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ADESSO! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale 6. Identità e culture Contiene I.P. - I.R.

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ADESSO!Dalle paure al coraggio civile,per una cittadinanza glocale

6. Identitàe culture

Cont

iene

I.P.

- I.R

.

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Direttore:Brunetto Salvarani - [email protected]

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Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Caliga-ris, Andrea D’Anna, Mariantonietta Di Capita,Alessandra Ferrario, Francesca Gobbo, Cri-stina Ghiretti, Piera Gioda, Stefano Goetz,Grazia Grillo, Mimma Iannò, Renzo La Porta,Lorenzo Luatti, Francesco Maura, MariaMaura, Oikia Studio&Art, Roberto Papetti, Lu-ciana Pederzoli, Carla Sartori, Eugenio Scar-daccione, Oriella Stamerra, Nadia Trabucchi,Franco Valenti, Gianfranco Zavalloni

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Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria -CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 - 25121 Bre-scia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data19/02/1993.

Quote di abbonamento:10 num. (gennaio-dicembre 2011) Euro 30,00Abbonamento triennale Euro 80,00Abbonamento d’amicizia Euro 80,00Prezzo di un numero separato Euro 4,00

Abbonamento CEM / estero:Europa Euro 60,00Extra Europa Euro 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

EditorialeLa scuola è finita? 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

A scuola e oltre

rifare gli italianiLe donne che hanno fatto l’Italia 3Antonio Nanni, Antonella Fucecchi

bambine e bambiniParole, parole 5Lucrezia Pedrali

ragazze e ragazziImpronte digitali 7Sara Ferrari

generazione yGiovani e identità culturali 9Stefano Curci

in cerca di futuroTrans-nazionale... attraverso 11i mediaDavide Zoletto

che aria tira a scuola/1Il maggiore Gerlmini, don Milani 12e Philip DickDaniele Barbieri

che aria tira a scuola/2La riforma universitaria 13tra luci e ombreFrancesco Marrella

buone pratiche di resilienzaIdentità e culture: Parada 14Oriella Stamerra, Alessandra Ferrario

la pedagogia della lumacaViaggiare, voce del verbo 16aggiornarsiGianfranco Zavalloni

Il «restodelmondo»

agenda interculturaleRazzismo di Stato 33Alessio Surian

prati-careLa strada come luogo 34di mediazioneMassimo Giussani Sarcone

scor-dateSe il fascismo è un’associazione 35a delinquere a cura di Dibbì

dudal jamGiovani e intercultura 36LVIA, C. Sereno Regis, CEM

saltafrontieraL’emozione di un ritorno 38è un fazzoletto bianco Lorenzo Luatti

pixelOggetti del sentimento 39Roberto Alessandrini

nuovi suoni organizzatiJoe Zawinul 40Luciano Bosi

zero povertyParlare di povertà attraverso... 41Maria Luisa Damini

crea-azioneSopravvivere in una grande città 42Mohamed Ba

spaziocemConforti, santità e missione 43Mario Menin

CEM Sud. Una «santa rabbia» 44Giulia Pensabene

Mediamondo 46

i paradossiBio-eco-etica! 47Arnaldo De Vidi

la pagina di... r. alvesNon ripetere le cose come se Dio 48fosse sordo!

Sommarion. 1 / gennaio 2011

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

E-mail: [email protected]

www.cem.coop

ADESSO! DALLE PAURE AL CORAGGIO CIVILE, PER UNA CITTADINANZA GLOCALE6. IDENTITÀ E CULTURE

Identità glocali: il (libero) gioco 17delle appartenenzeRoberto Morselli

Profeti di glocalità Chiara Lubich 21Stefano Curci

Luoghi Luoghi senza storia 28Davide Bazzini

Cinema. Uomini di Dio 31Lino Ferracin

Religioni a scula. L’apporto del web 23sesta puntata

a cura di Alberto Fornasari

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brunetto salvarani | direttore [email protected]

La scuola è finita?

Prendo a prestito il titolo di un film uscito da unpaio di mesi, per la regia di Valerio Jalongo,presentato al Festival di Roma (in realtà il titolo

non ha il beneficio d’inventario del punto interrogativo).Al di là dell’esito artistico della pellicola, variamentegiudicata dalla critica, La scuola è finita è interessanteper il ritratto che ne emerge di questa istituzione sfibra-ta e stanca: il regista legge l’oggetto-scuola come uncalderone assurdo e sconclusionato di colori, graffiti,porte sfondate, intonaco che cade a pezzi, in cui i varipersonaggi si trovano a gravitare in una sorta di limbocolorato e chiassoso, violento e poetico, e alla fine privodi logica. Soprattutto i docenti appaiono perennementesospesi fra la noia e lo sfinimento, in fondo ben intonatial paese in cui vivono e viviamo, puntualmente raffigu-rato nel tradizionale Rapporto Censis, la cui ultima edi-zione è stata presentata agli inizi di dicembre. Un’Italia,quella descritta da Giuseppe De Rita, priva di spessoree di vigore, senza passioni né desideri, sommersi comesiamo da una quantità di prodotti e di offerte di cui nonabbiamo fatto richiesta. Sopravvissuti (più o meno) allacrisi economica, almeno finora, siamo diventati cinici e

narcisi, mentre confermiamo la nostra clas-sica refrattarietà a norme e regole di

ogni genere. Un paese invecchiato, emale, che il Censis paragona a uncampo di calcio senza porte, in cuinon si sa dove andare, né come im-bastire un’azione. Fino a delineare

una «società pericolo-samente segnata

dal vuoto».I lettori di CEMnon saranno cer-to stupiti da unsimile scenario,

rispetto al quale,con le nostre relative

forze, da alcuni annistiamo tentando di raffi-

gurare vie d’uscita. «Mirando alto», come cisiamo detti a più riprese, e gettando il cuo-

re (o quello che ne è rimasto) oltre gli ostacoli, ma an-che non nascondendoci la tremenda crisi di senso chesta attraversando le nostre agenzie educative, e in pri-mo luogo la scuola.Con il crescente disagio quotidiano che viene rimpalla-to tra insegnanti e studenti e le loro famiglie, la fuga ditantissimi giovani che cercano rifugio appena possonoin altri lidi meno inquinati, e la crisi sorda di quel cam-mino verso l’interculturalità quale nuova normalitàdell’educazione che ci ostiniamo a ritenere l’unica stra-da per uscire dall’odierno pantano. Mentre anche il movimento creatosi contro la (cosid-detta) riforma Gelmini, a ben vedere, nient’altro è che iltentativo pressoché disperato di farsi sentire da parte diuna generazione di giovani sostanzialmente invisibile:che fatica a individuare nel passato le ragioni di un im-pegno civile, ma soprattutto non crede al futuro perchéappare inesistente, cupo, denso di punti interrogativipiù che esclamativi (come dovrebbe essere). E restacosì abbarbicata a un eterno presente, con pochi mae-stri e ancor meno punti di riferimento cui rivolgersi.Chiedono, quei ragazzi, non certo garanzie o privilegi,bensì che non venga loro rubato il domani. Puntano aun orizzonte normativo e programmatico in cui possanogiocare la propria partita, in un campo almeno dotato diporte e di arbitri non venduti. Reclamano una narrazio-ne diversa, e intendono esserne protagonisti. Hannoscelto di mascherarsi da donne e uomini-libro, perché,come in un altro film struggente e apocalittico, Fahren-heit 451, la letteratura offre ancora strumenti per imma-ginare altri mondi possibili, e per scoprire desideri pro-fondi da cui muovere verso un cambiamento ormai in-dispensabile. No, forse la scuola non è finita. Se sapremo raccoglierequelle energie e ripartire da lì. Anche se non sarà facile,né indolore. Da parte nostra, dedicheremo i prossimimesi a riflettere sulla necessità urgente di un nuovo pattogenerazionale, e allo stesso tema dedicheremo il nostroConvegno di fine agosto, il cinquantesimo della serie.

Con un sincero augurio di buon 2011: ne abbiamo, tutti,molto, molto bisogno. q

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Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Questo numero di CEM Mondialità s’inoltra nei temi dell’annata 2010-2011 della rivista, dedicata

a «Adesso! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale». Il «dossier» monografico,

a cura di Roberto Morselli, dedicato a «Identità glocali. Il (libero) gioco delle appartenenze», inten-

de fornire al lettore una vasta e aggiornata panoramica sulle diverse interpretazioni correnti del

termine «identità». Scrive l’autore: «I sistemi sociali hanno prodotto nel tempo differenti modi e strumenti per de-

finire ciò che chiamiamo “identità”. Risulta quindi difficile stabilire che cosa possiamo/dobbiamo intendere con

questo termine, che, mai come oggi, ha assunto una valenza polisemantica. Ancor più difficile risulta stabilirlo in

relazione a un altro concetto-chiave, al-

trettanto polisemantico e problematico,

come quello di “cultura”». La questione,

complessa e affascinante, viene analizza-

ta da diversi punti di vista. «Con identità,

in genere, intendiamo qualcosa che ha a

che fare con il tempo e che si sottrae al

mutamento - scrive ancora l’autore -.

L’identità della persona è intesa anzitutto

come la struttura psichica che rimane al di

là del fluire delle vicende e delle circostan-

ze. Identità è il senso della nostra esisten-

za continua attraverso il tempo e distinta

da tutte le altre. La continuità della persona nel tempo è garantita soprattutto dalla memoria, che crea relazioni

tra gli stati di coscienza attuali e quelli passati. L’identità, inoltre, ha a che fare con la relazione con gli altri, sia nel

senso che diventiamo qualcuno e definiamo una nostra identità attraverso la relazione con altre persone, sia nel

senso che la nostra identità può essere affermata solo nella differenza da altri». Nell’inserto centrale, dedicato a

«L’ora delle religioni», Alberto Fornasari ci offre una stimolante riflessione su «Religioni a scuola. L’apporto del

web», in cui affronta in una prima parte il problema dell’educazione religiosa nella prospettiva dell’interculturalità

e del suo possibile inserimento nei curricola scolastici, mentre nella seconda parte espone un’interessante espe-

rienza di buone pratiche avviata dall’Università di Bari tramite internet.

All’interno del «dossier», per la sezione cinema, Lino Ferracin ci parla del film «Uomini di Dio», la splendida pelli-

cola di produzione francese ispirata alla vicenda del sette monaci cistercensi trucidati in Algeria nel 1996. Un film

profondo, sobrio, recitato benissimo, ricco di spunti su temi quali il dialogo, la convivenza, la testimonianza, la li-

bera (e tormentata) scelta di fedeltà al Vangelo.

Nella sezione «A scuola e oltre», segnaliamo i due articoli della rubrica «Che aria tira a scuola?» che cercano d’in-

terpretare il senso delle dure proteste seguite all’approvazione della riforma universitaria; nella sezione «Resto del

mondo» l’articolo di Giulia Pensabene «Una santa rabbia», una vivace e amara riflessione sulle condizioni politico-

sociali della Calabria e dei barlumi di speranza che da essa provengono. La Campagna Dudal Jam prosegue anche

nel 2011! Sostenetela! È una parte importante dell’impegno di CEM! q

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Le illustrazioni di questo numero

Le illustrazioni di questo numero sono state realizzate da Laura Aiello, Sirad Alas, Francesca Aneomanti, Martin Cambriglia, Stefano D’Amicis, Serena Fumagalli, Fabrizia Gardi, Sara Meliti, Carla Pozzoli, Rosalba Scimone, che ringraziamo di cuore.

Per contattare gli autori: [email protected]

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La storia d’Italia ci è statainsegnata solo al ma-

schile. A pensarci bene i pro-tagonisti che conosciamosono tutti maschi. Forse èAnita Riberlo da Silva, lacompagna di Garibaldi, ladonna che più di tutte è en-trata a far parte dell’imma-ginario collettivo. Ma di altredonne risorgimentali (o suf-fragiste) poco si sa. Ha scritto sul Corriere dellasera (5 giugno 2010) NadiaMaia Filippi, in un articolointitolato Storia delle sorelled’Italia, che «a Roma, nel’49, Mazzini aveva affidato auna specie di “triumviratofemminile” (Cristina di Bel-giojoso, Giulia Bovio Paoluc-ci ed Enrichetta Di Lorenzo,compagna di Carlo Pisaca-ne), la direzione del Comita-to di soccorso ai feriti che ar-ruolerà centinaia di infer-miere (suscitando scandalonegli ambienti clericali). Al-cune avevano anche imbrac-ciato le armi e combattutosulle barricate, come si vedein molte stampe dell’epoca:

da Colomba Antonietti, adAntonietta De Pace, a Ma-rianna De Crescenzo, che aNapoli aveva capeggiatouno squadrone di armati eaccolto Garibaldi con loscialle in spalla e il pugnalealla cintura».

Nel 1880 fu fondata a Milanola Lega promotrice degli inte-ressi femminili, guidata dadonne laiche e socialiste co-me Anna Maria Mozzoni, Lin-da Malnati e Paolina Schiff.Più tardi, nel 1899, nasceva,per opera di Ersilia MajinoBronconi, l’Unione femmini-le, di ispirazione laica, cheaveva lo scopo di coordinarele varie associazioni femminili

milanesi e lombarde. Tutta-via, fino al 2 giugno 1946nessuna donna italiana hamai potuto recarsi alle urneper votare e partecipare, alpari degli uomini, alla vitapubblica del paese. In quelgiorno anche le donne pote-rono votare per il referen-dum monarchia-repubblicaed eleggere i membri del-l’Assemblea Costituente.Come fare allora per dare ainostri lettori un’idea dellapartecipazione delle donneall’Unità d’Italia e alla suastoria in questi 150 anni? Lanostra scelta è stata quella dioffrire una piccola galleria di6 ritratti di donne che sonostate testimoni e protagoni-ste in varie forme di momen-ti rilevanti dell’identità na-zionale, dalla fase nascentedell’Unità a quella più recen-te della lotta alla mafia.

Adelaide Cairoli (1806-1871)Esempio di madre nel Risorgimento

Celebrata da Ippolito Nievoed additata come esempio dieroismo dallo stesso Garibal-di, la lombarda Adelaide Cai-roli di Pavia rappresenta ilprototipo delle madri risorgi-mentali. Sposa diciottennedel medico Carlo Cairoli, ge-nerò otto figli, cinque maschie tre femmine. Durante leguerre d’indipendenza tutti isuoi figli furono impegnati elei stessa si adoperò con ognimezzo nella lotta. Sarà aQuarto con i Mille sul molo,partecipando come nessunaaltra alle traversie della av-venturosa spedizione: nel1860, durante la presa di Pa-lermo, alla notizia del feri-

Le donneche hanno fattol’Italia

Come fare per dare ai nostri lettori un’idea dellapartecipazione delle donne all’Unità d’Italia e alla sua storiain questi 150 anni? La nostra scelta è stata quella di offrireuna piccola galleria di 6 ritratti di donne.

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antonella fucecchi - antonio [email protected] - [email protected]

rifaregli italiani

Fino al 2 giugno1946 nessuna

donna italianaha mai potuto

recarsi alle urneper votare

e partecipare, al pari degli

uomini, alla vitapubblica del

paese

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terpretò con sorprendentemodernità le sfide del suotempo. Andò al seguito del-la massiccia emigrazione ita-liana in America, sapendoconquistare la fiducia deimigranti, ma anche quelladelle istituzioni americane.La sua attività missionaria sisvolse a New York, Denver,Chicago, Seattle, per poiestendersi nell’America cen-trale e meridionale. Ha attra-versato 24 volte l’Atlantico efondato 67 istituti in 8 paesi.Fu canonizzata nel 1946 daPio XII e nel 1950 venne pro-clamata patrona di tutti gliemigranti. Recentemente èstata intitolata a lei la Stazio-ne Centrale di Milano.

Lidia Beccaria Rolfi(1925-1996)Partigiana e antinazista

Maestra elementare, pie-montese, partigiana con ilnome di «maestrina Rosan-na» fin dal 1943, venne cat-turata e internata nel camponazista di Ravensbrueck, do-ve rimase rinchiusa dal 27giugno 1944 al 26 aprile1945. Tornata libera, affian-cò al suo ruolo d’insegnantequello di testimone della de-portazione. Il testo Le donnedi Ravensbrueck (1978),scritto insieme ad Anna Bruz-zone, è la prima opera narra-tiva sulle deportate politiche.

Tina Anselmi (n. 1927)Il volto della Resistenza femminile cattolica

Visse da ragazzina il periododella Resistenza. cattolica ve-neta e democristiana dellaprima ora. Nel 1959 era giàmembro del Consiglio nazio-

mento di Benedetto e di Enri-co, Adelaide è pronta a parti-re, dissuasa in extremis daisuoi stessi figli. Già in vita ilsuo nome era entrato nel mi-to, grazie anche al pubblicoelogio che ne fece Garibaldi il13 agosto 1860, definendola«madre incomparabile».

Peppa la Cannoniera(1826-1884)Il coraggio civile diuna donna del popolo

Giuseppa, catanese di nasci-ta, trovatella, si distinse du-rante le giornate di lotta anti-borbonica a Catania il 31maggio 1860 grazie ad unamossa azzardata, suggeritadalla disperazione e dallamancanza di organizzazione.Le squadre popolari guidatedal colonnello Poulet riesco-no a resistere per sette ore te-nendo testa a duemila solda-ti borbonici. Peppa, con il suocoraggio, riuscì a decidere lesorti del combattimento incittà, facendo partire unapalla di cannone sottratto dairibelli catanesi ai borboniciche rimasero ingannati. Co-me si vede, l’eroismo e la leg-genda, come sempre, finiro-no per mescolarsi e creareuna figura di donna popolaree memorabile.

Francesca Cabrini(1850-1917)Maestra e suora afianco degli emigratiitaliani in America

Lombarda e maestrina ele-mentare, fu una donna distraordinaria forza d’animocapace di coniugare fervoredi patria e spirito di carità.Cattolica, fondatrice di unacongregazione di suore, in-

Rita Atria (1974-1992)Dal suo gesto d’amoredisperato, alla speranza di un’Italiache «risorge»

Rita è un’adolescente che hasfidato la mafia di Partannocon un atto di coraggio tita-nico, che inflisse durissimicolpi alla malavita organizza-ta, ma che le costò la vita. Fi-glia del potente boss locale,annotò mentalmente tutti gliincontri e i contatti mafiosidel padre e del fratello, elimi-nati in spietate e sanguinosefaide locali. Dopo questa se-quela di lutti ed in seguito allarivolta di Pina Aiello, sua co-gnata, Rita decise di trasfor-marsi in collaboratrice di giu-stizia la mattina del 5 novem-bre 1991. Posta sotto prote-zione per aver subito la sco-munica del clan, Rita tentò dirifarsi un’esistenza a Roma.Ma la sua fragile vita è scossadagli attentati del 1992. Pri-ma la strage di Capaci, poiquella di via D’Amelio. In par-ticolare la scomparsa del giu-dice Borsellino finì per gettar-la nell’angoscia, perché il ma-gistrato era diventato il suopunto di riferimento dopo lamorte del padre e del fratelloe il ripudio da parte della ma-dre. Le sue speranze di rico-struirsi una vita diversa, senzamafia e senza paura, s’infran-sero con la morte del «suo»giudice. Il 26 luglio del 1992Rita si lanciò dal settimo pia-no della sua abitazione a Ro-ma. Straziante la scritta rinve-nuta sul muro: «Il mio cuoresenza di te non vive». Tumula-ta a Partanna, la giovanedonna subì un ultimo oltrag-gio: la profanazione dellatomba, segno di un odio cosìforte che non conosce pietà.

rifare gli italiani

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nale del partito, a 32 anni. Inseguito fu ministro del lavoronel terzo governo Andreotti,prima donna italiana ad assu-mere questo ruolo. Nel 1981fu eletta presidente dellaCommissione d’inchiesta sul-la loggia P2, di cui chiuse i la-vori nel 1985. A partire daglianni 2000 si dedicò ad un’in-tensa attività pubblicistica:nel 2003 uscì Zia, cos’è la Re-sistenza?; nel 2004 Bella ciao.La resistenza spiegata ai ra-gazzi; nel 2006 Storia di unapassione politica.

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C apire le parole è unaoperazione di grande

complessità. Il fatto che que-sta operazione, sin dalla pri-missima infanzia, vengacompiuta con apparente fa-cilità, non significa che essapossa essere considerata co-me scontata e lineare. In real-tà, ciò che viene inteso solita-mente come operazione ele-mentare e scontata, risultaun intreccio di atti mentalicomplessi. Capire significamolte cose diverse e soprat-tutto è sempre la ricerca dellasoluzione di un problema: laricostruzione del senso di unenunciato comporta la ne-cessità di comprendere e in-tegrare altri dati (non lingui-stici) e rinvia alle percezioni,alla memoria, alle precedentiesperienze conoscitive delsoggetto, alla sua vita. Ope-razione difficile e ampiamen-te sottovalutata nella praticascolastica, dove alla produ-zione linguistica si riservaampio spazio, ma scarsa at-tenzione ai meccanismi chegenerano la comprensione.

Parole, parole

Capire significa molte cose diverse e soprattutto è sempre la ricerca della soluzione di un problema: la ricostruzione del senso di un enunciato comporta la necessità di comprendere e integrare altri dati e rinvia alle percezioni, alla memoria, alle precedentiesperienze conoscitive del soggetto, alla sua vita.

bambinee bambinilucrezia [email protected]

Tre elementi fondamentali per la comprensione

Scrive Renzo Titone: «[…] sostanzialmente sono tre glielementi fondamentali che interagiscono a livellidiversi nella comprensione: le conoscenze di basedell’ascoltatore, il contesto di situazione e il testolinguistico. Le conoscenze di fondo includono unaspecifica conoscenza dell’argomento, una conoscenzadel mondo, una conoscenza delle regole diinterazione sociale e della struttura del discorsoparlato. Il contesto include la situazione spaziotemporale e personale-sociale dei parlanti (età, sesso,esperienze, ruolo, intenzioni, ecc.). Il testo include lanatura della lingua nei suoi aspetti fonologici,morfosintattici, lessicali e semantici, la coesionelessicale e grammaticale del testo stesso, la strutturadei dati informativi, ecc. […]. Dall’interazione di questi tre gruppi di elementi,l’ascoltatore diviene capace di comprendere eutilizzare ciò che è compreso, di convertire le parolein concetti, di capire non soltanto ciò che è detto maanche ciò che è significato. Vari processi cognitivisono implicati in tale attività interiore: predizione,inferenza, completamento, verifica, selezione,accertamento di ipotesi, scoperta, ecc. Le micro-abilità sono numerose e difficilmente classificabili. Inuna situazione scolastica, inoltre, l’ascolto comprendealcune modalità peculiari di una situazionegeneralmente artefatta: gli studenti, a differenza dellesituazioni ordinarie, non possono scegliere che cosa eperché ascoltare; spesso non sanno abbastanza circal’argomento e mancano di sussidi visivi propri dellinguaggio corporeo e del contesto situazionale. Unasituazione, dunque, astratta, e priva di supporti

concreti, atti a facilitare lacomprensione dei messaggi».

L’insegnante come attore principale della comunicazione

Se trasportiamo questi ele-menti nell’ambito della co-municazione in classe, cirendiamo rapidamente con-to di quanto sia cruciale ilproblema della comprensio-ne. Una pratica didattica chevede ancora in larga partel’insegnante come attoreprincipale della comunica-zione (di fatto, emittenteprevalente), non sempretiene conto della faticadi comprensioneper gli ascoltatori (alunni) la cui situazione di

partenza non consente disoddisfare le condizioni dicui parla Titone (v. box so-pra). La pluralità linguisticadegli alunni da un lato, la di-stanza fra la loro situazionelinguistica di partenza equella del docente, compor-tano in-comprensioni cheappaiono in tutta la loroesemplarità nei test e nellecosiddette prove di verifica.Farsi capire è una scelta del-

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l’insegnante che intenzio-nalmente decide di operareun controllo della propriacomunicazione e non lascianulla di sottinteso. Un lavoro sistematico per laverifica della comprensionedelle consegne circa i compi-ti ha evidenziato la fatica ge-neralizzata degli alunni nelrappresentarsi il significatodelle richieste e la conse-guente difficoltà nello svol-gimento. Ascoltare e com-prendere quindi assumono ilsignificato dinamico della in-terazione fra chi parla, le co-se che dice e come le dice echi ascolta e che tali cose de-ve ricondurre alla sua consa-pevolezza, in un’ operazioneattiva e parimenti intenzio-nale.

La lingua, strumentodel nostro pensiero

La lingua quindi non è unadisciplina: è lo strumento delnostro pensiero, che a scuo-la diventa oggetto culturalee quindi sottoposto ad inda-gine, ma sempre a partiredai bisogni comunicativi.Lo scopo dell’educazione lin-guistica è la formazione di cit-

tadini competenti che sappia-no pensare e esprimere, an-che e sia pure non solo con illinguaggio verbale, le loroidee, i loro desideri, la loro in-terpretazione paradigmaticao narrativa della realtà. Ma operare in questa dire-zione richiede che la scuoladiventi comunità che si speri-menta come luogo di rela-zioni e di comunicazionicomplesse. La didattica con-nessa alla costruzione dellecompetenze non può pen-

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presenti, solo nella loro di-mensione tecnica. Forse losforzo dovrà essere quello dipensare ad un approccioumanistico al loro ruolo.Si tratta di ragionare intornoai media ovvero di elaborareuna propria forma di pensie-ro attraverso la sperimenta-zione creativa del loro uso.Vanno ripensate nuove for-me di alfabetizzazione checomportano la padronanzadelle informazioni, la capaci-tà di interconnetterle, di ope-rare selettivamente, di navi-gare nell’universo di dati chela rete mette a disposizione.Ritroviamo in questo percor-so i principi fondamentali pereducare alla comunicazione:la formazione della capacitàdi giudizio, il senso critico, losviluppo del pensiero ipoteti-co e deduttivo, l’affinamentodelle facoltà di osservazionee di ricerca, la dimensionecreativa, la capacità di cate-gorizzare e di classificare larealtà. Alla scuola rimane ilcompito fondamentale di ge-nerare le domande di cono-scenza e di senso alle quali sicercherà di rispondere ancheattraverso modi e strumentidifferenti. q

Per una pratica costante di dialogofra soggetti nella scuola

La lingua nella scuola è spesso identificata solo come unadisciplina, dimenticando che tutti gli alunni sono portatoridi competenze linguistiche e che è a partire dallaricognizione delle reali competenze possedute che unpercorso di educazione linguistica deve avviarsi. Le caratteristiche di un’educazione alla comunicazione sifondano sull’acquisizione di conoscenze

e abilità centrate sulle dimensioni dialogica, laboratoriale,testuale e plurale. Per sviluppare tale percorso l’esperienzadella scuola deve in larga parte essere caratterizzata dapratiche di dialogo costante fra soggetti (e fra soggetti eoggetto culturale): non si apprende la competenzacomunicativa attraverso le proposte esercitative astratte,bensì attraverso le interazioni reali, gli scambi linguistici, lanegoziazione di punti di vista, la condivisione delleconoscenze. La dimensione laboratoriale significa che lacomprensione e la produzione di discorsi, la ricerca e lascoperta delle ricorsività (regole), l’attribuzione di sensorichiedono la manipolazione della lingua: solo l’uso costantee significativo può determinare l’apprendimento.

sarsi in forma lineare e unidi-sciplinare. La comunicazioneha trovato supporti e mediache hanno cambiato la suanatura. I bambini, fin da pic-coli, sono costantementeconnessi a strumenti attra-verso i quali producono e ri-cevono comunicazione: que-sti strumenti sono vissutiquasi come un prolunga-mento del sé e solo la scuolasi ostina a vederli in contrap-posizione alle forme più tra-dizionali e nobili della comu-nicazione. Le tecnologie in-formatiche sono in larga par-te fuori dalla scuola o, se

Ascoltare ecomprendere

assumono ilsignificato

dinamico dellainterazione fra

chi parla, le coseche dice e come

le dice e chiascolta e che tali

cose devericondurre

alla suaconsapevolezza

bambine e bambini

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La scuola operi il cambia-mento, si adegui al

tempo e allo spazio che mu-ta e io comincio proprio daun’ora buca. Ho chiuso laporta, non vorrei che passas-se qualcuno e mi trovasse indifficoltà a lasciare improntedigitali: nella penombra del-le simil-tendine oscuranti,provo per la prima volta - inassoluto silenzio - la Lim. Dasubito mi appassiono: le po-tenzialità sono tante, ma so-no certa che ne scoprirò al-tre proprio con la mia classe,coi miei ragazzi di terza so-no sicura che giungerà l’ina-spettato.Digito sulla lavagna parole,traccio frecce e faccio rotea-re immagini, le riflessioni siaccumulano, tra questel’educazione del navigatorea(r)mato. Dobbiamo armarei ragazzi per una navigazio-ne consapevole, un modo diaumentare competenze eabilità, partecipando, lorosono grandi maestri di tec-nologia, ma disarmati. Co-me? «La sensazione di impo-

Impronte digitali Nickname «La bella addormentata»

Tutto fuso nel gioco sociale del forum, della chat; è nostro il compitodi distinguerne i confini, se questi possono essere pericolosi, ma senza allarmismi, non demonizzando nulla, né entrando nel merito del gioco.

ragazzee ragazzisara [email protected]

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tenza deve lasciare il campoa una più consapevole valu-tazione delle proprie possi-bilità, della propria capacitàcritica e anche della propriaforza contrattuale. Il lettore[qui leggete «navigatore»]disarmato può fare del suodisarmo la sua arma»1.

Bussole e «nickname»

Lo scorso anno la polizia po-stale tenne a scuola una bel-la lezione multimediale sullanavigazione sicura, per ilprogetto «Non perdere labussola»; scoprii che allievitaciturni, svogliati (quelli chedefiniamo «ha le capacità epotrebbe fare di più») aveva-no molte domande da porree, soprattutto, si esprimeva-no con linguaggi tecnici de-

Come trovare l’equilibriotra reale e falso,

come capire se quelloche i ragazzi leggono

sullo schermo è per loro la realtà?

gni di una funzione stru-mentale informatica; lì misentii in difetto, proprio conquei ragazzi, io mi scopriiinadeguata all’ascolto, il lo-ro. Ma l’aspetto che più micolpì fu una profonda inge-nuità intrecciata al sensodell’humor, al sapere di nondover prendersi troppo sulserio. Il punto è questo: co-me trovare l’equilibrio trareale e falso, se quello cheleggono sullo schermo è perloro la realtà? Tutto fuso nelgioco sociale del forum, del-la chat; è nostro il compitodi distinguerne i confini, sequesti possono essere peri-colosi, ma senza allarmismi,non demonizzando nulla, néentrando nel merito del gio-co. Il primo strumento è, an-cora una volta, insegnare lo-ro il dubbio, sviluppare ilsenso critico nell’esperienza. Passo all’azione, forse pocodidattica, ma efficace. Unatranquilla mattina di paura:«Prof, posso fare una do-manda non pertinente?» «SìAle, intanto firmo il regi-stro!» «Ho passato il pome-riggio a cercare il suo profilosu Facebook, su Twitter, manon l’ho trovato!» «Ale, so-no qui, non ti bastano 15ore in classe?» Ale, scuoten-do la testa: «Sì, sì, sì, ma co-me fa a sapere tutto quelloche scriviamo sui social fo-rum? A sapere delle nostrefoto?» «Chi ti dice che ionon ci sia? Magari conun’altra identità? Oppure civuole molto meno per saper-lo. Intanto fai vedere a Gaiase hai fatto i compiti, vistoche hai navigato tutto il po-meriggio!». Per un attimo ilgelo nella classe, facce sgo-mente si contemplano allar-

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mate: temono di aver datoproprio a uno sconosciuto -quindi a me - la loro amicizia(tanto fa numero, che im-porta chi c’è dietro?), pensa-no: magari hanno parlatomale di me o dei colleghi.Rapita anch’io dallo spiritocritico rifletto sui tempi: macos’è cambiato da quandoio e i miei compagni di clas-se facevamo le stesse cosecon mezzi diversi (bigliettini,lettere, piccioni viaggiato-ri...)? È cambiato che, finchéc’è un professore dietroun’altra identità, questo tiamerà meno, avrai fatto unabrutta figura, ma non faràaltro, ma se non c’è il profdietro a quel nickname ac-cattivante? Qui la polizia po-stale aveva fatto centro:«Non accettate amicizie da-gli sconosciuti!» che suona-va molto come le vecchie ca-ramelle o il lupo di Cappuc-cetto Rosso, ma la Bella Ad-dormentata (perché bella,molto desiderata e troppoprotetta, come la maggiorparte dei nostri figli/allievi) sipunse incuriosita perché in-genua, proprio con quel fu-so: e se le avessero detto dinon filare la lana perché po-teva morire, forse avrebberorisparmiato tutti gli arcolaidel regno! Prima emerse laloro ingenuità alla doman-da: «Ma tu come fai ad esse-re sicura che dietro a “Miti-koadrea98” ci sia un ragaz-zo di 12 anni e non un uo-mo di 40?» «Me l’ha scrittolui!». Poi si domandarono:«Ma dietro a cosa?», convin-ti che lo schermo fosse unvetro cristallino. Allora gliagenti parlarono senza am-biguità del fuso, di incontrisbagliati, di pedofilia, di mo-

lestie (anche quelle nella reteo via sms sono reali), mo-strando filmati e immagini.Le ragazze modificarono il

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ragazze e ragazzi

L’impronta inaspettata

Il giorno dopo le intime prove digitali allalavagna, fingendo sicurezza, accendo ilproiettore e il computer, come se nonavessi fatto altro nella vita fin a quelmomento; navigo su siti interattivi digrammatica: oggi verifica di analisilogica. Gli allievi si alternano alla lavagnadegli imputati, loro davvero come se nonavessero mai fatto altro, con unaspavalda insicurezza, spinti dalla curiositàcompletano la verifica, ridendo. E visembra poco? Era una verifica digrammatica e sorridevano! I giornisuccessivi un successo, imprevisto esperato per due anni, ecco l’inaspettatocosì atteso: l’allievo delle 3 i: intelligente,impermeabile, irremovibile, che si èaccontentato dei miei 7 al posto dei 9 odei 10 che avrebbe potuto ricevere, mi hachiesto di andare alla lavagna; miapprestavo a spiegare come usare C-Map,inaspettatamente, improvvisamente,immediatamente mi faccio da parte (lareazione delle 3 i), lui impiega 15 minutia costruire la mappa; tema: il congressodi Vienna. Da quel momento il 1815 èdiventata per me la data della svolta. Lui

lascia le sue impronte digitali, in entrambii sensi (i primi due), nella scuola che sentesua, vi è entrato attraverso la portadigitale, come in un film di fantascienza.Da qui riparto e ridigito.

pomeriggio stesso i propriprofili, oscurando le loro fo-to, inserendone alcune digruppo, cancellando le ri-chieste di amicizie insistentio ambigue, quelle degli sco-nosciuti, lupi o innocuiagnellini che importa? Allaluce di quell’incontro li riten-nero inutili, eliminabili. Po-chi chiesero aiuto a un adul-to competente (questo il ve-ro tasto dolente), altri da soliaprirono nuovi profili riser-vati, mantenendo l’altroprofilo pubblico. Le ragazze,ho scritto le ragazze, perché- per educazione - recepiro-no il messaggio del lupo, delfuso e quant’altro; i ragazziinvece si sentirono protettidalla sicurezza che lo scher-

mo ispirava loro! Un allievo,pochi giorni dopo, invitò luistesso un perfetto estraneo,«conosciuto» in chat, davan-ti a un centro commerciale:l’estraneo non si presentò,forse non si era fidato, forseaveva un collegio docenti.Parliamone, sì parliamonesenza demonizzare lo stru-mento digitale, senza vederelupi e fusi ovunque (ancheperché i lupi sono per lo piùnoti, tra amici e familiari),dobbiamo armarli e divertir-ci con loro. q

1 L. Ferrieri, Il lettore a(r)mato, Stampaalternativa, Collana Millelire, Viterbo1993; edizione elettronica dal 1997.

Sara Ferrari (1971),diploma scientifico elaurea in lettere, abilitataall’insegnamento nel1999, dal 2008 insegnalettere all’IC Val Ceno (Pr).Ha scritto di criticaletteraria e dimulticulturalità: “Imirabili furori”, in“Capitan Sciricò cinquestudi una premessa e uncongedo. Quaderno‘900”, Centro ArchivioBarocco, Parma 1999;“Milano-Torino A/R”, in“Luoghi narrativi.Raccontarsi nelpaesaggio”, Milano 2006.

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Come notava il compian-to Pio Scilligo qualche

anno fa1, i giovani hannouna funzione significativanel processo di contatto in-terculturale delle famiglie.Più malleabili dei loro genito-ri, i giovani immigrati hannospesso una capacità di gesti-re due appartenenze cultura-li, quella originaria e quelladel paese di adozione, chegli adulti maturano più a fa-tica. Scilligo citava esempitratti da ricerche della lette-ratura internazionale, comegli ingegneri indiani della Si-licon Valley, assolutamentecompetitivi rispetto ai lorocoetanei americani dal pun-to di vista del dinamismotecnologico, ma anche tal-mente inseriti nella loro cul-tura d’origine da volersi spo-sare rigorosamente secondoil cerimoniale indiano; maanche esempi tratti da ricer-che svolte in Italia, comequella realizzata all’internodi una comunità magrebinaresidente nel nostro paese,che mostrava la fedeltà degli

della cultura globale assimi-lati dal giovane migrante so-no: individualismo, econo-mia del libero mercato, de-mocrazia, libertà di scelta,diritti individuali, tolleranzadelle differenze. Non si trat-ta di valori che garbano atutti, quei giovani che reagi-scono polemicamente pos-sono trovare rifugio nella re-ligione: ciò vale soprattutto

per chi rifiuta l’edonismoindividualistico e ilconsumismo. In que-sto processo ci puòessere un pericolo:«diversi giovani ritro-vano un’identità gesti-

bile in gruppi fonda-mentalisti. In alcuni casi sitratta di strategie regressivedovute a incapacità di creareuna solida identità bicultura-le o multiculturale»3.Un secondo rischio connes-so al problema dell’identità

bite

.

senza la possibilità di filtrar-le, porta alla confusione diidentità. Il rischio è di caderenell’alienazione e nell’assen-za di certezza culturale: glistudiosi parlano di un vero eproprio stress da accultura-zione. Secondo una ricercaamericana di una decina dianni fa, i valori fondamentali

Giovani e identitàinterculturale

Secondo una ricerca americana di una decina di anni fa,i valori fondamentali della cultura globale assimilati dal giovane migrante sono: individualismo, economiadel libero mercato, democrazia, libertà di scelta,diritti individuali, tolleranza delle differenze.

stefano curci

generazione y

immigrati ai grandi valoridella propria cultura, com-presente con l’adesione adalcuni valori caratteristici del-la cultura italiana: questiesempi dimostrano co-me sia possibile lo svi-luppo di una identitàibrida capace d’inte-grare esperienze cul-turali diverse, senza pro-vocare scissioni psicolo-giche.

Lo stress da acculturazione

Certo, non tutti i meccani-smi sono così automatici.Capita che gli adolescentidelle culture meno ricche su-biscano un impatto simile aquello dei bambini che guar-dano la televisione senza lamediazione dei genitori,«come se la cultura planeta-ria saltasse loro addossosenza poterla trasformare edintegrare nella propria cultu-ra locale»2. Il risultato spessoè che l’adolescente perde lafiducia nell’identità locale:l’insieme delle informazioni,

Capita che gli adolescentidelle culture meno ricchesubiscano un impatto simile

a quello dei bambini cheguardano la televisione senza

la mediazione dei genitori

giovanile nella società multi-culturale è la reazione deigiovani italiani, che può an-dare verso l’esaltazione della«monocultura»: «basti pen-sare al ritorno di forti tensio-ni d’identità, di nostalgiadell’appartenenza, della pic-cola patria, delle culture lo-cali che sta rendendo sem-pre più difficile la reciprocatolleranza e la convivenzatra popolazioni della stessa

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area culturale, ma contras-segnate da differenti tradi-zioni, valori e consuetudi-ni»4. Si ripropone sempre ilproblema dell’identità etnicache va salvata dalle minaccedi costruzioni ideologicheche tendono a omologare edividere arbitrariamente.

La minaccia all’identità culturaledei giovani

Non è facile fare una sintesipedagogica nel mondo deigiovani tra il bisogno diidentità-appartenenza el’apertura alle altre culture,ripensare la nozione di iden-tità in maniera plurale e di-namica, rendersi conto chel’identità è un costrutto cul-turale, aperto alla contami-nazione. Per i giovani c’èsempre più la tentazione dirifugiarsi dalle crisi d’identitànel mondo virtuale, nei so-cial network: Bauman, pro-prio riflettendo sul tema del-l’identità, ha ribadito il con-cetto che tutti noi adultipensiamo, è cioè che le co-munità virtuali non possonosostituire il sedersi attornoad un tavolo e guardarsi infaccia, «né sono in grado didare sostanza all’identitàpersonale, la ragione princi-pale per cui le si cerca. Ren-dono semmai più difficile diquanto già non sia accordar-si con se stessi»5. L’identitàculturale dei giovani è mi-nacciata: per alcuni dall’ef-fetto dell’omologazione im-posta dai media, sempretroppo presenti nella giorna-ta di un ragazzo italiano; peri ragazzi immigrati dallo sra-dicamento dovuto all’emi-grazione. Serve un processo

psicosociale: Pina Del Coresottolinea l’importanza diandare oltre la propria iden-tità per ricostruire il propriopercorso identitario sotto ilsegno dell’alterità. Si trattaanzitutto di prendere con-tatto con i propri vissuti, lerisonanze, la me-

moria affettiva, per poi svi-luppare una forza di proie-zione e di apertura verso glialtri e le loro culture. Un pas-saggio importante è datodalla simbolizzazione delleesperienze, il grado di elabo-razione cognitiva dei simbolie dei codici della propria cul-tura. Poi si tratta di accettarela propria storia, i vissuti, lepersone incontrate: ma lacapacità di ospitare in sestessi molteplici appartenen-ze non si improvvisa, «nascecome sintesi e integrazionepersonale di tutte le alteritàpresenti anzitutto in noistessi e trova il suo fonda-mento in una sostanziale fi-ducia di base, prima nella vi-ta e poi in se stessi. L’accet-tazione della propria storiapersonale e collettiva com-porta il coraggio della veritàdi sé, nel confronto serenoma leale con le zone d’om-bra della propria interiorità,l’assunzione del disagio edel dolore di non essere co-me si vorrebbe essere, l’au-

dacia di perdonare, primadi tutto se stessi, allor-quando la strada è segna-ta da ferite profonde, so-prattutto se di carattereetnico, culturale e lingui-

stico7». A noi educatori ilcompito di aiutare i ragazzia gestire questo processo. q

1 P. Scilligo, L’identità multiculturale, inV. Orlando (a cura di), Educare nellamulticulturalità, Las, Roma 2003, pp.85-92. 2 Ivi, p. 88.3 Ivi, p. 89.4 P. Del Core, Identità e cultura in inte-razione: via obbligata per comprende-re l’altro, in «Rivista di scienze dell’edu-cazione», 2/2010, p. 173. 5 Z. Bauman, Intervista sull’identità, La-terza, Roma-Bari 2003, p. 26.6 Del Core, cit., p. 181.7 Ivi, p. 190.

di ridefinizione culturalecapace di «andare oltrel’identità, uscire dal-l’identità perché nessu-na società, come del re-sto nessuna persona, ha co-struito la sua identità senzail confronto, l’apertura adaltre identità, ad altri influssiprovenienti da altrove»6. L’identità non è solo una di-mensione personale ma

L’accettazionedella propria

storia personalee collettivacomporta il

coraggio dellaverità di sé,

nel confrontosereno ma leale

con le zoned’ombra della

propriainteriorità

generazione y

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I ragazzi e le ragazze dioggi, sia quelli figli di ge-

nitori italiani sia quelli figli digenitori migranti, cresconoin un mondo che è attraver-sato da una rete planetariadi flussi di media. Questiflussi, però, come ha mo-strato da tempo un antropo-logo importante come ArjunAppadurai, vengono consu-mati dai ragazzi e dalle ra-gazze di oggi in modi e con-testi che sono sempre locali.Questa combinazione diglobale e locale vale per tuttii media preferiti dai giovani:i videogiochi, le hit musicali,i videoclip... Se da un latoviaggiano attraverso il pia-neta, dall’altro si localizzanopoi nel modo in cui vengonousati un telefonino, un pc,una consolle. In questo sen-so, i giovani di oggi sono or-mai «glocali», abituati cioèad articolare quasi senza ac-corgersene i grandi flussiplanetari con le più piccolepratiche di ogni giorno.I figli e le figlie di genitori mi-granti, però, sono cittadini

anche materialmente - a per-sone, luoghi, significati anco-rati nel paese di provenienza.Nel caso di ragazzi e ragazzefigli di migranti, dunque, ilquotidiano rapporto fra glo-bale e locale viene come rad-doppiato: media globali econsumi locali; famiglie equotidianità anch’esse a untempo globali e locali. È il fe-nomeno che oggi vienechiamato «transazionali-smo» o «translocalismo»,ovvero una quotidianità fat-ta di più luoghi, più apparte-

A scuola e fuori da scuola un uso attivo e critico dei media può aiutarci a uscire da certi stereotipi che spessocontrabbandiamo come intercultura.

in cercadi futurodavide [email protected]

Trans-nazionali...attraverso i media

nenze, più storie. L’educazio-ne interculturale, sia a scuolasia fuori, dovrebbe esserel’ambito privilegiato in cuiesprimere queste esperienzetrasnazionali. Molti educatorile vedono ancora come un«problema» di integrazione;ma il transnazionalismo èpiuttosto il punto di forza dei«nuovi italiani» e una ricchez-za per i contesti locali in cuiessi vivono in Italia.I media possono essereun’occasione privilegiata peresprimere queste esperienzetrasnazionali nell’ambitodell’educazione intercultura-le. Lo dimostra un libro diLiesbeth de Block e DavidBuckingham. S’intitola Glo-bal children, global media.Migration, media and chil-dhood, ovvero: bambini glo-bali e media globali. Racco-glie ricerche ed esperienzedidattiche nelle quali i mediaglobali e il loro uso localediventano palestra preziosadi educazione. Un esempiosu tutti: un progetto euro-peo in cui i giovani figli dimigranti hanno costruito fil-mati e immagini che raccon-tano la loro vita a cavallo fradiversi mondi, nonché il mo-do in cui i nostri mondi localistanno cambiando grazie al-l’esperienze di questi ragaz-zi. A scuola e fuori da scuolaun uso attivo e critico deimedia può aiutarci a uscireda certi stereotipi che spessocontrabbandiamo come in-tercultura. Può aiutarci ascoprire la dimensione quo-tidianamente «transnazio-nale» che caratterizza anchela vita dei ragazzi e delle ra-gazze figli dei genitori italia-ni. E anche forse di noi inse-gnanti ed educatori. qPer saperne di più

L. de Block, D. Buckingham,Global Children, Global Me-dia. Migration, Media andChidhood, Palgrave Mac-millan, London 2007.

glocali anche per un altromotivo: perché l’articolazionefra globale e locale viene daloro vissuta in famiglia, attra-verso il collegamento conti-nuo della loro quotidianità di«nuovi italiani» (fatta di scuo-la, extrascuola, amici, ecc.)con la quotidianità di genito-ri, parenti, nonni spesso an-cora legati - affettivamente o

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I n dicembre mi son trova-to in sette scuole occupa-

te o autogestite per tenerelaboratori. Dovevo parlare dirazzismo, ma quando mihanno chiesto cosa pensavodella Gelmini ho rispostocon un racconto di PhilipDick, Ultimo test.Bob Bibleman è uno sfigato.Ai giardinetti raggranella isoldi per un hotdog. Il robotche glielo vende cerca di rifi-largli un biglietto della lotte-ria. Lui non lo vuole, poi - ègratis - accetta. «Hai vinto»,lo informa il robot: uno sta-ge gratuito in una specie dicaserma-università. Anche sesospetta una fregatura (la lo-calità si chiama «Seifottu-to»), Bob va e si trova in unmezzo inferno. Il capo deidocenti, maggiore Casals, èun concentrato di stronzag-gine aggressiva. Sin dalla pri-ma lezione, solo Mary, un’al-lieva, prova a tenergli testa.Dopo qualche giorno,un’esercitazione importante.«Vi do una ricerca e avete li-bero accesso a tutti i docu-

menti, all’intera rete, però...»minaccia Casals «se vi imbat-tete in segreti militari non lileggete. Se un segnale vi av-visa di un documento vietatodovete subito dirmelo». Bob è così vile che sceglie untema (la filosofia pre-socrati-ca) che gli sembra il più lon-tano possibile dai divieti mi-litari... Ma s’imbatte in noti-zie segretissime su una fonte

scondendo al pubblico, perfavorire l’industria». Bob ledomanda cosa farebbe alsuo posto. Mary risponde:«Stamperei questo docu-mento e lo farei arrivare apiù gente possibile, è troppoimportante. Ma devi decide-re tu». Bob ci pensa su e almattino confida tutto a Ca-sals. Appena ha finito di par-lare, il maggiore gli comuni-ca: «Sei espulso dal college».«Cosa?» sbotta Bob. «Io nonrappresento il college - spie-ga Bob -, ciò in cui ti sei im-battuto era un test». Il mag-giore preme un pulsante edalla porta entra Mary chespiega: «Il college sono io.Lo scopo del test era inse-gnarti a stare in piedi da so-lo, anche a rischio di sfidarel’autorità […]. Io cercavo direnderti moralmente com-pleto. Ma non si può ordina-re a qualcuno di disobbedi-re. Non si può ordinare la ri-bellione. Potevo semplice-mente darti un modello, unesempio».Il maggiore Casals aggiunge:«Già alla terza pagina hai vi-sto che da quella fonte dienergia avrebbe tratto bene-ficio l’intera popolazionemondiale». Mary incalza Bob:«Non rischiavi quasi nulla». «Allora perché l’hai fatto?»gli chiedono. «Per lealtà» ri-sponde Bob. «A chi?», do-manda Mary: «A Casals? Auno che ti ha trattato comespazzatura?».Penso che questo raccontosarebbe piaciuto a don Lo-renzo Milani che ci ricordò:«L’obbedienza non è piùuna virtù». Bisogna impara-re quando (e come) ribellarsio si finisce come la spazza-tura. q

Il maggiore Gelminidon Milani e Philip Dick

Penso che questo racconto sarebbe piaciuto a don Lorenzo Milani che ci ricordò: «L’obbedienza non è più una virtù». Bisogna imparare quando (e come)ribellarsi o si finisce come la spazzatura.

che aria tiraa scuola/1daniele barbieri

In dicembre mi son trovatoin sette scuole

occupate o autogestite

per tenerelaboratori.

Dovevo parlaredi razzismo, ma

quando mihanno chiestocosa pensavo

della Gelmini horisposto con un

racconto diPhilip Dick,

«Ultimo test»

di energia super-economicae pulita. «Non se ne sono ac-corti - pensa Bob - hannotrascurato questo riferimen-to nelle banche della memo-ria; chi si aspetterebbe ditrovare segreti sotto Empe-docle?». Per quanto siaignorante e sfigato, Bob ca-pisce che se quella energiafosse disponibile la vita mi-gliorerebbe per miliardi dipersone.Indeciso, impaurito chiedeconsiglio a Mary, l’unica ri-belle. La ragazza legge es’arrabbia: «Lo stanno na-

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La legge Gelmini introdu-ce una riforma azienda-

listica del sistema universita-rio. La legge non brilla certoper chiarezza e razionalitàespositiva: bisogna infattiaddentrarsi nelle ottanta pa-gine del testo per riuscire adavere almeno un quadrosommario dei cambiamentiintrodotti. I principi su cuipoggia l’intera riforma sonoquelli economici di «sempli-ficazione, razionale dimen-sionamento delle strutture,efficienza ed efficacia», piut-tosto che quelli riguardantila formazione e la didattica.Ad esempio, nel primo arti-colo, sui principi ispiratoridella riforma, si legge al se-condo comma che «Le uni-versità che hanno consegui-to la stabilità e sostenibilitàdel bilancio [...] possonosperimentare propri modellifunzionali e organizzativi».Viene così evidenziato comeuno dei principi su cui si de-ve fondare il rinnovamentodel sistema universitario siaquello del sano bilancio.

nostro sistema universitario,prima causa del suo proces-so di autodistruzione.Per far fronte al crescentenumero di iscrizioni, dovutealla liberalizzazione degli ac-cessi agli studi, gli atenei sisono concentrati più sui pro-blemi gestionali che sui con-tenuti degli insegnamenti. Ipossibili vantaggi, economi-ci o d’immagine, ha portatomolte città italiane a dotarsidi una propria università:oggi le sedi universitarie ri-conosciute dallo Stato sonoun’ottantina. Un così altonumero di sedi non è basta-to ad assorbire una doman-da già molto estesa, ma alcontrario, ne ha generata dinuova, grazie allo strata-gemma della differenziazio-ne dell’offerta. Con la crea-zione di nuovi corsi di stu-dio, gli atenei hanno tentatodi assicurarsi il maggior nu-mero possibile di iscritti, chehanno a loro volta provoca-to un aumento dei docentiprecari. Lo scotto pagatodagli studenti è stato l’ab-bassamento del livello deicorsi di studio.La legge di riforma si riducecosì ad una sterile rimodella-zione di aspetti marginali delvero male che affligge il no-stro sistema universitario: laformula del 3+2. Tale siste-ma ha raddoppiato il nume-ro dei corsi di studio, ne haallungato l’iter e moltiplicatoi costi. I tagli sono quindi ne-cessari. La razionalizzazionedel numero degli atenei ga-rantirebbe una più efficientedistribuzione dei fondi pub-blici e delle borse di studio.Verrebbero così garantiti tan-to la meritocrazia, quanto ilreale diritto allo studio. q

Con la creazione di nuovi corsi di studio, gli atenei hannotentato di assicurarsi il maggior numero possibile di iscritti,che hanno a loro volta provocato un aumento dei docentiprecari. Lo scotto pagato dagli studenti è stato l’abbassamentodel livello dei corsi di studio.

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che aria tiraa scuola/2francesco [email protected]

La riforma universitariatra luci e ombre

Analogamente, il commaquarto prevede che il mini-stero deleghi alla neonataAgenzia nazionale di valuta-zione del sistema universita-rio la scelta sull’assegnazio-ne dei finanziamenti pubbli-ci «[...] secondo criteri diqualità, trasparenza e pro-mozione del merito, anchesulla base delle miglioriesperienze diffuse a livellointernazionale [...]». Nel pro-sieguo del testo vi sono mol-ti altri casi in cui si assiste adeleghe dello Stato a favoredi organi formati da privati.Così il consiglio d’ammini-strazione assume un ruolocentrale nell’attività organiz-zativa degli atenei. Ad essoviene riservata l’approvazio-

ne finale di ogni decisionedel Senato accademico o delRettore. Il consiglio ha l’ob-bligo di designare quale di-rettore generale una perso-nalità «di elevata qualifica-zione professionale e com-provata esperienza plurien-nale con funzioni dirigenzia-li». Il controllo statale è rele-gato ad un collegio di cin-que revisori dei conti.Il prevalente aspetto econo-mico della legge genera tut-tavia alcune soluzioni inte-ressanti: l’art. 3 prevede lapossibilità di «federazione efusione di atenei […]» con la«conseguente disattivazionedei corsi di studio universita-ri, delle facoltà e delle sediuniversitarie decentrate[...]». Questa è la soluzionepiù morbida per risolvere ilsovradimensionamento del

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La «scienza della strada»

«Parada» è un’associa-zione Onlus che ba-

sa il centro del suo interven-to sull’arte. Nasce, infatti, adopera di un clown franco-al-gerino, Miloud Oukili, chenel 1992 decide di andare alavorare come animatorenegli orfanotrofi della Ro-

mania. A Bucarest incontra«il suo pubblico migliore»:così egli definiva i giovanisoli, spaventati, abbandona-ti, con cui decide di condivi-dere, in strada e nei canalisotterranei, lo smarrimento,il profondo isolamento, leangosce. Nel febbraio 1996fonda «Parada».L’inizio di questa avventuranasce dalla curiosità. È il de-

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buone pratichedi resilienzaoriella stamerra - alessandra [email protected] - [email protected]

siderio di un clown di esserepresente all’interno della ri-voluzione romena dopo lacaduta del regime di Ceau-cescu e il fatto di essersi tro-vato in contatto con un seg-mento di questo rivolgimen-to, ossia i ragazzi vaganti nelcentro di Bucarest tra le sta-zioni, i giardini, le piazze e icanali sotterranei ai quali siaccede dai tombini. L’iniziodel rapporto di Miloud conquesti ragazzi segna il taglioparticolare di un interventoormai più che decennale.Una storia di reciproca fasci-nazione, tra «diversi» carichidi umanità, sentimenti easpettative, che è alla base

di quella che chiamiamola scienza della strada,del pensiero itineranteche è trasversale all’ap-

proccio sociologico,antropologico, pe-dagogico, psicologi-

co, religioso.

Arte e identità

Nel dna di «Parada»entrano in gioco due

elementi essenziali: arte eidentità. Alla base dell’in-tervento c’è sempre l’ar-

te. Miloud riesce a regalareai ragazzi un mondo altro,sospeso tra strada e cielo,dove diventa possibile salirein alto, al vertice della pira-mide, essere applaudito dalpubblico, riconosciuto comepersona. L’applauso, il pal-coscenico, il riso, sonoun’opportunità per ricostrui-re l’autostima, lavorare sul-l’identità e dare vita al so-gno. Sospesi, si diceva, su unimmaginario filo, comequello del circo. Mentre il fi-lo teso è la rappresentazione

Può un gesto all’apparenzainsignificante, come quello di donareun naso rosso da clown, farsi motore dirinascita e trasformazione, nel solco diuna resilienza tenace e profonda? E ilrecupero della propria identità passadavvero attraverso lo sguardovivificatore di chi, di fronte a noi e allanostra sofferenza, finalmente ci vede eci offre una possibilità di svelarci, unicomodo per curare le nostre ferite? Aqueste domande risponde con un sìconvinto l’associazione «Parada», cheringraziamo, perché ha voluto farci ildono prezioso della sua testimonianza.Lasciamo dunque la parola agli amicidel Gruppo «Parada» di Saronno (Va).

L’inizio di questa avventura nasce dalla curiosità. È il desiderio di un clown diessere presente all’interno della rivoluzione romena dopo la caduta del regime di Ceaucescu e il fatto di essersi trovato in contatto con un segmento di questo rivolgimento, ossia i ragazzi vaganti nel centro di Bucarest tra lestazioni, i giardini, le piazze e i canali sotterranei ai quali si accede dai tombini.

L’applauso, ilpalcoscenico,

il riso, sonoun’opportunitàper ricostruire

l’autostima,lavorare

sull’identità e dare vita

al sogno

Paradaidentità e culture

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della capacità che l’arte hadi elevare, la rete di salvatag-gio è la rappresentazione di«Parada», che nella sua com-plessa struttura è in grado diattutire i colpi di chi è alla ri-cerca di un nuovo equilibrio.Il concetto di identità, poi, èelemento centrale nel lavorodi strada, che è fatta di im-magini, volti, storie, che siassomigliano eppure sonodiversissime. Storie da cono-scere e da comprendere, conprofondità e rispetto. Nonpossiamo parlare semplici-sticamente di «ragazzi distrada», poiché nel termineè intrinseca un’ineluttabilitàdel destino. Rendere visibile,

dando nome e volto allastrada è stato dunque ilcompito imprescindibile.L’abbiamo fatto in due mo-di: abbiamo restituito unanascita, un nome, una storiafamiliare, con i documentispesso inesistenti; abbiamoaccettato di relazionarci,guardando davvero questiragazzi, fino ad allora invisi-bili agli occhi del mondo. Iragazzi che vivono in stradanon sono tanto diversi dairagazzi italiani, che hannouna famiglia, una scuola, unlavoro, anzi, si può dire cheabbiano addirittura qualco-sa in più, piuttosto che qual-cosa in meno. Sono ragazzi

mune nella loro personalitàè la résilience, la capacità diresistere agli choc, superan-do i momenti dolorosi del-l’esistenza. Tale resilienza in-dica la presenza di risorsepersonali che, nonostantecircostanze difficili, possonoe sanno trasformare il desti-no e rendere possibile laconvivenza con le ferite, insocietà, permettendo all’in-dividuo uno sviluppo equili-brato.La scienza della strada ci hainsegnato che era essenzialerendere visibile, anche pro-vocatoriamente, ciò che erainvisibile e nascosto. Miloudha «svelato» questa realtàtramite le tournée e l’ha por-tata sui maggiori palcosceni-ci d’Europa. Era il lontano1998, quando nacque unagrande avventura, quasi percaso. In questi 15 anni lastrada è cambiata, diventan-do, per molti aspetti, più du-ra e difficile, ma lo spiritoche muove anche oggi lenostre azioni è rimasto lostesso: totale rispetto perl’altro, desiderio di conosce-re in profondità chi ci sta difronte, volontà di «giocare»con la leggerezza dell’arte,ridendo di noi stessi e delmondo, dando visibilità agliultimi, agli esclusi, ai fram-menti di umanità che porta-no dentro di sé.L’incontro con Parada e con iragazzi di Bucarest non la-scia indifferenti… traccia unsegno indelebile in quanti vi-vono l’esperienza della tour-née: giorni di prove, spetta-coli, ma anche di sguardi,ascolti, confronti e soprat-tutto giorni in cui vite di-stanti e tanto differenti sisfiorano e si conoscono.

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La scienza dellastrada ci hainsegnato cheera essenzialerendere visibile,anche in modoprovocatorio,ciò che erainvisibile e nascosto

Un naso davvero speciale

Anche noi di Saronno, ospitando i ragazzidi Bucarest, siamo rimasti segnatidall’incontro con loro, con le loro vite, leloro storie, il loro entusiasmo… Dopo averorganizzato alcune tournèe tra la nostracittà e i paesi limitrofi, abbiamo voluto darvita a qualcosa che potesse parlare anchead altri di questa esperienza. È nata cosìl’idea di un libro «animato» per incontrarei ragazzi delle scuole, ma anche famiglie,giovani, anziani, nei teatri, nei centri diaggregazione.«Un naso davvero speciale»1 è il nostrogrande libro (si tratta di 10 pagine alte unmetro e mezzo e larghe due metri emezzo) che racconta la storia di alcuniragazzi cresciuti nei canali sotterranei diBucarest e del loro incontro con Miloud,che ha offerto loro un’opportunità diriscatto. Il suo naso rosso diventa per lorol’occasione d’incontrare la gente, quellache prima li evitava o, peggio, nemmeno livedeva. L’applauso del pubblico diventacalore che infonde fiducia in se stessi, cherestituisce dignità a quelle esistenzeconvinte di non averne. Abbiamo scritto iltesto (che è diventato un libro «normale»,pubblicato dall’editrice Monti di Saronno)2

e realizzato il libro animato, ritagliando il

tempo necessario dai vari impegni di tutti:una sera la settimana, per circa tre anni.Abbiamo disegnato, incollato, verniciato…tutto nello studio di un amico architettoche ci ha pazientemente ospitati,malgrado la nostra presenza un po’ingombrante. Tra colla, polistirolo, stoffa,carta e cartoncino, ogni volta finivamo colraccontare un po’ di noi stessi, colcondividere le nostre storie. Ne siamousciti arricchiti e ciò ricorda l’espressionedi Miloud: «Ero partito per salvare ilmondo… e questi ragazzi han salvatome!». Ora il libro animato è unospettacolo per bambini, ragazzi e adulti; èuno strumento che mira e sostenereParada, non solo attraverso il contributoeconomico, ma anche attraverso lasensibilizzazione di tutti coloro cheincontriamo. I bambini, durante lanarrazione, sono invitati ad indossare unnaso rosso e a diventare essi stessiambasciatori di un messaggiofondamentale: il valore e la dignità diciascuno!

1 Per prenotare il grande libro animato e gli attori perl’animazione o per saperne di più visitate il sitowww.parada.it2 Amici di Parada, Un naso davvero speciale, ed. Monti,Saronno (Va) 2010.

forti e deboli allo stesso tem-po, guerrieri e bambini,complessi e ingenui, mani-polatori e autentici; distrug-gono la vita e al contempo lasanno assaporare. Una ca-ratteristica che hanno in co-

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pedagogiadella lumacagianfranco [email protected]

N el mio girovagare perl’America Latina, mi

trovo ora a Buenos Aires, pergli esami di stato della se-condaria di primo grado (exscuola media) in una dellescuole italo-argentine dellacapitale. Durante il tempo li-bero dal lavoro cerco di sco-prire la città. Poi, dopo gliesami, mi prenderò alcunigiorni di ferie per visitare ilsud (la Patagonia) e il nord (ideserti delle Ande). Conside-ro la mia situazione odierna,quella di un dirigente scola-stico in servizio all’estero,una situazione del tutto pri-vilegiata.Ma devo dire che anchequando, trent’anni fa, iniziaia lavorare come maestro discuola materna (e gli stipen-

condizione importante perrestare in equilibrio, permantenere una propria sta-bilità mentale. È qualcosache potrei definire connatu-rato con il patrimonio gene-tico di un insegnante. Primadi tutto perché si fa uno«stacco» dal lavoro didatti-co... che comunque logora.In secondo luogo (e non diminor importanza), per l’op-portunità di visitare musei,biblioteche, vedere paesag-

6di si aggiravano, se non ri-cordo male, sulle 400 mila li-re al mese) mettevo sempreda parte qualcosa per poterviaggiare. Per un docente,mettersi in cammino è una

Credo che un collegiodocenti dovrebbe votareuna delibera in cui sidichiari che fra i modi diaggiornarsi di uninsegnante ci sonoanche i viaggi

Viaggiarevoce del verboaggiornarsi

Per un docente, mettersi in cammino è una condizioneimportante per restare in equilibrio, per mantenere una propria stabilità mentale.

gi, ammirare piazze, cono-scere modi di vendere, usarealtri sistemi di trasporto, in-contrare associazioni cultu-rali, gustare altri cibi, sfo-gliare libri e riviste, visitaremercatini, camminare sustrade diverse. E poi, soprat-tutto, avvicinare la gente: in-contri spesso casuali... il ta-xista, il cameriere, il sorve-gliante di una mostra d’arte.Sono incontri che ci aiutanoa capire il mondo, ad inter-pretare le sue evoluzioni.Sconsiglio, chiaramente, iviaggi «tutto compreso» e legrandi agenzie. Mettiamo inconto i piccoli inconvenienti,come il furto del portafoglio(e spesso di qualcos’altro)durante la visita ad un mer-cato... come è accaduto amia moglie pochi giorni fa.Questi contrattempi ci per-mettono di capire un po’ co-me funziona la polizia, o ilmodo di telefonare, oppurel’importanza di avere a di-sposizione i riferimenti per leemergenze (numeri telefoni-ci di ambulanze, polizia,pronto soccorso). E ancora,il ruolo dei Consolati d’Italiae la loro funzione di suppor-to ai connazionali all’esteroanche di passaggio. Tuttoquesto lo considero «aggior-namento». Per questo moti-vo credo che un collegio do-centi dovrebbe votare unadelibera in cui si dichiari chefra i modi di aggiornarsi diun insegnante ci sono anchei viaggi. Ma non dobbiamodimenticarci di una cosa:raccontiamoli, scambiamocile informazioni e parliamo-ne, soprattutto con gli stu-denti delle nostre classi. Su-scitiamo il loro entusiasmocon i nostri racconti veri. q

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

GIUGNO-LUGLIO 2010

Nomadi del presente, cittadinidel futuro

AGOSTO-SETTEMBRE 2010

Gli spazi

OTTOBRE 2010

I tempi NOVEMBRE 2010

I saperi

DICEMBRE 2010

Passioni ecompassioni

IDENTITÀ

6E CULTURE

MAGGIO 2011

Adesso!

APRILE 2011

L’economia

MARZO 2011

FEBBRAIO 2011

La politica

GENNAIO 2011

Identità e culture

Il sacro, i sacri

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C hi sono io? Chi sono gli altri? Come posso chiarire a me stesso eagli altri ciò che mi caratterizza e mi distingue? Come posso rico-noscere gli altri? Sono domande che spesso ci poniamo, vuoi per-

ché spinti dal bisogno di dare senso al nostro essere al e nel mondo, vuoiperché le circostanze della vita ci hanno costretto a rendere conto ad altridella nostra identità. I sistemi sociali hanno prodotto nel tempo differentimodi e strumenti per definire ciò che chiamiamo «identità». Risulta quindidifficile stabilire che cosa possiamo/dobbiamo intendere con questo ter-mine, che, mai come oggi, ha assunto una valenza polisemantica.Ancor più difficile risulta stabilirlo in relazione a un altro concet-to-chiave, altrettanto polisemantico e problematico, come quellodi «cultura». Ma se vogliamo aprirci alla sfida della costruzionedella cittadinanza glocale, il passaggio tra la Scilla dell’identità e laCariddi della cultura, seppur angusto, è pressoché obbligato.

MOVIMENTO OSCILLATORIO

Con identità, in genere, intendiamo qualcosa che ha a che fare con il tempoe che si sottrae al mutamento. L’identità della persona è intesa anzitutto co-me la struttura psichica che rimane al di là del fluire delle vicende e dellecircostanze. Identità è il senso della nostra esistenza continua attraver-so il tempo e distinta da tutte le altre. La continuità della personanel tempo è garantita soprattutto dalla memoria, che crea rela-zioni tra gli stati di coscienza attuali e quelli passati. L’identità,inoltre, ha a che fare con la relazione con gli altri, sia nel sensoche diventiamo qualcuno e definiamo una nostra identità attraverso la rela-

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Roberto Morselli

Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Identità glocaliIl (libero) gioco

delle appartenenze

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identità e culture 6

in modi diversi (secondo le culture, le generazioni, le classi,le mode…). Ma dopo averlo incasellato, sentono il bisognodi rimettere in relazione ciò che hanno separato, pena noncapirlo del tutto, perdendone la specificità. L’identità è quindipresa dentro un movimento a forbice che separa e connette,delimita e sconfina. Certo, l’identità sembra più a proprioagio dentro la chiarezza delle definizioni, risulta più nitida evisibile, appare più facilmente garantita e stabile, ma lì ri-schia di perdere la ricchezza e la varietà che possono esseregarantite solo dalla rete delle connessioni «trasgressive».L’identità oscilla quindi tra la stabilità e il cambiamento, tra lachiarezza e la confusione, tra la forza e la debolezza, tra lacertezza e il dubbio. E più che risiedere nei poli sembra es-sere il movimento oscillatorio che li collega.

CONTESTUALIZZAZIONE

La riflessione sull’identità non può prescindere dal contestostorico e sociale entro cui la si pone, sia come realizzazionedegli individui (il compito), sia come comprensione teoricadel loro statuto (il problema). Come dire: senza contestualiz-zazione, alcuna comprensione. L’identità è, filosoficamenteparlando, un concetto essenzialista che fa riferimento a unastruttura stabile (data o scelta) con cui il singolo o il gruppos’identifica. Le trasformazioni in atto, a tutti i livelli, sembranospingere oggi oltre la concezione di un soggetto che ha unnucleo forte, quasi metafisico, e spostano la nostra attenzionesoprattutto sui processi attraverso cui gli individui si defini-scono, cioè costruiscono ciò che continuiamo a chiamare«identità». Per questa ragione sarebbe più corretto, come so-stiene Alberto Melucci, utilizzare il termine identizzazione,che sottolinea il processo di costruzione piuttosto che la sem-

plice identità come dato. Inoltredobbiamo tener conto del fattoche oggi sempre più il sociale siindividualizza, cioè la costruzio-ne del senso da parte degli indi-vidui diventa costitutiva dei pro-cessi sociali, quindi è anche alsingolo, in quanto tale, che dob-biamo guardare per compren-dere le dinamiche del tutto, enon solo viceversa. In tal modo,il movimento oscillatorio cui ab-biamo fatto cenno si arricchiscedi altri due poli: il singolo indivi-duo e il tutto sociale. Per muo-verci in questa complessità cre-scente, è utile farsi guidare da

alcuni autori appartenenti a campi del sapere diversi (antro-pologia, filosofia, sociologia, economia) che hanno indivi-duato alcune condizioni di fattibilità di un’identità glocale ecosmopolita3.

zione con altre persone, sia nel senso che la nostra identitàpuò essere affermata solo nella differenza da altri.L’identità dipende da ciò che noi vogliamo trattenere di un fe-nomeno. L’identità di una persona è data dagli elementi par-ticolari che la caratterizzano, oppure da ciò che la rende unapersona come le altre? Dipende certamente dal modo in cuila vogliamo definire. L’identità non ci dice com’è una persona«in se stessa», ma come noi la vediamo e la classifichiamo.Dipende dalle nostre decisioni. «L’identità è un fatto di deci-sioni. […] Non esiste un’identità che poi deve essere scoper-ta, bensì esistono modi diversi di organizzare il concetto diidentità»1. L’identità viene sempre, in qualche modo, «costrui-ta» o «inventata». Piuttosto che un fattore predefinito, quasinaturale, l’identità «si rivela unicamente […] come il traguar-do di uno sforzo, un obiettivo, qualcosa che è ancora neces-sario costruire da zero o selezionare fra offerte alternative,qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto at-traverso altre lotte ancora»2.La ricerca dell’identità implica due operazioni opposte e chetuttavia si richiamano:

un’operazione di assimilazione (posso assimilare una per-sona ad altre dello stesso tipo); un’operazione di separazione (la persona è diversa datutte le altre della stessa «categoria»).

Gli uomini ordinano il mondo attraverso delimitazioni, inca-sellamenti e gerarchizzazioni. Lo sezionano costantemente e

Gli uomini ordinano ilmondo attraversodelimitazioni, incasellamenti

e gerarchizzazioni. Losezionano costantemente e in modidiversi (secondo le culture, legenerazioni, le classi, le mode...). Ma

dopo averlo incasellato, sentono ilbisogno di rimettere in relazione ciò

che hanno separato, pena noncapirlo del tutto, perdendone la

specificità. L’identità è quindipresa dentro un movimento aforbice che separa e connette,

delimita e sconfina

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

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ALBERTO MELUCCIIDENTIZZAZIONE NELLA SOCIETÀ COMPLESSA

In numerosi suoi saggi4, il sociologo italiano ha analizzato ilrapporto tra società complessa e cambiamenti nello statuto enella costruzione dell’identità. In particolare, egli individuatre processi strutturali di rilievo. Il primo di questi è la diffe-renziazione, che indica il moltiplicarsi delle appartenenze edegli ambiti di vita. Oggi, gli individui appartengono a e tran-sitano tra differenti regioni di esperienza, che obbligano a undelicato processo di ridefinizione ogni volta che viene effet-tuato un passaggio. Una seconda caratteristica che è spessoriferita a sistemi ad altadensità di informazione èla loro variabilità, cioè lafrequenza e intensità delcambiamento. Infine, laterza caratteristica riguar-da l’eccedenza culturale:le possibilità simbolica-mente disponibili all’azio-ne degli individui sono piùampie delle loro capacitàeffettive di azione. L’incertezza diventa unacomponente costitutiva e permanente della nostra esperien-za. La scelta, da sempre associata all’idea di volontà e liber-tà, diventa una necessità cui non è possibile sottrarsi. Daquesta prospettiva emerge il problema dei confini, ossia del-la capacità del soggetto di definire dove comincia e dove fi-nisce il proprio campo di azione. Secondo Melucci, il confinetra interno ed esterno, cultura e natura, individuo e società,diventerà un terreno importante di conflitti, perché possiamoimmaginare che ci saranno imprenditori o venditori di confi-ni, che mettono a disposizione una definizione per tutti coloroche non sono in grado di tracciare in modo autonomo la fron-tiera. Possiamo già immaginare un intervento manipolatorioe forme di resistenza e di opposizione che riguardano la de-finizione stessa della soggettività e dell’identità. E nell’espe-rienza quotidiana e nelle scelte esistenziali tocca e toccheràsempre più al singolo produrre queste definizioni. Come in-dividui ci troviamo in difficoltà perché queste scelte richiedo-no lo sviluppo di grandi capacità e di autonomia, oltre che re-sponsabilità molto impegnative.

JEREMY RIFKINIDENTITÀ PALCOSCENICO

Dell’economista americano5 ci sembrano interessanti le rico-struzioni storiche della genesi e dello sviluppo delle formed’identità, in riferimento ai cambiamenti strutturali avvenutinella società occidentale. Secondo Rifkin, il «nuovo uomo pro-

con disinvoltura fra trame e palcoscenici, recitando le diverserappresentazioni messe in scena dal mercato culturale»6. PerRifkin, la generazione attuale è costituita di individui in conti-nuo cambiamento, in una dimensione temporale complessa einterdipendente, fatta di reti di relazioni, spesso a distanza,mutevoli. Oggi si afferma una personalità relazionale, fluida etransitoria come le reti in cui siamo integrati, alla costante ri-cerca di nuove esperienze da vivere. Si tratta di una persona-lità con forte vocazione teatrale. L’uomo si trasforma da lavo-ratore produttivo ad attore creativo. Un numero crescente diindividui, in particolare giovani, considera se stesso alla stre-gua di un attore e la propria vita un’opera d’arte in via di rea-lizzazione. La prospettiva drammaturgica offre una chiaveperfetta per attribuire senso ai cambiamenti in atto, soprattut-to economici: mette la comunicazione al centro dell’attivitàumana, ridefinisce il sé in termini relazionali, trasforma la pro-prietà in un simbolo con funzione di assistere la persona nella

Oggi, gli individuiappartengono a

e transitano tra differentiregioni di esperienza,

che obbligano a undelicato processo

di ridefinizione ognivolta che viene

effettuato un passaggio

teiforme dell’era dell’accesso ha una percezione di se stessoe del proprio mondo abbastanza diversa da quella dei suoigenitori e dei suoi nonni. Se le generazioni del passato pensa-vano a se stesse come a gente “di carattere” o di “forte perso-nalità” - in conformità ai dettami dei valori della produzione,prima, e del consumo, poi - la nuova generazione si percepi-sce come composta da “interpreti creativi” che si muovono

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gli spazi 2

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All’indomani della morte diChiara Lubich, la fondatrice deiFocolari morta il 14 marzo

2008, sul quotidiano Liberazione erapossibile leggerne questo elogio, afirma di Fulvio Fania: «seguendoquesto carisma Lubich ha aperto ilproprio movimento ad ortodossi,protestanti, musulmani, buddisti,induisti, credenti e non credenti,senza pretese di conversione ma con ildichiarato intento di spingereciascuno a riscoprire la propriaspiritualità ed aprirsi al divino». E cosìla ricordava l’economista StefanoZamagni: «Chiara ha dedicato grandienergie per porre in guardia da unodei rischi più insidiosi della nostraciviltà, ossia che il bello venga ridottoa bene di consumo cui chiedere una

fruibilità immediata. La filocalia diChiara non è frutto di un vago sensoestetico, ma espressione della presad’atto che la bruttezza della città e deiluoghi di vita tende a generare anchebrutture morali» (Città nuova, 10aprile 2008, p. 92).Due giudizi provenienti da voci moltodiverse, che mettono in luce meritiapparentemente lontani. Nata aTrento nel 1920 col nome di Silvia,maestra elementare, dopo una visita aLoreto sentì di essere chiamata a unavita particolare, che escludeva sia ilconvento, sia il matrimonio, sia laconsacrazione nel mondo. Nel 1943 siconsacra a Dio, seguita presto daalcune giovani. Insieme costituiscono ilprimo «focolare» che è caratterizzatodal sostegno materiale per i trentiniimpoveriti dalla guerra. Il vescovo dellacittà, richiamato dalla fama crescentedel gruppetto, dà la sua approvazioneaffermando che «qui c’è il dito di Dio».Lo scrittore e parlamentare IginoGiordani, intuendo l’universalità delcarisma, lo fece uscire dai confini dellacittà tridentina per farlo conoscere aRoma. I vescovi italiani cominciarono ainterrogarsi sulla realtà delmovimento, che intanto siespandendeva in Europa: tra il 1958 eil 1967 arrivò nei cinque continenti,mentre Chiara, che non prevedeva untale successo, pensava: «proprioquesta mia debolezza constatata miconvinceva che quei frutti cheportavamo, quelle migliaia diconversioni, non potevano essereeffetto che di un’Opera di Dio».Nel 1962 arrivò la certezza che laChiesa approvava il Movimento.Sorprendendo le intenzioni della stessafondatrice, cominciò la stagionedell’ecumenismo: nel 1967 iniziò ilrapporto con Athenagoras I, patriarcadi Costantinopoli; nel 1977 Chiara

ChiaraLubich

identità e culture 6

STEFANO CURCI

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ricevette a Londra il premio Templetone iniziò ufficialmente il dialogointerreligioso del movimento. Nel1991, in Brasile, cominciò il progettoper un’economia di comunione, checoinvolse imprenditori e imprese deicinque continenti. Nel frattempoChiara ottenne molti riconoscimenti aldi fuori del mondo cattolico,testimoniati dagli incontri con gliafroamericani dell’imam Mohammed,con i buddhisti thailandesi, conesponenti del mondo induista. Nel1994 Chiara Lubich fu elettapresidente onorario della Conferenzamondiale delle religioni per la pace, enel 2002 fu scelta per parlare a nomedella Chiesa cattolica nella granderiunione interreligiosa di Assisi. Nel2001 il movimento dei Focolari hastretto un «patto d’amore reciproco»con 700 responsabili di movimenti didiverse Chiese della Germania, pattoche si allargò all’obiettivo di ridareun’anima all’Europa.Così il cardinale Walter Kasper spiegalo straordinario effetto ecumenicodell’opera di Chiara Lubich: «con leitutti sperimentavano che la spiritualitàdell’unità - vissuta nel quotidiano econ l’impegno di vivere insieme ilVangelo e di assaporarne i frutti -poteva costruire ponti, tessererapporti, abbattere pregiudizi disecoli, rinnovarsi in testimonianzacomune». Lo straordinario segretoche, da una piccola casa di una mediacittà italiana, ha portato unmessaggio di pace e fratellanza neiluoghi più lontani del pianeta. q

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

messa in scena dei vari ruoli teatrali interpretati nelle reti incui è integrata, ciascuna delle quali rappresenta solo unaspetto della sua storia. «La prospettiva drammaturgica è, inultima analisi, una vivida descrizione dello stato della menteche si associa alla più recente fase del capitalismo»7.

REMO BODEIIDENTITÀ MODULARI, ORIZZONTALI

Anche il filosofo italiano Remo Bodei ha dedicato un’attenzionesignificativa al tema dell’identità. Egli afferma che oggi siamodi fronte a un nuovo tipo di soggettività che si muove lateral-mente, esplorando possibilità immediate, a portata di mano,senza preoccuparsi del loro sviluppo. Questo tipo di soggetti-vità aspira a una sorta di consapevole perdita di centro, sce-glie il terreno della disgregazione, controllata e sdrammatizza-ta, delle appartenenze forti. «L’unità articolata della personali-tà, la coerenza gerarchica delle sue istanze, la contraddizionee il conflitto interiore non sono più considerati fattori di crescitae ad essi non è più attribuito alcun valore intrinseco. Essere fe-deli a se stessi vuol dire essere fedeli alla pluralità dei sé chesi sarebbe potuti essere e che ancora si potrebbe diventare(significa, in effetti, essere infedeli ai propri investimenti ogget-tuali, ma sempre più fedeli a quelli narcisistici, così che la per-dita di oggetti, persone e ideali sia più sopportabile e l’elabo-razione del “lutto” meno dolorosa e più rapida)»8.Vi è un certo rapporto ancora da indagare tra la riformulazio-ne dell’identità e le trasformazioni delle precedenti «potenze

etiche»: famiglia, classe, Stato, Chiese. Esse hanno fatto di-ventare l’individuo più libero, ma gli hanno reso più onerosoil processo di autocostruzione dell’identità, poiché scaricanosu di lui responsabilità a cui prima non era abituato e gli im-pongono talvolta l’obbligo di darsi norme in campi semprepiù vasti non pubblicamente regolamentati. In un mondo po-licentrico, i punti di riferimento e i vincoli di lealtà si moltipli-cano e si diversificano, costringendo l’individuo a dividersi ea ritoccare costantemente la mappa della propria identità.

AMARTYA SENMULTIAPPARTENENZE

Per l’economista premio nobel indiano Amartya Sen, esisteuna gran quantità di categorie diverse a cui apparteniamo si-multaneamente: «Io posso essere al tempo stesso un asiatico,un cittadino indiano, un bengalese con antenati del Bangla-

Per Rifkin, la generazione attuale ècostituita di individui in continuocambiamento, in una dimensione

temporale complessa einterdipendente, fatta di reti di

relazioni, spesso a distanza,mutevoli. Oggi si afferma una

personalità relazionale, fluida etransitoria come le reti in cui siamo

integrati, alla costante ricerca dinuove esperienze da vivere

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«La discussione sulla religione è uno dei tratti salienti della cultura contemporanea. Vi sono interessate le giovani nazioni dellʼAsia e dellʼAfricanon meno delle antiche nazioni europee. Popoli di anticatradizione, come lʼIndia e il Giappone, sʼinterrogano sulvalore del patrimonio religioso tradizionale; società altamente civilizzate scoprono il vuoto nel quale il progresso tecnico le ha lasciate».

Piero Rossano1

Il ruolo delle tradizioni religiose nella societàcontemporanea

In un tempo dominato dal pensiero scientifico‑tecnologico, dallʼagnosticismo oltre che da unateismo pratico, cʼè chi si meraviglia nel consta‑tare quanto peso abbiano ancora le diversità re‑

ligiose nei rapporti tra le culture2. In realtà esse inci‑dono profondamente perché le religioni rappre‑sentano ancora fattori centrali della storia dellʼuma‑nità. Nelle difficoltà a orientarsi criticamente neiprocessi di rapida trasformazione del post‑moder‑

no, trova fondamento il bisogno di sacro come ri‑sposta di ordine e di comprensibilità. Si ricerca neltempo sacro lʼalternativa al tempo della vita che,nella sua accelerazione, sfugge al controllo dellʼin‑dividuo. Incarnate nei vari contesti culturali, essesostanziano le tradizioni, il pensiero, i comporta‑menti dei popoli, per cui è difficile instaurare un po‑sitivo dialogo interculturale se non si riesce a in‑staurare anche un dialogo interreligioso. Le religioni si trovano infatti a dover affrontare lasfida della post‑modernità che, con il suo muta‑mento inarrestabile e col suo individualismo, mettein crisi qualsiasi identità e tradizione.Tramontato il mito scientifico della secolarizzazio‑ne e mutato lo scenario, esse resistono e continua‑no a svolgere importanti funzioni, mostrando di es‑sere ancora fattori dinamici e non marginali dellascena sociale e politica. In una società che tende aframmentarsi, a diventare «liquida»3, esse costitui‑scono forze disalienanti: nella sfera privata a difesacontro i tentativi di omogeneizzazione moderniz‑zante, mediante il recupero positivo di emozioni,

a cura di ALBERTO FORNASARI

RELIGIONI A SCUOLALʼAPPORTO DEL WEB

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passioni, immaginario e creatività, nella sfera pub‑blica per «la loro capacità simbolica nellʼepoca dellafluidità dei non luoghi, di ridefinire e ridisegnareconfini, di marcare spazi, sia per converso per la lorodinamicità e per la loro esperienza missionaria di re‑ligioni senza frontiera, per la loro capacità di inte‑grazione, meglio di inter‑azione, di apertura al con‑fronto, al dialogo, alla promozione di valori indi‑spensabili come la pace»4. La forza positiva delle re‑ligioni oggi consiste nella loro capacità di converti‑re le diverse civiltà al senso di responsabilità dellʼuo‑mo di fronte al bene a al male, sulla base di una de‑terminazione cosciente e libera5.Nel nuovo scenario pluralista esse sono chiamate arecuperare una componente universalistica di fra‑ternità; le religioni, non più irrigidite su formuleidentitarie né incarnate in culture sacralizzate, po‑tranno adottare atteggiamenti di dialogo e dʼimpe‑gno per lʼazione interculturale non violenta6. Il dia‑logo interreligioso, desacralizzando le culture, leaiuta ad aprirsi al dialogo interculturale in un reci‑proco scambio e arricchimento, contenendolʼesplosione degli integralismi.Ogni religione si deve misurare sulla capacità dicompletare e arricchire le proposte delle altre reli‑gioni entrando in dialogo con esse. Lo farà tantomeglio quanto più sarà in grado di far emergere ilnucleo centrale del suo messaggio, ripulendolo

dalle concrezioni storiche, presentandolo nella suavalenza simbolica e formativa. Per realizzare questodialogo sul piano educativo è necessario un impe‑gno per far maturare nuovi atteggiamenti di aper‑tura anche nei confronti delle diversità religiose. Cʼèun mondo che si sta disgregando in un politeismodi piccoli io in concorrenza ed in conflitto tra loro.Bisogna invertire la rotta ed intraprendere camminiche educhino al noi, alla fraternità vera e che faccia‑no della sfera del religioso il luogo della ricostruzio‑ne e della riconciliazione dellʼumanità7.La ricerca sullʼeducazione religiosa nella prospetti‑va dellʼinterculturalità finora si è orientata sia versolʼesplorazione dei problemi e delle possibilità dʼin‑tesa tra religioni diverse, sia, soprattutto, alla defini‑zione di come lʼeducazione religiosa possa confi‑gurarsi in termini interculturali.Risulta evidente come lo scontro tra le diverse for‑me storiche di religione non derivi tanto dalla natu‑ra e dai contenuti delle religioni, ma dipenda daunʼerronea interpretazione dellʼeducazione religio‑sa, purtroppo ancora diffusa.Si tratta, come dice Santelli Beccegato, di «compor‑tamenti del tutto antagonisti alla dimensione delbene, alla disponibilità verso lʼassoluto che connotala dimensione religiosa. Lavorare sullʼeducazionereligiosa in termini di intercultura significa appuntomettere in evidenza le categorie forti, portanti equalificanti lʼesperienza umana in prospettiva pe‑dagogica»8.

Religioni a scuola

Con lʼinsegnamento della storia delle religioni lascuola, le diverse agenzie educative hanno lʼocca‑sione di aiutare a superare pregiudizi e stereotipi, difar maturare negli allievi la distinzione tra cono‑scenza e fede, di superare la tentazione pericolosaper lʼidentità delle religioni di cadere in una sorta direlativismo, di sincretismo e di agnosticismo.La diversità religiosa, che attualmente caratterizzalʼesperienza quotidiana degli alunni, deve rimaneretale, deve essere compresa e rispettata come moti‑vo di arricchimento per tutti9. La scuola, inoltre, de‑

Alberto FornsariAlberto Fornasari è esperto in processi

multi/interculturali, coordinatore delGruppo di Ricerca «Religioniindialogo» -Laboratorio di Pedagogia Interculturale -

Università degli Studi di Bari, e docente acontratto di Pedagogia sociale e

interculturale, formatore per contodell’Ufficio Scolastico Regionale Puglia.Ultima pubblicazione, «Incontriamoci a

scuola: dinamiche e prassi di educazioneinterculturale nelle scuole di Martina

Franca», ed. Favia, Bari 2010.

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zioni modificati e arricchiti dallʼesperienza dellʼin‑contro, dallo scambio e dal confronto. La scuolapuò contribuire alla costruzione di un mondo piùaperto e pluralista, nel quale le alterità non si annul‑lano, né si impoveriscono, né si assimilano, ma sistabilizzano in una dimensione circolare di scam‑bio reciproco. Lʼottica interculturale dovrebbe aiu‑tare tutti a non disperdere il patrimonio spirituale dicui le religioni sono testimonianza13.La scuola, che per sua natura è chiamata a interpre‑tare il presente della storia e a costruire il futuro , de‑ve essere in grado di valorizzare il fatto religioso, inuna prospettiva dinamicamente interculturale edeve ricercare e realizzare strategie educative e di‑dattiche adeguate.

Lʼapporto del web

Secondo Edgar Morin siamo entrati nellʼera plane‑taria sospinti da tre processi: lʼuniversalizzazionedella società scientifica e tecnologica, lʼintegrazio‑ne delle culture e del folklore, la telepartecipazionedegli individui e dei popoli al «villaggio globale»14. Imedia e le tecnologie della comunicazione sonostati i potenti motori di questi processi che dovreb‑bero progressivamente condurre a evolvere dalmulticulturalismo allʼinterculturalismo.In realtà i conflitti politici, economici, sociali, cultu‑rali del nostro tempo fanno emergere unʼambiva‑lenza, che ha segnato la stessa evoluzione dei me‑dia nei tre ambiti della loro influenza: la socializza‑zione delle giovani generazioni tra processi dʼiden‑tificazione collettiva e di diversificazione soggetti‑va; lʼuniversalizzazione della cultura tra processi dimondializzazione delle scienze, delle religioni, dellearti, del folklore dei popoli e processi di omogeneiz‑zazione dei modelli di produzione e consumo dellemerci simboliche attraverso lo spettacolo e lʼinfor‑mazione, il controllo delle dinamiche sociali tra pro‑cessi di internazionalizzazione e globalizzazione deicomportamenti e dei bisogni e processi di parteci‑pazione individuale e di espressione democratica,attraverso le nuove tecnologie delle telecomunica‑zioni. Unʼemergenza critica ‑ amplificata dalla de‑

ve saper fornire le opportunità non solo per impa‑rare sulle religioni, ma anche per imparare dalle re‑ligioni, deve cioè saper mettere a frutto i messaggiche ne promanano, direttamente o indirettamen‑te10. Si tratta di organizzare un insegnamento reli‑gioso non settoriale né catechistico, che consentadi avvicinarsi alla conoscenza del patrimonio dellareligioni storiche senza le quali non si possonocomprendere le culture con cui oggi veniamo incontatto. Tuttavia, accanto allʼesplorazione della di‑

mensione storica del patrimonio religioso del‑lʼumanità, è necessario approfondire la dimensionedellʼinteriorità e, soprattutto, far nascere e alimenta‑re la sensibilità verso i grandi temi della fraternità edella responsabilità verso lʼaltro11.La dimensione religiosa, al di là del fatto di esserecredenti o non credenti, investe lʼintero complessodi vita. Si esprime nella topografia dei luoghi sacri,nella scansione dei tempi, nella simbologia deglioggetti, nelle immagini, nella musica12. È radicatanei riti della nascita e della morte, nelle prescrizionialimentari, nelle forme del comportamento, delleespressioni di amore e fedeltà, di amicizia e com‑passione; segna profondamente lʼimmaginario col‑lettivo. Il dialogo interculturale ‑ e soprattutto inter‑religioso ‑ è possibile solo se si è disposti ad allonta‑narsi dalle proprie certezze, a rischiare lʼesperienzadellʼalterità, disposti a ritornare alle proprie convin‑

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bolezza della media education nella scuola italiana‑ che deriva dalla conflittualità tra scuola e mediache ha percorso tutto il Novecento con andamen‑to carsico ed esplosioni violente ogni volta che sipaventavano gli effetti diseducativi di qualche nuo‑vo mezzo. Si è verificato questo in passato con il ci‑nema, poi con la televisione, adesso con il compu‑ter. Nella realtà diffusa, infatti, cultura della scuola ecultura dei media hanno espresso finora modellisimbolici alternativi.Come conferma la ricerca sociologica, i media oggigiocano un ruolo determinante nella costruzionesociale del significato della realtà, per cui i contenu‑ti rappresentano modelli di organizzazione socialein forma di norme, ruoli, comportamenti, sanzioni,che funzionano come conoscenze‑aspettative perlʼinserimento positivo nella società.La sfida che come Laboratorio di Pedagogia Inter‑culturale (diretto dalla prof. L. Santelli Beccegato) cisiamo posti è stata quella di testimoniare che scuo‑la e media possono costruire una prospettiva inter‑culturale. Soltanto sulla loro collaborazione (essen‑do scuola e media i due grandi sistemi di rappre‑sentazione‑interpretazione della realtà e di socializ‑zazione) si può fondare unʼeducazione intercultu‑rale che sappia coniugare nel progetto formativouniverso reale e universo simbolico.

Lʼesperienza del Laboratorio di Pedagogia Interculturale dellʼUniversità di Bari

Partendo dalle premesse esposte nel precedenteparagrafo, il nostro laboratorio ha pensato di dar vi‑ta ad un sito web (www.religioniindialogo.it) chetrattasse del dialogo interreligioso a tutto campo.Uno spazio realizzato in collaborazione con la Pre‑fettura di Bari, lʼAssessorato Regionale al Mediterra‑neo e lʼUfficio Scolastico Regionale Puglia (e con di‑versi Assessorati della Provincia e del Comune diBari) per favorire il dialogo tra persone di diverse re‑ligioni interessate a scambiare idee, proposte, pro‑getti e creare una rete dʼinformazioni per la promo‑zione della conoscenza reciproca e del dialogo in‑terreligioso. Uno spazio che avvicinasse le nuove

generazioni a tali tematiche, che le coinvolgesse at‑traverso il web, lo strumento più conosciuto ed uti‑lizzato dagli studenti. Questa «scommessa» ha avu‑to un riscontro positivo quando nel 2009 abbiamobandito il concorso «Religioni in dialogo», destina‑to alle scuole di ogni ordine e grado della provinciadi Bari, per la creazione di un logo per il nostro sito.Molti i lavori pervenuti: 138 opere, che tutti hannopotuto visionare in una mostra allestita dallʼAcca‑demia delle Belle Arti nei corridoi del Salone degliAffreschi, a Palazzo Ateneo. Un segnale importantedi come tali tematiche suscitino interesse tra glistudenti, a condizione che si sappia dialogare conloro, attraverso i loro linguaggi.Il primo premio dal titolo Le matite di Dio è stato as‑segnato alla classe 2 A della Scuola Media StataleMichelangelo di Bari, il secondo è stato assegnatoal Circolo Didattico «G. Marconi» di Locorotondo,plesso «G. Guarella» (classe V E) con lʼopera La pian‑ta dellʼunità, il terzo è stato assegnato alla scuola Se‑condaria Statale di Primo grado «Pomarici Santo‑masi» di Gravina (terza E, Calia Elena) con lʼoperaAndando verso la pace.Nel 2011 lanceremo un nuovo concorso dal titoloStorie di dialoghi e di religioni per continuare undialogo con le scuole che auspichiamo sempre piùproficuo.

1 P. Rossano, Lʼuomo e la religione, Fos‑sano (Cn) 1968, p.13.2 C. Sirna Terranova, Pedagogia inter‑culturale, Guerini, Milano 2007. 3 Z. Bauman.,Vita liquida, Laterza, Ro‑ma‑Bari 2006.4 G .Dal Ferro, Religioni, identità cultu‑rale e riconciliazione, in «Studi ecume‑nici», XIV, n.3.5 G .Filoramo, Introduzione al Simposiosulle funzioni dealienanti del Mito, del‑la Religione e del Misticismo, Semina‑rio Internazionale «Il fattore religiosotra vecchie e nuove tensioni», Inter‑center, Messina, 14‑16 marzo 1997.6 L. Hagemann., La pluralità delle reli‑gioni come sfida, «Itinerarium», a. 4, n.6.7 E. Lèvinas, La traccia dellʼAltro, TullioPironti, Napoli 1979.8 L. Santelli Beccegato, Pedagogia In‑terculturale. Questioni epistemologi‑

che, in A. Perrucca (a cura di), Pedago‑gia Interculturale e dimensione euro‑pea dellʼeducazione, Pensa Multime‑dia, Lecce 1996.9 F. Massimeo, P. Selvaggi, A. Portoghe‑se, (a cura di), Lʼinsegnamento delle re‑ligioni oggi, Quaderno n. 36, Progedit,Bari 1998.10 D .Pizzuti (a cura di), Sociologia dellareligione, Borla, Roma 1985.11 A .Portera, Tesori sommersi. Emigra‑zione, identità, bisogni educativi inter‑culturali, Franco Angeli, Milano 1997.12 A .Portoghese, M. Vigli, I nomi di Dio,Progedit, Bari 2000.13 M. Ruini. (a cura di), Religio. Ruolo delsacro, coesione sociale e nuove formedi solidarietà nella società contempo‑ranea, Incontri europei di Amalfi 5, Bul‑zoni, Roma 1994.14 L. Galliani, R. Costa, Le macchine sim‑boliche, Progedit, Bari 2000.

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POLITICHE DELL’IMMAGINARIO

Tra le tante appartenenze, vi sono quelle di tipo culturale, chespesso gli individui vivono come prioritarie, fonte principaledella loro identità. In questa sede, vista la crescente retoricache attualmente concerne le culture, soprattutto nel comunita-rismo e nel multiculturalismo, e vista la presunta minacciadello «scontro di civiltà», è opportuna una riflessione sul con-cetto di cultura con un intento di decostruzione critica. Ci ven-gono in soccorso altri autori. Secondo Marco Aime, le culturee il loro presunto incontro-scontro sono solo «espedienti reto-rici e analitici, astrazioni formulate dagli studiosi per indicarea posteriori processi storici, ma utilizzare tali categorie perleggere la nostra realtà quotidiana può risultare fuorviante. Inquesta realtà noi vediamo don-ne, uomini e bambini conoscer-si, convivere, lottare, combatte-re. Dalle carrette del mare chepiù o meno regolarmente attrac-cano sulle nostre coste sbarca-no disperati, non culture. Unadonna o un uomo che hanno fa-me non sono prima di tutto isla-mici o induisti: sono affamati»10.Occorre quindi porsi di frontealla questione della diversitàculturale in modo meno para-

digmatico. Per Franco LaCecla, «è di immagina-

rio che sono fatte leculture e possonogiocare e interagire tra di loro con delle messe inscena d’identità»11. L’identità è una finzione cheappartiene alla politica dell’immaginario su cuisono costruiti i gruppi umani ed è di immagina-rio che sono costruite le culture. Questo immagi-

nario può essere manipolato dai governi e dalleélite di potere, sfruttando stereotipi e pregiudizi. La

diffidenza verso l’altro non è innata, ma costruita sulla ba-se di stereotipi. Questa diffidenza non si traduce necessa-

riamente in scontro. Un conto è l’enfatizzazione della diver-sità di tipo spontaneo, nata dal basso e spesso fondata su ste-reotipi, un altro conto è l’indurimento, la strutturazione dellastessa, con una conseguente contrapposizione violenta, fo-mentata e promossa da agenti di potere. In linea con gli autoricitati è anche Marc Augé, il cui contributo ci pare particolar-mente stimolante: «Una cultura che si riproduce sempre talee quale (una cultura da ghetto o da riserva) è un cancro so-ciologico, una condanna a morte, proprio come una linguache non si parla più, che non mutua più elementi da altre lin-gue, che non inventa più, è una lingua morta. È dunque sem-pre abbastanza pericoloso voler difendere o proteggere leculture, e illusorio cercarne la purezza perduta. Esse nonhanno mai vissuto in altro modo che trasformandosi»12.

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identità e culture 6

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desh, residente in America e in Gran Bretagna, economista, fi-losofo a tempo perso, scrittore, sanscritista, convinto asserto-re del laicismo e della democrazia, uomo, femminista, etero-sessuale, difensore dei diritti dei gay e delle lesbiche, conuno stile di vita non religioso, di famiglia induista, non brami-no, che non crede nella vita dopo la morte (e nemmeno, nelcaso vogliate saperlo, in una vita prima della morte)»9. È soloun campione delle diverse categorie a cui possiamo apparte-nere simultaneamente, ma esistono molte altre categorie diappartenenza che, a seconda delle circostanze, ci possonoinfluenzare. Appartenere a ognuno di questi gruppi può esse-re importante, a seconda del contesto in cui ci troviamo.Quando questi gruppi competono tra di loro per avere più at-tenzione e ottenere la priorità (non necessariamente è così,fra le esigenze di diverse appartenenze può anche non esser-ci conflitto), l’individuo deve prendere una decisione sul pesorelativo da attribuire alle rispettive identità, che dipenderà dal-la specifica natura del contesto. Ci sono due distinti problemia questo riguardo. Il primo consiste nel riconoscere che leidentità sono in larga misura plurali, e che l’importanza diun’identità non deve necessariamente cancellare l’importan-za delle altre. Il secondo è che una persona deve fare scelte -esplicite o implicite - sul peso relativo da attribuire, in un par-ticolare contesto, alle divergenti fedeltà e priorità, che posso-no essere in competizione fra loro per avere la precedenza.

Le culture e il loropresunto incontro-scontro sono solo

«espedienti retorici eanalitici, astrazioni

formulate dagli studiosiper indicare a posteriori

processi storici, mautilizzare tali categorie

per leggere la nostrarealtà quotidiana può

risultare fuorviante»Marco Aime

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Luoghi senza storiaDAVIDE BAZZINI

Le città contemporanee sono popolate di luoghi senza tempo.Il presente, tanto invadente quanto facilmente replicabile nel-le sue forme architettoniche, riempie gli spazi che un tempo

erano dedicati al mantenimento della memoria o alla prefigurazio-ne del futuro. Penso ai tanto citati centri commerciali, esempio dienormi non luoghi basati su questo monopolio del presente, chehanno ormai maturato la paradossale capacità di suscitare un de-ja-vu nel visitatore medio, confortato nel ritrovare, nelle più diversecittà, forme e contesti spaziali noti e capaci di contrastare lo spae-samento che lo poteva - spaventosamente - cogliere. Che bello,che conforto, che sollievo potermi re/immergere qui, a tanti chilo-metri di distanza nelle stesse cose, negli stessi oggetti, cibi e com-portamenti che ho imparato ad usare nel mio presente! Gli spaziurbani del presente non solo sono senza geografia, dispersi nel-l’omologazione delle forme e nella velocità dei movimenti, ma so-no anche sempre più senza storia, senza un fondamentale passa-to. La memoria, le memorie sono espulse da quegli stessi contesti

che li rappresentavano; i luoghi, privati della loro dimensione sto-rica, diventano specchio di una società che non avrà più bisognoné di memoria né di storia, superficie riflettente di una società chesostituisce la memoria dei luoghi con la citazione dei luoghi dellamemoria. Penso alle spettacolarizzazioni del passato alla Disney-land, o ai parchi storici tematici, o all’ancora più interessante cita-zione della cultura classica europea fatta in maniera sistematica aLas Vegas con i suoi monumenti virtuali e posticci, possibile verameta di un eventuale gran tour di formazione contemporaneo.

LA DITTATURA DEL PRESENTE

La dittatura del presente è attiva non solo sui simboli della memo-ria ma anche sulle stesse strutture dell’abitare. Voglio dire che gliedifici nella città moderna non sono fatti per durare, né tantomenoper invecchiare. Un’estremizzazione della logica funzionalista, uni-ta all’accelerazione senza sosta dei tempi di vita, li concepisce inmodo che il loro invecchiamento sia preceduto da una tempestivasostituzione. Se la città classica puntava all’eternità e quella rinasci-mentale al «rendere liberi», la città contemporanea ci imprigiona in-vece in un eterno presente, dove i luoghi sono sostituibili (e poi an-cora e ancora) con le loro copie, meri simulacri della realtà. Il risul-tato è che le nostre città non lasciano rovine, ma macerie. Macerieda rimuovere e da dimenticare. Se le rovine sono specchio della me-moria, rappresentazioni di un tempo sospeso, immagini di un’uma-nità ri-naturalizzata, le macerie presenti nella nostre città sono cica-trici della violenza e dell’imposizione, talvolta latente, ma per lo piùpalese, che le ha generate. Il muro di Berlino, Chernobyl, le Torri Ge-melle, l’intera Sarajevo, Beirut sono esempi di città intere costruitesulla rimozione - tanto fisica che psicologica - delle macerie.

CITTÀ SENZA ROVINE

Le nostre sono città senza rovine. Mancano tanto della capacità digettare uno sguardo complice sulle rovine esistenti, sui segni resi-dui della memoria, quanto della capacità di generarne di nuove.Sono città senza tempo, senza il tempo per fermarsi. Solo la catastrofe, naturale o artificiale, è in grado oggi di produrrerovine, di lasciare il segno del tempo sul presente. Le città distrutteda bombardamenti o terremoti vengono abbandonate, i loro abi-tanti evacuati con la forza e incistati in New Town, nuove città copiedelle precedenti. Quanto ci insegnano Longarone abbandonata do-po il Vajont e L’Aquila dopo il terremoto… «Trasferiremo tutti inuna New Town!» si era affrettato a proporre un ineffabile Silvio Ber-lusconi l’indomani della distruzione del centro storico de L’Aquila. Ilcentro di una città abitata diventa inesorabilmente e interamente«rovina», simbolo di un tempo sospeso dalla tragedia e dalla distru-zione, buono da far vedere ai grandi capi di Stato e alle star inter-nazionali come un’attrazione a cielo aperto. Non siamo più alle ro-vine di città, alla vestigia del passato che l’occhio umano trasformain paesaggio. Siamo alle città-rovina, a interi quartieri abbandonatie sostituiti. In fretta. Il ri-costruire diventa prevalente sul ri-abitare.La speculazione edilizia è più forte della memoria degli abitanti.

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identità e culture 6

PRIPYAT CITTÀ-ROVINA

Una città-rovina in cui le macerie diventano spettacolo.Prendiamo ad esempio Pripyat. Una città nuova di pacca,costruita negli anni ‘80. Città di giovani tecnici e maestran-ze impiegate nella vicina centrale di Chernobyl. Una cittànuova, fondata dal nulla, con 50 mila abitanti. La difesa ci-vile della repubblica sovietica bielorussa ricevette la relazio-ne sull’esplosione e l’incendio alla centrale nucleare diChernobyl nelle prime ore del mattino del 26 aprile 1986.Alle ore 07:00 di domenica 27 aprile, dopo l’incidente allacentrale, venne confermata la decisione di evacuare la po-polazione. Intorno a mezzogiorno, partì il messaggio radioche venne trasmesso per informare gli abitanti. Quasi1.200 pullman si raccolsero vicino a Chernobyl ed iniziaro-

no a trasportare gli abi-tanti di Pripyat fuori dal-la città: erano passatepiù di trentasei ore dal-l’incidente. Secondo lefonti informative uffi-ciali, il trasporto venneeseguito in maniera effi-ciente. In meno di treore erano rimasti in cittàsolo coloro che doveva-no svolgere il loro dove-re d’ufficio. Gli sfollativennero collocati prov-visoriamente in città evillaggi delle provincevicine. Pripyat fu abban-

donata. Un fantasma. Una città-rovina, dove la vegetazio-ne si riprende selvaggia spazi che le erano negati, doveenormi piante divorano piazze ed edifici, dove finestre spa-lancate si aprono come tristi occhi sul monotono ripetersidel cemento armato sbrecciato, dove animali selvatici o in-selvatichiti abitano spazi già percorsi dagli umani abitantidella città… Oggetti abbandonati in ogni dove, giocattoli,ritratti polverosi, molteplici testimonianze di una fuga an-gosciosa e precipitosa. Se cerchiamo i segni della nostra contemporaneità, i simbolipossibili della nostra tramontante modernità dentro il corpodelle città, dobbiamo rivolgerci a questi vuoti, all’assenza,alla mancanza, alle ferite delle diverse Pripyat sparse nelmondo. Se il monumento e le rovine storiche ricordavano ecelebravano avvenimenti e personaggi della città, è nel vuo-to urbano, nello spazio interstiziale, nello scarto, nell’inser-vibile, nelle case abbandonate, nei capannoni industriali di-smessi, nei sottopassaggi, nelle fognature, nei parcheggi,nelle rotonde delle tangenziali che dobbiamo guardare. So-no quelle le nostre rovine. Forse nel rimosso della città mo-derna, nella ferite che si lascia dietro, nei pochi vuoti che rie-sce a tollerare possiamo trovare i nuovi luoghi, possiamotrovare tracce di passato e presagi di futuro. q

I processi di globalizzazione hanno indebolitoprogressivamente e inesorabilmente la funzioneimmunitaria di questi «container», rompendo la

convergenza tra sé e luogo, tra popolo e territorio,con il risultato che molti cittadini dei moderni Stati

nazionali «a casa non sentono più di coinciderecon la propria identità e nella propria identità non

si sentono più a casa

OLTRE IL CONTENITORE ETNICOPER UNA CITTADINANZA GLOCALE

Alla fine di questo excursus, mi sembra siano presenti alcunielementi chiave per inquadrare la sfida della costruzionedell’identità glocale nell’epoca della globalizzazione. Per mol-ti secoli, il mondo occidentale moderno ha creduto che le ap-partenenze e le identità potessero essere declinate al singola-re, in modo esclusivo (ed escludente). In particolare, serve ri-cordare il contributo principale del moderno Stato nazionaleche è stato quello, come sostiene Peter Sloterdijk, «di metterea disposizione della maggior parte dei suoi cittadini, una sor-ta di domesticità, quella struttura immunitaria al tempo stessoimmaginaria e reale che è stato possibile vivere come conver-genza del luogo e del sé»13. Questo potente sistema immuno-logico ha fornito ai singoli individui e ai collettivi una sorta di«container etnico», fatto di suolo e di sangue, di lingua e disimboli, che ha plasmato il contenuto (la popolazione) fino afarlo aderire al contenitore stesso (lo Stato e la nazione): cosìle comunità storiche sono diventate popolo. I processi di glo-balizzazione hanno indebolito progressivamente e inesorabil-mente la funzione immunitaria di questi «container», rompen-do la convergenza tra sé e luogo, tra popolo e territorio, con ilrisultato che molti cittadini dei moderni Stati nazionali «a casanon sentono più di coincidere con la propria identità e nellapropria identità non si sentono più a casa»14. La reazione a

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

questo indebolimento dei sistemi immunitari tradizionali sem-bra oscillare oggi tra almeno due estremi:

da un lato, un atteggiamento di chiusura, di resistenza alcambiamento, di riproposizione nostalgica del vecchio mo-dello, ora alimentato dai nuovi localismi politici e dai nuovitribalismi, che portano a un’identificazione, in scala ridotta,tra il sé e il luogo, tra il sé e il gruppo. Il modello antropologi-co prodotto da questa risposta è un cittadino arrabbiato, un«bruto», amante di piccole patrie, più o meno apertamenterazziste. Un cittadino che subisce, senza rendersene conto,un generale impoverimento esperienziale, la perdita delle re-lazioni, la diminuzione, entro una società sempre più violen-ta, della capacità di integrare le differenze. Un cittadino chechiede più protezione e immunizzazione della vita, individua-le e collettiva, dal rischio d’infiltrazione e di contagio da partedi elementi estranei; dall’altro lato, un opposto e complementare atteggiamentodi dispersione, di vagabondaggio disordinato, promosso inparticolare dal mercato, che crea, quale modello antropolo-gico di riferimento, un consumatore narcisistico sempre allaricerca di apparenze e di emozioni (vendute dalle marche).Si tratta di un’identità leggera, che si muove orizzontalmente,ma che è pur sempre chiusa nel proprio sé estetizzante, in-differente ai luoghi (alla loro storia, alla loro pluralità), inca-pace di attivare relazioni che non siano di breve durata e fina-lizzate alla sola soddisfazione di un bisogno/desiderio, perdefinizione inappagabile.

Oggi questi sono i modelli antropologici dominanti, tra i quali,pericolosamente, oscilliamo. Ma siamo sicuri che non sia pos-sibile dar forma a identità differenti in epoca di globalizzazio-ne? Penso che oggi siano presenti condizioni favorevoli perdar vita a una cittadinanza altra, pienamente glocale, che rifiutid’identificare sé e luogo e di chiudersi in una sola, unica,

esclusiva ed escludente appartenenza, e che rifiuti, nello stes-so tempo, la dispersione narcisistica tipica del flâneur protei-forme richiesto dal mercato. Crediamo che compito primariodi un’educazione interculturale sia quello di favorire un ap-proccio che sia, nello stesso tempo, aperto al meticciamento,capace di inclusione, dialogico, ma che non escluda, anzi pro-muova, una forte assunzione di responsabilità e di cura verso icontesti e gli altri, nel qui e ora. Un approccio che sappia tene-re in tensione costruttiva radicamento e nomadismo, cura delmondo e cura di sé, orientamento al passato e orientamento al

Roberto MorselliRoberto Morselli (1966) è laureato in

filosofia a indirizzo pedagogico.Formatore, consulente e orientatore,

s’interessa di comunicazione e dieducazione interculturale. È impegnato

nella formazione di formatori e didocenti della scuola per lo sviluppo delle

competenze relazionali. Ha collaboratoalla realizzazione di sistemi di e-learning.

Fa parte della redazione di «CEMMondialità». Alcuni suoi saggi sono

presenti in volumi collettanei editi dallaEMI. Ha curato per conto della

fondazione Enaip Lombardia alcunericerche sulla formazione mediata dalla

tecnologie elettroniche.

Crediamo che compito primariodi un’educazione interculturale

sia quello di favorire unapproccio che sia, nello stesso

tempo, aperto almeticciamento, capace diinclusione, dialogico, ma

che non escluda, anzipromuova, una forte assunzionedi responsabilità e di cura vero icontesti e gli altri, nel qui e ora

futuro, ricerca di unità e moltiplicazione della differenza, ma inun orizzonte più ampio: quello che considera la Terra, ogni suoframmento, la casa di tutti e non solo di alcuni e dove tutti sisentono ospiti (nel duplice senso della parola) e non padroni.Forse in una rinnovata fedeltà alla Terra e nel libero gioco delleappartenenze possono risiedere le «molle» culturali capaci diproiettare, con coraggio ed ottimismo, verso il futuro il mondodell’educazione e della scuola di oggi. q

1 F. Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 5. 2 Z. Bauman, Inter-vista sull’identità (a cura di B. Vecchi), Laterza, Roma-Bari 2003, p. 13. 3Riportoalcuni sintesi di testi, senza citare le pagine da cui sono tratti. Il riferimento allepagine riguarda solo i passaggi più rilevanti, posti tra virgolette. 4 A. Melucci,Passaggio d’epoca. Il futuro è adesso, Feltrinelli, Milano 1994; Il gioco dell’io,Feltrinelli, Milano 1996; Diventare persone, Gruppo Abele, Torino 2000; Cultu-re in gioco. Differenze per convivere, Il Saggiatore, Milano 2000. Con MarioDiani Nazioni senza Stato. I movimenti etnico-nazionali in Occidente, Feltrinel-li, Milano 1992. 5 J. Rifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano 2000 (pp. 249-289); Il sogno Europeo, Mondadori, Milano 2004 (pp. 120-134); La civiltàdell’empatia, Mondadori, Milano 2010 (pp. 514-548). 6Cfr. L’era dell’accesso,cit. p. 268.7 Idem, p. 288. 8 R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell’individuo mo-derno, Einaudi, Torino 1987, p. 245. 9 A. Sen, Identità e violenza, Laterza, Ro-ma-Bari 2006, pp. 20-21. 10 M. Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004,p. 53. 11 F. La Cecla, Il malinteso. Antropologia dell’incontro, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 131. 12 M. Augé, La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction,Elèuthera, Milano 1998, p. 22. 13 P. Sloterdijk, L’ultima sfera. Breve storia filoso-fica della globalizzazione, Carocci, Roma 2005, p. 170. 14 Ibidem.

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identità e culture 6

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La storia. A Tibhirine, tra i monti dell’Atlante algerino, nelconvento di Notre-Dame-de-l’Atlas, otto monaci cistercensivivono le loro giornate nella preghiera e nel lavoro in armoniacon la gente del villaggio; sembra lontana, in quegli anni no-vanta, la violenza che insanguina l’Algeria. Ma anche lì arri-vano prima le notizie dimassacri lontani e poi ungiorno quella dell’ucci-sione di un gruppo dioperai croati in un cantie-re vicino al villaggio: èun preciso segnale di al-larme. Nonostante ilpressante invito del-l’esercito ad andarsene, imonaci restano e a con-ferma del pericolo, nellanotte di Natale del 1993,estremisti armati irrom-pono minacciosi nel con-vento. Da quel momentola domanda che attraver-sa i singoli frati e la co-munità tutta è quella serestare o se trasferirsi in un luogo sicuro. La decisione soffer-ta e meditata è quella di rimanere accanto ai fratelli musul-mani; nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 un gruppo di ter-

roristi irrompe nelle celle, sette monaci sono caricati su jeepe portati via. Le loro teste mozzate saranno ritrovate il 30maggio seguente.

Il regista sul film. «Non è un fatto di cronaca, ma una trage-dia. Ciò che mi interessava era la storia di questi uomini, chifossero. Non si sa bene che cosa sia successo, è complicato,anche se personalmente pendo per la versione dell’abusomilitare. Avevo fatto preparare dei calchi di teste mozzate,ma durante le riprese ho pensato che fosse ridicolo, ho pen-sato alle famiglie. […] Mi sono ritirato in prima persona in unmonastero e questo mi ha aiutato a rendere evidenti una se-rie di cose che poi mi hanno aiutato nella direzione del film.Inoltre abbiamo avuto un consulente che ci ha preparati sulla

cinema

Regia: Xavier Beauvois

Interpreti: Lambert Wilson (Christian),Michael Lonsdale (Luc), OlivierRabourdin (Christophe), PhilippeLaudenbach (Célestin), Jacques Herlin(Amédée), Loic Pichon (Jean Pierre),Xavier Maly (Michel), Jean Marie Frin(Paul), Abdelhafid Metalsi (Nouredine),Sabrina Ouazani (Rabbia), AbdallahMoundy (Omar).

Francia 2010. 120min. Lucky Red DistribuzioneGrand Prix e Premio della GiuriaEcumenica al Festival di Cannes 2010

UOMINI DI DIODES HOMMES ET DES DIEUXdi Lino [email protected]

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Adesso! Per una cittadinanza glocale dalle paure al coraggio civile

vita in un monastero. È stato di enorme aiuto. Ciò che è mostratonel film è esattamente ciò che avviene nel monastero. A volte sia-mo stati tentati di tagliare qualcosa, ma è stato lui ad insistere chemantenessimo il giusto ritmo di queste persone impegnate nei lo-ro voti. Il ritmo al quale vivono».

Il film. Il fallimento della politica di modernizzazione, portataavanti in Algeria dal partito unico al potere dopo l’indipendenzadel 1962, ha impoverito le masse e le ha avvicinate alla propostadi un islam come soluzione politica di tutti i problemi. Dopo fortitensioni, nelle elezioni legislative del dicembre 1991, le prime inun sistema multipartitico, il FIS (Fronte islamico di salvezza) vince

il primo turno ed ha i numeri per conquistare nel secondo turno lamaggioranza dei due terzi e la possibilità di modificare la Costitu-zione. L’esercito reagisce l’11 gennaio 1992 con un colpo di Stato.Sciolto il FIS, gruppi armati islamici compaiono nella vita algerinaminacciando e uccidendo. È lo scontro tra esercito e i gruppi ter-roristici. In questo clima che va sempre più imbarbarendosi si in-seriscono i fatti di Tibhirine. La strage è ufficialmente attribuita al-la GIA, gruppo islamico armato di opposizione al governo golpi-sta militare, ma le vere circostanze del fatto non furono mai chia-rite. Il film è liberamente ispirato a quell’episodio.Sono nove gli uomini presenti in convento la notte del rapimento:frère Bruno è arrivato da poco per partecipare alla votazione peril rinnovo della carica di priore, frère Paul è ritornato il giorno pri-ma dalla visita ai parenti in Francia. Frère Christian de Chergé,priore della comunità, frère Luc Dochier, frère Christophe Lebre-ton, frère Bruno Lemarchand, frère Michel Fleury, frère CèlestinRingeard, frère Paul Favre-Miville saranno portati via, mentre frè-re Jean-Pierre e frère Amédée si salveranno perché non trovatidai terroristi nelle loro celle.Nove uomini, nove personalità, nove paure, nove decisioni. Il re-gista sta accanto a loro mentre pregano, mentre protestano il si-lenzio di Dio, mentre si confrontano, mentre lavorano, mentre me-ditano, mangiano, temono, aspettano, si ascoltano l’un l’altro e

stanno in mezzo ai loro fratelli musulmani. Le prime sequen-ze ci accompagnano nella giornata dei monaci e c’è lo stes-so ritmo e sguardo rispettoso de Il grande silenzio, il bel filmdi Philip Gröning che ci ha raccontato un anno della comuni-tà trappista de La Grande Chartreuse in Francia. Man manopoi che il racconto passa dalla serenità alla preoccupazioneper il pericolo incombente, è la preghiera ad illuminare disenso l’accaduto e ad essere traccia al veniente, rivelandosicosì in relazione stretta con la vita e sostegno essenziale diquegli uomini. L’alternanza tra preghiera-vita, comunità-sin-golo, convento-mondo, non è in chiave di opposizione ma didiversità che si arricchiscono e si donano senso. Di fronte al-

la frase del monaco che cerca unamotivazione alla loro partenza: «Sia-mo uccelli su di un ramo e non sap-piamo dove andremo», una donnareplica «Siamo noi gli uccelli, voisiete il ramo». Frequenti i momenti d’incontro, pre-ghiera comune e festa tra i monaci ei vicini musulmani, a sottolineareidentità capaci di confronto senzapaura di perdersi. Fratelli di un soloPadre, come ricorda frère Christiannel suo testamento spirituale: «[allamia morte] sarà finalmente liberatala mia più lancinante curiosità. Eccoche potrò, se piace a Dio, immerge-re il mio sguardo in quello del Pa-dre, per contemplare con lui i suoi fi-gli dell’islam come lui li vede, total-

mente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passio-ne, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta saràsempre lo stabilire la comunione e ristabilire la somiglianza,giocando con le differenze».1

Dominanti nel film i volti dei monaci e centrale la loro soffertaricerca di risposta dentro a se stessi e nel confronto con i fra-telli, sottolineando comunque, anche in modo duro, il rispettodella libertà del singolo, la centralità dell’essere comunità, ilruolo di servizio del superiore, l’essenzialità della risposta al-la propria vocazione, lì in quel convento nel cuore dell’Alge-ria in quel 1996. La sequenza finale è come una Via Crucis:nella nebbia e nella neve, i monaci prigionieri in fila salgonoscortati dai rapitori. Ne vediamo i volti e la fatica. Poi si allon-tanano e sempre più si confondono gli uni con gli altri…«Eanche per te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputoquel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e que-sto ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, la-droni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tuttie due. Amen! Inshallah»2. q

1 Più forti dell’odio. Gli scritti dei monaci trappisti uccisi in Algeria, Piemme,Casale Monferrato (Al) 1997, p. 182.2 Ivi, p. 183.

Il regista

Xavier Beauvois è nato il 20 marzo 1967 a Auchel, Pas deCalais (Francia). La sua passione per il cinema nasce durante

gli ultimi anni di studi superiori da una conferenza delcritico e cineasta Jean Douchet che lo incoraggerà, lo

porterà a Parigi e lo introdurrà nel mondo del cinema. Versola fine degli anni ottanta fa esperienza di assistente alla

regia con due grandi registi, André Téchiné e Manoel deOliveira. Nel 1991 Nord è il suo primo lungometraggio, a

cui seguiranno, alternati a convincenti prove di attore,N’oublie pas que tu vas mourir, (1995), Premio della Giuria

al Festival di Cannes, Selon Matthieu (2000) e Le petitlieutenant (2005). In tutti i suoi film storie di uomini ribellio in contrasto agli ambienti familiari, lavorativi e sociali in

cui vivono. Del 2010 è Des hommes et des dieux.

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aprile 2010 | cem mondialità | 33

Razzismo di StatoAlessio [email protected]

gennaio 2011 | cem mondialità | 33

Agenda interculturale | PratiCare | Scor-date | Campagna Dudal Jam Saltafrontiera | Pixel | Nuovi suoni organizzati | Zero Poverty | Crea-azione

L a fine del 2010 ci offre un libro importante, Razzismodi Stato, un volume di oltre 600 pagine curate da Pie-

tro Basso, docente di Teorie sociologiche all’Università Ca’Foscari di Venezia e coordinatore del Master sull’immigra-zione: un’analisi dei legami tra razzismo di Stato, razzi-smo dei media e razzismo popolare in Italia, Europa, StatiUniti. Il testo segue Immigrazione e trasformazione dellasocietà e Gli immigrati inEuropa. Diseguaglianze,razzismo, lotte curati dal-lo stesso Basso e da FabioPerocco: la posizione dicontrasto dell’etnocentri-smo espressa allora vieneora tradotta in due per-corsi sostenuti da ampiadocumentazione e ricer-che: da un lato un’analisidelle tendenze generali, imeccanismi di controllo ediscriminazione negli StatiUniti e in Europa Occiden-tale; dall’altro una rifles-sione in sette capitoli sul«laboratorio Italia»,«avanguardia del razzi-smo europeo» nella defi-nizione di Fabio Perocco.A fronte di uno scenarioeconomico relativamentesemplice («ad onta dellaretorica pubblica anti-immigrati, Stati Uniti ed Europa oc-cidentale hanno oggi un bisogno di forza-lavoro a bassocosto ancora più acuto della fase precedente alla crisi»), leistituzioni di questi paesi cercano palesemente di «compri-

mere più che possono le aspetta-tive sia dei nuovi immigrati in arri-vo sia di quelli da lungo tempo resi-denti […] per impedire che i lavoratori ele popolazioni immigrati si coalizzino tra loro [...]; che [...]le metropoli occidentali abbiano crescente voce le popola-zioni colonizzate di ieri [...]; che la loro animosa voce risve-gli “l’animo” alquanto depresso e impaurito, al momento,dei lavoratori occidentali». Numerosi gli esempi da Fran-cia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svizzera. In Italia, Iside Gjergji mette in luce la funzione «pedagogi-ca» delle circolari amministrative e la discrezionalità delledecisioni degli operatori pubblici, sia riguardo alla loro at-tuazione, sia in merito alla possibilità di scegliere fra ordinicontenuti in circolari diverse. Si tratta di un contesto chePerocco descrive con l’efficace metafora dell’assimilazioni-smo senza assimilazione: l’imposizione dell’«assimilazioneai valori dominanti e l’adeguamento totale alle condizionidi sfruttamento dettatedalla società di arrivo perun minimo di inclusionesociale». Negli anni no-vanta tale approccio raz-zista «cresce in quantitàe “qualità”» con la «mes-sa a punto di un razzi-smo selettivo, caratteriz-zato da un dispositivomateriale e simbolico didifferenziazione e gerar-chizzazione, che prendedi mira, a seconda dellasituazione migratoria odella congiuntura politica internazionale, questa o quellapopolazione».A conclusione dei venti, spesso indignati e inquietanti,contributi, il volume ci ricorda che «tutto è già scritto, nul-la è già deciso» e che ci sono «squarci di luce», come nelleparole di Chamoiseau e Glissant: «La Mondialità (che nonè il mercato-mondo) oggi ci esalta e ci lacera, ci suggerisceuna diversità più complessa che non può essere espressada quei marcatori arcaici che sono il colore della pelle, lalingua che si parla, il dio che si onora o si teme, il suolo sucui si è nati. L’identità basata sulle relazioni apre ad una di-versità che è un fuoco d’artificio, un’ovazione degli imma-ginari». q

Razzismo di statoa cura di Pietro BassoFranco Angeli, Milano 2010 pp. 640, euro 38,00

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«Mediazione di strada» è un ser-vizio educativo promosso

dalle Attività Culturali Biblioteche e Po-litiche Giovanili del Quartiere 5 di Firen-ze con l’intento di raggiungere i ragazzinei loro luoghi propriamente informali.Il servizio è offerto attraverso i mediato-ri di strada che incontrano, conosconoe ascoltano gruppi di ragazzi nelle stra-de o nei giardini di quartiere. Il media-tore di strada è anzitutto un facilitatoreche svolge funzioni di «sonda» rispettoalla realtà informale della strada, di«ponte» fra la realtà della strada e i ser-vizi istituzionali e di «primo intervento»per le situazioni ad alta problematicità,con tutto ciò che questo comporta intermini di flessibilità, competenze co-municative, gestione dei conflitti.L’esperienza della Cooperativa «Il Cena-colo» del Consorzio Coeso Firenze, atti-va da circa tre anni, intende valorizzaree promuovere la cultura adolescenzialee giovanile del quartiere, dando vita adazioni educative e di prevenzione, for-mative e d’inclusione sociale in grado disostenere processi di crescita individua-le e collettiva. Il servizio si realizza nella

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La strada come luogodi mediazionedi Massimo Giussani SarconeEducatore della cooperativa «Il Cenacolo», [email protected]

34 | cem mondialità | gennaio 2011

Rubrica a cura di Gianni D’[email protected]

Il servizio è attivo il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15 alle 17, il martedì e giovedì dalle 16.30 alle 19.30 nelle zone di Novoli, Rifredi e Piagge (Firenze).

Da tanto vieni qui?Spesso, ma non qui, lì, sullapanchina.E cosa fai?Qualche volta vado a scuola.Cioè vuoi dire qui?Qui sto con i miei amici.Quanti anni hai? 13, quasi 14.Quando vai a scuola, chescuola fai?L’istituto tecnico industrialeindirizzo meccanica.Interessante, farai ilmeccanico! No, io voglio fare l’idraulico!E allora, perché l’istitutoindustriale per meccanico?Aspetto i 16 per potermiiscrivere alla scuolaprofessionale!

dimensione del tempo libero degli ado-lescenti, frequentemente associata, nel-le rappresentazioni degli adulti, al ri-schio e al disagio, ma di cui vorremmosottolineare i fondamentali elementi digioco, di ricerca dell’agio, di desideriod’interazione. Si tratta di un tempo re-frattario a strutturazioni istituzionali,un tempo che esprime il suo potenzialeproprio grazie alla possibilità di tenersiaperto al possibile, al divergere e al di-vertire. Il mediatore facilita l’espressio-ne del bisogno, orienta e sostiene il ra-gazzo nell’attivare una progettualitàche possa colmare la mancanza.

«Due tiri al pallone, potrebbero diven-tare partita, e successivamente un pic-colo torneo»;«Ha proprio una bella voce, in un cen-tro giovani poco distante fanno un cor-so gratuito di canto, li conosco sono ingamba, si va insieme»?E ancora, «Se ti va io sono bravo in ma-tematica, posso aiutarti con le equazio-ni, e successivamente al centro giovanidi Novoli ho sentito che si può studiare,c’è anche chi sa l’inglese, proviamociuna volta, almeno c’è meno freddo».

Quando un mediatore riesce nell’inten-to di accompagnare e sostenere i biso-gni aggregativi, formativi di uno o dueragazzi, si apre un fiume di necessitàgrandi e piccole, il bisogno di trovarelavoro diventa occasione per conosceree iscriversi a un centro per l’impiego, ilfare prevenzione, dal test di gravidanzaal consultorio giovanile. Il mediatore siavvicina ai giovani, sta nei luoghi dellanoia, dell’ombra, respira il grigio del-l’apparente confusione o del fumo,senza giudizio. Ponendosi come inter-locutore adulto a cui si raccontano di-versamente da come farebbero con iloro coetanei, con l’intenzione acerbadi chi vorrebbe attivarsi ma che ancoranon sa come. q

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Se il fascimoè un’associazionea delinquereio ne sono il capo

Così Benito Mussoilini il 3 gennaio 1925. Da poco i suoi uomini hanno assassinato Giacomo Matteotti.

gennaio 2011 | cem mondialità | 35

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Assassinato l’avvocato Sergio DanteAlmaraz il 25 gennaio 2006: uno deipochi che ha denunciato il femminici-dio a Città Juarez in Messico.Inter Insigniores è la dichiarazione fir-mata da Paolo VI (il 27 gennaio 1977)che motiva l’esclusione delle donne dalsacerdozio. Via N. N. dalle carte di identità, il divie-to alle aziende di licenziare le donneche si sposano: fece questo e altro LinaMerlin, ma oggi la ricordano solo per lalegge del 29 gennaio 1958 che chiusele «case di tolleranza». q

Se il fascimo è un’associazione a delinquerea cura di Dibbì

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

merse di greggio la Bretagna: il 12 gen-naio 1992, verdetto storico a Chicago.Alla Camera dei Lord si discute dei«fucilati di guerra» nel conflitto 1914-18: disertori, indisciplinati, ribelli tratta-ti peggio dei «nemici». È il 13 gennaio1999 quando il conte di Carlisle chiedeperdono al popolo britannico. In Italianiente del genere.Ghetto. Vicino a una fonderia, il 14gennaio 1507, si alza un muro per con-finare gli ebrei della Serenissima Vene-zia. Non lontano da lì, esattamente 401anni dopo, i tifosi del Verona insultanoun calciatore africano infortunato.La più famosa vittima del Muro fu Pe-ter Fechter (nato il 14 gennaio 1944,ucciso a Berlino il 17 agosto 1962): unasequenza lo mostra durante la lungaagonia nella «zona di nessuno»; dai duelati nessuno lo soccorse.L’origine del fuoco viene raccontatada Tziu Macius ai minatori di Carboniail 17 gennaio 1943: è nel bellissimo ro-manzo Doppio cielo (Il maestrale 2010)di Giulio Angioni.«Fattrice di figli […] per dare soldatialla patria», non lavoratrice: così il 20gennaio 1927 il fascismo riduce i salarifemminili alla metà di quelli maschili.Il primo indio presidente in Sudameri-ca? Evo Morales, il 21 gennaio 2006. I sindaci No-tav marciano a Messinacon il movimento No-ponte il 22 gen-naio 2006. Forse l’Italia è più unita diquel che sembra.Nei Pirenei entra in funzione, il 25gennaio 1977, la prima centrale elettri-ca francese a energia solare.

Contro il colonialismo si schierò, inquasi solitudine, Bartolomè de Las Ca-sas (nato il 1° gennaio 1474): Historiade las Indias la sua opera più famosa (e,per tanti versi, ancora attuale).Albert Camus fu tra i pochi intellet-tuali che, in piena guerra fredda, osòcriticare entrambi i blocchi: morì, ancorgiovane, il 4 gennaio 1960. Cercate isuoi romanzi ma anche i saggi e gli ar-ticoli: per esempio quelli in Mi rivoltodunque siamo (2008, Eleuthera).In 300 mila contro la Shell: in Nigeriaparte il 4 gennaio 1993 la lotta nonvio-lenta degli Ogoni. Costerà la vita ancheallo scrittore Ken Saro-Wiwa (del qualeDalai ha da poco tradotto Un mese eun giorno: storia del mio assassinio.Maria Montessori (prima donna inItalia a laurearsi in medicina) inaugura aRoma, il 6 gennaio 1907, la prima «ca-sa dei bambini». Vittorio Emanuele III promulga «ladisciplina relativa al personale delletramvie» l’8 gennaio 1931. Chi leggedirà: «Beh?» Io rispondo: è ancora in vi-gore ed è servita nel 2009 per rifiutarela domanda d’assunzione di un maroc-chino residente a Milano.1200 milioni di franchi di risarcimentoper il naufragio (nel marzo 1978) dellasuper-petroliera Amoco Cadiz che som-

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Al via da ottobre 2010 il progetto «Giovani e Intercultura: un anno di dialoghi»promosso da LVIA in collaborazione con il Centro Studi Sereno Regis di Torino e ilpartenariato di CEM Mondialità. Finanziato dal Dipartimento per le politiche giovanilidella Presidenza del Consiglio dei Ministri, il progetto si propone di fornire ai giovanistrumenti e opportunità per affacciarsi al mondo in modo più consapevole, cercandodi stimolare un esercizio di cittadinanza attiva, il dialogo interculturale e lasciando aloro stessi la possibilità di sperimentarsi in progettualità locali sulla base dei proprilinguaggi creativi. A fronte dei problemi critici (casa, lavoro, accesso al credito,formazione) a cui oggi più che in passato i giovani devono far fronte, crediamo siaimportante partire dai valori positivi e promuovere iniziative che favoriscano losviluppo individuale, promuovano nuovi interessi e diano ai giovani stessi lapossibilità di esprimere le proprie potenzialità innovative. Il percorso che proponiamo favorisce l’acquisizione di sensibilità, competenze estrumenti capaci di sviluppare una cultura dell’accoglienza, dell’incontro, del dialogo,della risoluzione nonviolenta dei conflitti, soprattutto con e tra le differenti culture che convivonosui nostri territori, imparando a dialogare con l’«altro» in unconfronto che può essere fonte di grande arricchimento,individuale e collettivo, producendo un valore aggiunto cheandrà a beneficio dell’intera comunità.

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Giovani e interculturaUn anno di dialoghiLVIA - Centro Studi Sereno Regis - CEM Mondialità

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Il lCDracm(teprdidandedeche i

EM

CoPaBrRitKuRaDoFeRitTieDoKaOu

Il vLibViaTeFalibww

Rafforzare la cittadinanzaconsapevole dei giovani

È con queste premesse che il proget-to «Giovani e Intercultura: un anno

di dialoghi» si propone ai giovani innan-zitutto attraverso delle formazioni su te-matiche di forte attualità, al fine di ac-compagnare le nuove generazioni nelloro percorso di costruzione d’identitàsociale, in un’ottica di empowerment fi-nalizzato alla costruzione di una cittadi-

nanza competente, consapevole e at-tiva. Le regioni interessate dal proget-to sono Piemonte, Lombardia, EmiliaRomagna, Toscana, Lazio e Sicilia conl’obiettivo di raggiungere nelle varie at-tività un totale di 20 mila giovani italia-ni e stranieri con età compresa tra i 17 ei 25 anni. I destinatari delle formazionisaranno studenti delle scuole seconda-rie (IV e V), studenti universitari, gruppiformali e informali di giovani. Obiettividel Millennio, cooperazione internazio-nale, cambiamenti climatici e soste-nibilità ambientale, approccieconomici e sociologici nel-

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Il libro è accompagnato da unCD-rom multimediale cheracchiude una vera e propriaminiera di spunti di riflessione(testi, foto, video...) pensatiprincipalmente per un usodidattico, ma appassionantianche per qualunque amante del Sahel e più in generaledell’Africa, così come perchiunque abbia a cuore la Pace e il dialogo interculturale.

EMI, pp. 176, euro 13,00

Contiene contributi diPatrizia Canova, Michele Dotti,Brunetto Salvarani, Sigrid Loos,Rita Vittori, JeannetteKuela, François PaulRamde, OusseniDoamba, AlessandraFerrario, Elie Yamba Ouedraogo,Rita Roberto, DamienTiendrebeogo, NicolaDotti, Albert EtienneKaborè, Chiara Fassina, LimataOuedraogo, Ornella Pasini.

Il volume è disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 BresciaTel. 030.3772780Fax [email protected]/libreria

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lo studio della globalizzazione, immi-grazione e intercultura, sovranità ali-mentare e consumi sostenibili, acquabene comune, gestione non violenta deiconflitti, diritti umani, turismo respon-sabile, scambi giovanili Nord-Sud, dialo-go tra le diverse religioni, sono una pa-noramica degli argomenti che sarannotrattati dalle formazioni, che ogni terri-torio articolerà sulla base delle esigenzee degli interessi rilevati. Le formazioni si svolgeranno con meto-dologie dinamiche come workshop digruppo, giochi di ruolo, lezioni frontali,

conferenze, cineforum e spettacoli tea-trali con dibattiti conclusivi, nonché coneventi interculturali accompagnati damomenti finali di confronto e dialogo,dove i giovani potranno comprenderemaggiormente i temi illustrati ed espri-mere opinioni e suggerimenti.

Largo alle giovani idee: azione!

Al termine del programma formativo, igiovani maggiormente interessati diogni territorio potranno essere operati-vi sul campo attivando e sviluppandoazioni locali, sulla base degli spunti edei maggiori interessi emersi nel corsodella prima fase. Con il supporto deglioperatori territoriali del progetto, i gio-vani potranno valorizzare le proprie po-tenzialità creative organizzando attivitàdi animazione, partecipazione e sensi-bilizzazione del territorio. A tal fine, ilprogetto cercherà di fornire stimoli af-finché i giovani amplino le reti di colla-borazione, esplorino il territorio per at-tivare vere esperienze partecipative, in-novative e interculturali sul territorio.Inoltre, i giovani interessati avranno lapossibilità di partecipare ad una forma-zione per peer leaders e ad uno stage dipreparazione ad un viaggio di cono-scenza in Burkina Faso nell’ambito delprogetto «Dudal Jam Scuola di Pace»che promuove nel nord del paese afri-cano il dialogo interreligioso, soprattut-to tra i giovani musulmani e cattolici. Il dialogo interreligioso è praticatonell’area da oltre quarant’anni grazieall’associazione locale Union Fraternelledes Croyants, e queste attività sono og-gi sostenute da un’ampia rete di enti lo-cali italiani, con la collaborazione diLVIA e CEM Mondialità. Il progetto «Giovani e Intercultura: unanno di dialoghi» avrà come momentoconclusivo una «Giornata del dialogo in-terculturale», che presenterà in ogni re-gione coinvolta il percorso realizzato coni giovani e costituirà l’occasione di sensi-bilizzare la cittadinanza rispetto ai temidell’interculturalità, del dialogo e dellaconvivenza non violenta tra culture. q

I giovani interessatiavranno la possibilità di

partecipare ad unaformazione per «peer

leaders» e ad uno «stage»di preparazione ad un

viaggio di conoscenza inBurkina Faso nell’ambitodel progetto «Dudal Jam

Scuola di Pace»

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F inalmente è uscito! Lo aspettavo damesi con trepidazione, dopo che la

prestigiosa casa editrice romana Topipit-tori ne aveva annunciato l’imminentepubblicazione alla Fiera di Bologna diaprile 2010. È uscito (settembre 2010)in libreria Il fazzoletto bianco, un breveracconto dell’italo-rumeno Viorel Bol-dis, scrittore e poeta che compone inlingua italiana, autore dalla scritturaprecisa, pacata e poetica. Il testo, scrittoalla fine degli anni Novanta - vincitore diun concorso di letteratura e poi apparsosu giornali e riviste web -, è un intenso estruggente frammento autobiograficodi Boldis, un racconto sul distacco e il ri-torno, sul ritrovarsi. Una lettura alta-mente coinvolgente, capace di emozio-narci e farci sentire partecipi di una sto-ria familiare e collettiva. Scritto origina-riamente per un pubblico adulto, ades-so proposto da un editore per bambini,il libro in realtà non ha un’età di letturaben definita: va dai 6 ai 99 anni!La narrazione, serrata e intima, è divisain tre atti. L’infanzia, bella e spensierata,ma anche molto semplice e dura, tra-scorsa in campagna tra le colline dellaTransilvania, dove il giovanissimo Viorelimpara a tagliare l’erba con la grandefalce, porta a pascolare capre, mucche ebufali, va a scuola; ricorda: «prendevodei buoni voti e i miei erano contenti».Poi, un giorno, la decisione risoluta, maanche contrastata, di partire, di andarevia in cerca di un avvenire diverso. «Sevuoi andare, vattene, ma non guardareindietro, non avere rimorsi. Vattene persempre» gli dice il padre, sopraffattodalla rabbia e dalla tristezza. «E io, fi-

L’emozione di un ritornoè un fazzoletto biancodi Lorenzo Luatti

stra, come nella giovinezza, dovrà fun-gere ancora da segnale di benvenuto edi scampato pericolo. Sono passati dueanni dalla sua fuga. Arriva al villaggiodei genitori il giorno di Natale. Prose-guendo a piedi gli ultimi chilometri chelo separano da casa, sente il cuore salirein gola, e spera di trovare il fazzolettobianco appeso alla finestra.Nell’emozionante finale «a sorpresa»restiamo in trepidante attesa, temiamoil peggio, tutto sembra perduto, il gio-vane Viorel (e noi con lui!) ci sentiamosopraffatti dagli eventi, angosciati estorditi da una perdita insopportabile.Ma è solo un attimo, è un effetto otti-co. Non svelerò il finale, catartico e libe-

ratorio, della storia. Occorrerà ben altroper contenere tutta la gioia di un ritor-no, atteso e fortemente sperato, peresprimere il desiderio di riabbracciarsi esentirsi, nonostante tutto, ancora uniti.Accanto alla narrazione testuale, il libropresenta splendide tavole illustrate conla tecnica xilografica in bianco e nerodella compianta Antonella Toffolo; ta-vole che possono sembrare troppo cu-pe rispetto ai colori del testo, almenodella prima parte; sono il frutto di ungrande lavoro dell’illustratrice, che anostro avviso risulta poco valorizzatodal piccolo formato dell’albo. Grazie aBoldis e all’editore Topipittori per averciregalato questa moderna favola del fi-gliol prodigo, di un figlio delle migra-zioni, di ieri e di oggi. q

glio suo, testardo come lui, sono anda-to. Ogni tanto voltandomi indietro, masono andato», osserva l’autore. E infine, un lungo periodo di silenzio,durante il quale monta nel giovane Vio-rel un’insopprimibile tristezza e malin-conia, che lo ricondurrà a casa, dai ge-nitori, per una visita di riconciliazione.Un fazzoletto bianco appeso alla fine-

Scrittooriginariamente perun pubblico adulto,adesso proposto da uneditore per bambini, il libro in realtà nonha un’età di letturaben definita: va dai 6 ai 99 anni!

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che hanno il compito di analizzarla,commentarla, metterla in scena, dan-zarla, cantarla, ognuna in relazione allapropria professione. E così una letterad’addio viene tradotta in codice morse,in braille, in stenografia, in codice abarre, in sms. Diventa una ricetta, unasentenza, un cruciverba, una striscia co-mica, un lancio di agenzia, una canzo-ne, un brano per pianoforte, un saggio,un bilancio economico, una composi-zione floreale, una danza, una poesia.Tutto è contenuto in un catalogo unicoe originalissimo, non ancora tradotto inItalia, che illumina, come la finta asta diLeanne Shapton, la ricca e spesso ine-splorata gamma delle nostre possibilitàespressive. q

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Oggetti del sentimentodi Roberto Alessandrini

Anche se Lenore e Harold sono solouna coppia immaginaria, la loro storia èdel tutto verosimile e viene esposta aduna luce fredda, eccessiva, impietosache ne svela poesia e banalità. L’abileoperazione della scrittrice, illustratrice egraphic designer americana LeanneShapton si traduce così in un libro origi-nale dal titolo lungo come un catalogo:Importanti oggetti personali e memora-bilia della collezione di Lenore Doolan eHarold Morris, compresi libri, abiti egioielli (Rizzoli, Milano 2010, 18 euro).Non è certo un caso che proprio nelleprime pagine, al lotto 1010, faccia ca-polino un’edizione tascabile degli Eser-cizi di stile di Raymond Queneau, a suavolta straordinario catalogo di novanta-nove variazioni su un episodio irrilevan-te di vita quotidiana e imponente espe-rimento sulle possibilità e la ricchezzadel linguaggio. Il «racconto per ogget-ti» di Leanne Shapton rinvia indiretta-mente al Museo dell’innocenza di Or-han Pamuk, storia di un delirio amorosoche si traduce in un’ossessiva raccoltadi oggetti, e al precedente esperimentoartistico della francese Sophie Calle, chealle 52esima Biennale di Venezia, nel2007, ha curato il padiglione dellaFrancia raccontando come finisce unamore. Tutto inizia da un’e-mail che di-ce: «La nostra storia è finita». L’autore èun uomo garbato, colto, formalmenteineccepibile, il suo testo si conclude conla frase «Abbi cura di te», che ha dato iltitolo alla mostra e al catalogo Prenezsoin de vous, pubblicato da Actes Sud.Sophie Calle prende l’invito alla lettera,affida il testo dell’e-mail a 107 donne

Lenore e Harolds’incontrano a una

festa, si piacciono esi amano. Il loro

rapporto prosegueper quattro anni,poi si consuma e

finisce. Diquell’amore

restano gli oggettiche alla fine della

storia la coppiaconsegna

all’immaginariacasa d’aste

Strachan & Quinn,che li mette

all’incanto nelgiorno di san

Valentino del 2009

L’americana Leanne Shapton raccontauna storia d’amore attraverso uncatalogo d’asta ricco di fotografie edescrizioni. Un’operazione che ricordagli Esercizi di stile di RaymondQueneau, l’ossessivo Museodell’innocenza di Orhan Pamuk e lamostra della francese Sophie Calle allaBiennale di Venezia del 2007. Unviaggio nella ricca e spesso inesploratagamma delle nostre possibilitàespressive.

Lenore è l’abitudinaria curatrice diuna rubrica di cucina del New York

Times. Non ha ancora compiuto tren-t’anni. Harold è un fotoreporter gira-mondo, è sulla soglia dei quaranta, maresta un seducente Peter Pan. Lenore eHarold s’incontrano a una festa, si piac-ciono e si amano. Il loro rapporto pro-segue per quattro anni, poi si consumae finisce. Di quell’amore restano gli og-getti che alla fine della storia la coppiaconsegna all’immaginaria casa d’asteStrachan & Quinn, che li mette beffar-damente all’incanto nel giorno di sanValentino del 2009. Si tratta di oltre300 lotti, tutti descritti con precisione,quasi tutti fotografati in bianco e nero edisposti in ordine diacronico con l’indi-cazione del prezzo in dollari. La formaasettica del catalogo riassume la para-bola di un amore finito e, nell’epocadell’umanizzazione delle merci e dellamercificazione dell’umano, tutto diven-ta pubblico e finisce «in piazza».

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dario trombettista: il suo piano elettri-co, le sue tastiere e le sue composizioni,una per tutte, In A Silent Way, segnanodavvero una svolta indelebile nel jazz enella musica moderna in generale. An-cora più significativa in questo sensosarà l’esperienza e la produzione dei 14anni di attività degli Weather Report, laformazione simbolo del jazz rock da luiformata e condotta magistralmentecon l’amico sassofonista Wayne Shorternel 1971.Le sonorità del gruppo evidenziano unamalgama di culture occidentali: classi-ca, jazz e rock, interfacciate e fuse conritmi e strutture melodiche appartenen-ti a tradizioni africane, americane edasiatiche; il risultato: un mondo sonoronuovo, caratterizzato da sapienti e affa-scinanti linee ritmiche e melodiche or-ganizzate in ampi e lunghi cicli ripetiti-vi. Colori e mondi sonori dal sapore etnico sono già presenti, come sopra ri-

Joe Zawinul, My PeopleEscapade Music

ESC 03651-2, 1996

Tutte le mie composizioni sonoimprovvisazioni. Sono unimprovvisatore formaleJoe Zawinul

Ben ritrovate e ben ritrovati. Il nostroviaggio tra i fautori degli sconfina-

menti culturali non poteva non faretappa tra le magiche, evocative e genia-li sonorità elettriche ed elettroniche ge-nerate da Joe Zawinul, sicuramente unadelle menti musicali più creative, raffi-nate ed influenti del ventesimo secolo.Josef Erich Zawinul nasce il 7 luglio del1932 a Vienna, città nella quale torne-rà, anche per chiudere il suo viaggioterreno durato 75 anni, l’11 settembre2007. Figlio di operai con origini un-gheresi, ceche e rom, manifesta il suotalento musicale fin dalla prima infan-zia; all’età di sei anni suona già comeautodidatta il clarinetto e la fisarmonicaregalatagli dal nonno, e a sette vieneammesso al prestigioso Conservatoriodi Vienna, dove studia pianoforte, clari-netto e violino. Negli anni cinquantaconduce diverse formazioni austriachedi jazz fino alla sua partenza per gli Sta-ti Uniti, nel gennaio del 1959, con unaborsa di studio per il Berklee College ofMusic di Boston. Non è questo lo spa-zio per raccontare della sua ascesa edella prestigiosa carriera nel mondo deljazz, ma è d’obbligo ricordare la suacollaborazione, dal 1961, con la Can-nonball Adderly, e soprattutto il suo in-contro nel 1968 con Miles Davies, chedetermina la svolta elettrica del leggen-

cordato, nella lunga e proficua espe-rienza dei Weather Report, ma è solonel 1988, con la pubblicazione di TheImmigrants, il primo disco della suanuova formazione Zawinul Syndicate,che il suo agire con e in sonorità altrediventa pregnante, e le sue composizio-ni, anche se sempre caratterizzate dauna forte ed inconfondibile dimensio-ne elettrica, danno sempre più spazioa vocalità e pratiche strumentali dimatrice etnica. Come le inusualitimbriche percussive e gli affasci-nanti e a tratti melanconici melismivocali dell’armeno Arto Tuncboya-ciyan o l’intenso e africano pulsaredella batteria dell’ivoriano Paco Sery.

Vale davvero la pena riascoltarsi l’in-tera produzione dei Syndicate, ma il

lavoro che sintetizza mirabilmente la si-gnificativa apertura di Joe al mondodelle culture sonore è My People: unevento unico più che una produzionediscografica, caratterizzato da una listaquasi interminabile di ospiti o megliocollaboratori di ogni dove, dall’India alPerù, dalla Guinea a Israele, dalle mon-tagne siberiane dell’Altai alle sabbie delSahel maliano e ancora da Cuba, dallaPolonia, dal Camerun, dalla Turchia e daaltri luoghi ancora. Questo e molto altrohanno reso imperdibile questo disco.Buon ascolto a tutte e a tutti. q

Joe ZawinulImprovvisatore formaletra i mondi sonoridi Luciano Bosi

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Questo mese ci addentriamo in unterreno quasi magico per i giovani

(e non solo!), ovvero quello della musi-ca. In che modo la musica può essereuno strumento per parlare in terminieducativi sul tema della povertà? Pos-siamo rispondere a questa domanda ri-flettendo su alcune delle forti valenzeda essa offerte. La musica è un linguag-gio potente perché, come il teatro,coinvolge tutta la corporeità. Essa safarsi proposta e insieme palco da poter-si esprimere. Può essere denuncia e nel-lo stesso tempo proposizione di model-li, più o meno alternativi, ma certo ca-paci di sentire e interpretare il sociale.La musica, inoltre, non è quasi maiun’operazione «solitaria».Ogni musica, prima di tut-to, non esiste di per sé,non può essere suonatasenza qualcuno che lasuoni, e molto spessonon da solo. Sembrauna considerazionebanale, ma questo giàrichiama alla necessitàdi poter costruire qual-cosa investendosi in unalogica di gruppo, di lavorocondiviso, che dia spazio insie-me alla creatività e alla capacità diaccettare le regole. Lavorare con la mu-sica infatti, nonostante le apparenze, ri-chiede poca improvvisazione e moltometodo, la capacità di «sentire» e di«ascoltare» (… termini non certo sino-nimi!), di cogliere le sfumature, di leg-gere tra le righe. Il percorso propostodal Kit Zero Poverty parte da queste

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Parlare di povertàattraverso la musicaMissione possibile?di Maria Luisa [email protected]

di brani, autore, anno di pubblicazio-ne, possibile utilizzo didattico. Per un’esemplificazione possiamo uti-lizzare un brano utilizzato per il «Qua-derno» alla sezione «Volontariato e lot-ta alla povertà». Il brano è Povera patria(in Come un cammello in una grondaia,EMI, 1991) di Franco Battiato. Nel qua-derno viene citata la strofa chiave chequi presentiamo come esemplificativadi un percorso: «Povera patria! Schiac-ciata dagli abusi del potere/di gente in-fame, che non sa cos’è il pudore,/ sicredono potenti e gli va bene quelloche fanno;/ e tutto gli appartiene./ Tra igovernanti, quanti perfetti e inutili buf-foni! Questo paese è devastato dal do-lore…/ ma non vi danno un po’ di di-spiacere/ quei corpi in terra senza piùcalore? Non cambierà, non cambierà/non cambierà, forse cambierà».In questo caso, la canzone si proponecome testo di denuncia, fotografando imali nazionali, ma invitando al tempostesso a raccogliere le forze per costrui-re insieme il cambiamento, cercando didare una possibilità di speranza. È pos-sibile partire dalle parole, dure e sfer-zanti, o dalla musica, pacata come unaninna nanna. Quale il motivo di questocontrasto? Possiamo invitare i giovani ariflettere su questa apparente anoma-lia, ricordando come il canto dolente ri-spetto alla propria terra sia un toposche attraversa tutta la nostra letteraturae quella di altri paesi. La presenza dellamusica enfatizza quindi il significatodelle parole, aumentando il senso deldolore, la sensazione del lamento che, èbene però sottolinearlo, non si fa fine ase stesso. La prospettiva finale, il «forsecambierà», induce a credere che, ope-rando insieme per il bene comune equindi attraverso la forza e la speranzadi tutti e di ciascuno, un altro mondo èpossibile. Quello che dà la musica è al-lora una possibilità di credere che cam-biare si può: purché alla denuncia fac-cia seguito l’azione, che è davvero si-gnificativa quando non è solitaria, maquando parte da una riflessione e da unpensiero condivisi. q

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premesse educative per proporre alcu-ne strade operative che approfondisco-no tematiche relative a povertà edesclusione sociale, povertà e migrazio-ne, povertà e violenza, povertà e spiri-tualità e meticciamento. Grazie allaguida attenta di Giuseppe Biassoni èpossibile impostare tracce educativeutilizzando alcuni brani musicali comespunti di riflessione o accorparne alcu-ni per cogliere le caratteristiche comunio cercare al contrario i punti di vista di-versi all’interno di una specifica temati-ca, riflettere su come la musica possadare forza alle parole accompagnan-dosi ad esse o producendo, al contra-

rio, un senso di contrasto.Per questo vengono

proposte una seriedi schede musicali

con l’indicazione

ZERO POVERTYKIT MULTIMEDIALEPercorsi di educazione alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale

Gruppo Editoriale Città Nuova 2 volumi - 80 e 64 pagine + dvdEuro 10,00

Disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 Brescia Tel. 030.3772780 - Fax [email protected] www.saveriani.bs.it/libreria

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Milano è diventata una città social-mente in letargo. Meno male che

le luminarie natalizie ci hanno ricordatoche la comunità esiste ancora. I ritmifrenetici che scandiscono le nostre gior-nate hanno spezzato il legame che ave-va fatto della città il luogo dell’incontroe dell’iniziativa. Da un po’ di anni,gruppi d’individui assieme ad associa-zioni hanno cominciato a riappropriarsidella città e dei luoghi.L’ultima realtà sociale sorta per contra-stare l’individualismo dei nuovi milanesiè la Cooperativa Sociale Eticamente. Es-sa nasce dalla consapevolezza che nonè possibile scindere il pensiero dall’azio-ne e che quindi l’etica, in tutte le sueforme, va vissuta nel concreto. Per questo motivo la cooperativa si pro-pone, attraverso diverse attività, di ope-rare al servizio della comunità trasfor-mando un pensiero etico in un’azioneconsapevole e portatrice di valori uma-ni. La cooperativa non ha scopo di lu-cro: attraverso l’integrazione sociale deicittadini e la promozione umana cercadi dare una risposta ai bisogni della re-altà di appartenenza e di restituire la te-stimonianza di un’integrazione dei va-lori universali, supportando così la cre-scita di una coscienza etica collettiva. All’inizio della sua attività, Eticamente èstata ospite dell’iniziativa Elita SundayPark, un appuntamento mensile persperimentare e condividere idee e prati-che per la sopravvivenza urbana di qua-lità a Milano, che si svolge una domeni-ca al mese presso il Teatro Franco Pa-renti di Milano.In quell’occasione ha presentato il ciclodi laboratori Energie Rinnovabili Lab.

Sopravviverein una grande cittàdi Mohamed Ba

La scorsa prima domenica di dicembreè stato proposto Il Dono di un Dono,laboratorio centrato sulla creazione didecorazioni natalizie create con mate-riali riciclabili e naturali, che i parteci-panti possono donare, recuperandoil valore dei doni natalizi, come espres-sione di sé, della propria creatività, deipropri valori.

Il calendariodelle attività

EticaMente (costruisci dei doni) Gizmo (l’architettura che ti

piace) Progetto Proietto (proietta video

e immagini attraverso il net) Bouganville & Matita

(bibliografia) Comicità in movimento (danza

che ti passa!) Tai chi (conserva e sviluppa

l’energia interna) Assaggi di massaggi

(prossimamente sul vostrocorpo)

Ciclobby (per-corsi di riparazionebici per bimbi)

Eticamente Cooperativa Sociale Via Giovanni Maestri 4 26859 Valera Fratta (Lo) e-mail: [email protected] www.eticamente-cs.eu

Rubrica a cura di Nadia Savoldelli

All’inizio della suaattività, Eticamente è

stata ospitedell’iniziativa Elita

Sunday Park, unappuntamento mensile

per sperimentare econdividere idee e

pratiche per lasopravvivenza urbana

di qualità a Milano

Potete segnalare iniziative artisticheinterculturali all’[email protected]

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I l 10 dicembre scorso il Papaha firmato il decreto sul mira-

colo che apre la strada, nel girodi pochi mesi, alla canonizzazio-ne del Conforti. La rivista «Mis-sione Oggi» è felice di condivide-re questa buona notizia con i suoilettori e amici, in primo luogoperché è il mensile dell’Istitutoda lui fondato nel 1895; poi per-ché essa deve la sua esistenzaallo stesso Conforti, che la fondònel 1903 con il titolo di «Fede eCiviltà». Sono trascorsi 108 annida quel 3 dicembre 1903, festa diS. Francesco Saverio, quando vi-de la luce il primo numero dellarivista! Allora i Saveriani eranopoche unità e guardavano soloalla Cina, oggi sono centinaia –793 di 14 nazionalità –, presenti in20 paesi. Ma chi era il Conforti eche cosa significa per i Saverianioggi e per la missione questa di-chiarazione di santità? Guido Maria Conforti era origi-nario di Parma, dove nacque il30 marzo 1865. Ancora ragazzoentrò in Seminario, nonostante leresistenze del padre. La sua vo-cazione sacerdotale e missiona-ria sbocciò ai piedi di un Croci-fisso. Scriverà: «Non è possibilefissare lo sguardo in questo mo-dello divino senza sentirsi spintiad ogni più arduo sacrificio. IlCrocifisso è il gran libro che di-schiude allo sguardo immensiorizzonti». Di fatto, pur vivendonella regione emiliana, il suosguardo si aprì agli orizzonti delmondo. Nel 1895 fondò i Saveria-ni con lo scopo dell’annuncio del

Vangelo ai non cristiani. Nel 1899inviò in Cina i suoi primi duemissionari. Nel 1902 fu chiamatoa reggere la Chiesa di Ravenna,ma la malattia lo costrinse a darele dimissioni. Recuperata la sa-lute, attese alla formazione deisuoi missionari. Nel 1907 il Papagli affidò la Chiesa di Parma.Compì cinque volte la visita pa-storale. Discreta ma risolutiva fula sua presenza nella vita dellacittà, come durante gli scioperidel 1908 e in occasione della re-sistenza al fascismo di una partedella città. Le milizie fasciste siritirarono il giorno dopo la sua of-ferta di mediazione, evitando laguerra civile. Riteneva che l’an-nuncio del Vangelo ai lontani (adgentes) fosse la strada più sicu-ra per rievangelizzare la suagente. Nel 1916 con Paolo Man-na, del PIME, fondò l’UnioneMissionaria del Clero, oggi Pon-tificia Unione Missionaria, di cuifu presidente nazionale per undecennio. Nel 1928 visitò i suoimissionari in Cina, con andatavia mare e ritorno con la Transi-beriana. Morì a Parma il 5 no-vembre 1931. Di lui disse AngeloRoncalli, Patriarca di Venezia,poi Papa Giovanni XXIII, in unatestimonianza del 17 febbraio1957: «Lo cercavo come espres-sione episcopale, la più distintain Italia, di quel felice movimentomissionario suscitato dall’enci-clica Maximum illud di Papa Be-nedetto XV. Così lo cercavo, co-me rappresentante lui di quellacompletezza del ministero sacro

delle anime che associa il Ve-scovo al Missionario: Vescovo diParma, ma Missionario per tuttoil mondo».Per i Saveriani la santità del fon-datore, oggi riconosciuta da tuttala Chiesa cattolica, significa laconferma di uno stile di vita, co-me ha scritto Giorgio Bernardel-li, «dentro l’Italia fino in fondo macon un cuore capace di abbrac-ciare davvero il mondo» (Avveni-re, 11 dicembre 2010). Uno stiledi vita che potremmo definire an-che «glocale», perché guardalontano ma è sensibile a ciò cheaccade vicino. Conforti santo ri-chiama, inoltre, l’attualità, l’ur-genza, la necessità e la bellezzadella missione ad gentes, cioèdel Vangelo annunciato a tutti ipopoli, con le loro culture e reli-gioni, non per dominarli ma perservirli perché abbiano gioia evita in pienezza. q

Per iSaveriani

la santità delfondatore,

oggiriconosciuta

da tutta la Chiesacattolica,significa

la confermadi uno stile

di vita

Mario MeninDirettore Missione Oggi

Guido MariaConfortiSantità e missione

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zo quella Salerno-Reggio Cala-bria, emblema di una terra chechiede di non essere abbando-nata. Abbandonata al saccheg-gio delle sue risorse, abbando-nata alla dittatura politico-mafio-sa che porta con sé il peso dellaresponsabilità del disastro eco-nomico-ecologico-sociale in cuiversa oggi la regione, abbando-nata a chi ha trasformato il dirittoin favore, abbandonata a chi si ègià arreso, a chi non è più liberoo forse è nato già prigioniero, achi non ce la fa e muore strango-lato dal cappio della logica disopraffazione. A chi accetta tuttocosi com’è «perché è così, noncambierà». A chi permette all’in-differenza di operare potente-mente nella storia.È difficile spiegare il dissidio in-terno che proviene da quella do-manda: brigante o emigrante?Chi può capire? Riuscireste adimmaginare che cosa significhi

G uardo fuori dal finestrino,la macchina va. Mi piace

l’idea di mettermi in viaggio,sempre. Maledetta anima viag-giatrice, a volte vorrei poter direche non è così (forse sarebbetutto più semplice). Da un lato ilmare, lo stretto e, un po’ più inla, la Sicilia. Dall’altro lato, lecolline, l’agave che domina ilpaesaggio, le stradine che dalmare salgono fino alle monta-gne. In mezzo, la Salerno-Reg-gio Calabria. Succede semprecosì, in Calabria. Ci si sentestretti fra la bellezza di questaterra, la voglia di restare, l’ur-genza di cambiare le cose… cisi sente schiacciati dal richiamodi quell’imperativo: non devi ar-renderti! Quasi fosse un coman-damento, quasi fossimo nati conl’obbligo di. E poi la voglia dipartire, di lasciare tutto, di sco-prire cos’altro c’è lì, al di làdell’altopiano silano. Ed in mez-

Giulia Pensabene

A volte credoanch’io chequella di un

calabrese siauna vita alla

qualeoccorre«essere

iniziati percapirla,

esserci natiper amarla»,

comescrivevaCorrado

Alvaro, nelsuo Gente inAspromonte

dire addio alla propria famiglia,ai propri amici? Partire verso unposto straniero, senza conoscer-ne nulla, e con pochissimi soldi,con pochissime certezze, forsenessuna? Chi sarebbe dispostoa fare una cosa del genere? A volte credo anch’io che quelladi un calabrese sia una vita allaquale occorre «essere iniziatiper capirla, esserci nati peramarla», come scriveva Corra-do Alvaro, nel suo Gente inAspromonte.

La storia di una grandesperanza

L’auto arriva a Riace. Mi viene unpo’ da ridere: penso a tutte le vol-te che, quando studiavo a Mila-no, mi chiamavano Giulia la «ca-lafricana» (io in realtà l’ho sem-pre accolto come un complimen-to). Avevano ragione: qui a Riace,è proprio calafrica. È la storia diuna grande speranza. Comequella di Caulonia e Stignano,piccoli comuni calabresi dove gliimmigrati sono diventati una verae propria risorsa. È l’esempiobellissimo di una comunità cheha accolto i rifugiati sbarcati sullenostre coste per la prima voltapiù di 10 anni fa, e ha offerto lorosemplicemente un posto dovestare, trasformando le case ab-bandonate in officine di praticadella fratellanza, verso forme piùalte di produzione e di conviven-za. È la testimonianza che la poli-tica, quella con la P maiuscola,esiste ancora. Quella che si fa ca-rico della sofferenza degli ultimi,prima di tutti, prima di tutto. Pen-so a Mimmo Lucano, penso allestorie degli africani sbarcati sullenostre coste, a quelle dei curdi,dei pakistani. Penso a quella Ca-

Una «santa rabbia»

U

Pasoracoirrraqurin«scodenofaspfovocoPequM

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re. Credo sia il furto peggiore,quello di chi ti ruba la libertà discegliere. Qualcuno la definivauna «santa rabbia». È quello cheprovo. Sì, io sono arrabbiata. Losono quando prendo l’aereo perMilano, e mi capita d’incontraresullo stesso volo ben sei mieicompagni di classe, e penso al-le circa 700 mila persone che,tra il 1997 e il 2008, risultanoaver abbandonato il Mezzogior-no. Via, tutti via. Via quelli chepartono alla disperata ricerca diun lavoro, via i così detti laureati«eccellenti» (nel 2004 partiva il25 per cento dei laureati meri-dionali con il massimo dei voti;cinque anni più tardi la percen-tuale è balzata a quasi il 38 percento). Lo sono quando sentol’inconciliabilità di studiare rela-zioni internazionali, e vivere asud. Lo sono quando vedo ilmio paese ripopolarsi solo neiperiodi di Pasqua, in estate e a

rubrica a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

Terrad’incontro trachi arriva da

altri mari, echi decide di

partire. Una terra che

ospita cittàconsiderate

periferie del mondo

Una terra di utopie

Partire o restare? Rinunciare a unsogno o inseguirlo? Lottare orassegnarsi all’immobilità dellecose? Credere che sia tuttoirrimediabilmente così, o sfidare larassegnazione? Mi chiedo anchequanto sia giusto, doverrinunciare a un sogno per«salvare» la tua terra, se le duecose non coincidono. A volte ho pauradella solitudine e dell’indifferenza di chinon riesce a capire e si lascia andare afacili (pre)giudizi. Ho paura che il nord sisposti sempre più a nord. Eppure,fortunatamente, rientro a casa con quellavoglia di riscatto, ancora. Con laconsapevolezza che non voglio andarmene.Perché ogni volta che parto sento che c’èqualcosa che vorrei partisse insieme a me.Mi aggrappo alle realtà come quella di

Riace. Perché in questa Calabria che bruciac’è anche il sud che ho visto reagire, il sudche resiste anche con la forza che nonha. Il sud che ha dei volti: quelli diMimmo Lucano, Gianluca Congiusta,Peppe Valarioti, Lea Garofalo, GianninoLosardo, Rocco Gatto, Ciccio Vinci e

tanti altri; che ha delle storie: quelle di tutti imigranti, quelli che arrivano e quelli che

partono, quelli che restare a volte èrinunciare, altre invece è dare unSenso profondo alla nostra vita. Mi

ricordo la prefazione del professor Perna,nel bellissimo libro di Chiara Sasso, Trasite,favorite: «questa terra di Calabria, comenessun altra, è una terra di utopie». E quelladi Riace, insieme con le altre, è un’utopiadiversa, perché è un’utopia concreta. Eallora consideratemi pure una tra queimeri utopisti, però almeno una cosa nonme la togliete: lasciatemi i miei sogni(perché si possono realizzare, e Riace ne è

la prova). Non rubate terreno a quellavoglia di riscatto!

labria che tutti considerano «fuoridal mondo», e invece ne è unpunto nevralgico. Terra d’incon-tro tra chi arriva da altri mari, echi decide di partire. Una terrache ospita città considerate peri-ferie del mondo, eppur fonda-mentali crocevia internazionaliper i traffici illeciti, insediamentidella principale mafia italiana.Terra di ‘ndrangheta quindi, or-ganizzazione locale e familistica,ma capace di diffondere i suoitentacoli anche al di là dell’ocea-no. Il famoso sviluppo glocale(loro sì, che ci sono riusciti). E al-lora io mi sento dentro al mondoanche quando cammino per lestradine di Riace.

Quando ti rubano lalibertà di scegliere

Penso a chi vorrebbe partire,ma deve restare. Penso a chivorrebbe restare, ma deve parti-

Natale. Lo sono quando non hola possibilità di abbracciare unapersona cara in un momentodifficile, maledette distanze. Losono quando mi sento suddita enon cittadina. Lo sono per le vo-ci di chi glielo leggi negli occhi,l’amore per la Calabria. Lo sonoper tutti quelli che scelgono dilottare e vengono ridicolizzati,accusati di velleitarismo, consi-derati meri utopisti. Lo sono levolte che il «cono d’ombra» in-formativo che avvolge la miaterra la strappa via tutte le suebellezze, oscurandole. Lo sonoperché lo pretendo, il mio dirittodi scegliere da che parte stare.Potrei anche decidere di rima-nere lontano, di non tornare più.Ma vorrei essere io a poterlo fa-re, nessun altro per me. E inve-ce la precarietà che ci rendeschiavi dell’incertezza del do-mani, fa da ago nella bilanciadelle decisioni. q

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Kaha Mohamed AdenFra-IntendimentiNottetempo, Roma 2010, pp. 136, euro 13

«Apriti sogno!»

In Italia, una ragazza nera, nel corso di un interrogatorio a casa sua, è scoperta priva del rinnovodel permesso di soggiorno. È disperata, come riuscirà a cavarsela, intravede già un iter terribile, i

poliziotti l’arresteranno… è vero, ha voluto mettere nel dimenticatoio la procedura del rinnovo, ècosì macchinosa, estenuante, umiliante… Scoppia a piangere, è un incubo. Sì, è davvero un incu-bo, si sveglia nel suo letto, sollevata, vuole raccontarlo a qualcuno, perché solo raccontando, diceun detto somalo, il sogno si apre, cioè se ne scorge il reale significato. Siamo noi, allora, gli inter-locutori cui Kaha Mohamed Aden si rivolge per discutere del sogno. Ed è attraverso i racconti checompongono il prezioso libretto Fra-intendimenti, sua prima opera, che ci sentiamo interpellati suquestioni di bruciante attualità: la condizione dell’immigrato, la diversità culturale, le difficoltà dicapirsi, la nostalgia, la diffidenza, il pregiudizio. Kaha, nata e cresciuta in Somalia, dove ha vissutofino ai vent’anni, è fuggita dal suo paese dilaniato dalla guerra civile e si è rifugiata in Italia, dove

ci consegna 12 racconti così diversi tra loro, per i contenuti e perla tonalità affettiva, e tuttavia così unitari per lo sguardo che li ac-compagna, la bozza di un ampio affresco storico. Una microstoria, la sua e quella della sua famiglia, dentro la ma-crostoria di un paese postcoloniale, la Somalia degli anni ‘60 e‘70, che cerca un’identità politica e sociale attraverso feroci lotteclaniche. Poi, in Italia, il paese degli ex colonizzatori, dove, alla fi-ne del secolo scorso, l’accelerazione disordinata dei processi mi-gratori ha generato correnti di razzismo e xenofobia. La scrittriceripercorre storie familiari. Tre nonne, due di sangue ed una di af-fezione, un nonno, colto e dalla mente aperta, ecumenico antelitteram, («ricordati Kaha, che ogni vero musulmano è anche cri-stiano!», le dirà un giorno a proposito degli insegnamenti di unimam ostile ai cristiani) segnano la sua formazione. Il padre, lau-

reato in Italia in medicina, tornato nel suo paese per migliorarne le sorti, cooptato nel governo ri-voluzionario di Siad Barre, sarà imprigionato nel corso della successiva trasformazione autoritariadi quel regime. Riparata in Italia nel 1986, Kaha si iscrive all’Università, si laurea, si sposa, intra-prende varie attività legate alla sua esperienza di confine tra due mondi. E qui il racconto diventalezione sorridente, ironica, a volte incredibile, delle avventure di quella che chiamiamo intercultura.I fra-intendimenti s’inseguono e si moltiplicano, dall’una e dall’altra parte. Da un racconto all’altroil percorso alterna le memorie ed il presente, li mette in comunicazione, li confronta, li riconciliacon la capacità, rara, di un dialogo autentico che rifiuta lo schematismo ed il pregiudizio. Kaha èottimista, la speranza è un leitmotiv che attraversa le sue storie, anche le più drammatiche. Troveràin Italia molti rifugi dove vivere, dal collegio dove sarà accolta per studiare alle altre case dove andràad abitare. E, scrivendo, la casa perduta si smaterializza, si trasforma, diventa simbolo di uno spa-zio dove finalmente ritrovare se stessa, la sua identità così dimezzata, duplicata, moltiplicata. E an-che noi speriamo che Kaha Mohamed Aden continui a raccontare.

Franca Ciccolo Fabris

I materiali segnalati (e non segnalati) possono essere richiesti allanostra Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, consconti del 10% per gli abbonati e pagamento in CPP a materiale giàricevuto (nelle richieste specifica che sei un abbonato di CEM)www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

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i paradossi arnaldo de vidi

Bio-eco-etica

R iccardo, un amico italiano, è venuto a trovarmi:che alegria! (la lingua portoghese-brasileiranon conosce il vocabolo gioia; è sempre ale-

gria, più o meno rumorosa). In un giro in barca siamoandati all’incontro delle acque: le acque bianco-areno-se del Rio Solimões e quelle scure del Rio Negro si ac-compagnano, per fondersi poi come Rio delle Amazzo-ni. Il fenomeno non è solo una curiosità naturalistica, maun’icona del meticciato. Il tour prevede la pausa-pranzoin un ristorante galleggiante. Il menù è industriale, ma cisono frutti e succhi locali. Come Adamo nell’Eden, do ilnome ai frutti: copù-açù, acerola, goiaba, cajù, assaì... Ilmio amico assapora e loda: «Buono, molto buono!». Sichiede: «Questo ben di Dio quando arriverà sul mercatoglobale?». «Spero mai», dico io. La mia affermazione esi-ge una spiegazione. Cito una frase di Wendel Berry:«Ciò che l’uomo non ha razionalizzato, non ha distrutto.Per esempio, le multinazionali hanno scoperto che l’ac-qua dolce è “oro azzurro” e che prelevarla dal Rio delleAmazzoni costa meno di un dollaro (solo 80 centesimi!)al metro cubo, mentre desalinizzare acqua marina costaun dollaro e cinquanta. Nasce l’idropirateria: l’acqua èportata via con navi di 250 milioni di litri di capacità (!)per essere imbottigliata in Europa ein Medio Oriente». «Ma... la frutta?», domanda Ric-cardo. «Il processo di ibrida-zione lenta e rispettosa dellenatura fatta dagli indiosnon è sufficiente peravere frutta in grandequantità. Se la Nestlèo la Dal Monte si va-lessero della leggeOnu sui brevetti e se-lezionassero alcuni diquesti frutti, esse li ren-derebbero omogeniz-zati; li produrrebbero ingrande scala; e, dopoaver eliminato tutti i prodottisimili, li immetterebbero nel

mercato come loro proprietà, al punto che la gente diqui non potrebbe più produrne neanche per il proprioconsumo. Questa è la sorte del terzo mondo, Riccardo.Che Dio perdoni noi del primo mondo!». «Che c’entria-mo tu ed io?», si scusò il mio amico… A me causò unatristezza struggente, pensando alle tragedie di questomondo disuguale. Dissi: «E cosa centravano i primoge-niti dell’Egitto, sterminati dall’angelo?!».Ho letto che quattro anni fa il giornalista Richard Swiftha visitato le piantagioni del Ghana, dove si produce ilcacao per la Svizzera. Nel suo zaino aveva delle tavolet-te di cioccolato: i coltivatori assaggiarono per la primavolta il gusto del cioccolato e... rimasero estasiati.Ho letto anche che nelle piantagioni del Mississippi ilraccolto record di cotone, con l’agricoltura statunitensefortemente sussidiata, ne ha fatto crollare il prezzo mon-diale; nelle piantagioni del Niger, in Africa, dove l’agri-coltura per legge internazionale non può essere sussi-diata, il cotone dell’annata record, svalorizzato, non è sta-to raccolto, perché economicamente non conveniente.Questo è il mondo che accettiamo. Sono milioni di es-seri umani derubati e poi cacciati come selvaggina,con trattati come l’accordo Libia-Italia celebrato qual-che mese fa. q

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Sul tema recupero una mia poesia

Ospite a un banchetto di gala, in occasionedell’EcoRio ’92, si delizia un giovane indio. L’anziano che l’accompagna gli dice: «Non senti le carni come son tenere edolciastre? Di certo sono malate.

E vedi la frutta quant’è eccessiva e sfatta,provocante e arrendevole.

Guardati poi dalle loro bevande che dentro le viscere diventano un fuoco divorante».Non supera il test il banchetto chic del maitre.Ma il gigantesco outdoor del McDonaldsta già cesellando

l’immaginario del giovane indio.

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la pagina di... rubem alves

Non ripetere le cosecome se Dio fosse sordo!

«M aestro, insegnaci a pregare!», disseuna vecchietta. «Quando pregate,non siate come i superbi, a cui piace

pregare in luoghi ben visibili per essere visti dalle altrepersone. Al contrario, voi, quando pregate, entrate nellevostre camere e, chiusa la porta, pregate il Padre vo-stro, che è lì presente anche se nessuno lo vede, invisi-bile. E non dovete ripetere le stesse cose come se Diofosse sordo. Dio sa di che cosa avete bisogno prima an-cora che lo chiediate. Quindi pregate in questo modo:

Padre, madre dagli occhi dolci, so che sei presente, invisibile, in tutte le cose.Che il tuo nome mi sia dolce,l’allegria del mio mondo.Portami le cose buone che recano piacere:i giardini,le fonti,i bambini,il pane e il vino,i gesti di tenerezza,le mani disarmate,i corpi abbracciati…Lo so che desideri realizzare il mio desiderio piùprofondo, desiderio che ho dimenticato…Ma che tu non dimentichi mai.

Realizza, quindi, il tuo desiderioperché io possa sorridere.

Che il tuo desiderio si realizzi nelnostro mondo nella stessa maniera che èpresente in te.

Concedici di accontentarci delleallegrie del quotidiano: il pane, l’acqua,il riposo…

Che siamo liberi dall’ansietà.Che i nostri occhi siano così benevolicon gli altri come i tuoi lo sono con noi.Perché se saremo feroci non potremmoaccogliere la tua bontà.E aiutaci a non lasciarci ingannare daidesideri cattivi e liberaci da colui che portala Morte dentro i propri occhi».

Amen

Traduzione di Marco Dal Corso

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L a b o r a t o r i d i m e l t i n g p o t S e g n i u r b a n i L a m o g l i e d e l m i g r a n t e

REPORTER DIGITALILa migrazione raccontata da chi la vive VpS

Volontari per lo sviluppoLa rivista di chi abita il mondo

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La rivista di chi abita il mondoReportage e notizie dai cinque continenti, progetti di solidarietà, ricerca volontari delle associazioni, proposte di turismo alternativo, viaggi responsabili e molto altro...

Sfoglia anche online il nostro numero speciale sulcitizen journalism, realizzato da una redazione di100 ragazzi di Torino, Parigi, Louga (Senegal) eOuahigouya (Burkina Faso), protagonisti del proget-to "JRM - Jeunes Reporters et Migrants".

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IN PRIMO PIANO MIGRANTI AUTO-ORGANIZZATI Il protagonismo civile dei cittadini d’origine straniera

REPORTAGE SEGNI URBANI Le tracce fisiche dell’immigrazione nel capoluogo piemontese

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Cosa trovi in questo numero:

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Missionari Saveriani - Via Piamarta, 9 Brescia - ingresso libero - ampio parcheggio gratuito - info: tel. 0303772780 [email protected]

Perché le religioni a scuola?Competenze, buone pratiche e laicità

9 aprile 2011 | Ore 9-18Convegno promosso da CEM Mondialità con il patrocinio dell’Università La Sapienza, Roma

Con la partecipazione di Paolo Naso, Enzo Pace, Lucrezia Pedrali,

Alessandro Saggioro, Brunetto Salvarani, Aluisi Tosolini e molti altri

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RINNOVATEL’ABBONAMENTO PER IL 2011

A CEM MONDIALITÀIL MENSILE DELL’EDUCAZIONE

INTERCULTURALELa rivista, nata nel 1967, è la voce del movimento CEM.

Essa ha scommesso fin dalle origini sul vocabolo «mondialità», che a quel tempo

non compariva neppurre nei dizionari. Oggi l’intercultura è non solo la tematica

che caratterizza la rivista, ma anche la sua metodologia, grazie all’interattività e al volontariato

c.c.p. n. 11815255Ufficio Amministrazione Abbonamenti

Centro Saveriano Animazione Missionaria | via Piamarta 9 | 25121 Bresciatel. 030 3772780 - fax 030 3774965

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COSTODELL’ABBONAMENTO

PER IL 2011EURO 30,00

Abbonamenti cumulativi 2011CEM + Azione nonviolenta € 51,00 invece di € 62,00CEM + Mosaico di pace € 52,00 invece di € 60,00CEM + Confronti € 67,00 invece di € 80,00CEM + Nigrizia € 54,00 invece di € 62,00CEM + Conflitti € 43,00 invece di € 52,00CEM + Gaia

€ 40,00 invece di € 50,00CEM + Dada€ 50,00 invece di € 60,00CEM + Qol€ 42,00 invece di € 55,00CEM + Missione Oggi € 52,00 invece di € 60,00CEM + Satyagraha € 42,00 invece di € 55,00CEM + MISNA Online(*) € 60,00 invece di € 80,00

(*) Misna online ha bisogno della mail dell’abbonato per potergli comunicarela password di accesso alla rivista online

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