% ha richiesto una vitrectomia anteriore),nel 39,7% dei casi durante la fase di irrigazione/aspirazione (nel 42,4% vitrecto-mia anteriore), nel 7,2% dei casi durante l’inserzione ed il posizionamento dellaIOL (nel 50% vitrectomia anteriore) ed infine nel 2,4% durante l’idrodissezio-ne-idrodelaminazione (nel 50% vitrectomia anteriore)1. Nel 61,5% dei casi, èstato possibile trasformare la rottura capsulare in una capsuloressi della capsulaposteriore e in questi occhi è stata impiantata la IOL nel sacco. Quando invecenon è stato possibile creare una capsuloressi posteriore (38,5%), nel 53,1% èstata effettuata una fissazione della IOL alla capsula anteriore laddove la capsulo-ressi era intatta e piccola abbastanza da catturare l’optica della IOL, nel 31,2% èstato effettuato un impianto nel solco poiché la rima della capsula anteriore nonera intatta, mentre nel 15,7% la IOL è stata impiantata in camera anteriore. Solo fino a qualche anno fa, la fase di irrigazione/aspirazione era quella con mag-giore incidenza di rottura della capsula posteriore e questo è cambiato grazie aiprogressi ed alla qualità degli strumenti di aspirazione più usati ed alla elevata“smussezza” dei fori di aspirazione. Il comportamento da tenere in seguito ad una rottura capsulare varia a secondadella difficoltà dell’intervento, della fase in cui la capsula si rompe e dall’esperien-za del chirurgo. In particolare il chirurgo deve essere consapevole che tutte lemanovre intraoperatorie diventeranno più pericolose. Inoltre il chirurgo devesaper valutare le difficoltà che si sono venute a creare, e deve essere in grado dimetterle in relazione con la situazione del paziente e con le proprie possibilità.

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Figura 2.

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I sintomi più importanti dell’avvenuto problema sono: approfondimento dellacamera anteriore, aspirazione inefficiente ed ipotonizzazione bulbare.L’attenta valutazione preoperatoria permette di ridurre i rischi intraoperatori inocchi difficili (pseudoesfoliatio, lassità zonulare, assenza di riflesso rosso, iperto-no oculare, cataratta traumatica, cataratta polare posteriore, etc). È importanteessere consapevoli che se nel primo occhio si è verificata una rottura capsularedurante l’intervento di cataratta, anche il secondo occhio è a rischio. In questocaso è sicuramente di aiuto una perfetta anestesia.Comunque una rottura della capsula posteriore è tanto più grave quanto piùnucleo è ancora presente (fase precoce), tanto più risolvibile quando abbiamosolo la corticale da aspirare. La prima cosa da fare è ridurre o eliminare l’infusio-ne in quanto questa, aumentando la pressione in camera anteriore per la ridottao assente aspirazione, sarà causa di allargamento della rottura, spostamento delnucleo o pezzi di esso in camera vitrea, con tutte le conseguenze che ne deriva-no. La prima regola è “salvare il nucleo”, portandolo con viscoelastica in cameraanteriore o comunque anteriormente alla ressi. Se una volta individuata la rottu-ra della capsula posteriore, si riesce a “rexarla”, possiamo continuare la faco incamera anteriore con parametri addolciti. Se invece la rottura è ampia per cui nonè possibile effettuare una ressi posteriore, è consigliabile convertire in extra, anchecon uno scivolo di salvezza per la migrazione del nucleo o frammenti. Se la rot-tura avviene con nucleo assente, è più facile contenere o “rexare”, aspirare i resi-dui sotto viscoelastica, senza irrigare e poi eseguire una vitrectomia anche per viaanteriore ed impiantare la lente nel sacco o davanti la ressi.

CapsuloressiUna corretta capsuloressi è l’elemento determinante per portare a termine consuccesso e in sicurezza una procedura di facoemulsificazione1. Questa fase chirur-gica rimane sempre una fase molto delicata e l’obiettivo del chirurgo pertantodeve essere sempre quello di mantenere la capsuloressi intatta. Le dimensioni di solito variano fra i 5 e 6 mm di diametro poiché la zona di 6mm di diametro della cristalloide anteriore è sicuramente libera da fibre zonula-ri ed inoltre le più comuni IOLs presenti attualmente nel mercato possiedono uncorpo ottico di 5,5-6 mm di diametro23. Per ottenere un buon controllo di unacapsuloressi, il chirurgo dovrebbe sempre avere una perfetta visibilità e una came-ra anteriore ampia e ben riempita di viscoelastico. Più la camera anteriore è pro-fonda, infatti, più la tensione sulle fibre zonulari si allenta e la forza vettoriale chetende a far fuggire all’esterno la ressi diviene poco rilevante rispetto a quella cheil chirurgo impone conducendo la ressi stessa. In questo senso ogni volta che ilchirurgo avrà problemi di conduzione della ressi non bisognerà esitare ad iniet-tare viscoelastico in camera anteriore.Attualmente la tecnica standard per creare una capsuloressi è senza dubbio concistotomo e/o pinze, sotto viscoelastico24. In futuro potrà svolgere un ruolo

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importante, riducendo così ogni rischio di fuga, il laser a femtosecondi. In que-sto ambito di sicurezza il chirurgo deve eseguire una ressi regolare, centrata,rotonda ed a bordi regolari. La capsuloressi inizia dopo aver riempito la camera anteriore con viscoelastico,nel modo più accurato e completo possibile. Con il cistotomo, o direttamentecon la pinza da capsuloressi a branche chiuse, si incide la capsula nella sua posi-zione centrale e si esegue una piccola incisione laterale di 1.5-2mm, sollevandoverso l’alto la capsula anteriore e creando un piccolo lembo triangolare che poiafferreremo con le pinze per condurre, circolarmente, la ressi. Per effettuare unabuona capsuloressi è importante un’adeguata incisione iniziale. Infatti, nel casodi un’incisione troppo grande, bisognerà iniettare nuovamente viscoelastico perdetendere la zonula ed esercitare una trazione centripeta con le pinze per evitarela fuga della ressi. Inoltre subito dopo l’incisione il materiale endosacculare puòridursi e fuoriuscire dal sacco endocapsulare, facendo sì che questo tenderà adafflosciarsi in alcuni suoi punti. È importante non esercitare alcuna pressione sul tunnel corneale con la pinza daressi perché altrimenti aprendosi la camera anteriore il viscoelastico potrebbe fuo-riuscire, abbassando così la camera stessa e creando le premesse per una fuga dellaressi verso la periferia.Un altro suggerimento utile è quello di non prendere mai il margine del lembo: andando infatti ad esercitare una trazione laddove esso fa angolo con lacapsula ancora sana, si rischia di creare una spinta centrifuga, capace di modifi-care la direzione di apertura della ressi e di portare ad avere una ressi non piùcircolare ma ovoidale o molto più frequentemente il flap, appena strappato, va a finire in mezzo alle fibre zonulari, rendendo poi estremamente difficilerecuperare il lembo.Se la ressi tende ad avviarsi troppo verso l’esterno, è bene recuperarla subito versoil centro. È meglio una capsuloressi piccola, che potrà successivamente essere

allargata, di una fuga all’esterno. La com-plicanza della rottura della capsula poste-riore può avvenire per un prolungamentoposteriore delle lacerazioni radiali dellacapsula anteriore. Una causa comune dirottura radiale è la perdita irrecuperabiledel margine della ressi in periferia, dietrol’iride. Infatti in presenza di una disconti-nuità della capsuloressi, le forze meccani-che all’interno del sacco capsulare si con-centrano su quest’area più debole e l’unicorimedio efficace è quello di riparare imme-diatamente la discontinuità. È moltorischioso, provare a tirare saldamente ed

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Figura 3.

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attivamente la falda verso il centro (Figura 3). Nel caso di una fuga della ressi ese il tentativo di modificare le forze vettoriali della lacerazione per portarla in unadirezione più centrale risultasse vano, potremo adottare tre diverse strategie dopoaver approfondito il più possibile la camera anteriore con sostanza viscoelasticaper attenuare la tensione capsulare. Si potrà proseguire la ressi dalla parte opposta a dove è stata iniziata, cercando sepossibile di incorporare la lacerazione iniziale, oppure con micro forbici si potràtagliare la capsula anteriore subito dopo la fuga della ressi e proseguirne unanuova o, nel caso in cui ci sia un’ottima midriasi ed un’eccellente visibilità dellefibre zonulari, si potranno tagliare alcune fibre subito dopo la zona dove si è veri-ficata la fuga, per poi proseguire la ressi con le pinze afferrando la capsula in cor-rispondenza dell’ultima fibra zonulare sezionata. Un ulteriore approccio alternativo ad una capsuloressi eseguita non correttamen-te è trasformarla in una capsulectomia “can-opener”: è infatti più sicuro averemolteplici lacerazioni piuttosto che una sola, in quanto le forze che stimolanouna fuga si possono distribuire su più punti, riducendo la probabilità che si esten-dano all’equatore. Nel casi di una lassità zonulare, per evitare trazioni sulle fibre zonulari è necessa-rio utilizzare una tecnica con trazione tangenziale al profilo circolare di capsulo-tomia, evitando invece la trazione centripeta che risulta decisamente più trauma-tica per l’apparato zonulare. Inoltre è necessario eseguire piccoli segmenti di tra-zione tangenziale, con la ripresa frequente del flap al suo punto di inserzione sullacapsula25. Bisogna ricordare che condizioni come ipermetropia e miopia elevata,camera anteriore bassa, ipertono mal controllato, cataratte congenite comporta-no un aumento dell’elasticità della capsula anteriore e le spinte vitreali sonodecisamente più spiccate e pertanto è maggiore la tendenza alla fuga. Sarà neces-sario in queste occasioni avere sempre una trazione centripeta per controbilan-ciare una tendenza alla fuga, avendo anche cura di non eseguire una ressi digrandi dimensioni26.È infatti buona norma, in questi casi effettuare una ressi piccola per poi ampliar-la, se necessario, dopo l’impianto di IOL27. Nei pazienti con pseudoesfolizione della lente, la banda periferica evidenziabilesolo dopo midriasi, è caratterizzata da striature radiali irregolari e da depositi gra-nulari che potrebbero favorire una fuga della ressi. Il chirurgo potrebbe esserecosì invogliato a restringere il diametro della capsulotomia ai fini di diminuire irischi, atteggiamento da evitare per scongiurare fenomeni postchirugici di con-trazione del sacco capsulare responsabili a volte di estese dialisi zonulari con pos-sibilità di lussazione tardive del sacco.Per eseguire la ressi in questi pazienti è preferibile utilizzare un paio di pinze ido-nee che garantiscano un buon controllo degli spostamenti ed una sostanza viscoe-lastica ad alto peso molecolare ed ad alta viscosità, che garantisca una ottima tra-sparenza ed una buona pseudoplasticità. Tutte queste caratteristiche faranno sì

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che nel momento in cui il chirurgo si arresta per riprendere il flap la situazionevenga congelata istantaneamente.Nei pazienti affetti da sindrome da pseudoesfoliatio è stata dimostrata una dimi-nuzione della profondità della camera anteriore determinata dalla lassità zonula-re che favorisce lo spostamento in avanti della lente.Questo rappresenta un ulteriore fattore di rischio per la fuga della ressi. Infattinel momento in cui il chirurgo procede allo spostamento del flap capsulare, la suadirezione è influenzata da due forze: la prima è quella trasmessa sul bordo ester-no della ressi dalla tensione delle fibre zonulari che spinge verso l’esterno e laseconda, centripeta, è quella trasmessa dal chirurgo sul flap capsulare. La risul-tante tra queste due forze determinerà la direzione che prenderà la capsulotomia.Nei pazienti con spostamento in avanti del cristallino le fibre sono tese e così latrazione centrifuga esercitata è molto maggiore e maggiore è la possibilità di unafuga. Anche per questo è opportuno l’utilizzo di una sostanza viscoelastica ad altopeso molecolare che approfondendo la camera anteriore determinerà un rilascia-mento delle fibre zonulari.

IdrodissezioneL’idrodissezione è una fase molto importante dell’intervento di cataratta. Essapermette una facile rotazione del nucleo all’interno del sacco capsulare e aiuta larimozione di diversi strati del cristallino eliminando la loro adesione ai tessuti cir-costanti. Durante l’idrodissezione, a meno che la cataratta sia molto dura e opaca,si può vedere chiaramente l’onda di fluido necessaria a separare la corteccia dalnucleo. Tale segno è indicativo di una riuscita idrodissezione. La prima cosa dafare, quindi, per essere sicuri che l’idrodissezione sia stata completata corretta-mente, è controllare se il nucleo gira liberamente nel sacco. Se il nucleo non è benmobilizzato, è consigliabile non procedere alle fasi successive.La rottura della capsula posteriore durante l’idrodissezione può avvenire o perun’estensione verso l’equatore di una ressi con “locus minoris resistentiae” o perintrinseche deficienze di struttura di sacco o zonula.Nel primo caso, infatti, se già nella creazione della capsuloressi vi sono state dellelacerazioni radiali, è necessario eseguire l’idrodissezione e/o l’idrodelineazionemolto delicatamente per rendere minima la distensione del sacco capsulare e diconseguenza il rischio dell’estensione della lacerazione alla capsula posteriore. Perquesto motivo in presenza di una ressi aperta o di una fuga della ressi, sarà piùconveniente non eseguire un’idrodissezione, ma un’idrodelineazione ed eseguiretecniche di facoemulsificazione con ridotta rotazione del nucleo. Le manovre dirotazione del nucleo nel caso di una fuga della ressi sono rischiosissime.Nel secondo caso invece, la sovra distensione del sacco capsulare può determina-re o il prolasso in camera anteriore del nucleo o la rottura della capsula posterio-re con il rischio della caduta del nucleo all’interno del vitreo. Infatti, durantel’idrodissezione, la capsula posteriore può rompersi o perfino scoppiare se c’è

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eccessivo ristagno di liquido dietro la lente. Il liquido eccedente, in particolare inuna cataratta brunescente e dura, può causare il balloon della capsula posterioreinvece che spargersi come onda, quindi può rompere la capsula, fenomeno defi-nito “blocco capsulare”12. Le cause più probabili per il blocco capsulare compren-dono un’iniezione troppo vigorosa, una cannula mal pulita, una capsuloressitroppo piccola, un nucleo duro, o adesioni equatoriali troppo forti che ostruisco-no l’uscita del liquido iniettato. Inoltre sono a rischio occhi con lunghezza assia-le elevata o con capsule posteriori fragili, come quelle dei pazienti con catarattapolare posteriore. In caso di cataratta polare posteriore sarà più prudente esegui-re un’idrodelineazione o un’idrodissezione molto prudente e ridurre la rotazionedel nucleo. Inoltre in cataratte ipermature la corteccia precedentemente liquefat-ta si può ricondensare ed aderire nuovamente alla capsula, rendendo l’idrodisse-zione difficile (ma non meno necessaria): è importante condurre lentamente edattentamente questa manovra eseguendo settori multipli d’idratazione intornoalla capsulotomia28.Veder passare l’onda di liquido non significa essere riusciti ad eseguire una cor-retta idrodissezione. La corticale può essere aderente in periferia o alla capsulaanteriore. In questo caso il nucleo non ruota o ruota con difficoltà. Un’erronea oincompleta esecuzione dell’idrodissezione può compromettere l’integrità deilegamenti zonulari. Se questi cedono, anche solo in parte, potremo avere unaprotrusione vitreale in camera anteriore con rischio, nel postoperatorio di edemamaculare cistoide e addirittura di distacco retinico da trazione vitreale. Nella peg-giore delle ipotesi si rischia la disinserzione totale del sacco o peggio ancora laperdita del sacco stesso nella cavità vitreale.

FacoemulsificazioneLa facoemulsificazione è una delle fasi chirurgiche più a rischio di rottura dellacapsula posteriore. L’obiettivo primario è quello di impedire che il nucleo sprofondi nella cavitàvitreale. La quantità di vitreo perso è direttamente collegata al tempo intercorsofra la rottura della capsula posteriore ed il momento in cui il chirurgo la ricono-sce29. Esistono comunque alcuni elementi che fanno presumere che si sia verifi-cata una rottura capsulare. Per cui la caduta del nucleo nella cavità vitreale può avolte essere evitata riconoscendo i segni precoci di rottura della capsula: sposta-mento e decentramento ingiustificato del nucleo, aumento del diametro pupilla-re improvviso e inspiegabile, aumento di profondità della camera anteriore conspostamento all’indietro del diaframma irido-lenticolare e infine perdita di effi-cienza dell’aspirazione che suggerisce l’occlusione della punta dello strumento daparte del vitreo. Quindi i frammenti del nucleo e della corticale sembrano muo-versi lentamente, da soli e la rotazione del nucleo, se tentata, mostra delle limita-zioni di movimento. Dopo un po’ di rotazione i frammenti tendono poi a ritor-nare al loro posto iniziale.

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Si possono individuare due tempi chirurgici in cui si può verificare una rotturadella capsula posteriore: una fase precoce con nucleo ancora presente in cameraposteriore ed una fase tardiva con il nucleo già emulsificato.Se la rottura della capsula posteriore avviene quando ancora l’intero nucleo opezzi di esso sono nel sacco, la situazione è particolarmente difficile, soprattuttoperché il chirurgo non può rendersi conto dell’entità del danno capsulare. Quasisempre la rottura della capsula posteriore che si verifica prima della rimozione delnucleo è seguita da profusione vitreale; quando è possibile, la vitrectomia andreb-be eseguita prima di rimuovere le porzioni di nucleo; essa viene però posticipatase c’è il rischio di uno sprofondamento del nucleo nel vitreo.Nel caso in cui invece sia rimasta solo una piccola porzione del nucleo, è moltopiù semplice coprire la lacerazione con sostanza viscoelastica e terminare la facoe-mulsificazione con un ridotto rischio di caduta di frammenti nucleari nella cavi-tà vitrea. A tal fine si può anche utilizzare un glide sheets con la funzione di pseu-do capsula posteriore. Le cause che portano alla rottura della capsula posteriore durante la fase di facoe-mulsificazione sono:• La discontinuità della capsula anteriore e della ressi con formazione di una rot-

tura che si estende in periferia fino al coinvolgimento della capsula posteriore siadurante la scolpitura che durante la rimozione ed aspirazione dei frammenti;

• Il contatto accidentale diretto della capsula posteriore con la punta del facodurante la scolpitura dei quadranti;

• La lacerazione della capsula per aspirazione durante la frammentazione dei pezzidi nucleo;

• Rottura della capsula posteriore per azione diretta di strumenti di serviziodurante la manipolazione dei frammenti o dell’epinucleo;

• La disinserzione zonulare per debolezze intrinseche della zonula o in seguito aun traumatismo intraoperatorio.

Una causa possibile che porta poi alla rot-tura della capsula posteriore durante lafacoemulsificazione è la rottura della ressianteriore (Figura 4). Questa può avvenireper contatto e per un uso troppo superfi-ciale con la punta del faco durante l’utiliz-zo di ultrasuoni in qualsiasi momentodella facoemulsificazione, sia nella fasedella nucleofrattura sia durante l’aspirazio-ne vera e propria dei frammenti nucleari. La rottura della ressi può avvenire inoltreper contatto con il chopper durante ladivisione in quadranti, o con altri stru-menti meccanici come spatole, uncini e

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Figura 4.

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manipolatori gestiti dalla porta di servizio.Tale rottura della ressi può non arrestarsinella zonula ed estendersi quindi alla capsula posteriore con possibili conse -guenze disastrose. A favorire l’estendersi della rottura posteriormente può essereanche la manovra di divisione in quadran-ti ed il cracking, così come la semplicerotazione del nucleo. La rottura della capsula posteriore puòavvenire inoltre per una scultura troppoprofonda del nucleo durante l’esecuzionedei solchi (Figura 5). Ciò si verifica piùfacilmente nella zona più periferica dove lacapsula posteriore risale dal centro più profondo fino alla zonula. Questo eventoè favorito da un valore di vuoto eccessivo e dall’uso di una punta facilmenteoccludibile. Un momento cruciale in cui si può avere la rottura della capsulaposteriore per contatto con la punta del faco è durante l’emulsificazione dell’ul-timo frammento, in quanto la capsula non è più tenuta in tensione da materialecristallinico per cui sventola, agitata dalle variazioni di pressione e dalle turbolen-ze del flusso. Soprattutto se la capsula posteriore è particolarmente sottile, comeper esempio nella sindrome pseudoesfoliativa, questo inconveniente risulteràancora più probabile. Un’elevata mobilità della capsula posteriore è presenteanche nella miopia elevata, e in tutti i casi di lassità zonulare.Un altro evento che può causare la rottura della capsula posteriore è il collassodella camera anteriore, cioè il suo improvviso svuotamento (Figura 6). Questopuò avvenire soprattutto per un uso eccessivo di vuoto con macchine non dota-te di sistema anticollasso, quando al momento della disocclusione della tip, si hal’improvvisa e violenta aspirazione delliquido presente in camera anteriore e conesso la cattura della capsula posteriore e lasua rottura. Il collasso della camera anterio-re può avvenire anche per improvviso arre-sto dell’infusione, o per l’inginocchiamen-to od ostruzione del tubo o per l’esauri-mento della bottiglia di BSS.Infine anche la manipolazione dell’epinu-cleo può provocare la rottura capsulare, inparticolare se il manipolatore/spatola non èperfettamente levigato e presenta delle irre-golarità che possono verificarsi anche perun contatto accidentale con la punta del

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Figura 5.

Figura 6.

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faco in una fase precedente.Una rottura notata prima dell’estrazionecompleta del nucleo è da gestire moltoscrupolosamente per la sua potenziale gra-vità. Il chirurgo deve osservare costante-mente la punta del faco per tutta la duratadella facoemulsificazione e cercare di rima-nere il più lontano possibile dall’endotelio,dalla capsula posteriore e dall’iride. Inoltrenell’utilizzo del manipolatore/spatola, ognimossa dovrebbe essere eseguita con grandecura per non affondare attraverso i nuclei

molli, o oltre la capsula posteriore.Nel dubbio di una rottura capsulare bisogna immediatamente sospendere lafacoemulsificazione e con l’ausilio immediato di una sostanza viscoelastica perispezionare l’integrità della capsula senza uscire con la punta del faco dall’occhio. Se la rottura della capsula posteriore non si è ancora estesa in periferia, potrà esse-re trasformata in ressi posteriore in modo da permettere un impianto più sempli-ce della IOL nel sacco capsulare ed evitare rotture radiali della capsula. Per farequesto è necessario l’uso di una sostanza viscoelastica eseguendo la manovra conla pinza da ressi, ricordando che la capsula posteriore è più sottile ed elastica diquella anteriore30.

Irrigazione/aspirazioneL’evenienza di rottura capsulare in questa fase è meno grave rispetto alla faco -emulsificazione perché non saranno presenti frammenti di nucleo, per cui l’inter-vento potrà essere concluso senza necessità di allargare il tunnel per una conver-sione in extracapsulare. Lo scopo di conservare la capsula posteriore, pur rotta,risiede nella possibilità di portare a termine un impianto in camera posteriore31.Durante l’I/A delle masse corticali, è possibile causare rotture capsulari quando sicerca di rimuovere i residui a ore 12, a causa della cattiva visione provocata daltunnel, dalla loro stessa posizione, da una ressi troppo piccola o da una idrodis-sezione incompleta (Figura 7).La rottura capsulare non sempre si accompagna ad una perdita di vitreo. Inoltrenel caso di una rottura capsulare durante le fasi di I/A o di pulizia capsulare, ilchirurgo può ben vedere sede ed estensione della rottura. La maggior parte dellerotture sono piccole e vengono poi enormemente allargate dalle errate manovredel chirurgo. In caso di una piccola rottura della capsula posteriore, Gimbel haproposto di eseguire una capsuloressi posteriore30.In caso di rottura capsulare durante la fase di I/A, la sostanza viscoelastica giocaun ruolo importante. Infatti essa deve poter controbilanciare una spinta vitrealepositiva, pertanto dovrebbe possedere un alto peso molecolare e alta viscosità.

Incidenza e tempistica potenziale di rottura capsulare nella chirurgia della cataratta

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Figura 7.

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Questo è garanzia di un’adeguata contro-pressione sul vitreo che dalla rottura tende-rebbe altrimenti ad erniare sull’iride. Lasostanza viscoelastica dovrebbe avere inol-tre una buona capacità di mantenere laposizione, senza essere facilmente rimossadall’irrigazione e aspirazione in modo taleda consentire al chirurgo di proseguire conle manovre di asportazione di nucleo e cor-tex residui.

Impianto e posizionamento della IOLLa rottura capsulare può avvenire anchedurante l’impianto della IOL. Attualmentevi sono in commercio numerosi modelli diIOL, per cui l’insorgenza e l’incidenza dicomplicanze durante l’impianto della lenteintraoculare potrà variare a seconda del tipo di lente, se rigida o pieghevole, e deltipo di impianto con o senza iniettore. Tuttavia indipendentemente dal materia-le e dal modello usato, l’impianto della IOL potrà recare danni al sacco capsula-re nel quale viene impiantata e questi danni possono riguardare la capsula ante-riore e la ressi, la capsula posteriore o la zonula. La rottura della ressi anterioredurante la manovra di impianto avviene di solito quando questa è di piccoledimensioni o per contatto con l’ansa distale, o per contatto con il piatto dellalente, o nell’inserimento della seconda ansa (Figura 8). Spesso questo inconveniente accade quando la IOL è difettosa, cioè quando pre-senta delle irregolarità taglienti, che possono essere causate da difetti di fabbrica-zione o da un’eccessiva manipolazione con le pinze32.In caso di rottura della ressi, dopo l’im-pianto sarà necessario verificare con moltaattenzione che entrambe le loops sianoall’interno del sacco capsulare e posiziona-te lontano dalla rottura. In alcuni casi puòessere consigliato praticare, dopo l’inseri-mento della IOL, un’altra incisione sullaressi diametralmente opposta alla prima.La rottura della capsula posteriore invecepuò verificarsi anche quando il sacco cap-sulare è poco disteso dalla sostanza viscoe-lastica, per cui l’ansa distale si impiglia inuna piega di essa. Si può verificare anche per manovre ecces-

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Figura 8.

Figura 9.

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sivamente brusche e violente nell’inserimento della lente ed in particolare dellaseconda ansa (Figura 9). Infine, la lussazione del sacco durante l’impianto della lente può avvenire per unamanovra troppo energica rispetto alla resistenza zonulare, in particolare nel casodi pazienti molto anziani o con sindrome pseudoesfoliativa o nel caso di una pro-lungata facoemulsificazione con difficoltosa rotazione. Anche un uso improprio dell’iniettore può causare una rottura zonulare e unalussazione del sacco capsulare. Se la lussazione zonulare non è molto estesa è con-sigliabile l’utilizzo di un anello di tensione capsulare. Alcuni consigli per evitare ulteriori complicanze nell’impianto della IOL sonoquelli di porre molta attenzione all’iniezione della IOL nel caso in cui la rotturacapsulare si trovi nella posizione opposta al tunnel, in quanto la IOL stessa puòcadere attraverso la rottura nel vitreo. Inoltre se già nella manovra della capsulo-ressi vi siano state delle lacerazioni radiali, è opportuno ridurre il più possibile larotazione della IOL e rimuovere lentamente la sostanza viscoelastica mentre sieffettua una infusione lenta di soluzione salina bilanciata attraverso un’altra inci-sione d’accesso.

Incidenza e tempistica potenziale di rottura capsulare nella chirurgia della cataratta

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Prof. Aldo CaporossiDipartimento di Scienze Odontoiatriche e Oftalmologiche Università di Siena - UOC OculisticaAzienda Ospedaliera Universitaria SenesePoliclinico S. Maria delle Scotte, SienaTel. 0577 585660 • Fax 0577 [email protected]

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Gestione della rottura capsularemediante viscoelastici

Daniele Tognetto

La moderna chirurgia oftalmica del segmento anteriore si avvale in manie-ra imprescindibile dell’utilizzo delle sostanze viscoelastiche. La viscochi-

rurgia, termine coniato da Balazs1,2 a cavallo degli anni ’80, rappresenta l’ele-zione nella chirurgia della cataratta e garantisce brillanti risultati in termini disicurezza ed efficacia. Le sostanze viscoelastiche sono soluzioni acquose di catene molecolari polisacca-ridiche con diverso peso molecolare e concentrazione. Acido ialuronico e con-droitinsolfato sono le molecole più utilizzate3,4. Anche l’idrossipropilmetilcellu-losa ha avuto in passato una certa diffusione5,6.Oggi il mercato propone una vasta offerta di soluzioni viscoelastiche, molto spes-so diverse solo per etichetta commerciale ma molto simili in termini di proprie-tà chimico-fisiche. È la comprensione di queste ultime che permette al chirurgodi scegliere il prodotto più adatto per ogni tempo chirurgico per ottenere unachirurgia più semplice e sicura.A riprova del fatto che sia necessario conoscere le proprietà reologiche di queste

soluzioni polimeriche, la recente terminologia anglosassone denomina le sostan-ze viscoelastiche come Ophthalmic Viscosurgical Devices (OVD)7,8. Infatti il ter-mine viscoelastico definisce in maniera impropria una soluzione polimericasecondo una delle caratteristiche reologiche che in alcuni casi non è la compo-nente principale del prodotto.Il termine reologia si riferisce alla scienza che studia la deformazione ed il flussodella materia. È noto che le principali proprietà reologiche di un OVD sono rap-presentate dalla viscosità e dalla coesività9. La viscosità esprime la misura della resistenza al flusso. È sinonimo di frizione

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interna, cioè della resistenza che le mole-cole offrono allo scorrimento laminarereciproco ed è funzione sia del pesomolecolare che della concentrazione.La coesività è invece la capacità di unasostanza di aderire a se stessa e di usciredall’occhio come massa singola. È funzio-ne dell’aggrovigliamento molecolare equindi del peso molecolare e della concen-trazione10. Il suo contrario è la dispersivi-tà, cioè quella proprietà che descrive latendenza a sepimentare e a dividersi inmasserelle separate. È funzione inversa delpeso molecolare e della concentrazione.La maggior parte delle soluzioni viscoe-lastiche presenti sul mercato segue la regola secondo cui all’aumento del pesomolecolare e della concentrazione delle molecole in soluzione si osserva unaumento della viscosità e della coesività. Al contrario soluzioni poco concentratedi molecole corte avranno una bassa viscosità ed un’alta dispersività. Viscosità, coesività e dispersività sono le tre caratteristiche sulla base delle quali èpossibile classificare i diversi OVD e prevedere il loro comportamento clinico.È noto infatti che OVD pesanti e concentrati avranno un’alta viscosità e verran-no utilizzati per creare e mantenere gli spazi all’interno dell’occhio. Lo svantag-gio è rappresentato dall’elevata coesività di queste sostanze che determina un’im-mediata fuoriuscita dall’occhio sotto l’effetto di flussi anche di ridotta entità. Alcontrario OVD leggeri e poco concen-trati avranno un’elevata dispersività everranno preferiti nella protezione tes-sutale per la loro tendenza a rimanereaderenti ai tessuti. La capacità di crearespazio è però ridotta per la bassa viscosi-tà di queste sostanze11,12. Tuttavia negli ultimi anni si sono affac-ciati sul mercato nuovi OVD con carat-teristiche innovative.In primo luogo la categoria di soluzioniconcentrate di molecole ad altissimopeso molecolare. Questi OVD vengonodenominati “pseudo dispersivi” o“viscoadattivi”13. Ciò deriva dal fattoche l’elevata viscosità di queste soluzioniè tale per cui la presenza di flussi di

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Figura 1. Surge e cattura della capsula posteriore nella facotip

Figura 2. Iniezione di OVD viscodispersivo per bloccare l’apertu-ra della capsula posteriore ed impedire il passaggio di vitreo incamera anteriore.

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media portata determina la frattura della catene molecolari simulando un com-portamento dispersivo. Il termine viscoadattivo definisce il comportamentovariabile di queste soluzioni poiché rispondono a flussi ridotti come sostanzedispersive mentre sotto l’incremento del flusso assumono un comportamentocoesivo.L’altra categoria è quella delle miscele molecolari. Soluzioni miste di molecole adalto e a basso peso molecolare configurano una categoria di OVD viscosi-disper-sivi che presentano un comportamento peculiare. L’alta viscosità consente dimantenere gli spazi mentre la presenza di piccole molecole tendenti ad aderire aitessuti garantiscono un’ottima protezione tessutale ed una globale tendenza a vin-cere l’effetto coesivo di massa sotto l’azione di flussi di media entità14.Queste due ultime categorie di OVD rappresentano un notevole passo in avantinella gestione chirurgica del segmento anteriore e costituiscono un aiuto fonda-mentale in particolare nella gestione dei casi complicati in quanto garantiscono,se adeguatamente impiegati, un effetto assolutamente desiderabile che è la com-partimentazione15,16.La compartimentazione può essere definita come la possibilità di suddividere glispazi all’interno dell’occhio. Tale proprietà risulta molto utile e deve essere sfrut-tata in combinazione con la gestione dei flussi. È quindi necessario conoscere lafluidica della chirurgia in atto e in particolare, per quanto riguarda la chirurgiadella cataratta, la fluidica del facoemulsificatore in uso.Nella chirurgia della cataratta la compartimentazione può essere utilmenteimpiegata durante manovre di routine come l’esecuzione di una capsuloressi ol’impianto della IOL17. Arshinoff nel 2002 ha proposto la variante “ultimate”della nota “soft shell technique”18.L’utilizzo di un OVD viscodispersivo consente di creare un ambiente acquoso aldavanti del cristallino dove eseguire la capsuloressi. Lo stesso OVD consente dibloccare l’apertura del sacco capsulare prima dell’impianto e di effettuare lo stes-so in un sacco disteso con BSS. Ciò al fine di evitare di riempire il sacco capsu-lare con un OVD di elevatissimo peso molecolare che potrebbe dare problemi diipertono qualora incompletamente rimosso. Se tale tecnica non ha avuto grandediffusione per la relativa difficoltà di esecuzione, ha sicuramente avuto il meritodi rendere chiara la possibilità di ottenere una compartimentazione all’internodell’occhio19,20,21,22.La compartimentazione rappresenta un’opportunità chirurgica particolarmentevantaggiosa in particolare nella gestione dei casi complicati. La rottura capsularecostituisce uno dei momenti più critici per il chirurgo della cataratta e la possi-bilità di sfruttare le peculiari proprietà di alcuni OVD diventa di fondamentaleimportanza per risolvere in sicurezza e nel modo più appropriato una complica-zione potenzialmente pericolosa nei suoi esiti.La rottura capsulare si verifica nella metà dei casi durante le manovre di faco -emulsificazione ed è quasi sempre legata ai fenomeni di surge postocclusivo23,24.

Gestione della rottura capsulare mediante viscoelastici

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Altre condizioni che possono determi-nare la rottura della capsula posterioredurante la facoemulsificazione sono unascolpitura troppo profonda, soprattuttonella zona più periferica, oppure, nelcaso di un danno del bordo della capsu-loressi, una fuga posteriore favorita dallemanovre di rotazione e divisione in qua-dranti.Meno frequentemente la rottura capsu-lare si verifica durante la rimozione deiresidui corticali nella fase di irrigazio-ne/aspirazione automatizzata25,26,27.È dunque frequente l’eventualità diincorrere in una rottura capsulare quan-do ancora parte del materiale lenticolarenon sia stato rimosso.Nel caso si verifichi una rottura capsulare è importante osservare alcune regole dicomportamento. 1. Innanzitutto è fondamentale rendersi conto tempestivamente della rottura e

fermare immediatamente le manovre in camera anteriore. Può sembrare bana-le ma uno degli elementi che spesso rendono la rottura capsulare di più diffi-cile gestione è il suo misconoscimento. Riconoscere o sospettare sollecitamen-te una rottura capsulare è di cruciale importanza per poter prevenire il suoallargamento, per evitare, se non siagià avvenuta, la rottura della ialoideanteriore, per ridurre la possibilitàdel prolasso di vitreo in camera ante-riore, per evitare che eventuali fram-menti lenticolari vengano lussati incamera vitrea sotto l’azione dei flussi.Oltre alla visualizzazione diretta dellarottura, spesso preceduta dal surgepostocclusivo, segni indiretti di rot-tura capsulare includono l’approfon-dimento improvviso e/o asimmetricodella camera anteriore, la discoria,l’impossibilità di catturare le masselenticolari per la presenza di vitreoche occlude la punta del manipolofaco, una maggiore evidenza delriflesso rosso.

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Figura 3. Utilizzo di ago cannula curva per la rimozione “a sec-co” dei residui corticali sotto l’incisione sfruttando l’effettocompartimentante dell’OVD

Figura 4. Impiego dell’ago di Charleux per l’aspirazione “a sec-co” dei residui corticali. L’OVD occlude l’apertura della capsulaposteriore senza creare un eccessivo aumento della pressione in-traoculare.

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2. Una volta osservata la presenza di una rottura capsulare non bisogna avere fret-ta di concludere l’intervento. L’ansia legata all’insorgere di una complicanzaspinge soprattutto il chirurgo meno esperto a cercare di completare la chirur-gia il più rapidamente possibile. Ciò deriva dalla sensazione che una duratainferiore dell’intervento possa conseguire un risultato finale migliore. Inoltrenasce dal timore che il paziente possa mal tollerare un procrastinarsi del tempochirurgico.

3. Non avventurarsi in manovre incongrue. Queste riguardano soprattutto il ten-tativo di recuperare i residui di cristallino. Frammenti nucleari lussati nelvitreo richiedono l’approccio mediante vitrectomia via pars plana. Tentativi direcupero con anse irrigatrici, facotip o altri strumenti, anche se proposti dadiversi chirurghi, sono molto rischiosi e possono provocare complicanze reti-niche od emorragiche molto severe.

4. È necessario ragionare sulla situazione che si è venuta a realizzare valutandoattentamente l’entità della rottura, l’eventuale presenza di materiale lenticola-re residuo da rimuovere, l’integrità della capsuloressi, la presenza di vitreo incamera anteriore. Inoltre bisogna tenere conto del tipo di anestesia in atto. Sesi ritiene di poter incontrare delle difficoltà, eseguire un’anestesia peribulbarenel caso l’intervento sia stato condotto in anestesia topica può essere utile pertranquillizzare sia il paziente che il chirurgo.

5. La presenza di grosse quantità di vitreo in camera anteriore richiede la vitrec-tomia “a secco” senza irrigazione contemporanea. L’utilizzo di vitrectomi irri-ganti o di linee di irrigazione separate possono creare notevole turbolenza incamera anteriore ed in camera vitrea. Ciò può favorire l’ulteriore prolasso divitreo attraverso il forame pupillare e causare la lussazione di eventuali fram-menti di cristallino dalla camera anteriore alla camera vitrea. Inoltre si posso-no creare pericolose trazioni sul vitreo. Alcuni chirurghi preferiscono inveceeseguire la vitrectomia con irrigazione soprattutto se bimanuale sostenendo lapossibilità di mantenere una pressione positiva in camera anteriore per man-tenere il vitreo dietro al piano irideo. La presenza di tralci vitreali può inveceessere gestita diversamente e non necessariamente con vitrectomia.

6. È necessario rimuovere completamente i residui lenticolari sia nucleari che cor-ticali. La loro persistenza può provocare ipertono e flogosi postoperatoria. Sei residui nucleari sono molto grossi può essere necessario utilizzare il facoemul-sificatore ma solo qualora non vi sia la presenza di vitreo in camera anteriore.In alternativa può essere necessario allargare l’incisione per estrarli. Residuicorticali o nucleari di piccole dimensioni vanno rimossi preferibilmente conmanovre manuali “a secco”28. In alcuni casi, qualora la rottura capsulare siamolto ampia, il sacco capsulare si retrae verso la zonula intrappolando le massecorticali residue. La frequente presenza concomitante di vitreo rende moltodifficile la pulizia delle masse lenticolari. Si preferisce allora asportare l’interosacco giudicando anche inefficace la sua funzione di supporto per la IOL.

Gestione della rottura capsulare mediante viscoelastici

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7. L’impianto della IOL va effettuatosolo quando sia stato eliminato ilvitreo dalla camera anteriore e dopola pulizia dei residui lenticolari. Lasede d’impianto va valutata tenendoconto dell’integrità della ressi e delledimensioni della rottura29,30.

L’utilizzo di OVD nella gestione di una rottura capsulare può permettere di affrontare i punti 5, 6 e 7 mante -nendo un bulbo in quiete ed eseguen -do le manovre necessarie in assoluta sicurezza31,32,33,34. Alcuni aspetti dell’utilizzo di OVD inquesti frangenti sono sempre statioggetto di discussione. In particolareesistono alcune perplessità che riguardano l’eventualità che l’OVD si possa con-fondere con il gel vitreale rendendo più difficile la sua rimozione. Inoltre esiste iltimore che la rimozione di OVD, spesso impiegato in abbondanza, possa essereincompleta in questi frangenti dando origine ad indesiderati ipertoni nel posto-peratorio35,36.In effetti l’incertezza di non poter rimuovere completamente l’OVD porta spes-so ad utilizzare OVD dispersivi che meglio di altri possono confondersi e mesco-larsi con il gel vitreale rendendone più difficoltosa la rimozione.Per utilizzare al meglio un OVD durante una rottura capsulare è necessario sfrut-tare l’effetto compartimentante che alcuni OVD possono offrire. In particolare,come già detto, le nuove categorie diOVD (viscoadattivi e viscodispersivi)presentano caratteristiche reologichepeculiari che ne permettono l’uso comesostanze compartimentanti. Il principiodella compartimentazione sfrutta lacapacità di un OVD di resistere al flus-so e di poter bloccare una parte dellospazio presente all’interno dell’occhio.L’OVD deve potersi vedere in cameraanteriore per poter funzionare con unostrumento fluido. In assenza di vitreo in camera anteriorel’effetto compartimentante può esseresfruttato per chiudere la rottura edimpedire il prolasso del vitreo.

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Figura 5. Iniezione di OVD per allargare gli spazi prima dell’im-pianto e mantenere compartimentato il segmento anteriore

Figura 6. Impianto di IOL.

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L’OVD compartimentante deve essere utilizzato in piccoli boli senza causare unaumento della tensione all’interno del bulbo e senza creare differenze pressorie tradiversi compartimenti. L’OVD che chiude la rottura deve essere iniettato in quantità sufficiente a creareuna barriera al passaggio del vitreo ma non eccessiva in modo da non creare ten-sione sul bordo della rottura e provocarne l’allargamento. Eccessive quantità diOVD compartimentante causano un rialzo della tensione intraoculare con fuo-riuscita del contenuto della camera anteriore all’apertura dell’incisione. Lemanovre di pulizia delle masse lenticolari devono essere effettuate “a secco”senza creare flussi eccessivi in camera anteriore28. Nell’eventualità si rendanecessario utilizzare il facoemulsificatore o si desideri utilizzare l’I/A bimanuale,l’altezza della bottiglia di infusione deve essere molto bassa così come ridottidevono essere i valori di flusso e vuoto. Vanno impiegati cioè i criteri della “slowmotion technique” proposta da Osher37. Ciò al fine di non vincere la forzadell’OVD compartimentante. Durante le manovre di asportazione dei residuilenticolari può essere comunque necessario ripristinare la compartimentazioneiniettando boli ulteriori.Tutto deve accadere molto lentamente per mantenere un aspetto “congelato”della situazione chirurgica. Utili per la rimozione di residui corticali sono le can-nule di Charleux, le cannule di Rycroft e le cannule ricurve per la rimozione dellemasse sotto l’incisione.Nel caso sia presente vitreo in camera anteriore è necessario eseguire una vitrec-tomia “a secco”. Anche in questo caso l’OVD deve servire per compartimentarele zone libere da vitreo e deve evitare l’ulteriore prolasso di vitreo in camera ante-riore. La frequenza di tagli del vitrectomo deve essere elevata per evitare trazionieccessive sul gel vitreale. L’aspirazione non deve essere troppo elevata per non tra-scinare ulteriore vitreo in camera anteriore e per non vincere la forza comparti-mentante dell’OVD. In presenza di tralci vitreali l’OVD può essere sfruttato per mantenerli dietro ilforame pupillare dopo averli liberati da eventuali impegni eseguendo con unaspatola la manovra di Castroviejo38,39. Questa manovra chirurgica è particolar-mente utile poiché permette di evidenziare l’impegno di tralci vitreali nelle inci-sioni e permette anche di sospingere i tralci vitreali in campo pupillare da dove sipossono spingere posteriormente utilizzando l’OVD. Si esegue attraverso unaparacentesi muovendo la spatola in direzione centripeta dalla radice iridea versoil forame pupillare. Una volta rimosso il vitreo ed asportate le masse lenticolari residue è possibileprocedere con l’impianto. Ancora una volta l’effetto compartimentantedell’OVD può essere impiegato per allargare gli spazi necessari per l’impianto siaesso in camera anteriore, nel solco ciliare o nel sacco capsulare. Infine, per quanto riguarda la rimozione dell’OVD al termine della chirurgia,essa sarà tanto più agevole quanto meno OVD sarà stato utilizzato. I boli di

Gestione della rottura capsulare mediante viscoelastici

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SPECIALE LA VOCE AICCER

OVD viscoadattivo sono facilmente riconoscibili poiché non sono solo diretta-mente visibili ma anche individuabili per la presenza di segni indiretti che deri-vano dall’asimmetria degli spazi in camera anteriore. I boli di OVD viscodisper-sivo saranno identificabili grazie al diverso indice di refrazione di queste sostan-ze rispetto alla BSS. L’aspirazione degli OVD sarà manuale utilizzando cannuledi Charleux o automatica utilizzando un’irrigazione/aspirazione automatizzatabimanuale40,41. In conclusione per gestire una rottura capsulare sfruttando l’effetto comparti-mentante degli OVD è necessario seguire le seguenti regole:1. Utilizzare OVD viscoadattivi o viscodispersivi2. Compartimentare gli spazi in camera anteriore utilizzando piccole quantità (boli)

di OVD di volta in volta senza accrescere la pressione in camera anteriore 3. Utilizzare tecniche di aspirazione manuale “a secco” dei residui lenticolari.4. Utilizzare tecniche di vitrectomia “a secco”5. Nel caso si decidesse di utilizzare tecniche di irrigazione/aspirazione automatizzata

o di vitrectomia irrigante è necessario impiegare parametri “slow motion”.

ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREOIN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA

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Prof. Daniele TognettoClinica Oculistica - Università di Trieste

Tel. 040 3992517 • Fax 040 772449 [email protected]

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SPECIALE LA VOCE AICCER 27

La rottura della capsula posteriore durante un intervento di facoemulsificazione della catarat-ta si verifica, secondo i dati della letteratura internazionale, in una percentuale tra l’ 1.9 ed

il 5.2%1-3 degli interventi di cataratta senile.È quindi un evento a cui bisogna essere sempre preparati al fine di poter predisporre legiuste misure per prevenirla o per poter gestire l’urgenza. Una rottura accidentale della capsula posteriore si può verificare durante varie fasi dell’in-tervento:1. l’idrodissezione2. la faco con nucleo ancora intero3. dopo la nucleo frattura4. l’aspirazione delle masse5. l’impianto6. l’aspirazione del viscoelastico. In questa sede saranno trattati i primi tre punti.

1. IdrodissezioneDurante le manovre di idrodissezione il liquido iniettato tra la capsula e la corteccia spo-sta nucleo e corticale in avanti. Continuando ad iniettare liquido si provoca la giustappo-sizione del nucleo+corticale sul bordo libero della ressi, e l’aumento pressorio causato dalliquido porterà ad una progressiva dilatazione della capsula posteriore (Figura 1) fino allarottura della stessa con un vero e proprio meccanismo di “scoppio”. Tale problematica si chiama Capsular Block Sindrome (CBS) acuta4. Esistono delle manovre di prevenzione della CBS acuta, di cui si dovrebbe sempretener conto.Innanzitutto è importante eseguire ressi non troppo piccole (di norma non inferiori a 5

Faco con rottura capsulare: come eperché e come completare la

procedura in questa situazione

Giovanni Alessio

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SPECIALE LA VOCE AICCER28

Faco con rottura capsulare: come e perchè e come completare la procedura in questa situazione

millimetri), al fine di ridurre la superficie di contatto tra capsulaanteriore e corticale. Bisogna infatti, tener presente che la super-ficie della ressi aumenta in misura direttamente proporzionale alquadrato del raggio della stessa, per cui ressi anche di poco piùpiccole comporterebbero una superficie di contatto moltomaggiore. Inoltre, al fine di favorire il passaggio del liquido fracapsula e corticale, e quindi evitarne l’accumulo, è opportuno“massaggiare” delicatamente il nucleo nel settore opposto aquello in cui si è iniettato il liquido per la dissezione (ad es. seiniettiamo il liquido alle sei massaggiare alle dodici). Se, nonostante tutto, ci si trova comunque di fronte ad unaCBS acuta, bisogna tener presente che la rottura capsulare chesi verifica in corso di tale evenienza è violenta, di grandidimensioni, in genere va da un estremo dell’equatore a quellodiametralmente opposto, ed il nucleo viene espulso con vio-lenza dalla capsula, precipitando in camera vitrea. Quando ciò

si verifica è buona norma eseguire una iridectomia e procedere ad un intervento pervia pars plana.

2. Faco con nucleo ancora interoNelle prime fasi della facoemulsificazione, con nucleo ancora intero, ci sono dei campa-nelli d’allarme che devono farci sospettare una rottura capsulare. Se notiamo un’eccessivamobilità del nucleo all’interno del sacco o una sua posizione più posteriore, dobbiamosubito pensare ad una rottura capsulare a livello dell’equatore. A questo punto è fonda-mentale fermarsi subito.La prima cosa da fare sarà stabilizzare la profondità della camera anteriore iniettando unviscoelastico dispersivo; bisogna stare attenti però da una parte a non riempire eccessiva-mente la camera perché ciò comporterebbe un’ulteriore pressione sul cristallino con con-seguente aumento del diametro della rottura, dall’altra a non riempirla troppo poco, per-ché una quantità scarsa di viscoelastico provocherebbe un avanzamento del vitreo attra-verso la rottura capsulare, con un possibile allargamento della stessa. Una volta stabilizza-ta la camera anteriore, è importante analizzare lucidamente la situazione. Dato che nonpossiamo conoscere sede e dimensioni della rottura capsulare, è più sicuro rimuovere ilnucleo per intero. Si valuteranno le dimensioni del nucleo, della capsuloressi e dell’inci-sione corneale, quindi si procederà ad allargare la capsuloressi sino a consentire unaespressione del nucleo in camera anteriore, facendo attenzione a conservarne intatto ilbordo libero per disporre di un supporto sicuro per l’impianto. Quindi bisognerà esegui-re una apertura di servizio in una sede lontana da quella della possibile rottura, introdur-re attraverso quest’ultima una spatolina, un ago o comunque un ferro delicato con cui sipotrà spostare il bordo della ressi, raggiungere l’equatore del nucleo e, ruotandolo, spo-starlo in camera anteriore. A questo punto sarà necessario allargare l’incisione sino a ren-dere possibile l’estrazione del nucleo. È importante ricordare che, in tutte queste fasi,bisogna sempre ridare pressione in camera anteriore con viscoelastico dispersivo ognivolta che la pressione del bulbo si riduce eccessivamente.

Figura 1.

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SPECIALE LA VOCE AICCER

ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREOIN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA

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In alternativa all’estrazione del nucleo intero, èanche possibile rimuoverlo previa rottura dellostesso. Esistono degli appositi set di ferri perestrazione extracapsulare con microincisioneche consentono di dividere il nucleo in due opiù frammenti: ponendo un’ansa sotto il cri-stallino ed una spatolina sopra e schiacciando,si divide il cristallino in due o più frammentiche si possono estrarre5 in meno di quattro mil-limetri di incisione (Figura 2).È anche descritta un’altra tecnica: si formaun’ansa con un nylon 7/0, facendo passare ilfilo in una cannula, facendolo uscire dall’aper-tura anteriore e quindi reinfilandolo nella stes-sa; l’ansa così formata viene inserita nell’occhioe fatta passare intorno al nucleo e, tirando leestremità del nylon sarà possibile sezionare ilnucleo. A questo punto si dovranno estrarre iframmenti di nucleo dall’occhio. La durezza delnucleo e la strumentazione in nostro possesso ciguideranno sulle dimensioni dell’incisione daeffettuare. Bisogna sempre ricordare che è pre-sente un’interruzione della capsula per cui nonsi può sottoporre il bulbo a stress pressori, penala perdita di vitreo: meglio un’apertura lieve-mente ampia di una un poco stretta. Si dovràintrodurre nell’apertura di servizio prima effet-tuata l’ago della siringa contenente viscoelasticodispersivo, iniettando dolcemente mentre conuna spatolina si apre delicatamente l’incisione:in questo modo il nucleo impegnerà l’incisionee con l’aiuto della spatolina ne potremo com-pletare l’espulsione inducendo una lieve rotazione del nucleo. Meglio non estrarre ilnucleo o i suoi frammenti con pinza in quanto, durante l’estrazione, si provoca unasuzione sul vitreo con le ovvie conseguenze.

3. Dopo nucleo fratturaUltimo punto da trattare è la rottura capsulare dopo aver rotto il nucleo, quindi in pre-senza di uno o più frammenti di cataratta.Quando sospettiamo si sia verificata una rottura della capsula posteriore dobbiamoimmediatamente sospendere l’azione del faco, sia infusione-aspirazione che ultrasuoni;ogni fluttuazione della camera, infatti, può provocare un allargamento della rottura, tra-sformando così un foro, od una piccola rottura, in una lacerazione più grande. È neces-sario stabilizzare la camera anteriore per esplorare la zona di rottura e prendersi un po’ di

Figura 2.

Kansas vectis - Katalyst surgical inc

Kansas Nucleus Trisector

Kansas Nucleus Bisector

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tempo per decidere come proseguire l’intervento. Si può procedere tamponando la zonadi rottura con viscoelastico dispersivo per poi valutare la forma e le dimensioni della rot-tura stessa. Se è rotondeggiante ed a bordo continuo, senza incisioni di fuga, sarà possi-bile proseguire l’intervento di estrazione manuale dei frammenti. In alternativa, si potreb-be anche continuare la facoemulsificazione, ma prendendo alcuni accorgimenti,Innanzitutto bisogna separare l’infusione dall’aspirazione; infatti, non possiamo più uti-lizzare un sistema coassiale perché la turbolenza dei fluidi in prossimità della punta delfaco provocherebbe una perdita di vitreo. Quindi si dovrà praticare un’apertura di servi-zio lontana dall’incisione e applicare un mantenitore di camera anteriore. Meglio ancorasarebbe procedendo come segue: entrare in camera anteriore dall’apertura di servizio conuna sonda da infusione, ad esempio quella da infusione delle sonde IA di Buratto, modi-ficare i parametri del faco riducendo l’infusione ed il flusso per non provocare turbolen-ze, mantenere l’infusione non lontana dalla bocca del faco in modo da ottenere un flus-so di liquidi localizzato in una piccola zona; ad esempio, in presenza di un frammento dinucleo, porre la punta del faco da un lato e l’infusione dal lato opposto, in questo modoil surge, cioè il risucchio di liquidi che si verifica dopo l’aspirazione del frammento nellabocca del faco, sarà più facilmente compensato dai liquidi d’infusione e se la camera ante-riore sarà ben riempita da viscoelastico dispersivo non ci saranno oscillazioni significati-ve della profondità della stessa. Si può procedere riempiendo nuovamente la camera ante-riore con viscoelastico coesivo che precederà la rimozione del frammento successivo ese-guendo le stesse manovre prima descritte. Ripetere il tutto sino alla completa rimozionedi tutte le masse catarattose. È importante non rimuovere più di un frammento alla voltaperché altrimenti si rischia di provocare maggiori oscillazioni della camera anteriore, conconseguente allargamento della rottura capsulare e perdita di vitreo. In presenza di interruzioni del bordo della rottura capsulare, si può valutare la possibili-tà di trasformare la rottura in capsuloressi posteriore avendo cura di tamponare il vitreocon il viscoelastico adesivo. Se è già presente del vitreo in camera anteriore, la situazioneè più complessa. Bisognerà innanzitutto stabilizzare la camera anteriore con viscoelastico, ricordando peròche più mandiamo l’occhio in ipertono, più vitreo si affaccerà in avanti. È opportunonon utilizzare mai sistemi coassiali, in quanto il liquido d’infusione tenderà a versarsi incamera vitrea, con conseguente nuovo impegno di vitreo nella ferita. Separare quindiinfusione e vitrectomo e ridurre la larghezza dell’incisione corneale con un punto di sutu-ra temporaneo. Sarà utile effettuare una apertura di servizio in modo da infondere da unlato ed aspirare e tagliare da un altro; in questo modo si potrà ottenere un flusso control-labile e sarà più facile liberarsi dal vitreo. Valori indicativi a cui settare il vitrectomo sono: almeno 800 tagli al minuto, vuoto100/150 mmHg e flusso 15/25 cc/min.È molto utile evidenziate il vitreo con triamcinolone acetonide preparato6 come per l’usoin camera vitrea. Ciò consentirà di visualizzare anche le più fini fibrille (Figura 3).Quando si usa il vitrectomo bisogna ricordare che le trazioni sul vitreo si ripercuoto-no sulla retina per cui è importante, tutte le volte che si decide di estrarre il vitrecto-mo dall’occhio, tagliare senza aspirare, al fine di liberare completamente la bocca dellostrumento dal vitreo.

SPECIALE LA VOCE AICCER30

Faco con rottura capsulare: come e perchè e come completare la procedura in questa situazione

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SPECIALE LA VOCE AICCER

ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREOIN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA

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Ricordarsi sempre di tamponare la rottura conviscoelastico per catturare eventuali frammenti.Proseguire l’asportazione dei frammenti con latecnica indicata precedentemente e quindialternare vitrectomia ed asportazione di fram-menti sino al completamento.Se l’intervento si sta svolgendo in anestesia topi-ca, instillare anestetico ogni dieci minuti, perché,come è ovvio, se il paziente avverte dolore tuttodiventerà più difficile. È importante non utilizza-re lidocaina intraoculare in queste situazioni, inquanto il paziente potrebbe non vedere più laluce e quindi muoversi, inoltre sono stati descrit-ti casi di danni retinici da lidocaina per contattodiretto sulla retina.Un ultimo consiglio, che vale in tutti i casi di chirurgia complicata, è quello direstare calmi e tranquillizzare sempre il paziente, perché conservare la lucidità edavere un paziente calmo e collaborante sono fattori indispensabili per portare abuon termine l’intervento.

Figura 3.

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Bibliografia

Prof. Giovanni AlessioClinica Oculistica Università degli Studi di Bari

Dipartimento di Oftalmologia e ORLTel. 080 5593577

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Autore diriferimento

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SPECIALE LA VOCE AICCER32

Il verificarsi di un foro o di una rottura capsulare durante un intervento di facoemul-sificazione è oggi una evenienza estremamente rara capace però di causare a catenatutta una serie di complicanze la cui non corretta gestione può provocare serie conse-guenze. Proprio la rarità di questa complicanza fa si che molti chirurghi non abbianouna sufficiente esperienza della sua gestione e possano con manovre e decisioni incon-sulte, spesso dettate anche dalla emotività e dalla drammaticità del momento, provo-care un aggravamento della situazione.Anche se ciascun scenario chirurgico coinvolgente una rottura della capsula posterio-re è unico, vi sono tutta una serie di manovre chirurgiche che se applicate corretta-mente permettono all’ operatore, almeno in un certo numero di casi, di rimuove-re il materiale lenticolare senza effettuare eccessive trazioni sulla retina e di rispar-miare una porzione di sacco capsulare sufficiente a consentire l’impianto di unalente intraoculare.Un foro può presentarsi in tutte le varie fasi della facoemulsificazione, ma anche se

si è verificato precocemente normalmente il chirurgo se ne accorge dopo la rimozio-ne del primo quadrante. Vi sono alcuni segni che possono far supporre al chirurgo lasua presenza (BOX 1).La rottura normalmente si localizza alla estremità distale dell’asse della direzione tenu-ta dalla tip che può attraversare il nucleo e la corticale nel punto in cui la capsulaposteriore è più vicina a quella anteriore. Cosi per un chirurgo destro la sede più fre-quente sono le 5 e per un chirurgo mancino le 7.Una volta che il chirurgo si è reso conto della presenza della rottura l’importante èmantenere la calma ed evitare di eseguire manovre sbagliate che possono aggravare la

Infusione ed aspirazione: rottura capsulare con o senzaperdita vitreale

Alessandro Franchini

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SPECIALE LA VOCE AICCER

situazione. Per esempio è fondamentale mantenere gli strumenti in camera anterioreevitando una loro rapida rimozione che comporterebbe una istantanea diminuzionedi tensione che potrebbe favorire il passaggio del vitreo attraverso la rottura ed anchespingerlo ad uscire dalla incisione.In questi pazienti la fluidica ed anche la meccanica di un intervento convenzionale difacoemulsificazione possono provocare un ulteriore allargamento della rottura con ilrischio sia di lussazione della lente o di frammenti di essa in camera vitrea, sia di pro-lasso vitreale in camera anteriore. È quindi necessario ricorrere a metodiche chirurgi-che che consentano allo stesso tempo di avere un ottimo controllo e stabilità dellacamera anteriore anche lavorando con parametri di fluidica molto bassi, e di ridurreal minimo le eventuali sollecitazioni meccaniche.Certamente lavorare con una camera chiusa e stabile rappresenta un fattore moltoimportante, poiché gli spostamenti avanti indietro del diaframma irido-lenticolaretendono a trasmettere sollecitazioni al corpo vitreo. Si tratta del concetto di “IMMO-BILE CATARACT SURGERY” che comporta tutta una serie di accorgimenti e pre-cauzioni che tendono a minimizzare gli sbalzi pressori che si verificano durante l’in-tervento. È stato infatti dimostrato che durante un intervento di faco tradizionalesoprattutto durante la rimozione del nucleo e l’impianto della lente si possono rag-giungere in camera anteriore pressioni anche superiori ai 100 mmHG. È stato anchedimostrato che tali pressioni possono rapidamente scendere nel giro di pochi secon-di (per esempio al momento della rimozione degli strumenti dalla camera anteriore)determinando rapide fluttuazioni dell’ordine anche di 80-100 mmHg. Abbassare labottiglia di infusione utilizzando dei valori di flow-rate e vacuum proporzionatamen-te ridotti rende tutta la facoemulsificazione più lenta e sicura.È ovvio quindi che le moderne tecniche di microincisione sia microcoassiale chebimanuale presentano dei vantaggi in quanto ci permettono di effettuare una slow-motion phaco consentendoci di lavorare con settaggi di fluidica più bassi.

ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREOIN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA

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• Complicanze durante l’esecuzione della rexi

• Improvviso abbassamento della camera anteriore

• Improvviso allargamento o restringimento della pupilla

• Difficoltà nell’ingaggiare ed aspirare i frammenti

• Improvvisa scomparsa di materiale lenticolare

• Deformazione della rexi al movimento degli strumenti

• Visualizzazione diretta della rottura o di fibre vitreali in camera anteriore

• Aumento dello spazio tra la capsula anteriore e la faccia posteriore dell’iride

• Diminuzione della followability e della holdability

• Improvvisa incapacità di ruotare un nucleo che prima era perfettamente mobile

Segni della presenza di una lesione capsulare

BOX 1

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Gestione della fluidicaUn’alta corrente di fluidi all’interno della camera anteriore può influenzare in manie-ra negativa la situazione.Pertanto in presenza di un foro o di una rottura capsulare il primo obbiettivo saràquello di determinare una riduzione dei livelli di fluidica abbassando la altezza dellabottiglia ed i valori di flow-rate e vacuum.Un elevato settaggio del vacuum potrà causare un elevato surge al momentodella rottura dell’occlusione con la conseguenza di una elevata instabilità dellacamera anteriore che potrà destabilizzare una situazione già di per sé complica-ta, causando la possibilità di un prolasso vitreale o di un passaggio di frammen-ti del cristallino in camera vitrea.Inoltre un elevato flusso di aspirazione potrà determinare la cattura di materialevitreale all’interno della tip che condurrà a ulteriori complicanze.Molto importante quindi, soprattutto in questi pazienti, prevenire il surge post occlu-sivo. In questo senso le case produttrici di facoemulsificatori hanno studiato diversee più o meno sofisticate strategie. Certamente il risultato ottimale sarebbe quello dipoter lavorare con alti valori di vacuum sfruttandone tutti i vantaggi e al tempo stes-so minimizzandone tutti gli svantaggi.Una strategia semplice è quella di aumentare il flusso di irrigazione, semplicementealzando la bottiglia od in modo più sofisticato utilizzando sistemi diversi di irrigazio-ne forzata, ma come abbiamo visto, si tratta di una soluzione non percorribile in casodi rottura capsulare.I più moderni facoemulsificatori sono dotati di software di ultima generazione capa-ci di riconoscere l’occlusione, in modo tale da ridurre il valore del vacuum nel giro dipochi microsecondi prima dell’avvento della disocclusione.AMO nel Sovereign WhiteStar Signature presenta un sistema denominato CASE incui una serie di microprocessori testano il valore di vacuum e di flow 50 volte alsecondo. Nel momento in cui si verifica la occlusione il computer si accorge delladiminuzione del flow ed istantaneamente rallenta la pompa in modo tale da ridurreil vacuum ed evitare il surge.Bausch + Lomb, nei faco Millenium e Stellaris, presenta la possibilità di programma-re il pedale per separare il vacuum ed il flow dal power (Dual Linear). In questo modoil vacuum può essere abbassato prima della mobilizzazione e dell’iniziale emulsifica-zione di un frammento occludente cosicché il surge viene minimizzato.Alcon, nella piattaforma Infinity, oltre ad un sistema di controllo simile a quello diAMO presenta un tip denominato ABS (Aspiration Bypass System) in cui nell’astadell’ago è presente un foro do 0.175 mm di diametro. Durante l’occlusione il forofornisce una costante via alternativa per il flow. Questo determina un crollo del surgeal momento della rottura dell’occlusione.Un altro approccio nella prevenzione del surge ormai presente in tutte le macchine sibasa sul controllo esercitato dai tubi di aspirazione. Infatti la resistenza totale di unsistema alla fuoriuscita di liquido è regolato dalla parte più stretta del lume del siste-

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ma stesso. Quando eseguia-mo la aspirazione della cor-ticale il diametro del foro diaspirazione è di circa 0.3mm, e nonostante gli altisettaggi, non abbiamo maisurge. Tutte le ditte produt-trici facoemulsificatori han -no sviluppato tubi e cassettedal lume ridotto per gli altivacuum, capaci di resistereal collasso1.Con lo stesso concetto sono state proposte tip dal lume ridotto. Tuttavia l’utilizzodelle microtip (20 gauge) ha da una parte ridotto il surge ma dall’altre ha determina-to una riduzione della holdability. Per ovviare a questo problema sono state sviluppa-te delle tip (Alcon) cosiddette flare, dove ad una bocca di aspirazione più larga corri-sponde un lume ridotto. L’eccessiva riduzione del lume favorisce però il cosidettoclogging, cioè l’occlusione della via d’aspirazione da parte di frammenti nucleari, eve-nienza che si verifica soprattutto in presenza di nuclei duri.Per cercare di sfruttare tutti i vantaggi del lume ridotto senza allo stesso tempo avereuna riduzione della holdability ed un rischio di clogging la STAAR Surgical(Monrovia CA) ha sviluppato un device, chiamato Cruise Control, che è costituitoda un tubicino utilizzabile con tutti i facoemulsificatori e da applicare tra il manipo-lo ed il tubo di aspirazione2. Il Cruise presenta un diametro minimo di 0.3 mm chepreviene il surge ed una camera dotata di un filtro che trattiene i frammenti nuclea-ri, evitando il clogging (Figura 1). Per quanto riguarda l’irrigazione, l’utilizzo di un’ir-rigazione controllata sia da un punto divista quantitativo che di direzione èimportante anche per evitare la cosiddet-ta fluid misdirection sindrome. Questasindrome può verificarsi sia in presenzadi foro capsulare con ialoide integra chein presenza di un prolasso vitreale. Nelprimo caso il fluido si può incuneareposteriormente tra ialoide e capsulaposteriore determinando una spinta inavanti che porterà ad uno spostamentodel diaframma iridolenticolare conrischio di un improvviso abbassamentood appiattimento della camera anterioree aumento della tensione endoculare(Figura 2). Nel caso di ialoide interrotta

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Figura 1. Cruise Control Design

Figura 2. Fluid misdirection sindrome: riduzione della profonditàdella camera anteriore

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il fluido penetrerà in camera posterioredove l’idratazione vitreale tenderà a per-petuare il prolasso del vitreo (Figura 3).Un discorso a parte merita la scelta dellapompa da utilizzare in questi pazienti.Molto evidenti sono infatti le differenzedi funzionamento tra una pompa peri-staltica ed una venturi anche se oggi imoderni facoemulsificatori presentanosistemi di controllo e modulazione chemassimizzano i pregi di ciascuna mini-mizzandone i difetti. Assistiamo quindialla presenza di pompe peristaltiche coneffetti Venturi e viceversa. Il problema della scelta della pompa da

utilizzare in caso di rottura capsulare è tanto più importante oggi dal momento chesono presenti in commercio macchine capaci di passare da una pompa all’altra duran-te l’intervento direttamente “on the fly”, senza la necessità di resettare la macchina ocambiare la cassetta. Utilizzando una pompa peristaltica (Figura 4), affinché si crei ilvuoto, è necessaria l’occlusione della linea di aspirazione, in quanto se non c è occlu-sione i fluidi vengono aspirati in quantità minima e non si crea il vuoto. Il flusso edil vuoto possono essere regolati separatamente l’uno dall’altro e regolando il flusso sipuò agire sulla velocità in cui il livello di vacuum desiderato viene raggiunto. Pertantosi tratta di una pompa che garantisce un ottimo controllo della fluidica mantenendoun’ottima stabilità della camera anteriore e garantendo ad occlusione avvenuta unaottima holdability. La pompa Venturi (Figura 5) che sfrutta l’effetto Venturi è capace

di generare il vuoto istantaneamenterendendolo disponibile per il chirurgoappena viene esercitata la pressionesul pedale. Si tratta quindi di unapompa molto veloce e reattiva cheanche in assenza di occlusione garan-tisce un’ottima holdability e followa-bility. Si ha la sensazione con la tipdisposta al centro della camera ante-riore che i frammenti si dispongano inlinea per essere aspirati3.Appare quindi evidente che in presen-za del rischio che eccessivi e rapidimovimenti di fluidi in camera anterio-re possano determinare la rimozionedella sostanza viscoelastica con impe-

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Figura 3. Fluid misdirection sindrome: Prolasso vitreale

Figura 4. Pompa Peristaltica

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gno del vitreo all’interno della bocca diaspirazione, una pompa peristalticagarantisca maggiori margini di sicurezzae di controllo. Infatti utilizzando questapompa il chirurgo può scegliere la rapi-dità con cui ogni movimento di fluidiin camera anteriore avviene e quindiavere un controllo assoluto su tuttoquello che accade (BOX 2).Altro aspetto molto importante perun’ottimizzazione della fluidica in questipazienti è la scelta della tecnica chirurgi-ca. Certamente la tecnica bimanuale gra-zie al fatto di avere l’irrigazione separatadall’aspirazione presenta alcuni vantaggiriguardo alla fluidica nei confronti della coassiale, sia che si tratti della tecnica stan-dard che di microcoassiale.Tali vantaggi sono particolarmente importanti in caso di rottura capsulare. Infatti illavorare attraverso due microincisioni a perfetta tenuta garantisce una ottima stabili-tà della camera anteriore. Inoltre in un manipolo coassiale il fatto di avere l’irrigazio-ne dalla stessa parte dell’aspirazione fa si che una parte del flusso irrigante venga aspi-rato immediatamente dopo essere uscito dalla tip diminuendo di fatto la stabilitàdella camera anteriore (Figura 6).Nel manipolo coassiale l’irrigazione collocata vicino alla bocca del faco contribui-sce ad aumentare le forze di repulsione che disturbano la cattura dei frammenti edil loro ancoraggio (Figura 7). Possiamo quindi affermare che avere l’irrigazioneseparata dalla aspirazione, migliora la followability e la holdability particolarmentedifficili da ottenere in questi pazienti in cui è necessario abbassare tutti i parametridella fluidica4,5,6,7 (Figura 8).

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Figura 5. Pompa Venturi

Pompa peristaltica Pompa VenturiVuoto presente solo al momento Vuoto presente anche in assenza di occlusione

dell’occlusione

Vuoto e flusso possono essere regolati La velocità di risalita del vuoto è istantaneaseparatamente

Ottima holdability solo ad occlusione Ottima holdabilityavvenuta

Followability dipendente dal flusso Ottima followability

Garantisce un ottimo controllo Garantisce una ottima efficienza

Caratteristiche della pompa peristaltica e della pompa Venturi

BOX 2

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Un altro vantaggio relativo al fatto di avere un manipolo dedicato alla sola irrigazio-ne è quello di utilizzare il flow proprio come uno strumento. È così possibile, special-mente utilizzando irrigating choppers ad apertura frontale, dirigere i frammenti versola bocca aspirante, anche nel caso in cui siano rimasti bloccati nell’angolo o al disot-to del tunnel e dare stabilità, nel caso in cui sia necessario, al sacco capsulare8.La possibilità di direzionare l’irrigazione ci consente anche di evitare la rimozionedella sostanza viscoelastica collocata al disopra della rottura, evitando la caduta diframmenti nucleari nel vitreo e la tanto temuta idratazione del vitreo (fluid misdirec-tion sindrome) (BOX 3) (Figure 9 e 10).

UltrasuoniUna configurazione che consenta una rapida rimozione dei frammenti, una voltaingaggiati, anche nel caso frequente di una loro considerevole densità, è fondamenta-le. Tuttavia l’uso di un basso settaggio di flow rate e vacuum tende a ridurre la holda-bility impedendo di fatto l’utilizzo di alti poteri di ultrasuoni. Infatti la elongazionedella punta (stroke lenght) che si verifica utilizzando i classici ultrasuoni longitudina-

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Figura 6. Fluidica della tecnica bimanuale Figura 7. Fluidica della tecnica microcoassiale

1. Incremento della holdability

2. Incremento della followability

3. Minor chatter in camera anteriore

4. Minore consumo di BSS

5. Minore movimento di fluidi in camera anteriore

6. Maggiore stabilità della camera anteriore

7. Maggiore facilità nel raggiungere tutte le aree della camera anteriore

8. Maggiore possibilità di lavorare lontano dalla rottura capsulare

Vantaggi della tecnica bimanuale in presenza di rottura della capsula posteriore

BOX 3

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li, impattando i frammenti tendead allontanarli mentre essi sonomagneticamente attratti da ele-vati valori di aspirazione.Un’occlusione pressoché costan-te infatti riduce le turbolenze incamera anteriore garantendo unamaggiore ritenzione della sostan-za viscoelastica e protezione del-l’endotelio. Soprattutto in casodi rottura capsulare la presenzacostante di un viscoelasticodispersivo al disopra del vitreogarantisce al chirurgo di lavorarein sicurezza mantenendosi sem-pre ad una certa distanza dalle fibre vitreali9,10.Lo stroke in realtà crea 4 componenti di potenza: 1. La cosiddetta onda acustica che impartisce un movimento oscillatorio al nucleo

determinando una prima rottura dei legami intermolecolari iniziando di fatto lafacoemulsificazione;

2. L’impatto meccanico, il cosiddetto effetto JackHammer, che è dovuto all’accelera-zione della tip in avanti ed al susseguente impatto con il nucleo alla velocità di 72km/h con una frequenza variabile a seconda delle macchine tra 28000 e 50000 Hz;

3. L’onda di fluido – È la stessa forza dovuta al movimento in avanti della tip che sca-glia insieme il fluido e particelle di nucleo a 72 km/h venendo a creare il cosiddet-to chattering cosi pericoloso per l’endotelio;

4. La cavitazione – È la componente che produce più energia. Come la tip vienespinta in avanti il liquido viene spinto in avanti e come la tip torna indietro il flui-do non la segue venendosi a creare una zona a bassa pressione. Si forma cosi labolla di cavitazione che al ciclo successivo viene compressa. La bolla non implodesubito ma dopo più cicli poiché ad ogni ciclo la quantità di gas che entra durantela fase di retrazione è maggiore di quella che esce durante la fase di movimento inavanti. Tutto ciò fino a raggiungere la cosiddetta resonant size,o dimensione dirisonanza in cui la bolla implode rilasciando energia. La quantità di energia rila-sciata è spaventosa, vengono raggiunte temperature e pressioni altissime tanto cheviene da chiedersi come mai l’occhio non esplode. Questo accade perchè tuttoavviene in uno spazio microscopico in meno di un microsecondo11,12,13.

Tutti questi fenomeni creano una forza di repulsione alla punta del tip con una per-dita della holdability e della followability.Dal momento che la potenza di un faco è determinata dal prodotto della frequenza edalla ampiezza dello stroke l’utilizzo di macchine e programmi che privilegiano laprima alla seconda garantiscono una migliore tenuta14,15.

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Figura 8. La B-MICS presenta vantaggi in termini di fluidi-ca e consente di lavorare lontano dalla rottura capsulare

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Recentemente l’introduzione da parte di Alcon prima16,17 e di AMO poi dei nuovimanipoli ultrasonici che sostituiscono od affiancano al classico movimento longitu-dinale della punta un movimento torsionale o trasversale ha consentito di avere unadiminuzione della forza repulsiva anche ad alte potenze. La diminuzione della fre-quenza di questi manipoli e l’effetto spazzola del movimento della punta che sostitui-sce l’impatto diretto, consentono un buon mantenimento dell’occlusione anche incondizioni limite di fluidica.

Come comportarsi in presenza di una rottura capsulare senza perdita di vitreoUna volta che il chirurgo si è reso conto della presenza di una rottura o di un forodella capsula posteriore è fondamentale mantenere la calma e non rimuovere imme-diatamente gli strumenti dalla camera anteriore per evitare improvvisi sbalzi dellapressione intraoculare che possono determinare un’erniazione del vitreo attraverso larottura. È necessario, come prima cosa, bloccare la aspirazione ed abbassare la pres-sione riducendo l’altezza della bottiglia. Il vitreo è una sostanza che si muove con dif-ficoltà ad eccezione di quando è idratato e di quando avendo una via di uscita vienesottoposto ad un brusco cambiamento di pressione.Una volta abbassati tutti i parametri il faco può essere rimosso senza che vi sia un ulte-riore movimento vitreale.Se il vitreo non è prolassato ed il nucleo è ancora ben sorretto all’interno del saccocapsulare può essere presa in considerazione l’ipotesi di continuare la facoemulsifica-zione, specialmente nel caso in cui si tratti di un nucleo non particolarmente duro ogrande o siano rimasti solo frammenti di esso. La strategia sarà quella di rimuoveretutti i frammenti senza determinare ulteriori movimenti vitreali. La prima cosa da fareè resettare i parametri della fluidica adattandoli alla nuova situazione che si è venutaa creare.Un flow-rate inferiore a 20 ml/min, un’altezza della bottiglia inferiore a 50cm, un vacuum inferiore a 200 mmHg, sono fondamentali per poter gestire in sicu-rezza una situazione di questo tipo (BOX 4)18.

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Figura 9. Tecnica microcoassiale Figura 10. Tecnica bimanuale

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Utilizzando la porta di servizio viene introdotta una sostanza viscoelastica fino acoprire la rottura. Un viscoelastico dispersivo è da preferire in questo caso ad uno coe-sivo per la sua capacità di resistere meglio alla aspirazione ed alla possibilità di essererimosso dalla camera anteriore con una leggera pressione alla incisione9.Lo scopo è quello di isolare la zona della rottura in modo da eseguire la faco in unaarea della camera anteriore il più lontano possibile da essa.Aiutandosi con un secondo strumento è necessario isolare i frammenti nucleari allon-tanandoli dalla sede della rottura per poter essere rimossi. Viene quindi iniziata lafacoemulsificazione adattando i parametri del faco alla nuova situazione della fluidi-ca che si è creata, abbassando quindi l’intensità degli ultrasuoni per garantire una suf-ficiente holdability garantendo però una rapida rimozione dei frammenti. Via via chei volumi vengono rimossi vengono sostituiti con un flusso irrigante minimo o addi-rittura aperto solo a momenti o nei casi più complessi con nuova immissione disostanza viscoelastica19.Come già detto una tecnica bimanuale presenta in questa fase enormi vantaggi lega-ti sia alla fluidica che consente una riduzione del flusso e del chatter, sia alla possibi-lità di direzionare il flusso dove voluto.Una volta asportati i frammenti del nucleo, i residui corticali vengono rimossi sem-pre lavorando con bassi parametri, cercando di inserire la bocca di aspirazione diret-tamente nella corteccia. Ciò consente un’immediata occlusione della bocca di aspira-zione, impedendo di fatto al vitreo di entrare in essa. Anche in questo momento chi-rurgico utilizzare un’aspirazione separata dall’irrigazione presenta molti vantaggi secomparato ad una tecnica coassiale. Infatti lavorare attraverso due microincisioni aperfetta tenuta e con la bocca irrigante lontana dall’aspirazione diminuisce il consu-mo di BSS e le fluttuazioni in camera anteriore consentendo di posizionare le cannu-le lontano dalla rottura20,21. Inoltre la possibilità di interscambiare la posizione deimanipoli facilità l’accesso all’area del sacco posta sotto all’incisione e l’assenza dellosleeve consente una maggiore penetrazione della cannula di aspirazione fino alla estre-ma periferia22.Nel caso in cui la rottura capsulare venga ben visualizzata durante la facoemulsifica-zione o durante le rimozione della corticale può essere utile convertirla in una capsu-lorexi posteriore. La resistenza di una capsulorexi curvilinea continua, previene allar-gamenti della rottura e può consentire anche in questi pazienti un agevole impiantonel sacco capsulare21,22.

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Flow-rate < 20 ml/min

Altezza della bottiglia < 50 cm

Vacuum < 200 mmHg

Parametri della fluidica in caso di rottura capsulare

BOX 4

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Alla fine dell’intervento è necessario procedere delicatamente alla rimozione di quan-to più viscoelastico è possibile. Anche in questo momento l’avere utilizzato un viscoe-lastico adattivo presenta dei vantaggi dal momento che una sua non completa aspor-tazione non determinerà eccessivi e prolungati aumenti della tensione endooculareper le ridotte dimensioni della catene ed il più basso peso molecolare10.

Come comportarsi in presenza di perdita di vitreoLa comparsa di vitreo in camera anteriore durante la facoemulsificazione complicanotevolmente la situazione e necessità di una diversa gestione della chirurgia.Un celebre aforisma recita:“I never lose vitreous: I always know where I have put it”“Io non perdo mai il vitreo: io so sempre dove l’ho messo”Tutto questo da un’idea molto chiara di cosa è importante fare per tenere sotto con-trollo ogni ulteriore fase dell’intervento.Nel caso di passaggio dell’intero nucleo o di grossi frammenti dello stesso in cameravitrea è necessario procedere alla loro rimozione con le tecniche descritte nellospecifico capitolo di questa pubblicazione.Nel caso di una grossa rottura capsulare con perdita di vitreo e presenza ancorain camera anteriore dell’intero nucleo o di una grossa parte di esso, soprattuttose si tratta, come spesso accade, di un nucleo brunescente ed è presente unrischio immediato di passaggio di esso in camera vitrea, è necessario convertirel’intervento allargando l’incisione, eseguendo se necessario delle epifisiotomiedella rexi, favorendo la fuoriuscita del materiale lenticolare con ansa o uncini.Nel caso in cui la fuoriuscita di vitreo si sia verificata verso la fine dell’interven-to e siamo in presenza solo di piccoli frammenti nucleari o di frammenti piùgrandi ma di consistenza relativa,o di sola corticale, l’intervento può essere por-tato a termine in sicurezza e con ottimi risultati funzionali stando come sempreparticolarmente attenti alla fluidica. In caso di presenza di vitreo in camera anteriore è necessario eseguire una vitrec-tomia. Anche in questo caso in considerazione dei flussi che si vengono a crea-re una vitrectomia bilaterale a due porte è da preferire in quanto più controlla-bile ed efficacie. L’approccio coassiale è potenzialmente più pericoloso e può conmaggiore facilità condurre ad un allargamento della rottura capsulare. La linea di infusione viene connessa con una cannula da infusione di 21 gaugeed inserita attraverso una porta di servizio. Il livello di infusione viene abbassa-to fino ad un valore tale da far si che il liquido di infusione serva semplicemen-te a mantenere il volume via via che il materiale lenticolare e vitreale vienerimosso. Per mantenere in ogni istante controllato il rapporto tra la quantità dimateriale immesso ed aspirato sarebbe opportuno evitare di inserire il vitrecto-mo attraverso il tunnel e servirsi di una seconda porta di servizio. Nel caso poiche il tunnel del faco non sia a perfetta tenuta è opportuno suturarlo per man-tenere costante il bilancio idrico.

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Quali sono i parametri di fluidica più idonei da utilizzare in questa fase ? Per larimozione del vitreo è bene utilizzare un cutting rate di 500-1500 tagli al minu-to ed un vacuum settato tra 50 e 100 mmHg. Invece per rimuovere eventualiresidui nucleari il numero dei tagli va ridotto mentre il vacuum viene con estre-ma attenzione aumentato gradualmente.

ConclusioniDal momento che la gestione di un evento avverso in generale, ma soprattutto di unarottura della capsula posteriore deve essere rapida e codificata, è necessario che sia ilchirurgo che la sua equipe siano pronti a questa eventualità.È importante per il chirurgo avere ben chiari gli scenari che si possono presentare pre-parandosi ad affrontarli anche soltanto con una simulazione mentale.È anche fondamentale essere pronti da un punto di vista strumentale. Per esempioavere una memoria del nostro facoemulsificatore presettata sui parametri di fluidicanecessari in queste circostanze può evitare aggiustamenti in corsa da parte del nostropersonale di sala resi spesso caotici e difficoltosi dalla tensione del momento. Inoltreè utile avere un kit sterile dove sono raccolti tutti i ferri chirurgici che possono esse-re utili in queste circostanze (per esempio è molto importante avere una scatola giàsterilizzata con tutto ciò che è necessario per la conversione in ECCE (forbici cornea-li,ansa etc.), evitando disperate ricerche dell’ultimo minuto.

• Bloccare l’aspirazione rimanendo con gli strumenti all’interno dell’occhio

• Abbassare l’altezza della bottiglia per diminuire la pressione endoculare

• Iniettare della sostanza viscoelastica dietro il nucleo o i frammenti di esso

• Sorreggere il nucleo e/o i frammenti con un manipolatore o una cannula

• Cercare di impalare la lente con un ago

• Allargare l’incisione ad almeno 10 mm

• Aprire la ressi con una o più epifisiotomie

• Cercare di portare il nucleo in camera anteriore servendosi di uncini o cannule

• Inserire un’ansa dietro al nucleo per favorirne l’espressione dalla camera anteriore

• Vitrectomia anteriore

Come comportarsi in presenza di grave rischio di caduta del nucleo o di frammenti di esso nel vitreo

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Dott. Alessandro FranchiniDipartimento di Scienze Chirurgiche Oto-Neuro-OftalmologicheUniversità degli Studi di FirenzeTel. 055 411765 • Fax 055 [email protected]@unifi.it

Autore diriferimento

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SPECIALE LA VOCE AICCER44

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SPECIALE LA VOCE AICCER 45

Rottura/disinserzione zonularecon e senza perdita vitreale.

Cosa fare?

Riccardo Sciacca

La dialisi / rottura della zonula rappresenta una rara complicanza della chirurgia dellacataratta. Una disinserzione zonulare intraoperatoria può presentarsi in pazienti con

una preesistente fragilità zonulare, condizione questa che può essere determinata da mol-teplici fattori:

• Traumi contusivi (talvolta anche di modesta entità) e/o perforanti• Età avanzata• Miopia patologica• Pseudoexfoliatio lentis• Cataratta ipermatura• Pregressa vitrectomia via pars plana • Prolungata presenza di olio di silicone in camera vitrea1-8.

All’osservazione dell’oftalmologo potranno giungere casi di franca disinserzionezonulare con un nucleo già evidentemente sublussato come, ad esempio, in conse-guenza di forti traumi contusivi o in caso di pazienti affetti da sindromi sistemicheassociate a compromissione zonulare (sindrome di Marfan, sindrome di Weil-Marchesani, omocistinuria)4,8.Tra le cause di dialisi zonulare va naturalmente considerata l’ipotesi di un’erratamanovra chirurgica come una fuga della capsuloressi, l’“intrappolamento” della cap-sula nella bocca del faco, o un’eccessiva pressione esercitata sulla zonula durante levarie fasi chirurgiche (rotazione del nucleo dopo idrodissezione, scolpitura delnucleo) (Figure 1 e 2).

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Frequentemente, all’esame obiettivo preoperatorio, non sono riscontrabili faco- e/oiridodonesi ed anche in midriasi massimale il cristallino può non presentare alcunsegno di dislocazione. Le forme in cui la lesione zonulare è circoscritta (< 90°), infat-ti, sono generalmente misconosciute anche ad un attento esame alla lampada a fessu-ra ed i pazienti in tali casi non lamentano alcuna sintomatologia. In soggetti con cata-ratta traumatica in cui non vi siano segni obiettivi di dislocazione o instabilità del cri-stallino può risultare utile l’esecuzione di un esame UBM per ottenere una diagnosipreoperatoria di rottura zonulare, anche circoscritta, in modo tale da valutare l’ap-proccio chirurgico più appropriato9.In questi casi di fragilità della zonula o dialisi circoscritta intraoperatoriamente sipotrà evidenziare già nelle primissime fasi dell’intervento (capsuloressi, idrodissezio-ne) una microfacodonesi che deve mettere il chirurgo in guardia su quelle che potran-no essere le conseguenze di manovre eccessivamente energiche su un cristallino chepresenta un supporto zonulare non ottimale6.Una disinserzione zonulare intraoperatoria può, infatti, se non correttamente gestita,generare una serie di complicazioni tra cui: perdita di vitreo, rottura della capsulaposteriore e lussazione di materiale lenticolare o della stessa IOL in camera vitrea.Una pronta individuazione della dialisi capsulare è infatti essenziale per prevenire unincremento della disinserzione stessa o una concomitante rottura capsulare. Segniprecoci di un indebolimento capsulare sono un anomalo incremento della profondi-tà della camera anteriore (dopo riempimento con sostanze viscoelastiche o in seguitoall’introduzione del facoemulsificatore in camera anteriore con conseguente irrigazio-ne), facodonesi, decentramento del cristallino o della IOL al termine dell’intervento.Nelle forme in cui la compromissione delle fibre zonulari è maggiore, invece, lo spo-stamento del cristallino è il più delle volte documentabile all’esame obiettivo delbulbo e il suo decentramento si rende responsabile di sintomatologia caratteristicarappresentata da calo visivo stabile o intermittente e diplopia monoculare (nei casi di

Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare?

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Figura 1. Fuga della capsuloressi Figura 2. Disinserzione zonulare conseguente a fuga del-la ressi

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importante dislocazione rispetto all’asse ottico). In questi pazienti risulta fondamen-tale un’attenta programmazione chirurgica al fine di ottenere la miglior conservazio-ne possibile del supporto capsulare e dunque un risultato ottimale dal punto di vistaanatomico e funzionale.

Tecnica chirurgicaLa facoemulsificazione si è imposta ormai da più di un ventennio come la tec-nica di elezione nella chirurgia della cataratta. Il suo utilizzo si è esteso neglianni anche a situazioni più complesse come gli interventi per cataratta con con-comitanti disinserzioni zonulari. Priorità del chirurgo è naturalmente quella dipreservare il supporto capsulare in modo tale da consentire l’impianto di unaIOL ben centrata in camera posteriore.

Disinserzione < 90°Delle dialisi zonulari circoscritte (estensione < 90°) possono essere gestite come deinormali interventi di facoemulsificazione ponendo particolare attenzione a non stres-sare la zonula durante la varie manovre chirurgiche ed impiantando un anello di ten-sione capsulare prima di procedere con la facoemulsificazione del nucleo. Particolare attenzione andrà posta innanzitutto nelle prime fasi dell’intervento, ini-ziando una delicata rotazione del nucleo solo dopo avere ottenuto una buona idro-dissezione. Una rotazione non supportata da una buona delaminazione del comples-so nucleo/corticale/capsula non farà altro che incrementare la dialisi della zonula22.Dopo aver ruotato il nucleo è opportuno introdurre una sostanza viscoelastica al disotto del bordo della capsuloressi per allontanare quest’ultima dal nucleo del cristal-lino favorendo in tal modo l’introduzione dell’anello di tensione capsulare.L’anello di tensione capsulare è un dispositivo in polimetilmetacrilato (PMMA) il cuiutilizzo è stato per la prima volta descritto daHara nel 1991. Originariamente pensato peressere inserito dopo asportazione della catarattae stabilizzare il sacco capsulare migliorandoinserimento e la stabilizzazione della IOL, si èdimostrato in seguito molto efficace nelmigliorare la gestione intraoperatoria dellafacoemulsificazione del cristallino sublussato.L’utilizzo dell’anello, infatti, stabilizzando il saccocapsulare ne previene in collasso determinandoinoltre una riduzione dei rischi di prolasso divitreo in camera anteriore e di decentramentopost-operatorio della IOL impiantata10-17. Esistono anelli con diverso diametro (da 11 a 13mm); per facilitarne il posizionamento la granparte degli anelli di tensione capsulare in com-

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Figura 3. Introduzione di anello di tensione capsulare in uncaso di cataratta ipermatura sublussata

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mercio presenta degli occhielli alle due estremità, vi sono anche modelli che presen-tano un ulteriore foro di posizionamento al centro della convessità (Figura 3). Va inol-tre segnalata la presenza in commercio di anelli precaricati con iniettore a stantuffo. Negli anni sono state sviluppate numerose varianti di anelli di tensione capsularecome il modello proposto da Cionni dotato di occhielli simili a quelli presenti nelleloop delle IOL per fissazione sclerale con lo scopo di fornire supporto sclerale senzacompromettere l’integrità del sacco capsulare in pazienti che presentano una signifi-cativa compromissione zonulare. Prima dell’inserimento dell’anello di Cionni nelsacco capsulare una sutura ad ansa in Prolene 10/0 viene passata all’interno dell’oc-chiello. Dopo l’inserimento dell’anello nel sacco l’ago viene passato ab interno a livel-lo dell’equatore del sacco e fissato alla sclera nella porzione in cui la compromissionezonulare è maggiore8, 14, 18.Una volta stabilizzato il sacco con l’anello di tensione capsulare si procederà con lafacoemulsificazione utilizzando naturalmente bassi valori di infusione (flow rate<20cc/min con altezza della bottiglia <50cm) per evitare che un brusco incrementodella pressione in camera anteriore possa contribuire ad indebolire ulteriormente lazonula ed evitando di traumatizzare la porzione di sacco disinserita durante la nucleo-frattura e la successiva aspirazione delle masse nucleari e della corticale.

Disinserzione di 90° - 180°Qualora la compromissione zonulare sia compresa tra 90° e 180° può risultare utileagganciare il bordo della capsuloressi con degli uncini retrattori iridei. Questa proce-dura stabilizza ulteriormente il sacco capsulare limitandone inoltre il movimentoanteroposteriore20-23.In tali casi si rende spesso utile l’ancoraggio dell’anello di tensione capsulare alla scle-ra come descritto nel precedente paragrafo.In presenza di disinserzioni così estese aumenta la probabilità di avere un prolasso di

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Figura 4. Disinserzione post-traumatica di iride e zonula Figura 5. Introduzione di anello di tensione capsulareiniettabile

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vitreo in camera anteriore, situazione questa che rende necessaria un’accurata vitrec-tomia anteriore. La vitrectomia va eseguita a secco o con valori di flow rate moltoridotti, l’irrigazione infatti determina un passaggio di fluidi ad alta velocità in came-ra vitrea con conseguente ulteriore passaggio di vitreo in camera anteriore. Talvolta viè la necessità di contenere il vitreo, in questi casi può essere utile ricorrere ad unasostanza viscoelastica a bassa coesività interna, così da poter meglio assorbire la spin-ta vitreale. Un viscoelastico altamente coesivo rischia infatti di essere spostato in bloc-co dal vitreo. Anche al termine della vitrectomia anteriore può essere iniettato dell’al-tro viscoelastico in corrispondenza della dialisi zonulare così da respingere in cameravitrea eventuale vitreo colliquato che potrebbe ripresentarsi in camera anteriore nellefasi conclusive dell’intervento24.

Disinserzione di 180° - 270°Tali gravi compromissioni dell’integrità zonula-re non possono essere gestite con un interventodi facoemulsificazione, le opzioni chirurgiche inquesto caso prevedono una lensectomia via parsplana o, in alternativa, un estrazione intracapsu-lare del cristallino.L’impianto di IOL potrà essere effettuato conmetodica a sospensione sclerale o a fissazioneiridea contestualmente o in due distinti tempichirurgici rispetto all’asportazione del cristal-lino24, 25.In caso di vitrectomia via pars plana le possibilicomplicanze sono rappresentate dalla dispersio-ne di residui lenticolari in camera vitrea e dalla

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Figura 6. Facoaspirazione bimanuale Figura 7. Evidente l’anello di tensione cap-sulare attraverso la disinserzione iridea

Figura 8. Esito finale della chirurgia

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possibile formazione di rotture retiniche con eventuale insorgenza di distacco di reti-na. Nel caso di dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo è dunque opportunonon tentare manovre chirurgiche azzardate e programmare in un secondo momentouna chirurgia dedicata in modo tale da non correre il rischio di creare rotture retini-che iatrogene con possibile distacco di retina. Altre complicanze postoperatorie in caso di perdita di materiale lenticolare nel vitreosono rappresentate da: edema corneale, ipertono, uveiti26, 27.In conclusione possiamo affermare che, in caso di compromissione zonulare lieve-moderata (< 180°) le moderne tecniche di chirurgia mini-invasiva associate all’utiliz-zo di dispositivi, quali l’anello di tensione capsulare o gli uncini retrattori iridei, nellamano di un chirurgo esperto possono garantire in una buona percentuale dei casi laconservazione del supporto capsulare con buoni risultati anatomo-funzionali. Leforme di severa disinserzione prevederanno invece una chirurgia più invasiva ed inogni caso prudente onde evitare complicanze ben più gravi della semplice perdita delsupporto capsulare quali il distacco di retina.

Rottura/disinserzione zonulare con e senza perdita vitreale. Cosa fare?

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Dott. Riccardo SciaccaA.S.P. Catania - Unità Operativa complessa di oculistica Acireale - Paternò (CT)Tel. 095 [email protected]

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SPECIALE LA VOCE AICCER52

IntroduzioneL’eventualità di dover porre attenzione e di dover trattare la perdita di vitreo in came-ra anteriore durante la chirurgia della cataratta è un'eventualità molto rara. Grazieall’avvento della micro incisione e di nuova strumentazione per la chirurgia della cata-ratta la rottura capsulare si verifica in una percentuale che varia da un max di 3,7all’1,2 % min secondo uno studio europeo1. Più frequente invece può essere necessa-rio trattare la perdita di vitreo in camera anteriore nei casi di cataratta traumatica, lus-sata o con pseudoesfoliatio lentis.

MetodoLa visualizzazione del vitreo in camera anteriore durante la chirurgia della cataratta avolte può non essere subito evidente, soprattutto se si verifica all’inizio della rimozio-ne del nucleo o durante la scolpitura o la fase di frammentazione iniziale del nucleocon tecnica chop, poiché può essere confuso con la presenza di materiale viscoelasti-co o può non essere visibile per la presenza di masse idratate in camera anteriore. Inquesti casi quindi non appena il chirurgo si “rende conto” di questo tipo di compli-canza normalmente ferma la progressione standard dell’intervento e comincia adaffrontare la complicanza. La gestione della complicanza non può mai essere standar-dizzata poiché ogni tipo di complicanza è diversa dall’altra e con un “po’ di fantasia”si può affrontare e risolvere al meglio la complicanza. Forse il metodo più semplice per visualizzare il vitreo in camera anteriore è l’utilizzodel Triamcinolone che iniettato in camera anteriore colora solo il vitreo presente inessa. Ovviamente però è necessario liberare la camera il più possibile dai residui

Come visualizzare il vitreoin camera anteriore

Simonetta Morselli

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SPECIALE LA VOCE AICCER

nucleari. Nel caso di presenza di molti residui nucleari la visualizzazione e l’asporta-zione dei residui nucleari e capsulari può risultare molto difficoltosa. Dopo averasportato tutti i residui nucleari e capsulari, si può iniettare il triamcinolone e con ilvitrectomo a secco o con infusione separata non coassiale di BSS a boccia bassa rivol-gendo il flusso verso l’endotelio corneale, si procede all’asportazione di tutti i residuivitreali colorati con il triamcinolone. La gestione della complicanza può richiedereanche molto tempo e un supplemento di anestesia topica e intraoculare. Nei pazien-ti “steroid responders “ l’uso del triamcinolone può provocare complicanze post ope-ratorie di ipertono oculare, per questo motivo sono stati studiati nuovi colorantivitreali da camera anteriore come l’estriolo che evita questi effetti collaterali e coloracomunque bene le fibrille vitreali presenti in camera anteriore. L’utilizzo dell’estrioloper la colorazione del vitreo è comunque solo stato impiegato in modelli animali2. Un altro metodo di visualizzazione del vitreo in camera anteriore è l’uso del triphanblue, il colorante utilizzato per la colorazionedella capsula anteriore del cristallino, il qualecolora le fibrille di vitreo debolmente ma tendeanche a colorare l’endotelio e tutti gli altri tessu-ti con cui viene in contatto. Questo fatto deter-mina una difficoltà di visualizzazione di tutta laprocedura chirurgica, pertanto è un metodo chenon viene utilizzato di frequente.L’utilizzo dell’iniezione di una bolla d’aria incamera anteriore può aiutare a visualizzare leresidue fibrille vitreali presenti in camera ante-riore. La bolla d’aria prende una forma comple-tamente tonda in caso di assenza di vitreo incamera anteriore. Se la bolla appare ovalizzata,

ROTTURA CAPSULARE CON PERDITA DI VITREOIN CORSO DI INTERVENTO DI CATARATTA

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Figura 1. Rottura capsulare Figura 2. Prolasso di fibre vitreali catturate dall’aspirazione

Figura 3. Vitrectomia anteriore

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SPECIALE LA VOCE AICCER

questo indica che vi sono residui vitreali in camera anteriore. Per l’asportazione delvitreo residuo è utile inserire il vitrectomo in camera anteriore in corrispondenza delladeformazione della bolla e attivare il taglio con l’aspirazione in quella sede. L’iniezionedi una seconda bolla d’aria identificherà eventuali altri residui vitreali. Questo meto-do è molto economico e veloce ma non è selettivo per le fibrille vitreali del corpovitreo, poiché la bolla d’aria si deforma anche in presenza di eventuali residui di mate-riale viscoelastico. Un altro metodo di visualizzazione può essere l’utilizzo di una fontedi luce da segmento posteriore a fibre ottiche, ove essa sia disponibile, introdottaattraverso l’incisione di servizio oppure semplicemente appoggiando la fonte lumino-sa esternamente in sede corneale paralimbare con la luce principale del microscopiospenta. In tal modo è possibile visualizzare le fibrille vitreali tangenzialmente e cosìaspirare e tagliare le fibrille vitreali con l’uso del vitrectomo dall’incisione principale.Questo metodo è molto vantaggioso e preciso, ma potrebbe essere costoso e spessonon disponibile in tutte le sale operatorie. In conclusione la metodica migliore emeno complicata dal punto di vista gestionale pare essere rappresentata dalla visualiz-zazione del gel vitreale con triamcinolone anche se la complicanza dell’ipertono post-operatorio non è affatto escludibile. In pazienti già affetti da ipertono o glaucomal’opzione chirurgica potrebbe essere invece l’utilizzo delle fibre ottiche come sopradescritto. Nella pratica quotidiana spesso si tende invece, forse per velocizzare l’attooperatorio, a controllare la presenza o meno di residuo gel vitreale con bolla d’aria enel dubbio a portare l’estremità del vitrectomo appena sotto il piano del sacco capsu-lare centralmente prolungando pazientemente il tempo della vitrectomia stessa.Un’idea potrebbe essere l’utilizzo in futuro di una viscoelastica coesiva colorata (digiallo?) che non si leghi al gel vitreale e permetta così l’isolamento del vitreo nellacamera anteriore e la sua asportazione con maggior precisione.

Come visualizzare il vitreo in camera anteriore

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Dott.ssa Simonetta MorselliDirettore Struttura complessa di OculisticaOspedale San BassianoBassano del Grappa (VI)Tel. 0424 [email protected]

Autore diriferimento

Bibliografia

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SPECIALE LA VOCE AICCER 55

La vitrectomia anteriore

Paolo Vinciguerra

La gestione del prolasso vitreale in camera anteriore (CA) è una complicanza di diffici-le gestione durante l'intervento di facoemulsificazione a causa dell’aderenza che il

vitreo contrae con le strutture anteriori e posteriori1, 2.Le catene di glicosaminoglicani ed acido ialuronico formano fibrille di piccolo dia-metro che, fortemente idratate, conferiscono al vitreo una consistenza gelatinosacapace di imbrigliare residui lenticolari e capsulari3, 4. È dunque necessario un ade-guato approccio con strumentario dedicato ed assistito da una cromo-vitrectomia alloscopo di liberare le strutture anteriori dal gel vitreale e minimizzare le trazioni indot-te dall'evento iatrogeno sulle strutture retiniche. L'incidenza di rottura intraoperato-ria capsulare posteriore varia ampiamente in letteratura. I dati pubblicati in letteratu-ra nell'ultimo decennio stimano l'incidenza di questa complicanza 0,45-3,6%5-7.

1. Equilibrio pressorioLa rottura della capsula posteriore crea una diretta comunicazione tra la camera ante-riore e la camera vitrea con conseguente pressione della colonna del fluido d'infusio-ne sul corpo vitreo. Allo scopo di minimizzare il prolasso vitreale verso le struttureanteriori bisogna, appena riconosciuta la rottura capsulare, mantenere una pressionepositiva d’infusione in camera anteriore1, 8. A tale scopo è consigliato di mantenere ilmanipolo faco in camera anteriore in funzione di irrigazione continua, abbassare leg-germente la pressione di infusione in modo da non generare eccessive turbolenze difluidi atte a dislocare residui lenticolari in camera vitrea, non creare una pressionenegativa con manovre di aspirazione o fragmentazione. È consigliato creare possibil-mente una pressione positiva in CA con una linea di infusione separata prima di pro-

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cedere all'estrazione del manipolo faco5, 9. La pressione negativa indotta da una impul-siva rimozione del manipolo o da una aspirazione attiva, può amplificare la fuoriuscitadi vitreo allargando la rottura capsulare ed aumentando le trazioni sulla base vitreale.Stabilizzata la IOP, la prima manovra necessaria, prima dell’introduzione del vitrecto-mo in camera anteriore, è la riduzione del vitreo prolassato attraverso gli accessi cor-neali. Tale manovra deve essere eseguita con un secondo strumento ad accesso dalleparacentesi di servizio ed in assenza di infusione attiva9.

2. Vitrectomia anteriore ad accesso cornealeLa rimozione del vitreo richiede la presenza di un’aspirazione in grado di attirare il gelvitreale nella bocca del vitrectomo e di una porta in grado di tagliare il vitreo. Il vitreoè dunque asportato in singoli frammenti e la quantità di vitreo rimossa per ogni sin-golo ciclo di taglio è direttamente proporzionale all’aspirazione ed inversamente pro-porzionale alla velocità di taglio.L'infusione di fluido in CA ha lo scopo di mantenere un adeguato equilibrio presso-rio durante le manovre di aspirazione indotta dalla vitrectomia anteriore. L'infusionepuò essere coassiale al vitrectomo o ad accesso anteriore separato10.La vitrectomia ad infusione coassiale ha il vantaggio di gestire l'equilibrio dei fluidi el'asportazione del vitreo attraverso un solo strumento inserito nell'accesso principalecorneale e dunque più familiare ad un chirurgo del segmento anteriore. Il grosso limi-te dell'infusione coassiale è la maggiore idratazione delle fibrille vitreali. Infatti ilvitrectomo verrà progressivamente spostato dal diaframma pupillare verso la porzio-ne anteriore della camera vitrea. A questa manovra segue l'infusione continua di flui-do nel corpo vitreo che determina un allontanamento delle fibrille dalla bocca delvitrectomo ed allo stesso tempo una iper-idratazione del corpo vitreo che tenderà ad

allargare la rottura capsulare ed ad aumentare ilprolasso vitreale in CA.La linea di infusione può essere separata dalvitrectomo ed introdotta in camera anterioreattraverso un CA manteiner o un cannula separa-ta di irrigazione.La vitrectomia anteriore, eseguita con una linea diinfusione anteriore separata, ha il vantaggio dimodulare separatamente l'aspirazione ed il tagliodel vitrectomo dalla infusione di fluido. La rimo-zione delle fibrille vitreali è ottimizzata da unainfusione capace di mantenere una pressioneintraoculare costante senza ostacolare la fluidicadel vitreo in uscita attraverso il vitrectomo.Durante tutte le manovre è opportuno ricreare unsistema chiuso.Il vitrectomo senza irrigazione coassiale avrà un

La vitrectomia anteriore

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Figura 1. Vitrectomia anteriore ad accesso cornealecon infusione anteriore separata non coassiale.

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diametro inferiore a quello delmanipolo faco. Di conseguenza ilvitrectomo introdotto dall’accessocorneale principale lascerà spazioalla fuoriuscita di vitreo favoritadalla pressione positiva generatadalla linea di infusione. È dunqueconsigliata una tecnica bimanualeattraverso due paracentesi di servi-zio: una cannula di infusione da unlato ed il vitrectomo dall’altra(Figura 1). In caso di leakage vitrea-le dall’ingresso principale, è consi-gliato una sutura corneale del tun-nel corneale per evitare prolassovitreale durante le manovre.Dunque la linea di infusione rimanea localizzazione anteriore e garanti-sce una pressione costante dall’al-to verso il basso (dislocamento delvitreo verso il polo posteriore)mentre il vitrectomo verrà introdotto in camera anteriore e successivamente incamera posteriore fino a raggiungere la porzione anteriore della cavità vitreale. Ilvitrectomo viene dunque spostato perifericamente ed orientato con la boccaverso la base vitreale (Figura 2). In questa manovra è possibile aiutarsi con unalieve indentazione sclerale esterna.Il limite di una vitrectomia ad infusione non coassiale, è l'esecuzione di una paracen-tesi di servizio, atta ad introdurre l'infusione, ed un approccio bimanuale.La vitrectomia anteriore può essere anche eseguita tramite un approccio posteriore viapars plana. Tale approccio è da preferirsi in casi di dubbia dislocazione di residui len-ticolari in camera vitrea. In tal caso basterà introdurre un AC manteiner in cameraanteriore ed eseguire solo due accessi pars plana. Il vantaggio è l’esplorazione direttadelle strutture retiniche e degli eventuali danni iatrogeni, con una completa puliziadella base vitreale.Un ulteriore accorgimento al termine della vitrectomia è il modellamento della formadel residuo capsulare anteriore allo scopo di minimizzare la formazione di sinechieposteriori irido-capsulari (per la presenza di lembi liberi capsulari anteriori) e fornireun adeguato supporto per un impianto secondario (Figura 3).

3. Parametri di impostazioneCritica è l’impostazione di parametri adeguati al fine di minimizzare l’effetto trazio-nale e l’eventuale danno iatrogeno indotto dalla trazione.

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Figura 2. Pulizia bimanuale dei tralci vitreali poste-riori. La linea di infusione rimane a localizzazioneanteriore e garantisce una pressione costante dall’al-to verso il basso (dislocamento del vitreo verso il po-lo posteriore) mentre il vitrectomo raggiunge la por-zione anteriore della cavità vitreale. Il vitrectomoviene dunque spostato perifericamente ed orienta-to con la bocca verso la base vitreale.

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SPECIALE LA VOCE AICCER

Per i vitrectomi pneumatici 20-gauge la trazione vitreoretinicaaumenta di 4,96 dynes (7,90dynes per i vitrectomi elettrici) perogni aumento di 100 mmHg divuoto, mentre diminuisce di 3.41dynes per un aumento di 500cpm. Per i vitrectomi pneumatici25-gauge la trazione vitreoretinicaaumenta di 3.40 dynes per ogniaumento di 100 mmHg di vuoto,mentre diminuisce di 5.71 dynesper un aumento di 500 cpm11,12. I parametri da impostare riguarda-no la velocità di taglio, la pressionedi infusione ed il vuoto/aspirazione.L’utilizzo di un vitrectomo da chi-rurgia del segmento posteriore haimportanti vantaggi rispetto alvitrectomo anteriore.

La velocità di taglio degli attuali vitrectomi posteriori raggiungere i 5000 tagli alminuto (cpm). Un’alta velocità di taglio genera una diminuzione della trazione chel’itero corpo vitreo esercita sulle strutture circostanti mantenendo allo stesso tempoun flusso laminare costante non trattivo del gel vitreale. Un’alta velocità di taglio cor-risponde ad un più alto controllo della fluidica in uscita della colonna di fluido, maallo stesso modo aumenta i tempi chirurgici di rimozione del gel vitreale. Una fineregolazione della fluidica del flusso in uscita è inoltre ottimizzata dalla regolazione delduty cycle che garantisce una modulazione del ciclo di lavoro del vitrectomo. La velocità di flusso all'interno del vitrectomo è inversamente proporzionale alla quar-ta potenza del raggio, influendo quindi significativamente sulla dinamica della vitrec-tomia. Bisogna inoltre ricordare che in ogni fluido reale sono presenti diversi effettidissipative, di cui la viscosità ne è il principale responsabile. La viscosità del vitreoaspirato sarà modificata dal diametro attraverso cui il fluido viscoso scorre.Ad un diametro inferiore della sonda corrisponde un effetto trazionale inferiore etempi chirurgici superiori per vitrectomia (a parità di valori di tagli, duty cycle e aspi-razione). Una ottima applicazione della vitrectomia 25 gauge13 è la gestione dellecomplicanze anteriori: in particolare è interessante notare che il flow rate dei nuovisistemi 25-gauge plus in presenza di acqua è 7.8 ml/min con una frequenza di tagliodi 5000 cpm, un duty cycle del 50% ed un vuoto di 650 mmHg. L’ottimizzazione ditali parametri permette dunque di effettuare una vitrectomia rapida a circa 8 ml/mincon una trazione minima dovuta al piccolo diametro della sonda e soprattutto conuna frequenza di taglio molto alta11, 12.

La vitrectomia anteriore

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Figura 3. Modellamento della forma del residuo cap-sulare anteriore. Rifinitura del lembo liberi capsula-ri anteriori per evitare la formazione di sinechie po-steriori irido-capsulari e fornire un adeguato sup-porto per un impianto secondario.

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SPECIALE LA VOCE AICCER

In caso si faccia uso di un vitrectomo anteriore è consigliato dunque impostare untaglio ad alta frequenza (superiore a 800/min).I meccanismi di taglio dei vitrectomi sono attualmente sviluppati su due principidiversi: "elettrico" e "pneumatico”. Il sistema elettrico ha un duty cycle costante sucui sono regolabili tassi diversi di taglio. I nuovi vitrectomi presentano un tagliopneumatico che utilizza aria pressurizzata sia in apertura che in chiusura con ciclo dimodulazione del duty cycle indipendente dalla velocità di taglio13.In un sistema chiuso il controllo automatico della pressione di infusione permetteindirettamente di stabilizzare tutti i flussi dei fluidi intraoculari in uscita14. In caso disistemi di infusione a caduta è consigliato mantenere una IOP leggermente al di sopradei valori fisiologici in modo da compensare le fasi di aspirazione (20-26 mmHg). Èpossibile infine regolare il limite di flusso di aspirazione (0-20 cc/min) indipendente-mente dal livello di vuoto. Utile nelle fasi di occlusione della bocca del vitrectomo incui viene modulato il vuoto per restituire poi massimo controllo a bocca non occlusa.

4. Cromo-vitrectomiaLa cromovitrectomia e un adiuvante alla visualizzazione di strutture oculari semitra-sparenti. Il triamcinolone (TA) è un corticosteroide ben noto per proprietà anti-infiammatorie, tale da giustificare il suo impiego in patologie vascolari essudative einfiammatorie15. Studi recenti dimostrano che questo steroide insolubile in acqua, èutile alla visualizzazione delle fibre di collagene vitreali. Questa proprietà è fortemen-te legata alla natura insolubile dei cristalli di TA che si integrano nella matrice di col-lagene. Il prolasso vitreale può essere foriero di complicanze post-operatorie qualiedema corneale, glaucoma secondario, vitreite, edema maculare cistoide e distacco diretina indotte da residue trazioni da impegno vitreale. L'incidenza di tali complican-ze può essere ridotta con una rimozione meticolosa del vitreo dalla camera anterio-re16. La localizzazione del vitreo e la sua rimozione completa è difficile da definiredata la trasparenza delle fibrille di collagene vitreale. Burk nel 2003 per primo descris-se l'uso di TA nella gestione delle complicanze della chirurgia della cataratta17. La pre-parazione prevede il passaggio attraverso un filtro di 5 microns per separare le parti-celle di TA dal veicolo. Il vantaggio della visualizzazione della matrice di collagenepermette di evitare manovre che aumentano la trazione vitreale, di finalizzare lavitrectomia anteriore in termini di efficacia e di tempo, di inibire le vie di biosintesidi acido arachidonico al fine di inibire l’infiammazione e di stabilizzare la barrieraematoretinica interna18. Infine, al termine della procedura chirurgica, può essereiniettata aria in CA tramite paracentesi corneale allo scopo di valutare la presenza diresidue trazioni o aderenze. La tensione superficiale generata dall’interfaccia aria-flui-do (circa 70 mN/m) permette di avere una bolla d’aria omogenea in grado di identi-ficare segni indiretti trattivi da correggere19. Una bolla d’aria non omogenea è indicedi presenza di vitreo in camera anteriore o di persistente impegno vitreale nelle para-centesi. Inoltre l’aria riesce ad evitare il dislocamento anteriore del vitreo o IOL nelprimo periodo post-operatorio.

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SPECIALE LA VOCE AICCER60

La vitrectomia anteriore

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Dott. Paolo VinciguerraUnità Operativa di OculisticaIstituto Clinico HumanitasRozzano (MI)[email protected]

Autore diriferimento

Bibliografia

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Impianto immediatocon IOL nel solco

Vincenzo Orfeo

Il chirurgo che ha avuto una rottura capsulare con perdita più o meno evidente di vitreoè sempre riluttante ad abbandonare il campo lasciando a metà il suo lavoro, chiuden-

do l’intervento senza impiantare.Psicologicamente può essere vissuto come una sconfitta anche se in molte situazioniquesta sarebbe la scelta più giusta. Chi fa anche chirurgia vitreo-retinica sa bene chel’accanimento può indurre notevoli danni alla retina.Però esistono alcune situazioni dove, dopo aver ben valutato i rischi e controllato lostato del vitreo, si può pensare di impiantare la IOL nel solco e concludere così l’in-tervento con successo.Il primo elemento da considerare nella decisione di impiantare una IOL nel solco èla presenza di una capsuloressi anteriore circolare continua, con diametro sufficientea garantire il supporto della IOL. Nel caso in cui la ressi anteriore sia integra e sia stataben costruita come diametro, leggermente inferiore al piatto della IOL, e sia ben cen-trata rispetto al forame pupillare, è indicata la cattura capsulare della IOL, dove leanse sono nel solco ed il piatto viene fatto scapolare sotto la ressi anteriore.Questa circostanza è ideale per il fissaggio della IOL, la quale resterà centrata indi-pendentemente dal diametro delle anse e dal diametro del piatto della IOL.Nel caso in cui questa evenienza non sia realizzabile per la presenza di una ressi decen-trata, per la contemporanea presenza di una rottura capsulare anteriore oppure di unafuga, la IOL deve necessariamente essere impiantata completamente nel solco.Per poter effettuare un impianto nel solco sono necessari un buon supporto capsula-re ed una zonula integra perché la IOL possa avere una buona stabilità e dipenderesolo dal solco per la fissazione.

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SPECIALE LA VOCE AICCER

In questa circostanza ci sono duepriorità: il corretto centraggio dellaIOL e la biocompatibilità uveale.Le IOL monopezzo acriliche nonsono adatte all’impianto nel solcocapsulare, poiché sono troppo picco-le come diametro totale delle anse,sono troppo spesse e troppo “morbi-de”; per queste caratteristiche perdo-no facilmente la corretta angolazione.Ovviamente sono anche controindi-cate le IOL con le aptiche piane (abiscotto).In questa circostanza, come ancheper la cattura capsulare, bisogna sce-gliere IOL tre pezzi. Le IOL da saccotre pezzi (Figura 1), ovvero con piat-to di 6 mm e diametro delle anse di

13 mm sono idonee anche per un impianto nel solco capsulare, senza rischiare undecentramento. Solo in alcune circostanze, quali ad esempio occhi particolarmentemiopi o di grandi dimensioni, è preferibile utilizzare delle IOL con diametro di 6.5mm e con diametro delle anse che sia almeno di 13.5 mm o di 14 mm.Le IOL da scegliere devono essere in materiale acrilico e non in silicone. Questo perdue principali motivazioni:• la prima è immediata, cioè l’apertura di una IOL al silicone ha una cinetica “esplo-

siva” e questo potrebbe compromettere una situazione delicata come può esserequella di una rottura capsulare;

• la seconda motivazione negativa è che, nel caso di un distacco di retina, la presenzadi una IOL al silicone comprometterebbe un tamponamento vitreale con olio disilicone, per la formazione di un’interfaccia tra le due superfici.

Scelta del potere della IOLNel caso di un impianto nel solco con cattura capsulare, non si modifica la ELP(effective lens position), ovvero la posizione ideale della IOL programmata dal siste-ma di calcolo per cui non è necessario variare la nostra costante A. Nel caso in cuiinvece l’impianto sia effettuato completamente nel solco capsulare, bisogna conside-rare che la lente sarà anteriorizzata rispetto alla sua posizione effettiva (ELP). In que-sto caso bisogna quindi ridurre il potere della IOL perché l’anteriorizzazione induceuna miopizzazione.L’entità della correzione varia in funzione delle dimensioni dell’occhio e del poteredella lente che avremmo dovuto impiantare.Per poteri compresi tra le +15.0 e le +23.0 D è necessario ridurre il potere della IOL

Impianto immediato con IOL nel solco

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Figura 1. IOL tre pezzi

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da sacco di 1.0D. Per IOL con pote-re inferiore alle +15.0 D è sufficien-te ridurre il potere della IOL di 0.5D. Per poteri superiori alle +23.0 Dbisogna invece ridurre il potere dellalente di 1.5D.Nei casi in cui vi siano dubbi sulla sta-bilità della lente impiantata nel solco,può rendersi necessaria una fissazioneiridea mono o bilaterale, eseguendoun cappio attorno alle anse con filo diprolene 10/0.Per eseguire la fissazione iridea diun’ansa si dovrà indurre una relativamiosi, portare il piatto al di sopra del-l’iride lasciando le anse sotto l’iride in modo che sia evidente il loro profilo così daconsentire un sicuro passaggio dell’ago lungo con una sutura in prolene 10/0.Però c’è da considerare che quando le manovre si fanno lunghe e laboriose è preferi-bile rimandare l’impianto ad un secondo momento perché tali manovre possonoaumentare il rischio di complicazioni.

Tecnica chirurgicaIn caso di rottura della capsula posteriore, ad eccezione del caso in cui la rotturaposteriore possa essere convertita in una capsuloressi posteriore circolare continua,senza fuoriuscita importante di vitreo, è controindicato l’impianto della IOL nelsacco capsulare non integro; l’im-pianto, se possibile, può solo essereeffettuato nel solco capsulare.Prima dell’impianto della IOL ènecessario assicurare la migliore puli-zia possibile del sacco capsulare,rimuovendo tutti i frammenti corti-cali. Nel caso in cui questi venganolasciati in situ, si idrateranno epotranno arrecare disturbo alla visio-ne se presenti in campo pupillare.La procedura di pulizia del sacco cap-sulare deve essere effettuata con aspira-tore manuale (siringa) collegata ad agocurvo da idrodissezione (Figura 2).Nella procedura di aspirazione biso-gna porre particolare attenzione a

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Figura 2. Rottura capsulare

Figura 3. Vitrectomia anteriore

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non aspirare filamenti vitreali chepossono esercitare trazione sulla reti-na con complicanze molto severe.Nel caso in cui sia presente unadiscreta quantità di vitreo, si rendenecessaria una vitrectomia anteriore,che inizialmente può essere condottaanche a secco sotto viscoelastico perevitare di idratare eccessivamente ilvitreo se la fuoriuscita è minima.Altrimenti separando le vie d’irriga-zione ed aspirazione si procederàalla vitrectomia ponendosi central-mente sotto il forame pupillare conlo scopo di attrarre il vitreo verso ilcentro dell’occhio (Figura 3). Nonè indicato andare a “cercare” il

vitreo in camera anteriore. Anche in questa procedura bisogna procedere conmolta cautela modulando attentamente i parametri del vitrectomo ed in partico-lar modo la frequenza di taglio e l’aspirazione.Una volta rimosso il vitreo prolassato in camera anteriore, il chirurgo deve inserire unC.A. manteiner con boccia bassa per assicurare una minima quantità di BSS chemantenga la camera anteriore oppure iniettare viscoelastico in camera anteriore enel solco ciliare prima di impiantare la IOL. Quale visco utilizzare? Se coesivo laparte del visco che resta sopra la IOL sarà facilmente aspirata mentre quella al di

sotto no. Se adesivo potrebbe esserelasciato nell’occhio, ma provocacomunque ipertono.Lo scopo del viscoelastico svolge unaduplice funzione. In prima istanzanel sacco capsulare ha il ruolo dimantenere ben arretrato il vitreo edevitare che possa fuoriuscire dalla rot-tura capsulare e ritornare in cameraanteriore; inoltre iniettato nel solcociliare, ha il ruolo di creare spazio perl’impianto della IOL.Quando si impianta una IOL nelsolco ciliare, è buona norma accertar-si che tutte e due le anse siano piazza-te nel solco. Nel caso in cui una sianel solco e la seconda nel sacco cap-

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Figura 4. Iniezione IOL

Figura 5. Iniezione IOL 2a fase

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sulare, il rischio è quello di un decen-tramento della IOL.L’inserimento della IOL nell’occhiopuò avvenire secondo due procedure. La prima prevede l’iniezione dellaIOL, rigorosamente acrilica tre pezzi,in camera anteriore sopra il piano iri-deo (Figura 4). Una volta introdottal’ansa distale ed il piatto ottico, silascia scorrere l’ansa prossimaleanch’essa sopra il piano irideo. A que-sto punto con un uncino di Sinskeylungo si cattura l’ansa distale e la siinarca fino a posizionarla sotto l’iride,facendola poi delicatamente riapriresotto l’iride e sopra la capsula anterio-re. Con una pinza di McPherson,quindi si procede ad eseguire la stessa manovra per l’ansa prossimale, inarcandola finoa scapolare il bordo irideo e posizionandola poi sopra la ressi anteriore.Nel caso in cui, invece, ci sia una buona visualizzazione della capsula anteriore e ci siauna buona midriasi, si può iniettare l’ansa distale ed il piatto della IOL sotto l’iride,direttamente sopra la capsula anteriore (Figura 5), completando poi il posizionamen-to della seconda ansa facendola ruotare con un uncino di Sinskey agganciato allagiunzione tra piatto e ansa (Figura 6). Ove possibile questa seconda tecnica è preferibile ed è più semplice da eseguire.Se la ressi capsulare anteriore è bencentrata e di diametro lievementeinferiore al piatto della IOL, è possi-bile eseguire la cattura capsulare.Una volta posizionata la IOL nelsolco per intero, il piatto va fatto sca-polare sotto la ressi esercitando unamodesta pressione circa a 90 gradi didistanza dalla giunzione piatto-anse(Figura 7). Dopo aver eseguito questamanovra, si noterà la deformazionedella ressi che da circolare diventeràovale, con i poli in corrispondenzadelle giunzioni tra piatto della IOL eanse (Figura 8).Questa manovra consente di posizio-nare la IOL senza il rischio che si

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Figura 6. Posizionamento IOL

Figura 7. Cattura capsulare

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decentri, e senza badare al diametrodelle anse in funzione del diametrodel solco, in quanto sarà il piatto cap-sulare a determinare il corretto posi-zionamento della lente. Inoltre conquesta manovra si evita il collabimen-to della capsula posteriore con la cap-sula anteriore che favorisce e facilitala comparsa di fibrosi.Infine, si eviterà la formazione delpigmento irideo sulla superficie dellalente come spesso accade negliimpianti nel solco, perché il piattocapsulare è mantenuto indietro e ilbordo della lente è coperto dalla cap-sula anteriore.

Anse nel sacco e cattura capsulare dell’ottica nella ressi anterioreQuesta modalità di impianto della IOL può essere considerata una cattura inversa,nel caso in cui la rottura della capsula posteriore avvenga dopo che il chirurgo abbiaimpiantato la IOL nel sacco.Se durante le procedure di impianto della IOL nel sacco capsulare si verifica unaimprovvisa rottura della capsula posteriore, (per esempio nella fase di aspirazione delviscoelastico dietro la IOL) che rende incerta la stabilità della lente nel sacco stesso, èpossibile far scapolare il piatto della lente sopra la ressi anteriore.

Questa procedura “minimal stress”consente, di assicurare la lente allacapsula anteriore ed evitare com-plicanze di dislocazione della stessanel vitreo.

Conclusioni:• è buona norma in caso di rottura

capsulare con fuoriuscita di vitreo,rimandare l’impianto ad un secon-do intervento

• quando l’impianto contemporaneoè fattibile bisogna eseguire una vitrec-tomia anteriore e nell’area retroiri-dea così da non lasciare filamentivitreali in c.a. o peggio, attorno alla IOL o bloccati nelle aperture corneali

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Figura 8. IOL catturata

Figura 9. Sutura

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SPECIALE LA VOCE AICCER

• è necessario avere un buon supporto cioè una ressi anteriore integra o quasi del tuttointegra

• è indispensabile usare una IOL 3 pezzi e possibilmente eseguire una cattura capsu-lare con anse nel solco e piatto sotto la ressi anteriore

• indurre miosi con acetilcolina• asportare senza approfondire troppo la camera anteriore, la maggiore quantità pos-

sibile di viscoelastico• suturare con Nylon 10/0 l’accesso principale (Figura 9).

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Dott. Vincenzo OrfeoU.O. di Oculistica

Clinica Mediterranea, NapoliTel. 081 7611251 • Fax 081 [email protected]

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SPECIALE LA VOCE AICCER68

La dislocazione di frammenti di lente nella cavità vitreale in corso di chirurgiadella cataratta è una complicanza rara ma potenzialmente grave.

Si stima che l’incidenza di tale complicanza sia compresa tra lo 0,1% e l’1,5% nellacurva di apprendimento di un chirurgo1,2. Per es. in un ospedale indiano in cuioperano sia specializzandi che chirurghi esperti, l’incidenza complessiva di cadutadel nucleo è stata pari allo 0.8% . Uno studio sulle complicanze della facoemulsi-ficazione tra gli specializzandi del terzo anno della New Jersey Medical School harilevato che l’incidenza di rottura della capsula posteriore è pari al 6.7%, di perdi-ta di vitreo al 5.4% e di caduta nel vitreo di materiale catarattoso all’1.0%4. I fattori che aumentano il rischio di caduta di masse catarattose nel vitreo compren-dono scarsa midriasi, nuclei duri, cataratte traumatiche, occhi infossati e movimen-ti del paziente durante la chirurgia5,6,7. Altre condizioni come pseudoesfoliatio,traumi oculari e sindrome di Marfan aumentano il rischio di deiscenza zonulare edislocazione vitreale anche dell’intera lente8.

Chirurgia della catarattaLa rottura capsulare, la deiscenza zonulare e la caduta di frammenti di lente nelvitreo possono verificarsi in ogni fase della chirurgia della cataratta, ma avvengonopiù frequentemente durante la facoemulsificazione o l’aspirazione delle masse cor-ticali9,10,11,12. Grandi rotture capsulari possono far seguito all’estensione di piccolelacerazioni o di fori creati in precedenza. Durante le fasi di cracking o durante unaprolungata manipolazione di nuclei duri, queste aperture possono estendersi dram-maticamente e la caduta nel vitreo di masse lenticolari può verificarsi rapidamente.

Masse disperse nel vitreo

Giorgio Tassinari

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Negli occhi che hanno sviluppato una cataratta successivamente a un trauma, ilchirurgo dovrebbe fare attenzione a fori silenti della capsula posteriore che posso-no estendersi durante l’idrodissezione.Il riconoscimento precoce della rottura capsulare insieme alla prevenzione del col-lasso della camera anteriore possono impedire l’estensione della rottura, il movi-mento anteriore del vitreo e la dislocazione posteriore del cristallino. Il primosegnale del problema è spesso rappresentato dall’approfondimento della cameraanteriore e dallo spostamento posteriore del nucleo. Per impedire la migrazioneanteriore del vitreo e la dislocazione posteriore del cristallino dovrebbe essere iniet-tato viscoelastico e posizionato un secondo strumento dietro alla lente. I frammen-ti lenticolari residui devono essere delicatamente emulsificati o rimossi con conver-sione a estrazione extracapsulare. Quando invece il vitreo si è già infiltrato attorno alle masse catarattose o nella feri-ta chirurgica, una vitrectomia anteriore deve essere eseguita precedentemente allarimozione delle masse lenticolari residue, per evitare una trazione sulla base delvitreo e un aumento del rischio di distacco di retina. Se si verifica una caduta posteriore di masse catarattose, la tentazione di inseguir-le o rimuoverle con la sonda faco o altri strumenti o manovre differenti dalla vitrec-tomia via pars plana (VVPP) dovrebbe essere evitata poiché vi sono rischi signifi-cativi di danneggiare l’occhio provocando edema e scompenso corneale, trazionedella base vitreale, strappi retinici, distacchi di retina o emorragie vitreali. La primadecisione da prendere è se procedere alla VVPP durante lo stesso intervento,ammesso che lo stesso chirurgo della cataratta sia, o sia disponibile nelle vicinanze,un esperto di tecniche vitreoretiniche. L’intervento sarà concluso con vitrectomia anteriore e rimozione dei frammenticorticali dalla camera anteriore; impianto di IOL anteriore o posteriore nel casoin cui la situazione consenta un adeguato supporto e stabilità della lente - evi-tando IOL di silicone per l’aumentato rischio di distacco di retina ed eventualenecessità di scambio fluido-aria-olio di silicone per la sua riparazione-; suturastagna della ferita chirurgica, per evitare leakage dalla ferita anche durantel’eventuale successiva VVPP.I frammenti di cristallino ritenuti possono portare a infiammazione intraoculare,ipertono, edema corneale, edema maculare cistoide e distacco di retina13,14.

Decorso post-operatorioMentre frammenti corticali possono essere riassorbiti entro 3 mesi, frammentinucleari possono essere rinvenuti persino 2 anni dopo l’intervento di cataratta; aparità di dimensioni, il materiale nucleare tende ad essere peggio tollerato del mate-riale corticale ; ciononostante, il lento ridursi del materiale nucleare può causareun’infiammazione controllabile, mentre abbondante materiale corticale può causa-re una severa infiammazione vitreale simile ad un’endoftalmite. In genere l’infiam-mazione risulta proporzionale al volume del materiale dislocato e alla velocità di

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liberazione di proteine dalle masse catarattose, tanto che la caduta dell’intero cri-stallino con capsula integra rappresenta una scarsa minaccia di infiammazioneimmediata.L’aumento di pressione intraoculare, presente in più del 50% degli occhi con fram-menti lenticolari ritenuti nel vitreo prima di essere sottoposti a VVPP18,19,20,21 èdovuto all’aumento della resistenza al deflusso dell’umore acqueo, determinato siadalle proteine ad alto peso molecolare liberate dalle masse catarattose, sia dalle cel-lule infiammatorie. L’infiammazione cronica può portare alla formazione di sine-chie anteriori e ad un glaucoma cronico ad angolo chiuso.Un certo grado di edema corneale è stato riportato nel 33-85% dei casi; può esse-re dovuto alle manipolazioni effettuate durante la chirurgia della cataratta, all’in-fiammazione intraoculare, e talvolta alla presenza di frammenti lenticolari in came-ra anteriore, causanti un danno endoteliale diretto.L’incidenza di distacco di retina varia dallo 0 al 18% nelle diverse casistiche23,24,25

anche se rotture retiniche isolate sono più frequenti26.

TrattamentoIl trattamento farmacologico dell’infiammazione intraoculare e dell’ipertono è ini-ziato subito dopo l’intervento complicato di cataratta, con corticosteroidi topici edeventualmente sistemici, cicloplegici ed ipotonizzanti. La chirurgia vitreale è spesso indicata per rimuovere il materiale lenticolare ritenu-to, ma il momento migliore per eseguire la vitrectomia è ancora dibattuto e variain base alle caratteristiche di ciascun caso.

Indicazioni della VVPPLe indicazioni per la vitrectomia includono riduzione dell’acuità visiva correlataall’edema maculare cistoide, all’infiammazione, all’opacizzazione o all’emorragiavitreale, persistenza di elevata pressione intraoculare, presenza di frammenti lenti-colari visivamente sintomatici, uveite persistente o distacco retinico.Anche se la vitrectomia precoce (< 3 settimane) sembra associata a migliori risulta-ti visivi, questa chirurgia presenta un rischio intrinseco di complicanze ulteriori27. Alcuni autori sconsigliano la VVPP negli occhi con frammenti lenticolari di picco-le dimensioni (<5-10% del volume del cristallino), lieve infiammazione vitreale elieve ipertono28,29,30. È stato dimostrato31 che un trattamento solo medico dellaritenzione di frammenti lenticolari porta ad un’acuità visiva nel lungo terminesovrapponibile a quella ottenuta dopo vitrectomia, almeno nei casi che non mostra-no una riduzione visiva o un’infiammazione o un ipertono resistenti alla terapiamedica nelle prime due settimane post-op. Ciononostante, una fluttuazione dellavista e la visione di corpi mobili rappresentano manifestazioni comunemente rife-rite dai pazienti non sottoposti a vitrectomia.Quindi, la vitrectomia è indicata nei casi in cui si prevede –esempio per abbondan-za del materiale lenticolare caduto nel vitreo- o si osserva un’infiammazione o un

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ipertono resistenti alla terapiamedica e nei pazienti che richie-dono una riabilitazione visivapiù rapida e qualitativamentemigliore. L’osservazione è inveceindicata, considerando i rischidella vitrectomia, quando l’in-fiammazione e la pressione sonocontrollabili conservativamentee il paziente accetta un recuperovisivo più lento e meno confor-tevole.

Timing della VVPPVi è scarsa evidenza che la VVPP eseguita lo stesso giorno della chirurgia della cata-ratta porti a risultati visivi migliori rispetto alla chirurgia eseguita precocemente32.Secondo alcuni autori la vitrectomia eseguita nello stesso giorno della chirurgiadella cataratta o precocemente (<1-2 settimane) può portare a risultati visivi miglio-ri33,34,35,36, rispetto ad una chirurgia posticipata (>1-2 settimane) mentre secondoaltri37 non vi sono differenze statisticamente significative. Vari studi ampi nonhanno trovato una correlazione statisticamente significativa tra il timing dellaVVPP e l’incidenza di glaucoma cronico o dei risultati visivi a lungo termi-ne38,39,40,41. In genere si raccomanda di eseguire la VVPP entro 2 settimane42 main alcuni casi posticipare la VVPP è preferibile per consentire una riduzione del-l’opacità corneale e dell’infiammazione oculare.

Tecnica della VVPPPreoperatoriamente deve essere eseguito un esame del fondo per identificare ilnumero e la localizzazione della masse catarattose e per evidenziare ogni rotturaretinica. Nei pazienti con emorragia vitreale o vitreite è indicata una ecografia BScan per valutare lo stato della retina.L’approccio standard usato dai chirurghi vitreoretinici per la gestione delle massecatarattose disperse nel vitreo è la vitrectomia via pars plana a tre porte43,44,45,46,47.Sono posizionati la cannula per l’infusione, il vitrectomo e l’endoilluminazione. Senecessario, il vitrectomo è utilizzato sia attraverso la pars plana che tramite l’approc-cio limbare per rimuovere tutto il vitreo ed il residuo materiale lenticolare dalla feri-ta corneale e dalla camera anteriore. Prima viene eseguita la rimozione del nucleovitreale, poi del materiale catarattoso corticale dietro all’iride e circondante la IOL,ponendo attenzione a non destabilizzarla. Successivamente viene pulito il vitreorimanente con i detriti catarattosi associati. Per evitare un’eccessiva trazione vitrea-le, il vitreo che circonda ogni frammento di lente deve essere rimosso prima diingaggiare gli stessi frammenti (Figura 2). Le masse nucleari sulla superficie retini-

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Figura 1.

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ca, dopo essere stati liberate dal vitreo, vengono aspira-te con il phacofragmatome e sollevati al centro dellacavità vitreale, dove vengono emulsificati. Devono esse-re utilizzati livelli bassi di ultrasuoni per evitare lesioniretiniche causate dai frammenti nucleari duri spintiverso la retina dalla punta del phacofragmatome. Lasommità dell’endoilluminatore può essere utilizzata pertenere i frammenti nucleari vicini alla punta del phaco-fragmatome o per schiacciare il materiale lenticolaredentro il vitrectomo. Dopo una completa lensectomia evitrectomia, viene eseguita una depressione sclerale peridentificare eventuali rotture retiniche periferiche oresidui di lente intrappolati nel vitreo periferico. Il perfluorocarbonato liquido (PFCLs) può essere utileper rimuovere i frammenti di lente dislocati posterior-mente e per minimizzare le lesioni retiniche durante lafacoemulsificazione posteriore. Dopo una completa

vitrectomia e liberazione dei frammenti di lente dal vitreo, il PFCL è iniettato sulnervo ottico. L’alto peso specifico di questo liquido muove la massa lenticolare dallasuperficie retinica al centro della cavità vitreale dove può essere aspirata o emulsifi-cata in sicurezza. Il PFCL viene poi scambiato con gas espandibile o olio di silico-ne. I problemi associati all’uso del PFCL includono la tendenza dei frammenti araccogliersi alla periferia dell’interfaccia PFCL-soluzione salina bilanciata e la for-mazione di schiuma del PFCL durante la facoframmentazione, che può impedi-re la visualizzazione. Alcuni chirurghi vitreoretinici usano il PFCL in tutti i casi

di dispersione di masse catarattose nel vitreo, mentrealtri riservano la sua applicazione a casi specifici comepresenza di nuclei molto duri o coesistenza di distac-co di retina.

RisultatiDopo VVPP vi è una riduzione della PIO e un miglio-ramento dell’AV nella maggior parte di casi, ma l’inci-denza di glaucoma cronico dopo vitrectomia è compre-sa tra 0 e 31%48 e solo una percentuale compresa tra il42 e il 71% ottiene una AV finale pari o maggiore a5/1049,50,51,52,53,54. L’edema maculare cistoide rappre-senta la causa principale di riduzione dell’acuità visiva. Il risultato visivo degli occhi sottoposti a VVPP percaduta di materiale catarattoso nel vitreo è in continuomiglioramento: per il raggiungimento di un’AV pari osuperiore a 5/10, si è passati da una percentuale pari

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Figura 2.

Figura 3.

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al 42% a fine anni ‘70 a una percentuale di 67-71% nel 2007-0856,57. I migliora-menti possono essere attribuiti alla migliore gestione sia dell’intervento iniziale dicataratta, sia del successivo intervento di VVPP. La moderazione o astensione delchirurgo della cataratta nei tentativi di recuperare la masse catarattose cadute nelvitreo e un’appropriata gestione intraoperatoria e postoperatoria possono consenti-re buoni risultati visivi anche in seguito a questa complicanza della chirurgia dellacataratta.

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Dott. Giorgio TassinariOspedale Maggiore • Bologna

Tel. 051 [email protected]

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IntroduzioneL’approccio intraoculare alla correzione dell’afachia post-chirurgica conosce diversestrategie, la cui scelta dipende dalle condizioni anatomo-funzionali dell’occhio. Il primo elemento anatomico da considerare è la presenza di un “adeguato supporto cap-sulare” e di conseguenza la possibilità di effettuare un impianto nel solco ciliare1. In casocontrario l’impianto può realizzarsi in camera anteriore oppure in camera posteriore fis-sando la lente all’iride2-4 o alla sclera tramite “suture” 5.Recentemente sono state messe a punto tecniche di fissazione intrasclerale “senza sutu-re” che assicurano le aptiche della IOL in tunnel intrasclerali dedicati6,7 o nel letto diflaps sclerali usando colla di fibrina8. L’obiettivo è quello di ridurre i tempi chirurgici,eliminare le difficili proceduredi confezionamento delle suture e delle loro complicanze ed allo stesso temporealizzare un posizionamento anatomico ed ottico ideale ossia il centraggio retropupillare dell’ottica.

Valutazione preoperatoriaLa visita preoperatoria mirata alla progettazione di un impianto secondario in unpaziente afachico prevede: un’accurata anamnesi generale mirata a comprendere se ilpaziente presenta patologie del connettivo per escludere a priori una fissazione scle-rale; un’anamnesi oculare per avere notizie sul numero e sul tipo di interventi subi-ti (facoemulsificazione complicata con rottura capsulare, vitrectomia anteriore,posteriore ecc); una visita oculistica completa che comprenda, oltre gli steps stan-dard, in particolare:

Impianto secondario: solco, irideo fissazione sclerale

Scipione Rossi

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SPECIALE LA VOCE AICCER

• la conta endoteliale;• la gonioscopia;• la biometria ottica modalità “afachia”;• la biomicroscopia ultrasonografica ad alta risoluzione (UBM) per valutare in caso di

scarsa midriasi la presenza di residui capsulari.L’esecuzione dell’UBM in un bulbo afachico dovrebbe essere eseguito come esame diroutine perche ci permette di studiare • anatomia dell’angolo irido-ciliare;• presenza di sinechie tra iride e capsula residua che potrebbero ostacolare l’inserzione

delle aptiche di una IOL da camera posteriore.

Impianto secondario in assenza di supporto capsulareImpianto nel solco L’impianto secondario di una PC IOL nel solco è la strategia di scelta in occhi con ade-guato supporto capsulare9,10. La valutazione preoperatoria è necessaria per l’accerta-mento dei residui capsulari periferici.Per fornire un supporto affidabile di una IOL occorrono 6 ore di residuo capsulareperiferico ampio, di cui almeno la metà situate nel quadrante inferiore. La condizionepiù favorevole è la conservazione della capsulo ressi anteriore; in questo caso le aptichedella IOL vengono posizionate nel solco ciliare, mentre l’ottica viene catturata aldavanti della capsuloressi anteriore, questa manovra garantisce un ottimo centraggio estabilità11-13. La tecnica chirurgica prevede 2 aspetti importanti: la scelta del tipo di IOLed il posizionamento simmetrico delle due aptiche nel solco1. • La “IOL da solco” è una IOL da camera posteriore standard, 3-pezzi, con diametro

dell’ottica di 6- 6,5 mm, lunghezza assiale 13,5 mm, con aptiche lunghe, sottili , fles-sibili, con bordi arrotondati ed angolazione posteriore di 5°. Una IOL da camera poste-riore monopezzo presenta aptiche spesse, rigide, con bordi squadrati dannosi per le deli-cate strutture uveali (Figura 1).

• Il corretto posizionamento delle aptiche nel solco è la principale difficoltà di questatecnica (Figura 2).

Si stima che nel 42% dei casi di impianti nelsolco le aptiche non si trovano nella correttaposizione14. Il mal posizionamento delle apti-che ha importanti implicazioni cliniche.Nel caso in cui una delle due aptiche sia aldavanti del solco ciliare l’iride periferica subiràuna spinta anteriore con chiusura d’angolo percirca 2 h ed un contatto tra il bordo dell’ottica esuperficie posteriore dell’ iride (irite, dispersionepigmento) diversamente se il posizionamento èposteriore al solco l’aptica può incarcerasi nelcorpo ciliare attivando fenomeni infiammatori

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Figura 1. IOL monopezzo: bordi squadrati della giunzioneottica-aptica

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che ha grande popolarità; d’altra parte la sua scelta è ristretta a casi selezionati sulla basedi un’accurata valutazione preoperatoria. I parametri da considerare per la possibilità dieffettuare un impianto di una AC IOL sono:• la funzionalità dell’endotelio corneale: pachimetria <540 micron;• la profondità della camera anteriore: ≥ 3 mm;• il diametro orizzontale corneale >10,5mm;• l’integrità del tessuto irideo almeno pari 270°;• il diametro pupillare: < 6 mm.L’impianto in camera anteriore avviene mediante IOL “ad appoggio angolare” oppuread “enclavazione iridea”. L’impianto di una AC IOL ad appoggio angolare è tecnica-mente più semplice; ma il continuo contatto tra le aptiche con la radice dell’iride econ il trabecolato comporta una serie di complicanze; infiammazione cronica,aumento IOP, emorragie (Uveite, Glaucoma, Ipoema: UGH Syndrome). Diversi

studi hanno trovato un aumento dellaIOP dopo impianto secondario di unaAC IOL angolare16,17.Il secondo tipo di AC IOL, pur richieden-do maggiore abilità chirurgica, è gravato daminori complicanze. La fissazione delleaptiche a “chela di granchio” avviene nel-l’iride medio periferica (Figura 4) lontanadalle delicate strutture angolari. Un altrovantaggio è che nell’iride medio-periferica ivasi sanguigni sono piccoli, incapsulati,con decorso radiale pertanto con un minorrischio di emorragie. La “enclavazione” è il momento più critico

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Figura 2. Immagine UBM: posizionamento simmetrico delle aptiche nel solco: uguale distanza tra il bordo dell’ottica e la superficie posteriore dell’iride (Vasavada et al., 2010)

Figura 3. Immagine UBM: aptica incarcerata nel corpo ciliare(Vasavada et al., 2010)

cronici ed emorragici (Figura 3). Dal punto di vista refrattivo il mal posizio-namento delle aptiche determinerà15:• shift miopico (decentramento simmetri-

co anteriore dell’ottica);• shift ipermetropico (decentramento sim-

metrico posteriore dell’ottica);• aberrazione comatica (decentramento

asimmetrico o tilting dell’ottica).

Impianto capsulare in assenza di supporto capsulare1) Impianto in camera anterioreL’impianto secondario di una IOL dacamera anteriore (AC IOL) è una tecnica

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di tutta la tecnica chirurgica soprattutto in caso di un’iride afachica che ha una consi-stenza più rigida spesso friabile rispetto a quella fachica.Dal 197018 ad oggi19-22, le IOL ad enclavazione iridea hanno dimostrato la loro effi-cacia e sicurezza nella correzione dell’afachia.

2) Tecnica a “fissazione iridea”Nel 1976, Malcom McCannel23 è stato il primo a descrivere una tecnica a fissazioneiridea di una lente intraoculare da camera posteriore (PC IOL) sub lussata. McCannelebbe l’idea di suturare le anse di una PC IOL sub lussata all’iride attraverso un filo inpolypropilene 10.0, durante una cheratoplastica perforante. Soltanto nel 2003Stutzman2 e Condon3 hanno descritto il modo di eseguire queste suture di fissazione“a bulbo chiuso” sia in casi di un riposizionamento di una IOL sub lussata sia in casodi un impianto secondario. Per questo tipo di impianto è necessario un buon trofismo dell’iride ed una normaledinamicità pupillare.La tecnica richiede un’elevata abilità chirurgica in particolare nelle seguenti fasi:1. posizionamento retro irideo delle aptiche con “cattura pupillare” dell’ottica

della PC IOL;2. “cattura dell’ansa” con le suture di McCannel (Figura 5);3. confezionamento del “nodo scorsoio di Siepser”24.La tecnica a fissazione iridea consente il centraggio retro pupillare di una PC IOL.Il centraggio retro pupillare è un riposizionamento corretto dal punto di vista anato-mico e funzionale. Infatti, la posizione finale si approssima a quella originaria (saccocapsulare) con tutti i vantaggi di un impianto in camera posteriore. La fissazione delleanse flessibili all’iride determina un incurvamento posteriore del complesso aptico-ottico della IOL, facendo allontanare di fatto la parte ottica dalla superficie posterioreiridea e riducendo l’attrito da contatto e la dispersione di pigmento(4a). Dal punto di

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Figura 4. Immagine UBM: Enclacazione di un aptica nell’iride medio–periferica Figura 5. Cattura della loopcon una sutura in polypro-pilene 10.0 (da Stutzman eStark, 2003)

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vista refrattivo, questo fenomeno rende l’effetto otticosimile alla situazione iniziale evitando la riduzione delpotere dovuta all’anteriorizzazione della IOL25. Un altro vantaggio della tecnica è la stabilità delle sutureche, rispetto alla fissazione sclerale, ove anche il sempliceammiccamento può creare uno stress meccanico con pos-sibile erosione, non subiscono sollecitazioni e danneggia-menti. È quindi un posizionamento stabile nel tempo26

con un minimo rischio di dislocazione27 e di endoftalmi-ti causate dalla presenza delle suture sclerali stesse28.D’altro canto, come è stato detto, l’iride periferica rappre-senta un sistema di sospensione ideale grazie alla sua ato-nia , elasticità ed il suo tipo di vascolarizzazione.Infine, un recente studio di analisi attraverso la biomicro-scopia ultrasonica (UBM), condotto da Mura et al.(2010)29, ha dimostrato che il punto di sutura è l’unicopunto in cui aptica e iride posteriore sono a contatto conminimo rischio di dispersione pigmentaria (Figura 6).Uno studio eseguito da Guttman nel 200930 ha eviden-ziato un tasso di complicanze post-operatorie che variadall’1 all’8% (follow-up medio di 8 mesi). In 144 occhi

operati, l’8% presentava un aumento transitorio della IOP, l’1% un edema macu-lare cistoide, l’1% una cheratopatia bollosa, l’1% emorragia iridea ed il 7% unaridislocazione. L’infiammazione cronica dell’iride è un’altra possibile complicanza chesi verifica in due casi: per un’erronea localizzazione delle suture nella parte mobile del-l’iride oppure per una eccessiva tensione delle suture31.L’irido dialisi, è un evento raro, che si può verificare per una manipolazione erronea

della radice dell’iride32.

3) Tecnica a fissazione sclerale “con suture”La tecnica a fissazione sclerale è stata introdotta daMalbran alla fine degli anni 80 per l’impianto in pazien-ti precedentemente sottoposti ad estrazione intracapsula-re di cristallino33. L’impianto a fissazione sclerale prevedel’ancoraggio delle loop della IOL alla sclera, al di sotto di2 sportellini base limbus creati ad ore 3 ed ore 9, con l’au-silo di fili di sutura in polipropilene (non riassorbibili)10/0 ad ansa o doppiamente armati con un lungo agoretto o curvo. La funzione degli sportellini è consentire lasepoltura del nodo di fissazione.I vantaggi di questo tipo di impianto derivano da posi-zionamento della lente in camera posteriore riducendo,

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Figura 6. Nel punto di fissazione della suturairide-aptica c’è un inginocchiamento del pro-filo irideo. Non ci sono altri contatti tra otticadella IOL, aptiche e superficie post dell’iride (Mura et al., 2010)

Figura 7. Sclerotomia nel solco ciliare (cs) eviden-ziata da cannula da 25 G (cp= processi ciliari), (da Gabor et al., 2007)

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in tal modo, il rischio di un impianto in camera ante-riore (progressiva deplezione delle cellule endoteliali,sinechie con deformazione pupillare, ipertono, statiflogistici cronici). Sono disponibili diversi tipi di IOL afissazione sclerale, la peculiarità sono gli occhielli alleestremità delle loop. Negli ultimi anni sono state immes-se sul mercato lentine da fissazione sclerale pieghevoliche permettono un taglio corneale meno ampio rispettoa quelle in PMMA34.Le metodiche di esecuzione delle tecniche di fissazio-ne sclerale sono numerosissime ed ogni chirurgotende a personalizzarle.La fase chirurgica che richiede la maggiore abilità tecni-ca è la realizzazione di suture “simmetriche ” tra le dueaptiche ossia con• uguale localizzazione (solco ciliare)• uguale tensionein questo modo viene assicurato un buon centraggio retro pupillare dell’ottica.La procedura presenta una serie di complicanze intra-operatorie e post-operatorie lega-te alle suture. Il passaggio trans-sclerale dell’ago eseguito approssimativamente alivello del solco ciliare comporta un elevato rischio di emorragie intraoculari.Numerosi studi hanno riportato che il rischio di dislocazione della PC IOL per rot-tura o degradazione delle suture35,36 e di endoftalmiti per infezioni delle suturesono statisticamente significativi37,38.

4) Tecnica a fissazione sclerale “senza suture”L’impianto a fissazione sclerale “senza suture” si realizza attraverso due strategie:• tunnel sclerali;• colla di fibrina

Figura 8. Preparazione del tunnel sclerale (st) a1,5- 2,0 mm dal limbus iniziando dalla sclero-tomia (freccia) usando una cannula da 24 gau-ge (can), (da Gabor et al., 2007).

Figura 9. L’aptica prossimale è trascinata attraverso le sclerotomie (frecce) usando pinze da 25gauge (f).

f

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La creazione di “tunnel intrasclerali” per fissare le aptiche di una PC IOL è unatecnica che combina il controllo di un sistema a “bulbo chiuso” con la stabilitàassiale della PC IOL6,7,38.Analizziamo le fasi dell’intervento:1. esecuzione di due sclerotomie a 1,5 -2 mm dal limbus, poste a 180° l’una dall’altra,

utilizzando una lama da 25 gauge (Figura 7);2. preparazione di due tunnel sclerali con una cannula da 24 gauge a partire dalla

sclerotomia ed estendendosi in senso orario per 4 mm a circa il 50% dello spes-sore sclerale;

3. introduzione con iniettore di una PC IOL standard 3 pezzi, in acrilico, attraversoun’incisione in cornea chiara (2,75 mm);

4. stabilizzazione delle aptiche: in un primo momento l’aptica prossimale viene lascia-ta all’esterno mentre l’estremità dell’aptica distale viene afferrata con una micropinza da 25 –gauge verso la sclerotomia (Figura 9) e trascinata nel tunnel (Fig.10A).Dopo aver posizionato l’aptica distale, quella prossimale viene trascinata in cameraanteriore, l’estremità è afferrata con pinza di 25 G e introdotta nel secondo tunnel.

Dopo aver assicurato le aptiche, la IOL risulta posizionata in sede retro pupillare(Figura 10B) ed il corretto centraggio della PC IOL viene ottenuto attraverso piccoliaggiustamenti della porzione intrasclerale delle aptiche.Il tessuto intrasclerale rappresenta un sito anatomico favorevole perché è avascolare econ scarsa tendenza all’infiammazione (Figure 11 e 12). Un altro modo per fissare le aptiche nel tessuto sclerale prevede l’impiego di “colladi fibrina”. È una colla biologica che contiene fibrinogeno umano (20mg/0,5 mL),trombina (250 IU/0,5mL), soluzione di aprotinina (1500KIU in 0,5 mL); ha unatriplice azione:• adesiva;• emostatica;• stimolante la rigenerazione tissutale.

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Figura 10. A) Posizionamento delle aptiche nel tunnel sclerale e di diametro appropriato a quel-lo delle aptiche per evitare torsioni e garantire un buon centraggio.B) Fotografia di fine impianto: centraggio retro pupillare della PC IOL (da Gabor et al., 2007)

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La colla di fibrina in oftalmologia ha trovato diversi campi di applicazione: chiusuracongiuntivale dopo chirurgia dello pterigio, dello strabismo, chiusura di perforazionicorneali, di descemetoceli, chiusura della bozza congiuntivale dopo trabeculectomia39.Recentemente Agarwal (2008)8 ha utilizzato la “colla di fibrina” per fissare le aptichedi una PC IOL nella sclera.Analizziamo in breve le fasi dell’intervento:1. sportelli sclerari base limbus localizzati nel settore infero-temporale e supero - nasa-

le a 180° l’uno dall’altro (Figura 13);2. sclerotomie con lama da 23 –gauge: la sclerotomia inferiore viene posizionata vici-

no al margine inferiore dello flap sclerale infero-temporale, quella superiore vicinoal margine superiore del flap supero-nasale;

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Figura 11. Immagine alla lampada a fessura della posizio-ne del tunnel sclerale a 3 mesi dall’intervento. L’apticadella IOL è incarcerata completamente (freccia) nel tun-nel sclerale (Gabor et al., 2010)

Figura 12. L’immagine UBM mostra il tunnel sclerale conl’aptica al suo interno dopo 6 settimane l’intervento. Nes-sun segno di leakage o infiammazione (Gabor et al., 2010)

Figura 13. Flap sclerali base limbus 2,5 mm X 3,0 mm a circa 1,5 mm dal limbus (da Agarwal et al., 2008)

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La perfetta adesione del flap sclerale è osservata sin dal primo giorno post-operatorio esi completa definitivamente a 6 settimane (Figura15).

ConclusioniLa correzione chirurgica dell’afachia si avvale di diverse strategie la cui efficacia e sicu-rezza è stata suffragata da numerosissimi studi; ma non è stata mai affermata la supe-riorità di una tecnica rispetto all’altra19,21,25. Il motivo dipende dal fatto che la sceltatecnica è strettamente correlata alla condizione clinica preoperatoria ma anche dallacapacità del chirurgo ad eseguirla. Di fatto possiamo affermare che un impianto secon-dario “ideale” è quello che garantisce il massimo risultato funzionale con il minimo

tasso di complicanze. Queste due condizio-ni si verificano in caso di un impiantosecondario con il più basso grado di pseu-dofacodonesi.Sebbene manchino risultati a lungo termi-ne, l’impiego della chirurgia “senza suture”nella realizzazione degli impianti secondaria fissazione sclerale sembrerebbe rappresen-tare la tecnica ideale per i seguenti motivi:• localizzazione dell’impianto in sede

retropupillare;• fissazione delle aptiche in sede intra-

sclerale;• stabilizzazione assiale dell’ottica;• minimo tasso di complicanze;• facilità di esecuzione.

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Figura 14. Esternalizzazione delle aptica prossimaledella IOL con pinza (f) da 25 G attraverso la scleroto-mia sotto il flap infero-temporale

Figura 15. Immagini del flap sclerale con le aptiche “incollate” OCTil giorno dopo (sopra) e dopo 6 settimane (sotto) (Agarwal., 2008).

3. introduzione PC IOL standard previa creazionetunnel in cornea chiara di 2,75 mm;

4. esternalizzazione delle aptiche: l’estremità dell’ap-tica distale viene afferrata, con una pinza da 25G, ed esternalizzata attraverso la sclerotomia al disotto del flap supero-nasale seguendo la sua cur-vatura ed infine posizionata sul letto del flap scle-rale (Figura 14). È consigliato sottominare neltessuto sclerale le estremità delle due aptiche;

5. esternalizzazione dell’aptica prossimale attraversola sclerotomia del flap infero-temporale e suoposizionamento sul letto del flap;

6. applicazione della colla di fibrina tramite appo-sito sistema di rilascio sotto i flaps;

7. tamponamento dello sportellino sclerale per 20secondi.

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Dott. Scipione RossiUOC Microchirurgia Oculare

Ospedale San Carlo - IDI, RomaTel. 06 396706390

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