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16 NoVemBre/DiCemBre 2008 di Vincenzo Lippolis Opportuno rivedere le norme per facilitare in certi casi l’accesso allo “status” degli immigrati residenti, senza dimenticare che la cittadinanza non è strumento ma coronamento di un reale processo di integrazione L a cittadinanza determina la collettività di persone che costituisce il popolo di uno Stato, il suo elemento personale. Sono infatti le regole di acquisto e di perdita della cittadinanza, basate su vincoli di sangue, su specifici rapporti con il territorio, su atti volontari di adesione, su particolari rapporti con soggetti che siano già cittadini, a determinare l’appartenenza di un individuo al popolo di uno Stato. la cittadinanza esercita così, simultaneamente, una funzione di inclusione e di esclusione, distingue i cittadini dagli stranieri. È questo un elemento conna- turato e essenziale all’istituto giuridico cittadinanza, in mancanza del quale esso perderebbe ogni significato. PRIMO PIANO | Una nuova cittadinanza ADERIRE AI VALORI DELLA NAZIONE È IL PRINCIPIO FONDANTE DELL’ESSERE CITTADINI ac Vincenzo Lippolis È professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università S. Pio V di Roma. È stato vicesegretario generale della Camera dei Deputati, componente della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Tra le sue pubblicazioni La cittadinanza europea, il Mulino, 1994.

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ac

• di Vincenzo Lippolis

Opportuno rivedere le norme per facilitare in certi casi l’accesso allo “status” degli immigrati residenti,senza dimenticare che la cittadinanza non è strumentoma coronamento di un reale processo di integrazione

La cittadinanza determina la collettività di persone che costituisce il popolo di uno Stato, il suo elemento personale. Sono infatti le

regole di acquisto e di perdita della cittadinanza, basate su vincoli di sangue, su specifici rapporti con il territorio, su atti volontari di adesione, su particolari rapporti con soggetti che siano già cittadini, a determinare l’appartenenza di un individuo al popolo di uno Stato. la cittadinanza esercita così, simultaneamente, una funzione di inclusione e di esclusione, distingue i cittadini dagli stranieri. È questo un elemento conna-turato e essenziale all’istituto giuridico cittadinanza, in mancanza del quale esso perderebbe ogni significato.

PRIMO PIANO | Una nuova cittadinanza

ADERIRE AI VALORIDELLA NAZIONEÈ IL PRINCIPIO FONDANTEDELL’ESSERE CITTADINI

ac

Vincenzo LippolisÈ professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università S. Pio V di Roma. È stato vicesegretario generale della Camera dei Deputati, componente della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Tra le sue pubblicazioni La cittadinanza europea, il Mulino, 1994.

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le regole di attribuzione della cittadinanza variano da Stato a Stato. in relazione ai valori fondanti l’identità na-zionale e rispondono a esigenze politiche, a visioni ide-ologiche e culturali che possono variare nel tempo. lo jus sanguinis si afferma nell’ambito continentale pa-rallelamente all’emergere e al consolidarsi delle mo-narchie nazionali. esso fa risaltare il vincolo derivante dall’appartenenza alla stessa comunità etnica e la sua applicazione prevalente rispetto agli altri criteri tende

a preservare dall’immissione nella comunità naziona-le degli immigrati, anche di quelli stabilmente residenti

nel territorio dello Stato. lo jus soli, basato sulla nascita all’interno del territorio statale indipendentemente dalla

cittadinanza dei genitori, è proprio, quantomeno all’origine, dell’ordinamento inglese e derivatamente di quello statunitense

ed esalta il rapporto dell’individuo con l’autorità sovrana sul territo-rio. esso è stato utilizzato da Stati di recente formazione e scarsamente popolati per radicare gli immigrati. esigenze in parte analoghe sono quelle dei paesi che si trovano a fronteggiare deficit demografici e che hanno scarsità di addetti nel loro sistema economico per cui tendono ad attirare un’immigrazione stabile. in tal caso, oltre all’applicazione dello jus soli, rapide procedure di naturalizzazione assolvono la funzione di inserire nuova linfa nella comunità nazionale. le regole di attribuzione della cittadinanza non sono mai applicate in manie-ra esclusiva, ma variamente combinate. la prevalenza dell’una o dell’altra viene però a definire la concezione della cittadinanza: etnica o elettiva. la prima lega l’attribuzione della cittadinanza all’appartenenza alla medesima etnia o comuni-tà di razza, nella visione secondo cui gli individui non sono che il prodotto della nazione. la seconda, sulla base del presupposto che la nazione non esiste se non per l’adesione dei suoi membri, esalta il momento volontaristico, di accettazione del contratto sociale connesso allo status di cittadino. È nota, ad esempio, la diversa ispirazione delle legisla-zioni sulla cittadinanza di francia e Germania, che hanno costituito due modelli. la prima, espansiva e assimilazio-nistica essendo basata su una concezione politica e stato-centrica dell’identità nazionale. la seconda, fondata sul principio della comunità di discendenti e derivante da una concezione etnoculturale dell’identità nazionale. Di conse-guenza, caratteristica della legislazione francese è sempre stata quella di integrare lo jus sanguinis (che costituisce comunque un criterio base di qualsiasi normativa in materia) con un’applicazione, sia pur moderata, dello jus soli, mentre caratteristica della legislazione tedesca è stata l’applica-zione quasi esclusiva dello jus sanguinis. Solo di recente la legislazione tedesca,

Le regole di attribuzionedella cittadinanzanon sono mai applicatein maniera esclusivama variamente combinate

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con la riforma del 15 luglio 1999, si è aperta a una limitata ipotesi di applicazione dello jus soli a vantaggio del figlio di genitore straniero che risieda regolarmente in Germania da almeno otto anni in base a un titolo che garantisca la stabilità del soggiorno (vedi più avanti la scheda “tra naturalizzazione e filiazione: come si

diventa cittadini nei principali Paesi europei”). l’ordinamento francese, a differenza di quello tedesco, rende relativamente agevole l’acquisizione volontaria della cittadinanza tramite naturalizzazione e prevede anche l’acquisto per semplice dichiarazione a seguito di matrimonio con un cittadino fran-cese. Questi modi di acquisto sono facilitati dalla circostanza che la francia consente con larghezza la doppia cittadinan-

za, vale a dire il mantenimento di quella di origine. Al contrario, in Germania la naturalizzazione è più difficile e vige un principio generale di divieto di doppia cittadinanza.

In italia la materia è stata disciplinata dal Codice civile del 1865 e poi dalla leg-ge 555/1912. tale legge subì parziali modifiche per effetto di alcune sentenze

della Corte costituzionale, che adeguarono le regole della trasmissione delle cit-tadinanza alla riforma del diritto di famiglia del 1975 e a opera delle leggi del 1983 sulle adozioni (n. 184) e sulla cittadinanza per filiazione e in relazione al matrimonio (n. 123). Si dovette però attendere ottanta anni per avere una nuova organica disciplina della materia, il che avvenne con la legge 5 febbraio 1992, n. 91, tuttora in vigore. Questa legge, lungamente attesa, non ha costituito una riforma particolar-mente innovativa, ma piuttosto un mero riordino. Secondo alcuni commentatori essa nasceva già vecchia poiché non teneva conto dei fenomeni migratori e della internazionalizzazione dei rapporti (la “globalizzazione”) che sarebbero divenuti dirompenti negli anni successivi, ma che già si erano manifestati al momento dell’approvazione della legge. la legge del 1992 ha il suo cardine nello jus sangui-nis, integrato da residuali ipotesi di jus soli, e attribu-isce una preminenza alla volontà della persona ri-spetto alle situazioni di fatto. lo straniero nato in italia e che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della mag-giore età può acquisire la cittadinanza italiana per beneficio di legge (cioè automaticamen-te) se dichiara di volerlo entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (articolo 4, c. 2). Per naturalizzzazione (che ha natura concessoria, con una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica autorità)

Nella legge italianala volontà della persona

prevale rispetto alla situazione di fatto

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può ottenere la cittadinanza chi sia nato in italia e vi risieda da almeno tre anni (articolo 9, c.1, lett. a). Altri due elementi caratterizzano la legge del 1992. il primo è la lunghezza del periodo di permanenza in italia necessario allo straniero “non qualificato” (cioè che non abbia specifici legami con il nostro Paese) per poter chiedere la naturalizzazione. tale periodo è stato elevato dai cinque anni richiesti preceden-

temente a dieci anni (articolo 9). esso è superiore a quello previsto in molti altri ordinamenti ed è ridotto a cinque anni per gli apolidi e a quattro anni per i cittadini degli stati mem-bri delle Comunità europee. il secondo elemento è il favore per la “doppia cittadi-nanza”, vale a dire la possibilità di conservare la cittadinanza italiana anche se l’interessato possieda, acquisti o riacquisti

la cittadinanza di un altro Stato (articolo 11). È in base a quest’ultima norma che mantengono la cittadinanza i discendenti degli italiani emigrati all’estero, anche se ormai il loro legame con l’italia è molto tenue, essendosi essi pienamente integrati nei paesi di residenza. Si fa cioè prevalere il vincolo di sangue su quello di una concreta integrazione nella società italiana. Questo orientamento pone, tra l’altro, il problema del raccordo con la Convenzione di Strasburgo del 1963, in vigore tra alcuni paesi europei, volta alla riduzione dei casi di cittadinanza plu-rima. in definitiva, la legge del 1992 è, per un verso, difensiva rispetto all’allarga-mento della cittadinanza agli stranieri pur residenti e inseriti nella società italia-na, per altro verso, espansiva riguardo agli italiani di sangue, indipendentemente dal loro rapporto con il nostro Paese. i profondi mutamenti intervenuti nella società italiana a seguito della cre-

scita dell’immigrazione hanno riproposto il tema dell’aggior-namento della disciplina della cittadinanza e nella XiV

legislatura giunse all’esame dell’assemblea della Camera dei deputati un progetto di legge che,

con parziali innovazioni, mirava a facilitare l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri

residenti e i figli di stranieri nati in italia, mentre rendeva più difficoltosa l’acqui-sizione per matrimonio con l’obiettivo di colpire le unioni di comodo. ma l’iter del progetto non giunse a conclusione. Nella XV legislatura, il ministro dell’interno, Giuliano Amato, presentò un disegno di legge molto innovativo che

fu esaminato dalla commissione Affari co-stituzionali della Camera dei deputati. Sia

il testo iniziale che quello elaborato dalla

Possibile conservarela doppia cittadinanza

anche se è tenue il legame con l’Italia

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commissione prefiguravano un’apertura all’acquisto della cittadinanza che non trova riscontro, nel suo complesso, nella legislazione di altri importanti paesi europei. Veniva affermato con larghezza il principio dello jus soli e si prevedeva che diventasse automaticamen-te cittadino italiano il nato in italia da genitori stranieri di cui almeno uno residente da cinque anni oppure, a sua volta, nato in italia senza aver acquisito la cittadi-nanza italiana (con quest’ultima ipotesi si intendeva favo-rire l’acquisto della cittadinanza per i cosiddetti immigrati di terza generazione). Veniva introdotta una nuova figura, lo jus domicili, prevedendo che potesse ottenere la cittadinanza, su istan-za dei genitori, il minore figlio di stranieri residenti che avesse frequentato un ciclo di istruzione. in mancanza della richiesta dei genitori, era previsto che l’interessato potesse richiedere la cittadinanza al raggiungimento della maggiore età. Per quanto riguarda la naturalizzazione, veniva ridotto da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale nel nostro Paese, necessario perché lo straniero possa chiedere la concessione della cittadinanza, ponendosi come condizioni il possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno della Comunità europea per soggiornanti di lungo periodo e una verifica della reale integrazione linguistica e sociale dell’interessato. Veniva prevista anche la possi-bilità di concessione della cittadinanza al minore straniero o apolide che avesse frequentato integralmente un ciclo scolastico in italia, al raggiungimento della maggiore età. l’unico caso per il quale era previsto un irrigidimento era l’acqui-sto della cittadinanza per matrimonio, volendosi giustamente colpire il fenomeno delle unioni di comodo. indipendentemente dalla ragionevolezza o meno delle singole innovazioni, quel che colpiva in tale progetto di legge era la loro combinazione, perché costi-tuiva un sistema di estremo favore per chi fosse intenzionato a divenire cittadino italiano. Altri paesi europei sono più rigidi. in Germania, come detto, allo stranie-ro che voglia chiedere la cittadinanza sono richiesti otto anni di residenza. in Spagna, ne sono richiesti dieci, salvo alcune specifiche eccezioni. in francia e in Gran Bretagna, è richiesto un periodo di residenza di cin-que anni, tuttavia, in francia, il figlio di stranieri nato nel territorio nazionale può ottenere la cittadinanza solo alla maggiore età, se residente per cinque anni dall’età di undi-ci anni e in Gran Bretagna, diviene cittadino chi vi nasce da uno straniero autorizzato a risiedervi in modo permanente (settled). in Germania e in Spagna, inoltre, non è consen-tita la doppia cittadinanza per cui lo straniero o il figlio di stranieri che acquista la cittadinanza nazionale deve rinunciare a quella di origine. A questa regola vi

In Germania e Spagnanon si può essere anchecittadini di altre nazionitranne rare eccezioni

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sono eccezioni, tra cui la più significativa è, in Spagna, quella riguardante gli ispano-americani. le eccezioni sono comunque basate su un particolare rappor-to con il Paese di cui si acquista la cittadinanza. Nel nostro ordinamento, invece, la doppia o plurima cittadinanza è in via di principio consentita, salvo specifiche convenzioni internazionali in senso contrario. il progetto di legge non prevedeva di intervenire su questo aspetto, di modo che, rendendo più agevole l’acquisto della cittadinanza italiana, si sarebbe ampliato il numero dei titolari di una doppia cittadinanza. la commissione Affari costituzionali della Camera non giunse comunque ad approvare il progetto di legge in sede referente e tutto si bloccò per la fine anti-cipata della legislatura. Nell’attuale XVi legislatura di riforma della cittadinanza non si è ancora parlato (salvo alcuni progetti di legge di cui si dà conto nella sche-da a pagina 60) e il tema sembra destinato a restare un capitolo del libro delle riforme abbozzate e non concluse che caratterizza la nostra vita istituzionale.

Prima di procedere a una valutazione di possibili linee evolutive della nostra legislazione in materia di cittadinanza è opportuno riflettere in che cosa si

sostanzi oggi il possesso di un tale status. l’istituto, quale noi lo conosciamo, nasce con lo Stato-nazione. A seguito di

una evoluzione che non si può qui ripercorrere (si veda a tale proposito l’articolo di Pietro Costa in questo numero di AC), nello Stato-nazione del ventesimo secolo, cittadino è colui che ha il diritto di risiedere nel territorio dello Stato, che è titola-re di diritti di autonomia privata e di libertà, che è partecipe della sovranità statale attraverso l’esercizio dei diritti politici, che usufruisce dell’apparato di assistenza e sicurezza sociale.

A comporre lo statuto del cittadino non vi sono però solo diritti, ma anche doveri che trovano il loro fondamento nel vincolo di solidarietà derivante dall’apparte-nenza alla medesima comunità: il dovere fiscale, il dovere di fedeltà allo Stato, il dovere di difenderlo fino anche al sacrificio della propria vita (il che per milioni di uomini si è tragicamente realizzato nelle guerre che, a partire dalla rivoluzione francese, hanno avuto come protagonisti gli Stati-nazione). il fenomeno della globalizzazione e la crisi dello Stato-nazione hanno posto in discussione sotto diversi aspetti questa concezione della cittadinanza e, per evidenziare il mutamento, si sono coniate formule come cittadinanza postmoderna, postnazionale, co-smopolita. Un primo mutamento attiene ai diritti civili e di libertà. essi non connotano più lo status giuridico proprio del citta-dino, in quanto si sono ormai affermati come diritti dell’uo-mo che gli Stati sono tenuti a riconoscere indipendentemente dalla sua cittadi-nanza. oggi tali diritti hanno trovato la loro consacrazione e codificazione in vari, importanti atti di diritto internazionale a partire dalla Dichiarazione universale

Lo status di cittadinoquale noi lo conosciamo

è una combinazionedi diritti e doveri

Globalizzazionee crisi dello Stato-nazionehanno creato una diversaconcezione di cittadinanza

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dei diritti dell’uomo adot-tata dall’oNU nel 1948. Si tratta di atti in genere elaborati e promossi da organizzazioni internazio-nali che poi si adoperano perché siano rispettati e applicati. essi – anche se non sempre e non da tutti – vengono riconosciuti come fonte giuridica superiore a quelle nazionali. ma an-che nelle stesse Costituzioni nazionali i diritti di libertà vengono spesso attribuiti agli individui in quanto tali e non ristretti ai cittadini. Basti pensare all’articolo 2 della Costituzione italiana e a varie altre disposizioni della sua Prima Parte. All’estensione ai non cittadini appare poi spesso orientata la giurisprudenza degli organi di giustizia costituzionale, come quella della Corte italiana, partico-larmente aperta in questo senso. Per quanto riguarda la legislazione italiana, va ricordato che il primo comma dell’articolo 2 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D.lgs. 286/1998) riconosce allo straniero «i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai prin-cipi internazionali generalmente riconosciuti». Un fenomeno analogo si è prodotto anche per i diritti nell’area economico-sociale. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, negli stati democratici europei, lo statuto giuridico degli stranieri è stato progressivamente assimilato a quello dei cittadini in materia di salari, diritto del lavoro e della sicu-rezza sociale. Per quanto riguarda l’italia, importanti norme in tema di rapporti dello straniero con la pubblica amministrazione e di accesso ai pubblici servizi sono contenute nel citato testo unico del 1998 che prevede, tra l’altro, la piena fruibilità del Servizio sanitario nazionale da parte dello straniero legittimamen-te residente o presente nel territorio italiano. la Corte costituzionale è andata anche più avanti e, con la sentenza 252/2001, sulla base del nucleo irriducibile del diritto alla salute garantito dall’articolo 32 della Costituzione, ha riconosciuto anche allo straniero presente irregolarmente nello Stato il diritto di fruire di pre-stazioni sanitarie indifferibili e urgenti. meno permeabile a questo fenomeno è l’area dei diritti di partecipazione po-litica. ma anche qui non si può dimenticare la Convenzione del Consiglio d’euro-pa sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale del 1992, che, oltre al riconoscimento dei diritti di riunione e associazione, prevede anche il diritto di elettorato attivo e passivo a livello locale. il riconoscimento dei diritti politici a livello locale si fonda sull’idea che lo straniero residente debba avere la possibili-tà di partecipare ai processi di decisione politica della comunità locale in quanto contribuisce alla sua vita e al suo sviluppo. Alcuni paesi nord europei hanno già

Un passo ulterioreverso l’integrazioneè il diritto di votoa livello locale

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da anni intrapreso questa strada e anche in italia l’argomento è da qualche anno nell’agenda politica, ma un freno è costituito dalla necessità di una legge costi-tuzionale che, superando il disposto dell’articolo 48 della Costituzione, riconosca espressamente un tale diritto agli stranieri. Si delineano così i contorni di una cittadinanza che è stata detta “amministrativa” perché ristretta a livello locale. A costituire il nucleo proprio e irriducibile della cittadinanza rimangono il diritto di residenza, senza il quale può essere negato l’accesso al territorio dello Stato e sono possibili misure di espulsione, impedendo così o rendendo preca-rio l’esercizio di ogni altro diritto, e i diritti politici il cui esercizio influisce sulla

vita dell’intera collettività statale. Anche sul versante dei dove-ri i mutamenti non sono stati meno significativi. Una profonda trasformazione ha subito il dovere di difesa con l’affermazione sempre più estesa degli eserciti professionali in luogo della leva generalizzata e obbligatoria (fenomeno che ha interessato anche l’italia) l’obbligazione di difesa della nazione certo non sparisce e rimane inscritta nei testi costituzionali (vedi l’articolo 52 della Costituzione italiana), ma indubbiamente diviene meno

immediatamente percepibile e ciò non resta senza influenza sulla percezione complessiva dei vincoli derivanti dalla cittadinanza. È questo il segno di un fenomeno di più ampia portata che tende a cambiare il senso stesso della cittadinanza. essa tende a divenire una lista di prerogati-ve, un semplice statuto individuale di diritti. Si comprende quindi come sia stata prospettata l’idea di una cittadinanza-residenza, cioè di un’assimilazione dei due status finora nettamente distinti. la partecipazione di fatto alla vita della società dovrebbe dare titolo (dopo un periodo di residenza non troppo prolungato) all’au-tomatico acquisto della cittadinanza, in un certo senso riproducendo a livello na-zionale la situazione della cittadinanza amministrativa cui prima si è fatto cenno. l’idea di una facilità di acquisto dello status di cittadino, unita alla facilità di spo-stamento da uno Stato all’altro, proprio del mondo globalizzato, ha portato anche a prefigurare una cittadinanza cosmopolita. Per altro verso si è affermata l’esigenza di tutelare oltre ai tradizionali diritti della cittadinanza, anche quelli cosiddetti “culturali”. Si tratterebbe del diritto dei singoli di coltivare valori e tradizioni culturali specifici, sia singolarmente, sia

La cittadinanza tendesempre più a diventareuna lista di prerogative

e viene spesso associataal concetto di residenza

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prevalentemente all’interno di gruppi sociali tendenzialmente minoritari e for-mati su base etnica, religiosa o linguistica. È in sostanza il tema del multicultura-lismo che è divenuto di attualità con l’imponente fenome-no migratorio verso l’occidente dai paesi del terzo mondo, ma che attiene anche alla tutela di minoranze già presenti all’interno degli Stati-nazionali prima dell’esplosione del fenomeno migratorio. È stata così sviluppata l’idea di una cittadinanza differenziata o multiculturale, vale a dire di dif-ferenti statuti di cittadinanza a seconda dell’appartenenza ai diversi gruppi sociali. la cittadinanza nazionale verrebbe così segmentata, an-che se con una base comune. Si è dunque di fronte a un superamento completo del concetto tradizionale di cittadinanza? la mia risposta è che, per quanto sia mutato, e di molto, il quadro complessivo di riferimento, la cittadinanza non si risolve in un elenco di posizioni giuridiche personali e ad essa è connesso un elemento specifico che ne caratte-rizza l’essenza. la cittadinanza esprime un legame particolare con la comunità nazionale: un’adesione ai suoi valori fondanti, il sentimento di partecipare a un destino comune. A conferma di questo ordine di idee si può ricordare che la Corte di giustizia internazionale, nella ben nota sentenza sul caso Nottebohm del 1955, che rima-ne ancora un punto fermo in materia, ha definito la cittadinanza “a legal bond having as its basis a social fact of attachment, a genuine connection of existence,

interests and sentiments, together with the existence of reci-procal rights and duties”. la Corte costituzionale italiana, per parte sua, nella sentenza 62/1994 ha individuato l’essenza della cittadinanza in «un legame ontologico con la comunità nazionale» e quindi in «un nesso giuridico costitutivo con lo Stato italiano» di cui lo straniero è privo. Questa visione della cittadinanza, che è strettamente

connessa al delinearsi in epoca moderna dello Stato-nazione, mi sembra da con-dividere ancora oggi considerando, da un lato, l’affermarsi di principi democratici che rendono il cittadino partecipe dei processi di decisione politica afferenti alla collettività nazionale, dall’altro, l’affermarsi dei diritti della persona che hanno ampliato la sfera giuridica soggettiva degli stranieri residenti. Si deve inoltre considerare che lo Stato-nazione, pur in un periodo di grandi mutamenti che ne mettono in discussione i presupposti, sta dimostrando un vitalità insospettata da parte di coloro che ne hanno pronosticato il superamento.

Ritornando quindi alla situazione italiana, è ragionevole pensare a un aggior-namento della legge del 1992, ma occorre agire con prudenza. il nodo del

problema è costituito dall’imponente fenomeno migratorio da paesi extracomu-nitari che ha interessato l’italia. Gli immigrati godono di diritti civili e sociali solo

Tuttavia l’essere cittadinoesprime ancora un legamecon la comunità nazionalee l’adesione ai suoi valori

Facilità di spostamentie velocità di acquisizioneportano a prefigurareuna cittadinanza cosmopolita

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per il fatto di risiedere legalmente nel territorio dello Stato, ma non accedono fa-cilmente alla cittadinanza. essi costituiscono una percentuale sempre crescente di popolazione socialmente attiva che rimane esclusa dai diritti politici. Da alcuni questa situazione è giudicata alla lunga insostenibile e si propone di facilitare l’accesso alla cittadinanza. Se appare ragionevole evitare il consolida-

mento di una fascia consistente di popolazione in un certo sen-so “di seconda categoria”, l’acquisto della cittadinanza non può essere declassato da coronamento di un’integrazione già avve-nuta, di un’identità già acquisita a strumento dell’integrazione (peraltro inefficace nei confronti di chi non può essere integrato per ragioni oggettive o di chi rifiuta l’integrazione). Non è al-lentando troppo i criteri per l’acquisto della cittadinanza che si raggiungerà l’obiettivo di concederla solo a chi sia realmente

integrato nel nostro Paese. Si può quindi pensare di ridurre il periodo di residenza in italia necessario per chiedere la naturalizzazione, che è di dieci anni ed è il più elevato tra i paesi europei (anche se non siamo i soli). Problematica mi appare un’apertura ecces-siva allo ius soli. Si potrebbe semmai, secondo l’esempio francese, mantenere l’acquisto della cittadinanza per il figlio di stranieri nato in italia al raggiungi-mento della maggiore età, rendendo tuttavia meno rigida l’attuale disciplina che richiede una residenza ininterrotta dalla nascita alla maggiore età. Si può favorire l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri, adulti o minori, che abbiano seguito corsi di istruzione in italia, ma probabilmente è opportuno prevedere qualche requisito aggiuntivo. in generale, comunque, una politica di maggiore apertura deve essere accompagnata da una verifica non formale della reale integrazione linguistica e sociale di chi aspira alla cittadinanza italiana. Per altro verso, si deve colpire il fenomeno delle unioni di comodo, rendendo meno agevole la trasmissione della cittadinanza tramite matrimonio e richieden-do condizioni che siano indice dell’esistenza di un vincolo reale. Una riflessione particolare merita il favore inscritto nel nostro ordinamento per la doppia cittadinanza. È ragione-vole pensare di mantenerlo nel momento in cui si voglio-no aprire le frontiere della cittadinanza? o non sarebbe più sensato chiedere a chi vuole divenire italiano una rinuncia alla cittadinanza di origine, proprio come prova dell’integrazione nella nostra so-cietà? Una tale ipotesi è consentita dalla Convenzione europea sulla nazionalità, sottoscritta a Strasburgo il 6 novembre 1997, che l’italia però non ha ancora rati-ficato (articolo 15 lett. b). Né va dimenticato che la doppia o plurima cittadinanza è vista con sfavore dall’ordinamento internazionale e che l’italia ha sottoscritto e ratificato la Con-venzione di Strasburgo del 6 maggio 1963, in vigore tra alcuni paesi europei, volta proprio alla riduzione dei casi di cittadinanza plurima. Appare singolare che la

Si potrebbe pensarea ridurre il periodo

di residenza in Italianecessario per chiedere

la naturalizzazione

Occorre un giro di vitesulle unioni di comodorichiedendo l’esistenzadi un vincolo reale

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Primo PiANo | UNA NUOVA CITTADINANZA ac

doppia cittadinanza sia vietata nei confronti di chi possiede la citta-dinanza di un altro paese dell’Unione europea e consentita per chi possiede quella di paesi extracomunitari. infine, occorre riflettere approfonditamente sugli effetti distorsivi che può avere sulla rappresentanza politica la ti-tolarità di una seconda cittadinanza oltre a quella italiana. Quale delle due rappresenta il legame effettivo che è alla base dell’istituto stesso della cittadinanza? in altre pa-role, poiché alla titolarità della cittadinanza è connesso l’esercizio dei diritti politici, non sarebbe prudente ri-chiedere che essi possano essere esercitati da chi non ha altri legami di appartenenza? Non mi nascondo che il tema è molto delicato sotto diversi aspetti. Si deve infatti tener conto che alcuni paesi islamici prevedono una sorta di “nazio-nalità perpetua” ovvero non contemplano l’ipotesi della rinuncia alla cittadinanza. resta il fatto che il duplice vincolo di fedeltà connesso allo status di cit-tadino può comportare seri problemi, soprattutto se si tratta di paesi non legati da vincoli comuni e che possono entrare in conflitto tra loro. il problema della doppia cittadinanza involge anche l’attuale applicazione nella nostra legislazio-ne dello jus sanguinis, che consente a molti italiani di origine di mantenere lo status di cittadini anche se hanno sempre vissuto in altri paesi, hanno lì il centro dei loro interessi e ne hanno acquisito la cit-tadinanza. essi possono esercitare i diritti politici previsti dalla nostra Costituzione senza partecipare del destino del Paese. Anche qui un argine potrebbe essere immaginato, eventualmente senza giungere alla modifica delle regole sulla cittadinanza, ma solo collegando l’esercizio dei diritti ad essa connessi a qualche ulteriore requisito. le politiche della cittadinanza incidono sull’iden-tità nazionale e devono essere maneggiate con pruden-za perché se è vero che lo Stato democratico è aperto all’inclusione, rimane ancora vero che la cittadinanza è un principio di lealtà politica e l’acquisto della qualità di cittadino richiede un presupposto indefettibile: l’adesione ai valori fondanti della comunità nazionale e una partecipazione alle sue sorti.