ACCORDO DI PROGRAMMA - Insula · Per Accordo di programma tout courtè generalmen-te inteso...

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3 ACCORDO DI PROGRAMMA (EX ART. 5, LEGGE 139/92) Stato Regione Comune totale (in milioni di lire) Malamocco-Alberoni 39.781 17.684 24.392 81.857 Pellestrina-San Pietro in Volta 6.000 25.000 5.000 36.000 Sant’Erasmo 124.101 17.738 56.203 198.042 Burano 58.252 28.827 46.570 133.649 Tolentini 2° stralcio 13.299 7.321 3.183 23.803 totale 241.433 96.570 135.348 473.351 Per Accordo di programma tout court è generalmen- te inteso l’atto previsto dall’art. 5 della legge specia- le del 5 febbraio 1992 n° 139 e sottoscritto il 3 agosto 1993 tra Magistrato alle Acque, Regione Veneto, Comune di Venezia. Tale accordo, stipulato ai sensi e per gli effetti dell’art. 27 della legge 8 giugno 1990 n° 142 (Ordinamento delle autonomie locali), si propo- neva di realizzare “il coordinamento nella fase realiz- zativa e la necessaria integrazione delle risorse al fine dell’esecuzione in forma unitaria degli interven- ti di competenza del Comune di Venezia finalizzati alla manutenzione dei rii e alla tutela e conservazio- ne del patrimonio edilizio prospiciente i rii, nonché degli interventi di competenza della Regione Veneto volti alla realizzazione delle opere igienico-sanitarie nel territorio del Comune di Venezia, ed infine agli interventi ‘per insulae’ di competenza dello Stato volti alla difesa dalle acque alte”. Tale accordo doveva in sostanza creare sinergia tra i vari soggetti aventi competenze diverse su medesimi territori o porzioni di territorio urbano, sui quali era prevista la realizzazione di progetti “integrati” (di consolidamento e ristrutturazione edilizia e di urba- nizzazione primaria, di scavo e smaltimento dei fan- ghi, di sistemazione e risanamento della rete fognaria esistente, di opere per la difesa dalle acque alte, ecc.) facendovi confluire finanziamenti provenienti da assegnazioni diverse, ma individuando un soggetto attuatore unico (generalmente lo stesso detentore delle principali competenze coinvolte). Il Comune di Venezia è stato individuato come il sog- getto attuatore del “progetto integrato rii”, con principale riferimento ai rii interni di Venezia e delle isole; il Magistrato alle Acque si occupa dei grandi marginamenti lagunari, delle sponde prospicienti il canale della Giudecca e il bacino di San Marco e delle “insulae” intese come difesa locale perimetra- le dalle acque alte, la Regione, pur non partecipando direttamente alla fase realizzativa, contribuisce attraverso le proprie assegnazioni di fondi agli inter- venti inerenti al risanamento igienico-sanitario. Nel febbraio 1997 venivano stipulati fra i tre soggetti istituzionali distinti accordi di programma per l’ese- cuzione di altrettanti interventi di risanamento igie- nico-edilizio e/o di difesa dalle acque alte per Malamocco-Alberoni, Pellestrina-San Pietro in Volta, Sant’Erasmo, Burano, Riviera San Nicolò al Lido, Percorso dei Tolentini, Insula di piazza San Marco. Nel complesso erano stanziati finanziamenti per un valore di 473 miliardi di lire circa, pari a 244 milioni di euro. La tabella riporta la suddivisione di tali fondi per progetto e per ente erogatore dei finanziamenti. Il grado di avanzamento dei progetti integrati è diffe- renziato: dal progetto Tolentini ormai prossimo al completamento a quello molto vasto e complesso di Burano, che non avrà termine prima del 2010. I finanziamenti degli Accordi di programma del 1997 suddivisi per ente erogatore e per progetto A

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ACCORDO DI PROGRAMMA (EX ART. 5, LEGGE 139/92)

Stato Regione Comune totale(in milioni di lire)

Malamocco-Alberoni 39.781 17.684 24.392 81.857Pellestrina-San Pietro in Volta 6.000 25.000 5.000 36.000Sant’Erasmo 124.101 17.738 56.203 198.042Burano 58.252 28.827 46.570 133.649Tolentini 2° stralcio 13.299 7.321 3.183 23.803

totale 241.433 96.570 135.348 473.351

Per Accordo di programma tout court è generalmen-te inteso l’atto previsto dall’art. 5 della legge specia-le del 5 febbraio 1992 n° 139 e sottoscritto il 3 agosto1993 tra Magistrato alle Acque, Regione Veneto,Comune di Venezia. Tale accordo, stipulato ai sensi eper gli effetti dell’art. 27 della legge 8 giugno 1990 n°142 (Ordinamento delle autonomie locali), si propo-neva di realizzare “il coordinamento nella fase realiz-zativa e la necessaria integrazione delle risorse alfine dell’esecuzione in forma unitaria degli interven-ti di competenza del Comune di Venezia finalizzatialla manutenzione dei rii e alla tutela e conservazio-ne del patrimonio edilizio prospiciente i rii, nonchédegli interventi di competenza della Regione Venetovolti alla realizzazione delle opere igienico-sanitarienel territorio del Comune di Venezia, ed infine agliinterventi ‘per insulae’ di competenza dello Statovolti alla difesa dalle acque alte”.Tale accordo doveva in sostanza creare sinergia tra ivari soggetti aventi competenze diverse su medesimiterritori o porzioni di territorio urbano, sui quali eraprevista la realizzazione di progetti “integrati” (diconsolidamento e ristrutturazione edilizia e di urba-nizzazione primaria, di scavo e smaltimento dei fan-ghi, di sistemazione e risanamento della rete fognariaesistente, di opere per la difesa dalle acque alte, ecc.)facendovi confluire finanziamenti provenienti daassegnazioni diverse, ma individuando un soggetto

attuatore unico (generalmente lo stesso detentoredelle principali competenze coinvolte). Il Comune di Venezia è stato individuato come il sog-getto attuatore del “progetto integrato rii”, conprincipale riferimento ai rii interni di Venezia e delleisole; il Magistrato alle Acque si occupa dei grandimarginamenti lagunari, delle sponde prospicienti ilcanale della Giudecca e il bacino di San Marco edelle “insulae” intese come difesa locale perimetra-le dalle acque alte, la Regione, pur non partecipandodirettamente alla fase realizzativa, contribuisceattraverso le proprie assegnazioni di fondi agli inter-venti inerenti al risanamento igienico-sanitario.Nel febbraio 1997 venivano stipulati fra i tre soggettiistituzionali distinti accordi di programma per l’ese-cuzione di altrettanti interventi di risanamento igie-nico-edilizio e/o di difesa dalle acque alte perMalamocco-Alberoni, Pellestrina-San Pietro in Volta,Sant’Erasmo, Burano, Riviera San Nicolò al Lido,Percorso dei Tolentini, Insula di piazza San Marco.Nel complesso erano stanziati finanziamenti per unvalore di 473 miliardi di lire circa, pari a 244 milionidi euro. La tabella riporta la suddivisione di tali fondiper progetto e per ente erogatore dei finanziamenti.Il grado di avanzamento dei progetti integrati è diffe-renziato: dal progetto Tolentini ormai prossimo alcompletamento a quello molto vasto e complesso diBurano, che non avrà termine prima del 2010.

I finanziamenti degli Accordi di programma del 1997 suddivisi per ente erogatore e per progetto

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ACCORDO DI PROGRAMMA PER LA CHIMICA DI PORTO MARGHERA

Il porto e l’area industriale di Porto Marghera, sortinegli anni venti per iniziativa di imprenditori e finan-zieri locali, ma con un determinante sostegno pub-blico grazie al suo principale promotore, GiuseppeVolpi, ministro delle Finanze dell’epoca, conosceran-no un costante sviluppo fino alla prima metà deglianni sessanta, quando il livello dell’occupazione rag-giungerà 35 mila unità. Il primigenio nocciolo dell’e-lettrometallurgica e della cantieristica si arricchiràvia via di una vasta gamma di produzioni in vari set-tori: siderurgica, alluminio, coke e vetro, chimica,energia, alimentare. Il settore della chimica e deiderivati del petrolio con quasi 15 mila addetti daràl’impronta a Porto Marghera, almeno fino al fatidiconovembre del 1966. La grande mareggiata influiràinfatti sul destino del polo industriale, perché lalegge speciale del 1973 che ne è seguita, segnerà difatto il blocco dell’espansione dell’area industriale aibordi della laguna, anche se il piano comprensoria-

le (dalla stessa legge previsto ma mai approvato)affermerà genericamente che i livelli occupazionaliandavano salvaguardati. In realtà sono almeno quattro i fattori concomitantiche decreteranno il declino di Porto Marghera:– la crisi dell’industria di base (siderurgia, ciclo del

carbone, alluminio) iniziata con la crisi energeticadel 1973 e accelerata dai grandi cambiamenti nellaspecializzazione internazionale del lavoro;

– e in particolare, la crisi del settore chimico, passa-to attraverso drammatiche vicende nazionalidurante gli anni ottanta;

– il conseguente drastico ridimensionamento delruolo pubblico delle “partecipazioni statali”;

– la crescente sensibilità alla questione ambientale.Tutto ciò e altro ancora ha posto le basi per una rapi-da riconversione di Porto Marghera, che tra dismis-sioni e ristrutturazioni ha visto contrarre fortementel’occupazione. Sono tuttavia ancora in pieno eserci-zio importanti attività: la raffinazione del petrolio, laproduzione di base per le materie plastiche (polime-ri), la produzione dei semilavorati di alluminio, lacantieristica, quest’ultima caratterizzata da un note-vole sviluppo. Oggi l’occupazione a Porto Marghera èscesa a meno di 15 mila unità, delle quali non più di5 mila addette alle lavorazioni chimiche. Sono questeultime le più contestate, non solo dalle organizzazio-ni ambientaliste, che denunciano il “ricatto occupa-zionale” posto in atto dall’industria per manteneretalune produzioni considerate assai pericolose per lasalute degli addetti e per l’ambiente circostante. Trail marzo 1998 e il novembre del 2001 si è svolto unlungo processo che ha visto alla sbarra 28 dirigenti di

Montedison e Enichem responsabili secondo l’accu-sa della morte per angiosarcoma di lavoratori addet-ti alla produzione del cloruro di vinile monomero(Cvm) negli anni settanta. Il pubblico ministeroFelice Casson chiederà 185 anni di reclusione e 71miliardi di lire di risarcimento, ma sarà pronunciatauna sentenza di assoluzione per tutti. Prima di talesentenza la Montedison concordava con il Ministerodell’Ambiente un risarcimento pari a 525 miliardi dilire a seguito del quale il Ministero rinunciava all’a-zione di parte civile.Diverso il comportamento dell’Enichem che, forteanche della sentenza assolutoria sul piano penale,riteneva di affrontare il procedimento giudiziario sulpiano del risarcimento.Ovviamente, la sicurezza ambientale odierna rispettoa quella degli anni settanta è assai migliorata a segui-to dell’entrata in vigore di stringenti norme europeeed alla sottoscrizione dell’Accordo sulla Chimica chehanno comportato massicci investimenti sulla sicu-rezza e sulla salvaguardia ambientale.

Contenuti e risultati dell’Accordo

Il 21 ottobre 1998 veniva siglato a Roma un Accordodi programma per la Chimica di Porto Marghera, alfine di attuare un progetto unitario di riconversionedi quell’area industriale, principalmente finalizzato alrecupero ambientale e allo sviluppo sostenibile. I fir-matari dell’accordo erano: i Ministeri dell’Industria,dell’Ambiente e dei Lavori Pubblici, la RegioneVeneto, la Provincia e il Comune di Venezia,l’Autorità Portuale e le parti sociali (Unindustria diVenezia, Federchimica, Ente zona industriale, CGIL,CISL e UIL). Sottoscrivevano inoltre l’accordo lesocietà petrolchimiche insediate a Porto Marghera:Enichem, EVC, Agip, Agip Gas, Ambiente spa(Gruppo ENI), Edison Termoelettrica, Elf Atochem,Esso Italiana, Api, Ausimont, Montefibre, Crion,Sapio, San Marco Petroli, Decal. Tale Accordo, che è stato approvato con Dpcm del 12febbraio 1999, prevede l’attivazione di circa 710milioni di euro di investimenti privati, volti all’inno-vazione tecnologica e alla messa in sicurezza degliimpianti chimici, allo scavo dei canali portuali e allosmaltimento dei relativi fanghi, nonché all’avvio diun vasto programma di bonifica e controllo ambien-tale. Tra gli obiettivi dell’accordo anche la salvaguar-dia dei livelli occupazionali e la sicurezza sul lavoro. Il 15 dicembre 2000 è stato sottoscritto l’atto integra-tivo, successivamente approvato con Dpcm nelnovembre 2001. Tale documento definiva le linee di intervento per realizzare le bonifiche attraverso

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l’adozione di un Master Plan, che dovrà individuare: a) le tipologie degli interventi di risanamento ritenu-

te tecnicamente ed economicamente praticabiliapplicando le migliori tecniche disponibili, garan-tendo comunque il mantenimento delle produzio-ni industriali e privilegiando gli interventi chefavoriscono il trattamento nel sito ed il riutilizzodel suolo, del sottosuolo e dei materiali di riportosottoposti a bonifica;

b) le modalità organizzative e le soluzioni tecnologi-che per lo stoccaggio, il trattamento e lo smalti-mento dei materiali che dovranno essere sottopo-sti a bonifica;

c) la temporalizzazione degli interventi;d) la valutazione di massima dei costi, della quale

terrà conto il Ministero dell’Ambiente nella predi-sposizione dei programmi finanziari (di cui alpunto 3 dell’art. 1 della legge 526/98);

e) i criteri per il monitoraggio dell’attuazione delMaster Plan;

f) i criteri per rendere coerenti gli interventi pubbli-ci e privati (di cui al punto 3.1 dell’allegato 1dell’Accordo per la Chimica, nonché del PianoDirettore 2000).

A quattro anni di distanza dall’approvazionedell’Accordo sulla Chimica, la valutazione dei risultatiottenuti con l’applicazione dello stesso consente diaffermare che tale accordo si è dimostrato un validostrumento per conseguire l’obiettivo della realizzazio-ne delle condizioni di coesistenza tra la tutela dell’am-biente e lo sviluppo produttivo del settore chimico.Si osserva infatti che:• è stato realizzato il progetto Petroven che, attra-

verso una concentrazione e razionalizzazionedegli impianti di stoccaggio e di distribuzione delpetrolio, ha consentito di dimezzare il traffico dinavi cisterne in laguna e di ridurre drasticamentela movimentazione di autobotti nelle ore di puntadel traffico;

• è stato avviato il Simage (Sistema integrato per ilmonitoraggio ambientale e la gestione del rischioindustriale e delle emergenze) che, una volta rea-lizzato, consentirà il rilievo tempestivo di inci-denti industriali e da trasporto di sostanze tossi-che o pericolose, il controllo e la gestione del tra-sporto di tali sostanze per strada, ferrovia, mare,la gestione delle emergenze ambientali e inciden-tali, il controllo stesso dell’efficacia degli inter-venti di risanamento per l’area di Marghera. Pertale progetto la Regione ha preventivato unaspesa di 4,5 milioni di euro di cui 3 già stanziati;

• sono stati effettuati tutti gli accertamenti sullostato di compromissione dei fondali dei canaliindustriali ed avviata la loro bonifica e contermi-nazione degli argini con la realizzazione di 3 km dimarginatura e l’approvazione di progetti per ulte-riori 34 km su 60 previsti dall’intero intervento;

• è stata completata la caratterizzazione dei suolidell’intero Petrolchimico secondo una maglia di100 m di lato;

• tutte le imprese hanno attuato la certificazioneambientale ISO 14001. Le imprese inoltre hannorealizzato circa il 75% degli investimenti per lamessa in sicurezza e il miglioramento ambientaleprevisti dall’Accordo (vedi tabella seguente).

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investimenti previsti investimenti realizzati(in euro) (in euro)

Enichem, AmbienteDow Poliuretani, Polimeri Europa 576.000.000 282.000.000EVC 60.400.000 57.423.000Edison Termoelettrica 130.000.000 130.000.000Agip Petroli 23.900.000 23.900.000Ausimont 7.050.000 7.050.000Montefibre 8.220.000 8.140.000Decal 5.200.000 6.400.000totale 710.770.000 514.913.000

investimenti realizzati e non previsti(in euro)

Ausimont 20.300.000Montefibre 700.000Atofina 3.400.000Crion - Sapio 3.500.000San Marco Petroli 4.500.000totale 32.400.000

Gli investimenti per la messa in sicurezza e il miglioramento ambientale previsti dall’Accordo di programma per la Chimica

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L’incidente all’impianto TDI

Il 28 novembre 2002, alle ore 19.40, scoppiava unincendio alla Dow Poliuretani Italia a PortoMarghera, nel reparto Td5 dell’impianto TDI dove siproduce una sostanza tossica usata per la produzio-ne dei poliuretani. L’impianto TDI è uno dei 54 censi-ti a Porto Marghera considerati a rischio di inciden-te, che trattano e stoccano circa 1,2 milioni di ton-nellate di prodotti pericolosi. L’incendio del 28 novembre era seguito all’esplosionedi un serbatoio contenente peci clorurate e scarti dilavorazione. Scattava l’allarme e i Vigili del Fuococon gli altoparlanti invitavano la popolazione a rima-nere in casa. L’incendio veniva prontamente domatoe alle ore 22 cessava l’emergenza. Dopo il rogo scop-piano le polemiche, si indaga sulle cause e su even-tuali ritardi nel dare l’allarme. Viene aperta un’in-chiesta della magistratura e l’Arpav effettua il moni-toraggio dell’ambiente per valutare l’entità e la peri-colosità delle dispersioni. Le prime valutazionidell’Arpav escludono che si siano verificati danni perl’ambiente. Si susseguono dibattiti e assemblee, sirimette in discussione l’accordo di programma. I sin-dacati lo difendono e ne propugnano un migliora-mento e l’immediata e completa applicazione. Gliambientalisti chiedono di abbandonare definitiva-mente la chimica. Si chiede in particolare di sman-tellare il ciclo del cloro e di dar corso ad un pro-gramma effettivo di bonifiche.Si chiede l’intervento del Governo e il 7 febbraio2003 è convocata una riunione presso la Presidenza

del Consiglio, presenti i rappresentanti di Regione,Comune, Provincia, industria e sindacati, per discu-tere del complesso ed incerto futuro di PortoMarghera: il previsto potenziamento della produzio-ne dei polimeri, la dismissione di quella del caprolat-tame, i passaggi proprietari, ma specialmente il nododella sicurezza degli impianti e l’avvio delle bonifi-che. Mentre a Roma si discuteva a Mestre operai egiovani dei centri sociali arrivavano quasi allo scon-tro fisico.Dopo vari incontri il Comitato di Sorveglianza appro-vava in data 13 marzo 2003 un documento integrati-vo dell’Accordo per la Chimica nel quale le parti fir-matarie riconfermavano il loro impegno nel perse-guimento di condizioni di sviluppo sostenibile diPorto Marghera e individuavano tre condizioni indi-spensabili per perseguire tale obiettivo:1) una completa e tempestiva attuazione delle azio-

ni previste per garantire la sicurezza degli impian-ti e per fornire gli strumenti per una più completaed approfondita risposta in merito alla gestionedelle emergenze;

2) la completa realizzazione delle bonifiche neitempi auspicati superando l’attuale insufficienzadelle risorse finanziarie programmate;

3) l’attuazione di un effettivo intervento negli asset-ti produttivi in una prospettiva di riqualificazionedell’area industriale.

Lo sviluppo di questi tre punti prevedeva una seriearticolata di interventi che trovava l’accordo delleistituzioni e delle parti sociali.

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ACQUA ALTA

Con questo termine i Veneziani indicano da semprela marea che invade, specie in alcuni periodi dell’an-no e per breve tempo, alcune zone più basse dellacittà. Come è noto, la marea è un fenomeno natura-le, che consiste nel ritmico oscillare del livello delmare in conseguenza delle attrazioni gravitazionalireciproche che insistono tra i corpi celesti (princi-palmente la Luna e il Sole). L’ampiezza e il periododella marea astronomica variano da mare a mare: ingenerale nel Mediterraneo l’oscillazione è contenuta(un paio di decimetri), mentre nell’Adriatico essa èpiù ampia e nel Golfo di Venezia raggiunge l’ampiez-za maggiore con 120 cm.Le massime ampiezze, come è noto, sono registratenel periodo di novilunio e plenilunio (sizigie), quan-do si presentano regolarmente con due alte e duebasse maree nelle 24 ore. Nei periodi di primo ed ulti-mo quarto (quadrature) si possono presentare conuna sola alta marea e una sola bassa, di solito menoampie e regolari. Gli eventi meteorologici (pressione,venti, ecc.) possono provocare alterazioni in più o inmeno (componente meteorologica).A Venezia centro storico il valore di marea viene rile-vato ufficialmente presso la stazione mareografica diPunta della Salute. È considerata “normale” la mareache oscilla all’interno dei limiti di +80 e -50 cm rispet-to allo “zero” mareografico di Punta della Salute.Si considera convenzionalmente come marea “soste-nuta” quella che raggiunge valori compresi tra +80 e+109 cm, ed “eccezionale” quella che uguaglia osupera i +110 cm. Dal 1981, anno in cui è stato atti-vato il Centro previsioni e segnalazioni maree, quan-do si stima di raggiungere e superare tale quota entrain funzione un sistema di segnalazione a mezzo disirene (in numero di otto nel centro storico e altret-tante distribuite nelle isole e sul litorale) per avverti-re in anticipo i cittadini e predisporre le passerelleper la viabilità pedonale.

Le acque alte nella storia

Si ha memoria storica di “acque alte” a Venezia findall’anno 569, per un riferimento nella Historia

Langobardorum di Paolo Diacono. Altre seppurvaghe citazioni storiche in proposito risalgono aglianni 782, 840, 885. Più precisi nelle date e nei livelli sono i riferimentinel secondo millennio: • 23 settembre 1240 (invase le strade più che ad

altezza d’uomo) • 25 febbraio 1341 (due piedi e anche più)• 1386 (otto piedi più del solito)• 10 agosto 1410 (acqua grande crescente per tutta la

terra che non fu mai veduta)

• 11 maggio 1428 (cinque piedi sopra la terra)• 2 maggio 1429 (l’acqua per lo scirocco salì di cinque

piedi)• 10 novembre 1442 (l’acqua crebbe quattro passi

sopra l’ordinarietà)• 3 ottobre 1535 (si ebbe tanta acqua che i pozzi furo-

no danneggiati)• 20 dicembre 1535 (l’acqua entrò nelle case e dis-

trusse i pozzi)• 21 novembre 1550 (il mare si alzò ad una altissima

altezza)• 2 novembre 1559 (per le strade acque alte un brac-

cio)• 12 ottobre 1574 (il Lido di Chioggia si rompe in cin-

que punti)• 18-19 dicembre 1600 (le barche percorrevano piaz-

za San Marco e le strade)• novembre 1686 (le fondamente quasi tutte som-

merse e le gondole entravano nelle Mercerie)• 21 dicembre 1727 (l’acque arrivarono agli scalini

dell’altar maggiore di Sant’Antonino)• 5 dicembre 1839 (acqua alta fino ai primi gradini

della porta del Seminario alle Zattere)

Va precisato che in passato, prima della diversionedei fiumi dalla laguna, molte inondazioni erano dovu-te allo straripare di questi. Dal 1848 le citazioni sonoancora più precise grazie all’istituzione del GenioCivile di Venezia: ad esempio, nel 1848 l’acqua rag-giunse +140 cm e nel 1867 +153 cm. Nel XX secolooccorre giungere al fatidico evento del 4 novembre

1966, per registrare (e purtroppo superare ampia-mente) simili livelli.Su dieci eventi uguali o superiori a +140 cm registra-ti nel secolo appena trascorso (vedi tabella seguen-te) nove sono accaduti nella seconda metà delNovecento, di cui sei nel ventennio 1966-86.

ore cm

16 aprile 1936 21.35 14712 novembre 1951 8.05 15115 ottobre 1960 7.55 1454 novembre 1966 18.00 1943 novembre 1968 7.30 14417 febbraio 1979 1.15 14022 dicembre 1979 9.10 1661 febbraio 1986 3.45 1588 dicembre 1992 10.10 1426 novembre 2000 20.35 144

Eventi di marea superiori a +140 cm accaduti durante il XX secolo

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Nel nuovo secolo appena cominciato si è già regi-strato un evento di questa portata sabato 16 novem-bre 2002 alle 9 di mattina con +147 cm. Evento nonisolato, dal momento che tra il 14 novembre e l’8dicembre si sono registrate ben 32 maree sopra gli 80cm, delle quali 10 sopra 110, 5 sopra 120 e una, comesi è detto, sopra 140 cm, confermando il 2002 unodegli anni record in questo campo.

La tendenza nel Novecento e gli scenari futuri

Come si può osservare nel grafico seguente cheriporta la distribuzione delle maree dal 1986 al 1999,durante il secolo appena trascorso si è registrata unaevidente progressiva tendenza all’aumento della fre-quenza e del livello medio delle acque alte a Venezia.Nell’ultimo decennio del secolo si sono registrate2464 maree superiori a +60 cm, contro le 385 regi-strate nel decennio 1920-29, con un fattore moltipli-cativo di 6,4. Il 1996 è l’anno nel quale si è registratoil maggior numero di eventi di marea uguale o supe-riore a +80 cm. In quell’anno piazza SanMarco, l’area più bassa della città, è stata rag-giunta dall’acqua alta ben 101 volte.Specialmente nella parte finale del secolo, ilfattore meteorologico ha contribuito a man-tenere il livello del mare su valori elevatisuperiori alla media degli ultimi decenni.Il principale motivo dell’aumento di frequen-za delle alte maree è attribuito al fenomenodella subsidenza, sia di origine naturale, siadi origine antropica a causa degli emungi-menti di acqua e gas dal sottosuolo. È statostimato che la prima ha comportato unabbassamento del suolo di -4 cm nel secolo,

cui si devono aggiungere altri -10 cmper la seconda, di cui +2 recuperati,grazie all’elasticità dei terreni, dopol’arresto degli emungimenti negli annisettanta.Vi è poi il contributo di un altro feno-meno naturale: l’eustatismo, cioè l’in-nalzamento del livello medio del mareimputato allo scioglimento dei ghiaccidelle calotte polari a sua volta causatodall’aumento della temperatura mediaterreste (il cosiddetto “effetto serra”).Tale innalzamento è stato calcolato paria 11 cm. Pertanto, subsidenza più eusta-tismo avrebbero contribuito insiemecon -23 cm all’innalzamento del livellomedio del mare lungo il secolo scorso1.Quali sono le previsioni per il secoloappena cominciato?

L’Intergovermental Panel on Climate Change

(IPCC), che raccoglie gli esperti di clima più qualifi-cati del mondo, ha presentato recentemente delleproiezioni sull’aumento del livello del mare dal 1990al 2100. Tali proiezioni variano a seconda dei modelliutilizzati e mediamente presentano un intervallocompreso tra 9 e 11 cm nell’ipotesi “bassa” fino a 77-88 cm di aumento in quella “alta”, essendo il valorecentrale pari a 44-48 cm. Queste ipotesi sono al nettodella subsidenza naturale stimata pari a circa 4 cmper cui il valore centrale si collocherebbe tra 47-51cm. In generale si constata che le previsioni sonocaratterizzate da un elevato livello di incertezza.Recentemente il Co.Ri.La. (v. avanti Ricerca) ha pro-posto per l’area veneziana tre scenari al 2100 menodrammatici e precisamente:– “scenario più probabile” (SPP): +16,6 cm (12,3 di

eustatismo e 4,3 di subsidenza naturale);– “scenario probabile cautelativo” (SPC): 21-23 cm

(16,5-18,7 di eustatismo e 4,3 di subsidenza)

1 Secondo dati recenti da verificare, nell’ultimo decennio del secolo scorso la perdita del franco altimetrico si sarebbe ulteriormente aggra-vata di 3-4 cm.

Distribuzione del livello medio del mare a Venezia dal 1896 al 1999

Andamento relativo del livello del mare (scenari Co.Ri.La)

e

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– “scenario pessimistico” (SPe): 31,4 cm (aumentodel livello del mare di 27 cm più la subsidenza).

Si tratta comunque di valori significativi per la parti-colarissima situazione veneziana che non lasciamolto margine di manovra. Infatti, a titolo di esem-pio, dalle 9 acque alte superiori a 100 cm registratemediamente nell’ultimo trentennio del secolo scorsosi passerebbe con riferimento ai tre scenari suddettirispettivamente a 40, 55 e 128 acque alte nel 2100.

Le aree esondate e i danni subiti

Con l’accentuarsi della frequenza e dell’estensionedell’altezza delle acque alte, i disagi e i danni econo-mici aumentano di conseguenza fino a livelli sempremeno compatibili con una normale vita cittadina. Latabella riportata in calce, specifica per alcune quoteraggiunte dall’acqua alta l’ampiezza dell’area cittadi-na soggetta ad allagamenti. Data la disomogeneitàdel suolo veneziano, gli allagamenti avvengono “amacchia di leopardo” e generalmente interessanoper prime le aree adiacenti ai canali. Con una mareaa +100 cm sono state censite circa 600 aree esonda-te a Venezia, 70 a Murano e 40 a Burano. Dalla mappache raffigura le aree colpite da una acqua alta di +110cm, riportata nella pagina seguente, si nota subitoche i punti della città maggiormente allagati coinci-dono con l’area marciana e quella realtina (entrambioggetto di due impegnativi progetti di intervento dirialzo). Si evidenziano anche le fondamente nell’areadei Tolentini e di Cannaregio nord dove peraltro si ègià proceduto negli ultimi tre anni a rialzare laddovepossibile il selciato.I danni prodotti dalle acque alte sono di vario tipoessendo riconducibili ad almeno due categorie:danni alle strutture fisiche e danni socio-economici.I primi riguardano il degrado ed il deterioramentodelle murature anche attraverso il fenomeno dellacosiddetta “risalita capillare” dell’acqua salmastra. Ilprocesso di imbibimento, risalita capillare, successi-va evaporazione, cristallizzazione salina produce conil tempo la disgregazione delle malte e la desquama-

zione delle superfici murarie, non solo di quelle peri-metrali a contatto dell’acqua ma anche di quelleinterne.I danni di natura socio-economica sono il risultatodella interruzione di attività produttive, dei maggioritempi di spostamento e più in generale della perditadi benessere sia dei residenti che dei turisti (ancor-ché questi ultimi potrebbero non considerare i disagima al contrario essere attratti dall’emozione e dallaparticolarità di una Venezia con l’acqua alta).Entrambe le tipologie di danno sono di complessavalutazione e nell’ambito dello studio richiesto dal-l’applicazione della VIA nel 1998, la loro traduzionein termini monetari o in valutazioni di tipo ordinaleattraverso l’analisi costi-benefici ha portato a nonpoche contrapposizioni di ordine metodologico.

Le prospettive

Il primo degli obiettivi della legislazione speciale è ladifesa dalle maree eccezionali. Gli studi e gli appro-fondimenti seguiti all’evento del 1966 hanno eviden-ziato che la probabilità di ritorno di un tale evento è,sulla base dei dati storici, realisticamente assaibassa: una volta ogni 140 anni. Occorre infatti che siverifichi una concomitanza tra vari fattori che con-tribuiscono ad un sovralzo dell’Alto Adriatico (fatto-ri legati alle componenti astronomiche e meteorolo-giche). Si è già evidenziato che nel corso dell’ultimosecolo è stata verificata una tendenza all’aumentodella frequenza delle acque alte, essenzialmente acausa dei fenomeni di subsidenza del suolo. Ma per ilfuturo la vera “spada di Damocle” sembra essere rap-presentata dall’innalzamento del livello medio delmare attribuito allo scioglimento delle calotte polaria sua volta indotto dal già menzionato “effetto serra”(surriscaldamento del pianeta per l’eccessiva pre-senza nell’atmosfera delle emissioni di ossido di car-bonio). Quest’ultimo effetto, così invasivo e di scalaglobale, è ancora oggetto di studio e dibattito.I nuovi scenari di innalzamento del mare nel secoloappena cominciato hanno reso ancora più complica-

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quota alta marea superficie allagata n° di volte/anno* durata totale/anno

+ 80 0,1% 50 173h 40’+ 90 0,3% 20 67h 40’+100 3,5% 8,7 19h 7’+110 12% 3,6 8h 29’+120 35% 1,5 3h 43’+130 69% 1/1,5 anni+140 90% 1/5,5 anni

* media dell’ultimo trentennio

Ampiezza e numero degli allagamenti del centro storico a vari livelli di marea

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ta la scelta delle soluzioni da adottare per difendereVenezia e le isole dalle acque alte, inasprendo undibattito già molto acceso che si sviluppa ormai damolti anni e che ha visto contrapposti i fautori e glioppositori della separazione temporanea della lagu-na dal mare con gli sbarramenti alle bocche di porto.Gli oppositori hanno sempre sostenuto che l’elimina-zione di un numero limitato di eventi (3-4 volte all’an-no per 8 ore e mezza complessive con maree supe-riori a +110 cm che allagano il 12% della città) nonvaleva la spesa di migliaia di miliardi di lire che leopere mobili comportano, e gli impatti negativi chene deriverebbero sull’ambiente lagunare. Era suffi-

ciente dotarsi di un paio di stivali, secondo la famo-sa battuta provocatoria di Massimo Cacciari! Glioppositori delle opere mobili (il Mose) auspicavanopiuttosto interventi di difesa locale volti a ridurre intempi brevi e a costi contenuti i maggiori disagi peril limitato periodo di tempo in cui si verificano gliallagamenti. Ma gli scenari futuri prima descritti potrebbero met-tere in crisi tutti questi ragionamenti, compresi quel-li sul sistema più idoneo di separazione della lagunadal mare nella catastrofica prospettiva di una accele-razione dell’eustatismo.

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Aree esondate del centro storico con marea a +110 cm (1999)

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ARSENALE

Si vuole inserire in questo “dizionario” un riferimen-to specifico all’Arsenale di Venezia, perché questogrande complesso, questa vasta parte del corpo urba-no veneziano rappresenta un forte simbolo della sto-ria della città e il suo recupero, di cui tanto si parlaormai da tempo, potrebbe certamente rappresentarel’emblema della rinascita fisica e morale di Venezia.Oggi purtroppo l’antico e imponente Arzanà dellaSerenissima è piuttosto un simbolo della decadenzafisica e della ricerca faticosa della città di assumerenuovi ruoli per stare al passo con i tempi. Ma proprioper la sua valenza simbolica un reinserimentodell’Arsenale nella vita economica cittadina costitui-rebbe una fondamentale iniezione di fiducia e di spe-ranza per tutto il territorio veneziano. E ciò non soloper il glorioso passato che quel luogo evoca e perchéè stato il motore dell’economia veneziana e dellapotenza marittima per tanti secoli, ma anche per lasua stessa rilevante presenza fisica, che in termini disuperficie occupata equivale a ben un settimo del-l’intera area urbana. Ma la vastità dell’area e la grandiosità del complessoedificato richiedono una notevole mole di risorse cuila legge speciale ha fatto fronte e continuerà a prov-vedere ma in misura tuttavia sufficiente solo adaffrontare l’emergenza ed a stimolare alcune primeiniziative di recupero funzionale. Infatti il fabbisognocomplessivo per un recupero completo dell’Arsenaleè stimato pari a 500 milioni di euro.Nel corso di questi ultimi decenni una grande quanti-tà di idee e di progetti italiani ed esteri si è esercita-ta sul tema del recupero dell’Arsenale. Tra questi,quello poi abbandonato, del trasferimento delloIUAV dai Tolentini e da Santa Marta. Oggi una parteimportante del complesso continua ad essere vinco-lata a presidio della Marina Militare, che vi ha inse-diato l’Istituto per gli studi militari marittimi, e cheha dato in concessione una parte (Corderie eArtiglierie) alla Biennale, la quale a sua volta l’utiliz-za per proprie attività culturali ed espositive e vi tra-sferirà a breve anche l’Archivio storico delle arti con-temporanee (Asac). Una parte ancora è sede di atti-vità produttive della cantieristica e di attività di ricer-ca tecnica e scientifica. Presto altre funzioni delgenere dovrebbero aggiungersi a quelle già installate,creando un polo di terziario avanzato. Tra le funzioni previste vi è anche quella museale; inparticolare è stato proposto in due recenti convegnil’istituzione di un Museo nazionale di archeologia,storia ed etnografia navale, certamente coerente conle tradizioni e la storia di quel sito, e di unaFondazione di studi patrocinata dalle due università.

Ha sostenuto recentemente l’Assessore allaPianificazione strategica Roberto D’Agostino che “lamancanza di realizzazione delle idee sull’Arsenale hacoinciso e ha accompagnato la crisi delle idee sullacittà”. Ma oggi esiste un quadro strategico dell’interacittà e in quel quadro dovrebbero collocarsi le nuovefunzioni dell’Arsenale. Nel 1998 il progetto per il suorecupero è stato inserito nel progetto PRUSST(Programma di riqualificazione urbana e svilupposostenibile del territorio) con il quale si dovrebberoindividuare i soggetti e le risorse per attuarlo.Presentato nel 1999 dal Comune di Venezia alMinistero dei Lavori pubblici, nella primavera del2002 è stato sottoscritto il protocollo d’intesa checonsentirà l’erogazione dei finanziamenti per avviarel’attività progettuale. Una condizione cruciale delsuccesso del progetto di recupero è l’accesso, chenel PRUSST si identifica con la realizzazione di untrasporto rapido tra Tessera e l’Arsenale, vale a direla metropolitana sublagunare.Nel dicembre 2002 è stata creata una società perazioni tra Agenzia del Demanio di Stato (51% delcapitale sociale) e Comune di Venezia (49%), laArsenale di Venezia spa, con il compito di valorizza-re la porzione nord del complesso arsenalizio (un’a-rea di 460 mila mq). Decise le nuove funzioni, verràbandita una gara internazionale per selezionare i pro-gettisti e si ricorrerà attraverso il project financing

ad attrarre investitori privati interessati a realizzarefuturi insediamenti. Potrebbe così mettersi in motoun processo di recupero dei preziosi manufatti archi-tettonici e al contempo di rinascita e riscatto di que-sta parte importante del territorio urbano.

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BOCCHE DI PORTO

Sono i tre varchi naturali che mettono in comunica-zione la laguna di Venezia con il mare Adriatico: quel-la del Lido a nord-est, quella centrale di Malamoccoe più a sud quella di Chioggia. Nel tempo le bocchedi porto lagunari hanno subito modifiche notevoli inrapporto alle esigenze della navigazione. Delle trebocche, la più ampia è quella del Lido che oggi misu-ra oltre 800 m ed è profonda circa 12 m. La più pro-fonda è quella di Malamocco con 16 m ma molto piùstretta con circa 400 m di larghezza. Infine la boccadi Chioggia è larga 400 m ed è profonda 11 m. Lemaggiori profondità tuttavia si riscontrano nelleimmediate vicinanze delle bocche stesse e sonoindotte dall’azione delle correnti che accentuano ifenomeni erosivi, sicché vicino alla bocca di porto diMalamocco si è prodotta una fossa profonda circa 50 m e nel canale di San Nicolò tra il Lido ed il fortedi Sant’Andrea una fossa profonda 30 m.Recentemente il Governo ha deciso di dar seguitoalla realizzazione nelle tre bocche di porto lagunaridel grandioso sistema di barriere mobili, noto comeprogetto Mose, che si basa sull’assunto che il con-trollo delle maree eccezionali non può essere attuatosenza la temporanea separazione della laguna dalmare con opere di regolazione. Fin dal primomomento in cui questo sistema è stato propostosono state avanzate misure alternative sulla cui vali-dità si è acceso un dibattito che divide tuttora esper-ti ed opinione pubblica (v. avanti). Secondo le più recenti indicazioni progettuali, lebocche di porto dovrebbero diventare anche la sededi opere adatte per il passaggio o l’accoglimento tem-poraneo delle navi durante la chiusura delle bocche(porti-canale o conche di navigazione).È certo che le bocche lagunari saranno comunqueoggetto di intervento e non solo i canali ed i fondali,ma anche i moli foranei che le delimitano, i qualiesercitano un effetto modificativo sui litorali, ed essistessi subiscono gli effetti erosivi dei fondali alla loro

base per cui necessitano di interventi di protezionedei fondali stessi e di rinforzo e risagomatura dellemantellate con blocchi di roccia e tetrapodi.Stante la necessità di una continua manutenzione deimoli foranei per le cause suddette, peraltro un loroadeguamento e rinforzo (in gran parte già attuato dalMagistrato alle Acque) si rende comunque necessa-rio in caso di inserimento delle opere mobili per laregolazione delle maree. Essi infatti diverrebberoparte integrante del sistema di difesa dalle acquealte, garantendo la stabilità delle strutture doveandranno ad insediarsi le opere stesse.

La disputa sulle bocche di porto

I recenti indirizzi governativi hanno dunque riaccesouna disputa antica circa la fattibilità ed efficacia diottenere una mitigazione significativa dei colmi dellealte maree modificando la stessa configurazionedelle bocche di porto, da attuarsi attraverso unaserie di misure quali il loro restringimento e/o l’in-nalzamento dei fondali dei canali, con la relativariduzione dell’interscambio idrico, l’aumento dellacosiddetta “scabrosità”, cioè la resistenza all’ingres-so della marea in laguna, la costruzione di pennellitrasversali, curvando i tratti terminali dei moli e dellescogliere a mare per ridurre l’onda montante davento di scirocco (set-up). Altri benefici derivereb-bero poi dall’apertura delle valli da pesca indicatadalla stessa legge speciale.Nel 1999 sono stati presentati i risultati di simulazio-ni di modelli matematici, elaborati da un ricercatoredel CNR, il dott. Georg Umgiesser, per conto delMinistero dell’Ambiente e dell’Anpa, volti a valutarel’effetto che tre differenti configurazioni dei fondalidelle bocche, avrebbero avuto sui colmi di mareadegli ultimi diciotto più importanti eventi di acquaalta. Si è misurato così che tale effetto sarebbe statomediamente compreso tra 10 e 25 cm di riduzione,con un massimo di circa 30 cm a Punta della Salute

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con la configurazione più spinta (profondità dei fon-dali ridotte a 8 m per la bocca del Lido, 10 m perMalamocco e 7 m per Chioggia, e apertura delle vallida pesca). Gli esperti del Magistrato alle Acque ave-vano invece giudicato tali effetti poco significativi intermini di riduzione degli allagamenti: solo un paio dieventi sui diciotto considerati sarebbero stati evitatied in generale le modifiche dei fondali avrebberoinciso in modo insignificante sulle maree ecceziona-li. Una ricalibratura delle bocche innalzando le quotedi fondo, inoltre, sempre secondo i suddetti tecnici,oltre ai costi rilevantissimi di un tale intervento,comporterebbe conseguenze negative per l’equili-brio idrodinamico locale in termini di aumento dellecorrenti e di capacità di scambio mare-laguna, conriflessi negativi sull’ecosistema lagunare. Più in det-taglio, sulla base delle simulazioni elaborate dal con-cessionario unico si è stimato che riducendo la pro-fondità del fondale alla bocca del Lido a 10 m, a quel-la di Malamocco a 12 m e a quella di Chioggia a 8 m,con una riduzione delle sezioni rispettivamente del15%, 25% e 12%, il livello dell’acqua a Punta dellaSalute si ridurrebbe mediamente di 4,1 cm.Modificando inoltre la configurazione finale dei moliforanei orientandoli in direzione parallela alla costa,si avrebbe una ulteriore riduzione del picco di mareadi 1,9 cm. Quest’ultimo intervento tuttavia creerebbeun ostacolo alla navigazione.Il principio di perseguire nelle opere progettate lafinalità di un aumento della capacità dissipativa coninterventi complementari nei canali alle bocche diporto lagunari è stato comunque acquisito da unadelibera del Consiglio dei Ministri del 15 marzo 2001e nell’adunanza del 6 dicembre 2001 del Comitato diindirizzo e controllo; in adempimento a ciò, ilMagistrato alle Acque ha presentato una nuova con-figurazione delle bocche di porto dove accanto alleopere mobili di regolazione delle maree si prevedonole seguenti opere complementari alla bocca diMalamocco: l’innalzamento di circa 2 m del fondale ela costruzione di una grande conca di navigazioneper garantire l’agibilità alle navi durante la chiusuradegli sbarramenti. Inoltre, sono state previste digheforanee di fronte a tutte e tre le bocche di porto.L’approccio progettuale e i risultati che ne sonoseguiti in termini di riduzione delle punte di mareasono stati tuttavia ufficialmente contestati dagliorgani rappresentativi dei Comuni di Venezia eCavallino e dalla Provincia di Venezia (v. alla voceOpere alle bocche di porto). Recentemente vi sono state alcune associazioniambientaliste riunite nel Comitato “Salvare Venezia”che hanno rilanciato la proposta sullo stringimentodelle bocche di porto e sul rialzo dei fondali consi-derando tali misure come alternative alle operemobili. Più precisamente i portavoce del WWF vene-

ziano, Paolo Perlasca, e del Comitato stesso,Armando Danella, hanno indicato come perseguibilii seguenti obiettivi: bocca del Lido, larghezza da 800a 500 m e profondità da 12 a 6 m; bocca diMalamocco, larghezza da 400 a 300 m e profondità da14 a 8 m, bocca di Chioggia, larghezza da 400 a 250 me profondità da 10 a 8 m. È evidente che propostecosì radicali richiedono soluzioni altrettanto drasti-che per garantire la sopravvivenza del traffico por-tuale, quale quello di spostare lo scalo passeggeri allabocca del Lido (v. alla voce Traffico portuale, laproposta De Piccoli), liberando il bacino di SanMarco dal passaggio delle grandi navi da crociera.Dovrebbero altresì dimostrare che gli effetti sulloscambio idrico mare-laguna non sarebbero tali dacompromettere la qualità dell’ecosistema lagunare. Nella riunione del Comitatone del febbraio 2003 èstata recepita la richiesta del Comune di Venezia diverificare la possibilità di rendere operativa una solu-zione che permettesse di separare le esigenze dellanavigazione attraverso i canali di bocca da quelledella difesa ambientale della laguna. Il Magistrato alleAcque ha pertanto approntato uno studio i cui primirisultati sono stati presentati alla CommissioneAmbiente del Consiglio comunale di Venezia il 18 feb-braio 2003. Tale studio prende in considerazione lapossibilità di ridurre i fondali delle tre bocche e dicostruire accanto alle opere mobili altrettanti canaliattrezzati per il passaggio delle navi a maggiorpescaggio, laddove l’intervento sui fondali avrebbecome effetto una riduzione dello scambio idrico tra il10 e il 25% e dei colmi di marea variabile tra 7 e 13 cm.Il tema così succintamente riassunto in questa sede èindubbiamente assai complesso e delicato. Essodimostra che le bocche di porto sono in ogni caso learee strategiche, i punti focali della salvaguardia, suiquali si concentrano le soluzioni più diverse e siaccendono i confronti più serrati.

Il molo foraneo nord della bocca di Malamocco dopol’intervento di ristrutturazione

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Uno dei temi più seri ed urgenti della salvaguardia diVenezia e della sua laguna è rappresentato dallabonifica dei suoli di Porto Marghera. All’interno del più complesso “problema Venezia” viè infatti uno specifico “problema Porto Marghera” lacui dimensione è testimoniata dal fatto che unalegge, la n° 426 del 1998, ha identificato quest’areacome sito ad alto rischio ambientale e la ha posta incima all’elenco dei 14 siti di interesse nazionale dadisinquinare. Con il successivo decreto 468 del set-tembre 2001 sono state incluse anche una cassa dicolmata e l’area di Sacca Fisola.L’area industriale di Porto Marghera oggi misura unasuperficie di circa 1900 ettari, ma è parte di un’areaconsiderata contaminata posta sulla gronda lagunareampia circa 3690 ettari. Oltre all’area compresa neirecinti industriali vi è quindi un’area esterna di circa1270 ettari anch’essa facente parte del sito di interes-se nazionale, che comprende anche aree residenzialicome il villaggio San Marco. Resta esclusa dalla peri-metrazione, riferita in senso stretto ai suoli, la partedello specchio acqueo lagunare prospiciente PortoMarghera da Campalto a Fusina, i cui fondali sonocomunque marcati dalla contaminazione dei suolilimitrofi.Al fine di inquadrare il problema della bonifica dellearee, e la sua dimensione, occorre innanzituttorichiamarsi alla natura ed agli usi pregressi dei suoliprofondamente modificati già a partire dalla inizialescelta di creare le infrastrutture ed il tessuto indu-striale ed urbano locale. Così ad esempio, gran partedella seconda zona industriale di Porto Marghera ealtri territori prossimi a Mestre e nel Comune di Mirasono stati imboniti a più riprese riportando su zonedi bassura e/o umide materiali provenienti dalloscavo dei canali portuali e residui delle lavorazionidella prima zona industriale (fosfogessi, ceneri dipirite, scorie di fonderia, ceneri di carbone delle cen-trali termoelettriche, ecc.) improvvidamente assimi-lati a materiali inerti.Si può affermare che gran parte del territorio dellagronda compreso tra Fusina e Campalto è inquinatodai residui delle lavorazioni industriali e suscettibiledi bonifica secondo i criteri e le regole tecniche sta-biliti dal decreto n° 471 del 1999.Tale decreto stabilisce i valori limite di accettabilitàper le concentrazioni di sostanze inquinanti nei suolie nelle falde, al di sopra dei quali il titolare delle areeha l’obbligo di intervenire per:– bonificare, riconducendo l’inquinamento ai limiti

di accettabilità;– effettuare in alternativa una “bonifica con misure

di sicurezza” quando pur con l’impiego dellemigliori tecnologie a costi sostenibili i limiti nonpossano essere raggiunti; l’intervento sarà alloraintegrato da misure di sicurezza definite e poste inatto sulla scorta di una specifica valutazione delrischio residuo;

– procedere alla “messa in sicurezza permanente”.Il Comune di Venezia sta procedendo alla bonificadei primi 120 ettari dei 700 sui quali sorgerà il parcodi San Giuliano: costo 49 milioni di euro, di cui 18con contributo della Unione Europea.Per quanto concerne l’area industriale, vige dal 12febbraio 1999 l’Accordo di programma per la

Chimica di Porto Marghera, il quale prevede tuttauna serie di misure volte a creare “condizioni otti-mali di coesistenza tra la tutela dell’ambiente e lo svi-luppo produttivo nel settore chimico, in un quadro dicertezze gestionali”. Uno dei temi portantidell’Accordo riguarda la dismissione degli impiantiobsoleti, il loro smantellamento e la bonifica dellearee; a questo intervento è associata la contermina-zione delle aree prospicienti i canali industriali e l’e-scavo e la bonifica degli stessi. All’Accordo ha fatto seguito l’Atto integrativo del 15novembre 2001, che ha previsto la predisposizione diun Master Plan per le bonifiche “al fine di orientarela redazione di progetti coerenti con un programmadi riqualificazione ambientale dell’intera area inte-ressata dall’Accordo”. Regione Veneto e Comune di Venezia hanno fattoproprio questo obiettivo e coinvolto in un Gruppo dilavoro rappresentanti dei ministeri (Ambiente,Industria e Sanità), della Provincia, dell’AutoritàPortuale e di vari organismi tecnici ed amministrati-vi (quali Arpav, Anpa, Istituto Superiore di Sanità,Magistrato alle Acque) nonché delle parti socialicoinvolte. La redazione del Master Plan, finanziatodalla Regione Veneto con i fondi della legge speciale,è stata affidata ad un pool di aziende e consorzi(Amav, Amav-Battelle, Consorzio Venezia Ricerche,Thetis e Palomar) aventi particolari conoscenze del-l’area di intervento e specifiche competenze nellamateria. Gli elaborati costituenti il Master Plan sonostati di recente condivisi dalle parti interessate, inattesa della definitiva approvazione in una appositaconferenza dei servizi.In attesa del Master Plan sono comunque proseguiteazioni finalizzate alla inversione dei fenomeni didegrado ed alla protezione della laguna.In seguito all’Accordo di programma del 1999 è statoanche sottoscritto il 21 maggio 2002 un Protocollod’intesa tra Magistrato alle Acque, Regione Veneto,

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BONIFICHE

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Autorità Portuale e aziende industriali in base alquale Magistrato alle Acque e Autorità Portuale prov-vederanno a completare il programma di opere dimarginatura delle sponde dei canali demaniali diPorto Marghera al fine di evitare la diffusione inlaguna e in falda di sostanze inquinanti provenientidall’area industriale, attraverso interventi di prote-zione ed impermeabilizzazione delle sponde e capta-zione e depurazione dei percolati contaminati. Sitratta di mettere in sicurezza diciannove canali perun’estensione di 32 km. Ai costi dei marginamenticontribuiranno in misura proporzionale alle superfi-ci poste in sicurezza l’Enichem, la Polimeri Europa, laMontefibre ed altre tredici aziende con quote minori.Il contributo è stimato in 1.500 euro per metro linea-re di barriera. L’importante programma di interventi ègià avviato e sarà costantemente seguito dalla strut-tura di monitoraggio prevista dal Master Plan.

Il Master Plan delle bonifiche

Il Piano delle bonifiche deciso dall’Accordo del 15novembre 2001 parte da un preciso quadro conosci-tivo volto a caratterizzare il grado e il tipo delle con-taminazioni presenti nell’area; indica, quindi, le tipo-logie degli interventi di risanamento ritenute tecni-camente ed economicamente praticabili applicandole migliori tecnologie disponibili. Stima infine i costied i tempi richiesti per la sua attuazione.Un obiettivo importante del Piano concerne il coor-dinamento tra interventi privati ed interventi pubbli-ci, ivi compresi quelli sulle infrastrutture e sugliimpianti di trattamento-smaltimento atti ad assicura-re la realizzazione dei progetti di bonifica, nonché la

coerenza con altri strumenti urbanistici e piani terri-toriali, primo fra tutti il Piano Direttore dellaRegione Veneto.Un tema di tale complessità richiede ovviamente unaanalisi di sistema interdisciplinare, basata su unaserie di modelli, dove da un lato si caratterizzanotutte le componenti di un ambiente complesso comequello della gronda lagunare, dall’altro si analizzanole varie tipologie di intervento e le più appropriatetecnologie di messa in sicurezza o di decontamina-zione (trattamenti biologici, termici, fisico-chimici;in situ o ex situ). Come ampiezza del territorio in questione, le areesoggette all’Accordo per la Chimica sono pari a 818,4ettari (pari al 43% dell’intera area industriale di PortoMarghera). Di queste, 278 ettari riguardano aree perle quali l’intervento assume carattere prioritario inrelazione a criteri di accessibilità per la bonifica sal-vaguardando la prosecuzione delle attività produtti-ve in essere. Si aggiungono quindi altri 116 ettari conla stessa priorità anche se esterni all’area industriale(56,9 ettari nell’area residenziale di viale San Marco e59,1 ettari occupati da discariche). Le priorità nelleoperazioni di bonifica tengono infatti conto dell’usoattuale dei suoli (aree residenziali, aree con attivitàproduttive, aree libere o dismesse, ecc.).Le tipologie di intervento esaminate dal Master Plansono molteplici e vanno dalle opere di confinamentostrategico al dragaggio dei canali industriali, dagliinterventi di bonifica vera e propria alle aree di stoc-caggio dei materiali provenienti dalle bonifiche, dagliimpianti di trattamento degli stessi allo sviluppo distrumenti diagnostici (ad esempio analisi del rischio)

Quadro generale degli interventi di risanamento ambientale nell’ambito del sito di interesse nazionale di Venezia Porto Marghera, febbraio 2003

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e di monitoraggio ambientale. In termini di ambiti territoriali di intervento sonodefinite cinque zone confinate, le cosiddette “macro-isole” idrauliche: isola delle Raffinerie, isola della IZona Industriale, isola Portuale, isola delPetrolchimico e isola di Fusina. Con riferimento aicanali industriali, si è visto precedentemente comeMagistrato e Autorità portuale abbiano previsto circa60 km di marginamenti.Dalle attività di escavo dei canali industriali, neces-sarie sia per la rimozione dei sedimenti contaminatiche per il ripristino della navigabilità, deriverannoancora 6,4 milioni di mc di fanghi, di cui oltre 4 milio-ni aventi un livello di contaminazione superiore aquello consentito per il riutilizzo nell’area di gronda.Per questa tipologia di fanghi occorrerà procedere atrattamento e/o smaltimento in discariche.L’orizzonte temporale individuato per il Piano è didieci anni ed il costo totale degli interventi è stimatoin circa 1.550 milioni di euro, così ripartiti tra i prin-cipali interventi:

• opere di confinamento e 413,5 milioni di euro

dragaggio dei canali 300,0 milioni di euro

• bonifica dei suoli (aree ad intervento prioritario 394 ettari) 511,0 milioni di euro

• strutture logistiche ed impianti di trattamento/smaltimento 230,0 milioni di euro

Il resto riguarda i sistemi di monitoraggio, controlloe gestione.Le stime di costo sono ovviamente rapportate alleipotesi di intervento assunte dal Master Plan tantoper la estensione delle contaminazioni che per le tec-niche adottate.È ribadito nel Master Plan che, con particolare riferi-mento agli interventi su suoli e falde, occorrerà pro-cedere allo sviluppo dei progetti di dettaglio ed allaloro approvazione per definire progressivamente ilreale percorso della bonifica del sito. Le risorse attualmente a disposizione o di prossimaassegnazione da parte pubblica assommano all’incir-ca a 360 milioni di euro (200 del Magistrato alleAcque, 90 della Regione, 40 del Comune e 30dell’Autorità Portuale). Il Magistrato alle Acque perpoter adempiere ai propri compiti necessita ancoradi 410 milioni circa e l’Autorità Portuale di altri 60per portare a termine il programma di dragaggi esmaltimento dei fanghi. A questi si devono aggiunge-re i 75 milioni messi a disposizione dal Ministerodell’Ambiente a valere sul piano nazionale delle boni-fiche e i circa 280 milioni che la Montedison hamesso a disposizione, a titolo di risarcimento, per ilrisanamento dei canali industriali.Alle aziende, titolari di larga parte dei suoli da boni-ficare e dei relativi oneri, è prevista dall’Accordo diprogramma l’erogazione dei contributi stabiliti dal-l’art. 17 del Dlgs 22/97.

Il canale industriale ovest a Porto Marghera

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CANALE DEI PETROLI

Nei secoli passati furono scavati vari canali artificia-li in laguna, ma è nel Novecento che si sono costrui-ti i due più grandi canali navigabili in quanto neces-sari allo sviluppo del porto industriale: il canaleVittorio Emanuele nel 1925 e il canale Malamocco-Marghera, più noto come canale dei Petroli, nel 1968.Quest’ultimo era stato concepito non solo per esi-genze commerciali, ma anche, non va dimenticato,per l’encomiabile scopo di dirottare il traffico petro-lifero dal bacino di San Marco. Benché nel 1966 ilcanale dei Petroli fosse appena iniziato, fu subitoindiziato come possibile concausa dell’eccezionalelivello raggiunto da quella drammatica acqua alta. Lasua profondità (circa 10 m) e il suo tracciato rettili-neo accelererebbero la propagazione della marea efavorirebbero maree più alte in centro storico. Non v’è dubbio che i due grandi canali novecenteschiabbiano “accelerato notevolmente la demolizionedell’ambiente lagunare residuo, inducendo, con l’ac-cresciuta vivacità delle correnti di marea e la conse-guente capacità di trasporto di sedimenti, un signifi-cativo approfondimento dei bassifondi in fregio alcanale dei Petroli e lo spianamento drastico dei fon-dali lagunari, la sparizione dei ‘ghebbi’ e la demoli-zione di ampie zone barenose”. Il confronto tra i rilie-vi batimetrici del 1970 e del 1992 confermano taledemolizione e, aggiunge il prof. Andrea Rinaldo,“non sussistono dubbi, sperimentali e teorici, sullanatura e l’estensione delle modifiche morfologicheindotte dal canale dei Petroli: il processo di trasfor-mazione della laguna di mezzo in un braccio di mareaperto è stato enormemente accelerato dall’operadell’uomo moderno”.Secondo l’opinione dei conservazionisti, la chiusuradel canale dei Petroli potrebbe favorire la riduzionedei livelli di marea di ben 9-10 cm. Questo dato è con-traddetto dai risultati delle simulazioni matematicheelaborate dagli specialisti del Consorzio VeneziaNuova, le quali dimostrerebbero che un “tombamen-to” (peraltro assai costoso) del canale sarebbe pres-

soché ininfluente sul livello delle maree.Risulterebbe invece utile realizzare delle barene arti-ficiali lungo le sponde del canale per contrastare ifenomeni erosivi che esso provoca.

L’allontanamento del traffico petrolifero

dalla laguna

Problema diverso da quello legato alla trasformazio-ne morfologica è il rischio relativo al traffico petroli-fero che transita in laguna. Se gli effetti sulla morfo-logia sono dibattuti, vi è invece un generale consen-so, ripreso anche in sede legislativa, ad affrontare ilproblema dell’estromissione del traffico petrolifero echimico dalla laguna, senza effetti negativi sull’attivi-tà industriale e limitando i danni al traffico portua-

le. Il traffico in questione, che costituisce indubbia-mente un rischio costante per la laguna e perVenezia, è quantificabile in circa 10 milioni di tonnel-late di prodotti petroliferi e circa 2 di prodotti chimi-ci liquidi, trasportate ogni anno da 750 navi di variotonnellaggio. Circa una novantina sono navi cisternache trasportano ciascuna fino a 70-80 mila tonnellatedi greggio e grazie ad un recente accordo tral’Autorità portuale e la società Petroven, che riuniscepiù società petrolifere, è stata ottimizzata la logisticapermettendo una netta riduzione del numero di que-ste navi. Fortunatamente, seri eventi calamitosi in questocampo non si sono verificati in passato: sono statiregistrati piccoli spandimenti nel 1979, 1981, 1985 e, ilpiù serio, nel dicembre del 1995 quando durante deilavori svolti per conto del Genio Civile, una ditta per-forava l’oleodotto di San Leonardo provocando la fuo-riuscita di alcune tonnellate di greggio (il ché dimo-strava che anche la soluzione dell’oleodotto presenta-va i suoi rischi). Appare comunque evidente, anchesulla base di recenti simulazioni, che nel caso di unmalaugurato incidente con sversamenti anche pari ad un solo decimo del carico medio delle navi chetransitano nel canale, il danno sarebbe incalcolabile.

C

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Il tema è da molti anni all’ordine del giorno delComitatone ma non vi sono stati fino ad oggi inter-venti decisivi in proposito; l’unica iniziativa è stataquella di dotare di un “sentiero luminoso” il canaledei Petroli per renderlo più sicuro in caso di nebbia.Il Consorzio Venezia Nuova era stato incaricato dalMagistrato alle Acque di studiare le soluzioni tecni-che e logistiche più idonee a conseguire l’obiettivodell’allontanamento di tale traffico. Una prima ipote-si era stata quella di dirottarlo verso Trieste eRavenna e collegare Marghera a questi porti conoleodotti; una seconda proposta più recente preve-deva la chiusura del terminale di Porto Marghera dacui parte l’oleodotto che alimenta la raffineria diMantova e l’utilizzo in sua vece dell’oleodottoGenova–Cremona, che dovrebbe essere prolungatofino a Mantova, deviando così sul porto di Genova iltraffico attuale. Nel dicembre 2001 il Comitatone haazzerato entrambe le precedenti proposte a favore diuna terza: la realizzazione di un terminale petroliferooff-shore (torre a mare) posto otto miglia al largo

della bocca di Malamocco, collegato a San Leonardocon una serie di pipeline lunghe circa 30 km, che neltratto lagunare scorreranno all’interno di una galle-ria. L’avvio di quest’opera, del valore stimato di 500milioni di euro, da realizzarsi ricorrendo al metododel project financing, sarebbe programmato per laprimavera del 2004 con previsione della conclusionedei lavori entro il 2009. Questa ipotesi, direttamente patrocinata dal ministroper le Infrastrutture Lunardi, non ha mancato di susci-tare molte perplessità, anche perché avanzata all’in-domani dello scoppio dell’impianto Dow Poliuretani aMarghera. La prima domanda che viene spontanea è laseguente: quanto del petrolchimico ci sarà ancora nel2009? Lo stesso Sindaco Costa ha giudicato il termi-nale al largo non privo di rischi ed ha rilanciato il pro-getto dell’oleodotto Cremona-Mantova-Marghera daun lato e dall’altro l’obbligo immediato della dotazio-ne del doppio scafo non solo per le navi con carichipericolosi che entrano in laguna ma per anche perquelle che solcano l’Alto Adriatico.

COMMISSIONI, COMITATI, CONSORZI

I soggetti rientranti in questa triplice categoria diorganismi che a vario titolo sono coinvolti nellagestione della salvaguardia di Venezia e della sualaguna sono numerosi e in questa sede non vi è l’am-bizione di farne un censimento. Ci si limita ai casiprincipali. Per quanto concerne le “commissioni” la storia dellasalvaguardia è scandita dalla creazione di “commis-sioni di studio”, specie nei primi anni sessanta e set-tanta. Quì se ne ricorda solo quella espressamenteintitolata alla “salvaguardia”, la più nota ed impor-tante per la grande mole di progetti ed iniziative cheda quasi trent’anni passa al suo vaglio. La categoria dei “comitati” non è meno affollata:come le commissioni essi hanno seguito la storiadella salvaguardia fin dall’inizio, basti citare il“Comitato per lo studio dei provvedimenti a difesadella città di Venezia”, istituito dalla legge 6 agosto1966 n° 652 e poi sostituito con un nuovo “Comitatotecnico-scientifico per lo studio dei problemi con-cernenti la difesa di Venezia” che ne recepiva glistudi e le sperimentazioni, istituito con Dm del 1973in base ad una disposizione dell’art. 8 della leggespeciale n° 171 del 1973, e a sua volta soppresso nel1984 dall’art. 7 della legge speciale bis n° 798, chepotenziava l’organico del Magistrato alle Acque. A differenza delle commissioni, i comitati general-mente sono organi tecnici permanenti all’interno di

istituzioni con poteri istruttori e consultori assaiimportanti per l’avvio di iniziative nel campo dellasalvaguardia, quali ad esempio: il Comitato tecnicodi magistratura (CTM) del Magistrato alle Acque, ilComitato tecnico regionale (CTR). Tra i comitati,quello più importante dal punto di vista dell’inciden-za politica sulla salvaguardia è certamente il cosid-detto “Comitatone” ed a questo è dedicata una sche-da specifica assieme ad un’altra dedicata ai“Comitati privati” che hanno portato avanti un’azio-ne benemerita per la salvaguardia di Venezia. Infinetra i molti “consorzi” esistenti ci si limita a conside-rare qui il Consorzio Venezia Nuova, che rappresental’organismo tecnico operativo maggiormente coin-volto nei programmi di studio, analisi ed interventofinalizzati alla salvaguardia. Molti altri, che qui sicitano per memoria, hanno collaborato e continuanoa lavorare su temi della salvaguardia, quali: ilConsorzio Venezia Ricerche, il Coses (Consorzio pergli studi economici, sociali e la formazione), ilConsorzio Venezia 2000, il Co.Ri.La., (Consorzio perla Ricerca sulla Laguna), il Consorzio Thetis per letecnologie marine, il Consorzio VeneziaDisinquinamento e il Consorzio Venezia Servizi (que-sti ultimi due hanno svolto un loro ruolo nel passa-to). Sulle attività di ricerca del Co.Ri.La e delConsorzio Venezia Ricerche un breve cenno è fattopiù avanti alla voce Ricerca.

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COMMISSIONE PER LA SALVAGUARDIA DI VENEZIA

La Commissione per la salvaguardia di Venezia èstata istituita dalla prima legge speciale n° 171 del 13aprile 1973 con il compito di esprimere parere vinco-lante su tutti gli interventi edilizi nonché di trasfor-mazione e di modifica del territorio per la realizza-zione di opere sia private sia pubbliche all’internodella conterminazione lagunare (titolo II, artt. 5 e 6).Gli enti e le funzioni rappresentati nella Commis-sione sono una ventina, tra i quali: il Magistrato alleAcque, le Soprintendenze, l’ingegnere capo del GenioCivile, il medico provinciale, vari ministeri, il CNR,l’Unesco, e naturalmente la Regione, la Provincia, ilComune di Venezia e due rappresentanti degli altricomuni della gronda lagunare. Si tratta pertanto diun organo collegiale, piuttosto pletorico, formalmen-te presieduto dal governatore della Regione e coor-dinato da un segretario di nomina regionale, cheopera attraverso varie sottocommissioni e una com-missione plenaria.È stato più volte messo sotto accusa per i rallenta-menti burocratici che provoca e il Comune diVenezia aveva promosso un ricorso per incostituzio-nalità in quanto la materia urbanistica è di compe-tenza comunale. Quel ricorso fu respinto nel 1998,ma anche recentemente il Comune è ricorso al Tarper ribadire che con l’adozione del Palav e dei suc-cessivi piani urbanistici la competenza dellaCommissione nella suddetta materia non ha piùragione di essere. Tuttavia la Commissione continuaad assoggettare al proprio parere tutte le concessio-ni edilizie nel territorio veneziano, parere vincolanteper le Commissioni edilizie comunali.

COMITATI PRIVATI PER LA SALVAGUARDIA DI VENEZIA

In risposta all’appello lanciato nel 1966 dal direttoredell’Unesco René Maheu attraverso una campagnainternazionale di solidarietà per salvare le opere d’ar-te di Firenze e Venezia colpite dalle alluvioni del 4novembre, si costituirono in breve tempo delle asso-ciazioni private spontanee in vari paesi, che si occu-parono di raccogliere fondi da destinare all’opera direcupero e restauro dei beni maggiormente minac-ciati. Nacquero in tal modo i primi “Comitati privatiper la salvaguardia di Venezia”. Uno dei più attivi promotori fu Sir Ashley Clarke,ambasciatore di Gran Bretagna a Roma, fondatore diuna delle prime e più benemerite di queste istituzio-ni, il “Venice in Peril Fund”, tuttora seguito dallavedova Lady Frances, instancabile ed entusiasta

amante di Venezia, dove risiede. Oggi l’Associazionedei Comitati per la salvaguardia di Venezia compren-de venticinque organizzazioni sparse in undici nazio-ni (Australia, Austria, Danimarca, Francia,Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, StatiUniti d’America, Svezia, Svizzera) e cinque organiz-zazioni internazionali. Spesso i Comitati si associanoper unire i loro sforzi e, in sintonia con l’ufficiodell’Unesco e le Soprintendenze di Venezia delMinistero dei beni culturali, hanno contribuito e con-tinuano a contribuire al restauro di centinaia diopere d’arte e monumenti, fornendo senza clamore econ grande concretezza un sostegno enorme allaconservazione di una parte cospicua delle tante ric-chezze artistiche custodite nelle chiese, nei musei enei palazzi della città. L’Associazione dei Comitati privati si riunisce ognianno in assemblea, sotto la guida dell’attuale presi-dente Alvise Zorzi e dell’appassionato direttore JohnMillerchip, per fare il bilancio del lavoro compiuto,proporre nuovi interventi e manifestare le proprieopinioni anche sui temi più generali della salvaguar-dia di Venezia. Non vi è dubbio che attraverso il loroprestigio i Comitati possono esercitare sull’opinionepubblica italiana e internazionale una certa influenzasulle politiche di intervento a favore della città. Nel novembre 2002, l’assemblea ha celebrato la sua30a riunione in concomitanza con un congresso inter-nazionale di operatori culturali organizzato dalCentro del patrimonio mondiale dell’Unesco, intito-lato “Shared legacy, common responsability”, tenuto-si a San Giorgio, presso la Fondazione Giorgio Cini.L’esempio di solidarietà, offerto dai Comitati Privati,di moderno mecenatismo e di amore tangibile per lacittà di Venezia dimostrato da oltre trent’anni dicostante interessamento per il restauro delle sueopere d’arte, costituisce una delle pagine più belle ededificanti della storia della Salvaguardia.

“COMITATONE”

Questo accrescitivo, ben noto a chi segue le vicendedella salvaguardia, indica il Comitato interministeria-le istituito dalla legge 798/84, all’art. 4. Questa leggespeciale, infatti, con l’intento di superare la lamenta-ta sovrapposizione delle competenze, istituiva unComitato presieduto dal Presidente del Consiglio eformato da ben cinque ministeri (Lavori pubblici,Beni culturali e ambientali, Marina mercantile,Ecologia, Ricerca scientifica e tecnologica), dalPresidente della Giunta regionale, dai Sindaci diVenezia e Chioggia (e oggi anche di Cavallino eMira), e gli attribuiva compiti di indirizzo, coordina-mento e controllo dell’attuazione degli interventi

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previsti dalla legge stessa, nonché di eventuali modi-fiche alla ripartizione dei fondi. Il Comitatone deveinoltre approvare il Piano generale degli interventi etrasmettere periodicamente al Parlamento in sede diformazione del bilancio annuale dello Stato una rela-zione sul grado di attuazione degli interventi stessi.Segretario del Comitatone è il presidente delMagistrato alle Acque. L’importanza dei soggetti del comitato, ma anche laprogressiva pletoricità che andrà assumendo nelcorso delle sue periodiche (e in verità abbastanzarare) riunioni, per la presenza di folte delegazioni difunzionari ed esperti (fino a 40-50 persone) gli con-ferirà appunto l’etichetta di “Comitatone”. Nel corso della sua vita il Comitato interministeriale diindirizzo, coordinamento e controllo, si è riunito alcu-ne decine di volte ed ogni volta si deliberano interven-ti ed indirizzi decisivi per la prosecuzione degli inter-venti di salvaguardia, non ultimo la ripartizione deifondi della legge speciale tra i vari soggetti delle ammi-nistrazioni ed i vari interventi. Le ultime riunioni inordine di tempo sono state tenute l’8 marzo 1999, il 15marzo 2001, il 6 dicembre 2001. Occorre attendere il 4febbraio 2003 per una nuova riunione del Comitatone,cui ne seguiranno in breve tempo altre due: il 25 feb-braio e, dopo due rinvii, il 3 aprile 2003.

CONSORZIO VENEZIA NUOVA

È stato costituito nel 1982 tra un gruppo di una cin-quantina di imprese operanti nel settore impiantisti-co e dell’ingegneria civile, pubbliche e private, divaria dimensione, locali e nazionali con lo scopo di

supportare sul piano tecnico e operativo ilMagistrato alle Acque per l’attuazione degli studi,delle sperimentazioni e dei progetti attinenti alla sal-vaguardia di Venezia stabiliti dalla legge speciale n°171 del 1973. La quota maggiore del capitale era dete-nuta dalla Impregilo Spa (39,5%); seguiva l’IRI con il18,5% (attraverso partecipazioni della SocietàItaliana Condotte d’Acqua, dell’Italstrade e dellaMantelli Estero Costruzioni), Grandi Lavori Fincosit(16,5%) ed altri raggruppamenti minori (che com-prendevano società quali Grassetto, Sacaim, Coveco,Saipem, Recchi, Mazzi, ecc.). Nel dicembre 1982 ilneonato Consorzio aveva firmato una prima conven-zione con il Magistrato alle Acque per l’affidamentodi studi, ricerche e sperimentazioni volte ad organiz-zare il Servizio informativo e studiare la fattibilitàdelle opere preliminari alla bocca di porto del Lido. Tale iniziativa non aveva mancato di sollevare subitonon poche polemiche: parte dell’opinione pubblica elo stesso Sindaco di Venezia Mario Rigo avevano cri-ticato accesamente il ricorso all’assegnazione deilavori con la trattativa privata invece che alla garad’appalto. Si era aperto in quell’occasione un conten-zioso, con l’intervento della Corte dei Conti che nelluglio del 1983 aveva bocciato quella prima conven-zione. L’anno successivo, tuttavia, la legge specialebis n° 798 nell’art. 3 autorizzava il Ministero deiLavori pubblici a ricorrere ad “una concessione daaccordarsi in forma unitaria a trattativa privata,anche in deroga alle disposizioni vigenti, a societàimprese di costruzione, anche cooperative e loroconsorzi, ritenute idonee dal punto di vista impren-ditoriale e tecnico-scientifico”. Si legittimava in talmodo esplicitamente il Magistrato alle Acque ad uti-lizzare il Consorzio Venezia Nuova come propriobraccio operativo in regime di concessione unica. Ladisputa tuttavia non si chiuderà ed anzi si ravviveràin seguito con l’introduzione nell’ordinamento italia-no delle norme comunitarie in tema di gare d’appal-to nel settore dei lavori pubblici (Dlgs 406/91 e leggequadro sui lavori pubblici, cosiddetta Merloni109/94). Un ricorso per infrazione alle norme euro-pee presentato nel 1998 su sollecitazione delle orga-nizzazioni ambientaliste si protrarrà fino al 2002quando la Commissione europea decide che la rea-lizzazione del progetto Mose rimanga affidata alConsorzio Venezia Nuova, ma gli appalti per le forni-ture afferenti gli impianti elettromeccanici delleopere mobili (circa il 54% del valore delle stesse)siano assegnati mediante gara europea.Ma intanto il Consorzio Venezia Nuova, presiedutodal 1987 al 1995 da Luigi Zanda, uomo provenientedall’IRI, e diretto fin dall’inizio dall’ing. GiovanniMazzacurati, proveniente dall’impresa Furlanis,diventerà decisamente operativo firmando nel corsodegli anni seguenti con il Magistrato alle Acque deci-

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Lavori del Consorzio Venezia Nuova per il ripristino delle barene presso Burano, laguna nord

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ne di convenzioni, giungendo a formare una struttu-ra sempre più consolidata, specialmente dopo il1986, quando il Consorzio sarà incaricato di elabora-re il “Progetto Venezia”, che prevedeva una serie distudi e sperimentazioni sugli aspetti idrodinamici edell’inquinamento della laguna, nonché l’elaborazio-ne del progetto di massima per le opere alle bocchedi porto. Riguardo a quest’ultimo, superata l’impo-stazione del cosiddetto “Progettone”, fu organizza-to un ampio gruppo di lavoro interdisciplinare, costi-tuito da docenti universitari, tecnici del Magistrato,studiosi di vari centri di ricerca (come il CNR el’Enea) e società di ingegneria (come Fiatengi-neering, Tecnomare, e numerose altre imprese) ecoordinato dalla Technital di Verona, società di pro-gettazione del Consorzio. Due anni dopo, nel 1988, ilConsorzio Venezia Nuova era in grado di presentareun primo progetto preliminare di massima denomi-nato “progetto Rea” (Riequilibrio e ambiente), cuiseguiva nel 1989 il “Progetto di massima delle operemobili alle bocche di porto della laguna di Venezia”,concluso nel 1992. Nel frattempo il Consorzio, nell’ottobre del 1991, rin-novava la concessione stipulando una “Convenzionegenerale” con il ministero dei Lavori pubblici e ilMagistrato alle Acque di Venezia, che avrebbe rego-lato tutte le future convenzioni per l’attuazione degliinterventi di salvaguardia previsti dalla legge n° 798del 1984, tra cui il progetto appena citato delle bar-riere mobili alle bocche di porto. Questo progetto siera avvalso delle sperimentazioni del cosiddettoMo.s.e., “modulo sperimentale elettromeccanico”prototipo di un elemento di una ciclopica opera dichiusura delle bocche di porto, di cui tanto se nesarebbe parlato in futuro. Delle caratteristiche delMose si tratta brevemente alla voce relativa alleOpere alle bocche di porto. Per dar seguito a talune raccomandazioni espressedal Consiglio superiore dei Lavori pubblici fin dal1982 (per la cronaca espresso dal voto n° 209 inseguito tante volte richiamato), il Consorzio conte-stualmente al progetto Mose aveva approfondito unaserie di altri interventi, definiti “diffusi” e “comple-mentari”, e avviato i primi lavori concreti. Questiriguardavano le opere più urgenti per il rinforzo deimoli foranei alle bocche di porto, la protezione degliabitati lagunari dalle acque alte (Pellestrina,Malamocco, Treporti, forte Sant’Andrea), gli inter-venti per il recupero morfologico e l’arresto deldegrado ambientale della laguna (vivificazione divelme, ripristino di barene, dragaggio di canali), le

opere di difesa dei litorali marini e dei marginamentilagunari (Alberoni, Pellestrina, Mazzorbo, Cavallino,Lido, Sant’Elena e Giardini, Sant’Erasmo, SaccaSant’Alvise, ecc.).In quegli anni il Consorzio fu incaricato di fronteg-giare anche l’emergenza alghe : una fioritura ecce-zionale di macroalghe aveva invaso nel 1989 la lagu-na, denunciandone l’alto livello di inquinamento. Larimozione delle alghe proseguì per cinque anni e nefurono raccolte fino a 200 mila metri cubi. Altriimportanti temi affidati allo studio del Consorzioriguardavano: la sostituzione del traffico petroliferoin laguna, l’apertura delle valli da pesca per l’espan-sione delle maree, la fattibilità del progetto “insulae”quale misura integrativa alle opere di regolazionedelle maree. Un programma di studi e lavori assaiintenso che ha richiesto fino ad oggi oltre 5 milamiliardi di lire di finanziamenti.Il progetto più importante per il Consorzio, quellodelle opere mobili, rimaneva tuttavia in “stand-by”durante tutti gli anni novanta a causa dell’opposizioneche esse sollevavano in alcuni strati dell’opinione pub-blica e in particolare negli schieramenti politici dei“verdi” e di parte della sinistra. Ciò avrebbe compor-tato che il progetto di massima fosse sottoposto nel1998, su richiesta del Consiglio comunale di Venezia,alla procedura di Valutazione di impatto ambientalenonché all’esame di un Collegio di esperti internazio-nali. Per una più dettagliata cronaca del complessoiter che ne è seguito si rimanda alla voce VIA.Solo nella riunione del Comitatone del dicembre2001, il Consorzio otterrà il via libera al prosegui-mento della progettazione del Mose e, in quella del 3aprile 2003, dopo notevoli contrasti tra amministra-zioni locali e governo centrale e regionale, il via defi-nitivo alla fase esecutiva del progetto stesso.In tutti questi anni, benché fosse il progetto Moseche focalizzava l’attenzione intorno al Consorzio,procedevano alacremente tutta una serie multiformedi interventi in laguna e nei centri abitati, e inoltre,dopo l’Accordo di programma per la Chimica di

Porto Marghera del febbraio 1999, il Consorzioveniva incaricato dal Magistrato alle Acque di pro-gettare ed avviare le opere di bonifica, con particola-re riferimento ai marginamenti dei canali industrialiper la messa in sicurezza dei siti inquinati.La notevole mole di risorse finanziarie recentementeassegnate dal Governo specificatamente al progettoMose dovrebbe comunque richiedere una concentra-zione del lavoro del Consorzio Venezia Nuova intor-no a questo impegnativo compito.

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DIFESA DEI LITORALI

DIl 4 novembre 1966 la furia della mareggiata era statatale da creare gravi danni alla più colossale opera didifesa dei litorali veneziani. Gli storici “murazzi” delZendrini avevano ceduto in tre punti mettendo inserio pericolo i tremila abitanti di San Piero in Voltae Pellestrina, costretti ad abbandonare le loro case. Il cordone litoraneo, peraltro progressivamenteassottigliato a causa dell’azione erosiva del mare, èstato oggetto prioritario degli interventi delMagistrato alle Acque attraverso l’Ufficio delle operemarittime affiancato dal Consorzio Venezia Nuova,in quanto esso rappresenta indubbiamente la primalinea di difesa di Venezia e della laguna. In realtà la stessa costruzione dei murazzi ha contri-buito al processo di erosione e di approfondimentodei fondali marini antistanti. Processo accentuatosuccessivamente dalla costruzione dei moli foraneiche hanno condizionato l’evoluzione dei litorali chevanno dal Cavallino a Sottomarina per una estensio-ne di quasi 50 km. I moli foranei in particolare, ovvia-mente necessari per altre funzioni, con il tempo osta-colano il trasporto dei sedimenti e del materiale soli-do (già per loro conto notevolmente diminuiti per ilminor apporto dei fiumi) lungo la costa, provocando,come si diceva, il progressivo assottigliamento delcordone litoraneo; solo in prossimità dei moli dellebocche di porto al contrario si alimenta la formazio-ne della spiaggia come è avvenuto in particolare alCavallino dove fino alla metà degli anni sessantal’accrescimento degli arenili è stato rapidissimo.Anche le spiagge del Lido hanno segnato nel com-plesso un arretramento, ma la situazione più critica èrappresentata dal litorale di Pellestrina, che è il piùsottile (nell’ansa di Caroman il cordone litoraneomisura poche decine di metri) ed il più esposto all’e-rosione e soggetto al sormonto delle mareggiate.Le prime opere eseguite dopo la tremenda esperien-za del 1966 hanno ovviamente riguardato il rinforzodelle difese a mare nei tratti più compromessi dellitorale di Pellestrina, attraverso il restauro e il con-

solidamento dei murazzi, con il rinforzo della sco-gliera addossata ai murazzi stessi. Quest’ultimo siappaia con l’intervento simile dal lato dei margina-menti lagunari permettendo la difesa dalle acque altecon il criterio delle insulae. Dopo ampie indagini e studi con l’aiuto di modellimatematici, i tecnici del Consorzio Venezia Nuovasono passati alla fase sperimentale e quindi all’attua-zione di un esteso programma di interventi per tuttoil litorale che va dal Cavallino a Sottomarina. Taliopere consistono nel cosiddetto “ripascimento”, inpratica la formazione di nuove spiagge. La tecnicacostruttiva prevede la costruzione di decine di “pen-nelli”, dighe in blocchi di roccia (che si allungano nelmare per 150-200 m distanti tra loro 400-500 m).Vengono inoltre costruite le “berme”, scogliere som-merse di roccia poste parallelamente al litorale a 300m dalla riva. Milioni di metri cubi di sabbia vengonoestratti dal mare antistante, 20 km al largo dallacosta, e sversati in apposite “celle” di contenimentofino a creare le nuove spiagge ampie circa 50 m.

Rinforzo dei litorali, ampliamento e naturalizzazione della spiaggia del Cavallino

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DIFESE LOCALI (DALLE ACQUE MEDIO ALTE)

DISINQUINAMENTO (DELLE ACQUE LAGUNARI)

Si intende fare riferimento, con questa locuzione, agliinterventi volti a difendere gli abitati, posti alle quotepiù basse, dagli allagamenti provocati dalla mareecosiddette “medio-alte” (generalmente quelle fino a+110 o +120 cm). Si tratta di interventi localizzati, chedanno luogo ad una difesa parziale del territorio sog-getto ad esondazione e che possono pertanto esserecomplementari ad una difesa totale quale è previstadalle opere mobili alle bocche di porto, preminente-mente volta a contrastare le maree più elevate e lemareggiate eccezionali. Appare infatti evidente chepiù elevato è il livello di difesa delle maree “in loco”meno frequenti saranno le chiusure alle bocche diporto con relativo vantaggio alla navigazione maritti-ma e allo scambio idrico tra mare e laguna. Fin dalla legge speciale n° 798 del 1984 era statointrodotto il criterio degli interventi per “insulae”(art. 3), ripreso anche nella legge n° 139 del 1992 (art.5), laddove l’antico termine latino indica una porzio-ne di territorio urbano autonoma e circoscritta dalle

acque. Il Consorzio Venezia Nuova aveva varato unProgetto “insulae” fin dalla fine degli anni ottantaattuandolo con una serie di interventi realizzatilungo i litorali (Sottomarina, Pellestrina, San Pietroin Volta, Malamocco, Treporti). Più problematica èl’adozione del criterio delle “insulae” nel centro sto-rico di Venezia, a Murano, Burano e Chioggia dove lepresenze architettoniche richiedono una particolareattenzione e sensibilità in questo tipo d’intervento edimpediscono di adottare soluzioni che portino adalterazioni inaccettabili del tessuto urbano. Nell’areapiù preziosa di Venezia (piazza San Marco) è tuttaviaprevisto di intervenire con il criterio della difesalocale per “insula”, mentre in altri casi è in corso diadozione il criterio del recupero altimetrico dei sel-ciati con il metodo dei cosiddetti “rialzi”. I temi delle“insulae” e dei rialzi presentano metodologie edimpatti assai diversi che sono descritti specificata-mente alle relative voci.

Se un tempo la minaccia da terra per la laguna diVenezia era rappresentata dalle alluvioni dei fiumi edall’interrimento progressivo dovuto al loro apportosolido, oggi essa ha principalmente un nome: inqui-namento. Si può dire, semplificando, che erosionedal mare e inquinamento da terra sono i due “corni”del problema ambientale della laguna di Venezia. L’inquinamento della laguna non deriva solo dallapresenza del grande polo industriale sorto sulle suesponde centrali. Questa è stata certamente la fontepiù importante nei decenni passati, ma oggi laresponsabilità è di tutto il bacino scolante che gravasulla laguna con il suo carico inquinante derivato dalrapido sviluppo dell’urbanizzazione, dell’industrializ-zazione e della stessa “modernizzazione” dell’agricol-tura, tre fattori che hanno interessato intensamentee rapidamente tutta la pianura veneta. Tra gli indizipiù evidenti del degrado ambientale della laguna vifu una estesa moria di pesce avvenuta nel luglio del1982 e in quegli stessi anni apparve in più di unaoccasione una massiccia fioritura di macroalghe euna anomala colorazione delle acque dei canali inter-ni; tutti chiari indicatori di un avanzato grado dieutrofizzazione delle acque lagunari.I primi interventi sono stati diretti verso l’abbatti-mento dell’inquinamento di natura organica ed inseguito si accentrava l’attenzione su quello originato

dalla presenza di inquinanti tossici. Negli anni novan-ta emergeva, anche sugli organi di informazione, l’al-larme diossina e si prendeva coscienza in generaledei rischi di contaminazione legati alla presenza nel-l’area industriale di Porto Marghera dei residui tossi-ci delle lavorazioni passate, per il cui controllo sistanno elaborando impegnativi programmi di bonifi-

che dei suoli e di messa in sicurezza per evitare unaulteriore contaminazione delle acque sia delle faldeche della laguna.Nel complesso, secondo il Rapporto sullo stato del-l’ambiente 2000 elaborato dalla Provincia di Venezia,se si tiene conto anche delle ricadute atmosferiche, ilcarico inquinante in laguna dei nutrienti (azoto efosforo) e dei microinquinanti è ancora sopra lesoglie stabilite dal decreto del 1998, con prevalenzadegli apporti fluviali rispetto al carico diretto (PortoMarghera, Venezia e isole). Nel corso degli ultimianni vi è stato comunque un notevole abbattimentodei nutrienti, mentre i microinquinanti sono ancorapresenti, specie nei sedimenti, in concentrazionisuperiori ai limiti ammessi in prossimità della gron-da lagunare, della zona industriale di PortoMarghera. A partire dagli anni novanta sono invecescomparsi i fenomeni di fioritura abnorme dellemacroalghe e si è verificato un progressivo reinseri-mento delle fanerogame in laguna.

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Gli interventi normativi e programmatori

Nel complesso le misure legislative e tecnologicheadottate negli ultimi 10-15 anni hanno segnato unanetta riduzione dell’apporto inquinante. Tra le primebasti citare il bando nazionale dei detersivi, avvenu-to nel 1989, che ha portato ad un abbattimento pro-gressivo del 50% della concentrazione di fosfati allefoci dei fiumi. Gli impianti di depurazione hannoridotto il carico inquinante annuo di circa 1500 ton-nellate di azoto residuo nella sola zona centrale dellalaguna che ha segnato una buona ripresa trofica del-l’ecosistema.Fin dal 1973, l’art. 9 della prima legge speciale n° 171aveva gettato le basi per disciplinare gli scarichi idri-ci inquinanti in laguna delegando il Governo a ema-nare entro 120 giorni, con l’ausilio di una appositacommissione parlamentare, un decreto che fissasse icriteri per proteggere il territorio lagunare dagliinquinamenti delle acque. Il 20 settembre 1973 veniva quindi emanato il Dpr n°962 intitolato Tutela della città di Venezia e del suo

territorio dagli inquinamenti delle acque. Si trattadi un decreto molto articolato e tecnicamente assaidettagliato che classifica le varie tipologie di scarichiin base alla loro origine e provenienza e prescrive itrattamenti ai quali essi devono essere sottoposti alfine di una loro depurazione prima della immissionenel corpo ricettore. Le caratteristiche dei sistemi didepurazione sono descritte fase per fase del tratta-mento e prescritte in funzione della provenienza edella qualità delle acque di scarico di origine urbana,industriale, agricola o zootecnica, sversanti diretta-mente o indirettamente nella laguna. Il decreto fissa-va in una tabella allegata precisi limiti di accettabili-tà per gli scarichi in funzione del loro recapito (lagu-na, corsi d’acqua sfocianti nella laguna, tratti di mareinteressante la laguna, fognature pubbliche) cui glieffluenti degli impianti dovevano attenersi. LaRegione Veneto doveva poi precisare entro 180 gior-ni le norme di prescrizione delle metodiche di cam-pionamento per i necessari controlli, nonché le com-

petenze per l’esecuzione degli stessi. Il decreto stabi-liva infine l’entità dei contributi che la RegioneVeneto era autorizzata a concedere ad enti pubblici,imprese o privati, o loro consorzi, con contributi inconto capitale (in alcuni casi fino al 70%) per lacostruzione o l’adeguamento degli impianti di tratta-mento delle acque reflue o delle fognature urbane(con contributi fino al 90%).È stato giustamente rilevato che il Dpr n° 962 del 1973ha in qualche modo anticipato la legge Merli, cioè lanorma nazionale per la tutela delle acque n° 319 del1976, emanata dopo una lunghissima gestazionedecennale. Il “Piano regionale di risanamento delleacque” previsto dalla legge Merli e approvato solo nel1989 continuerà a mantenere per la laguna di Veneziai limiti a suo tempo fissati dal Dpr 962/73, che in alcu-ni casi sono più permissivi ed in altri più restrittivi.

I provvedimenti per il risanamento igienico

sanitario di Venezia e Chioggia

Nell’ambito più generale della disciplina degli scari-chi inquinanti in laguna, un settore particolare quan-to atipico è rappresentato dal problema degli scari-chi urbani a Venezia e a Chioggia, città che non sonodotate di una rete fognaria moderna di tipo dinamicoe che hanno sempre costituito una sorta di eccezio-ne alla regola (di questo caso specifico si tratta piùavanti alla voce Fognature a Venezia).Nel 1979 la Regione emanava la legge regionale n° 64in attuazione del suddetto Dpr 962/73, che fissava lemetodiche di campionamento e l’ambito del bacinoscolante nella laguna di Venezia. Nello stesso annopredisponeva il primo “Piano per la prevenzione del-l’inquinamento e il risanamento delle acque del bacinoscolante”, meglio noto come Piano Direttore, cheindividuava le reti fognarie e gli impianti di depurazio-ne necessari a disciplinare la raccolta e il trattamentodelle acque reflue nei territori insulari e in una fasciadi 10 km attorno alla conterminazione lagunare.Dopo l’entrata in vigore della seconda legge specialen° 798 del 1984, la Regione emanava un’altra norma

IL BACINO SCOLANTE

Il bacino scolante sulla laguna di Venezia comprende il territorio di ben 102 comuni appartenenti a tre provincie conuna superficie complessiva pari a circa 1880 kmq e una popolazione residente di poco oltre un milione di abitanti. Ipunti di immissione degli scarichi idrici in laguna sono 27 (di cui i principali sono quelli relativi ai seguenti corsi d’ac-qua: Dese, Silone, Marzenego-Osellino, Lusore, Muson Vecchio, Tergola, Naviglio Brenta, canale di Lova, TaglioNovissimo, Montalbano, Trezze) che immettono ogni anno circa 900 milioni di mc d’acqua, dei quali 110 sono scari-chi industriali e 120 scarichi civili. Il carico inquinante complessivo basato sui dati del censimento 1991 era pari aduna popolazione equivalente di 1,4 milioni di abitanti. La laguna dal canto suo ha una superficie di 550 kmq ed unaprofondità media di 154 cm per un volume d’acqua di 600 milioni di mc; essa scambia con il Mare Adriatico una massad’acqua che varia da 350 a 450 milioni di mc al giorno con tempi di ricambio inferiori al giorno alle bocche di portoe di 20 giorni circa nelle zone di interfaccia con il bacino scolante. Il volume medio giornaliero di acqua dolce cheentra in laguna dal bacino scolante è stimata pari a 2,6 milioni di mc.

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attuativa, la n° 17 del 1990 che confermava, tra l’al-tro, la necessità di aggiornare il Piano Direttore qualestrumento di programmazione degli interventi di disinquinamento. Seguivano a breve due leggi nazio-nali: la n° 71 del 1990 che stabiliva i termini per laprogettazione delle fognature dinamiche nei centristorici di Venezia e Chioggia, prescrivendo nel frat-tempo specifiche disposizioni per le aziende artigia-ne che dovevano dotarsi di propri sistemi di abbatti-mento degli inquinanti, e l’anno seguente la n° 360del 1991, che finanziava una serie di “interventiurgenti volti al recupero architettonico, urbanistico,ambientale e socio economico di Venezia eChioggia”, tra i quali figuravano quelli per il disinqui-namento e la prevenzione da inquinamenti.Alla terza legge speciale n° 139 del 1992 seguiva lalegge n° 206 del 1995 intitolata Interventi urgenti

per il risanamento e l’adeguamento dei sistemi di

smaltimento delle acque usate e degli impianti

igienico sanitari nei centri storici e nelle isole dei

comuni di Venezia e Chioggia, la quale introducevaulteriori modifiche al quadro istituzionale, preveden-do tra l’altro che i due Comuni elaborassero i pro-getti di massima per la realizzazione delle fognaturee per la depurazione dei reflui provenienti dai centristorici, dalle isole e dai litorali del Lido, Pellestrina eCavallino-Treporti, secondo criteri e tecnologie ade-guati a realizzare nell’intera area lagunare gli obietti-vi previsti dal Piano regionale di risanamento delleacque (PRRA), e permettendo nel frattempo unaserie di deroghe. Alla legge 206/95 faceva seguito una serie di decretiemanati dal Ministero dell’Ambiente (alcuni di con-certo con il Ministero dei Lavori pubblici) tra il 1998e il 1999, che dava un forte impulso alla politica ditutela delle acque della laguna. Tali decreti fissavanoinfatti:a) gli obiettivi di qualità delle acque lagunari e dei

corpi idrici del suo bacino scolante, nonché lecaratteristiche degli impianti di depurazione (Dm“Ronchi-Costa” del 23 aprile 1998, integrato dalDm del 16 dicembre 1998);

b) i carichi inquinanti massimi ammissibili in lagunacompatibili con l’ecosistema lagunare (Dm del 9febbraio 1999), le migliori tecnologie disponibilida applicare alle industrie (Dm del 26 maggio1999) e i limiti agli scarichi industriali e civili (Dmdel 20 luglio 1999).

Infine nel 1999 veniva emanato il decreto legislativon° 152, che abrogava e sostituiva la legge Merli319/76 e introduceva i principi di tutela delle acque diorigine comunitaria individuando gli obiettivi di qua-lità ambientale dei corpi idrici in base alla loro spe-cifica destinazione (potabilità, balneazione, pesca,ecc.), disciplinando la disciplina degli scarichi e latutela quantitativa delle risorse idriche. Tale decreto

legislativo affermava all’art. 3 che “resta fermo quan-to disposto dalla legislazione vigente relativamentealla tutela di Venezia” della quale mutuava i principie i più recenti criteri metodologici adottati.

Il Piano Direttore della Regione Veneto

Fin dalla legge speciale del 1973 la Regione Veneto ècompetente per le azioni volte al disinquinamentodella Laguna di Venezia. Recentemente ha redattol’ultimo aggiornamento del “Piano direttore per lalaguna ed il bacino scolante”, che tiene conto deirisultati fin qui ottenuti e fissa gli obiettivi per il futu-ro anche alla luce dell’evoluzione della politicaambientale nazionale.Lo schema riportato nella pagina seguente, tratto dalPiano Direttore 2000, rappresenta l’evoluzione delcarico residuo totale di azoto nella laguna tra il 1950e il 1998, da cui si evince come tale carico, che nelperiodo 1950-1980 era quasi triplicato, durante l’ulti-mo ventennio sia sceso da 11.000 t/anno a 9.000, conevidenti segni di una ripresa trofica del corpo idricolagunare. Mentre le variazioni dello stato troficodella laguna sono ricostruibili per gli ultimi cinquan-t’anni, ciò non è assolutamente possibile per lo statochimico-fisico a causa della totale assenza di datistorici. Recentemente sono state avviate varie cam-pagne di analisi sulle acque, sui sedimenti e sui mol-luschi bivalvi per verificare le concentrazioni di ele-menti quali alcuni metalli pesanti (come piombo ecadmio), le diossine e i furani, che hanno permessodi tracciare delle mappe della distribuzione delleconcentrazioni di questi inquinanti tossici. Ciò haanche permesso di prendere provvedimenti limitativinella coltivazione dei molluschi in certe aree più sog-gette a rischio.Con riferimento invece ai flussi annui delle quantitàdi azoto e fosforo scaricate in laguna direttamente otramite il bacino scolante, la situazione appare illu-strata nella tabella seguente con riferimento allasituazione monitorata nel 1998 e agli obiettivi diabbattimento fino al 2013:

Fino ad oggi la Regione ha speso o già impegnatonelle azioni di disinquinamento 2.310 miliardi di lire,pari a 1.190 milioni di euro; per i nuovi interventi pro-grammati necessitano altri 97 milioni di euro deiquali soli 24 già disponibili. Tale fabbisogno è per la

situazione obiettivoal 1998 2013

azoto scarichi diretti in laguna 2000 500azoto scarichi da bacino 4500 2000fosforo scarichi diretti in laguna 250 60fosforo scarichi da bacino 430 190

i dati sono espressi in tonnellate /anno

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maggior parte impegnato per gli interventi di com-pletamento dei sistemi fognari sia nel bacino scolan-te (220 milioni di euro) che per l’adeguamento delsistema fognario del centro storico di Venezia (130milioni di euro). Particolare rilievo assume anchel’impegno per il cosiddetto “progetto integratoFusina”, che si propone di trasformare l’attualeimpianto biologico in un centro di trattamento poli-funzionale per tutta l’area industriale e per le cosid-dette acque di prima pioggia delle aree urbane diMestre-Marghera. Attualmente l’impianto di Fusinatratta circa 100 mila mc/giorno di acque miste prove-nienti dalla rete fognaria di Mestre, Marghera e Mira,nonché reflui industriali provenienti dagli impiantiindustriali di Enel ed Enichem. Con il nuovo assettol’impianto accoglierà le sole acque di processo pre-trattate in misura di 50 mila mc/giorno mentre dallearee urbane vi confluiranno le acque di prima pioggiae i reflui fognari per una portata complessiva di 100

mila mc/giorno. Le acque residue a valle dell’impian-to saranno in parte utilizzate per il raffreddamento oper i processi industriali ed il resto sarà inviato aduna serie di bacini: per lo stoccaggio provvisorio peri liquami civili depurati e le acque di seconda pioggiapretrattate (uno specchio d’acqua dolce ampio 5ettari e profondo 2 metri); un’area per fitodepurazio-ne di 1° stadio (20 ettari); un’area per fitodepurazio-ne di 2° stadio (100 ettari); un’area per bacino difinissaggio (13 ettari).Circa la modalità e la localizzazione dello scaricofinale, sono state prese in considerazioni più ipotesiaventi come destinazione alternativa la laguna, ilmare, il canale Novissimo o la Brenta. Recentementela Regione ha optato per lo scarico a mare attraversouna condotta sublagunare lunga 10 km che portereb-be i reflui al largo del Lido, ma questa soluzione èstata subito criticata dal Comune di Venezia e daglioperatori turistici del Lido stesso.

Carichi di nutrienti versati nella laguna: situazione attuale

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ESODO DELLA POPOLAZIONE VENEZIANA

Uno dei principali aspetti del “problema Venezia” èrappresentato dall’eccezionale e continuo calo dellapopolazione residente nel centro storico verificatosinella seconda metà del secolo appena trascorso. Sitratta in verità di un fenomeno manifestatosi ovun-que nelle città storiche e giustificato dalla tendenzageneralizzata ad abitare in contesti residenziali piùfunzionali alla vita moderna, generalmente nelleperiferie dei centri storici stessi. Per Venezia questatendenza generale è stata accentuata da vari fattori,quali le specifiche caratteristiche urbane della cittàinsulare, la vicinanza di una Venezia di terrafermarappresentata da Mestre, gli elevati costi delle abita-zioni, lo sviluppo della motorizzazione, e quindi damotivazioni logistiche.Il risultato di questo complesso di cause è stato unesodo progressivo dei veneziani dalla città insulareverso la terraferma che ha ridotto nel giro di cin-quant’anni di quasi due terzi il numero dei residentinel centro storico, passati dalle 175 mila unità regi-strate nel censimento del 1951 alle 64 mila del 2002.Come si può osservare nella tabella seguente, in un

primo tempo al calo della popolazione nel centro sto-rico ha fatto riscontro un parallelo incremento deiresidenti nella terraferma e perfino nelle isole dell’e-stuario. Dagli anni ottanta tuttavia il calo demografi-co ha cominciato ad interessare tutto il Comune diVenezia. Oggi, più che l’esodo verso la terraferma, è l’invec-chiamento della popolazione a determinare il calo deiresidenti nel centro storico. Mentre il numero dei natie dei morti era pressoché equivalente fino agli annisessanta, oggi il numero dei morti ogni anno rispettoa quello dei nati è più del doppio. Questo rapporto èultimamente tuttavia migliorato di colpo, scendendoda 2,6 nel 1999 a 2,0 nel 2001 (505 nati contro 1037morti) registrando una sorta di piccolo “baby boom”che assieme al saldo migratorio più basso degli ultimitrent’anni fa sperare in un rallentamento della vertigi-nosa diminuzione della popolazione veneziana. Unapopolazione comunque vecchia, dove i residenti conetà da 60 anni in su è quasi tre volte superiore di quel-la dei giovani fino a 20 anni e dove l’età media superai 48 anni contro i 45 di Mestre.

CINQUANT’ANNI DI ESODO DAL CENTRO STORICO VENEZIANO

anno centro storico estuario terraferma totale Comune

1901 146.682 21.064 20.597 188.3431911 154.891 23.670 28.580 207.1411921 159.262 26.769 37.410 223.4501931 163.559 32.826 53.937 250.3221951 174.808 44.037 96.966 315.8111961 137.150 49.702 161.035 347.8871971 108.426 48.747 205.829 363.0021981 93.598 49.203 206.707 349.6631991 76.644 47.057 190.136 313.9672001 65.695 32.183 176.290 274.1682002 64.076 31.767 174.915 270.758

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Le cause dell’esodo

Giuliano Zanon, direttore del Coses, ha individuatoquattro fasi in questo esodo, grosso modo coinciden-ti con altrettanti decenni: a) esodo da sovraffollamento e degrado (1951-61):

la città dalla fine del secolo ha segnato un conti-nuo incremento dei residenti fino ad un sovraffol-lamento incompatibile con i nuovi stili di vita;

b) esodo da mancato restauro (1961-71): il patri-monio edilizio è degradato al punto che chi nonha mezzi per il restauro della propria abitazionepreferisce traslocare a Mestre;

c) esodo da restauro (1971-81): con la legge spe-ciale arrivano i contributi e cominciano i restauri,entrano le grandi immobiliari e aumenta la con-correnza;

d) esodo da mercato (dal 1991): proliferano leseconde case dei non residenti, i prezzi lievitanoestromettendo i veneziani o impedendone il ritor-no da una Mestre sempre più informe e anonima.

Ma al problema della casa si aggiunge quello deldeclino delle attività produttive in generale e dell’ab-bandono, per ragioni logistiche, del centro storico daparte di molte attività terziarie ed uffici pubblici.L’esodo naturalmente tocca maggiormente le giovani

coppie ed in generale le classi d’età inferiori e ciòdetermina nel tempo un invecchiamento crescentedella popolazione residente.Da città giovane e dinamica quale era all’inizio delsecolo scorso, oggi Venezia appare come una cittàdeclinante dal punto di vista demografico, svuotatadi molte attività artigianali e commerciali che la ren-devano palpitante di vita, con una popolazione sem-pre meno occupata e più anziana, con molte abita-zioni disabitate o di proprietà di ricchi italiani o stra-nieri che le abitano pochi giorni l’anno, una cittàsempre più simile ad un grande albergo, presa d’as-salto in ogni stagione da un turismo sempre piùinvadente. Quale città va dunque salvaguardata? Una città vivao un simulacro di città?Ovvio quindi che il “problema Venezia” identificatooriginariamente nella difesa fisica dagli elementinaturali che la minacciano come urbs si sia ben pre-sto esteso alle cause economiche e sociali cheminacciano non meno la sua sopravvivenza comecivitas. E se la sopravvivenza fisica è certamentepossibile perché i fenomeni naturali sono più noti eprevedibili, quella economica e sociale è forse piùcomplessa e difficile perché così è la natura dellevicende umane.

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50.000

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1871 1881 1901 1911 1921 1931 1941 1951 1961 1971 20012002

1981 1991

Andamento della popolazione residente nel territorio di Venezia dal 1871 al 2002

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EUSTATISMO (ED EFFETTO SERRA)

Questo termine scientifico ancora sconosciuto ai piùsembra destinato ad entrare sempre più nel linguag-gio comune. Con esso si definisce il fenomeno delmovimento di innalzamento o abbassamento dellivello marino. Un fenomeno dai ritmi lentissimi epercettibili solo nel corso di più generazioni e chetuttavia, secondo i più recenti rilievi scientifici, tendead accelerare in senso positivo (cioè di innalzamen-to) a causa di una corrispondente accelerazionedelle modifiche climatiche del pianeta. Tale cambia-mento climatico, pur ciclicamente manifestatosinelle trascorse ere, appare oggi essere più celere chein passato, e consiste in un progressivo riscaldamen-to dell’atmosfera a causa della crescente emissionedi alcuni gas (in particolare il biossido di carbonio eil metano) derivati specialmente dai processi di com-bustione, che impediscono la dispersione del calorenello spazio. Questo fenomeno, noto come “effettoserra”, ha pertanto una chiara origine antropica ed èdirettamente connesso al trend di sviluppo indu-striale e della motorizzazione.

Il surriscaldamento dell’atmosfera (effetto serra)potrà provocare in futuro una serie di modificazionisul clima e quindi sui grandi ecosistemi planetari(con relativi effetti dannosi sull’agricoltura innanzi-tutto) e tra questi figura anche lo scioglimento pro-gressivo dei ghiacci delle calotte polari. Questo feno-meno e la stessa espansione termica dei mari com-porterebbero a loro volta, sempre che non si riesca alimitare in tempo l’emissione dei gas responsabilidell’effetto serra, appunto l’eustatismo, cioè il pro-gressivo innalzamento del livello degli oceani e deimari, con effetti che nel lungo periodo potrebberoessere catastrofici, se solo si pensa che gran partedella popolazione mondiale è insediata lungo le fascecostiere.Un problema così grave e pervasivo, da tempo segui-to dagli scienziati, ha avuto una prima risposta sulpiano politico con l’adesione al Protocollo di Kyotosottoscritto sotto l’egida delle Nazioni Unite nel 1997nella città giapponese. In base a questo accordo ipaesi industrializzati si impegnano a ridurre le proprieemissioni nell’atmosfera dei gas serra (innanzitutto ilCO2). A livello dell’Unione europea questo impegno sitraduce in una riduzione della quantità di gas pari a -8% entro il 2012; per l’Italia in particolare l’obiettivoper questa stessa scadenza è -6,5%. Ma gli Stati Uniti,da soli responsabili di un quarto delle emissioni serraglobali, non hanno ancora ratificato l’accordorischiando di comprometterne l’entrata in vigore.Per tale motivo, il Sindaco di Venezia Paolo Costa ha

sottoscritto nel giugno del 2001, assieme ad altri 72sindaci di altrettante importanti città costiere delmondo, un appello al Presidente Bush affinchéanche gli USA aderiscano al protocollo di Kyoto. Suiniziativa di Paolo Costa tale appello è stato lanciatoil 21 maggio 2002 in video-conferenza attraverso uncollegamento con il Senato degli Stati Uniti.

Quanto aumenterà il livello del mare?

Sull’attuale incremento eustatico dei mari e deglioceani esistono diversi dati: analisi recenti indicanoche il livello del mare è cresciuto mediamente di circa1,5-2 mm/anno dall’inizio del secolo passato. Misuremareografiche riguardanti più specificatamente l’a-rea mediterranea (effettuate a Trieste e a Marsiglia)indicano che è in atto da circa un secolo un incre-mento generale del livello medio di questo mare dicirca 1,1 mm/anno. Le proiezioni per il presente seco-lo sono state riportate alla voce Acqua alta e spazia-no su un range piuttosto ampio. Le più recenti e spe-cifiche per l’Alto Adriatico le ha elaborate il Co.Ri.La.e variano da una ipotesi “probabile” di 16,6 cm al 2100a 31,4 cm nell’ipotesi “pessimistica” (v. figura di p. 8). In un recente convegno organizzato da Enea eFondazione Enrico Mattei si è invece ipotizzato unoscenario di crescita più alta di quelle considerate dalCo.Ri.La. e precisamente di 0,7 mm/anno che com-porterebbe nei prossimi quarant’anni un innalzamen-to del Mare Mediterraneo di 25-30 cm, il quale si tra-durrebbe in un allagamento di 4500 kmq in trentatréaree depresse, soprattutto nella costiera nord adria-tica tra Rimini e Monfalcone.Il problema dell’innalzamento del livello marino sipone dunque come la nuova grande minaccia per lasopravvivenza di Venezia (e che il problema investale fasce costiere dell’intero globo non ne lenisce l’im-portanza locale). Venezia convive da secoli con unasorta di “retorica della fine” (Piero Bevilacqua) acausa delle continue minacce di alterazione del suoequilibrio naturale: dai primi rischi dell’erosione deilidi marini alla minaccia del progressivo interramen-to della laguna e del paludismo, da quella opposta delbradisismo alla degradazione della laguna ad operadell’erosione. Ma “dispiegando un’opera di governoche non ha comparazioni nella storia d’Europa, ingrado di combinare sapienza tecnica e sforzi finan-ziari non comuni, la città è riuscita a venire a capodei pericoli che incombevano nel suo avvenire”(Massimo Cacciari).Oggi che la minaccia all’ecosistema lagunare s’inqua-dra in un contesto “planetario”, la città del mondodeve trovare allo stesso livello gli strumenti dellapropria sopravvivenza.

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L’anno della legge speciale bis, il 1984, si chiudevacon una iniziativa che avrebbe fatto esplodere unalunga polemica, tutta veneziana, la quale avrebbespaccato per sei anni la città in due schieramenticontrapposti ed è ancora ricordata come “la battagliadell’Expo”. Vale la pena di ricordare la vicenda inquanto esempio paradigmatico della lunga e talvoltaaspra dialettica che da un secolo si ripete tra conser-vazionisti e modernisti.Nel mese di dicembre Gianni De Michelis, allora alGoverno come ministro degli Esteri, lanciava la pro-posta di candidare Venezia quale sede dell’esposizio-ne universale del 1997, poi cambiata in Expo 2000.Un anno dopo l’idea si concretizzava nella elabora-zione di alcuni progetti e nella istituzione delConsorzio Venezia 2000, cui aderivano i principaligruppi industriali e istituti bancari del Paese ed erapresieduta da Giulio Malgara affiancato da CesareDe Michelis in qualità di vicepresidente e ammini-stratore delegato. All’inizio del 1989 vennero presen-tati alla Fondazione Cini i progetti dell’Esposizione,firmati da noti architetti. Essi spaziavano su buonaparte del territorio regionale, ma avevano il loro ful-cro centrale localizzato sulla gronda lagunare.Obiettivo del progetto globale era quello di inserirel’area veneziana, che si trovava sempre di più in unaposizione marginale rispetto all’inarrestabile sviluppodel Nord Est, in un ambito regionale così dinamico.Uno dei progetti centrale era il “magnete”, progetta-to da Renzo Piano, localizzato a Tessera nei pressidell’aeroporto Marco Polo. Si presentava come unasorta di “cratere” di 500 metri di diametro racchiusoin una collina artificiale, si sviluppava su 200 milametri quadrati ed aveva una capacità di 700 mila visi-tatori.L’intervento in quell’area era visto innanzitutto comel’occasione per realizzare l’idea da molto tempo inse-guita di un nuovo accesso a Venezia, alternativo aquello sempre più inadeguato del ponte della Libertà.Parte integrante di questa idea era l’impiego nellarete espositiva dell’Expo del grande complessomonumentale dell’Arsenale, collegabile direttamentevia acqua a Tessera, nuovo luogo d’accesso alla cittàche avrebbe decongestionato piazzale Roma, rilan-ciato l’isola di Murano e rivitalizzato la parte orienta-le del sestiere di Castello.Nel 1989 la Regione, che aveva due anni prima isti-tuito un Gruppo tecnico operativo per valutare laproposta, approverà il progetto ma con una serie dicondizioni tese ad evitare il pericolo di una eccessi-va concentrazione di grandi masse di visitatori sullacittà storica.

In effetti, ciò che spaventava molti era la reale capa-cità da parte di una città delicata e preziosa comeVenezia di assorbire l’impatto di una grande quantitàdi visitatori provenienti da tutto il mondo, concen-trata in pochi mesi. Del resto questo timore era giu-stificato dall’esperienza dell’ultimo decennio, cheaveva visto crescere vertiginosamente i flussi turisti-ci, e in particolare di quel tipo di turismo, chiamatodel “mordi e fuggi”, che si traduceva in una diseco-nomia netta per la città. I momenti più critici coinci-devano con il verificarsi di particolari eventi, come lafesta del Redentore, le vacanze pasquali o ilCarnevale. Quest’ultimo era stato resuscitato nel1979 ed aveva avuto subito un grande successo.Arrivava così tanta gente negli ultimi giorni diCarnevale che si dovettero istituire i sensi unici nellecalli e si arrivò al punto che questo fiume in piena dituristi provocò lo “scoppio” di alcune vetrine dinegozi. Come se non bastasse, il 15 luglio 1989, nellanotte del Redentore, fu organizzato nel bacino di SanMarco quel concerto dei Pink Floyd rimasto nellastoria veneziana come un evento infausto da nonripetere. Il concerto aveva richiamato 200 mila gio-vani e la mattina seguente la piazza, la piazzetta ed ilmolo di San Marco apparvero come un campo di bat-taglia. Dovette intervenire l’esercito per ripulire lacittà e le immagini dello scempio fecero il giro delmondo. Un altro gruppo musicale, questa voltanostrano, i Pitura Freska, avrebbe poi lanciato unacanzone arrivata in cima alle classifiche (Oi ‘ndemo

a vedar i Pin Floi…) che descriveva in un coloritovernacolo la gran confusione di quella sera.Non vi è dubbio che quel concerto abbia segnato ladefinitiva sconfitta del progetto Expo. Gli oppositorisi unirono e si organizzarono in un comitato “antiExpo”, che andrà con il sindaco Casellati in testa amanifestare il proprio dissenso a Parigi ai responsa-bili dell’esposizione. Fu promossa una campagnastampa sui maggiori giornali esteri, che utilizzava letraumatizzanti immagini scattate la mattina del 16luglio. Si raccolsero centinaia di migliaia di firme intutto il mondo. Parlamento italiano e parlamentoeuropeo si pronunceranno contro, finché il 12 luglio1990 il governo ritirerà la candidatura all’Expo del2000, dopo anni di incandescente dibattito. IlConsorzio Venezia Expo 2000 si trasformerà inConsorzio Venezia 2000, una istituzione guidata daGiuseppe De Rita che aveva collaborato al progetto eche continuerà ad analizzare le ragioni del decadi-mento e dell’isolamento di Venezia e a proporre imodi per contrastarle. De Rita, da anni fustigatoredell’immobilismo e di una ingiustificata ”autorefe-

EXPO 2000

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renzialità” odierna dei veneziani, in un recente librointervista (G. De Rita, A. Galdo, Capolinea a

Nordest, Marsilio, Venezia 2001), ritornando sullavicenda spiegava che più che le obiezioni di merito(“il progetto del magnete di Renzo Piano era genia-le”) aveva pesato sulla decisione negativa “un vetosulla persona” (quella del principale sponsor, l’on. DeMichelis, la cui rapida ascesa destava preoccupazio-ne ai rivali politici). E concludeva ottimisticamenteDe Rita: “Spero che Venezia trovi la forza e la classedirigente necessaria per recuperare, con una forteiniziativa anche sull’opinione pubblica, la parte deiprogetti che servono per dare alla città la sua funzio-ne di luogo dell’immateriale”. Ed in effetti progetti non ne mancavano. Proprio ilConsorzio Venezia 2000 aveva raccolto nel 1992 tuttala lista dei progetti veneziani: ben 174 di importosuperiore ai 3 miliardi di lire di allora per un com-plesso di risorse da investire di oltre 11 mila miliardi(v. alla voce Piani e progetti urbanistici).

Una “idea di Venezia”

Tra coloro che furono critici sulla candidaturadell’Expo 2000, vi era un gruppo di intellettuali, chenel giugno 1988 si riunirono sotto l’egida dellaFondazione Istituto Gramsci Veneto per organizzareun convegno intitolato “Idea di Venezia”, dove ven-nero passati in rassegna i principali temi della crisiveneziana: lo spopolamento, la congestione turistica,l’ambiente e l’acqua alta, ecc. Tra i principali ispira-tori, Massimo Cacciari e Paolo Costa futuri sindacidella città rispettivamente cinque e undici anni dopo.Il convegno individuava due principali funzioni cheavrebbero potuto aiutare la città ad esaltare la pro-pria specificità. La prima si imperniava sulla valoriz-zazione del proprio enorme complesso di beni cultu-rali, attraverso la realizzazione di una “città museodiffuso”; la seconda si fondava sulla “comunità scien-tifica e tecnologica”. Mentre la prima era in contrastocon le opinioni di De Rita, la seconda, che propugnala sostituzione delle produzioni materiali con quelleimmateriali, trovava tutti d’accordo.

Il molo sul bacino di San Marco la mattina del 16 luglio 1989, dopo il concerto dei Pink Floyd

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FINANZIAMENTI EROGATI E FABBISOGNI PREVISTI

Quanto è costata e costerà la salvaguardia diVenezia? Il preminente interesse nazionale assegna-tole dalla legge speciale ha comportato che lo Statosi assumesse l’onere di finanziare gli interventinecessari per attuarla. Così fin dalla legge n° 171 del1973 saranno messi a disposizione 300 miliardi di liredi allora; seguiranno gli stanziamenti della secondalegge speciale del 1984, n° 798, quindi della legge n°360 del 1991, della terza legge speciale del 1992, n°139, poi della n° 206 del 1995, e di tutta la serie suc-cessiva delle leggi finanziarie (539/1995, 515/1996,345/1997, 295/1998, 448/1998, 448/1999, 388/2000,448/2001).Fino al 1992 lo Stato ha erogato ai vari soggetti desti-natari le risorse finanziarie in conto capitale attra-verso appositi decreti. Con la legge 139/92 vieneintrodotta la formula dei mutui contratti direttamen-te dagli enti assegnatari, i cosiddetti mutui a provvi-sta dilazionata, garantiti dai limiti di impegno delloStato. Questo meccanismo permette, a parità di ratecostanti a carico dello Stato, di accelerare l’otteni-mento dei fondi dagli istituti di credito.

Entità e destinazione del finanziamento

Nel complesso dal 1984 al 2001 sono stati stanziatidallo Stato italiano per la salvaguardia di Venezia edella sua laguna circa 5.900 milioni di euro a prezzicorrenti (in lire 11.420 miliardi circa). Se si aggiungo-no anche i finanziamenti derivanti dalle leggi finan-ziarie 388/2000 e 448/2001, assegnati dal Comitatonenella seduta del 6 dicembre 2001, ma ancora in corsodi attivazione, (che sono pari a 488 milioni di euro perla finanziaria del 2000 e 678,5 per quella del 2001), sigiunge ad un finanziamento complessivo assegnatofino a dicembre 2001 di 7.070 milioni di euro (pari a13.690 miliardi di vecchie lire).Come si può osservare nella tabella seguenteConsorzio Venezia Nuova, Regione Veneto e Comunedi Venezia da soli sono i destinatari dell’85,7% deltotale delle risorse assegnate alla salvaguardia, pari aoltre 6.000 milioni di euro. I rimanenti 1.000 milionidi euro circa sono suddivisi tra ben sedici altri enti oistituzioni.

risorse assegnate (milioni di euro) % sul totale

Concessionario dello Stato (CVN) 2.586 (5.000 miliardi di lire) 36,6Regione Veneto 1.736 (3.362 miliardi di lire) 24,5Comune di Venezia 1.739 (3.367 miliardi di lire) 24,6

Comune di Chioggia 269 3,8Università (Ca’ Foscari, IUAV, MURST, Co.Ri.La) 174 2,5Magistrato alle Acque (gestione diretta) 170 2,4Provincia di Venezia 103 1,5Aeroporto Marco Polo 72 1,0Autorità Portuale 59 0,8Procuratoria San Marco, Diocesi Patriarcale 40 0,6Biennale di Venezia 26 0,4Altri 100 1,4

Le risorse assegnate alla salvaguardia dal 1991 al 2002

F

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La previsione del fabbisogno futuro

Nel complesso la legislazione speciale ha messo adisposizione per la salvaguardia di Venezia e dellasua laguna mediamente oltre 400 milioni di euro l’an-no (800 miliardi di lire), una cifra di tutto rispetto,che tuttavia è stata spesa solo per il 52%. Nella leggefinanziaria per l’esercizio 2002 per la prima volta ilGoverno non ha rifinanziato la legge speciale perVenezia; ha invece deciso di assegnare nell’ambitodel programma della cosiddetta “legge obiettivo”(443/2001) 450 milioni di euro nel triennio 2002-2004,destinandoli preminentemente alle opere alle bocchedi porto (le barriere mobili più alcune opere comple-mentari). Si tratterebbe di una prima tranche dalmomento che la realizzazione dell’intero “sistemaMose” (comprensivo delle opere complementari allebocche di porto) richiederebbe un ammontare dirisorse valutato 3.440 milioni di euro da spendere inun decennio, cui seguiranno i costi di gestione emanutenzione valutati pari a 9 milioni di euro l’anno. Rimane da finanziare la prosecuzione di tutti gli altrinumerosi interventi di salvaguardia sia in laguna chenei centri abitati ormai da tempo avviati: dal disin-

quinamento al recupero morfologico, dallo scavo deicanali all’allontanamento del traffico petrolifero,dalla difesa locale dalle acque medio-alte alla manu-tenzione del centro storico. Il solo programma dirisanamento igienico ed edilizio del centro storico diVenezia e delle isole maggiori, iniziato nel 1994,dovrebbe proseguire completando lo scavo dei riientro il 2009 e il risanamento del sistema fognarioentro il 2025, con un fabbisogno complessivo di oltre1000 milioni di euro.Vi è inoltre da considerare l’altro grande programmadi interventi, quello delle bonifiche dei suoli e deicanali a Porto Marghera, per il quale è prevista unaspesa nel prossimo decennio di circa 1.500 milioni dieuro.Si può pertanto stimare che il fabbisogno complessi-vo di risorse finanziarie necessario per proseguire ilprocesso della salvaguardia di Venezia e della sualaguna nel prossimo decennio ammonterebbe a

circa 800 milioni di euro l’anno. La complessità evarietà degli interventi previsti, l’entità del fabbiso-gno e le attuali condizioni dei bilanci pubblici impon-gono l’uso del condizionale.

finanziamenti assegnati importi spesi (%)

disinquinamento della laguna 1.101 403 37difesa abitati, insulae, marginamenti 793 375 47morfologia e arresto del degrado 711 381 54risanamento immobili 649 374 58difesa dei litorali 341 275 81progetto integrato rii 165 89 54opere alle bocche di porto 158 128 81contributi ai privati 156 61 39rinforzo dei moli 121 109 90Ca’ Foscari 106 43 41edifici demaniali 78 78 100aeroporto Marco Polo 72 65 90

Per quanto concerne la capacità di spesa, fino al 2001sono stati utilizzati circa 3 miliardi di euro pari media-mente al 52% dei fondi assegnati. In particolare lo Statoha speso il 63% delle proprie assegnazioni, la RegioneVeneto il 30%, il Comune di Venezia il 56%, il Comune

di Chioggia il 36% e tutti gli altri enti in media il 50%.Infine, con riguardo ai principali settori di interven-to, la situazione delle risorse assegnate e spese finoal dicembre del 2001 si presenta come nella tabellaseguente:

Finanziamenti assegnati e spesa effettuata (in milioni di euro) in relazione ai principali settori di intervento (dicembre 2001)

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Il problema delle fognature a Venezia è stato studia-to e dibattuto a più riprese per oltre un secolo. Nonè qui il caso di ripercorrerne la lunga storia iniziatanell’Ottocento; basta ricordare che l’ultimo attoimportante è avvenuto nel 1994 con la redazione del“Progetto generale guida per il rinnovo delle fogna-ture del centro storico di Venezia e delle isole dellalaguna” (allegato al “Piano Programma degli inter-venti integrati per il risanamento igienico sanitariodella città di Venezia”, meglio noto come Progetto

integrato rii). Esso rappresenta il punto di arrivo diun lungo dibattito tecnico culminato negli anni ottan-ta con vari studi di fattibilità e progetti esecutivigenerali o parziali, svolti da o per il Comune o laRegione, quasi tutti concordanti nella necessità direalizzare una fognatura dinamica nel centro storico,varianti talvolta nella scelta dei recapiti (in terrafer-ma o al Lido o nello stesso centro storico, ad esem-pio alla Giudecca). Prima di accennare ai contenutidel Progetto generale guida, che è attualmente ilprincipale riferimento tecnico in materia di fognatu-re nel centro storico, è utile descrivere brevementele caratteristiche del sistema fognario della città diVenezia.

I gàtoli e le fosse settiche

Come è noto, tale sistema è atipico, in quanto si avva-le di una antiquata rete di cunicoli sotto le calli e icampi, detti gàtoli, integrati talvolta a monte nell’e-spletamento della loro funzione dalle fosse setticheall’interno degli edifici e più a valle dai rii stessi. Soloin limitate parti della città sono state costruite dellereti moderne. Nei gàtoli si incontrano e si mescolanole acque reflue provenienti dagli edifici e le acque deicanali portate dalle maree. Destinati a raccogliereoltre ai reflui anche le acque piovane, dopo percorsipiù o meno tortuosi, questi collettori confluiscononel rio più vicino, attraverso scarichi collocati suimuri di sponda dei canali. La manutenzione e la puli-zia dei collettori può avvenire solo con il metodoantico del “badile e carriola”, una volta rimossi imasegni del selciato e scavato fino a poter scoper-chiare il gàtolo. L’ampiezza dei collettori e la loroquota di posa favoriscono il loro riempimento con iflussi periodici di marea, con il doppio effetto di unacerta pulizia e di un processo seppur blando di disin-fezione grazie all’acqua salmastra. Lo stato di conservazione dei gàtoli è oggi alquantoprecario, i materiali sono deteriorati dall’acqua sal-mastra e dai reflui e il livello di intasamento è media-mente pari al 50%, con casi frequenti di ostruzionetotale.

Fin dal primo Regolamento d’igiene del 1933 si èrichiesto per gli edifici che scaricano in rio o in unafognatura a “vecchio sistema” e non di tipo dinamico,l’interposizione prima dello scarico di una fossa set-tica. Il dimensionamento di tali dispositivi è stato sta-bilito con il Dpr 962/73, pari a 0,4 mc per abitante ser-vito, norma ancora attualmente applicata. Pur esistendo in gran parte degli edifici una fossa incui si raccolgono i liquami, le abitazioni che si sonoadeguate sono in realtà poche e non documentate.L’adeguamento viene richiesto in tutti i casi in cui ilproprietario presenti una concessione edilizia perristrutturare l’immobile. Lo scarico deve essere auto-rizzato dal Magistrato alle Acque, ma le concessioniche risultano registrate sono poche unità. La situa-zione è diversa per le unità immobiliari destinate adattività economiche, per cui esiste un piano di ade-guamento previsto dalla legge e quasi completato. La parte terminale di questo sistema è costituita dairii, che completano la degradazione degli inquinanti,separando per sedimentazione i solidi sospesi, che sidepositano sul fondo, dalle sostanze in soluzione,destinate ad essere allontanate dai riflussi di mareaverso la laguna ed il mare.

Le reti “moderne”

Oltre ai gàtoli esistono in alcune limitate zone dellacittà reti di tipo “moderno”, a tubo, realizzate in tempipiù recenti, cioè dagli anni settanta in poi. Si trovanogeneralmente nelle aree di più recente edificazione, aSanta Marta, Sant’Elena, Giudecca, Sacca Fisola,Murano, Burano. Sono reti di tipo “dinamico”, cioèdotate di una pendenza motrice che dovrebbe con-sentire il deflusso a gravità. Si rileva però che il fun-zionamento di tali reti è spesso più problematico chenon quello dei gàtoli; gli intasamenti, gli odori mole-sti, ecc. sono più frequenti e più fastidiosi. Il fenome-no è senz’altro da collegarsi al fatto che le tubazionisono calcolate e concepite per funzionare in ambien-ti diversi da quello “acquatico” della città lagunare.Essendo infatti le tubazioni collegate direttamente airii, come i gàtoli si trovano ad essere spesso invasedall’acqua lagunare, che annulla l’effetto della pen-denza motrice e accentua il fenomeno di condensa-zione dei grassi, con effetti drastici per i piccoli dia-metri delle condotte. Per funzionare correttamentequeste reti dovrebbero essere scollegate dalle acquedi laguna, intercettandone i punti di recapito.Esistono reti di tipo ancora più moderno, con appli-cazioni della tecnologia “a depressione”, negli ospe-dali Giustinian e Civile (Santi Giovanni e Paolo) e aSacca Fisola. Le prime due sono realizzazioni di pic-

FOGNATURE A VENEZIA

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cole dimensioni, mentre la terza è ancora in fase dicompletamento, per cui non è possibile giungereancora a delle valutazioni complete sull’impiego ditali tecnologie.Vi sono, inoltre, impianti di depurazione pubblici, aservizio di piccole porzioni di territorio. Ve ne sonooperanti a Murano, al mercato del Tronchetto, nell’a-rea Saffa, a Sacca Fisola, al mercato di Rialto, alleChiovere a Cannaregio. Vi sono, infine, trattamentilocali attraverso piccoli impianti di depurazione ospecifici sistemi di trattamento dei reflui ubicatidirettamente nella zona di produzione dei reflui stes-si e non in impianti centralizzati. Questi sistemi sono molto diffusi a Venezia in quan-to, tra il 1990 e il 1991, sono state emanate due leggi(la n° 71 del 1990 e la n° 360 del 1991) che, in attesadella realizzazione delle fognature dinamiche, impo-nevano alle aziende artigiane, agli ospedali, aglialberghi e ristoranti, l’adozione di piccoli impianti didepurazione o di fosse settiche per contrastare lefonti puntuali maggiori di inquinamento nel centrostorico. Sia pure lentamente per le varie derogheconcesse, iniziava un processo, ormai giunto quasialla conclusione, che ha portato alla realizzazione dicirca 1.400 piani di adeguamento, di cui oltre 1.000relativi ad alberghi, bar e ristoranti e gli altri ad atti-vità artigianali. Per la prevalenza, i piani di adegua-mento hanno previsto la realizzazione di fosse setti-che e condensa grassi, per trattare gli scarichi assi-milabili a quelli domestici (bar, ristoranti, alberghi).Per scarichi di tipo diverso (artigiani) sono stati stu-diati specifici sistemi di trattamento. Per una parteminoritaria, relativa agli scarichi con più di 100 abi-tanti equivalenti, è stato previsto un piccolo impian-to di depurazione, che assicura rendimenti molto piùelevati ed un effluente rispettoso dei limiti restrittiviprevisti dal Dpr 962/73. Si può stimare che attual-mente esistano circa 120 piccoli impianti a serviziodelle attività disciplinate dalle due suddette leggi.

I criteri del risanamento

La persistenza a Venezia di un diffuso sistema anti-quato di collettamento e smaltimento delle acquereflue ha certamente delle ragioni oggettive, che persemplicità possono essere sintetizzate nella seguen-te affermazione: la capacità autodepurativa dellarete dei rii e del fenomeno delle maree è giudicatasufficiente per scongiurare situazioni gravi sotto ilprofilo igienico sanitario e comunque per scoraggia-re l’installazione di una rete dinamica che potrebbeavere un forte impatto sull’intero sistema urbanoveneziano. Il lunghissimo dibattito e la miriade di piani, progettie norme susseguitisi in questi ultimi due secoli, testi-moniano tuttavia che la questione è di fatto ancoraaperta ed irrisolta. Negli ultimi decenni, nonostante

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Spurgo delle fosse settiche nel centro storico di Venezia

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il calo della popolazione residente, la qualità ambien-tale delle acque lagunari è certamente peggiorata(basti ricordare che fino agli anni sessanta vi eraancora chi nuotava nei rii) a causa dell’immissione dinuove e varie sostanze inquinanti.Recenti studi condotti dal Ministero dell’Università edella ricerca scientifica e tecnologica e dall’Arpavsullo stato dell’inquinamento delle acque dei rii nelcentro storico di Venezia e della laguna, hanno evi-denziato una situazione di alto contenuto di nutrien-ti e di elevato grado di fecalizzazione con presenza dibatteri e virus in misura tale da preoccupare per ipossibili rischi sanitari.Tutto il sistema di collettamento, si è detto, necessi-ta di un’opera di risanamento a cominciare dai gàto-

li che risultano intasati e fatiscenti, configurati inmodo tale da rendere impraticabile l’ordinaria manu-tenzione.Ma l’elemento più critico di tutto il sistema è senzadubbio lo stato degli impianti fognari privati, per lecondizioni di disordine e degrado in cui si trovano eper le difficoltà e i disagi connessi all’opera di ade-guamento. Un problema grave è quello della separa-zione delle acque “nere” da quelle “bianche”, in quan-to le portate collegate a queste (circa 10 volte più

grandi delle prime), sono incompatibili con i sistemidi collettamento impiegabili a Venezia. Soprattutto ladifficoltà è di assicurare lo scollegamento delle retifognarie con l’acqua di laguna, che può involontaria-mente immettersi attraverso caditoie, scarichi, scon-nessure.

Il Progetto generale guida

La legge speciale per la salvaguardia di Venezia n° 171 del 1973 ha affidato alla Regione Veneto latutela del territorio dagli inquinamenti e stabilito ilprincipio della depurazione degli scarichi confluentiin laguna, sia pubblici che privati. In attuazione alla171/73 veniva emanato nello stesso anno il Dpr 962,che fissava i limiti di scarico. Al Magistrato alle Acque veniva affidato il compito diautorizzazione e controllo di tutti gli scarichi in lagu-na. Tale competenza è tuttora valida e si estende aVenezia anche agli scarichi nei collettori pubbliciche, essendo direttamente collegati ai rii, sono con-siderati come propaggini di questi ultimi nel sotto-suolo. Nel 1979 la Regione emanava il “Piano diretto-re per il disinquinamento della laguna di Venezia”, ilquale tuttavia non si esprimeva sulle soluzioni relati-ve al caso veneziano.

La realizzazione del depuratore a servizio delle aree mercatali in campo della Pescaria a Rialto

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Con la legge regionale n° 35 del 1993 la Regioneaveva nel frattempo previsto la possibilità di delega-re agli Enti locali la progettazione e la realizzazionedelle opere di fognatura, superando gran parte deiproblemi di conflitto di competenza. Infine, la legge n° 206 del 1995, oltre ad affidare alComune la realizzazione dei progetti di massima perle fognature del centro storico, ha esteso l’imposizio-ne di adeguamento agli scarichi privati di natura civi-le, che dovranno dotarsi di sistemi di trattamentoprevisti dai progetti di massima, con le modalità e itempi indicati dal Sindaco. Tutti gli scarichi superio-ri a 100 abitanti equivalenti devono essere trattaticon la migliore tecnologia applicabile e gestibile,secondo i criteri individuati dalla Regione. Tali crite-ri sono stati stabiliti nella Delibera di Giunta regio-nale n° 4287 del 24 agosto 1995.

Nel 1994, la questione delle fognature venezianeveniva affrontata, come già accennato, nel “Progettogenerale guida per il rinnovo della fognatura del cen-tro storico di Venezia e delle isole della laguna”.Questo suddivide il territorio insulare di due zone(aree storiche ed aree marginali) da assoggettare adue diverse tipologie di risanamento. Tale biunivoci-tà è così sintetizzabile:a) per le aree storiche, caratterizzate da tessuto

urbano fragile che non permette interventi radi-cali, la tipologia di intervento è di carattere con-servativo con ottimizzazione del sistema esisten-te attraverso il risanamento dei gàtoli, lo scavodei rii, l’adeguamento degli impianti internimediante adozione di fosse settiche o di piccoliimpianti di depurazione;

b) per le aree marginali, caratterizzate da minoricriticità ambientali e da probabili trasformazioniurbane, è possibile puntare alla realizzazione diun sistema di collettamento “moderno” con sepa-razione delle acque bianche e nere e con recapitodi queste ultime ad impianti di trattamento cen-tralizzati al di fuori del centro storico.

Le aree storiche comprendono circa 228 ettari diterre emerse, 80.000 metri di percorsi pubblici equasi 40 mila abitanti, quelle marginali comprendonoun’area di circa 312 ettari e quasi 30 mila abitanti. Icosti stimati dell’intervento, relativi alla sola fogna-tura pubblica, ammontano a 160 milioni di euro,quasi equamente suddivisi tra aree storiche e margi-nali, cui si aggiungono circa 30 milioni di euro per ilgrande collegamento translagunare necessario per ilrecapito dei reflui, probabilmente a Fusina. I tempidi realizzazione ammontano a 25 anni circa, tenendoconto che i lavori si accompagnerebbero ad altriinterventi concomitanti nel sottosuolo secondo l’ap-proccio degli interventi integrati stabiliti nel PianoProgramma.

Approccio conservativo contro approccio

tecnologico per la fognatura di Venezia

La questione dell’impatto dell’approccio tecnologicoè tuttora oggetto di analisi. Se da un lato i “conserva-zionisti” vedono con sfavore l’introduzione nell’am-biente urbano veneziano di una rete di tubature, sta-zioni di pompaggio e di un collegamento sublaguna-re per il recapito dei reflui all’impianto di depurazio-ne, vi è anche chi è preoccupato dell’inserimentonelle aree storiche di ben 11 mila fosse settiche chepotrebbero costituire problemi non indifferenti sottoil profilo strutturale e anche storico-architettonico(si pensi agli aspetti archeologici). D’altro canto, a chi sta operando lo scavo dei rii (inInsula spa) appare con tutta evidenza che le condi-zioni igienico-sanitarie degli stessi anche dopo l’al-lontanamento dei sedimenti non sono compatibilicon una città i cui percorsi pedonali si svolgono perlarga parte lungo i rii, solcati oltretutto dalle comiti-ve dei turisti in gondola. Inoltre, gli studi svoltidall’Arpav hanno posto l’accento sulla criticità dellecondizioni ambientali delle acque interne, specie conriferimento a taluni parametri microbiologici.L’approccio conservativo delle aree storiche ha ilvantaggio di essere compatibile col tessuto urbani-stico di Venezia, ma per contro produce un effettocontenuto in termini di riduzione del carico inqui-nante sversato nelle acque lagunari. Le fosse settichehanno una capacità depurativa che può essere valu-tata del 30% del carico organico (BOD) e del 60% deisolidi sospesi, ma praticamente nulla per quantoriguarda i nutrienti (azoto e fosforo), responsabili delfenomeno dell’eutrofizzazione; mentre nulla si puòancora dire circa l’effettivo contributo depurativodei gàtoli. L’attività di risanamento, inoltre, è fattagravare in modo pesante sui privati.La soluzione tecnologica preoccupa per l’eccessivainvasività di sistemi difficili da inserire comunquenel contesto veneziano e di complessa e delicatagestione, con qualche rischio di fallanza. Alcunepreoccupazioni appaiono tuttavia infondate, qualiquelle dei pericoli connessi all’inserimento nell’am-biente lagunare di condotte in pressione, che nonsono più a rischio di altre condotte (gas, acqua pota-bile, oleodotti) ben più delicate. Esistono sistemi emetodi per prevenire i rischi dovuti a perdite e rottu-re, che non avrebbero comunque effetti disastrosi enon aumenterebbero il carico di inquinanti cheattualmente si versa ogni giorno in laguna. Il vantag-gio della soluzione tecnologica è quello di assicurareil collettamento fino ad impianti di trattamento cen-tralizzati di tutto l’inquinante scaricato, che se per ilcentro storico è valutato pari solo al 5% del caricoorganico sversato in laguna da tutto il bacino scolan-te, produce tuttavia un inquinamento concentratoproprio dove la popolazione vive e lavora.

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GRONDA LAGUNARE (E BACINO SCOLANTE)

Inizialmente il termine “gronda lagunare” indicaval’insieme dei territori comunali bagnati dalla lagunadi Venezia e quindi quelli di Venezia, Chioggia,Codevigo, Campagna Lupia, Mira, Quarto d’Altino,Jesolo, Musile di Piave. Essi sono elencati nell’art. 2della legge speciale n° 171 del 1973 come destinataridei finanziamenti che la legge stessa metteva a dis-posizione per gli interventi della salvaguardia. Ma giàil successivo art. 3 della stessa legge, che richiedeval’attuazione di un piano comprensoriale per l’ade-guamento degli strumenti urbanistici, lasciava allaRegione la definizione del perimetro del piano stes-so. Le norme successive volte a promuovere il disinquinamento degli scarichi idrici (il Dpr 962/73,la legge 319/76 e la legge 690/76) facendo evidente-

mente riferimento agli scarichi non solo diretti maindiretti in laguna, faranno coincidere l’ambito terri-toriale gravitante sulla laguna con quello del cosid-detto bacino scolante che sarà il territorio di riferi-mento del primo Piano Direttore del 1979.Il bacino scolante che gravita sulla laguna di Veneziaha una superficie di 1.878 kmq dei quali 1.100 kmq aforte vocazione agricola, con 250 mila capi di bestia-me dei quali 1000 concentrati in 30 grandi alleva-menti; la popolazione residente ammonta a 950 milaunità di cui circa 160 mila addetti nell’industria. IComuni appartenenti al bacino scolante sono com-plessivamente 102 (28 in provincia di Venezia, 21 inprovincia di Treviso, 53 in provincia di Padova).

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Il bacino scolante e gli ambiti di gestione fognaria

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Lo scenario internet dei siti dedicati ai temi e alla sto-ria della salvaguardia di Venezia costituisce un pano-rama estremamente vario, che dimostra come l’inte-resse per la tutela e la difesa di Venezia sia assai diffu-so a vari livelli. Fra tutti, grande interesse e comple-tezza nell’informazione riservano i siti dei soggettilocali che gestiscono e attuano gli articolati pro-grammi d’intervento miranti a salvaguardare l’inte-grità fisica della città e a difendere l’ecosistemaambientale della laguna. Web page in cui è riservatoampio risalto ai lavori eseguiti, all’approfondimentodelle tecnologie e dei processi di intervento, agliaspetti legislativi e alla conoscenza di problemi esoluzioni della città e della laguna.A questi siti si aggiungono i portali di istituzioni eorgani amministrativi in cui ampio spazio è riservatoalla legislazione e ai programmi per la salvaguardiadella città, per il riequilibrio della morfologia dell’e-cosistema lagunare e per il miglioramento della qua-lità di acque e sedimenti.In ambito locale, i siti dei vari comitati spontanei dicittadini o di appassionati di cultura veneziana e

lagunare si propongono di mettere a frutto esperien-ze e conoscenze dirette, per tutelare gli elementi piùpeculiari della vita lagunare, valorizzando determina-ti ambiti settoriali e attività tradizionali del territorioveneziano. Si aggiungono le pagine di enti culturali eassociazioni scientifiche, privati e pubblici, che dopoesperienze decennali di intervento diretto sul tessutourbano sui temi della salvaguardia ambientale e dellosviluppo sostenibile hanno trasferito e messo a dis-posizione degli utenti di internet il loro bagaglio dicompetenze e la loro storia.A livello internazionale le pagine internet più com-plete, dedicate alla salvaguardia, sono rappresentatedai siti dei numerosi Comitati privati per la difesadella città e del suo ambiente che dal 1966 svolgonocompiti di tutela e di promozione del patrimoniolagunare. L’obiettivo non è solo quello di dare visibi-lità ai numerosi interventi di restauro finanziati, maquello di diffondere a livello internazionale la sensi-bilità alla difesa del patrimonio culturale e ambienta-le di Venezia e stimolare l’interesse per i problemi ele azioni inerenti la salvaguardia.

HTML*: SITI INTERNET SULLA SALVAGUARDIA

* HTML (Hyper Text Markup Language)

siti italiani

• www.salve.it• www.dlf.it• www.architettiveneziani.it• www.terravenezia.it• www.dtiozzo.tripod.com• www.forumlagunavenezia.org• www.poloest2001.provincia.venezia.it• www.insula.it• www.magisacque.it• www.veneziacultura.it• www.magisacque.it• www.lidovenezia.it• www.consiglio.regione.veneto.it• www.archeosub.it• www.comune.venezia.it• www.consultavenezia.org

• www.vasonline.it• www.terravenezia.it• www.istitutoveneto.it• www.onuitalia.it• www.irre.veneto.it• www.corila.it• www.ombra.net• www.arpa.veneto.it• www.port.venice.it• www.clodianet.it• www.web.iuav.it• www.unive.it• www.viu.unive.it• www.istitutoveneto.it• www.iuav.unive.it/citiesonwater/• www.thetis.it/• www.ivsla.unive.it/

• www.provincia.venezia.it/coses• www.lagunadivenezia.it/• www.savenice.com/• www.provincia.venezia.it/• www.ilgridodivenezia.it/

siti internazionali

• www.veniceinperil.org• www.america-italysociety.com• www.cfsvenise.org• www.savevenice.org• www.venedig-lebt.at• www.ccru.geog.cam.ac.uk• www.venetianheritage.org• www.mit.edu• www.forvenice.org

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“INSULAE”

Una delle soluzioni adottabili per conseguire la difesadel territorio veneziano dalle esondazioni di marea èrappresentata dalla realizzazione di strutture perime-trali a quota più elevata di quella delle aree interne eidonee a garantire un sufficiente grado di impermea-bilizzazione tra area protetta ed esterno, impedendosia gli allagamenti a sormonto che quelli dovuti a fil-trazioni e sifonamento. Qualora il territorio da pro-teggere risulti, inoltre, attraversato da canali che, insituazioni di normale livello delle acque, devonorimanere agibili e comunicanti con l’esterno, si rendenecessaria l’installazione di paratoie mobili a chiusu-ra degli imbocchi degli stessi che, in caso di eventi dialta marea, completino la difesa perimetrale. Questoè il sistema di difesa locale detto delle “insulae”.Fin dai primi anni ottanta nell’ambito del progetto dimassima per le opere di regolazione delle maree allebocche di porto venne studiata la fattibilità diaumentare la quota di difesa dei centri storici lagu-nari come intervento complementare alle opere sud-dette e al fine di ridurre il più possibile il numerodelle chiusure delle bocche. La legge speciale n° 798del 1984 introduceva tra le misure di difesa dalleacque alte gli “interventi localizzati delle insulae deicentri storici” e nel marzo del 1990 il Comitatone nechiedeva la verifica di fattibilità per i centri diVenezia, Murano, Burano e Chioggia, che il ConsorzioVenezia Nuova completava nel 1992. Tale verificaaveva proposto come ottimale una quota di difesa di+100 cm in quanto rendeva possibile l’abbattimentodi un numero notevole di allagamenti e nello stessotempo era compatibile con la tutela monumentaledella città. Dieci anni più tardi questa quota sarebbestata elevata a +110 cm anche sulla base delle espe-rienze di rialzi localizzati della pavimentazione pub-blica realizzati nel frattempo.

L’intervento a Malamocco e il progetto Burano

Le prime applicazioni del criterio delle “insulae”sono state realizzate negli abitati litoranei in conco-

mitanza con le difese dal mare. L’intervento aMalamocco è rappresentativo di questa interpreta-zione completa della difesa per “insulae”. In questocaso i lavori svolti tra il 1988 e il 1993 ad opera delConsorzio Venezia Nuova, hanno comportato la rea-lizzazione di una “cintura” di opere, comprensiva dirivestimenti antisifonamento in pietrame lungo illitorale al piede interno del murazzo, per circa 520 m,mentre sul fronte lagunare la difesa dalle mareeavviene oltre che attraverso la protezione spondale eda idonei diaframmi antifiltrazione, anche con lainstallazione di tre paratoie a ventola a scomparsaincernierate sul fondo dei tre imbocchi di canali sfo-cianti sulla laguna. Il tutto garantisce una difesa del-l’abitato di Malamocco fino a un livello di marea di+140 cm, che corrisponde a +163 cm, con riferimen-to allo zero mareografico di Punta della Salute. Conmaree eccezionali come quelle del 1966 e del 1986l’abitato non risulterebbe quindi protetto.Questo criterio sarà adottato anche a Burano, nel-l’ambito del vasto progetto elaborato da Insula spanell’ambito dell’Accordo di programma, approvatonelle numerose sedi competenti nel 2000 ed avviatodi recente. Si tratta di un progetto integrato doveoltre alla difesa perimetrale assume particolareimportanza l’adeguamento del sistema fognario e larealizzazione di un sistema di raccolta delle acquemeteoriche, indispensabile per l’attuazione delle“insulae”. In questo caso l’intera isola è protetta peril 99,3% del suo territorio fino alla quota di +135 cmcon la combinazione dell’intervento di rialzo dellapavimentazione fino a quota +110 e con l’installazio-ne di paratoie ai cinque imbocchi dei rii.Una soluzione del genere per l’intero centro storicoveneziano è stata avanzata a livello di studio di fatti-bilità da un gruppo di ingegneri veneziani fin dal1982, applicandola per diciotto “macroinsulae” (inte-se come gruppi di “insulae” contigue) nelle quali èstata suddivisa Venezia. Si tratta di una soluzione cherichiede un notevole impiego tecnologico con un

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centinaio di sbarramenti mobili posti agli imbocchidei canali e sistemi di pompaggio per il sollevamentodelle acque reflue e meteoriche e la loro espulsioneall’esterno delle “macroinsulae”, oltre che alla prote-zione di chilometri di sponde. Gli stessi ingegneristanno attualmente collaborando con la societàInsula per verificare l’ipotesi di applicare questametodologia all’insula di San Giuseppe a Castellonell’ambito del Progetto integrato rii.

Il progetto “insula di San Marco”

Ben più noto e delicato l’ambizioso progetto per ladifesa dalle acque alte dell’area marciana, la più bassadi Venezia. Piazza San Marco, infatti, inizia ad allagar-si a partire dal nartece della basilica quando la marearaggiunge la quota di +63 cm, che significa la presen-za d’acqua nel vestibolo e davanti alla basilica peroltre 250 volte l’anno, mentre lungo le ProcuratieVecchie la quota di allagamento varia tra +80 e +90cm, in piazzetta dei Leoncini e sul molo della piazzet-ta di San Marco fino al ponte della Paglia la quotadella pavimentazione è mediamente intorno a +80cm. Il Consorzio Venezia Nuova ha messo a punto fin

dal 1993 un progetto per proteggere l’area marciana,ormai costantemente visitata dai turisti: si tratta dioperare in un ambiente delicatissimo rialzando le riveperimetrali per limitare il sormonto e nello stessotempo evitare la filtrazione dal sottosuolo ed il rigur-gito dai tombini e cunicoli, collegati con i canali e lalaguna. Si è pensato allora di intervenire medianteuna difesa “orizzontale” con un sistema di impermea-bilizzazione al di sotto della pavimentazione stenden-do una membrana di bentonite e creando al di sopraun nuovo sistema di raccolta e smaltimento delleacque piovane. Più complessa la difesa del nartece,che deve essere difeso in altro modo. Recentementel’intero progetto è stato rivisto e adattato per tenerconto delle prescrizioni della Soprintendenza ed èpassato ripetutamente al vaglio della Commissioneper la Salvaguardia di Venezia. È già stato intantoapprovato nel giugno 2002 il primo stralcio, del costostimato di circa 50 milioni di euro, che riguarda il rial-zo del Molo dal pontile di calle Vallaresso fino allapiazzetta. Il lotto successivo proseguirà dalla piazzet-ta al ponte della Paglia. In queste aree tutta la rivadovrebbe essere portata fino ad un metro sul livellomedio del mare, con un recupero altimetro che inalcuni tratti dovrebbe essere di 25 cm. Una tale quotalascerebbe tuttavia esposta l’area del Molo alle mareecomprese tra 100 e 110 cm, mentre il dosso più inter-no sarebbe rialzato fino a quota +115 cm. Stando ai programmi, l’area prospiciente il bacinodovrebbe essere completata entro la primavera del2004 (ma l’avvio dei lavori ritarda) e nel frattempodovrà essere definitivamente approvato l’interventopiù delicato, quello che deve proteggere l’intera piaz-za. In questo caso non si potrà attuare il rialzo dellapavimentazione ma si procederà all’isolamento delsottosuolo, in particolare della rete di antichi gàtoli

e dei moderni sottoservizi, per evitare la risalita del-l’acqua dai tombini e la filtrazione del sottosuolo.Alcuni negozi posti sotto le Procuratie Vecchiedovranno essere difese con “rialzi” della pavimenta-zioni o “vasche di tenuta”. Nel complesso per opera-re l’isolamento della piazza, i progettisti delConsorzio Venezia Nuova propongono di utilizzare,come si è detto, uno strato di bentonite (un compo-sto di argilla impermeabile), ma una tale soluzionesembra essere ancora oggetto di discussione in sededi Commissione per la Salvaguardia di Venezia. Inogni caso le acque raccolte sotto la piazza da unanuova rete dovranno essere convogliate ad una sta-zione di sollevamento, da collocare ai Giardini Reali,per essere reimmesse in laguna. L’intervento comple-to durerà cinque anni. L’ultima e non meno comples-sa operazione consisterà nel sollevamento del narte-ce della Basilica, che è di competenza dellaProcuratoria di San Marco.

Progetto di difesa dell’insula di San Marco dalle acque alte:restauro, consolidamento e rialzo del molo sul bacino

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INSULA spa (SOCIETÀ PER LA MANUTENZIONE URBANA)

Con l’Accordo di programma del 1993 e l’approva-zione del “Piano Programma di interventi per il risa-namento igienico sanitario del centro storico e delleisole” del 1994, prendeva subito dopo avvio una este-sa e sistematica opera di manutenzione urbana diret-tamente gestita da un apposito ufficio dellaRipartizione dei lavori pubblici del Comune diVenezia. Venivano innanzitutto appaltati i lavori piùurgenti: lo scavo del bacino Orseolo, il risanamentodelle sponde del rio Novo ammalorate dal trafficonautico e il consolidamento dei ponti di SantaChiara, dei Tre Ponti e del Magazen che lo attraver-sano. Si poneva in essere anche la riapertura speri-mentale di un rio terà, quello della Crea aCannaregio, che era stato interrato nel 1834, con loscopo di ravvivare in quell’area la circolazione idrica:esperimento che non sarà ripetuto altrove data lareazione negativa dei residenti.Il cantiere più importante riguarderà lo scavo dei riinella prima delle trentasette “insulae” del centro sto-rico previste dal Piano Programma, meglio notocome Progetto integrato rii, quella di Santa MariaZobenigo nel sestiere di San Marco. La presenzadella Fenice in quell’area era la principale ragione ditale scelta prioritaria. Da tempo il comandante deiVigili del Fuoco ingegner Alfio Pini aveva denunciatoi rischi connessi alla difficoltà o addirittura impossi-bilità, dato l’intasamento dei rii, per i mezzi anti-incendio di accedere nei periodi di bassa marea invarie aree della città contraddistinte dalla presenzadi edifici di eccezionale importanza come appuntoLa Fenice, l’Archivio di Stato e molti altri. Un destinoparticolarmente avverso, come è noto, vorrà che ilgrande Teatro venisse distrutto dalle fiamme nellanotte del 26 gennaio 1996, proprio quando il rio chelo costeggia era a secco per i lavori di manutenzione!Seguirà nella primavera del 1997 l’avvio dei cantieriin altre quattro “insulae” (o meglio gruppi di “insu-lae” contigue): quelle del Ghetto a Cannaregio, deiFrari a San Polo-Santa Croce e di Santa MariaFormosa a San Marco nel centro storico; più la lungafondamenta Navagero a Murano.

La manutenzione del suolo e lo scavo dei rii

L’esperienza in corso nell’insula di Santa Maria diZobenigo aveva nel frattempo messo in tutta eviden-za la complessità logistica del cantiere e la difficoltàdi rispettare i tempi programmati da parte di unaamministrazione comunale già oberata da una gran-de quantità di lavoro. Uno degli aspetti più comples-si riguardava il coinvolgimento ed il coordinamentodegli enti gestori dei sottoservizi, la cui presenza era

indispensabile nel momento in cui tutto il sottosuoloveniva sconvolto dai lavori. È noto come ormai unadiffusa e spesso caotica rete di cavi, tubature e con-dotti fognari invada il sottosuolo veneziano, come inogni altra città dove la vita moderna esige la presen-za di reti tecnologiche sempre più diffuse per porta-re ai cittadini servizi sempre più efficienti e sofisti-cati. L’ultimo di questi è stato il cablaggio con fibreottiche esteso a gran parte della città fin dal 1992dalla Telecom nell’ambito del “progetto Socrate”.Per questo complesso di ragioni l’amministrazionecomunale decideva di varare una società ad hoc cheaffrontasse con criteri gestionali di tipo aziendaleuna missione articolata e complessa dalla cui capa-cità di rispettare i programmi poteva dipendere lacontinuità del flusso dei finanziamenti, indispensabi-li per un progetto pluriennale e di largo respiro. Nasceva in tal modo “Insula spa, società per la manu-tenzione urbana di Venezia”, una società mista pub-blica e privata, dotata di un capitale sociale di 4miliardi di lire, detenuto per il 52% dal Comune diVenezia e per il 12% ciascuno da altri quattro soci:Aspiv (in seguito Vesta), Ismes (società dell’Enel, poidivenuta Enel.Hydro), Italgas e Telecom Italia. Essaè sorta sulla base delle indicazioni dell’art. 22 dellalegge n° 142 del 1990 sull’ordinamento delle autono-mie locali ed ha cominciato ad operare nell’ottobredel 1997, dopo la stipula di un contratto di servizioche le assegnava tutta una serie di compiti.La sua nascita peraltro si inquadrava in una politicacomunale di “esternalizzazione” dei servizi pubblici,avviata dalla Giunta Cacciari del 1993, volta a sgra-vare l’amministrazione da compiti gestionali in favo-re di un maggior spazio a quelli strategici di indiriz-zo, coordinamento e vigilanza. Le ragioni della scelta dei partner societari erano evi-denti: il Comune attraverso Insula coinvolgeva piùdirettamente le quattro società che gestiscono i sot-toservizi nell’attuazione coordinata del “progettointegrato rii”, riducendo i tempi di intervento e i disagi che i lavori sul sottosuolo comportanoimmancabilmente alla cittadinanza. Al sacrificio diadattare programmi di intervento e relative risorse aiprogrammi di manutenzione di Insula, i quattro sociminoritari contrapponevano il beneficio economicodi risparmiare i costi tutt’altro che trascurabili con-nessi ai lavori di scavo e di lievo e riposa della pavi-mentazione cittadina. In concomitanza con la manu-tenzione sistematica e radicale di fondamente, pontie calli si attuava la razionalizzazione dei sottoservizi,in termini di ammodernamento, rinnovo e potenzia-mento delle reti tecnologiche. Si creavano in tal

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modo notevoli sinergie con economie di scala e unanetta riduzione dei disagi futuri alle attività dei citta-dini generalmente provocati da interventi ripetitivi escoordinati.Altro scopo prioritario dell’affidamento del “progettointegrato rii” ad un organismo aziendale era quello diaumentare la capacità di spesa dell’amministrazione.Poiché il Piano programma prevedeva una spesa di1.400 miliardi di lire in 23 anni, era necessario porsiun obiettivo produttivo di circa 60 miliardi l’anno (30milioni di euro), meritando in tal modo, attraverso lacoerenza e il rispetto dei programmi, la continuità

dei flussi di risorse necessari per portarli a compi-mento. I primi tre anni di gestione diretta comunaleavevano dimostrato che l’obiettivo produttivo sud-detto era irraggiungibile nelle condizioni esistenti.

Criteri e risultati del lavoro di Insula spa

L’approccio operativo di Insula è imperniato sullaprogettazione integrata di vari interventi diversi insi-stenti sullo stesso ambito: dallo scavo dei rii allamanutenzione delle sponde, dal restauro dei pontialla razionalizzazione dei sottoservizi, dalla difesalocale dalle acque medio-alte al risanamento dellapavimentazione. Questi lavori nel sottosuolo sonoun’importante occasione per estendere la rete cabla-ta e per dotare le aree a rischio della rete antincendio. Essendo l’obiettivo più urgente quello dello scavo

dei rii che non si praticava sistematicamente damoltissimi anni, tanto che in molti tratti era impeditauna navigazione sicura, la prima fase del lavoro diInsula si è concentrato nelle aree prospicienti e pros-sime ai rii. Si è proceduto pertanto al lavoro sistema-tico di risanamento dei muri di sponda; in tal modosi è provveduto, tra l’altro, a raccogliere una grandequantità di dati sulle condizioni delle strutture fon-dazionali della città, soggette al continuo impattodelle maree e del moto ondoso.In una seconda fase si affrontano le aree più internedel centro storico, laddove il problema prioritario dirisanamento si identifica con l’adeguamento igienicodella rete fognaria, che come è noto è quasi tutta ditipo tradizionale con sversamento diretto dei refluisui rii (v. alla voce Fognature a Venezia).Un criterio metodologico fondamentale, indicatodalla stessa Soprintendenza per i beni culturali erigorosamente seguito da Insula è quello che si puòdefinire del “restauro funzionale”, vale a dire del con-tinuo perseguimento dell’obiettivo della tutela dellavalenza storica e monumentale degli “oggetti urbani”così particolari della città (sponde, paramenti mura-ri, rive, ponti, porte d’acqua, pavimentazione a mase-gni, ecc.) contemperandolo con l’esigenza di unacittà moderna e vitale, che necessita di reti tecnolo-giche avanzate, della mobilità acquea e pedonale evia dicendo.A oltre 5 anni dalla sua costituzione, la società per lamanutenzione urbana di Venezia ha quasi triplicatola propria produzione di manutenzione, passando da14 milioni di euro nel 1998 a 38,3 milioni di euro nel2002. Per un maggior dettaglio sul grado di avanza-mento del Progetto integrato rii si rimanda piùavanti, a questa voce.

Restauro dei muri di sponda di rio di San Stae a Venezia

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LEGISLAZIONE SPECIALE PER VENEZIA

Il 16 aprile 1973 veniva emanata la legge n° 171 inti-tolata Interventi per la salvaguardia di Venezia, cheall’art. 1 recitava: “La salvaguardia di Venezia e dellasua laguna è dichiarata problema di preminente inte-resse nazionale. La Repubblica garantisce la salva-guardia dell’ambiente paesistico, storico, archeologi-co ed artistico della città di Venezia e della sua lagu-na, ne tutela l’equilibrio idraulico, ne preserva l’am-biente dall’inquinamento atmosferico e delle acque ene assicura la vitalità socio-economica nel quadrodello sviluppo generale e dell’assetto territoriale dellaRegione. Al perseguimento delle predette finalitàconcorrono, ciascuno nell’ambito delle proprie com-petenze, lo Stato, la Regione e gli Enti locali.”Erano passati sei anni e mezzo dal grave eventomareale del 4 novembre 1966. Si pensi che solopochi mesi prima della grande “acqua alta”, esatta-mente il 5 luglio, era stata emanata una legge, la n°526 che rifinanziava con 12 miliardi di lire una leggedi dieci anni prima, la n° 294, del 1956 appunto, perl’esecuzione “da parte del Magistrato alle Acque diVenezia, di opere urgenti ed indifferibili per la conser-vazione del porto e della laguna di Venezia e dei lito-rali e manufatti che li difendono…”, proprio quei lito-rali e manufatti che a novembre saranno messi a duraprova! Non basta: il 6 agosto di quello stesso anno1966 veniva emanato un altro provvedimento cheautorizzava la spesa di 880 milioni di lire “per lo studiodei provvedimenti atti alla difesa della città di Veneziaed a salvaguardia dei suoi caratteri ambientali emonumentali”. Era dunque quel 1966 un anno feliceper quanto riguarda il flusso di risorse destinate dalloStato a Venezia, ma prima dei soldi arrivò la spaven-tosa mareggiata a dimostrare che comunque si tratta-va di provvedimenti tardivi ed insufficienti. Infatti, il24 dicembre 1969 verrà emanata la legge n° 1013recante Norme integrative della L. 6 agosto 1966, n°

652, concernente lo studio dei provvedimenti a dife-

sa della città di Venezia ed a salvaguardia dei suoi

caratteri ambientali e monumentali, che autorizzava

una ulteriore spesa di ben 3,6 miliardi in aggiunta agli880 milioni deliberati nel 1966.Nel frattempo le commissioni di studio erano al lavo-ro per preparare un provvedimento generale, unanuova “legge speciale” a carattere esaustivo, chesarebbe stata emanata solo nella primavera del 1973.Ma prima di trattare di questa è bene fare una rapi-dissima retrospettiva sulla precedente legislazionespeciale per Venezia.

Cenni alla legislazione precedente al 1973.

In passato il tema della salvaguardia di Venezia èstato all’origine di più interventi legislativi ad hoc.Subito dopo la caduta della Serenissima, il cuicostante impegno per la gestione del territorio urba-no e lagunare rappresentava uno dei fattori principa-li della sua lunga e gloriosa storia, troviamo già nel1807 un provvedimento napoleonico concernentemisure a favore della città di Venezia. Ma la primavolta che troviamo l’accezione di salvaguardia è nelregio decreto legge del 21 agosto 1937 n° 1901, inti-tolato Provvedimenti per la salvaguardia del carat-

tere lagunare e monumentale di Venezia.

I regi decreti del 1937 e 1938. L’obiettivo prioritariodel provvedimento del 1937 riguardava il finanzia-mento “a cura e a spese dello Stato”, di alcune fon-damentali opere di manutenzione dei centri urbani diVenezia, Giudecca, Lido, Murano e Burano. Taliopere consistevano nel prosciugare i rii onde scavar-ne i fondali “alla quota necessaria alla libera espan-sione della marea” ed eseguire gli interventi di con-solidamento delle fondazioni degli edifici e delle riveprospicienti ai canali, nel sistemare i ponti relativi,riparare e sistemare gli edifici monumentali delloStato coinvolti nei lavori sui rii, quando non fosserosufficienti le assegnazioni ordinarie di bilancio, effet-tuare infine quelle opere integrative sugli edifici pro-spicienti i rii che si rendessero necessarie “anche perragioni igieniche” (art. 1). Si trattava in sostanza di

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effettuare quelle operazioni di manutenzione straor-dinaria che a intervalli più o meno regolari devonoessere espletate da sempre a Venezia per garantire lanavigabilità dei canali interni, vitale per l’economiacittadina, e al contempo preservarne le sponde dal-l’immancabile degrado che l’incessante movimentodelle maree ed il moto ondoso provocano.L’ultima volta che era stata effettuata una operazionedi questo genere fu all’inizio del secolo, fino alloscoppio della prima guerra mondiale e se si escludeun periodo di breve ma intensa attività intorno aiprimi anni venti, durante i quali furono scavati in pre-senza d’acqua oltre 200 mila mc di fango in esubero,dopo la prima guerra mondiale e fino alla fine deglianni trenta, non furono compiuti scavi sistematicicon i rii messi in asciutto, e quindi con la possibilitàdi intervenire con cura nel risanamento delle spondedei rii.Il regio decreto, che sarà convertito in legge il 3 feb-braio del 1938 col n° 168, in sostanza provvedeva astimolare la ripresa sistematica di questo tipo dimanutenzione “sussidiando”, con fondi messi a dis-posizione dal Ministero dei Lavori pubblici, un pro-gramma di interventi straordinari. Il sussidio ammon-tava al 40% del costo delle opere sui rii (e al 30% peralcune opere più strettamente attinenti agli edifici)essendo chiaramente stabilito dal provvedimento che“durante il prosciugamento dei canali dovrà essereprovveduto a cura dei rispettivi proprietari a tuttiquei lavori che risultano necessari per il consolida-mento delle fondazioni degli edifici e a quant’altro èinerente alla sicurezza dei medesimi nonché ai lavoriintesi a migliorare la salubrità delle costruzioni spe-cialmente mediante opere per la difesa degli edificimedesimi da causa di umidità” (art. 2).Per provvedere ai lavori suddetti il Ministero delleFinanze iscriveva nel bilancio del Ministero deiLavori pubblici per 10 esercizi finanziari a partire dalbilancio 1937-1938, la somma di 30 milioni di lire. Iltermine decennale verrà in seguito prorogato di altri10 anni fino al 1957 da un apposito provvedimentodel 1948 (Dlgs n° 845 del 17 aprile 1948).Al regio decreto del 1937 n° 1901, convertito in leggenell’anno seguente, era seguito il regio decreto 7marzo 1938 n° 337 intitolato Norme per la conces-

sione e per la liquidazione dei contributi per i

lavori di consolidamento degli edifici privati in

Venezia in dipendenza di opere di escavazione dei

rii e canali. Tale decreto precisava i criteri di eroga-zione dei contributi, affidando al Magistrato alleAcque, d’intesa con il podestà del Comune ed ilPrefetto, l’attuazione del programma di risanamentovarato dal Rdl n° 1901. Forniva inoltre ulteriori det-tagli circa le modalità di rimborso da parte delloStato al Comune per i sussidi ai privati relativi ailavori sugli edifici svolti in concomitanza dello scavo

dei rii. Stabiliva infine che dei 30 milioni di lire stan-ziati, 10 fossero assegnati per questo fine (rimborsodei sussidi ai privati) e 8 quale contributo dello Statoal Comune.

Le leggi del 1956 e del 1966. Poiché allo scadere deitermini del regio decreto del 1937, il programma dirisanamento non era concluso, fu emanata la legge31 marzo 1956 n° 294 intitolata Provvedimenti per la

salvaguardia del carattere lagunare e monumenta-

le di Venezia attraverso opere di risanamento civi-

co e di interesse turistico, che aveva appunto loscopo principale di rifinanziare la legge del 1937. Iltitolo della nuova legge pertanto riprende e ribadiscequello della legge precedente, aggiungendo due spe-cificazioni: a) il risanamento civico, inteso non solo come ade-

guamento igienico dell’abitato (già consideratonel precedente provvedimento) ma anche comeintervento di restauro e risanamento edilizio;

b) l’interesse turistico, coerentemente con lo svi-luppo crescente che questo settore stava assu-mendo. Non a caso l’ambito degli interventiincluderà tutta la fascia litoranea da San Nicolòdel Lido a Pellestrina inclusa, nonché l’isola diTorcello precedentemente non considerata,ormai diventata tappa obbligata dei turisti.

Altre novità relative riguardano la chiamata in causaquale organo di controllo della allora Sovrintendenzaai monumenti e alle belle arti, chiaro indice di unaaumentata sensibilità alla tutela architettonica eambientale.La legge del 1956 poneva pertanto a disposizione ben3.000 milioni di lire da erogarsi in 10 esercizi finan-ziari, dei quali 1.700 milioni per lo scavo dei rii e ilrisanamento delle sponde pubbliche e dei ponti, e1.300 per contributi al Comune e ai privati per il risa-namento degli edifici prospicienti i rii.In sostanza, il risultato dei provvedimenti del 1936 edel 1956 fu tangibile, in quanto grazie ad essi fin dallafine degli anni trenta iniziò una intensa attività discavo e risanamento che pur rallentata se non pro-prio interrotta dallo scoppio della seconda guerramondiale, si protrasse fino alla prima metà degli annisessanta con una media di oltre 20 mila mc di fangoscavati all’anno, con le punte produttive maggiorinegli ultimi anni cinquanta. Va ricordato che fino al1954, per quanto la responsabilità primaria del pro-gramma di interventi, come si è visto, fosse delMagistrato alle Acque, a capo dell’Ufficio tecnico delComune vi era ancora il vulcanico ingegner EugenioMiozzi, la cui gestione durante tutti gli anni trenta siera distinta per l’attivismo ed il grande impulso datoai lavori pubblici del Comune.Lo ‘slogan’ della salvaguardia aveva funzionato cosìbene che allo scadere del decennio previsto dalla

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legge del 1956 venne approvata una nuova legge,quella emanata il 5 luglio 1966 n° 526 intitolataModifiche alla legge 31 marzo 1956 n° 294 e nuove

norme concernenti provvedimenti per la salvaguar-

dia del carattere lagunare e monumentale della città

di Venezia, che poneva a disposizione ulteriori risor-se pari a 15,5 miliardi di lire ai seguenti fini: a) la continuazione del programma di risanamento,

compresa l’elevazione dei contributi ai privatiprevisti nella precedente legge del 1956 dal 30-40% al 50-60% (1,5 miliardi);

b) l’allargamento del programma di risanamento adaltre opere ritenute “urgenti ed indifferibili per laconservazione del porto e della laguna di Veneziae dei litorali e manufatti che li difendono” (12miliardi) e “il restauro degli edifici demaniali el’esproprio di fabbricati privati da destinare asedi di uffici pubblici nel centro storico diVenezia” (2 miliardi).

Quest’ultimo provvedimento finanziario pone in evi-denza la tendenza ad allargare progressivamentel’ambito delle opere da realizzare e dei beni da salva-guardare, passando progressivamente dalla manu-tenzione dei rii a quella degli edifici monumentali epoi dagli abitati al porto e ai litorali. Nel corso deglianni precedenti erano stati emanati tre provvedi-menti: due per l’ampliamento del porto e della zona

industriale di Marghera (la 2a zona con la legge 20ottobre 1960 n° 1233 e la 3a zona con legge 2 luglio1963 n° 397), un terzo sulla regolamentazione delleattività e delle opere entro la conterminazione lagu-nare (legge 5 marzo 1963 n° 366).Ma, come si è detto, a pochi mesi di distanza dall’e-manazione della legge n° 526 del 1966, avveniva latragica alluvione del 4 novembre, che darà di colpo alproblema della salvaguardia di Venezia una eco inter-nazionale e costringerà studiosi, operatori e ammini-stratori a rivedere ipotesi, convinzioni e programmi.

La difficile gestazione della legge

n° 171 del 1973

Lo “shock” subito con la mareggiata del 1966 nonpoteva essere superato certamente in poche settima-ne o mesi e tuttavia il primo atto legislativo conse-guente, la n° 171, comparve con notevole ritardo,nella primavera del 1973, appunto sei anni e mezzodopo. Perché tanto ritardo? Furono certamenteavviati studi e approfondimenti nelle sedi istituzio-nali proprie, potenziando comitati e formando com-missioni di studio, ma solo tre anni dopo, giunse unprimo provvedimento intermedio, la legge del 24dicembre 1969 n° 1013, intitolata Norme integrative

della L. 6 agosto 1966 n° 652, concernente lo studio

dei provvedimenti a difesa della città di Venezia ed

a salvaguardia dei suoi caratteri ambientali e

monumentali, che autorizzava, come si è vistosopra, una spesa di 3,6 miliardi di lire. Tale impegnosi aggiungeva ai 15,5 miliardi di lire già stanziati dallalegge n° 526 del 1966, ed erano destinati ad ulteriorifinalità di studio e indagine: dall’acquisto di apparec-chiature scientifiche e strumenti di misura per laraccolta dei dati scientifici, alla stipula di convenzio-ni con università ed istituti di ricerca anche stranie-ri, nonché all’istituzione del Centro sperimentale diVoltabarozzo, affidato in uso gratuito al Ministero deiLavori pubblici: si trattava di un complesso impianti-stico per la simulazione e lo studio delle condizionidella laguna di Venezia (modello fisico idrodinamicodella laguna). Veniva inoltre previsto di allargare adaltri componenti, anche di cittadinanza straniera, lapartecipazione al Comitato già costituito presso ilMinistero dei Lavori pubblici con una legge del 6 ago-sto 1966 (la n° 652).Questa apertura alla collaborazione di tecnici edesperti stranieri era una diretta conseguenza dellagrande emozione che la mareggiata del 1966 avevasuscitato in tutto il mondo, grazie al risalto enormeche i mass media avevano dato all’evento, attirandol’attenzione su “Venezia che sprofonda”. In effetti ilmondo della cultura e della scienza si era mobilitato,specialmente su impulso dell’Unesco, che nel lugliodel 1969 pubblicava il famoso “Rapporto Unesco suVenezia” e mobilitava il mecenatismo promuovendo

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Il senatore Ted Kennedy accompagnato dal sindacoGiovanni Favaretto Fisca in visita ai “murazzi” di Pellestrina, gennaio 1967

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la costituzione di Comitati privati per raccoglierefondi da destinare al restauro e alla conservazionedei monumenti e delle opere d’arte di Venezia.Il suddetto provvedimento n° 652, fin dal titolo, faintendere due cose: che a tre anni dall’evento vi eraancora da capire e studiare prima di decidere, e insecondo luogo, che il richiamo ai caratteri ambien-

tali, al posto del consueto riferimento al carattere

lagunare, testimoniava la necessità di ampliare latematica oggetto di analisi, con la considerazioneinnanzitutto dell’elemento mare che così drastica-mente si era ripresentato all’attenzione dei venezia-ni, per essere in seguito vieppiù considerato alla lucedell’evolversi della tematica ambientale dalla scalalocale a quella globale. Infatti, erano quelli gli anni nei quali si stava affer-mando progressivamente in tutto il paese la sensibi-lità ai problemi della tutela dell’ambiente, sensibilitàche ormai stava trovando sostanza in nuovi interven-ti legislativi come la legge “antismog” del 1966. Èchiaro che il problema di Venezia aveva tutte lecaratteristiche per diventare il simbolo, a ragione o atorto, di una contrapposizione tra conservazione esviluppo. Ciò derivava dalla presenza in laguna diuno dei più grandi complessi industriali d’Europa,che proprio in quegli anni aveva visto la nascita dellaMontedison, società dai grandi piani di investimentonei settori petrolchimico e metallurgico, che progetta-va di colmare 4000 ettari di barene per insediarvi la“terza zona industriale” e si stava dotando del canalenavigabile Malamocco-Marghera. Succederà che sia lecolmate della terza zona che lo scavo del nuovo cana-le (la cui apertura avverrà solo nel 1968) verranno indi-cati da alcuni come altrettanti fattori di corresponsabi-lità nella disgraziata alluvione del 6 novembre.

Contenuti della legge n° 171 del 1973

Alla fine di una lunga stagione di dibattiti che era ini-ziata all’indomani dell’acqua alta del 6 novembre1966 e che ancora era in corso, nella primavera del1973 apparve dunque la prima legge speciale diVenezia del dopo alluvione. Il disegno di legge erastato presentato nell’estate del 1972 al Senato dalministro dei Lavori pubblici Nino Gullotti e dal mini-stro al Tesoro Giovanni Malagodi; relatori furono:alla Camera dei Deputati l’on. Pietro Padula e alSenato il sen. Giuseppe Togni. L’approvazione defini-tiva giunse il 13 aprile 1973 e l’iter fu quindi relativa-mente breve (anche se il testo aveva subito ben ottodiverse stesure) in rapporto ai lunghi dibattiti e allevivaci polemiche che l’avevano preceduto. Tra imolti intervenuti nel corso del dibattito inParlamento si ricordano l’on. Costante Degan, l’on.Gianni Pellicani, (firmatario di una proposta dilegge) e l’on. Bruno Visentini. Gran parte del dibattito parlamentare si era incen-

trato sul tema del livello del decentramento del pote-re centrale agli Enti locali. In particolare l’opposizio-ne, cioè la sinistra guidata dal PCI, accusava la mag-gioranza, in quello che appare oggi come uno deiprimi dibattiti su federalismo e centralismo, di espro-priare la Regione e gli Enti locali delle loro compe-tenze. E in effetti, gli emendamenti presentati in talsenso dalla sinistra portarono ad una modificazionedell’impostazione della legge favorevole ad un mag-gior decentramento amministrativo. L’affidamentoalla Regione della redazione di un Piano comprenso-riale, la presidenza alla stessa della Commissione perla salvaguardia di Venezia, l’affidamento delle com-petenze in tema di disinquinamento, furono concretirisultati di questa azione correttrice.La legge n° 171 fissava gli obiettivi che Governo,quindi Ministero dei Lavori pubblici, Regione ed Entilocali (Provincia di Venezia, comuni di Venezia e diChioggia) dovevano perseguire con atti propri suc-cessivi, per conseguire una serie di interventi voltialla salvaguardia di Venezia.La Regione Veneto rappresentava un nuovo attoregiovane, essendo l’istituto regionale nato nel 1970, macon ben precisi poteri. Innanzitutto essa doveva,come si è accennato, approvare un Piano compren-soriale del territorio di Venezia, da elaborare sullabase degli indirizzi governativi espressi da un comita-to composto da ben sei ministri, dai presidenti dellaGiunta regionale e dell’amministrazione provinciale,dai Sindaci di Venezia e di Chioggia e da due rappre-sentanti degli altri sei comuni della gronda lagunare(Codevigo, Campagna Lupia, Mira, Quarto d’Altino,Jesolo e Musile di Piave). Il piano comprensorialedoveva fissare gli obiettivi di sviluppo e di assetto delterritorio di Venezia e del suo entroterra, così comesopra definito, ed individuare le misure di protezionee valorizzazione dell’ambiente naturale e storico-arti-stico, “con particolare riguardo all’equilibrio idrogeo-logico ed all’unità fisica ed ecologica della laguna”. Sono in tal modo stabiliti dei principi basilari chesaranno continuamente ribaditi anche nei provvedi-menti normativi successivi. Con la legge 171 si passapertanto da una concezione della salvaguardia diVenezia ben definita e limitata alla difesa fisica e allamanutenzione urbana, ad una visione assai piùampia delle complesse problematiche del territorioveneziano, di tipo sistemico ed onnicomprensivo(dall’urbanistica alla tutela ecologica, dall’aperturadelle valli da pesca al sistema delle infrastrutture,ecc.) fondata sulla interconnessione tra sviluppoeconomico e tutela del territorio, e coinvolgendo ivari ordini di competenze amministrative.La legge 171 istituiva inoltre una serie di strumentioperativi ed emanava vari indirizzi settoriali. Tra iprimi va citata l’istituzione della “Commissione per lasalvaguardia di Venezia”, un organo collegiale assai

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pletorico (una ventina di membri rappresentanti deivari soggetti istituzionali) cui è stato assegnato ilcompito di esprimere pareri e prescrizioni vincolantisu tutti gli interventi edilizi e di trasformazione delterritorio all’interno della conterminazione lagunare(titolo II, artt. 5 e 6). Veniva altresì prevista la nominadi un nuovo “comitato tecnico-scientifico per lo stu-dio dei problemi concernenti la difesa di Venezia”,che si sostituiva al comitato costituito nel 1966 e nerecepiva gli studi e le sperimentazioni (art. 8). Tra gli indirizzi settoriali merita menzione il dispostodell’art. 10 che rendeva obbligatorio ai fini dell’eser-cizio degli impianti termici l’uso dei soli combustibi-li gassosi (metano e simili). In sostanza si proibivanoquei combustibili liquidi (gasolio e olio combustibi-le) che durante l’alluvione avevano seriamente inqui-nato la laguna ed i canali interni, e che peraltro conle loro emissioni di anidride solforosa e particolatosospeso provocavano un notevole danno alle super-fici dei monumenti e delle opere d’arte.Per quanto riguarda la ripartizione delle competenzetra i principali soggetti amministrativi la legge 171 asse-gnava innanzitutto allo Stato i seguenti compiti (art. 7):a) regolazione dei livelli marini in laguna finalizzata

a porre gli insediamenti urbani al riparo dalleacque alte;

b) marginamenti lagunari;c) opere portuali marittime e di difesa del litorale;d) restauro degli edifici demaniali e di quelli di

carattere storico e artistico destinati all’uso pub-blico;

e) esecuzione di opere di consolidamento e di siste-mazione di ponti, canali e di fondamenta suicanali;

f) sistemazione di corsi d’acqua naturali e artificia-li interessanti la salvaguardia di Venezia e dellasua laguna;

g) restauro e conservazione del patrimonio artisti-co mobiliare e pubblico.

Oltre alla responsabilità dell’approvazione del pianocomprensoriale, la Regione Veneto risulta competen-te, assieme al Magistrato alle Acque, per la tutela delterritorio dagli inquinamenti delle acque e quindi delcontrollo degli scarichi e degli impianti di depurazio-ne delle acque sversate in laguna. Infine, la compe-tenza dei Comuni (Venezia e Chioggia) è prevalente-mente concentrata sul controllo e l’autorizzazionedegli interventi edilizi di restauro e risanamento con-servativo, responsabilità condivisa con gli altri sog-getti, come si è visto, nell’ambito della Commissioneper la salvaguardia di Venezia, e sotto la vigilanza

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Il processo a Indro Montanelli, 1970

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della Soprintendenza ai monumenti.Vi è pertanto una prevalente competenza dello Stato,coerente con la dichiarazione di preminente interes-se nazionale di Venezia e con la conseguente assun-zione degli oneri della spesa. A tale proposito, glistanziamenti complessivi della legge 171 ammonta-vano a 300 miliardi, ripartiti su cinque esercizi finan-ziari (1973-77). La quantità di risorse che la legge 171poneva a disposizione delle amministrazioni pubbli-che era certamente cospicua, ma il grado di disper-sione era eccessivo e rischiava di limitare i tempi el’efficienza della spesa, perdendo di vista l’obiettivoprimario e la motivazione originaria dello sforzolegislativo e finanziario.

L’attività normativa seguita alla legge n° 171

Alla marea dirompente del 4 novembre, faceva dun-que seguito sei anni più tardi una marea (metaforica)di norme legislative, non sempre coerenti, talvoltaconfuse e ridondanti. Nel solo giorno del 20 settem-bre 1973 venivano emanati ben tre decreti attuatividel Presidente della Repubblica: 1) il Dpr n° 791, intitolato Interventi di restauro e

di risanamento conservativo in Venezia insu-

lare, nelle isole della laguna e nel centro storico

di Chioggia, che regolava dettagliatamente talemateria sotto il profilo della programmazionedegli interventi, della tipologia e della misura deicontributi alla spesa dei privati, della ripartizio-ne negli esercizi dei 100 miliardi di lire previstiper il restauro e risanamento conservativo aVenezia (90) e a Chioggia (10) dalla legge 171;

2) il Dpr n° 962, intitolato Tutela della città di

Venezia e del suo territorio dagli inquinamenti

delle acque, un decreto molto specifico e tecni-camente dettagliato volto a determinare le carat-teristiche degli impianti di depurazione prescrittidalla legge 171 in funzione della provenienza edella qualità delle acque di scarico di origineurbana, industriale ed agricola, sversanti diretta-mente o indirettamente nella laguna. Il decretofissava l’entità dei contributi che la RegioneVeneto era autorizzata a concedere ad enti pub-blici, imprese o privati, o loro consorzi, con con-tributi in conto capitale (in alcuni casi fino al70%) per la costruzione o l’adeguamento degliimpianti di trattamento delle acque reflue o dellefognature urbane (con contributi fino al 90%);

3) il Dpr n° 1186, intitolato Adeguamento dell’orga-

nico del magistrato alle acque di Venezia e delle

soprintendenze alle antichità e alle belle arti

delle provincie venete, nel quale erano dettaglia-tamente fissati qualifiche e numero del persona-le dei ruoli organici dei suddetti enti e si stanzia-vano 350 milioni di lire per far fronte ai necessa-ri adeguamenti.

Dopo alcuni anni di studio e di programmazione,seguiti al 1966, veniva alla fine dunque varata unaserie di norme settoriali, non sempre direttamentecollegate allo scopo primario della legislazione disalvaguardia, cioè la difesa dall’acqua alta (o addirit-tura completamente avulse, come è il caso dell’ade-guamento degli organici delle soprintendenze ditutte le provincie venete!). Alla legislazione nazionale si aggiungeva via via lalegislazione regionale, in applicazione alla prima. Adesempio, il 5 settembre 1974, la Regione Veneto ema-nava la legge n° 47 che istituiva, in applicazione del-l’art. 12 del decreto n° 791 del 1973, due società a pre-valente partecipazione pubblica, Edilvenezia spa edEdilchioggia spa, per la realizzazione degli interventidi restauro e di risanamento conservativo nellerispettive città. Tre giorni dopo, l’8 settembre 1974,veniva emanata dalla Regione un’altra norma, lalegge n° 49, in applicazione dell’art. 2 della legge spe-ciale n° 171: si tratta della legge regionale che stabi-lisce la Delimitazione dell’ambito territoriale del

comprensorio e norme per la formazione e l’ado-

zione del piano comprensoriale relativo al territo-

rio di Venezia e del suo entroterra.

Riguardo alla delimitazione del comprensorio, que-sto comprendeva oltre ai comuni della gronda lagu-nare (Venezia, Chioggia, Codevigo, Campagna Lupia,Mira, Quarto d’Altino, Jesolo e Musile di Piave) sta-biliti dalla legge 171, altri comuni dell’entroterra eprecisamente: Camponogara, Dolo, Mirano, Spinea,Salzano, Martellago, Marcon e Mogliano Veneto. Lalegge 49 fissava quindi una serie di norme sulla for-mazione e organizzazione degli organi del compren-sorio (Consiglio di comprensorio e Comitato esecu-tivo), nonché sulla struttura del piano comprensoria-le. Nell’art. 2 della legge 171/73 il Governo si impe-gnava a fissare, entro tre mesi dalla sua emanazione,gli indirizzi del piano comprensoriale, che poi laRegione avrebbe dovuto approvare con propria leggeentro 15 mesi. Sia pure con ritardo il Governo, nella seduta delConsiglio dei Ministri del 27 marzo 1975, fissava unaserie di “obiettivi generali… nel rispetto delle esigen-ze di salvaguardia ambientale e di progresso econo-mico”. Essi comprendevano un’ampia serie di inter-venti che andavano da “l’abbattimento delle acque altenei centri storici entro limiti tali da non turbare la fun-zionalità del sistema portuale, lo svolgimento delleattività quotidiane della popolazione e la difesa deglistessi centri dalle mareggiate di più forte e pericolosaentità” fino “al raggiungimento della piena occupazio-ne delle forze di lavoro del comprensorio”.La vasta gamma degli obiettivi spaziava dalla salva-guardia dell’ambiente naturale e del patrimonio stori-co-artistico al restauro e risanamento immobiliare neicentri storici, dalla diminuzione dei tassi di inquina-

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mento dell’aria e dell’acqua al miglioramento dellecondizioni di lavoro nelle fabbriche, dal potenzia-mento della rete dei trasporti e dei servizi sociali ingenerale al coordinamento delle funzioni portuali eindustriali, dall’organizzazione urbana agli interventinel settore idrologico, alla bonifica e all’acquacoltura.Nella stessa deliberazione del Consiglio dei Ministri,veniva dato mandato al Ministero dei Lavori pubblicidi provvedere, entro tre mesi dall’approvazione degliindirizzi generali, “a bandire un appalto-concorsointernazionale, da espletare nel termine massimo di12 mesi che preveda in una prima fase, il restringi-mento delle bocche, da integrare, eventualmente inuna successiva fase, con l’impianto di dispositivimanovrabili”. A tale scopo, il 5 agosto 1975 venivaemanata la legge n° 404 che in tre articoli fissava leNorme per l’indizione del bando dell’appalto-con-

corso internazionale per la conservazione dell’equi-

librio idrogeologico della laguna di Venezia e per

l’abbattimento delle acque alte nei centri storici.

Questa iniziativa ed altre successive relative allaricerca di una soluzione tecnologica per fronteggiarela alte maree eccezionali apriranno una stagione diinterminabili e laceranti dibattiti.

La legge “speciale bis” n° 798 del 1984

Le ambiziose intenzioni della legge n° 171 del 1973(nota ormai come “prima legge speciale”) si dimo-strarono con il passare del tempo in buona parteirrealizzabili. Innanzitutto il Piano comprensorialeche doveva essere il quadro di riferimento del nuovoassetto del territorio veneziano, non solo era statoultimato con grave ritardo nel 1979, ma non era statomai approvato da una legge regionale, per evidenticontrasti politici tra i poteri locali nelle tematicheurbanistiche. In effetti i criteri pianificatori piuttostorigidi che erano alla base della legge apparivanoobsoleti rispetto ad un concetto di programmazionei cui principi entravano progressivamente e ovunquein crisi. Oltre ai ritardi applicativi lamentati, appariva in tuttaevidenza che la funzionalità della legge era frustratada una paralizzante frantumazione e sovrapposizionedelle competenze. Andava inoltre considerata anchel’insufficienza dei fondi stanziati nel 1973. Le varie carenze decretavano in sostanza il fallimen-to della prima legge speciale, così da invocarne unaprofonda revisione da parte di un ampio arco di forzepolitiche, scientifiche e culturali, che si concretizzòin quattro proposte per una “legge speciale bis” cherimediasse alle manchevolezze della precedente (idisegni di legge Battaglia, Rocelli, Marucci e Forner).Tali proposte furono la base per l’elaborazione di unprovvedimento che fu presentato in Parlamento nelgiro di pochi mesi e che portò il 29 novembre 1984alla emanazione della legge n° 798 Nuovi interventi

per la salvaguardia di Venezia. Una prima rilevante novità della legge 798, volta asuperare la lamentata sovrapposizione delle compe-tenze, è stata l’istituzione di un Comitato presiedutodal Presidente del Consiglio e formato da ben cinqueministeri (Lavori pubblici, Beni culturali e ambienta-li, Marina mercantile, Ecologia, Ricerca scientifica etecnologica), dal presidente della Giunta regionale edai sindaci di Venezia e Chioggia, aventi compiti diindirizzo, coordinamento e controllo dell’attuazionedegli interventi previsti dalla legge stessa, nonché dieventuali modifiche alla ripartizione dei fondi (art.4). Tale Comitato, che verrà presto definito dallastampa il Comitatone, per l’importanza dei soggettiche vi fanno parte ma anche per la affollata presenzadi delegazioni di funzionari ed esperti, si riunirà conuna cadenza annuale non sempre rispettata.Un’altra importante novità è contenuta nel terzocomma dell’art. 3, laddove “il Ministero dei Lavoripubblici è autorizzato a procedere mediante ricorsoad una concessione da accordarsi in forma unitaria atrattativa privata, anche in deroga alle disposizionivigenti, a società imprese di costruzione, anchecooperative, e loro consorzi, ritenute idonee dalpunto di vista imprenditoriale e tecnico-scientifico,nell’attuazione degli interventi”. Comincerà in talmodo ad agire quale supporto tecnologico delMagistrato alle Acque, il Consorzio Venezia Nuova,costituito nel 1982, che avvierà la propria attività diconcessionario unico nel 1987 per diventare, con lafirma della convenzione del 1991, il vero e propriobraccio operativo del Magistrato alle Acque, per gliinterventi di competenza statale. Sotto il profilo finanziario la nuova legge 798 desti-nava complessivi 600 miliardi di lire ad una lungaserie di opere in vari campi: dal riequilibrio idrologi-co alle attrezzature antinquinamento, dai margina-menti lagunari alle opere portuali marittime a difesadei litorali, dal restauro degli edifici demaniali(primo di tutti lo storico e grandioso Arsenale dellaSerenissima) al consolidamento di ponti e sponde,ecc. La maggior parte dei fondi pari a 341,5 miliardiera assegnata allo Stato e quindi al Magistrato alleAcque, 145 ai comuni di Venezia e Chioggia, 80 allaRegione ed il resto al Provveditorato al porto e alMinistero per i Beni culturali e ambientali. La quotamaggiore (238 miliardi di lire) era stanziata “perstudi, progettazioni, sperimentazioni, ed opere volteal riequilibrio idrogeologico della laguna, all’arrestoe all’inversione del processo di degrado del bacinolagunare e all’eliminazione delle cause che lo hannoprovocato, all’attenuazione dei livelli delle maree inlaguna, con interventi localizzati, delle insulae deicentri storici e a porre al riparo gli insediamentiurbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anchemediante interventi alle bocche di porto con sbarra-

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menti manovrabili per la regolazione delle maree, nelrispetto delle caratteristiche di sperimentalità, rever-sibilità e gradualità contenute nel voto del Consigliodei lavori pubblici n° 209 del 1982”.Il problema dell’acqua alta continuava a rimanere,irrisolto com’era, in testa alle priorità. Comparivaperaltro per la prima volta il riferimento alle “insu-lae” intese come porzioni del centro storico e insula-re veneziano suscettibili di essere oggetto di unadifesa locale dalle acque alte, attraverso interventi diprotezione spondale, rialzo della pavimentazione ochiusure con sbarramenti mobili all’imboccatura deicanali.La legge 798/84 comprende interventi di varia natura,anche non strettamente attinenti alla difesa fisica diVenezia, ma relativi a misure di sostegno alle attivitàeconomiche (ad esempio all’industria vetraria mura-nese, alle attività portuali o alla conversione di atti-vità manifatturiere inquinanti), nonché all’ediliziaresidenziale, nell’ottica di sostenere la base produtti-va e demografica della città e di contrastare la pre-varicante monocultura turistica.Nel frattempo, nell’estate del 1985 verranno emanatiun paio di decreti ministeriali volti ad applicare dellespecifiche disposizioni della legge 798: il decreto delMinistero dell’Industria, del commercio e dell’artigia-nato del 18 luglio 1985 per disciplinare l’erogazionedegli incentivi alle imprese che adottavano impiantiper la prevenzione dell’inquinamento delle acque edell’aria; e il decreto del Ministero per i Beni cultura-li e ambientali dell’1 agosto 1985 il quale dichiarandoche “la Laguna di Venezia si qualifica come eccezio-nale complesso paesistico e ambientale, caratterizza-to da una serie di connotazioni, complementari edesplicative dello stesso” (sic!?) ed “è fonte inesauri-bile di accumulazioni visive ad alta valenza estetica,in cui sono presenti e si compenetrano valori natura-listici, singolarità ecologiche, ricche presenzearcheologiche e storiche ecc.” delimita il territoriodegli otto comuni della gronda lagunare come rica-denti sotto le disposizioni della legge 29 giugno 1939n° 1497 sulla “protezione delle bellezze naturali”.Seguirà qualche anno dopo la legge 8 novembre 1991n° 360 (su iniziativa degli on. Rocelli e Santuz) chestanzierà per i programmi di interventi urgenti previ-sti dalla 798 ulteriori finanziamenti per un centinaiodi miliardi a favore di Venezia e Chioggia (infrastrut-ture sociali, contributi per l’acquisto della primacasa, sospensione degli sfratti, Fondazione QueriniStampalia, aeroporto Marco Polo, ecc.)

La terza legge speciale: n° 139 del 1992

La gamma degli interventi necessari alla salvaguar-dia era così vasta e complessa che le risorse finan-ziarie poste a disposizione dalla legge 798/84 sidimostravano presto insufficienti per la realizzazione

degli obiettivi che essa aveva fissato, ancorché lagrande opera di difesa dalle acque alte eccezionali, aparte il modulo sperimentale Mo.s.e., non avessevisto la luce. Della lentezza con cui proseguiva l’ap-plicazione della legge speciale per Venezia si eraperaltro lamentato lo stesso Stato attraverso le con-clusioni di una indagine svolta da una commissioneparlamentare presieduta dall’on. Santuz.1937, 1948, 1956, 1966, 1971, 1984, 1992. Rispettandouna scadenza abbastanza regolare (una per decade),il 5 febbraio 1992 veniva emanato il settimo provve-dimento finanziario per la salvaguardia, la terza leggespeciale dopo il 1966, che dava modo di proseguire “iprogrammi di intervento per la salvaguardia diVenezia e il suo recupero architettonico, urbanistico,ambientale e socio-economico di cui alla legge 29novembre 1984 n° 798 e successive modificazioni”. La legge autorizzava limiti di impegno per quindicianni di 250 miliardi di lire, così ripartiti: 92,5 miliardiper gli interventi di competenza dello Stato, 71,5 perquelli di competenza della Regione, 61 per quelli dicompetenza dei comuni di Venezia e di Chioggia, deiquali il 50% destinati “all’acquisizione ed il restauro erisanamento conservativo di immobili da destinarealla residenza nonché ad attività sociali e culturali,produttive artigianali e commerciali essenziali per ilmantenimento delle caratteristiche socio-economi-che degli insediamenti urbani lagunari”. Per quanto riguarda le competenze del Ministero deiLavori pubblici, e quindi del Magistrato alle Acque,l’art. 3 fa ancora una volta riferimento al piano gene-rale degli interventi per la difesa fisica della città edella laguna, già inseriti nell’art. 4 della legge specia-le precedente, elencandoli in otto punti, che sono iseguenti: a) opere di regolazione delle maree;b) adeguamento e rinforzo dei moli foranei alle tre

bocche lagunari;c) difesa dalle acque alte degli abitati insulari;d) ripristino della morfologia lagunare;e) arresto del processo di degrado della laguna;f) difesa dei litorali;g) sostituzione del traffico petrolifero in laguna;h) apertura delle valli da pesca all’espansione delle

maree.

L’ultimo comma dell’art. 4 precisa che l’utilizzo deifondi per le opere di regolazione delle maree (letteraa) è subordinato alla verifica, da parte delComitatone “di un adeguato avanzamento” degli altriinterventi, “nonché l’acquisizione del parere dellaRegione Veneto e dei comuni di Venezia e Chioggiasul relativo progetto”. (Questo comma si rivelerà inseguito il cavallo di battaglia dei critici del progettoMose, così come elaborato dal Consorzio VeneziaNuova).

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La Regione Veneto, competente in materia di risana-mento e tutela ambientale deve proseguire l’opera didisinquinamento sulla base del “piano di prevenzionedell’inquinamento e di risanamento delle acque delbacino idrografico immediatamente sversante nellalaguna di Venezia” (Piano Direttore), approvato dalConsiglio regionale il 19 dicembre del 1991. Infine aicomuni restano i compiti di manutenzione urbana edi risanamento del patrimonio edilizio. È evidenteperaltro nella legge la preoccupazione crescente peril decadimento demografico ed economico diVenezia, dal momento che dopo la legge del 1984,che pur si faceva carico di questo problema, calodella popolazione residente, esodo delle attività diproduzione e di servizio, crescita costante e disordi-nata dei flussi turistici continuavano in modo accen-tuato. Nell’ottica di un sostegno alla vitalità dellacittà oltre agli stanziamenti destinati al Comune,erano previsti stanziamenti anche per la Provincia, ledue università veneziane (Ca’ Foscari e IUAV) fina-lizzati a interventi di restauro e risanamento delpatrimonio immobiliare destinato alle attività didat-tiche, scientifiche e formative, per un impegno di 9miliardi. Inoltre altri 4 miliardi erano destinati alcompletamento dell’aeroporto Marco Polo diVenezia.Per quanto concerne la manutenzione urbana, unapposito articolo della legge (l’art. 5) è dedicato agli

“interventi di competenza del Comune di Veneziafinalizzati alla manutenzione dei rii, alla tutela delpatrimonio edilizio prospiciente i rii, conseguiteanche attraverso l’erogazione di contributi ai privatinonché gli interventi di competenza della RegioneVeneto volti alla realizzazione di opere igienico sani-tarie nel centro storico di Venezia”. Tali interventi,precisa la legge, “sono eseguiti in forma unitaria alloscopo di garantire l’omogeneità tecnico-progettuale,il coordinamento nella fase realizzativa e la necessa-ria integrazione delle risorse finanziarie. A tal fine laregione Veneto e il Comune di Venezia, nonché leamministrazioni statali competenti all’esecuzionedegli interventi per insulae (cioè il Ministero deiLavori pubblici e per esso il Magistrato alle Acquecon il proprio concessionario unico ConsorzioVenezia Nuova), provvedono a perfezionare appositoaccordo di programma ai sensi e per gli effetti del-l’art. 27 della legge 8 giugno 1990 n° 142”.La legge n° 139 stabiliva che per la realizzazione delsuddetto progetto integrato (che si chiamerà poi“progetto integrato rii”) il Comune era destinatario diun impegno di spesa fino a 11 miliardi di lire (art. 2comma 7) cui si aggiungeva quello della Regione,nella misura del 10% degli stanziamenti ad essa desti-nati, pari a 7,1 miliardi (art. 2 comma 3). Va precisa-to che sulla base dell’assegnazione dei fondi impe-gnati dalla legge 139, tutti i soggetti destinatari eranoautorizzati a contrarre mutui con ammortamentosino a quindici anni, a provvista dilazionata, pressoistituti di credito specializzati. Questo meccanismopermetteva di accedere a risorse sette o otto voltesuperiori ai fondi stanziati: nel complesso tra i 1.750e i 2.000 miliardi di lire.

A quando la quarta legge speciale?

Si è visto come con cadenza all’incirca decennaleappare una nuova legge speciale per Venezia, se nonaltro per rifinanziare la precedente. Sarebbero quin-di maturi i tempi per una nuova legge, posto che l’ul-tima è stata emanata nel 1992. Infatti giacciono pres-so il Parlamento ben sei progetti di legge, cinque alSenato ed uno alla Camera. Sono i seguenti:

Disegni di legge del Senato della Repubblica:

– Disciplina degli interventi per la salvaguardia

di Venezia d’iniziativa dei senatori Turroni, Boco,De Petris e Martone (7 giugno 2001);

– Salvaguardia di Venezia e della sua laguna d’i-niziativa del senatore Bergamo (3 ottobre 2001);

– Legislazione speciale di Venezia d’iniziativa deisenatori Falcier, Tredese, Favaro, Archiutti, Frau,Nocco, Carrara, Scotti e Pasinato (26 novembre2001);

– Norme per la salvaguardia di Venezia d’iniziati-va dei senatori Basso, Giovanelli, Baratella,

Gianfranco Rocelli e Marino Cortese, due dei parlamentariveneziani promotori della legge 139/92

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Viviani, Crema e Treu (30 gennaio 2002);– Norme per la tutela fisico-ambientale e lo svi-

luppo socio-economico della Città di Venezia e

della sua laguna d’iniziativa dei senatori Treu,Giaretta, Dettori, Bedin, Vallone, Lavagnini eMontagno (12 febbraio 2002).

Proposta di legge della Camera dei Deputati:

– Riforma della legislazione speciale per Venezia

d’iniziativa degli onorevoli Michele Vianello,Andrea Martella, Ermete Realacci, Fabrizio Vigni,Bruno Cazzaro, Giuseppe Giulietti, MarcoStradiotto (aprile 2002).

Non vi è qui lo spazio per una analisi comparativadelle varie versioni. Basti osservare che in forme piùo meno simili quasi tutte le proposte ribadiscono lefinalità già espresse nelle leggi precedenti, e che pos-sono essere raggruppate (come fa esplicitamente laproposta Bergamo) in tre categorie: salvaguardiafisica, salvaguardia ambientale, recupero o sviluppo(sostenibile) socio economico. Rispetto alle leggiprecedenti, quest’ultimo obiettivo è particolarmenteenfatizzato in tutte le proposte, assieme a quello diarrestare il degrado idrogeologico della laguna, che èsempre più considerato la causa principale dellamaggior frequenza delle acque alte. Tutte le propostecontemplano il mantenimento di un Comitato istitu-zionale con compiti di indirizzo, coordinamento econtrollo, coadiuvato, secondo alcune proposte,dall’Ufficio di piano. Secondo l’autorevole parere delprof. Emilio Rosini, che recentemente ne ha svoltouna breve analisi comparativa sotto il profilo stretta-mente tecnico giuridico, la maggior parte delle pro-poste sono molto concentrate sulle finalità politichema poco attente agli aspetti formali, inconsapevolitalvolta del quadro legislativo complessivo nel qualedovrebbero inserirsi. Le proposte a volte introduco-no, ad esempio, modifiche alle strutture amministra-tive esistenti di non facile attuazione e di competen-za governativa e ministeriale.Di fronte ad una così copiosa mole di proposte, ècomunque da augurarsi che, come in passato, i par-lamentari veneziani trovino il modo di convergereverso un testo condiviso che garantisca il massimodei benefici per la comunità che rappresentano, al dilà delle diverse appartenenze di schieramento.

La “specialità” è in crisi?

Intanto, la recente iniziativa governativa che ha por-tato alla emanazione delle legge n° 443 del dicembre2001 (la cosiddetta “legge obiettivo” per il rilanciodelle grandi opere) cui è seguita la deliberazione delCipe che ha assegnato dei fondi per Venezia per iltriennio 2003-2005, quasi interamente destinati alMose, e al contempo non ha rifinanziato la legge spe-ciale, costituisce una novità per certi versi preoccu-pante. Pur avendo il Dlgs n° 190 del 2002 attuativodella suddetta legge all’art. 16, comma a, fatto salvala legislazione speciale per la salvaguardia diVenezia, è indubbio che in questa fase la tutela diVenezia è più che mai decisa al solo livello delGoverno nazionale, forse a causa delle indecisioni edelle opposizioni manifestatesi a livello locale. Il Governo ha voluto concentrare lo sforzo finanzia-rio nella difesa dalle acque alte eccezionali, rinfoco-lando le polemiche di chi paradossalmente sostieneche l’evento del 1966 tra i molti danni abbia origina-to quello “di natura intellettuale e psicologica” cheha finito per identificare, sull’onda delle emozioni, ilproblema di Venezia con quello dell’acqua alta, sot-tostimando e trascurando i problemi più vasti e com-plessi di gestione idraulica e di degradazioneambientale, di un territorio ben più vasto della lagu-na, cioè del bacino imbrifero retrostante. I principi della gestione integrata del territorio intro-dotti dalla importante legge sulla difesa del suolo (n°183) emanata un lustro dopo la legge speciale bis, nel1989, che ha istituito le Autorità di bacino, non sonostati estesi all’ambito lagunare, superando quella“conterminazione” storica che forse non ha piùragione d’essere. Una straordinaria “acqua alta” ha difatto reso straordinario anche ciò che è sempre statoconsiderato un consolidato e normale processo dimanutenzione ordinaria della laguna, delle sue valli edei suoi dei canali, condotto sulla base di una espe-rienza cumulata nei secoli da tecnici pubblici, opera-tori capaci e silenziosi, che utilizzavano strumentiamministrativi ben collaudati. Ma il lungo e spesso acceso dibattito che si è svoltoin tutti questi anni non è stato improduttivo e sembrarecentemente farsi strada la coscienza diffusa che unproblema complesso come quello della salvaguardiadi Venezia debba essere affrontato finalmente condecisione, ma anche con prudente razionalità, senzafughe in avanti. Così anche il “decisionismo” gover-nativo può stimolare reazioni utili e produttive eduna “prima pietra” gettata nell’acqua può romperel’incanto della “laguna di chiacchiere”.

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MANUTENZIONE URBANA

Come nelle attività industriali il mantenimento del-l’efficienza e della capacità di risposta alla domandadel mercato è strettamente legato alla manutenzionedegli apparati produttivi, all’adeguamento tecnologi-co e al rinnovo degli impianti, anche nei sistemi urba-ni la crescente domanda di qualità dei servizi richie-sti dai cittadini necessita un eguale comportamento.Si tratta di una esigenza in gran parte ancora insod-disfatta nel nostro paese da non molto tempo uscitoda un tumultuoso processo di urbanizzazione che haconcentrato nelle città oltre il 60% della popolazionee dove la rapida dotazione di infrastrutture urbaneha quasi sempre trascurato il momento della manu-tenzione rispetto a quello della realizzazione delleopere. Oggi si fa strada, sia pur lentamente, unanuova mentalità che considera fin dal momento dellaprogettazione la programmazione della manutenzio-ne dell’opera come sua parte integrante.Va da sé che la manutenzione urbana è tanto più dif-ficoltosa quanto più vasta e complessa è la città. Unproblema particolare attiene alla manutenzione deicentri storici o di intere città storiche, dove occorremediare tra la conservazione del patrimonio cultura-le che rappresentano e le esigenze di modernizzazio-ne. Se nelle città “moderne” sono preminenti le pro-blematiche di congestione e di sovraffollamento,spesso nelle città storiche vi è il problema inversodell’abbandono con conseguente degrado e decaden-za socio-economica, talvolta aggravati dall’impattoarrecato da un disordinato turismo di massa. Questi aspetti si presentano a Venezia accentuatidalla sua specificità di città circondata se non immer-sa nell’acqua, città preminentemente pedonale (quin-di con forti vincoli alla mobilità), contraddistinta daun patrimonio monumentale e artistico concentratoma cospicuo, antico, vario e prezioso, da una struttu-ra urbana incompatibile con un facile utilizzo dellereti tecnologiche che oggi costituiscono il sistemasanguigno e nervoso della città. Un sistema urbanopertanto che ancorché relativamente esteso (Venezia

insulare occupa circa 500 ettari, di cui un quintooccupato dal suolo pubblico) richiede una manuten-zione continua a causa dello stesso ambiente umido esalmastro, della particolarità delle sue fondazioni edelle pavimentazioni, per la presenza di un reticolo dicalli e canali attraversati da 450 ponti, ecc. L’avvio nel 1995 del Progetto integrato rii che hainiziato dal sistematico scavo dei rii a secco e con ilconseguente risanamento delle sponde degradate daltempo, dal flusso delle maree e dal moto ondoso,assieme ai lavori di questa e altra natura eseguiti dadecenni dal Magistrato alle Acque e dal ConsorzioVenezia Nuova sia nei centri urbani insulari sia inlaguna, rappresentano un grande intervento dimanutenzione urbana “straordinaria” resa possibiledalle risorse poste a disposizione dalla legislazionespeciale seguita al 1966. Il problema è se la straordinarietà di Venezia richie-de una sorta di straordinarietà permanente nell’im-pegno della manutenzione della città; se quindi siapensabile rientrare in una manutenzione ordinariasostenibile con risorse altrettanto ordinarie. In effet-ti, Venezia è sempre stata necessariamente oggetto diparticolari cure ed attenzioni per la sua particolaris-sima struttura e condizione: alter mundus, miracu-

losissima civitas “tra due elementi sospesa”, ciricorda lo storico Ennio Concina, a significare l’in-stabile equilibrio tra acqua e terra; “un delicato equi-librio tra naturale e artificiale trasformato, corretto,sorvegliato da secoli”, scrive Vittorio Gregotti, unfragile e precario compromesso che accompagna lacittà fin da quando ha preso forma nel “liquidoamniotico” della laguna in cui vive. Città e laguna, dunque, sono l’una con l’altra inscin-dibilmente legate ed integrate nello sviluppo o nelladecadenza, secondo l’economista Ignazio Musu, ecostituiscono insieme uno “stock di capitale sociale”da mantenere, dove capitale sociale non è solo capi-tale economico, infrastrutturale ma il capitaleumano, il patrimonio di conoscenze della collettività,

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l’ambiente naturale, e ciò che gli anglosassoni defini-scono cultural heritage. Se questo stock non vienemantenuto e preservato, la sua capacità di generaresviluppo e ricchezza per la comunità urbana che vivive andrà nel tempo esaurendosi. È dunque evidente che la conservazione della città edel complesso sistema lagunare richiede un impegnoeccezionale, il cui carico economico non può esseresostenuto da una base demografica sempre più ridot-ta tanto che vi concorre l’intera collettività graziealla legislazione speciale. Città peraltro sempre dipiù fruita da ingenti flussi turistici; di qui la sceltarecente di ricorrere all’introduzione di diritti d’ac-cesso (i “ticket”) che accanto allo scopo primario diregolare i flussi e ridurre l’impatto ambientale dellemasse di visitatori, “monetizzando” i costi esternisociali che esse provocano, hanno il vantaggio di

procurare risorse da destinare alla manutenzioneurbana. In una situazione di risorse limitate, vi è chi teme chepossa insorgere una sorta di concorrenza tra grandiprogetti di salvaguardia (come le opere mobili per ladifesa dalle acque alte) e manutenzione urbana dif-fusa. Ci si augura che questo sia un falso problema eche si trovi il modo di stabilire le priorità e coordi-nare le diverse esigenze sulla base di una gestionecomplessiva dell’intero sistema urbano e lagunare.Avendo comunque presente che se la salvaguardia ègeneralmente intesa come conservazione di un patri-monio nel tempo a beneficio delle generazioni futu-re, la manutenzione è in funzione di un uso immedia-to ed è volta a rendere vitale e produttiva una comu-nità urbana.

MO.S.E.

Questo acronimo che ricorda il grande personaggiobiblico che separò le acque del Mar Rosso, sta per“Modulo Sperimentale Elettromeccanico”, cioè ilprototipo realizzato in scala reale di una delle 79paratoie previste dal progetto delle opere mobili perla difesa dalle acque alte alle bocche lagunari, perstudiare il comportamento della paratoia ed effettua-re specifiche sperimentazioni finalizzate alla messa apunto del sistema progettato. Il modulo è costituito da un cassone metallico sub-acqueo di 20x17,5 m, montato su uno scafo di 32x25m sormontato da quattro torri perimetrali rosse alte20 m. Il Mo.s.e. è costato 20 miliardi di lire dell’epo-ca e fu inaugurato il 3 novembre 1988, ben 22 annidopo l’acqua granda, alla presenza di numeroseautorità locali e di governo (per la cronaca: il sinda-co Antonio Casellati, il presidente della RegioneVeneto Carlo Bernini, il vicepresidente del ConsiglioGianni De Michelis, il ministro dei Lavori pubbliciEnrico Ferri e il ministro delle Partecipazioni stataliCarlo Fracanzani). Le sperimentazioni sono continuate dal 1988 al 1992nel canale di Treporti alla bocca di porto del Lido.Condotte a termine le sperimentazioni e nell’attesadel grande Mose (parola che ormai identifica tutto ilsistema di opere mobili progettato dal ConsorzioVenezia Nuova), il piccolo Mo.s.e. migra di tanto intanto da un angolo all’altro della laguna, e la sua mas-siccia sagoma geometrica si staglia sull’orizzonte, unpo’ triste e misteriosa, come la rocca del deserto deiTartari; mentre le sue strutture sommerse si popola-no di colonie di mitili. Difesa dalle acque alte, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico

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MOTO ONDOSO

Il moto ondoso prodotto dal traffico acqueo a moto-re è considerato uno dei più seri e persistenti pro-blemi per la salvaguardia di Venezia. Ancora unavolta ci si trova di fronte alla difficoltà obiettiva diconciliare le esigenze della contemporaneità con laconservazione e il rispetto di strutture e forme urba-ne sorte e modellate per altre condizioni di vita emobilità. Oggi la circolazione dei natanti a motorepuò provocare danni irreversibili alle fragili velme ebarene in laguna e creare dissesti alle fondazionidegli edifici prospicienti i rii nel centro storico. Recentemente questo problema è stato ripropostoall’attenzione pubblica e degli amministratori da unacampagna-inchiesta promossa da “Il Gazzettino” econclusasi con un dibattito pubblico tenutosiall’Ateneo Veneto nel giugno 2000. In quell’occasioneil Sindaco della città Paolo Costa si era impegnato aportare il problema all’attenzione del Comitatone,ciò che fece chiedendo una riforma legislativa voltaa colmare le attuali carenze. Le richieste di un piùdeciso intervento pubblico erano avanzate con forzadalle società remiere organizzate in una associazionedenominata “Pax in Aqua – Coordinamento per lalotta al moto ondoso”, nonché da comitati rionalisorti spontaneamente, che da tempo denunciavanol’aumento del numero delle imbarcazioni a motore,le loro frequenti contravvenzioni ai limiti di velocitàe la scarsa sorveglianza esercitata dagli organi pre-posti. La protesta aveva assunto una particolare evi-denza in occasione della Regata Storica del settem-bre 2001 quando furono esposti lungo il CanalGrande numerosi lenzuoli e striscioni con la scrittaStop al moto ondoso. L’effetto non è mancato, poichéil 27 dicembre 2001 il Governo nominava il Sindacostesso Commissario per il traffico acqueo nella lagu-na di Venezia.

Dalla Vogalonga al Commissario ad acta

In realtà la problematica del moto ondoso e dellaricerca delle soluzioni per contrastarlo non è certorecente ma affonda le sue origini in un passato lon-tano. Senza tener conto dei malumori e delle primeproteste dei nostalgici e conservazionisti (oltre chedei gondolieri che vedevano minacciato il loromestiere) che si opposero alla comparsa dei primi“vaporetti” in Canal Grande e che risalgono alla finedell’Ottocento, ancora negli anni trenta del secoloappena trascorso furono imposti limiti severi allavelocità dei natanti e la stessa Acnil, l’Actv di allora,cominciò a porsi il problema di utilizzare propulsorie scafi che riducessero il moto ondoso dei proprimezzi pubblici. Ma è l’aumento incessante della

motorizzazione privata nel dopoguerra, specie con losviluppo dei natanti da diporto muniti di motori fuo-ribordo, che ha accentuato i termini del problema edato l’avvio ad una serie di interventi pubblici, nonsempre adeguati e sufficienti, se il problema si ripro-pone costantemente. Dal 1963, quando fu varato unapposito “Regolamento comunale per la circolazionedei natanti a remi e a propulsione meccanica nelCanal Grande e canali interni della città”, in poi, gliatti amministrativi sono stati numerosi passandoattraverso studi, piani del traffico, commissioni tec-niche e provvedimenti vari che hanno scandito glianni settanta e ottanta, anche sotto la spinta dellacrescente sensibilità alla tutela dell’ambiente e delpatrimonio storico. Da questa sensibilità nasceva nel 1975 la primaVogalonga, una sorta di maratona a remi lungo unpercorso di 30 km in laguna e nel Canal Grande, idea-ta da Paolo Rosa Salva. Dalle 545 imbarcazioni divogatori alla veneta che presero il via dal bacino diSan Marco nel maggio 1975 si è passati alle migliaiadi questi ultimi anni; con imbarcazioni di tutti i tipiprovenienti da tutto il mondo, decretando il succes-so di una manifestazione a sfondo ecologista che harivitalizzato la tradizione remiera e valorizzato la bel-lezza dell’ambiente lagunare. Del resto la stessa legge speciale del 1973 avevaespresso delega al Governo di farsi carico di misurevolte a promuovere la trasformazione dei natanti e lamodificazione delle caratteristiche di propulsione inmodo da ridurre l’impatto del moto ondoso (art. 10).Venne in proposito costituita una commissione tec-nica presso il Ministero della Marina mercantile chenon riuscì tuttavia a introdurre specifiche misurenella seconda legge speciale del 1984. Due anni piùtardi, comunque, il Comune istituiva unaCommissione tecnica per lo studio del moto ondosoche aveva il compito di definire le caratteristiche deinatanti volte a contenere gli effetti del moto ondoso,di verificare la fattibilità di metodi di propulsione piùidonei, di studiare misure per il potenziamento dellasorveglianza e del monitoraggio, di preparare infineadeguati piani per regolamentare il traffico acqueospecialmente nei canali interni e nel Canal Grandesempre più affollato di imbarcazioni a motore, tantoche nel 1987 Augusto Pulliero, giornalista e dirigentedell’associazione “Estuario nostro” che si battevacontro il moto ondoso, aveva pubblicato un libro daltitolo significativo Canal Gande mare forza tre. Nel 1988 fu realizzato un prototipo di propulsore sub

jet a flusso lento da installare su un vaporettodell’Actv. In seguito altri prototipi sarebbero stati

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proposti: il minitaxi Marco (acronimo di “Motoscafoambientale a ridotta creazione ondosa”) realizzatoper conto del Comune dal cantiere motonauticoveneziano Proto e il prototipo di vaporetto “man-giaonde” progettato dall’americano CharlesRobinson del cantiere Knight & Carver di San Diego,commissionato dall’Actv.Il lungo lavoro della Commissione portò nel dicem-bre 1991 alla emanazione con ordinanza della“Regolamentazione del traffico acqueo nei rii e cana-li di Venezia”, la quale, tra l’altro, istituiva i “percorsiblu” nell’area centrale del centro storico, transitabilisolo con natanti a remi; stabiliva inoltre gli orari ditransito in Canal Grande per tutta una serie di cate-gorie di natanti, nonché limiti di velocità differenzia-ti per tipo di natanti e per zone attraversate (11, 7 e 5km/h). Per rendere più efficiente il monitoraggio fufatto ricorso ai sistemi di controllo satellitare GPS.Un successivo regolamento fu emanato nel 1994 perattuare la legge regionale n° 36 del 1993 che regolavai servizi di trasporto pubblico non di linea, cioè i taxie i lancioni “granturismo” indicati come i maggioriresponsabili del moto ondoso più nocivo. Tra lenorme adottate dal nuovo regolamento comunale viera la riduzione della potenza dei motori. L’Actv intanto continuava la ricerca di mezzi innova-tivi con scafi e sistemi di propulsione meno impat-tanti ed esplorava anche la possibilità di usare l’ho-

vercraft per i collegamenti veloci.Nel frattempo dal 1995 aveva preso avvio il vastoprogramma di scavo dei rii, che metteva progressi-vamente a nudo le sponde dei canali, permettendocosì di constatarne direttamente i danni subiti dal

moto ondoso. Uno dei primi interventi di risanamen-to fu effettuato sul rio Novo nel quale transitavano imotoscafi dell’Actv che collegavano piazzale Romacon il Canal Grande e le cui sponde erano talmentedissestate da richiederne la chiusura totale al traffi-co con un urgente intervento manutentorio. Un’indagine effettuata nel 1994, prima che il suddet-to programma di risanamento fosse avviato, avevarilevato che il 29% delle sponde dei rii cittadini era inuno stato di degrado medio diffuso ed il 19% in unostato di degrado grave o di dissesto. I maggiori dannialle sponde sono stati rilevati nelle zone dove inatanti compiono manovre di attracco o di inversio-ne di marcia. L’azione idrodinamica in superficieforma onde di breve periodo che schiaffeggiano iparamenti murari, mentre l’azione idrodinamica pro-fonda che provoca un’onda di lungo periodo noncomporta tanto danni superficiali quanto forti som-movimenti d’acqua sul fondo con asporto di sedi-menti e rischi di dissesto per le fondazioni.L’Amministrazione comunale aveva commissionatonel 1998 al Coses una rilevazione dalla quale emer-geva il forte incremento del traffico acqueo, speciequello di attraversamento della città, per lo più con-centrato in alcune arterie principali come rio diCannaregio, rio di Noale, rio dell’Arsenale, rio delleGaleazze (oggi chiuso), rio di Santa Giustina. Altreimportanti vie di scorrimento come i canali dellaGiudecca e della Scomensera erano fuori della com-petenza comunale e soggetti ad altre amministrazio-ni. Scrive in proposito Giannandrea Mencini, autoredi un recente documentatissimo volumetto sul tema:“Uno dei motivi per cui molti problemi legati al traf-

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Il moto ondoso in bacino di San Marco

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fico acqueo trovano notevoli difficoltà ad essereaffrontati e risolti è la particolare situazione giuridi-ca della navigazione lagunare, soggetta a competen-ze diverse e non riconducibile ad una gestione ammi-nistrativa unitaria. L’origine degli impedimenti stanella natura demaniale della laguna Veneta che èamministrata dal Magistrato alle Acque il quale, a suavolta, consegna ampi ambiti lagunari a soggetti diver-si quali la Capitaneria di Porto e l’Autorità Portualeper i canali e le zone portuali ed ai Comuni di Veneziae Chioggia per le acque interne ai centri abitati”. Siaggiunga che anche Regione e Provincia hanno spe-cifiche competenze regolamentari. Questa situazioneche rende problematica la definizione di regole uni-tarie ha favorito la decisione del Governo che ha affi-dato al Sindaco di Venezia i poteri straordinari delCommissario ad acta per il moto ondoso, in analogiaa quelli istituiti in alcune città per fronteggiare il“rischio ozono” provocato dalla circolazione autovei-colare che inquina gravemente l’aria. Del resto ilmoto ondoso a Venezia è una forma di inquinamentoche può essere definito “idrodinamico”. L’ordinanzan° 3170 del 27 dicembre del 2001 della Presidenza delConsiglio, in deroga alla normativa vigente, delega alCommissario tutte le competenze connesse al traffi-co acqueo e relative alla disciplina e sicurezza dellanavigazione. Il Commissario si avvale della collabo-razione del Magistrato alle Acque e di un comitatoconsultivo presieduto dal Prefetto e comprendenterappresentanti del Comune, della Capitaneria diPorto, dell’Ispettorato al Porto, della Questura, dellaSoprintendenza per i Beni architettonici e per il pae-saggio, della Provincia e della Regione Veneto.

Le iniziative del Commissario Costa

Il Sindaco Commissario Costa si è messo alacremen-te al lavoro durante tutto il 2002 emanando in brevetempo una serie di ordinanze con le misure piùurgenti volte al riordino delle competenze in materiae alla reale applicazione di una normativa esistentema largamente disattesa, a cominciare dai limiti divelocità sia per i natanti privati che per i mezzi in ser-vizio pubblico di linea. Veniva inoltre fatto obbligo atutti i natanti da diporto a motore con potenza supe-riore a 10 HP di munirsi di apposito contrassegno diidentificazione e si istituivano le zone al traffico lagu-nare limitato (v. all’apposita voce ZTLL). A fianco dell’azione normativa più urgente ilCommissario sviluppava una intensa attività rivoltaall’acquisizione di dati e conoscenze, al potenzia-mento dell’attività di vigilanza e controllo attraversola dotazione di mezzi e strumenti di rilevazione elet-tronica (telestar) e il potenziamento del personalecon assunzioni e formazione, all’installazione dipostazioni fisse di controllo e di segnaletica adegua-ta. Attualmente la vigilanza è affidata a circa un cen-

tinaio di uomini, dislocati su 22 imbarcazioni e dota-ti di 19 moderni telestar e 6 videocamere. A fine ago-sto 2002 il Commissario poteva tracciare un consun-tivo positivo dei primi sette mesi di lavoro; un lavoronon agevole per la varietà delle categorie coinvolte ela somma di interessi contrastanti toccati. Intantoerano state fino a quel momento controllate ben 65mila imbarcazioni che avevano portato al rilevamen-to di 1200 infrazioni e ad oltre 200 sequestri. I con-trolli si erano dimostrati efficaci, in quanto le stazio-ni di rilevamento del moto ondoso avevano misuratosu cinque mesi una riduzione media mensile delfenomeno del 20% circa. In settembre il Commissario ha emanato un’ordinan-za che definisce e disciplina le “aree blu” e i “bassifondali”, al fine di salvaguardare le aree più fragili eambientalmente più pregiate della laguna, specifican-do dettagliatamente i percorsi consentiti e a qualetipo di imbarcazione, nonché gli specchi d’acquaesterni ai canali dove la circolazione è preclusa ainatanti a motore. Provvedimento questo che non hamancato di sollevare malumori e un ricorso al Tar,unendo nella protesta diportisti, pescatori “vagantivi”e gli stessi operatori del settore nautico preoccupatiper i riflessi della norma sul mercato cantieristico. Nell’ambito di un “think tank” organizzato il 26 giu-gno 2002, il Commissario coinvolgeva tutte le poten-zialità tecnico-scientifiche ed organizzative espressedalla città su questo tema, presentando un’ampiamesse di dati, analisi, know-how, da sfruttare per ilprosieguo delle azioni successive: da quelle piùurgenti per affrontare l’emergenza (disciplina deltraffico e sistemi di controllo e repressione) agliinterventi strutturali (misure di utilizzo e gestionedel territorio, sistemi di monitoraggio, pricing, per-corsi alternativi di accesso alla città, ecc.). Tra lemisure programmate meritano un cenno: l’estensio-ne della rete di rilevamento del moto ondoso fino adalmeno dieci stazioni, l’adozione del sistema GPS peril controllo satellitare delle velocità delle imbarca-zioni, l’applicazione obbligatoria del tassametro nelservizio taxi, un nuovo regolamento degli spaziacquei e la riorganizzazione degli approdi pubblici, lariorganizzazione logistica del sistema di consegnadelle merci nel centro storico a partire da un proget-to sull’intermodalità e l’interscambio gomma-acqua.Quest’ultima iniziativa da sola sarebbe in grado diridurre enormemente il numero dei movimenti dellebarche da trasporto circolanti nei canali cittadini (da3000 viaggi/giorno a 750) con evidenti vantaggi in ter-mini di minor moto ondoso.Allo scadere del primo mandato il Commissario veni-va riconfermato per un anno, attribuendogli suffi-cienti risorse per portare a termine gli interventi pro-grammati.

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NOVEMBRE 4, 1966

È questa una data fatidica della recente storia vene-ziana, il “dies irae” che ha segnato un punto di svol-ta, un “gomito storico”, è stato detto, nella pur seco-lare difesa di Venezia dalle aggressioni degli elemen-ti naturali, insite nella sua particolare collocazionegeografica. Tutto era cominciato in realtà nella tarda sera del 3novembre quando l’acqua iniziò a salire, continuan-do nella notte fino a raggiungere il metro e 27 cm.All’alba del giorno 4 quando avrebbe dovuto iniziareil deflusso accadde invece, a causa della concomi-tanza di vari fattori astronomici e meteorologicinegativi, primo fra tutti un forte vento di scirocco,che incalzasse una nuova mareggiata sicché prima dimezzogiorno il livello dell’acqua aveva toccato laquota mai raggiunta a memoria d’uomo di 1,94 m.Il vento a cento l’ora continuava a gonfiare il marespingendolo dentro la laguna, rompendo gli storici“murazzi” settecenteschi in dieci punti, aprendo falleche mettevano a rischio mortale gli abitati del litora-le. In bacino l’onda di marea sospinta dal forte ventobatteva con violenza le colonne e i porticati di piazzaSan Marco sommersa per un metro e venti centime-tri sopra il selciato, mentre la basilica per la primavolta nella storia era completamente allagata comedel resto l’intera città. L’evento era parte di una perturbazione di vaste pro-porzioni che investiva mezza Penisola, provocandonei giorni successivi lo straripamento di numerosifiumi e mietendo un centinaio di vittime. Anchel’Arno era esondato invadendo di fango il centro diFirenze, con danni ai beni culturali assai più graviche a Venezia. Questi si cominciarono a contare dallamattina del 5 novembre dopo che le acque durante lanotte avevano cominciato a ritirarsi. La città erapriva di energia elettrica, al freddo, con i residui delgasolio disperso dalle caldaie allagate che segnavanoi muri delle case e dei palazzi, con una quantità taledi detriti ed immondizie che ci vorranno giorni egiorni per ripulirla. Migliaia di piani terra e di negozidevastati dalla marea, migliaia di libri e documenti di

grande valore storico e artistico delle bibliotecheMarciana, dell’Archivio di Stato, della QueriniStampalia, della Fondazione Cini, di San Lazzarodegli Armeni, sommerse dalla marea sporca di nafta.I danni saranno approssimativamente stimati per ilsolo centro storico in 35 miliardi di lire di allora. Maassai più grave sarà il trauma psicologico, e non soloper i veneziani, nell’accorgersi del rischio che lacittà, riconosciuta da tutto il mondo quale simbolodell’intelligenza artistica e della bellezza creativa,aveva corso. Fiumi di parole racconteranno la cronaca di quelledrammatiche ore, con toni da tregenda e terminiangoscianti quali “catastrofe”, “infarto della città”,“devastazione”, “lavacro terrificante”, “agonia”.Nasceranno allora gli slogan “Venezia fino a quan-do?”, “Venezia muore”, “Venezia in pericolo”,“Venezia sprofonda”, “Venezia Atlantide”, che com-pariranno anche sui titoli dei principali giornali stra-nieri e sulle copertine degli “instant book”.Seguiranno le recriminazioni, le analisi anche impie-tose, le accuse.

Il problema Venezia

In realtà, il “problema di Venezia” era divenuto datempo oggetto di sempre più frequenti dibattiti: unimportante convegno internazionale sul tema erastato tenuto qualche anno prima, nel 1962, nell’isoladi San Giorgio. Erano gli anni nei quali anche in Italiasi faceva strada con forza la “questione ambienta-

le” e Venezia, luogo di confronto diretto tra sviluppoindustriale e risorse ambientali, era un luogo para-digmatico e simbolico di tale contrapposizione. Dopo il drammatico evento del 4 novembre del 1966il problema della sopravvivenza di Venezia, divenutointernazionale anche per la forte mobilitazionedell’Unesco, richiedeva risposte adeguate da partedel Governo italiano. Trascorsero tuttavia oltre seianni prima che fosse varata una legge speciale auspi-cata subito dopo il disastro e attesa tra polemichecrescenti. Queste avevano raggiunto le dimensioni di

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una grande “querelle” a livello nazionale che spessoassumeva i toni, secondo l’espressione di uno dei piùattenti e critici osservatori veneziani, WladimiroDorigo, di una vera e propria “bagarre”. La “querellegeologico-idraulica”, come scriverà Dorigo, si sareb-be presto trasformata in “querelle ecologica”, accu-sando l’industria di Porto Marghera dell’inquinamen-to atmosferico ed idrico che insidiava la città storicasfigurando i monumenti e degradando le acque dellalaguna.È di quel periodo la campagna di stampa dedicata alcaso Venezia dal più importante quotidiano italiano, “IlCorriere della Sera”, diretto allora da GiovanniSpadolini e con firme eccellenti quali quelle di DinoBuzzati e Indro Montanelli. La polemica raggiungeràlivelli tali da finire nelle aule dei tribunali a causa didue processi per diffamazione intentati a Montanellidai sindaci Giovanni Favaretto Fisca e Giorgio Longo ecelebrati a Venezia il primo e a Milano il secondo tra il1971 e il 1973. Il giornalista veneziano Sandro Meccoli,anch’egli appassionato commentatore dalle pagine delCorriere, raccoglierà in un libro intitolato “La battagliaper Venezia”, pubblicato nel 1977, la cronaca della“crociata” montanelliana contro lo sviluppo di PortoMarghera. Montanelli propugnava l’affidamento dellasoluzione del “problema Venezia” ad un’autorità sovra-nazionale, sottraendolo così alla classe politica eall’amministrazione locale, ritenute dal grande polemi-sta del tutto inadeguate alla bisogna. Sullo stesso fronte era scesa da tempo in campo l’as-sociazione Italia Nostra che aveva organizzato aRoma, nella primavera del 1969, un apposito conve-gno sulla salvezza di Venezia ove poneva in stato diaccusa la realizzazione del canale dei Petroli, dapoco conclusa, e giungeva a chiedere la trasforma-zione della laguna in parco nazionale. Attive edinfluenti propugnatrici delle posizioni di Italia Nostraerano due nobildonne veneziane: le contesse MariaTeresa Foscari Foscolo e Anna Maria Volpi.Sul fronte opposto si collocava il citato WladimiroDorigo, che in un suo noto libro intitolato “Una leggecontro Venezia” scritto “con rabbia paziente” ancoradurante le ultime fasi del tormentato iter parlamen-tare di quella che sarà la legge speciale n° 171 e pub-blicato con grande tempismo all’indomani della suaemanazione, si scaglierà con veemenza contro chiaveva scatenato una “guerra santa contro Marghera”diventata così il “capro espiatorio della crisi venezia-na”. Chi accusava Dorigo? Non tanto i giornalisti,preciserà, quanto gli “addetti ai lavori” che non rea-giscono a certe “campagne di stampa settarie edelzeviresche, a certi gridi di dolore da ‘umanesimodomenicale’, che hanno permesso di catoneggiare adalcuni vecchi e nuovi rètori della pubblicistica italia-na, digiuni non soltanto di conoscenza elementaredei problemi fisici e strutturali e degli strumenti

urbanistici e pianificatori di Venezia e della sua lagu-na di cui discettavano con disinformata impudenza,ma anche della stessa conoscenza non cartolinescadella forma della città e del suo ambiente”.Lo sfogo di Dorigo non risparmiava nessuno: dai par-titi (ed in particolare un piccolo partito di governo,che “cavalcando l’ecologia, condizionava la maggio-ranza”), ai sindacati responsabili di aver tardivamen-te compreso l’importanza della “posta in gioco”; mal’accusa di Dorigo era specialmente diretta alla“scienza ufficiale” laddove “il settorialismo speciali-stico, il riserbo professionale, il ritardo di pubbliciz-zazione dei risultati, lo scoordinamento, la concor-renza e la sovrapposizione fra i diversi enti di ricercaoperanti sui medesimi problemi” hanno finito perimpedire un intervento responsabile contro “l’incre-dibile edificio di ignoranza, di pressapochismo e diterrorismo sul quale il legislatore italiano ha applica-to impotente la sua etichetta formale”.Alla fine, lo studioso veneziano, dopo una lucida,ampia e sistematica analisi della “natura, storia, inte-ressi nella questione della città e della laguna” (sot-totitolo dell’opera), toccava quelli che secondo eglierano “gli aspetti assurdi, anticostituzionali, caotici,reazionari della legge n° 171” analizzandone le varieparti e denunciandone “l’impossibilità di funziona-mento di alcune e l’intollerabilità culturale, sociale epolitica di altre”.Di fatto la nuova legge significava per Dorigo il bloc-co dei programmi di ampliamento portuale giàapprovati per legge ed in corso di attuazione da partedello Stato e la soppressione di Porto Marghera,accusato ingiustamente di essere il principale inqui-natore dell’aria e dell’acqua, quando i dati delle rile-vazioni ufficiali dimostravano che i maggiori respon-sabili dell’inquinamento atmosferico nel centro stori-co erano gli impianti termici domestici e di quelloidrico i liquami della città storica e gli effluenti agri-coli della gronda lagunare. Ma sarà l’imminente crisienergetica e del comparto chimico (assieme alla pro-gressiva conoscenza delle nocività ambientali dialcune lavorazioni) a decretare la decadenza del poloindustriale veneziano.Intanto, sia pur lentamente, una serie di interventiimportanti furono avviati: la riparazione ed il conso-lidamento delle difese a mare, la trasformazione ametano degli impianti termici della città lagunare edell’entroterra, i primi impianti di depurazione delleacque.La grande paura del ripetersi di un altro 4 novembresi riaffaccerà nel corso degli anni seguenti almenodue volte: il 22 dicembre 1979 con +166 cm e l’1 feb-braio 1986 con +158 cm; occasioni queste, oltre aglianniversari quinquennali e decennali del 4 novembre1966, di una presa di coscienza dei ritardi accumula-ti e dei problemi ancora irrisolti.

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OPERE ALLE BOCCHE DI PORTO

Le opere alle bocche di porto si identificano corren-temente con gli sbarramenti mobili con cui difende-re Venezia e la laguna dalle maree eccezionali. Manon sono le uniche: vi sono altre opere alle bocche oin loro prossimità, definite “integrative” o “comple-mentari” alle precedenti o, secondo una corrente dipensiero, addirittura a loro “alternative”, che rendo-no abbastanza complessa e variegata la tipologiadegli interventi prevedibili nei tre punti di interscam-bio laguna-mare. I recenti indirizzi del Governo sonoper una immediata realizzazione del ben noto pro-getto Mose. Dopo una brevissima descrizione dellecaratteristiche di tale progetto, si tenta in modo assaiconciso di dar conto di una vicenda che si è svoltalungo un arco di tempo ventennale, soffermandocicon maggiore dettaglio sugli eventi più recenti e pro-babilmente decisivi.

Le opere mobili di regolazione delle maree

(il Mose)

Con questi termini si intendono dunque gli sbarra-menti elettromeccanici alle tre bocche di porto con iquali separare temporaneamente la laguna dal maree fermare le alte maree maggiori di +110 cm; in pra-tica, il sistema di paratoie mobili progettato dalConsorzio Venezia Nuova per questo fine, ormai atutti noto con il nome di Mose. Ma è opportuno con-siderare tra le opere alle bocche di porto anche quel-le volte essenzialmente a ridurre lo scambio idricotra mare e laguna e quindi a ridurre le punte dimarea, o, per altro verso, ad assicurare la regolarefunzionalità del traffico portuale.Il Consorzio Venezia Nuova fin dall’inizio della pro-pria attività aveva riconsiderato l’impostazione origi-naria del Progettone del 1981 in fatto di interventiper la chiusura delle bocche di porto, mirando aduna estensione delle opere mobili a scapito di quellefisse, al fine di ridurne l’impatto ambientale e per lostesso motivo optando per strutture il meno visibilipossibile mediante la loro sommersione in situazione

di riposo. Questa revisione, condotta dopo aver stu-diato le varie tipologie di opere simili in attività nelmondo (sulla Schelda in Olanda, sul Tamigi, sulfiume Nagara in Giappone, ecc.) diede luogo ad unprogetto innovativo che prevedeva in sostanza diadottare quattro ordini di paratoie mobili per un tota-le di 79 moduli, in pratica dei cassoni metallici larghiciascuno 20 m, alti da 20 a 30 m in relazione alla pro-fondità dei fondali e spessi da 4 a 5 m. Si tratta diparatoie a spinta di galleggiamento, accostate l’unaall’altra ma indipendenti (in modo da oscillare sottol’azione delle onde), con la base di ciascuna incer-nierata al fondo. Il tutto per una lunghezza trasversa-le totale di 1760 m, suddivisa in quattro schiere. Duesaranno poste alla bocca di Lido, larga 800 m e sol-cata da due canali, quello di Treporti profondo 6 m equello di San Nicolò 12 m, per cui, per mantenere lasezione idraulica, è necessario costruire nel mezzo,sulla secca del Bacan, un’isola artificiale tra duesbarramenti con un totale di 41 paratoie (21 per laschiera dal lato Treporti e 20 per quella dal lato dilato San Nicolò). Gli altri due sbarramenti alle boc-che di Malamocco e Chioggia, larghe circa 400 m cia-scuna, richiedono rispettivamente 20 e 18 paratoie.

Funzionamento del sistema di paratoie

Il funzionamento del sistema di paratoie è relativa-mente semplice. In posizione di riposo le paratoiedella barriera, piene d’acqua, rimangono adagiateorizzontalmente in appositi vani sul fondale dellabocca dove sono incernierate. Quando entrano inesercizio, l’acqua viene espulsa attraverso l’immis-sione di aria compressa e le paratoie si sollevano len-tamente. L’inclinazione delle paratoie è determinatadal dislivello della marea. Ad operazione conclusa, leparatoie vengono riempite d’acqua ritornando nellaposizione originaria. Trattandosi di un sistemanuovo, mai sperimentato, sono state condotte molteprove sui modelli idrodinamici di Voltabarozzo e inaltri laboratori sperimentali in Italia e in Olanda, con

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modelli in scala e infine con il prototipo Mo.s.e.(Modello sperimentale elettromeccanico) che èrimasto operativo per quattro anni nel canale diTreporti (v. alla voce Mo.s.e.).Un aspetto delicato di questo sistema è quello legatoalla manutenzione dal momento che le paratoie riman-

gono quasi sempre immerse nell’acqua. Per provvede-re a questa necessità occorre ogni 5 anni sollevare erimuovere le paratoie dalla loro sede onde effettuarnela pulizia esterna e interna dal “fouling” (l’accumulodelle incrostazioni biologiche), la verniciatura, la pro-tezione catodica, la sostituzione dei componenti, ecc.:tutte operazioni che non possono essere eseguite “inloco” ma in un apposito cantiere a terra. Fin qui a grandi linee il funzionamento del sistemaelettromeccanico delle barriere mobili. I costi com-plessivi di costruzione delle tre barriere mobili eranostati stimati nel progetto di massima in circa 3.700miliardi di lire, mentre quelli di manutenzione sonostati valutati pari a 18 miliardi di lire l’anno.Ma quali sono i benefici e le controindicazioni delsistema di separazione della laguna dal mare?Occorre partire dalla logica complessiva del sistema.Le opere entrano in funzione quando i sistemi di pre-visione in alto mare preannunciano maree superioria +110 cm (ma il progetto fino a poco tempo addie-tro considerava la quota di salvaguardia a +100 cm);si aziona il meccanismo di svuotamento e le paratoiesi sollevano in 30 minuti. Le bocche restano cosìchiuse finché la marea non decresce sotto il livello diguardia suddetto. Mediamente il tempo della chiusu-ra più quello delle manovre richiedono complessiva-mente 4,5 ore. Con la frequenza attuale di maree le chiusure sareb-bero mediamente (con riferimento alla quota di sal-vaguardia +110 cm) tra 6 e 8 l’anno, di cui 2-3 pererrato annuncio, per un tempo complessivo di chiu-sura compreso tra 28 e 38 ore. Naturalmente conlivelli del mare crescenti il numero delle chiusureaumenterebbe. La difesa dalle maree medio-basse sarebbe invecelasciata alle cosiddette “difese locali” mediante gliinterventi “per insulae” e/o i rialzi della pavimenta-zione urbana (v. le voci relative).

La valutazione dell’impatto sull’ambiente

e sulle attività portuali

Benché il concepimento delle opere di regolazionedelle maree alle bocche di porto risalisse ai primianni ottanta ed il progetto di massima redatto dalConsorzio Venezia Nuova fosse stato approvato dalConsiglio superiore dei Lavori pubblici nel 1994, ilpassaggio alla fase realizzativa si sarebbe prestodimostrato tutt’altro che scontato per le opposizionidi varia natura che esso avrebbe suscitato e che divi-devano esperti e semplici cittadini, e in modo tra-sversale le stesse formazioni politiche. Nell’ultimodecennio si sono fronteggiati fautori ed oppositori,con momenti di maggiore accentuazione dei toni deldibattito in corrispondenza degli appuntamenti isti-tuzionali del Comitatone o di particolari scadenze distudi ed approfondimenti.

Il progetto delle opere mobili alle bocche di porto: il movimento delle paratoie

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Uno dei momenti più accesi del dibattito si è avuto inoccasione della presentazione e discussione dellostudio d’impatto ambientale, che ha seguito un lungoiter iniziato nel 1995 e durato fino al 2001.L’imponenza delle opere ha sempre trovato l’opposi-zione degli ambientalisti, preoccupati sia dell’impattodei cantieri durante la loro costruzione, che è previ-sto duri otto anni, sia dell’impatto delle infrastrutturestesse una volta realizzate sull’ecosistema lagunare.Per quanto concerne la costruzione, secondo gliambientalisti l’opera comporterà il dragaggio di 5milioni di mc di fondali con l’immissione di 700 ton-nellate di cemento e 8,5 milioni di mc di pietrame, l’in-fissione di quasi 6 mila palancole metalliche e 12 milapali di cemento, nonché la costruzione di un’isolaartificiale di 9 ettari in mezzo alla bocca del Lido. Perquanto riguarda le modifiche all’ecosistema, gliambientalisti, e in particolare Italia Nostra, si preoc-cupano per la profonda modifica che le opere com-porteranno alla conformazione delle tre bocche, lacui attuale sezione a “V” verrebbe livellata, squadratae cementificata in modo irreversibile, contravvenen-

do ad una esplicita prescrizione della legge speciale. Vi è poi l’impatto negativo delle chiusure misurabileprincipalmente su due parametri: il livello dell’inqui-namento della laguna temporaneamente separata dalmare e i tempi perduti nel traffico marittimo. Va dasé che in futuro sul numero delle chiusure potràinfluire l’evoluzione dell’eustatismo nell’AltoAdriatico. Sotto altre voci di questo “dizionario” si èconsiderato questo serio problema che rischia dimettere in crisi la filosofia di regolazione delle mareefin qui seguita. È stato giustamente rilevato che in tema di opposi-zione al Mose, si assiste peraltro al paradosso per cuiin passato i critici consideravano quest’opera troppoimpattante e costosa per essere azionata pochissimevolte all’anno; in questi ultimi anni, al contrario, gli sipreconizza un numero così elevato di chiusure nelvolgere di pochi decenni, da diventare rapidamenteobsoleta in una situazione nella quale la separazionemare-laguna tenderebbe a diventare la norma.Tornando allo studio d’impatto ambientale, dal latodei benefici, nella situazione attuale, con le barriere

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Il progetto delle opere mobili alle bocche di porto: particolare della schiera delle paratoie in azione

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innalzate essi sarebbero misurati essenzialmente daimancati danni per l’acqua alta evitata (danni alle atti-vità economiche, alla mobilità, alle strutture archi-tettoniche e degli edifici in generale, ecc.), alcuni dinon facile misurazione.L’iter per la valutazione d’impatto ambientale delprogetto di massima delle opere mobili, svolto tra il1996 e il 1997, che ha analizzato questi aspetti ed altrilegati alle varie componenti dell’ambiente lagunare,finirà per innescare un tormentato dibattito, scandi-to da pareri e contropareri di collegi di esperti inter-nazionali e locali, di deliberazioni e decreti e perfinodi ricorsi al Tar, (v. più avanti alla voce VIA

Valutazione d’impatto ambientale). Alla fine, ilComitatone, non trovando un accordo sulla prosecu-zione del progetto esecutivo, il 12 luglio 2000 delibe-rava di rimettere ogni “decisione afferente gli ulte-riori avanzamenti della progettazione delle opere diregolazione delle maree… alla valutazione delConsiglio dei Ministri”.

Le opere complementari

In precedenza, nella riunione dell’8 marzo 1999, lostesso Comitatone aveva dato mandato al Magistratoalle Acque d’intesa con la Soprintendenza ed ilComune, di effettuare una verifica circa la possibili-tà di elevare la quota di 100 cm delle difese locali “aquote superiori, tendendo a 120 cm”. Ne seguironoindagini e studi (descritti alle voci difese locali erialzi) che portarono alla assunzione nel progettoMose di una nuova quota di salvaguardia di 110 cm.Due anni dopo, nella riunione del Comitatone del 15marzo 2001 (Governo Amato), veniva ribadita tra lelinee operative da seguire quella della “difesa localedel centro storico mediante il rialzo della pavimenta-zione fino alle quote massime compatibili con il con-testo storico, architettonico, monumentale e paesag-gistico, comunque tendente alla quota 120”. Nellastessa riunione erano altresì indicate altre linee diapprofondimento progettuale relativamente ad“interventi necessari per aumentare le capacità dissi-pative dei canali alle bocche di porto, tendendo alripristino delle condizioni esistenti prima dellacostruzione dei moli e dei grandi canali di navigazio-ne, e al connesso adeguamento del progetto degliinterventi che difendono con le opere mobili di rego-lazione delle maree alle bocche di porto i centri abi-tati anche dagli eventi eccezionali, tenendo contodelle previsioni sui mutamenti climatici e recependole indicazioni del Ministero dei Trasporti e della navi-gazione e dell’Autorità Portuale, nonché approfon-dendo gli effetti del funzionamento delle dighe mobi-li sulla morfodinamica dei fondali mediante la messaa punto di appropriati modelli previsionali”.Una prescrizione così articolata, complessa, se noncontraddittoria, palesemente tesa a mediare tra posi-

zioni contrapposte e lontane, dava inizio ad una ulte-riore fase di approfondimenti (peraltro già indicatidalla legge speciale) rimandando di fatto l’espressio-ne da parte dello stesso Comitatone del parere (nonvincolante) sulla compatibilità ambientale delleopere di regolazione delle maree alle tre bocche diporto così come previsto in un Dpcm del 1997.Giunta nella primavera del 2001 alla guida del Paesela coalizione di centro-destra, che nella campagnaelettorale aveva enunciato un ampio elenco di operepubbliche che includeva il Mose, si attendeva lanuova indicazione del Governo, che sarebbe giunta il6 dicembre 2001 a palazzo Chigi, presente lo stessopremier Berlusconi (giunto solo alla fine dei lavori,riportano le cronache, ma con un augurale vassoio di“babà”), nelle cui mani del resto, come si è dettosopra, il Comitatone aveva rimesso ogni decisione.La riunione romana era stata preceduta dai parerifavorevoli della Regione Veneto e del Comune diChioggia affinché si passasse alla progettazione ese-cutiva delle opere di regolazione delle maree allebocche di porto, mentre una delibera del 26 novem-bre 2001 del Consiglio comunale di Venezia riuscivaa compattare la maggioranza di centro-sinistra, fre-quentemente discorde sul tema in questione, intornoalla richiesta di effettuare “ulteriori approfondimentitecnici in ordine agli effetti degli scenari futuri delfenomeno dell’eustatismo, al ripristino della capacitàdissipativa dei canali alle bocche di porto lagunari, alfenomeno dell’erosione e della perdita di sedimentiin laguna”. In sintesi, le deliberazioni del 6 dicembre 2001 indi-cheranno di proseguire: con la progettazione delMose, assieme alle “opere finalizzate ad aumentare lacapacità dissipativa dei canali alle bocche di portolagunari…, con la progettazione e l’esecuzione delleopere tendenti al ripristino geomorfologico dellalaguna, con la prosecuzione degli interventi di rial-zo”. Veniva inoltre ripresa e ribadita la vecchia pro-posta di istituire l’Ufficio di Piano, con decreto delPresidente del Consiglio, quale organo tecnico disupporto al Comitato di indirizzo, coordinamento econtrollo. Dalla riunione romana dei “babà” tornavano tuttisoddisfatti (significativo il titolo de “Il Gazzettino”del 9 dicembre 2001: “Mose, una promozione cheaccontenta tutti”). I fautori del Mose, il governatoreGiancarlo Galan in testa, interpretavano la delibera-zione come un immediato via libera alla progettazio-ne esecutiva, promettendo tra otto anni il taglio delnastro. Anche il Sindaco Costa risultava palesemen-te soddisfatto per l’evidente successo del suo lavorodi mediazione che aveva visto riproporre nella deli-bera la sostanza dell’ordine del giorno del Consigliocomunale ed una sostanziale continuità con le indi-cazioni del 15 marzo 2001.

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Costa giudicherà l’esito dell’incontro una “rivoluzio-ne copernicana” in tema di salvaguardia (v. avanti),ponendo in risalto l’acquisita consapavolezza di una“reinterpretazione” del progetto Mose alla luce dellenovità emerse negli ultimi anni e la riaffermazionedella complementarietà imprenscindibile degli inter-venti “diffusi” (“Non solo Mose”, nell’espressioneconiata dallo stesso Costa). Come una doccia fredda,invece il lapidario commento dell’ex sindacoMassimo Cacciari (“Il Mose non si farà mai, sempli-cemente perché non ci sono i soldi”). Insoddisfatti e sospettosi i rosso-verdi da semprecontrari alle dighe mobili, si riuniranno in un conve-gno il 16 febbraio 2002 presso lo IUAV, alla presenzadel prosindaco di Mestre Gianfranco Bettin, degliassessori comunali Paolo Cacciari e Beppe Caccia,di parlamentari e docenti universitari di vario orien-tamento politico ma uniti nel ribadire la contrarietàal progetto. Particolarmente contraria è l’associazio-ne Italia Nostra, da sempre in prima linea contro ilMose e non solo; l’associazione è perfino ricorsa al

Tar contro la deliberazione del 6 dicembre 2001 affin-ché siano appurati o meno presunti vizi di forma. Peraltro, la stessa decisione era stata impugnata daun consorzio di due imprese (la Tec norvegese e laNecon olandese) che si chiama Norconsult, il qualeha realizzato un progetto di massima alternativo aquello del Consorzio Venezia Nuova e che è ricorsoad un tribunale europeo per richiedere che sia indet-ta in proposito una gara d’appalto europea onde met-tere a confronto progetti diversi.

Le misure “dissipative”:

una questione di centimetri

Nel frattempo il Consorzio Venezia Nuova aveva ela-borato i progetti di massima relativi agli interventicomplementari alle opere di regolazione alle bocchedi porto che il Magistrato alle Acque presentava l’11luglio 2001 alla Regione per ottenerne il giudizio dicompatibilità ambientale. Si tratta di interventi voltialla “dissipazione” delle maree e consistono nellacostruzione di tre dighe in mare davanti alle bocche

Difesa dalle acque alte, veduta della bocca di Malamocco dopo la realizzazione delle opere previste (barriere mobili einterventi complementari) e con la conca di navigazione che consente il passaggio delle navi dirette al porto quando leparatoie sono in funzione

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e nella riduzione dei fondali delle stesse. Tra gli inter-venti è stato altresì considerato il progetto per la rea-lizzazione di una conca di navigazione a Malamoccoin grado di garantire il traffico marittimo durante ilunghi lavori di costruzione e poi in caso di chiusuradelle bocche. Il tutto accompagnato dallo studio diimpatto ambientale richiesto dalla Regione e sulquale in base alla procedura di VIA entro 60 giorni iComuni (Venezia, Chioggia, Cavallino) e la Provinciadevono esprimere il proprio parere. L’arrivo sui tavoli istituzionali della nuova documen-tazione riapriva le ostilità su più fronti che si cerche-rà di descrivere sinteticamente, per quanto nonappaia facile per la crescente complessità dellamateria. Innanzitutto, si determinava un contenziosotra Regione Veneto e Ministero dell’Ambiente, laddo-ve quest’ultimo giudicava “amministrativamente nonvalida e illegittima” la procedura VIA avviata dallaRegione, arrogando allo Stato tale competenza.Sul merito degli interventi, invece, i Comuni e laProvincia formulavano delle contestazioni sia riguar-do al metodo di valutazione adottato dai tecnici delConsorzio Venezia Nuova per quantificare la capaci-tà dissipativa indotta dagli interventi alle bocche diporto proposti, sia in riferimento alla inclusione tragli interventi della realizzazione della “conca di navi-gazione” alla bocca di Malamocco.Rispetto al primo punto, va specificato che il riferi-mento cui dovevano attenersi i modellisti delConsorzio era la laguna ottocentesca (quella dise-gnata dal cartografo francese Denaix nel 1810), cioèprima che fossero costruiti i moli foranei (aMalamocco fin dal 1839, al Lido nel 1872 e a Chioggianel 1910) e, molto più tardi, i grandi canali navigabi-li. Si doveva in altri termini stimare quanto incidessein termini di capacità dissipativa la configurazionelagunare di allora rispetto a quella odierna. E questocome riferimento per la progettazione delle operecomplementari. Orbene, la capacità dissipativa valu-tata dal Consorzio Venezia Nuova corrispondeva aduna riduzione dei picchi di marea di circa 4 cm (conriferimento allo zero mareografico di Punta dellaSalute), assai inferiore ai 15-20 cm almeno ritenutiraggiungibili secondo taluni esperti, se si attuasserodelle adeguate misure di riduzione dei fondali.Inoltre veniva rilevato che un così ridotto beneficioderivava da opere che costavano 250 milioni di euro,ponendo il dubbio della loro effettiva utilità in termi-ni di costi-benefici. Il Magistrato alle Acque ed il Consorzio VeneziaNuova asserivano di essersi attenuti agli obiettiviindicati dal Comitatone, ricordando che i 4 cm diriduzione delle maree si sarebbero comunque tradot-ti in 6-7 chiusure in meno degli sbarramenti delMose. Ma le critiche erano destinate ad accentuarsiallorché i tecnici del Comune, supportati anche dalle

osservazioni richieste al Co.Ri.La., mettevano in evi-denza che nel modello di simulazione utilizzato dalConsorzio Venezia Nuova erano stati consideratianche gli effetti “dissipativi” indotti dalle spallettelaterali delle opere fisse del Mose stesso e dell’isoladel Bacan, mal interpretando in tal modo, secondoloro, le indicazioni del Comitatone. Essi precisavanosulla base dei calcoli, che escludendo queste interfe-renze, la capacità dissipativa netta sarebbe stata disoli 1,3 cm, rendendo assolutamente inadeguati gliinterventi complementari proposti, per lo più limita-ti alla realizzazione di un chilometro di “lunata”(scogliera in mare aperto volta a mitigare la forza deiventi di scirocco) e del solo rialzo per 2 metri del fon-dale di Malamocco.“Il dibattito sulla salvaguardia sembra oggi incen-trarsi su una penosa confutazione di centimetri” scri-verà in un articolo di fondo de “Il Gazzettino” del 22settembre 2002 l’on. Gianfranco Rocelli, uno deipadri della legge speciale!Ancor maggiore perplessità sollevava l’inclusione tragli interventi complementari del progetto di unaconca di navigazione esterna alla diga foranea diMalamocco, lunga 340 m, larga 45 e profonda 13,5 m,che avrebbe significato lo sbancamento di 2,2 milio-ni di metri cubi di terreno a lato della bocca stessa.Secondo taluni questa opera non era da prevedere inquesta fase anche perché la sua utilità era in funzio-ne del numero di chiusure delle bocca di porto;secondo l’Autorità Portuale invece si trattava di un’o-pera irrinunciabile e complementare al Mose.Senza dilungarsi sui particolari tecnici di un temacertamente complesso, imperniato anche sui respon-si di sofisticati modelli matematici, è il caso di ripor-tare le conseguenze pratiche o, se si vuole politiche,dell’ultima “querelle” dell’autunno 2002. Il 23 settem-bre 2002, il Consiglio comunale di Venezia approvavaun documento della maggioranza che bocciava sia laconca di navigazione che le lunate al largo diMalamocco, chiedendo misure integrative più deciseed efficaci preliminarmente alla esecuzione delleopere di regolazione delle maree alle bocche diporto, ivi comprese eventuali conche di navigazione,ed indipendentemente da esse. Il documento delComune di Venezia era stato preceduto da quellidella Provincia e del Comune del Cavallino, all’incir-ca dello stesso tenore, chiaro segnale di compattezzadelle giunte di centro sinistra nei riguardi della posi-zione regionale e governativa. Quest’ultima si eradistinta per le dichiarazioni del ministro delleInfrastrutture, Pietro Lunardi, che aveva annunciatoalla Camera ancora a maggio, che i cantieri del Mosesarebbero stati aperti prima della fine dell’anno.Precisando che l’opera avrebbe avuto un costo di 4,1miliardi di euro, assai di più di quanto indicato a suotempo dal Consorzio Venezia Nuova.

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Di fronte a tanta certezza non mancava nell’ordinedel giorno votato a Ca’ Farsetti il 23 settembre l’an-nuncio di un ricorso contro la cosiddetta “leggeobiettivo” (n° 443 del 2001) promossa dal Governoper accelerare l’iter di 24 grandi opere in tutta Italia(tra le quali appunto il Mose) escludendo di fatto iComuni dal processo decisionale.

La rivoluzione copernicana

Più volte citato nei giorni che hanno seguito l’ordinedel giorno del Consiglio comunale di Venezia sullabocciatura alle opere complementari, sia dal SindacoPaolo Costa che dall’Assessore all’Ambiente PaoloCacciari, il riferimento alla “rivoluzione copernica-na” compendiava l’approccio al tema della salva-guardia della giunta lagunare sul quale sembravanoconvergere le varie componenti di una maggioranzache su questo tema si era spesso divisa. L’aver sco-modato Copernico voleva dire: la salvaguardia diVenezia e della sua laguna non doveva più essereidentificata in una sola grande opera (il Mose) intor-no alla quale “gravitano” ancillarmente tutte le altrecomponenti del sistema, ma semmai era il Mose chefaceva parte del sistema salvaguardia come uno deglielementi che lo compongono. Paolo Cacciari precisava su “Il Gazzettino” dell’8ottobre 2002 i termini del metodo proposto dal docu-mento consiliare del 23 settembre. Un metodo fon-dato su un approccio sistemico, ove le varie compo-nenti spesso in conflitto devono trovare una soluzio-ne coerente che non privilegi l’uno o l’altro degli inte-ressi in gioco. Nella sostanza ciò che si intendeva riaffermare è cheil processo dell’erosione dei fondali con perdita deisedimenti a mare – con la scomparsa delle barene,l’approfondimento dei canali, ecc. – ha assunto pro-porzioni tali da non poter passare in sottordine aquello delle acque alte eccezionali e voler concentra-re gli sforzi sulla difesa da queste ultime, per di più inuna situazione di incertezza circa l’evoluzione del-l’eustatismo, senza contemporaneamente tentare dicontrastare seriamente e con convinzione il primofenomeno, potrebbe rivelarsi un grave errore nellastrategia della salvaguardia1. Scrive Paolo Cacciari nell’articolo di fondo citato,che “la opposizione al Mose – prima ancora di ognialtra motivazione d’ordine economico, paesaggisti-co, funzionale, ecc. – ha sempre avuto al centro dellasua critica il nascondimento, la rimozione e la resa

rispetto al problema principale della salvaguardiafisica della laguna: l’erosione e l’ingressione di acquamarina causata dall’eccessiva funzionalità delle boc-che di porto. Il Mose non solo non fermerebbe ilfenomeno… ma impedirebbe ogni possibile altraazione a causa della cementificazione dei fondali fis-sati sostanzialmente alle attuali profondità (15metri)”. L’assessore comunale insiste quindi sulla“sperimentazione degli interventi di vera e drasticadissipazione” dell’energia delle maree alle boccheattraverso le opere complementari e ripropone inol-tre l’idea della “conca di navigazione”, bocciata dalConsiglio comunale così come proposta dalConsorzio Venezia Nuova perché “assolutamenteinutile senza il Mose e assolutamente inefficaceaffiancata alle modeste opere di dissipazione propo-ste”, se intesa come “una struttura di accesso perma-nente e posizionata all’interno della bocca diMalamocco evitando sbancamenti di fondali e dispiagge a ridosso di Pellestrina”. Si potrebbe in talmodo creare “un porto-canale con bacino dotato dichiuse, non più largo di 50 m e aderente all’attualemolo foraneo, profondo quanto serve, difeso dallascogliera a mare, raccordato al canale di SanLeonardo con modeste manutenzioni e opere idrauli-che sommerse,… il cui impatto ambientale, comun-que notevole… sarebbe largamente compensatodalla possibilità di ridurre la profondità del fondaledi tutta la bocca (larga oltre 400 metri)”, liberata dalvincolo portuale. Paolo Cacciari non esclude infine la realizzazione diun Mose da inserire “in un ecosistema lagunaremeno squilibrato” una volta sperimentati gli effettidelle opere di dissipazione.

Un caldo novembre 2002

(non solo per lo scirocco!)

Ma esattamente un mese dopo, l’8 novembre 2002,buona parte dell’impostazione progettuale delConsorzio Venezia Nuova passa quasi contempora-neamente il vaglio della Commissione regionale VIAe del Comitato Tecnico di Magistratura. Più precisa-mente, la Commissione VIA promuoveva gli inter-venti previsti alla bocca di Malamocco (conca dinavigazione compresa), ma bocciava quelli al Lido eprescriveva delle modifiche per quelli di Chioggia.Votava contro il rappresentante del Ministerodell’Ambiente, che ribadiva la competenza nazionalee non regionale del VIA. Il Comitato Tecnico di

1 Del resto una tale posizione non era certo nuova: venti anni prima – come ricorda Giannandrea Mencini a p. 39 del suo libro Venezia

acqua e fuoco ove ricostruisce minuziosamente tutta la storia della salvaguardia dal 1966 al 1996, dalla mareggiata all’incendio della Fenice– alla fine di un lungo dibattito svoltosi in varie sedute del Consiglio comunale, nel febbraio 1982, essendo sindaco Mario Rigo e vice sin-daco Gianni Pellicani, si era giunti all’approvazione di un documento che sosteneva come “l’abbattimento delle acque eccezionali nonpossa che essere parte di un più generale intervento di riequilibrio idrogeologico della laguna, di recupero degli equilibri tra le diverse com-ponenti dell’ecosistema, di arresto e inversione del processo di degrado del bacino lagunare”.

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Magistratura votava il passaggio alla progettazioneesecutiva dell’intero progetto (opere mobili piùopere complementari alle bocche) con la prescrizio-ne di alcune varianti tecniche. Contro le decisioni diRegione e Magistrato si schieravano oltre alMinistero dell’Ambiente i Comuni di Venezia eChioggia. L’Assessore veneziano alla Legge SpecialeGian Paolo Sprocati annunciava che il Comuneavrebbe impugnato la decisione presso il Tar.Tre giorni dopo, la polemica cresceva a causa dellapresentazione in sede di discussione della leggefinanziaria alla Camera del cosiddetto “emendamen-to Letta” che, per farla breve, assegnava al Cipe(Comitato interministeriale per la programmazioneeconomica) la gestione dei fondi per Venezia: 609milioni di euro da ripartire secondo le indicazioni delministro per le Infrastrutture Lunardi.Contemporaneamente la legge finanziaria per il 2003escludeva ogni forma di rifinanziamento della leggespeciale. Si levavano alte da parte della maggioranzacomunale veneziana le proteste per la decisioneromana, considerata un vero e proprio blitz, che sem-brava voler esautorare il Comitatone (e quindi ancheil Comune) dal consueto compito di ripartire i fondiper la salvaguardia. Legge speciale svuotata, Comune

commissariato, sono gli slogan gridati in particolaredai Verdi veneziani. Il Sindaco Costa cercava di rassi-curare che quelle risorse erano destinate non solo alMose ma anche alle altre importanti opere di salva-guardia in corso (scavo dei rii, lotta al moto ondoso,ecc.) e scriveva al premier Berlusconi per chiederglidi convocare al più presto il Comitatone onde verifi-care che fosse confermata la strategia decisa nelledue ultime riunioni di marzo e dicembre 2001. Ma l’i-ter andava avanti con l’approvazione da parte delcomitato tecnico del Cipe del progetto Mose e il rela-tivo stanziamento di circa 450 milioni di euro (50 peril 2002, 100 per il 2003, 300 per il 2004).A rinvigorire il fronte dei fautori del Mose ci avevapensato nel frattempo madre natura che il 16novembre 2002, alle nove di mattina, con l’aiuto di unvento di scirocco che soffiava a 40 all’ora, si presen-tava con un’alta marea che raggiungeva inaspettata-mente la quota record di +147 cm, allagando il 96%della città e assediando nell’isola di San Giorgio cen-tinaia di partecipanti ad un convegno internazionaledell’Unesco.Era la quinta marea più alta dopo il 1966 e la primasopra i 140 cm del nuovo secolo. Tra il 16 novembree il 5 dicembre si sarebbero susseguite ben 10 mareemaggiori o uguali a quota +110 cm, e naturalmentel’ululo lugubre delle sirene rinfocolava le polemichee la richiesta di “passare dalle parole ai fatti, abban-donando le strategie dilatorie”, mentre i commer-cianti giungevano ad invocare lo stato di calamitànaturale per la riparazione dei danni economici, sti-

mati pari a 25 milioni di euro.Un così massiccio ripresentarsi delle acque alte nonscoraggiava i critici del Mose. Due esperti del CNR,Umgiesser e Pirazzoli, pubblicavano nel gennaio del2003 un rapporto tecnico dal titolo emblematico “Ese il progetto ‘Mose’ fosse già obsoleto?”, il qualesosteneva l’inadeguatezza dell’opera progettata dalConsorzio Venezia Nuova per proteggere Venezia nelcaso dell’aumento del livello marino, quindi di unafrequenza assai maggiore delle acque alte rispettoallo stato attuale e in definitiva di una sempre piùprolungata chiusura delle barriere. In particolare, idue ricercatori sostenevano che le condizioni meteo-rologiche, l’afflusso dal bacino scolante e la stessapermeabilità della barriera mobile (dovuta ai “trafer-ri”, gli spazi liberi larghi 10 cm previsti tra paratoia eparatoia per garantirne l’oscillazione) favorirebberoun sovralzo della laguna lento ma tale da non impe-dire gli allagamenti della città anche con le dighechiuse. Il rapporto voleva dimostrare in conclusioneche “il sistema Mose” entrerebbe in crisi con uninnalzamento del mare oltre i 25-30 cm, o anche sol-tanto 10 cm nel caso di un evento estremo simile aquello del novembre 1966”.Partendo da questa critica, Pirazzoli e Umgiesserripropongono di perseguire la nota strada degli inter-venti diffusi per aumentare il coefficiente di scabrez-za e le resistenze idrodinamiche nelle bocche diporto (rialzo dei fondali, diminuzione delle sezionitrasversali, opere atte a disperdere l’energia dellecorrenti di marea, ecc.). La tesi finale è che “abbi-nando l’aumento delle resistenze alle bocche diporto ed i rialzi urbani, la frequenza delle acque altea Venezia ed in laguna potrebbe essere drasticamen-te diminuita e riportata, al livello marino attuale, aduna situazione relativamente sopportabile, simile aquella che esisteva un secolo fa. Questo tipo di inter-venti permetterebbe di guadagnare qualche decennioe quindi di evitare errori che pregiudicherebberoscelte future”. In caso di un serio innalzamento dellivello del mare potrebbe, infatti, rendersi necessariala separazione stabile della laguna dal mare, contutte le opere conseguenti per rendere possibili leattività marittime e l’indispensabile adeguamentoigienico-sanitario dei centri abitati lagunari. La nettapresa di posizione non mancava di suscitare polemi-che che provocavano la subitanea precisazione daparte dei direttori del CNR-Isdgm dott. Alberotanza edel Co.Ri.La ing. Campostrini, secondo i quali leaffermazioni contenute nel rapporto erano da consi-derarsi del tutto personali e non espressione di unparere ufficiale degli istituti di ricerca. Anche il diret-tore del Consorzio Venezia Nuova ing. Mazzacuratiinterveniva sulla stampa locale confutando l’esattez-za di alcuni dati utilizzati dai due ricercatori ed esal-tando la flessibilità del sistema Mose.

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Il via libera al “sistema Mose”

“La prima pietra del sistema Mose”. Così titolava “IlGazzettino” del 17 dicembre 2002, informando che ilgiorno prima, lunedì 16, era partito il primo lotto delcantiere per la realizzazione della scogliera in pietra-me (la lunata) lunga 1300 metri posta davanti allabocca di Malamocco, costo previsto 52,5 milioni dieuro. I giornali riportavano anche la notizia dell’in-tenzione del premier Berlusconi di voler presenziarealla posa simbolica della prima pietra per celebrarel’avvio dei lavori. In realtà si trattava, per ora, di unavvio “cartaceo” relativo alla consegna dei lavori(comunque da avviare non prima di primavera e didurata non inferiore all’anno) della prima delle operecosiddette preliminari approvate alcune settimaneprima. Forse aveva un significato scaramantico la

scelta di quella data: esattamente vent’anni prima, il18 dicembre 1982, il Consorzio Venezia Nuova avevafirmato la prima convenzione con il Magistrato, poiimpugnata presso il Tar! Ma anche questa volta al Tararriveranno quattro ricorsi (degli enti locali e di alcu-ne associazioni ambientaliste) riguardanti la legitti-mità della procedura di valutazione di impattoambientale delle opere suddette, seguita dalMagistrato alle Acque.Con questi ricorsi pendenti i sindaci (di Venezia,Chioggia, Cavallino e Mira) si presentavano allariunione del Comitatone del 4 febbraio 2003, otte-nendo che ogni decisione definitiva fosse rimandataad una successiva riunione fissata il 25 febbraiodopo aver richiesto che fossero prese in considera-zione dai progettisti alcune modifiche progettali

LA PROPOSTA FOSCARI: DIVIDERE LA LAGUNA!

Circa un anno fa apparivano sulla stampa locale ed in altri scritti alcuni interventi del prof. Antonio (Tonci) Foscari,docente di storia dell’architettura allo IUAV, volti a porre in rilievo come il problema prioritario in tema di salvaguar-dia della laguna si identificasse nel crescente processo di erosione che la minaccia. Pur non contestando la necessi-tà di intervenire con la chiusura delle bocche di porto, egli ritiene, sulla base delle analisi e delle osservazioni pro-dotte in questi ultimi vent’anni, che il progetto delle opere mobili debba essere rivisto alla luce del fatto che esso eranato essenzialmente per difendere Venezia e la laguna dalle mareggiate eccezionali, quando invece si è constatatoche il vero pericolo per la sopravvivenza della laguna e quindi di Venezia è il progredire dell’erosione, la quale hatotalmente compromesso ormai la laguna di mezzo che è diventata un vero e proprio braccio di mare. Premesso ciò,Tonci Foscari imputa l’impasse, che ancora oggi contrappone favorevoli e contrari al progetto Mose e impedisce ilraggiungimento di una soluzione, a quattro parole scritte alla fine del punto b) dell’art. 2 della legge speciale del1973. Queste parole sono “l’unità fisica ed ecologica della laguna” ed hanno costituito, secondo Foscari, il “dogma”su cui tutta la salvaguardia è impostata. In realtà tra i primi esperti olandesi invitati a quel tempo, vi fu chi proposesubito di dividere la laguna per difendere Venezia dalle acque alte senza danneggiare le attività portuali e quindi con-siderare distintamente i criteri di intervento in tre parti della laguna in funzione del suo uso prevalente. Non si tratta-va di una novità. Ancora negli anni settanta un illustre idraulico, il prof. Augusto Ghetti, aveva prospettato una sud-divisione in due del bacino lagunare all’altezza del “partiacque”, con la regolazione delle maree alla sola bocca diSan Nicolò. Questa ipotesi fu subito rifiutata e affinché il principio della unità ed inscindibilità del sistema lagunarenon fosse messo in dubbio, esso fu appunto sancito per legge.Foscari vuol sostenere che le trasformazioni della morfologia lagunare verificatesi negli ultimi tre decenni consiglia-no di recuperare un approccio meno dogmatico e più pragmatico che permetterebbe di porre in salvo subito la lagu-na nord, cioè il bacino lagunare che ospita gli insediamenti insulari più preziosi, Venezia, Murano, Burano, Torcello,ecc. e che presenta ancora una struttura morfologica in buone condizioni. Separare quindi con l’uso temporaneo dipalancole questo bacino privilegiato da quello centrale di Malamocco, ormai compromesso con il suo canale deiPetroli, mantenendo la sua funzione principale di via di comunicazione con il porto. Questo bacino può essere deli-mitato a sud da quello di Chioggia che presenta a sua volta caratteristiche ed esigenze diverse.Al di là della obiettiva difficoltà di riequilibrare nelle attuali condizioni il sistema idrologico dell’intera laguna simul-taneamente, aggiunge Foscari a sostegno della sua tesi, occorre tenere conto dell’eguale difficoltà ed onerosità di rea-lizzare contemporaneamente le tre chiusure alle bocche di porto.Questa in poche parole la proposta “eretica” di Foscari, proposta ben presto accantonata da tecnici e politici, forsetroppo frettolosamente. Probabilmente è la nostra stessa cultura che ci impedisce di mettere facilmente in discussio-ne dogmi e precetti. In una cultura diversa, più pragmatica ed informale come quella anglosassone, per fare il solitoesempio, non ci sarebbe da stupirsi se un problema complesso come quello della laguna di Venezia venisse affron-tato per gradi, magari in modo sperimentale e reversibile, rinunciando a soluzioni definitive, confrontando approccidiversi e modificando via via, in un processo di feed-back, le impostazioni di partenza alla luce dei risultati prodottie dell’evoluzione di un sistema soggetto a variabili esogene incontrollabili, prima fra tutte l’eustatismo.

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riguardanti le opere dissipative e la possibilità diinserire un porto-canale per separare le esigenze deltraffico marittimo da quelle della difesa ambientaledella laguna. Il 17 febbraio tuttavia i Sindaci si riuni-vano per concordare una linea comune e innanzitut-to per chiedere più tempo ancora per esaminare lemodifiche al progetto. Il giorno seguente 18 febbraioin una riunione presso la Commissione consiliareAmbiente del Comune di Venezia, il Magistrato alleAcque nella persona del suo presidente ing. MariaGiovanna Piva e dei tecnici del Consorzio tra cui ilprogettista del Mose ing. Alberto Scotti, presentava-no con largo anticipo sui tempi previsti (90 giorni dalgiorno dell’ultimo Comitatone) le modifiche richie-ste, mediante uno studio che proponeva varie alter-native di inserimento di canali per la navigazioneseparati dalle bocche di porto. Secondo tale studio si ipotizzavano tre canali: unoalla bocca di Lido lungo 370 m, largo 50 e profondo11,5 m, uno alla bocca di Malamocco di egualeampiezza ma profondo 13,5 m e il terzo alla bocca diChioggia lungo 300 m, largo 40 m e profondo 10,5 m.I canali alle bocche potrebbero così essere portatialle seguenti profondità: Lido da 10-12 m a 8 m;Malamocco da 16 m a 12 m, Chioggia da 9-10 m a 7m. In tal modo le capacità dissipative sarebbero stateaumentate del 35% a Malamocco e del 25% nelle altredue bocche. Con ulteriori interventi (inserimento dipennelli contrapposti) si sarebbe potuto aumentarela dissipazione fino al 50%. In termini di riduzione deicolmi di marea le soluzioni studiate avrebbero con-sentito una riduzione dei livelli a Punta della Salutedi 7 cm (e di 13 cm con l’inserimento dei pennelli).Infine il ridotto interscambio dei volumi d’acqua allebocche avrebbe provocato un aumento dell’erosionedei fondali tra il 10 e il 30% e una minor perdita deisedimenti dal 12% al 30% l’anno.Forti di questa novità, i Sindaci ottenevano nellariunione del Comitatone indetta per il 25 febbraio2003 di rimandare ogni decisione definitiva a unmese più tardi per avere tempo di valutarle. Così sigiungeva alla riunione del 3 aprile 2003 dove, dopoun lungo lavoro di stesura degli esperti giuristi dellevarie parti, si raccoglieva la quasi unanimità (con lasola astensione del sindaco di Chioggia) su un testodi deliberazione che dava il via “alla redazione delprogetto esecutivo e alla realizzazione delle opere diregolazione delle maree” e “contemporaneamente,alla realizzazione della struttura di accesso perma-nente alla bocca di Malamocco nonché allo sviluppoprogettuale di tutti gli altri interventi richiesti

dall’Amministrazione del Comune di Venezia ai finidelle decisioni conseguenti ed anche al fine dellaloro inclusione nel ‘sistema Mose’…”.Infatti, il Sindaco di Venezia aveva avuto due giorniprima mandato dalla maggioranza del Consigliocomunale di dare parere negativo al progetto defini-tivo così come formulato, ma nello stesso tempo didare la disponibilità ad una sua approvazione, condi-zionandola al recepimento di una serie di indicazio-ni, precisate in undici punti, quasi tutte rivolte adimostrare che il Mose da solo non bastava e cheoccorreva “recuperare la consapevolezza della com-plessità dell’intervento di salvaguardia… che gli ulti-mi provvedimenti governativi sembravano averperso di vista”, trascurando il ruolo degli interventicomplementari, dissipativi e di ripristino morfologi-co. Veniva quindi ribadita dal Sindaco nelComitatone la necessità di realizzare le opere diffuseda tempo previste dalla Legge Speciale e il cui statodi avanzamento era giudicato ancora una volta insuf-ficiente. Esprimeva inoltre l’esigenza di predisporreun progetto in grado di “separare le esigenze dellanavigazione da quelle della salvaguardia in modo dagarantire la continuità dell’agibilità portuale in qual-siasi condizione meteorologica e la possibilità di unsollevamento dei fondali oltre la quota prevista per laplatea delle opere mobili”.Il Governo accoglieva dunque le undici richieste delComune di Venezia al fine di procedere nelle operedel “sistema Mose” (e non più del Mose tout-court).All’indomani della decisiva riunione romana conti-nuavano le schermaglie sui quotidiani laddove i rap-presentanti del centrodestra potevano vantarsi diaver sbloccato l’opera “dopo 37 anni di discussioni edilazioni” (in realtà dopo 9 anni dal momento in cuiil Mose era stato approvato nel 1994); la gran partedel centro sinistra sembrava soddisfatta di aver recu-perato una correttezza progettuale e una impostazio-ne sistemica che erano state secondo essa disattese;i Verdi infine, da sempre contrari alle barriere mobi-li, non potevano certamente gioire e ammettevano diaver “salvato il salvabile” in una situazione da tempoper loro compromessa. “Persa la battaglia” dichiara-va il prosindaco Bettin in un momento in cui l’opi-nione pubblica stava seguendo altre e ben più cruen-te battaglie, “gestiremo al meglio la sconfitta”, nonescludendo di voler promuovere il ricorso ad unaconsultazione referendaria in un prossimo futuro.Nel frattempo un altro capitolo di una lunga storiasembrava essersi chiuso.

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PESCA (DELLE VONGOLE)

PIANI, PROGRAMMI E PROGETTI

La pesca e l’acquacoltura sono attività di primariaimportanza economica nella laguna veneta che occu-pano almeno 2500 addetti e producono almeno 150miliardi di lire/anno di reddito. La produzione si èaccresciuta da quando è stata introdotta in lagunauna specie di vongola esotica, la vongola verace filip-pina (tapes philippinarum). Tuttavia è proprio lacoltivazione delle vongole che costituisce un serioproblema ambientale a causa dell’uso indiscriminatoe illegale di strumenti di raccolta come turbosoffian-ti, rastrelli ed altro, che provocano gravi danni all’e-cosistema lagunare, favorendo l’erosione dei fondalie la dispersione di sedimenti. A tale proposito, la pro-vincia di Venezia ha elaborato nel 1998 in attuazionedi una legge regionale (la n° 19/98) un “Piano per lagestione delle risorse alieutiche delle lagune dellaProvincia di Venezia” che individua aree delimitatedella laguna da dare in concessione, garantendo ilivelli occupazionali e di reddito, ma imponendo unuso controllato di sistemi di raccolta non distruttivi.Il problema sembra tuttavia lontano dall’essere risol-to per la scarsa estensione delle aree fino ad oggi

individuate a tale scopo da parte del Magistrato alleAcque. Prolifera pertanto l’abusivismo (si stima cheoperino alcune centinaia di ‘vongolari’ abusivi) chepone a rischio non solo l’equilibrio geo-morfologicoma anche la salute dei consumatori, dal momentoche esso viene praticato anche negli specchi d’acquaprossimi agli insediamenti industriali di PortoMarghera, dove il livello di concentrazione di inqui-nanti tossici (quali le diossine, l’esaclorobenzene,ecc.) riscontrato nei molluschi è decine di volte mag-giore di quello riscontrabile nelle vongole raccolte adesempio in prossimità della bocca di Lido o in lagu-na nord.Il recupero della qualità ambientale delle acque lagu-nare attraverso le misure contro l’inquinamento pro-veniente dal bacino scolante e da Venezia stessa, lamessa in sicurezza delle aree di gronda più contami-nate, la lotta alla pesca clandestina delle vongole eall’uso delle turbosoffianti sono dunque le misureindispensabili per restituire alla laguna una delle fun-zioni più antiche e più preziose.

Affrontare un tema complesso e multiforme comequello della salvaguardia di Venezia ha richiesto neltempo una messe di piani, programmi e progetti divaria natura, livello e matrice istituzionale. Non se nepuò dare certo una visione esaustiva in poco spazio,anche perché essi spesso si intersecano e si sovrap-pongono in un intreccio indistricabile. Qui si citanosolo alcuni, i più noti e rilevanti nella storia della sal-vaguardia.

PIANO COMPRENSORIALE E PALAV

La legge speciale n° 171 del 1973 subito dopo aversancito solennemente all’art. 1 che “la salvaguardiadi Venezia e della sua laguna è dichiarata problemadi preminente interesse nazionale”, nell’art. 2 passasubito la “palla” alla Regione, ancora vagente, asse-gnandole il compito di dotarsi entro un anno e mezzodi “un piano comprensoriale relativo al territorio di

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Venezia e del suo entroterra, che dovrà essere redat-to tenendo conto degli indirizzi fissati dal governo”.Tali indirizzi giungeranno con notevole ritardo il 27marzo 1975, dopo non pochi scontri a livello politico,incentrati per la maggior parte sulla sorte della terzazona industriale e sul traffico petrolifero in laguna.Tali indirizzi spaziavano su una molteplicità di temi:dall’autostrada Venezia-Monaco alla tutela dell’am-biente lagunare, dall’esodo dal centro storico alladifesa dalle acque alte, e indicavano anche “le opereeseguibili indipendentemente dal piano comprenso-riale”, quasi prevedendo che la sua approvazionesarebbe stata assai lunga e sofferta. In realtà essanon arriverà mai, poiché dopo cinque anni di analisie studi, di proposte e controproposte, il piano saràdel tutto abbandonato agli inizi degli anni ottanta.Tale fallimento era in massima parte legato alla tur-bolenza politica di quella stagione e ai notevoli cam-biamenti intervenuti a quel livello a Venezia e neinumerosi Comuni che erano rappresentati nelConsiglio di comprensorio, un organismo pletoricoformato da 40 rappresentanti dei Comuni e da 15 rap-presentati della Regione. Con il mutare delle coali-zioni partitiche mutavano gli orientamenti dei docu-menti programmatici senza che si giungesse ad unaccordo politico definitivo tra i Comuni della gronda.

La Regione aveva in qualche modo supplito alla man-cata applicazione del Piano comprensoriale attraver-so altri due strumenti territoriali: il Piano territorialeregionale di coordinamento e il Palav (Piano di areadella laguna di Venezia). La Regione vigilava inoltresulla politica urbanistica del comprensorio lagunareattraverso la Commissione per la salvaguardia di

Venezia, che presiedeva, in quanto tutti i progetti ditrasformazione edilizia dovevano sottomettersi alsuo parere vincolante.Il vuoto lasciato scoperto dal mancato varo del Pianocomprensoriale sarà di fatto occupato alcuni annidopo dal Palav, che ne surrogherà almeno in parte gliobiettivi e si chiuderà in tal modo il lungo iter apertodalla legge 171/73. Il Palav è il piano paesistico redatto in applicazionedella legge n° 431 del 1985, più nota come “leggeGalasso”, e approvato dalla Giunta regionale il 9novembre 1995. Peraltro la legge Galasso prevedevaun vincolo paesistico sulle aree costiere che autoriz-zava le Soprintendenze per i beni ambientali edarchitettonici a bloccare ogni intervento non conser-vativo, quindi anche le opere alle bocche di porto. Ilvincolo della “Galasso” sarà tuttavia quasi subitorimosso da una sentenza del Tar del Lazio.Anche il Palav rinuncerà comunque a perseguiredirettamente una gestione unitaria del comprensoriolagunare, delegando ai Prg comunali molte dellescelte sulla difesa dell’ecosistema ambientale, sulla

tutela del paesaggio e del patrimonio dei beni cultu-rali e sulle trasformazioni urbanistiche del territorio,su cui era chiamato ad esprimersi. Il territorio inte-ressato comprendeva gli otto comuni della grondalagunare (Venezia, Chioggia, Campagna Lupia,Codevigo – in provincia di Padova –, Jesolo, Mira,Musile di Piave e Quarto d’Altino) più altri otto del-l’entroterra (Camponogara, Dolo, Marcon,Martellago, Mirano, Mogliano Veneto – in provinciadi Treviso –, Salzano e Spinea).

PIANO DIRETTORE

È la formula breve per indicare il “Piano per la pre-venzione dell’inquinamento e il risanamento delleacque del bacino idrografico immediatamente sver-sante nella laguna di Venezia” elaborato dallaRegione Veneto, che rappresenta il documento diriferimento per la programmazione delle opere dicompetenza regionale in questo campo. La prima versione del Piano Direttore, che risale al1979, individuava le reti fognarie e gli impianti didepurazione necessari alla raccolta e al trattamentodelle acque reflue nei territori insulari e nella fasciaconvenzionale di 10 km attorno alla conterminazionelagunare in cui si affacciano gli otto Comuni “di gron-da” citati nella prima legge speciale n° 171 del 1973.Nello stesso 1979 tuttavia il Consiglio regionale ema-nava la legge n° 64 (Norme per l’attuazione del Dpr

962 del 1973 sui limiti di accettabilità per gli sca-

richi idrici), che individuava nel bacino scolantedella laguna l’ambito territoriale di riferimento per lesuccessive azioni di prevenzione e risanamento delleacque.Nel 1991 la Regione produceva un secondo PianoDirettore che estendeva le azioni di prevenzione erisanamento a tutte le fonti di inquinamento civili,industriali, agricole e zootecniche all’interno dell’in-tero bacino scolante. Prima della sua approvazionela Regione aveva sollecitato l’emanazione della leggestatale n° 360, la quale stabiliva l’allargamento del-l’ambito di intervento della Regione al suddetto baci-no ed ampliava altresì la gamma degli interventifinanziabili (tra cui la lotta alla proliferazione dellealghe in laguna, il cosiddetto “bloom algale”). Inoltreil nuovo Piano teneva conto del Piano Regionale diRisanamento delle Acque (PRRA), redatto in attua-zione della legge Merli del 1976 e approvato dalConsiglio Regionale nel 1989.Nel 1998 il suddetto piano è stato aggiornato, anchealla luce delle maggiori conoscenze acquisite sull’e-cosistema lagunare (ad esempio dal Progetto“Drain”) e sulla base dell’ordinanza emessa dalMinistero dell’Ambiente dell’1 ottobre 1996, dando

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luogo al “Piano Direttore 2000”, adottato dalla GiuntaRegionale nell’aprile del 1998, approvato dallaCommissione speciale per Venezia nel 1999 e dalConsiglio regionale l’1 marzo 2000.Il Piano Direttore 2000 prevede di disinquinare pro-gressivamente i reflui scaricati in laguna sulla base diprefissati obiettivi di qualità sia per la laguna stessache per i fiumi del bacino scolante, nonché di prefis-sati carichi massimi ammissibili. Esso stabiliscequindi tutta una serie di strategie operative rivoltealla riduzione dei carichi provenienti dalle varie fontiinquinanti civili, urbane diffuse, industriali e agrico-lo-zootecniche, ad interventi strutturali sul territorio(ricalibratura degli alvei, rinaturalizzazione, fitode-purazione).Particolare importanza assume il Progetto IntegratoFusina che prevede di trasformare l’impianto biolo-gico attuale in un centro di trattamento polifunzio-nale per tutta l’area industriale (che produrrà circa50 mila mc/giorno di reflui) e per le acque di primapioggia di Mestre, Marghera e Porto Marghera (100mila mc/giorno di reflui). (v. alla voceDisinquinamento)Per quanto concerne infine le risorse finanziarie laRegione ha impegnato fino ad oggi circa 1.900miliardi di lire (980 milioni di euro) ed altri 1.400 (720milioni di euro) sono da reperire fino al 2005.

“PROGETTONE”

Fin dal 1970 il CNR, sulla scorta dei dati raccolti edelaborati dal proprio Laboratorio di ricerca sulleGrandi Masse, istituito l’anno prima a Venezia sottola direzione di Roberto Frassetto, aveva bandito unconcorso internazionale di idee per fronteggiare ilfenomeno delle acque alte attraverso la chiusura amezzo di sbarramenti mobili e per intervalli di tempolimitati delle tre bocche di porto. Al concorso aveva-no partecipato quattro consorzi comprendenti intotale dodici imprese specializzate italiane, francesie olandesi. Un gruppo era composto da Riva Calzoni,Officine Galileo, A.T. Brescia e Terni Società per l’in-dustria, che presentò un progetto basato su un siste-ma di paratoie a spinta di galleggiamento incerniera-te sul fondo, che più tardi ispirerà quello che sarà ilMose. Un secondo gruppo formato da Micoperi,Interconsult e Catena proponeva la combinazione diparatoie ad asse orizzontale a farfalla e una barca-porta galleggiante nei canali navigabili. Il progettodel terzo gruppo, composto da Torno, Sogreah eAlsthom, prevedeva parzialmente una diga fissa conpile laterali di cemento abbinata a gruppi di paratoieincernierate sia sul fondo che sulle stesse pile. Ilquarto gruppo formato dagli olandesi Vredenstein eRubber Works si presentò con un progetto che pre-vedeva un cilindro di gomma gonfiabile posto tra duedighe laterali. Quest’ultima idea fu in seguito ripresadalla Pirelli e dalla Furlanis, che sperimentavano unloro “salsicciotto” lungo 62 m sul Delta del Po. I quat-tro progetti giunti al CNR furono giudicati più deicontributi teorici che delle soluzioni pratiche.

Dall’appalto-concorso al “Progettone”

L’11 settembre 1975 fu bandito l’appalto-concorsointernazionale previsto dalla legge n° 404 emanata inquello stesso anno, che a sua volta dava seguito allalegge speciale del 1973. Furono presentati sei pro-getti di cui uno dichiarato non ammissibile dallacommissione aggiudicatrice. I cinque consorzi rima-sti in gara erano: Agiltec, Gia, Saipem-Farsura-Recchi-Cogefar, Cive e Vela. La commissione vagliò iprogetti per quasi un anno, ma si dovette attendere ilmarzo 1978 per conoscerne la decisione finale dallaquale risultava che “nessuno dei cinque progetti esa-minati poteva essere dichiarato idoneo ai fini del-l’appalto concorso”. I progetti presentati dai cinquegruppi, che poi impugneranno la decisione dellacommissione aggiudicatrice, riguardavano sistemi dichiusura o fissi o mobili alle bocche di porto, chepresentavano, secondo la commissione stessa, deipunti deboli in fatto di efficacia o di sicurezza o diimpatto sul paesaggio. Il 22 dicembre 1979 si registrava un’acqua alta dinotevolissime proporzioni (+166 cm, la più alta dopo

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Lo schema generale del progetto integrato Fusina

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quella del 4 novembre 1966) a ricordare che laminaccia era tuttora grave ed incombente, mentre aoltre cinque anni dall’emissione del bando per l’ap-palto-concorso la soluzione tecnica era ancora inde-terminata.Un decreto legge dell’11 gennaio 1980, il n° 4 intito-lato Studio delle soluzioni tecniche da adottare per

la riduzione delle acque alte nella laguna di

Venezia, autorizzava il Ministero dei Lavori pubblicia spendere 6,5 miliardi di lire di cui 5 per studi, ricer-che, indagini, rilievi prove di laboratorio ed onorari ecompensi per la progettazione esecutiva. Un succes-sivo decreto del 10 marzo 1980 autorizzava ilMinistero ad acquistare i cinque progetti dell’appal-to-concorso e ad istituire una commissione compo-sta da sette professori universitari che avrà l’incaricodi redigere uno “Studio di fattibilità e progetto dimassima per la difesa della laguna di Venezia dalleacque alte” (che passerà alla storia come il“Progettone”). L’11 giugno 1980 vengono nominati i sette “saggi”.Sono: gli idraulici Augusto Ghetti, Enrico Marchi,Pietro Matildi e Giannantonio Pezzoli; il chimicoRoberto Passino (direttore dell’Istituto di Ricercasulle Acque del CNR) e gli ingegneri RobertoFrassetto (direttore del Laboratorio Grandi Massedel CNR) e Jan Agema (dell’università di Delft).Il Progettone, che aveva richiesto un anno di lavoro,prevedeva un sistema di dighe fisse in calcestruzzo ein scogliera, e sbarramenti mobili e sommergibili;quest’ultimi erano realizzati con paratoie a ventolagalleggiante diritta, incernierata solo alla base e libe-ra di oscillare, assecondando il mare ma sbarrando lemaree fino a un metro di altezza sul medio mare. Leventole, lunghe 25 metri e formate da quattro modu-li di forma cilindrica, in condizioni normali rimane-vano adagiate sul fondo riempite d’acqua e in caso dialta marea, con l’immissione di aria espellevano l’ac-qua alzandosi completamente nel giro di un’ora. Ilcosto del sistema era stimato in 550 miliardi di lire edi tempi di realizzazione in 5-7 anni. Il Comune diVenezia, con la Provincia e i comuni del Compren-sorio promuovevano la presentazione al pubblico delProgettone, che verrà approvato il 13 gennaio 1982dalla Commissione per la Salvaguardia di Venezia e il23 gennaio dal Comune di Venezia. Seguirà il 27 mag-gio l’approvazione del Consiglio Superiore dei Lavoripubblici “subordinando tuttavia la fase esecutiva aicriteri di sperimentalità, reversibilità e gradualità ead ulteriori studi e ricerche, nell’ambito di una visio-ne e gestione unitaria del processo di risanamento esalvaguardia della laguna”.Anche Commissione per la Salvaguardia e Comunedi Venezia approvavano il progetto con le stessecondizioni ed altre quali la preliminare azione di disinquinamento della laguna stessa. In particolare

il Consiglio comunale ribadiva in un documento,votato all’unanimità, che “l’abbattimento delle acquealte non può che essere parte di un più generaleintervento di riequilibrio idrogeologico della laguna,il recupero degli equilibri tra le diverse componentidell’ecosistema, di arresto e inversione del processodi degrado del bacino lagunare”. In seguito il“Progettone” verrà rivisitato dal Consorzio Venezia

Nuova diventando il Mose.

PROGETTO INTEGRATO RII (Piano Programma degli interventi integrati per ilrisanamento igienico edilizio della città di Venezia)

L’Accordo di programma del 1993 prevedeva cheentro quattro mesi dalla stipula il Comune di Veneziapresentasse il “Piano programma degli interventiintegrati per il risanamento igienico ed edilizio dellacittà di Venezia” da sottoporre alla Commissione perla salvaguardia di Venezia e quindi al Comitatone. Lostesso Accordo di programma garantiva l’accessibili-tà alle risorse finanziarie necessarie, previste dallalegge speciale n° 139 del 1992, attraverso il ricorso a“mutui a provvista dilazionata” da stipulare conl’Istituto Immobiliare Italiano (IMI) da parte di cia-scuno dei tre soggetti: Stato, Regione, Comune. Il Piano programma utilizzò e sviluppò un precedentestudio già approvato dal Comune di Venezia nel 1991,intitolato “Programma generale degli interventi” (pre-disposto con la collaborazione del Consorzio VeneziaServizi, formato da imprese edilizie veneziane, dallecooperative edilizie, da una società dell’IRI e dallaVeneziana Gas – gruppo Italgas –, quest’ultima parti-colarmente esperta delle problematiche del sottosuo-lo veneziano dal momento che aveva realizzato anniprima la rapida metanizzazione della città). Sulla base di questo lavoro preliminare, il Piano pro-gramma fu completato nell’ottobre del 1994. I contenuti del Piano programma riguardano iseguenti principali interventi:– lo scavo dei rii interni;– il restauro delle sponde e delle fondazioni degli

edifici prospicienti i rii;– il restauro ed il consolidamento dei ponti;– il rinnovo della fognatura del centro storico e insu-

lare ed in generale il risanamento igienico;– il riassetto del sottosuolo;– la difesa locale dalle acque medio-alte.Nella sostanza si tratta di un piano di manutenzionestraordinaria della città, che partendo dall’interventopiù urgente dello scavo dei rii (e per questo sarà chia-mato per semplicità “progetto integrato rii”), giunge-va ad una sistematica razionalizzazione e al risana-mento di tutta la parte fondazionale e nascosta della

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città, quella che giace sotto il livello delle acque e i“masegni”, la quale proprio perché meno evidenteera stata trascurata se non dimenticata nell’ambitodella politica di salvaguardia.Un approccio progettuale “integrato” esigeva che ivari interventi fossero svolti in concomitanza su areeomogenee che furono identificate nelle “insulae”1,fissate in una quarantina, la cui delimitazione erafatta in funzione della logistica dei cantieri.Il Piano programma, o “progetto integrato rii” che dirsi voglia, operò subito una distinzione tra due fasitemporali: una più urgente rivolta all’esecuzionedello scavo dei rii (giunto da tempo all’emergenza) edei lavori di restauro strutturale degli “oggetti urba-ni” – sponde, ponti, fondazioni di edifici, fondamente– ad essi prospicienti (i cosiddetti “cantieri d’ac-qua”); una seconda fase meno urgente relativa agliinterventi di rinnovo della fognatura, con ripristinodei collettori e riordino degli allacciamenti fognariprivati (i cosiddetti “cantieri di terra”). La ragione erapreminentemente di carattere logistico, in quantouna contemporanea attuazione di tutti gli interventiinsistenti su un’area avrebbe comportato gravissimi

disagi alla vita cittadina.D’altro canto, mentre sulla prima fase vi era una per-fetta unità di intenti sulla necessità di accelerare loscavo dei rii e i lavori concomitanti, sul problema delrinnovo della fognatura, da tempo immemorabile, siè sviluppata una dialettica che è ancora in corso (e dicui si è trattato alla voce Fognature a Venezia).Il Piano programma forniva delle precise stime finan-ziarie e di tempo. L’intero “progetto integrato rii”richiedeva risorse valutate in circa 1.400 miliardi dilire ed un tempo di attuazione quantificato in 23 anni.Il quadro dei finanziamenti è rappresentato nellatabella a pagina seguente. Ad esso concorronoComune di Venezia e Regione Veneto sui fondi dellalegge speciale n° 139 del 1992. Come si può osserva-re dalle voci di spesa, un ruolo non secondario delprogramma era affidato al sistema di monitoraggio eall’implementazione di un idoneo sistema informati-vo della manutenzione urbana, in modo da potervalutare l’avanzamento del programma stesso ed isuoi benefici e di disporre di una sempre miglioreconoscenza di un territorio urbano complesso quan-to delicato.

1 L’uso del termine in questo caso finiva tuttavia per creare confusione rispetto a quello che fa riferimento alle aree oggetto di difesa loca-le di una intera porzione autonoma di territorio urbano dalle acque medio-alte, così come era inteso nella legge 798 del 1984.

Il restauro dei muri di sponda e dei ponti, la razionalizzazione dei sottoservizi e l’adeguamento fognario ai Tolentini

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Il Piano programma otteneva l’approvazione delConsiglio comunale con delibera n° 132 del 28 luglio1995, della Commissione di Salvaguardia con voto n°1/19278 del 6 ottobre 1995, della CommissioneTecnica Regionale sezione Ambiente con voto n°2368 del 28 marzo 1996, del Consiglio Regionale condeliberazione n° 197 del 18 dicembre 1996, costi-tuendo, per la parte relativa all’intervento sullefognature, a tutti gli effetti integrazione al PianoDirettore per l’area insulare.Nel 1997 l’attuazione del “progetto integrato rii” saràaffidata dal Comune di Venezia ad Insula spa, socie-tà per la manutenzione urbana di Venezia, apposita-mente costituita allo scopo lo stesso anno e di cuidetiene la maggioranza delle azioni. Questa società,il cui principale obiettivo era quello di aumentare edaccelerare la capacità di spesa, sfruttando appieno lerisorse messe a disposizione dalla legge speciale, haraggiunto in cinque anni una spesa complessiva di138 milioni di euro. Con questa spesa sono stati sca-vati a secco circa 18 km di rii (42% dei rii da scava-re), considerando anche gli scavi in presenza d’acqua

sono stati asportati 262 mila mc di fango (78% dell’e-subero di fango valutato nel 1993). Sono stati inoltrerisanati 96 km di sponde (40% del totale) e restaura-ti 146 ponti dei 364 ponti pubblici esistenti (40%);sono state razionalizzate e rinnovate le reti tecnolo-giche (acqua potabile, rete antincendio, gas, cablaggie illuminazione pubblica) e riordinati oltre 50 milamq di pavimentazione, circa 33 mila dei quali rialzatia quote più elevate per difendere i percorsi pedonalidalle acque medio-alte. La tabella seguente presentai dati citati che misurano l’avanzamento fisico del“progetto integrato rii”.Nel 2000 Insula ha aggiornato il Piano programma,sulla scorta dei dati tecnici ed economici acquisitinei primi due anni di attività del “progetto integratorii” entrato nel frattempo a pieno regime.L’aggiornamento ha portato ad un aumento dellaprevisione del fabbisogno finanziario necessario perun completo adempimento del risanamento igienicodella città, quantificato in circa 900 milioni di euro.Anche i tempi totali per il completamento del pianoè previsto allungarsi fino al 2025.

intervento attività programmata attività svolta avanzamento (%)

rii scavati a secco (m) 42.523 17.813 42asporto fanghi (mc) 338.000 262.164 78

di cui a secco 56.043 16in presenza d’acqua 206.121 62

restauro ponti (n°) 364 146 40rinnovo pavimentazione (mq) 511.000 50.373 10

di cui rialzata 32.700 6

Avanzamento del “progetto integrato rii” al 31 dicembre 2002

1 interventi prioritari e progetti speciali 40,52 interventi integrati per il risanamento igienico ed edilizio 612,53 interventi di competenza dei privati ammessi a contributo 368,04 interventi coordinati diffusi di manutenzione e riassetto del sottosuolo 71.05 interventi per la riattivazione dei rii terà 30,06 interventi per l’allontanamento e recapito dei reflui in arre marginali 62,07 interventi relativi a illuminazione pubblica, verde e arredo urbano 34,08 monitoraggi e gestione del sistema 16,09 sistema informativo della manutenzione urbana 18,0

10 oneri tecnici e costo del servizio 148,0

totale 1.400,0

Progetto integrato rii: quadro dei finanziamenti (in miliardi di lire), 1973

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PIANI E PROGETTI URBANISTICI

Il problema della salvaguardia fisica di Venezia èstrettamente connesso con quello della sua vitalitàeconomica e sociale. La tutela dei suoi monumenti,delle sue opere d’arte e del suo ambiente fisico hasignificato non solo come testimonianza della storiae della cultura per le generazioni future ma anchecome risorsa da valorizzare e sfruttare nel presente.Sorge allora ancora una volta il problema dell’usomoderno di una città antica, comune a tante città ocentri storici, tema più che mai tangibile a Venezia,“città per eccellenza” secondo taluni storici dell’ar-chitettura, perfino “città della nuova modernità”secondo le tesi di Manfredo Tafuri e VittorioGregotti. Se da un lato la sua insularità ha impeditol’accerchiamento ed il soffocamento da parte dellaperiferia urbana moderna e ha tenuto lontana l’inva-denza della motorizzazione, assordante e inquinante,dall’altro ha creato un bipolarismo fino ad oggi piùconflittuale che complementare, acuito da problemidi mobilità di non facile risoluzione.Recentemente il Comune di Venezia si è dotato di unnuovo piano regolatore, quarant’anni dopo il prece-dente Prg del 1962, i cui obiettivi e le cui ipotesierano stati miseramente contraddetti dalla realtà.Il nuovo Piano regolatore del 2000 di LeonardoBenevolo e Roberto D’Agostino si fonda sul concettodi città bipolare e sull’integrazione sinergica tra lefunzioni metropolitane collocate dall’una e l’altraparte del ponte della Libertà. In particolare le aree diVenezia e di Mestre che si fronteggiano ai bordi dellalaguna, fino ad oggi occupate da funzioni marginali eperiferiche, dovranno essere valorizzate e trasforma-te con funzioni strategiche: le università e il parcoscientifico e tecnologico, la cittadella della giustiziae il parco di San Giuliano, piazzale Roma con il “peo-ple mover” e il quarto ponte sul Canal Grande (diCalatrava), i “terminal” di Fusina e Tessera, il boscodi Mestre e via dicendo.La vicenda urbanistica e architettonica veneziana delresto è stata caratterizzata nel secolo appena tra-scorso da una conflittualità “permanente”. Dopo l’e-poca delle trasformazioni intervenute nel secolo chesta tra la costruzione dei due ponti, quello ferroviariodel 1846 e quello automobilistico del 1934 (dall’inter-ramento di decine di rii alla costruzione di grandiopifici – Molino Stucky, Cotonificio, ecc. –, dallo svi-luppo della Marittima alla nascita di Porto Marghera,dalla vocazione balneare del Lido a quella di luogoprivilegiato dell’arte e della cultura con la Biennale,seguendo il sogno della “grande Venezia”, quale cittàin grado di competere con le altre città europee);dopo tutto ciò, dunque, con il dopoguerra la tradizio-ne e la conservazione hanno avuto il sopravvento suogni istanza “modernizzatrice”: ormai sono classici i

tre casi paradigmatici del rifiuto dei progetti di LloydWright, Le Corbusier e Kahn, accaduti tra gli annicinquanta e sessanta.La progettualità a Venezia tuttavia non è mai venutameno neanche negli anni più recenti, e se il progettoMose delle opere mobili alle bocche di porto è riusci-to a monopolizzare l’attenzione dei media, vi è ungrande numero di progetti urbani più o meno grandi,più o meno innovativi, che mirano a ridare vita, fun-zionalità ed efficienza alla città, compatibilmentecon la indiscussa preminente vocazione culturale,ambientale e turistica.Il Consorzio Venezia 2000 aveva costruito nel 1992una sorta di catalogo dei progetti per Venezia, indivi-duandone ben 174 (con importo superiore a 3 miliar-di di lire) per un totale di 11 mila miliardi di lire diallora. La ricerca precisava che “l’insieme di taliopere appare non finanziabile attraverso i tradizio-nali strumenti delle opere pubbliche”. Metà dell’im-porto suddetto riguardava opere finanziate dalloStato, compresi gli allora 3.000 miliardi delle operemobili. Oltre il 10% riguardava opere di competenzadel bilancio comunale. Alcune di tali opere sonostate attuate: il restauro del teatro Malibran, di Ca’Rezzonico, di Ca’ Pesaro, di palazzo Zorzi a SanSevero, piazza Ferretto e il Centro Candiani aMestre, il rifacimento di piazzale Roma e di piazzaBarche, ecc.; altre opere sono in corso, quali: loscavo dei rii, che ha una durata ventennale, il teatroLa Fenice di cui era in corso il malaugurato restauroquando scoppiò l’incendio e che ora sembra definiti-vamente avviato alla ricostruzione dopo tante vicis-situdini, il parco di San Giuliano, anch’esso ritardatoda varie vicende, l’ampliamento del cimitero di SanMichele, il sistema dei parcheggi scambiatori aMestre, la ex Junghans alla Giudecca, ecc.

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Il terminal e i servizi aeroportuali Venice Gateway, progetto di Frank O. Gehry & Associates, 1998

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Tra i progetti che figurano come prioritari nel pro-gramma dell’attuale giunta comunale vanno citati: ilquarto ponte sul Canal Grande, il “people mover” chemetterà in comunicazione il Tronchetto con piazzaleRoma ed il nuovo garage alla Marittima, la lineametropolitana sublagunare che congiungerà Tesseracon Murano, Fondamente Nuove e l’Arsenale, lostesso progetto di recupero dell’Arsenale per il quale

è stata costituita una società ad hoc, la Cittadelladella Giustizia negli edifici dell’ex tabacchificio, ecc.A Mestre, i due polmoni verdi del parco di SanGiuliano e del Bosco di Mestre, il polo dell’Universitàdi Mestre, assieme ad iniziative private quali la sedeItalgas, il centro ricettivo e congressuale LagunaPalace, e via dicendo. Anche il capitale privato è impegnato su vari frontianche nel centro storico: Benetton nell’area di calleVallaresso e a San Salvador, Caltagirone a MolinoStucky, altri investitori locali ancora per i magazziniParisi a piazzale Roma e per le numerose altre inizia-tive alberghiere in corso, alcune volte al recupero diisole lagunari che erano in stato di abbandono: SanClemente (Turin Hotel Internationale), SaccaSessola (Sofitel), Poveglia (CTS). Mentre l’isola diSan Servolo è diventata la sede della VeniceInternational University. Fortemente impegnate in progetti di rinnovamentoed espansione anche l’Autorità Portuale, da tempoattiva a San Basilio, alla Marittima e presto aMarghera, l’aeroporto Marco Polo con la nuova sta-zione e il progetto “Venice Gateway”, i due ateneiveneziani: dal restauro di Ca’ Foscari all’ex Macello aSan Giobbe, dalla nuova sede IUAV a San Basilioall’acquisto dell’ex area Italgas a Santa Marta. Non mancano i progetti firmati da architetti di famamondiale: Enric Miralles, Santiago Calatrava, DavidChipperfield, Frank O. Gehry.

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Il quarto ponte sul Canal Grande, progetto di Santiago Calatrava, 1996

La nuova sede IUAV nell’area dei Magazzini Frigoriferi a San Basilio, progetto di Enric Miralles Benedetta Tagliabue,Architetti Associati, 1998-2000

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QUESTIONE AMBIENTALE

Il problema della salvaguardia di Venezia, assurtodrammaticamente alla notorietà dopo il 4 novembre1966, trovava una forte eco nella coscienza ambien-talista che proprio in quegli anni si diffondeva inItalia. Anche nel nostro come in altri paesi industria-lizzati, i problemi legati al degrado dell’ambiente sta-vano assumendo una rilevanza via via crescente.Proprio ai primi anni sessanta risalgono le primedenunce e le grida di allarme di scienziati e uomini dicultura, di esponenti delle associazioni ambientalistequali Italia Nostra, WWF, cui hanno fatto seguito iprimi interventi parlamentari e governativi con l’isti-tuzione di commissioni di studio e di indagine sullasituazione ambientale e sulle politiche d’interventonecessarie per farvi fronte.Proprio il 1966 è l’anno in cui viene emanata dal par-lamento italiano la prima legge ambientale: la n° 615,chiamata allora “legge antismog”, una legge-quadroche disciplinava gli scarichi inquinanti nell’atmosfe-ra. Come in altri paesi avanzati, il problema dell’in-quinamento dell’aria, specie nelle grandi città indu-striali è quello che per primo si impone all’attenzionepubblica per gli effetti evidenti sulla salute dei citta-dini. Nelle città d’arte come Venezia anche i monu-menti e le opere d’arte risultavano essere le illustrivittime dell’inquinamento dell’aria: secondo gliesperti a causa delle emissioni inquinanti atmosferi-che nel corso degli ultimi decenni il patrimoniomonumentale e artistico aveva subito più danni chenei secoli precedenti. La tutela dell’altro fondamentale elemento naturale,l’acqua, verrà affrontata in Italia molto più tardi, nel1976, quando sarà emanata la legge n° 319, detta“legge Merli”, dopo un iter legislativo durato diecianni. Nel frattempo era sopraggiunto nel 1973 il primo“shock” petrolifero che aveva ulteriormente sensibi-lizzato l’opinione pubblica sui temi del risparmioenergetico ed in generale della scarsità delle risorsenaturali. Ma solo nel 1986 verrà istituito il Ministero

dell’Ambiente che riunendo le competenze sparse inmolti dicasteri potrà dare avvio ad una politica eco-logica attiva. Sull’impulso delle direttive comunitariesi provvederà negli anni ottanta ad affrontare altriproblemi ambientali: dallo smaltimento dei rifiuti alrumore, dai grandi rischi alla difesa del suolo. Sonosempre più conosciuti gli effetti meno immediati, piùsubdoli dell’inquinamento e del degrado ambientale,quelli che si manifestano a distanza anche in mododrammatico e su vasta scala, come le piogge acide, oaddirittura su scala planetaria, come l’effetto serra.

Con tale crescente sensibilità alla questione ambien-tale, il problema di Venezia diventa dunque un facileparadigma, il simbolo tangibile della contrapposizio-ne tra tutela ambientale e sviluppo economico e allostesso tempo un caso emblematico nella ricercadella “sostenibilità”, cioè della compatibilità tra indu-stria e ambiente; infine, un laboratorio unico per lacomprensione e lo studio di tematiche ambientalicomplesse. E quest’ultimo connotato è dimostrato,ad esempio, dal fatto che per ben due volte le normespeciali sugli scarichi idrici in laguna (nel 1973 con ilDpr 962 e nel 1995 con la legge 206) hanno anticipa-to quelle nazionali sulla tutela delle acque (rispetti-vamente nel 1976 con la legge Merli e nel 1999 con ilDl 152).Altrove si è detto di come l’area industriale di PortoMarghera fosse stata la prima ad essere posta sottoaccusa, con i suoi fumi e le sue fiaccole specchianti-si sulle stesse acque della laguna dove a poca distan-za si riflettono palazzi e monumenti, con il suo cana-le dei Petroli così prossimo agli allevamenti di mitili,accusato benché ancora in corso di realizzazione diaver esaltato gli effetti dell’eccezionale alta marea.Saranno sospese le colmate e rivisti i piani di svilup-po della terza zona industriale, anche perché il boom

economico stava esaurendosi e l’industria di baseperdeva progressivamente di competitività. Ci sichiese, tutto il mondo si chiese dopo il rapporto

Q

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dell’Unesco del 1968, se potevano convivere cosìvicini uno dei più grandi poli petrolchimici e la cittàpiù ricca di tesori d’arte del mondo. Come fu possi-bile un simile errore, si dirà, dimenticando tuttaviatroppo facilmente di guardare sull’altro piatto dellabilancia, ricordando le decine di migliaia di famigliedi poveri contadini o artigiani che nel primo dopo-guerra soffrivano la fame e che con la nascita dellagrande industria parteciperanno ad un crescentebenessere. Purtroppo ci saranno anche le vittime diuna industria con lavorazioni nocive e si intenteran-no dolorosi processi. Si ripeteranno incidenti e fughedi gas, fortunatamente mai drammatici, ma pur sem-pre severi campanelli d’allarme di una situazionesempre più rischiosa anche per l’obsolescenza degliimpianti di un’industria ormai in forte calo e destina-ta a traslocare altrove. L’incendio scoppiato in undeposito della Dow Chemical il 28 novembre 2002,sembra rappresentare l’ultimo scampato pericolo edun ulteriore monito a non sottovalutare il rischioindustriale a Porto Marghera.Con il tempo il problema Venezia è diventato un casoparadigmatico della questione ambientale, una sortadi caso-studio esemplare, il “laboratorio Venezia”,dove varie componenti ambientali, naturali, paesag-gistiche, culturali e quelle della produzione indu-striale, artigianale, la pesca, il turismo, la mobilità,ecc. si confrontano in un’area ristretta, in un sistemacomplesso con sovrapposizione di usi spesso tra loroconflittuali e con vocazioni contraddittorie. Data lavicinanza al centro storico di un’industria altamenteinquinante, in un primo momento il problemaambientale si identificherà con quello della riduzionee del controllo dell’inquinamento, ma presto esso siestenderà a temi assai più ampi, all’intero ecosistemalagunare, da sempre in equilibrio instabile e sottopo-sto a vari fattori di rischio. Del resto tutta la storia diVenezia è contrassegnata dalla lotta per la sopravvi-venza della città contro gli elementi naturali: dall’in-terrimento della laguna per effetto dell’apporto allu-vionale che comporterà le grandi diversioni fluvialifino ai fenomeni di subsidenza e all’erosione marina. La laguna è stata mantenuta tale perché funzionalealle esigenze produttive e di difesa di Venezia, nonsenza vivaci scontri di opinioni (basti citare il dibat-tito che contrappose l’idraulico CristoforoSabbadino al bonificatore Alvise Cornaro nel XVI

secolo o quello di un secolo più tardi sulla diversio-ne del Brenta). Oggi i maggiori rischi per l’ecosiste-ma lagunare tramandatoci dai Veneziani giungonodal mare con l’aumento dell’erosione e con le minac-ce future dell’eustatismo, ma anche dalla terra attra-verso l’inquinamento proveniente dalla gronda.Un ecosistema dunque quello della laguna comunqueantropocentrico, dominato e condizionato dall’esi-stenza di Venezia, città artificiale per eccellenza, unecosistema che potrebbe tuttavia ricostituire il pro-prio valore naturalistico in funzione di una valorizza-zione della città stessa in quest’epoca post-industria-le, dove predominano la fruizione turistica e cultura-le, l’industria dei servizi, l’innovazione tecnologica ela produzione immateriale. Per dirimere l’annosa contrapposizione tra le ragionidella tutela ambientale e dello sviluppo economico, èstato elaborato il concetto di “sviluppo sostenibile”coniato alla fine degli anni ottanta dallaCommissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppopresieduto dalla signora Brundtland, primo ministronorvegese. In seguito, alla Conferenza di Rio deJaneiro del 1992, questo obiettivo è stato tradotto inguidelines nella cosiddetta Agenda 21.Recentemente, la Fondazione Enrico Mattei ha svi-luppato in quest’ottica una ricerca interdisciplinaredi tipo conoscitivo, intitolata Progetto Venezia 21,nella quale sono analizzati i maggiori nodi della que-stione ambientale veneziana all’interno dei più vastiproblemi socio-economici e dell’integrazione nell’a-rea metropolitana Venezia-Padova-Treviso (v. avantiRicerca).La questione ambientale di Venezia e della sua lagu-na rappresenta, osserva Dal Maso presidente delWWF Veneto, “anche a mettercisi con tutta la buonavolontà, un gigantesco rompicapo, per il numero e lacomplessità delle variabili in gioco”. E, si potrebbeaggiungere, per il numero delle competenze diverseche insistono sul territorio e che le leggi specialihanno cercato di coordinare non sempre con suc-cesso. Per questo di volta in volta vengono invocatil’Agenzia, la “plancia di comando”, l’Autorità Unica,e recentemente l’Ufficio di Piano, come misuraminima per esercitare una programmazione e uncontrollo degli interventi, secondo un’ottica non set-toriale ma di sistema come l’odierna sensibilitàambientale richiede.

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RECUPERO MORFOLOGICO

Con questo termine si intende riferirsi ad una serie diinterventi diffusi volti a recuperare e ripristinare lamorfologia lagunare, ricostituendo almeno in partele condizioni antecedenti alle più recenti e negativetendenze che trasformano progressivamente alcunezone della laguna in un braccio di mare.

La laguna di Venezia è un ambiente instabile, dall’e-quilibrio idrogeologico precario, e nel corso deisecoli passati è stata assoggettata a tali e tante modi-ficazioni da farne un ambiente più artificiale chenaturale. Ciò non significa che pertanto tutto possaessere permesso, ma anzi, che una certa funzionenaturalistica e paesaggistica debba essere recupera-ta e salvaguardata, anche senza riportare la lagunaalle dimensioni e alle condizioni della fine delSettecento, considerate ancor’oggi sotto certi aspettiottimali e frutto della sapiente opera dei Veneziani.In realtà nel XVI e XVII secolo la Serenissima avevaoperato delle modificazioni tali, con la diversione deigrandi fiumi (Piave, Sile e Brenta), che difficilmentesarebbero accettate oggi da quei conservazionistiche vorrebbero riportarla almeno alle condizioniottocentesche. D’altra parte la laguna a quel tempostava interrandosi, esponendo la Repubblica a rischieconomici e politici incalcolabili né si poteva preve-dere che la costruzione delle grandi dighe a monteavrebbe di fatto molto più tardi limitato fortementel’apporto solido fluviale. Sta di fatto che oggi vi è il problema opposto dell’ec-cessiva erosione marina, specialmente nella lagunadi mezzo, erosione accelerata dagli interventi opera-ti nel corso del XX secolo in funzione dell’industria-lizzazione di Porto Marghera, in particolare con lacostruzione del canale Vittorio Emanuele (1925) edel canale dei Petroli (1968) e con l’approfondi-mento delle bocche di porto. Si stima che oggi i pro-cessi erosivi interessino circa 2 milioni di mc l’annodi sedimenti, provocando un progressivo appiatti-mento dei fondali e la scomparsa dei canali meandri-

formi; ciò comporta che una grande quantità di sedi-menti (mezzo milione di mc secondo alcune fonti,fino al doppio secondo altre) si disperdano ognianno in mare. E tutto ciò con una superficie laguna-re ridotta tuttavia durante l’ultimo secolo del 18%.Attualmente la laguna di Venezia ha un’estensione dicirca 550 kmq con una profondità media di 1,5 m. Il12% della superficie complessiva è percorso da cana-li più o meno profondi per una lunghezza totale di 66km; l’8% è occupato da terre emerse, di cui isole veree proprie per 29 kmq; 92 kmq sono occupati dallevalli da pesca arginate; le velme (aree intertidali com-prese tra -0,40 e +0,24 m) si estendono per una super-ficie di 65 kmq e le barene (aree a quota superiore a+0,24 m e soggette a sommersione in alta marea) per35 kmq. La restante parte è costituita da fondali (conprofondità compresa tra 150 e 40 cm), paludi, chiari

(stagni d’acqua salmastra interni alle barene) e ghebi

(canali tracciati nelle barene dal flusso e riflusso del-l’alta marea). Il volume delle acque salmastre è paria circa 600 milioni di mc; tre quarti di tale volume èsoggetto al flusso e riflusso delle maree.

Ripristino della morfologia lagunare

Tutti concordano che il problema dell’erosione vacontrastato con interventi volti a ripristinare la mor-fologia lagunare (e lo indica la legge stessa) recupe-randone le funzioni di sistema di filtro e di resisten-za alla propagazione delle maree. Ma ripristinare checosa e recuperare quanto, se la laguna è in continuo

La laguna di Venezia

volume d’acqua 600 milioni di mcestensione 550 kmqcanali 66 km velme 65 kmqbarene 35 kmqterre emerse 29 kmqvalli da pesca 92 kmq

R

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cambiamento? Generalmente viene indicato comeriferimento del “com’era” la famosa carta batimetri-ca costruita nei primi dell’Ottocento dal capitanofrancese Denaix che è in grado di descrivere con unacerta precisione la morfologia della laguna di duesecoli orsono, quando non erano state costruite néopere foranee né canali. Confrontando quella mappacon le più recenti (l’ultima rilevata dal Servizio idro-grafico è del 1972) si può osservare quanto, come edove la morfologia e l’idrodinamica della lagunaveneta si sono modificate. Con l’aiuto dei modellimatematici, si può anche indagare le cause dellemodificazioni intervenute che non sono poche (gliinterventi dell’uomo innanzitutto – moli, dighe ecanali –, correnti di marea, moto ondoso, ma anchesubsidenza ed eustatismo) ed individuare gli inter-venti più opportuni.Tali interventi sono vari e vanno dalla riapertura dellevalli da pesca e delle casse di colmata alla protezionedelle barene e delle velme esistenti, dalla ricostruzio-ne di nuove barene e nuove velme alla ricalibraturadella rete dei canali lagunari e dei ghebi. Secondoalcune fonti l’estensione delle barene si sarebberidotta di quasi due terzi nel corso del XX secolo pas-sando da 9000 a 3500 ettari. Tra le cause principalidell’azione erosiva vi è certamente il moto ondosoprovocato da natanti sempre più grandi e veloci.Dal 1988 il Consorzio Venezia Nuova sta portandoavanti per conto del Magistrato alle Acque un ampioprogramma di ricalibrature dei canali e di dragaggi.Con il materiale estratto si ripristinano le barene e levelme, consolidandone i margini erosi con palificatea sostegno e ricostituendone le quote mediante ripa-scimenti e uso di fascine. Il ripascimento avvienespruzzando sulle barene sabbia prelevata dai bassi-fondi e dai canali adiacenti per formare uno strato dimateriale uniforme spesso 3-5 cm. La tecnica dellefascine (rami intrecciati e legati a pali infissi nel fon-dale) è usata per favorire l’accumulo di sedimenti.Rientrano tra gli interventi di recupero morfologicoanche quelli mirati alla riduzione dei processi erosividei bassifondi lagunari attraverso la ripiantumazionedelle praterie di fanerogame. Queste piante acquati-che superiori che colonizzano i fondali sabbiosihanno varie prerogative positive: producono ossige-no con poca luce, costituiscono un habitat ideale permolluschi e pesci, esercitano un’azione frenante delmoto ondoso e di consolidamento dei sedimenti delfondo per mezzo delle radici.Gli interventi effettuati in questo campo hanno por-tato alla ricalibratura di 70 km di canali, all’amplia-mento, ripascimento e ricostruzione con il materialeestratto di 600 ettari (di cui ha attecchito l’80%) dibarene e velme, alla rinaturalizzazione delle casse dicolmata D-E (originariamente destinate all’insedia-mento industriale), ad alcuni sovralzi dei fondali, ma

sono ben lungi dal contrastare il fenomeno erosivoprima quantificato.Sostiene Andrea Rinaldo, docente di idraulicaall’Università di Padova e studioso della laguna, che“il capillare restauro dell’ecosistema lagunare cheverrebbe prodotto con gli interventi morfologici dif-fusi è fascinoso ma problematico dal punto di vistatecnico: da una parte, perché non elimina – anche afronte di costi considerevoli – alcuno degli effettirealmente nocivi per la città; dall’altra parte, perchénon modifica sostanzialmente i processi degenerati-vi in atto e si configura come una fatica di Sisifo,destinata ad un perenne lavoro di ricostruzione e dimanutenzione per poter essere protratto nel tempo”.

Interventi complementari, intermedi o alternativi

Accanto agli interventi diffusi di ripristino della mor-fologia lagunare, vi sono altri più specifici, anch’essivolti a frenare i fenomeni erosivi laddove essi sonopiù accentuati, ad esempio riducendo lo scambioidrico tra laguna e mare e quindi la perdita di sedi-menti, rialzando i fondali alle bocche di porto e nelcanale dei Petroli, aumentando la scabrezza delfondo e la capacità dissipativa delle maree, riducen-done le punte. Assieme ad altre misure quali l’aper-tura delle valli da pesca e lo sbancamento degli argi-ni delle casse di colmata per permettere l’espansionedelle maree, tali interventi (previsti dalla legge spe-ciale e ribaditi più volte dal Comitatone) tendono aripristinare le condizioni idrogeologiche della lagunapreesistenti alla costruzione di dighe e moli alle boc-che di porto e alla realizzazione dei grandi canali. Aseconda della loro efficacia in termini di riduzionedei colmi di marea, essi sono stati considerati “com-plementari” rispetto alle opere mobili di regolazionedelle maree alle bocche di porto, oppure “intermedi”(ma non alternativi) in quanto contribuiscono assie-me ad altri interventi diffusi sui centri abitati (“insu-lae” o “rialzi”) o di modifica dei moli foranei, a ridur-re il numero di volte che le suddette opere mobilisono chiamate a separare mare e laguna o infine,secondo una certa corrente di pensiero, addirittura“alternativi”, nel senso che la loro efficacia è tale darendere inutile il ricorso alle dighe mobili almeno inquesta fase (eustatismo permettendo). In sintesi, i fautori di quest’ultima concezione dellasalvaguardia insistono da quasi un trentennio cheprima di intervenire isolando temporaneamente lalaguna dal mare con l’intervento tecnologico dellebarriere mobili per il controllo delle maree eccezio-nali, occorre porsi come obiettivo prioritario l’inver-sione del processo dell’erosione, ricostituendo con-dizioni morfologiche ed idrologiche della laguna(specialmente intervenendo sui fondali alle bocchedi porto) tali da ridurre l’interscambio mare-laguna(sempre nei limiti consentiti dagli obiettivi di qualità

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delle acque lagunari) e aumentare la capacità di resi-stenza alla propagazione delle maree medio-alte. La diversa valutazione, anche tra esperti di idraulica,circa la reale capacità, a fronte di costi elevati, deivari interventi sulla morfologia lagunare di incideresui fenomeni erosivi e al contempo di controllarefrequenza ed intensità delle maree, è alla base del-l’acceso dibattito che tuttora sussiste sulle strategiedi salvaguardia dalle acque alte. Anche di recente,accenti di questo dibattito sono apparsi sulle paginedi un quotidiano locale, quando all’Assessoreall’Ambiente del Comune di Venezia, Paolo Cacciari,che esprimeva la convinzione che si devono affian-care alla difesa dalle acque alte misure volte a ridur-re l’erosione, rispondeva un tecnico del Consorzio

Venezia Nuova, l’ing. Giovanni Cecconi, sostenendoche “le acque alte e l’erosione sono problemi bendiversi che vanno affrontati in modo distinto” e che“vi sono ormai numerosi studi che evidenziano comeuna laguna così profondamente trasformata e privadi apporti di sedimenti dai fiumi o dal mare nonpossa essere protetta dall’erosione riducendo il flus-so di marea”.È comunque questo un nodo decisivo della salva-guardia: operare la difesa dalle acque alte e il contra-sto all’erosione in modo concomitante, rendendoentrambi questi due grandi problemi-obiettivi com-patibili con un terzo non meno importante: il mante-nimento della portualità.

Le barene di valle Millecampi, laguna sud

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Si intende con questo termine l’intervento di recupe-ro altimetrico delle quote più basse della pavimenta-zione, pubblica o all’interno degli edifici, adottato pertratti di fondamenta o aree limitate. Esso rientra tra leforme di difesa locale dagli allagamenti provocatidalle cosiddette acque medio-alte e si differenzia dal-l’intervento per “insulae” perché quest’ultimo non silimita ad un mero rialzo del piano di calpestio, marichiede misure più estese ed incisive di impermeabi-lizzazione contro i sifonamenti e le infiltrazioni, alfine di porre al riparo dalle acque alte intere insulaeappunto, assicurando la difesa dagli allagamenti finoad una certa quota per l’intero suo territorio. Con ilcriterio dei “rialzi” si interviene in modo non sistema-tico nell’ambito della manutenzione urbana dellesponde e delle rive, privilegiando i percorsi pedonalipiù frequentati, onde ridurre i disagi alla mobilità elimitare l’uso delle passerelle. Come dimostrano numerose ricerche svolte sia suidocumenti storici che attraverso indagini archeologi-che anche recenti, è questo un modo largamente pra-ticato nei secoli passati di protezione dagli allaga-menti provocati dalle maree che i fenomeni secolaridi subsidenza del suolo accentuavano. Ancora agliinizi dell’Ottocento scriveva Giacomo Filiasi: “conti-nuando la stessa cosa [la subsidenza, n.d.a.] da quiad alcun secolo certamente converrà rifabbricareVenezia sopra se stessa”. Ma da tempo ormai la“forma urbis” non si evolve come prima ed impedi-sce questi interventi; oggi vi sono margini assai ridot-ti per modificazioni del genere, dati i vincoli giusta-mente imposti dalla odierna concezione conserva-zionista del patrimonio architettonico di un contestourbano prezioso e delicato quale è quello di Veneziae degli altri centri storici lagunari.La prassi dei “rialzi” ancora oggi, con i limiti suddet-ti, viene attuata, specie nell’ambito dei lavori dimanutenzione di sponde e fondamente lungo rii ecanali. Essa è stata sperimentata inizialmente dalConsorzio Venezia Nuova nell’area dei Tolentini, unadelle zone più basse di Venezia e al tempo stesso piùattraversate dai flussi di cittadini e pendolari. La dife-sa dalle acque medio alte si inseriva in un progettointegrato del tutto simile a quelli realizzati da Insula,sicché al termine del primo stralcio esecutivo, che hainteressato il campo e la fondamenta dei Tolentini ela fondamenta Condulmer, gli stralci successivi sonostati realizzati (e sono tuttora in corso), nell’ambitodell’Accordo di programma, da Insula spa, la societàper la manutenzione urbana del Comune di Venezia.Insula aveva già adottato questo tipo di interventonell’insula del Ghetto, elevando lunghi tratti delle

fondamente delle Cappuccine, degli Ormesini e dellaMisericordia per un’area complessiva di circa 5 milamq con un recupero altimetrico medio di circa 13 cmche corrisponde ad una riduzione dell’80% degli alla-gamenti precedentemente subiti. Altri significati rial-zi sono avvenuti su rive prospicienti il Canal Grande(campo della Pescaria, riva Di Biasio, riva SanSimeone) dove si può osservare l’entità del recuperoaltimetrico dalla listolina di pietra d’Istria inserita sulmuro di sponda delle fondamente. Questa forma diintervento rientra dunque nell’approccio integratocon il quale si attua la manutenzione dei rii, dellesponde, dei ponti e delle fondamente. Il suolo vienequasi sempre interessato dalla razionalizzazione deisottoservizi e la pavimentazione va comunque rimos-sa; il costo del rialzo è pertanto marginale, essendol’impatto più serio dovuto all’eventuale coinvolgi-mento delle soglie e degli androni degli edifici pro-spicienti; mentre il beneficio è ovviamente immedia-to e si misura nel minor numero degli allagamentipatiti rispetto alla situazione precedente il rialzo. Indue casi, fino ad oggi, il rialzo ha costituito l’obietti-vo prioritario dell’intervento (sempre comunqueconcomitante con il rinnovo e la razionalizzazionedei sottoservizi): essi riguardano le aree di SanRocco e di rio terà San Leonardo, entrambe parti didue percorsi pedonali molto frequentati (piazzaleRoma-Rialto e stazione-Strada Nuova), ed il secondoanche sede di un importante mercato rionale.L’area pubblica della città di Venezia giacente a quotainferiore a +110 cm era pari a circa 130 mila mq. Diquesti l’area marciana e quella di Rialto(Camerlenghi), che saranno oggetto di specifici pro-getti del Magistrato alle Acque – Consorzio VeneziaNuova, occupano circa 30 mila mq; dei rimanenti 100mila mq circa, estremamente frazionati e sparsi intutte le “insulae” veneziane, fino ad oggi Insula ne haportato oltre un sesto (17 mila mq) a quota superiorea +110. Solo 1100 mq all’interno delle “insulae” sullequali si è intervenuto non sono stati rialzati fino a+110 cm, per vincoli estetici ed architettonici.Durante tali interventi si è anche provveduto a rial-zare conseguentemente circa 180 soglie di abitazioniche stavano a quota inferiore a +110 cm. Sempre nel-l’ambito dei suoi interventi integrati, Insula ha prov-veduto a rialzare aree corrispondenti ad altri 15 milamq di pavimentazione pubblica, che stavano già aquota superiore a +110, tendendo a +120 cm ed inqualche caso superando anche questa quota. Si è precedentemente accennato come l’efficacia dei“rialzi”, con tutti i limiti già espressi, sia immediata emisurabile in termini di minor numero di allagamen-

RIALZI (DELLA PAVIMENTAZIONE CITTADINA)

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ti subiti. Per quanto sia difficile ed opinabile un talecalcolo, Insula ha stimato l’entità del rialzo “medio”fino ad oggi operato che risulta di 8 cm, ciò che sem-bra poca cosa, ma in realtà corrisponde ad un abbat-timento di almeno il 50% degli allagamenti ai quali learee erano precedentemente soggette. Ai “rialzi” finora eseguiti da Insula si devono aggiun-gere quelli effettuati nell’ambito degli interventi delConsorzio Venezia Nuova alle Zattere, alla Giudecca,in Riva dei Sette Martiri, ecc.

Le verifiche del 1999 sulla fattibilità dei “rialzi”

Il Consorzio Venezia Nuova aveva adottato inizial-mente per la difesa locale la quota di riferimento di+100 cm coerentemente con la impostazione del pro-getto Mose, quota che avrebbe richiesto un determi-nato numero di chiusure degli sbarramenti alle boc-che di porto. I contrari alle opere alle bocche di porto,o quanto meno ad una loro prolungata chiusura cheavrebbe potuto compromettere lo stato ambientaledella laguna, propugnavano il ricorso alternativo ai“rialzi” della pavimentazione a quote maggiori, possi-bilmente fino a +120 cm. Non pochi esperti e buonaparte dell’opinione pubblica tuttavia temevano chequesta tecnica non potesse essere applicata che inmisura limitata per rispettare la “facies” architettoni-ca della città, e che comunque essa risolvesse il pro-blema delle acque alte in modo assai limitato e par-ziale. Su questo tema si era aperto nel 1998 un accesodibattito, finché i fautori dei “rialzi” ottenevano nellaseduta del Comitatone dell’8 marzo 1999 che fosse

assegnato al Magistrato alle Acque e al Comune diVenezia il compito di “verificare in tempi rapidi, d’in-tesa con la Soprintendenza, la possibilità sotto il pro-filo della difesa architettonica, e fatta salva ogni ulte-riore valutazione di ordine geotecnico, di elevare l’at-tuale quota di 100 cm delle difese locali costituitedalle ‘insulae’ a quote superiori, tendendo a 120 cm”.La verifica richiesta ha dato luogo a due indagini: unapromossa dal Comune di Venezia e svolta da Insula edal Coses, una seconda condotta dall’Isp (Iuav servi-zi e progetti) per conto di Magistrato alle Acque –Consorzio Venezia Nuova. Con la prima indagine il Coses ha svolto una sorta dicensimento dei piani terra del centro storico coinvol-ti dal fenomeno dell’acqua alta, rilevando le quote dicirca 12 mila unità abitative soggette ad allagamentifino a 130 cm, mentre Insula ha valutato l’impatto deipossibili rialzi delle soglie sia sotto l’aspetto fisico-geometrico che architettonico-ambientale. Sono statistimati anche i costi dei possibili tipi di intervento:rialzo della soglia, rialzo dell’architrave, rialzo dellapavimentazione interna, creazione di una vascaimpermeabile. Nel complesso i risultati dell’analisihanno indicato che circa l’80% delle soglie considera-te è potenzialmente rialzabile senza gravi ostacoli fisi-ci ed architettonici; e tuttavia la quota di +120 cm“può essere considerata un riferimento a cui tendereper il rialzo della pavimentazione pubblica, ma nonun obiettivo sempre e agevolmente raggiungibile”.Meno possibiliste le conclusioni dello studio dell’Isp,che ha adottato una metodologia diversa da quellaInsula-Coses, concentrando l’analisi su tre aree(sestiere di Dorsoduro, l’insula dei Frari e l’insula diSan Marco-Prigioni) rilevando 9300 schede per veri-ficare l’impatto di un livello d’acqua alta a +120 cmsu un fronte architettonico di 41 km. Tali conclusio-ni mettevano in evidenza la difficoltà di programma-re interventi di rialzo generalizzati, interventi chepossono porre “il problema di garantire l’integritàdell’organismo architettonico nel contesto urbano”.L’approfondimento era comunque servito a dimo-strare da un lato che una difesa locale mediante rial-zi della pavimentazione pubblica è una misura utileanche se evidentemente parziale e non esaustiva, ed’altro canto esso convinceva i progettisti del siste-ma di chiusure alle bocche di porto che la loro quotaminima di salvaguardia poteva essere elevata da+100 a +110 cm. Nel frattempo nell’ambito degliinterventi di manutenzione urbana sul suolo pubbli-co, ove possibile e sotto la vigile guida dellaSoprintendenza che garantisce il rispetto dei vincoliarchitettonici ed estetici, si mira al recupero altime-trico delle quote di calpestio mitigando in tal modoimmediatamente i disagi dovuti alle acque medio-alte, specie quelli connessi alla mobilità.

Rialzo della pavimentazione su una fondamenta di rio del Mondo Novo

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Le problematiche della salvaguardia di Venezia sonostate a lungo studiate innanzitutto dagli istituti uni-versitari e dai centri di ricerca locali, ma anche inmolti altri nazionali ed esteri. La presenza a Veneziadi due importanti atenei, Ca’ Foscari e IUAV, dellavicina università di Padova, del Laboratorio delleGrandi Masse del CNR, dell’Unesco che ha un pro-prio centro di studi a Venezia, di consorzi di ricerca(Consorzio Venezia Ricerche e Thetis) ha favorito lostudio delle problematiche tecniche e scientifichelegate al multiforme e vasto tema della salvaguardia,anche a sostegno di attività amministrative e di inter-vento. Basti pensare a questo proposito ai vari pro-getti portati avanti dal CNR sui pozzi artesiani, sulmonitoraggio delle acque e dei fanghi, sulle maree esul moto ondoso, solo per citare alcuni temi. Sarebbe troppo impegnativo farne in questa sede unarassegna anche parziale, per cui ci si limita a tre solebrevi citazioni corrispondenti alle più recenti inizia-tive in questo campo caratterizzate da un approcciodi tipo interdisciplinare: le ricerche del ConsorzioVenezia Ricerche, gli studi sull’Agenda 21 coordinatidal Feem e il programma di ricerche coordinate dalCo.Ri.La.

L’attività del Consorzio Venezia Ricerche

Fondato nel 1989, il Consorzio Venezia Ricerche, èun consorzio senza fini di lucro facente parte dellarete dei consorzi città ricerche italiani e costituisceun “link” diretto fra Università, enti di ricerca pub-blici e privati, imprese del territorio veneziano edimprese a carattere nazionale. Il suo obiettivo è fareinteragire questi soggetti nell’ambito della ricerca suitemi delle scienze ambientali, dei beni culturali edella gestione del territorio. Attraverso i laboratoridei propri consorziati, la disponibilità di diversecompetenze interne o esterne e la collaborazionecon numerose entità scientifiche di livello interna-zionale, il Consorzio realizza progetti pluriennali,spesso messi in atto con il sostegno del Ministerodella Ricerca e dei programmi di ricerca europei, estudi di consulenza tecnico scientifica.Nel contesto del territorio lagunare veneziano dovediventa fondamentale intervenire per garantire unacompleta tutela del patrimonio ambientale e cultura-le, il Consorzio Venezia Ricerche si è occupato e sista occupando di diversi progetti di ricerca atti adacquisire conoscenze utili e innovative in linea con lasalvaguardia della laguna di Venezia.In particolare, con il progetto Archeorisk – Sistema

di valutazione del rischio ambientale per i siti

archeologici lagunari è stato messo a punto un

Sistema di Supporto alle Decisioni (DSS) basato sul-l’applicazione dell’analisi di rischio e dell’analisi spa-ziale delle informazioni mediante supporto GIS(Geographic Information System) che consente divalutare il rischio e programmare opportuni inter-venti di salvaguardia dei beni archeologici lagunari.Nel campo della riqualificazione ambientale dei siticontaminati, il Consorzio con il progetto SeRTech:

Sediments Remediation Technologies sta realizzan-do una sintesi delle migliori tecnologie per la decon-taminazione delle frazioni tossico-nocive dei fanghirisultanti dagli escavi dei canali industriali e portualidi Porto Marghera e della laguna di Venezia.La definizione di interventi di riqualificazione suampia scala di vasti siti contaminati della laguna diVenezia e delle aree di Porto Marghera tramite unSistema di Supporto alle Decisioni è oggetto invecedello studio denominato Desyre: Decision Support

System for Contaminated Sites Rehabilitation.

Gli studi per l’Agenda 21

Una consistente mole di studi è stata prodotta nelbiennio 1996-97 dalla Fondazione Eni Enrico Mattei(Feem), particolarmente dedita all’analisi delle inter-relazioni tra economia, energia e ambiente (secondolo slogan anglosassone The triple “E”: Economics-

Energy-Environment), che dal 1996 ha insediatouna propria sede veneziana. Tali studi rientrano nel“Progetto Venezia 21” sulla sostenibilità dello svilup-po nella città di Venezia, progetto che è nato con loscopo di apportare un contributo di conoscenza tec-nica e scientifica al processo di elaborazione dellacosiddetta “Agenda 21 Locale”. L’Agenda 21 (dalnome di un documento adottato alla Conferenzadelle Nazioni Unite su “Ambiente e sviluppo” cele-brata a Rio de Janeiro nel 1992) è un programma d’a-zione che contiene i principi guida di una politica disviluppo sostenibile per il XXI secolo. Uno di taliprincipi si fonda sull’avvio, da parte delle autoritàlocali (di qui il nome di Agenda 21 Locale), di un pro-cesso di consultazione e di costruzione del consensotra le parti sociali, attraverso l’attivazione di mecca-nismi di partecipazione ed educazione, al fine di defi-nire e attuare un piano di azione ambientale per lasostenibilità urbana, intesa come ricerca della com-patibilità tra settori produttivi e preservazione dell’e-cosistema lagunare.

La ricerca Co.Ri.La.

Nel 1998 nasceva, su iniziativa del Comitatone, ilConsorzio per la gestione del centro di coordina-mento delle attività di ricerca inerenti il sistema lagu-

RICERCA

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nare di Venezia (Co.Ri.La.) costituito tra il CNR e leuniversità di Venezia (Ca’ Foscari e IUAV) e diPadova, con lo scopo di porre a disposizione delleamministrazioni che operano sul territorio venezianotutte le informazioni e i dati scientifici del sistemafisico, territoriale, ambientale, economico e socialedella laguna e degli insediamenti lagunari, di elabo-rare e gestire in modo integrato le informazioni e idati raccolti e da raccogliere attraverso le ricerche egli studi, coordinandoli e garantendone la qualitàscientifica, di promuovere il confronto con la comu-nità scientifica internazionale, di svolgere progettiscientifici di ricerca di natura interdisciplinare relati-vi a problemi della laguna di Venezia e di curare lamassima diffusione dei risultati raggiunti. In effetti gli studi e le ricerche scientifiche che hannoavuto come oggetto la laguna di Venezia sono statiassai numerosi, e c’è chi sostiene che l’ecosistemalagunare è uno dei luoghi più studiati al mondo.Dall’idrologia alla subsidenza, dall’inquinamento al“bloom algale”, dal monitoraggio alla modellistica,

sono stati sviluppati dopo l’alluvione del 1966 nume-rosissimi studi ed analisi volti ad acquisire una mag-giore conoscenza dell’ambiente lagunare. Tra i primipromotori di questi studi sicuramente è da annove-rare l’Unesco. In particolare all’indomani della seconda legge spe-ciale n° 798 del 1984, si era dato corso, specie con ilsostegno finanziario del Ministero della Ricercascientifica e tecnologica, secondo la metodologia dei“progetti finalizzati” del CNR, ad una copiosa mole distudi sotto l’etichetta di “Progetto Sistema LagunareVeneziano”, raccolti e pubblicati nel 2000 dall’IstitutoVeneto di Scienze, Lettere ed Arti, e consultabiliattraverso Internet. Il progetto Co.Ri.La. sta ulterior-mente ampliando ed approfondendo questo vastofilone di ricerca con particolare riguardo a tre grandiaree di studio: ambientale, economica e dei beni cul-turali. Vi è poi una attività dedicata alla gestione ediffusione dei dati e dei risultati delle ricerche.Attualmente le ricerche in corso e programmatesono circa una sessantina.

RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI

Nell’operazione complessa e complessiva della salva-guardia di Venezia e della laguna sta assumendo unacrescente importanza un particolarissimo settoredella tutela dei beni culturali, che è quello della sco-perta e dello studio dei siti archeologici. Importantirecenti ritrovamenti hanno avuto il merito di sensibi-lizzare l’opinione pubblica rispetto all’importanzadelle memorie storiche che il sottosuolo dei centriabitati e la laguna stessa custodiscono. Il sistematicolavoro di manutenzione che si sta conducendo daanni nei centri storici e in laguna ha dato l’occasionedi una ripresa delle ricerche in questo campo sfrut-tando le conoscenze accumulate in passato da valen-ti studiosi. La maggiore disponibilità di risorse e diorganizzazione ha permesso, secondo le parole diLuigi Fozzati, direttore di Nausicaa (NucleoArcheologia Umida Subacquea Italia Centro AltoAdriatico), “il risorgimento archeologico di Venezia”,affiancando ai tecnici che lavorano per la sua salva-guardia presente e futura, gli esperti archeologi, cheli seguono come “angeli custodi” (in questo caso dellaStoria e della sua inesauribile lezione) sul fondo deirii in asciutto come sotto le acque della laguna.Non è in questo contesto assolutamente possibileper ragioni di spazio darne un resoconto anchesuperficiale. Basterà menzionarne alcuni esempi piùrecenti e significativi, ricordando in tal modo quanto

questa attività suggestiva ci leghi alle vicende delpassato anche fisiche, cioè non solo quelle degliuomini e delle loro attività ma anche quelle, nonmeno tormentate, dell’ambiente nel quale vivevano.Alla grande stagione dell’archeologia veneziana degliultimi vent’anni hanno collaborato personalità dispicco della ricerca e del volontariato veneziano, chehanno trovato negli ispettori delle Soprintendenzelocali Maurizia De Min e Luigi Fozzati, due funziona-ri ed interlocutori disponibili ed avveduti, sotto la cuidirezione si sono potuti affrontare tematiche e pro-blemi fino ad allora passati in secondo piano rispet-to al preponderante sviluppo archeologico della ter-raferma veneta.La scoperta dell’isola di San Lorenzo di Ammiananella laguna a Nord di Venezia avvenuta ad opera deldecano dei ricercatori veneziani, Ernesto Canal, hagettato sul piatto dell’archeologia un peso difficil-mente controbilanciabile senza un’approfonditanuova indagine sul fenomeno storico dello sviluppodell’antropizzazione delle lagune. Per la prima voltasi toccavano con mano una serie di dati storici, chefino ad allora erano stati soltanto presunti sulla basedi ricerche storiche e studi pionieristici condotti dauno sparuto gruppo di personalità del mondo cultu-rale veneziano e non, che per lungo tempo avevanopreannunciato, spesso tra il clima ostile della ricerca

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“ufficiale”, una posizione dialettica relativa alla stori-cità di alcuni insediamenti veneziano-lagunari.Le nuove ricerche condotte a Torcello, prima dallemissioni polacche e successivamente proseguitedalle due Soprintendenze congiunte, hanno avutosoprattutto il merito di attingere nuovi dati che pote-vano trovare una collocazione all’interno di un dibat-tito culturale, che nel frattempo si era venuto a porrein essere sulla “presunta romanità” della laguna diVenezia. Le successive ricerche condotte nel cuoredella città all’interno della chiesa di San Lorenzo diCastello, se confrontate con gli scavi eseguiti all’in-terno del teatro la Fenice, del teatro Malibran, del“cinema San Marco” o del sito di San Pietro diCastello, affrontarono invece l’indagine conoscitivacirca la formazione urbana di Venezia, chiarendoalcuni aspetti delle procedure di costruzione ed allar-gamento della città altomedievale.Durante gli esordi dell’archeologia urbana a Veneziaassistiamo inoltre ad una serie di progetti congiunti,che vedono l’importante ruolo del Comune e dellaCuria veneziana accanto alle Soprintendenze; di que-sta fase fanno parte alcuni scavi di grande rilevanzaper la comprensione delle stratigrafie veneziane,come i sondaggi condotti a Sant’Alvise, Sant’Antonin,Frari, San Samuele, Palazzo Ducale. L’impegno della ricerca archeologica unitamente aquello interdisciplinare favorito dalla collaborazione

con il Consorzio Venezia Nuova ha portato di recen-te al rinvenimento in San Marco in Bocca Lama didue imbarcazioni medievali, che hanno richiamatol’interesse di studiosi ed opinione pubblica a livellointernazionale.Le proficue collaborazioni tra gli enti municipali equesti nuovi soggetti venutisi a formare in relazionealla manutenzione attiva della città e della laguna,quali appunto il Consorzio Venezia Nuova ed Insulaspa, hanno permesso inoltre alla ricerca archeologi-ca, sempre povera di risorse e finanziamenti, di averea disposizione un nuovo campo d’azione, quale quel-lo dello studio evolutivo della città, esaminando ilpatrimonio delle tecniche e metodologie antiche,riuscendo a trarre indicazioni precise sia sulle meto-dologie di restauro e consolidamento del pregresso,sia nelle nuove impostazioni dei progetti futuri.Infatti, se non a caso la riva trecentesca rinvenuta aRialto durante lo scavo del depuratore delle pesche-rie, oltre a documentare uno spaccato della vita diVenezia dei primi del Quattrocento, ha messo a cono-scenza dei tecnici le metodologie di costruzione anti-che proponendo per la prima volta un nuovo approc-cio alle dinamiche ricostruttive moderne, dall’altrolato i vari cantieri dislocati su tutta la città hannodato la possibilità di esaminare una gran massa didati relativi ad un intero sistema, che ha valenza sto-rica, ma è da considerarsi ancor oggi funzionale.

L’isola di San Marco in Bocca Lama, intervento di protezione dei relitti di due vascelli del XIV secolo, una galea e una “rascona”

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Una caratteristica operazione di manutenzione urba-na che si svolge a Venezia da tempo immemorabile èquella dello scavo dei rii. Come è noto, Venezia è per-corsa (oltre che dal Canal Grande che la attraversacon una sinuosa “esse”) da un reticolo di 178 canaliinterni detti “rii”, per una lunghezza complessiva di49 km, che formano 124 “insulae” e sono attraversatida 454 ponti. L’importanza dei rii è evidente nel tes-suto urbano veneziano; essi rappresentano l’unicarete di viabilità non pedonale, fondamentale per iltrasporto delle merci, ed inoltre garantiscono losmaltimento di buona parte dei reflui cittadini.Questo fatto assieme ad altri fattori idrodinamici,causa l’accumulo di sedimenti che non deve eccede-re altrimenti impedisce la navigabilità. Di qui lanecessità per motivi logistici ed igienici di ripristina-re periodicamente i fondali asportando i fanghi accu-mulati. Più che di scavo si deve quindi parlare diripristino dei fondali, operazione che deve esere con-dotta con cautela per non danneggiare le fondazionidegli edifici: infatti l’imposta delle fondazioni è gene-ralmente a -200 cm sul livello del medio mare e il fon-dale a -180 cm. I fanghi possono essere asportati mediante il dragag-gio dei rii in presenza d’acqua o con lo scavo a seccouna volta che i rii sono messi in asciutto. Con laprima modalità lo scavo avviene lungo l’asse media-no dei rii, creando una sezione di adeguata profondi-tà al centro, lasciando una fascia di rispetto su amboi lati del canale a ridosso delle rive, per non esporrea danneggiamenti le parti immerse degli edifici. Loscavo a secco richiede la chiusura con “casseri” alledue estremità del tratto di rio per l’estrazione del-l’acqua. In questo caso la rimozione dei fanghi inte-ressa anche le parti laterali, potendo così abbinareallo scavo l’altra fondamentale operazione manuten-toria del risanamento delle fondazioni degli edifici,dei muri di sponda e delle rive. La messa in asciuttoviene svolta per tratti limitati onde evitare lunghedurate dei lavori che causerebbero modifiche alle

condizioni delle strutture degli edifici per la fuoriu-scita dell’acqua dal terreno su cui poggiano le fonda-zioni.

La ripresa dello scavo sistematico dei rii

L’ultima serie di scavi sistematici dei rii veneziani erainiziata nel dopoguerra e si era protratta con unacerta continuità fino alla metà degli anni sessanta.Nel ventennio 1945-65 sono stati scavati mediamente25 mila mc l’anno; nel ventennio successivo gli inter-venti sono stati così sporadici che alla fine degli anniottanta l’interrimento superava mediamente di 80 cmil livello batimetrico normale, superando in molticasi il metro. Oltre al disagio alla circolazione nautica, l’eccessivoaccumulo del fango occludeva gli scarichi fognaridirettamente sfocianti nei rii che, completamenteintasati, impedivano il loro sversamento disperden-doli all’interno delle strutture murarie delle sponde ecosì degradando progressivamente le strutture. Edinfatti una ragione ulteriore ed urgente per procedereallo scavo dei rii a secco era dovuta alla necessità diprovvedere alla manutenzione dei muri di sponda deirii, danneggiati oltre che dalla causa appena indicata,da vari altri fattori di degrado o vero e proprio disse-sto, primo fra tutti il moto ondoso provocato dainatanti a motori, il cui numero e la cui potenza sonosicuramente accresciuti durante gli ultimi trent’anni.Specie nei punti di attracco e di manovra delle barchea motore, il moto ondoso provoca con il tempo veri epropri “sgrottamenti” e crolli di tratti murari. La stes-sa vetustà dei materiali, il dilavamento delle maltedovuto alle sempre più accentuate escursioni dimarea, gli effetti dannosi della risalita capillare sali-na, la stessa perdita di impermeabilità, e in definitival’effetto combinato di tutti questi fattori, finisce perindebolire i paramenti murari, fino a provocare este-si stati di degrado o addirittura di dissesto. Nell’ottobre del 1992, in rio di Malpaga alla Toletta,un’intera parete esterna prospiciente il rio era

SCAVO DI RII E CANALI (E SMALTIMENTO DEI FANGHI)

S

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improvvisamente crollata nel sottostante canale,mettendo alla scoperto la sala di un ristorante, fortu-natamente vuoto per chiusura settimanale. Quel rioera stato di recente scavato in presenza d’acqua, edevidentemente quella manutenzione parziale avevafinito per provocare il crollo. Tale episodio fu dimonito su quanto fosse pericoloso ritardare la nor-male pratica di scavo dei rii in asciutto; è questa unaoperazione peraltro assai delicata, come si è giàaccennato, poiché nel rio a secco viene progressiva-mente a mancare la pressione interstiziale dell’acquasui muri, favorendo cedimenti e fenomeni di instabi-lità, con il prolungarsi dello stato di messa in asciut-to. D’altro canto più sono i danni riscontrati sullestrutture spondali, una volta liberate dal fango accu-mulato, più sono lunghe le operazioni di manutenzio-ne sia ordinaria (idropulitura, cuci-scuci superficiali,iniezioni di miscele per il riempimento dei vuoti) siastraordinaria (interventi in profondità di ricostituzio-ne della struttura, talvolta per interi tratti, con inter-venti antiscalzamento e antisifonamento).

La manutenzione dei canali portuali

Problema meno complesso e delicato sotto il profilotecnico, ma di estensione e portata assai maggioriper le quantità in gioco riguarda la manutenzione deicanali portuali e industriali, che richiedono periodi-che campagne di dragaggio per il mantenimentodelle quote dei fondali, con la rimozione di grandiquantità di sedimenti. È evidente come questa prati-ca debba essere costantemente seguita per nonpenalizzare fortemente i traffici marittimi e i riforni-menti industriali.Dal 1997 è in atto una campagna di dragaggi che inte-ressa chilometri di canali ed ha consentito fino adoggi l’asporto di quasi 3 milioni di mc di fanghi, chepoi, come vedremo più avanti, vengono per la mag-gior parte smaltiti all’interno della conterminazionelagunare ed utilizzati, quando non inquinati, per lastessa ricostruzione di barene. Vi sono ancora circa4 milioni di mc di sedimenti da asportare dai fondali,talvolta nei canali industriali di Porto Marghera dovesono state rilevate concentrazioni di inquinanti talida richiedere uno smaltimento idoneo in siti apposi-tamente attrezzati. La necessità di disporre di questisiti ha costituito nel recente passato e in certa misu-ra costituisce tuttora uno dei problemi ricorrenti eseri da affrontare nell’ambito della gestione delleattività portuali a Venezia.

Il problema dello smaltimento dei fanghi

La manutenzione delle vie d’acqua navigabili siaall’interno della città che in laguna richiede dunquela messa a dimora di centinaia di migliaia di metricubi di fango ogni anno. In passato questi venivano

utilizzati generalmente per imbonire le sacche edampliare le aree edificabili. Durante gli anni settanta e ottanta, a causa della cre-scente attenzione alle problematiche ambientali edella incertezza della legislazione in materia, la desti-nazione dei fanghi rimossi era diventato uno deiprincipali problemi della città e un ostacolo allaregolare manutenzione dei canali sia interni che por-tuali, con rallentamenti e arresti di questa praticavitale per la circolazione acquea e per l’attività indu-striale e commerciale.Il problema che veniva posto, anche in sede giudizia-ria, riguardava l’assimilazione o meno dei fanghi sca-vati dai canali alla stregua di rifiuti (problema nondel tutto risolto dal momento che sussistono ancoraprocedimenti in corso presso il Tribunale diVenezia!).Nell’evoluzione della politica ambientale nazionale,la disciplina sui rifiuti (ammesso che i fanghi aspor-tati dai canali dovessero essere ritenuti tali) era inritardo rispetto ad esempio ai temi dell’inquinamen-to dell’aria (anni sessanta) e dell’acqua (anni settan-ta). Solo nel 1982 era stato emanato il primo provve-dimento nazionale in materia: il Dpr n° 915, che rap-presentava un primo tentativo di porre ordine in que-sta complessa materia. Seguiranno nel 1987 e 1988 leleggi n° 441 e n° 475 volte a regolare rispettivamentelo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiutiindustriali. Ma prima delle leggi, come si ricorderà, lemisure contro gli inquinamenti erano attuate su ini-ziativa della magistratura (con i famosi “pretori d’as-salto”), che ricorrendo a norme precedenti relativeall’igiene pubblica, e interpretando una sempre piùdiffusa sensibilità dei cittadini, contrastavano penal-mente gli inquinatori del suolo. È da registrare in quei primi anni ottanta anche nelcaso specifico dello smaltimento dei fanghi prelevatidallo scavo dei rii e dei canali lagunari, l’interventodella magistratura volta a proibirne il rilascio nellesacche ove generalmente erano depositati in passa-to, nella presunzione che rilasciassero sostanzeinquinanti e pericolose per la salute umana e l’am-biente. Del resto in tutto il bacino scolante venezia-no la sensibilità ai problemi dell’inquinamentoambientale e la volontà di non aggravarne ulterior-mente lo stato costituivano necessità crescenti e bengiustificate, come dimostreranno le indagini ed imonitoraggi che proprio in quegli anni si svilupparo-no sulla base degli indirizzi della stessa legislazionespeciale.Nel frattempo era stato istituito nel 1986 il Ministerodell’Ambiente (che sostituiva quello precedente esenza portafoglio dell’Ecologia), che diverrà un indi-spensabile interlocutore in questa materia. Per tuttigli anni ottanta rimase comunque la difficoltà, aggra-

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vata anche dalla carenza delle risorse, di procedereregolarmente con lo scavo di rii e canali, limitandoloalle situazioni di emergenza, sperimentando nuovisistemi di smaltimento o inertizzazione dei fanghiscavati e studiando comunque soluzioni diverse dalrecapito tradizionale nelle sacche della laguna.

Il protocollo sui fanghi del 1993

e il problema dei siti di recapito

La soluzione giunse l’8 aprile 1993, un anno dopo l’e-manazione dell’ultima legge speciale, che rilanciavala manutenzione urbana e lo scavo dei rii in partico-lare, attraverso la ratificava del cosiddetto“Protocollo d’intesa sui fanghi”, che recava i Criteri

di sicurezza ambientale per gli interventi di esca-

vazione, trasporto e impiego dei fanghi estratti dai

canali di Venezia, siglato da Ministerodell’Ambiente, Regione Veneto, Provincia di Veneziaed i Comuni di Venezia e di Chioggia. Il protocollofissava oltre ai criteri da adottare nelle operazioni discavo e trasporto, anche le metodologie di prelievo,di analisi (granulometrica, chimica e fisico-chimica,microbiologica) e dei campioni al fine della lorocaratterizzazione sedimentologica e classificazione,e indicava i siti possibili per il recapito dei fanghi sca-vati. A tal proposito il Protocollo specificava che“saranno esclusi da ogni destinazione nel conterminelagunare, in conformità con quanto disposto all’art. 4comma 6 della legge 360/91, i fanghi classificati tos-sici e nocivi in base ai criteri di cui al Dpr 915/82… Ifanghi di ciascun rio non risultanti tossici e nocivisaranno classificati sulla base della media delle risul-tanze analitiche di tutti i campioni prelevati in con-formità con i valori di concentrazione indicati neldecreto stesso”. Erano in proposito fissate quattrocategorie (A, B, C, D) corrispondenti a livelli di inqui-namento via via maggiori. All’indomani della sigla del Protocollo, il Comune diVenezia dava avvio ad una campagna sistematica dimonitoraggio per la caratterizzazione dei fanghi deirii veneziani e lo stesso facevano il Magistrato alleAcque e l’Autorità Portuale per i canali di loro com-petenza che dovevano essere dragati. Il solo Comuneha svolto nel quinquennio 1993-95 oltre 15 mila ana-lisi su campioni di fanghi prelevati da 964 siti com-presi in 223 tratti di rii cittadini. Dalla campagna dimonitoraggio risultava che gran parte dei campioni –relativi a 145 tratti di rio (74% del totale) – rientravanelle categorie B e C, mentre un quarto dei campio-ni, corrispondenti a 50 siti, presentava caratteristi-che peggiori, cioè di tipo D. Questi ultimi sono fanghiche, in base alla normativa nazionale sono conside-rati “speciali” e come tali devono essere smaltiti in“discariche di tipo B”, cioè al di fuori del perimetrolagunare. Per i fanghi rientranti nelle categorie B e C

(che come si è visto costituiscono la stragrande mag-gioranza di quelli monitorati nei rii interni), ilProtocollo prevede più tipologie di possibile messa adimora attraverso varie forme di recupero o ripristi-no ambientale. In pratica è possibile utilizzare questifanghi per attuare una ricostruzione morfologica dibarene erose o recupero di zone naturali lagunaridepresse o addirittura per ripristinare isole lagunari.Il Protocollo assegnava al Magistrato alle Acque ilcompito di individuare i siti possibili, prescrivendo-ne le caratteristiche, la capacità di messa a dimora,le opere di protezione necessarie. Venivano cosìindividuati vari siti potenzialmente utilizzabili per ilrecapito dei fanghi, il primo dei quali a venire attrez-zato e messo in sicurezza tra il 1994 e il 1995 ad operadel Consorzio Venezia Nuova, su incarico delMagistrato alle Acque, era l’Isola delle Tresse: si trat-ta di un’area di 64 ettari posta di fronte a PortoMarghera, realizzata negli anni sessanta e settantacon materiali di rifiuto provenienti da attività indu-striali e urbane. Le autorizzazioni al conferimento deifanghi alle Tresse sono rilasciate dal Magistrato alleAcque, mentre la gestione del centro di raccolta èaffidata a Vesta, l’azienda comunale per l’ambiente.L’isola delle Tresse ha già accolto nel corso di unquinquennio oltre un milione di metri cubi di fanghi,per la maggior parte provenienti dal dragaggio deicanali lagunari. Il fango proveniente dallo scavo deirii interni assomma mediamente a circa 30 mila metricubi l’anno. Ormai la capacità di accoglimento deifanghi alle Tresse è in via di rapido esaurimento ed èassolutamente necessario che si trovino soluzionialternative pena il rallentamento o l’interruzione deiprogrammi di scavo e dragaggio. Sono state studiatein proposito dal Magistrato alle Acque varie altresoluzioni, come l’utilizzo di altre barene nella lagunadi mezzo e l’utilizzo delle casse di colmata, ma i pro-getti relativi hanno subìto un lungo iter istruttoriopresso le Soprintendenze e il Ministero dell’Ambiente.Recentemente la Commissione di Salvaguardia hadato parere positivo all’utilizzo delle casse di colma-

L’isola delle Tresse, sito di conferimento dei fanghi

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ta per accogliere un milione di metri cubi di fanghidei canali portuali al posto dei sedimenti che andreb-bero alla ricostruzione delle barene. TuttaviaProvincia, Comune di Mira e ambientalisti si oppon-gono all’utilizzo di quei siti, creati inizialmente peraccogliere industrie e che si sono nel tempo trasfor-mate in luoghi a forte vocazione naturalistica (oasifaunistiche). Intanto i tempi stringono e anche di recente ilComitato portuale ha espresso la preoccupazioneper un eventuale blocco dell’attività di dragaggio.Nel frattempo, l’Autorità Portuale di Venezia sta stu-diando soluzioni alternative attraverso l’impiego ditecnologie che permettono il riutilizzo dei fanghi,opportunamente trattati, trasformandoli in materialeedilizio, secondo un brevetto tedesco.A breve, circa 80 mila metri cubi di sedimenti giàdecantati alle Tresse dovrebbero essere trasferiti

nella sacca a nord-ovest dell’isola di San Michele,nell’ambito del progetto di ampliamento dell’areacimiteriale, liberando così altrettanto volume pernuovi conferimenti provenienti dallo scavo dei riiinterni.In conclusione, con il varo della legge n° 139 del 1992che metteva a disposizione le risorse necessarie, conil successivo Accordo di programma che assegnavale competenze e con il Protocollo del Ministerodell’Ambiente che fissava le modalità di smaltimentodei fanghi, stipulati questi ultimi nel 1993, potevafinalmente essere ripresa seriamente e di buona lenal’attività di scavo e dragaggio dei rii e dei canali por-tuali veneziani. È augurabile che l’individuazionerapida di nuovi siti di recapito non interrompa un’o-perazione indispensabile per il risanamento igienicoedilizio e per l’attività economica della città.

SUBSIDENZA

È il fenomeno dell’abbassamento del suolo, checome si è già avuto modo di osservare, è una dellecause dell’aumento della frequenza delle acque alte

a Venezia. La subsidenza ha una componente natura-le (geologia profonda) che nell’area veneziana èdovuta alla progressiva compattazione dei sedimentied in parte alle deformazioni tettoniche del substra-to. Essa ha una evoluzione lenta, misurabile in tempistorici; secondo studi geologici ed evidenze archeo-logiche recenti, avrebbe un andamento costante sti-mato in 0,4 mm l’anno, pari a 4 cm nel secolo. Vi è poi una subsidenza di origine antropica, dovutaprincipalmente all’emungimento di acqua e di gas dalsottosuolo. L’apporto totale netto di questo tipo di sub-sidenza è stato misurato pari a 12 cm nell’arco del XXsecolo. In effetti il tasso medio di subsidenza era giun-to alla fine degli anni sessanta a 14 mm/anno a Veneziae 17 mm/anno a Marghera. Con la sospensione degliemungimenti decretata dopo il 1970 è stato constatatoun recupero elastico dei suoli misurabile in 2 cm. Benché l’impiego sistematico e consistente delleacque di falda attraverso i pozzi artesiani sia iniziatofin dalla metà dell’Ottocento, per fornire di acquapotabile Venezia, lo sfruttamento massiccio è legatoall’approvvigionamento industriale laddove la granparte degli emungimenti ha coinciso con il periododella massima attività industriale a Porto Margheranegli anni sessanta e settanta. In quell’epoca furonotrivellati pozzi sempre più profondi (fino a 300-400m) e larghi, attingendo contemporaneamente a piùlivelli e con sistemi di pompaggio sempre più poten-ti. La conseguenza di tali emungimenti è stata quelladi far abbassare sensibilmente sotto il piano campa-

gna i livelli dell’acqua risaliente, con conseguenteriduzione delle pressioni interstiziali, tale da inne-scare un consolidamento dei terreni incoerenti, con-tribuendo così ad accelerare il fenomeno della subsi-denza. Gli abbassamenti dei livelli medi piezometricidall’inizio degli anni quaranta scendono al di sottodel piano campagna per la città, mentre per la zonaindustriale di Porto Marghera ciò avviene una dozzi-na di anni più tardi.Il Laboratorio per lo Studio delle Grandi Masse delCNR partendo dai dati censiti negli anni sessanta dalGenio Civile aveva aggiornato la situazione nel 1972confrontando livelli di falda, stratigrafie, portate,ecc. Nel comprensorio delle tre provincie di Venezia,Padova e Treviso il numero di pozzi era passato inmeno di un decennio da 6.286 a 18.804, con un incre-mento delle portate da 4000 l/s a 7000 l/s.La situazione era tale che fin dagli anni settanta sidovette provvedere alla regolamentazione del setto-re, con la costruzione di un acquedotto industrialeche approvvigionasse da acque superficiali, e con lainterruzione dell’emungimento da falda in tutto ilcomprensorio veneziano. L’effetto positivo si è mani-festato presto sia in termini di risalita dei livelli pie-zometrici sia di rallentamento della subsidenza, finoa determinare un recupero elastico del terreno aseguito della ripressurizzazione delle falde acquifere.Per quanto concerne l’andamento futuro del fenome-no della subsidenza, i modelli indicano per i prossimianni un abbassamento del suolo nella laguna diVenezia di circa 0,5 mm/anno. Assai più ampio quel-lo previsto in altre aree prossime: 2,5 mm/anno aRavenna e ben 5 mm/anno nel delta del Po.

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TRAFFICO PORTUALE

Il traffico portuale è contemporaneamente una delleprincipali risorse economiche di Venezia e allo stes-so tempo uno dei vincoli per la salvaguardia dellasua laguna. L’attività portuale veneziana è multifor-me e si esplica attraverso la Stazione Marittima diSan Basilio (attiva fin dal 1880 ed oggi dedicata altraffico passeggeri e crocieristico), Porto Marghera(porto industriale dal 1922), il porto di San Leonardo(terminale petrolifero) e il porto di Chioggia (com-merciale e della pesca). Il canale Vittorio Emanueledalla bocca del Lido e quello dei Petroli dalla boccadi Malamocco, le due grandi vie di navigazione inlaguna delle grandi navi, costruite in epoche diverse,sono oggi considerati responsabili dello squilibriomorfologico della laguna stessa, sicché il conflittolatente tra salvaguardia e portualità costituisce unodei connotati più seri del problema veneziano.L’importanza per l’economia veneziana assunta daltraffico portuale specie nel corso degli ultimi annirende comunque impensabile ogni limitazione diquesta attività, ad esclusione del traffico petrolifero,del quale è già stato deciso ed è allo studio l’allonta-namento dalla laguna.

Lo sviluppo portuale

Con l’applicazione della nuova legislazione in materiaportuale emanata nel 1994, il Porto di Venezia si èrapidamente trasformato lasciando alle proprie spal-le anni di crisi e conoscendo da allora un rapido svi-luppo dei suoi traffici, malgrado la decadenza delpolo industriale. Ogni anno entrano in laguna circa5000 navi, di cui 4000 attraverso la bocca diMalamocco. Oggi il movimento annuo delle merci è dicirca 29,5 milioni di tonnellate (+22% rispetto al 1996)con un peso crescente della componente commercia-le (40%) che dal 1996 ha superato quella legata all’in-dustria di Porto Marghera. Particolarmente significa-tivi il movimento dei container (262 mila TEU) e losviluppo della componente passeggeri, che sonoormai oltre un milione l’anno, in gran parte croceristi.

La legge n° 84 del 1994 ha favorito la privatizzazionee l’efficienza delle imprese portuali cresciute sottol’impulso di una Autorità Portuale che ha ben inter-pretato la riforma, conseguendo un fatturato annuodi 1.250 milioni di euro e occupazione per 18.500addetti. Ma il Porto di Venezia oggi oltre ad essere ilpiù dinamico protagonista dell’economia locale èanche un fattore strategico nella politica del territo-rio e dell’ambiente veneziano. Basti pensare aglispazi che esso occupa di qua e di là della laguna coni suoi 163 accosti attrezzati, 18 chilometri di canali dinavigazione, 2 mila ettari di terra ed acqua, con pro-grammi di riutilizzazione e di bonifica (nel quadrodell’Accordo di programma per la Chimica) dellearee dismesse nella prima zona industriale. Un pro-blema rilevante è costituito dallo scavo dei canaliportuali con rimozione e smaltimento di fanghi inqui-nati: fino ad oggi sono stati rimossi 2,5 milioni dimetri cubi su un totale di 6,9. L’Autorità portuale stainoltre svolgendo un ruolo strategico nello sviluppourbano attraverso la realizzazione di infrastrutture ingrado di valorizzare e al tempo stesso decongestio-nare la città di terraferma; dall’altro lato la riorganiz-zazione della Marittima pur con l’espansione del ter-minal passeggeri restituirà alla città storica preziosiambienti. Il nuovo terminal crociere, appena inaugu-rato, ha un’area di 9000 mq e ospita un auditorium da600 posti ed una sala conferenze da 200. Nel complesso dal 1996 al 2002 l’Autorità portuale harealizzato opere per 150 milioni di euro, in parte sufondi dell’Unione Europea, e avviato progetti peraltri 350 milioni di euro.

Gli aspetti critici

Malgrado tutto ciò, il tema del rapporto con l’am-biente lagunare resta critico in rapporto a quattroprincipali temi: la estromissione del traffico petroli-fero, la realizzazione delle opere alle bocche diporto, gli interventi di riequilibrio morfologico deifondali, la eventuale preclusione all’entrata in bacino

T

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delle navi da crociera. Ognuno di questi interventi disalvaguardia avrebbe degli effetti negativi sulla atti-vità portuale di tutta evidenza. L’allontanamento deltraffico petrolifero costituisce una perdita netta e lealtre azioni si pongono come vincoli più o menoseveri al traffico, più o meno rimediabili con soluzio-ni alternative ancora incerte. Anche i circa mille pas-saggi all’anno delle grandi navi da crociera che attra-versano il bacino di San Marco e il canale dellaGiudecca (la più grande è la Gran Princess, 108 milatonnellate di stazza, lunga ben 289 m, larga 36 e conun pescaggio di 8,23 m) sono accusati di creare unmoto ondoso che mette in pericolo le rive cittadineoltre ai rischi per la sicurezza in caso di errate mano-vre o guasti. I tecnici dell’Autorità Portuale hannotuttavia contestato le une e gli altri. Più problematica ovviamente la presenza di barrieremobili di regolazione delle maree alle bocche di portoche produrrebbe una perdita potenziale di traffico(sia durante gli otto anni della loro realizzazione chedopo) a causa delle chiusure, ma anche degli annun-ci di chiusura per la previsione di maree così alte dafar prevedere l’azionamento delle paratoie. Nelleattuali condizioni ciò significa un evento ogni 10 gior-ni nei mesi tra ottobre ed aprile (quando si verifica ilpiù alto numero di eventi di acqua alta). Anche se

alcuni allarmi potrebbero rivelarsi falsi, l’incertezzapotrebbe indurre gli armatori a scegliere altri porti,con un effetto negativo ulteriore sui volumi di traffi-co diretti a Venezia. Una soluzione per rendere com-patibile la realizzazione delle opere di regolazione edil regolare traffico portuale, è costituita dalla costru-zione di una conca di navigazione. Soluzione irrinun-ciabile secondo l’Autorità Portuale, che è già statastudiata dal Consorzio Venezia Nuova nell’ambitodelle opere cosiddette complementari al Mose.Sicuramente più problematica l’altra ipotesi, avanza-ta in sede comunale, di dotare le bocche di porti-canale stabilmente adibiti al passaggio delle grandinavi, consentendo in tal modo il rialzo dei fondali.Non mancano proposte radicali come quella dell’on.De Piccoli riportata nel riquadro di pagina seguente.Un ulteriore aspetto critico per l’attività portuale, cuisi è accennato precedentemente è costituito dalladifficoltà che si ripresenta regolarmente di allocare ifanghi scavati nella vitale opera di manutenzione deicanali di navigazione. Un tempo servivano all’imbo-nimento di nuove aree industriali; oggi la normativaambientale richiede la loro collocazione in siti con-trollati o il loro smaltimento con soluzioni tecnologi-che avanzate ma certamente molto costose (vetrifi-cazione, lavaggio, ecc.).

Il transito di una nave crociera tra il bacino di San Marco e il canale della Giudecca

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LA PROPOSTA DE PICCOLI: SPOSTARE LA STAZIONE MARITTIMA!

Nel novembre del 2001 Cesare De Piccoli, già sottosegretario di Governo, ha avanzato pubblicamente un’idea“rivoluzionaria”: quella di “spostare” la stazione marittima da Venezia sul mare in prossimità della bocca diLido. La proposta di De Piccoli parte innanzitutto da una critica al progetto Mose, pur condividendo la neces-sità di una regolazione alle bocche di porto, giudicandolo non soddisfacente i requisiti di sperimentalità, gra-dualità, reversibilità e flessibilità, ripetutamente raccomandati dal Consiglio comunale di Venezia fin dai tempidel Progettone e, più tardi, quand’egli era Vice Sindaco della città. Egli prende spunto da una prima conside-razione. Le tre bocche di porto non hanno la stessa funzione portuale: per il traffico passeggeri, concentrato neimesi caldi, la bocca di Lido, commerciale e industriale quella di Malamocco, commerciale-pescherecci quel-la di Chioggia. Questa diversità di funzione dovrebbe suggerire una diversità di soluzioni progettuali per laregolazione delle maree. La proposta De Piccoli considera quindi il “nesso tra salvaguardia e portualità” par-tendo da un altro assunto: le trasformazioni portuali operate nel corso di un secolo hanno condizionato l’evo-luzione dell’ecosistema lagunare oltre che lo stesso sviluppo urbanistico della città. Il riferimento è alla realiz-zazione della Stazione Marittima del Paleopaca del 1880 e dei “moli guardiani” tra il 1839 e il 1910, al nuovoporto dei Bottenighi sulla gronda del 1922, al porto di San Leonardo e relativo canale dei Petroli del 1969. Ègiunto il momento, sostiene De Piccoli, di dare avvio ad una nuova fase della portualità veneziana, con unainversione di tendenza rispetto ad interventi che hanno penalizzato gravemente l’ecosistema lagunare, attuan-do una riorganizzazione logistica che liberi lo sviluppo portuale dai vincoli della salvaguardia e viceversa. Perfar ciò, secondo De Piccoli, occorre prima di tutto fermare alla bocca di Lido il traffico diretto alla StazioneMarittima a San Basilio, realizzando un nuovo terminal passeggeri e croceristico sul mare, un avamporto primadella bocca stessa. Si eviterebbe in tal modo di mantenere un canale profondo 12 metri a poca distanza da SanMarco per far transitare circa 300 navi, delle quali solo un terzo sono “cruise” con un pescaggio superiore a 8metri; navi, per di più, che non operano nel periodo autunno-inverno quando si ha la maggior frequenza diacque alte. Si potrebbe così innalzare il fondale a -6 metri e dismettere il canale Vittorio Emanuele, che portal’acqua alta in pochi minuti in piena città. In tal modo la bocca di Lido assolverebbe l’importante funzione diricambio idrico e di autodepurazione della laguna nord, mentre la bocca di Malamocco confermerebbe la pro-pria funzione portuale a servizio di Marghera con una profondità alla bocca di 12 metri necessaria alle navi“container”. Per neutralizzarne gli effetti negativi sotto il profilo idrodinamico e morfologico basterebbero,secondo De Piccoli, adeguati interventi di “rinaturalizzazione”, cioè ricostruzione del sistema morfologico didossi e barene sia a fianco del canale per fronteggiare l’effetto delle correnti che sul partiacque. Benefici ulte-riori per la sicurezza e per la lotta al moto ondoso deriverebbero dal venir meno del traffico delle grandi naviin bacino, e altri benefici ancora di natura urbanistica verrebbero dalla disponibilità di aree preziose a SanBasilio e dallo sviluppo della penisola di Cavallino-Punta Sabbioni, quest’ultimo indotto dalla presenza delnuovo porto marittimo.Infine, secondo De Piccoli, una tale soluzione logistica permetterebbe di affrontare il tema cruciale della rego-lazione delle maree alle tre bocche con maggior attenzione ai criteri di sperimentalità e flessibilità già citati,diversificando i sistemi stessi di regolazione (orientando la scelta possibilmente su quelli removibili, quali bar-che-porta o cassoni auto-affondanti, nel solo periodo delle acque alte) in relazione alle diverse funzioni: quel-la idraulica al Lido, quella portuale al servizio di Marghera a Malamocco, quella fluviale-marittima per ipescherecci a Chioggia.

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I flussi turistici a Venezia hanno assunto dimensionie caratteristiche tali da creare, accanto ad innegabilibenefici per varie categorie economiche dei fortiriflessi negativi sulla organizzazione cittadina e, piùin generale, sul destino economico e sociale del cen-tro storico veneziano. Si paventa infatti che il desti-no della città sia condizionato dalla prospettiva diuna “monocultura del turismo” che trasformerebbeprogressivamente Venezia in “città museo” o peggioancora in una sorta di “città-Disneyland”. I prodromidi questa trasformazione sono ormai palesati dallacontinua espansione del commercio rivolto al turi-smo di massa (maschere, vetri, magliette, cappellicarnascialeschi e gadget vari) che espelle progressi-vamente il commercio alimentare e artigianale; maanche dall’esodo di attività produttive e di servizioche mal sopravvivono in una città abbandonata dairesidenti e invasa dai turisti. Il turismo di massa chesi riversa a Venezia, se non regolato e organizzato,può costituire un serio impatto negativo sulla funzio-nalità e sulla stessa struttura fisica della città.Ma qual è la dimensione del fenomeno? Nel corso degli ultimi decenni il turismo si è ovunquesviluppato con tassi di crescita tanto elevati da porreil settore ai primi posti nella produzione mondiale delreddito. Non v’è dubbio che Venezia rappresenti unrichiamo irrinunciabile, un must per dirla all’ameri-cana, insomma, una delle mete favorite dagli itinerarituristici. La eco del drammatico novembre 1966 conl’immagine di piazza San Marco totalmente sommer-sa, posta sotto i titoli catastrofici dei giornali di tuttoil mondo che preconizzavano ineluttabili sprofonda-menti, non poteva che costituire un ulteriore invito avisitare la nostra città per masse crescenti di turistipiù curiosi che interessati ai suoi tesori. I flussi di visitatori hanno raggiunto i 12 milioni dipresenze all’anno, appartenenti alle più varie catego-rie: dai ricchi americani che scendono nei migliorialberghi, ai gruppi ordinati di giapponesi con tre gior-ni programmati al minuto, fino ai lunghi cortei diinsonnoliti turisti dell’est, che dal 1990 sbarcano lamattina dai pullman in piazzale Roma per frettolosericognizioni a Rialto e San Marco con un panino intasca. Il turismo residenziale è limitato dalla disponi-bilità dei letti: 12 mila secondo le statistiche ufficiali;un numero destinato tuttavia a crescere nei prossimianni grazie al recente sblocco dell’offerta recettiva incentro storico1. Il resto è turismo escursionistico.

Il fenomeno turistico è ormai distribuito lungo tuttoil corso dell’anno, con punte ormai classiche perCarnevale, Pasqua, il Redentore, la Biennale, laMostra del Cinema e la Regata Storica, oltre al velo-ce “one-day-trip” dei balneari stanziati nei lidi vicini.La media giornaliera di presenze turistiche è di 35mila persone, ma con picchi che arrivano a 150 milapresenze o più (furono toccate le 200 mila presenzenella famigerata notte del 15 luglio 1989 con il con-certo dei Pink Floyd in bacino San Marco!).Aggiungendo ai 70 mila che abitano stabilmente lacittà storica (64 mila residenti, 4 mila studenti fissi e2 mila stranieri abitualmente residenti) i 35 mila turi-sti (medi) e i 39 mila pendolari (28 mila lavoratori e11 mila studenti), il centro storico veneziano apparetutt’altro che una città moribonda (almeno di giorno).È ovvio che quando i flussi superano certe dimensio-ni si pone un serio problema organizzativo edambientale, date le caratteristiche topografiche e ivincoli di mobilità della città. Da risorsa produttricedi reddito (si stima un apporto di un miliardo di eurol’anno) il turismo può allora diventare una pesante“diseconomia” con costi notevoli per la collettivitàcittadina. Ciò tanto più il turismo è frettoloso e inva-dente, quello del “mordi e fuggi” che non visita imusei (solo un turista su 10 ha il tempo di visitarel’Accademia, uno dei più preziosi musei d’Italia), nonsosta negli alberghi e nei ristoranti, ma passa, foto-grafa e va, affollando i vaporetti o utilizzando i lan-cioni “granturismo” che provocano il moto ondoso.È stato stimato che il limite critico si pone sul livellodi circa 25 mila visitatori al giorno (di cui circa 14mila escursionisti). Nel 2000 questo limite è statosuperato in 216 giornate dell’anno.Un problema particolare è costituito dall’unico acces-so del ponte con la terraferma nei terminali della sta-zione ferroviaria di Santa Lucia e del vicino piazzaleRoma. Dalla prima accede il 38% dei visitatori e dalsecondo il 49%: dei veri e propri “colli di bottiglia” cheoriginano non più di due o tre percorsi obbligati,quanto congestionati, in direzione Rialto-San Marco.Da tempo sono stati programmati due nuovi terminalacquei: uno da Fusina alle Zattere e l’altro da Tesseraalle Fondamente Nuove. Oltre a decongestionare l’u-nico accesso dal ponte, questi due nuovi collega-menti avrebbero il vantaggio di creare direttrici alter-native ai percorsi pedonali di accesso all’area mar-ciana e di valorizzare zone periferiche quali ad esem-

TURISMO

1 A tale proposito, poiché non pochi palazzi veneziani sono in procinto di essere trasformati in alberghi, gli studiosi del restauro,consci delle peculiarità strutturali di questi antichi edifici, hanno manifestato serie preoccupazioni per i danni che tale trasforma-zione potrebbe arrecare al patrimonio monumentale della città.

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pio la Giudecca nel primo caso e Murano e Castello(con l’Arsenale e la Biennale) nel secondo. Dovrebbeinoltre essere potenziato il terminale di PuntaSabbioni dal quale accedono i turisti balneari prove-nienti dai lidi in terraferma. La realizzazione di ter-minali attrezzati per il ricevimento dei grandi flussituristici potrebbe facilitare l’applicazione del “ticket”, un pedaggio d’entrata simile a quello notocome “road pricing” introdotto da tempo in alcunecittà del mondo come Oslo o Hong Kong, in questocaso con lo scopo di scoraggiare l’uso dell’automobi-le in città e ridurre congestione, inquinamento atmo-sferico e necessità di spazi per parcheggi. Il ticket potrebbe garantire un pacchetto di servizi acominciare dalle visite a musei e monumenti.La realizzazione dei terminali acquei benché da tutticondivisi sembra tuttavia segnare il passo, mentreper la tratta Tessera-Arsenale si prospetta di realiz-zare una linea metropolitana sublagunare, quest’ulti-ma non da tutti vista con favore e quindi possibilesuscitatrice di nuovi contrapposti schieramenti.

La “Venice Card” e i “ticket” d’ingresso

Tra le prime iniziative assunte dall’AmministrazioneCosta figura l’introduzione della “Venice Card” fina-

lizzata alla regolazione e gestione anticipata dei flus-si turistici attraverso un sistema incentivante delleprenotazioni. Si tratta di uno strumento già operantein altre città italiane ed estere, che si sta progressi-vamente affermando. Una seconda iniziativa varatadal Sindaco Costa è stata l’introduzione del “ticket”,una tassa d’ingresso applicata in particolare ai pull-man che arrivano a piazzale Roma ed ai “lancioni”che arrivano in bacino San Marco. Introdotte fin dalmarzo 2002 e recentemente aumentate per contribui-re al pareggio del bilancio comunale, le tariffe per ipullman turistici che entrano nelle zone a trafficolimitato variano da 100 a 165 euro per giorno, secon-do diciotto fasce in funzione dei giorni di permanen-za, dei luoghi di arrivo e di destinazione, della avve-nuta prenotazione o meno. Per le gite scolastiche latariffa è di 50 euro per un giorno e 70 per due giorni. Le tariffe per i lancioni “granturismo” che approdano inbacino San Marco provenienti dal Tronchetto o da altriterminali, sono commisurate per tratta secondo trefasce con prezzi che variano da 5 a 40 euro per persona.Si calcola che nel primo anno di introduzione del ticket d’ingresso il Comune di Venezia abbia incassa-to circa 10 milioni di euro.

Folla di turisti sul ponte della Paglia, San Marco

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Si tratta di un ufficio, per ora fantomatico, più voltenominato, richiesto e deliberato, ma la cui gestazio-ne evidentemente è alquanto laboriosa. L’idea di isti-tuire un soggetto unico che assumesse specifica-mente i compiti di programmazione, attuazione econtrollo del Piano generale degli interventi per lasalvaguardia è stata avanzata da molto tempo. Essaesprime l’esigenza di un centro decisionale tecnico-politico, rappresentativo delle varie competenze edei vari soggetti istituzionali, una sorta di “plancia dicomando” o addirittura di “agenzia” per gestire l’at-tuazione degli interventi decisi dal Comitato di indi-rizzo e coordinamento. Era evidente che l’inadegua-tezza delle strutture pubbliche finiva per delegare alConsorzio Venezia Nuova un ruolo crescente findalla fase strategica di studio e di impostazione degliinterventi suscitando varie obiezioni a livello politi-co. Nel 1994 fu infatti istituita con decreto legislativo(n° 62 del 13 gennaio 1994) l’Agenzia per Venezia, cheavrebbe dovuto svolgere compiti di indagine e dipianificazione, lasciando al concessionario la solaesecuzione delle opere. La scarsa chiarezza circa l’ef-fettivo ruolo e potere di questa struttura ed il ritardocon cui venivano stanziati i fondi necessari per il suofunzionamento, finirono per far riporre questo pro-

getto nel cassetto. Salvo riesumarlo in seguito sottodiversa forma e denominazione (di “Ufficio diPiano”) e riproporlo nella delibera del 6 dicembre2001 e anche recentemente nel corso della riunionedel Comitatone del 3 aprile 2003.In attesa dell’istituzione dell’Ufficio di Piano, nel1999 il Ministero dei Lavori pubblici ha comunquecostituito un Gruppo di lavoro, formato dai rappre-sentanti delle varie amministrazioni competenti epresieduto dal presidente del Magistrato alle Acque,che si è riunito in forma plenaria o per sottogruppisettoriali alcune decine di volte. Lo stesso Gruppo haelaborato i criteri con cui procedere per la revisionedel suddetto Piano generale.Più recentemente nell’estate del 2002, la stampa hariportato i nominativi di alcune candidature nell’isti-tuendo Ufficio da parte dei Comuni di Venezia e diChioggia e della Provincia di Venezia, ma ad oggi nonrisulta che alcun decreto di nomina sia stato ancoraemanato. Ne è chiaro quali saranno esattamente ilruolo, le funzioni e la struttura organizzativa che siintende affidare a questo Ufficio, che tuttavia si con-figura già come un organo formato sì da tecnici edesperti, ma chiaramente portatori di istanze politiche.

UFFICIO DI PIANO

U

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L’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’i-struzione, la scienza e la cultura) ha avuto il meritoall’indomani della mareggiata del novembre 1966 dimobilitare la coscienza e la scienza del mondo sulproblema della salvaguardia fisica della città laguna-re. Fin dai primi giorni dopo la tragedia, Venezia sitrovò al centro di una enorme solidarietà internazio-nale e capì quanto nota, ammirata ed amata nelmondo essa fosse. Il 2 dicembre 1966 l’Unesco pervoce del suo attivo direttore generale René Maheuavviò una Campagna per Venezia, rivolta in partico-lare agli intellettuali e agli artisti “che hanno trattoispirazione o preso spunto dai tesori di Venezia”, maanche ai milioni di visitatori che ne avevano ammira-ta la bellezza e ai milioni che ancora non l’avevanovisitata. Maheu chiedeva aiuti concreti in denaro,anche un solo dollaro per testimoniare l’amore perVenezia. L’appello di Maheu (che aveva varato unaeguale campagna per Firenze anch’essa gravemente

colpita dall’alluvione di quei giorni) ebbe un risultatoimmediato: sull’onda dell’emozione nacquero inbreve tempo e nei cinque continenti quei Comitati

Privati per la salvaguardia di Venezia che sisarebbero distinti per la prontezza e la concretezzacon cui avviarono un prezioso contributo all’opera direstauro e conservazione di tante opere d’arte emonumenti nelle chiese e nei musei di Venezia, cheancora a tanti anni di distanza continua ammirevol-mente. L’impegno dell’Unesco per la salvaguardia dei beniculturali si esplicò fin dal 1968 in un’ampia inventa-riazione, condotta in collaborazione con leSoprintendenze, che portò alla catalogazione di 570grandi monumenti (palazzi, chiese, musei, conventi)e 16 mila beni artistici. Un successivo vasto inventa-rio fu condotto dieci anni dopo, nel 1978, su tutto ilpatrimonio immobiliare del centro storico con lacompilazione di 25 mila schede.Ancora nel luglio del 1969 l’Unesco aveva pubblicatoil famoso “Rapporto su Venezia”, cui va dato il meri-to di aver affrontato per primo in modo integrato ivari aspetti del problema veneziano, mettendone inrisalto l’interdipendenza e l’unitarietà. L’Unesco siinteressava quindi anche agli aspetti più attinentiall’ambiente naturale di Venezia e della laguna, pro-muovendo varie ricerche. Fin dal 1973 per meglioseguire questa attività fu aperto un apposito ufficioin piazza San Marco. Nel 1983 inizierà una collabora-zione tra Unesco e Murst (Ministero dell’Università edella ricerca scientifica) per due studi: sull’ecosiste-ma lagunare e sui rii veneziani, creando una vastabanca dati batimetrici, idrodinamici, sul trafficoacqueo, sul degrado delle sponde, ecc. Nel 1989 sitrasferirà dalla sede parigina a Venezia anchel’Ufficio regionale per la scienza e la tecnologia perl’Europa (Roste) che promuoverà incontri e studi suiproblemi scientifici e tecnologici attinenti ai temidella salvaguardia di Venezia.L’Unesco è infine presente con un proprio rappre-sentante nella Commissione per la salvaguardia diVenezia fin dalla sua istituzione.Nel 2002 l’ufficio Unesco si trasferisce nel nuovo spa-zio di palazzo Zorzi a Castello. Nello stesso periodovengono firmati accordi col Governo italiano rinfor-zando il ruolo culturale e ambientale del Roste nellearee dell’Europa centrale, orientale e sud-orientale.

UNESCO

René Maheu (1905-1975), direttore generale dell’Unescodal 1961 al 1974

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Le “valli” da pesca sono 24 e si estendono su unasuperficie complessiva di circa 90 kmq collocatanelle porzioni più interne della laguna a ridosso delmargine di gronda. Queste aree costituiscono la zonadi interfaccia tra l’ambiente di terraferma e quellolagunare/marino; sistemi di barene le separano dalresto della laguna con cui sono in comunicazioneattraverso varchi più o meno ampi. Nelle stagionifavorevoli le valli si caratterizzano per una grandeproduttività alimentare e sono quindi una risorsanaturale ed economica preziosa, sfruttata fin daitempi più antichi, mantenendo le valli “aperte” cioèin equilibrio costante con il livello del mare. Negliultimi tempi, tuttavia, la produttività delle valli èstata fortemente compromessa da vari fattori, in

primis dai fenomeni di inquinamento, sicché i valli-coltori hanno chiuso i bacini con arginature fisse edun sistema di chiuse azionate a piacimento, dove l’al-levamento non avviene più con processi spontanei,ma è regolato dall’azione dell’uomo che immette spe-cie ittiche catturate in fase giovanile o post-larvale.In questo modo le valli sono diventate aree non piùdirettamente soggette all’espansione di marea.Per tale motivo, tra i provvedimenti della legge spe-ciale volti al riequilibrio idraulico e alla riduzionedelle punte di marea è considerata l’opportunità diriaprire le valli al fine di favorire l’espansione dellemaree stesse in un bacino lagunare più ampio. Anchein questo campo, tuttavia, non vi è una unanimità divalutazioni: taluni ritengono che l’apertura delle vallida pesca all’espansione della marea porterebbe unbeneficio considerevole in termine di riduzione dellivello delle acque alte stimabile in 9-10 cm, mentrein base agli studi idraulici svolti nell’ambito delConsorzio Venezia Nuova sarebbe dimostrata la suainefficacia in questo senso (la riduzione della mareaè quantificata in media di poco superiore ad un cen-timetro) e semmai un effetto positivo in termini dimiglioramento del ricambio idrico e di altre condi-zioni ambientali locali. Secondo il prof. Rinaldo l’e-

spansione della marea entrante nelle valli da pesca“non causa alcun beneficio idraulico significativo perle maree medio alte, né causa alcuna riduzione dellealte maree eccezionali” e la sola compromissionedelle attività produttive odierne. Una sperimentazio-ne è stata avviata dal Consorzio Venezia Nuova conla riapertura di valle Figheri, nella laguna sud, edaltri tre interventi del genere sono previsti in altret-tante valli.

VALLI DA PESCA

V

Valle Figheri

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VIA (VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE)

Questo acronimo di tre lettere, di chiara origine tec-nica, è diventato familiare a molti veneziani, grazie alMose. Il progetto di massima per le opere mobili alle boc-che di porto, redatto dal Consorzio Venezia Nuova,concluso nel 1992, era stato approvato dal Consigliosuperiore dei lavori pubblici nell’ottobre del 1994 edera pertanto in procinto di passare alla fase esecuti-va. Ma non erano poche le perplessità che il proget-to suscitava in larghi strati dell’opinione pubblicalegate sia agli ingenti costi dell’opera sia all’impattoche essa poteva provocare sull’equilibrio dell’ecosi-stema lagunare. Tali perplessità erano sostanzial-mente condivise dall’Amministrazione comunale,retta dalla giunta del sindaco Massimo Cacciari, chenell’ottobre del 1994 aveva incaricato un Gruppo dilavoro formato da 14 tecnici e coordinato dall’inge-gnere capo del Comune Pasquale Guidone di verifi-care il grado di avanzamento degli interventi stabilitidall’art. 3 della legge speciale n° 139 del 1992, laddo-ve, come si ricorderà, oltre alle opere di regolazionedelle maree, era prevista una serie di altri interventidiffusi (il rinforzo dei moli foranei, la difesa dalleacque alte degli abitati insulari, il ripristino dellamorfologia lagunare, l’arresto del degrado della lagu-na, la difesa dei litorali, la sostituzione del trafficopetrolifero in laguna, l’apertura delle valli da pescaall’espansione delle maree). Il Gruppo di lavoro con-segnava gli esiti della propria analisi nel dicembredel 1994 in un documento ove si riteneva inadeguatolo stato di avanzamento del complesso degli obietti-vi suddetti e giudicava peraltro opportuno sottomet-tere il progetto relativo alle opere mobili alla proce-dura di Valutazione di impatto ambientale (VIA). Il 15marzo 1995 il Consiglio comunale di Venezia facevaproprie all’unanimità queste valutazioni trasferendo-le al Governo.

Lo studio d’impatto ambientale delle opere

mobili alle bocche di porto

Recependo la richiesta del Consiglio comunale, nelluglio del 1995 il Comitato di indirizzo, coordinamen-to e controllo istituito dalla legge n° 798, cioè ilComitatone, decideva di assoggettare il progettodelle opere mobili (il Mose) alla procedura di VIA. In base alla normativa nazionale vigente contenutanel Dpcm n° 377 del 1988, si metteva in moto pertan-to una complessa procedura che richiedeva innanzi-tutto la stesura di un apposito studio, lo Studio diimpatto ambientale (SIA), da parte del proponentel’opera, cioè il Ministero dei Lavori pubblici (e quin-di Magistrato alle Acque – Consorzio Venezia

Nuova). Lo studio fu coordinato dal ConsorzioVenezia Nuova che si avvalse della società Thetis e divari esperti, e che lo consegnerà al committente nellaprimavera del 1997. Il Comune di Venezia avevarichiesto altresì che fosse istituito un collegio diesperti internazionali affinché esprimesse un giudi-zio indipendente dagli esiti dello studio stesso e l’1febbraio 1996 il Consiglio dei Ministri nominava taleCollegio, composto da: prof. Philippe Bourdeau del-l’università di Bruxelles (coordinatore), prof. Jean-Marie Martin, ricercatore dell’Ispra, prof. Chiang C.Mei del MIT, prof. Pier Vellinga dell’università diAmsterdam e il prof. Paolo Costa dell’Università Ca’Foscari, poco dopo sostituito dal collega prof.Ignazio Musu (in quanto nel frattempo Costa erastato nominato ministro nel Governo Prodi).Nell’aprile del 1997 il SIA veniva concluso e conse-gnato alla Commissione VIA. Lo studio aveva analiz-zato gli effetti delle opere sull’ambiente sia durantela fase di realizzazione che di esercizio, sia con leopere in funzione che durante la fase di riposo. Lecomponenti ambientali studiate erano: l’atmosfera,l’ambiente idrico (idrodinamica e trasporto solido,qualità dell’acqua e dei sedimenti), suolo e sottosuo-lo (geomorfologia, uso e copertura del suolo), vege-tazione, flora e fauna (terrestre ed acquatica), ecosi-stemi (terrestri ed acquatici), salute pubblica, pae-saggio. Le analisi sono state effettuate con riferimen-to a più scenari (per la precisione tre) in relazioneall’innalzamento prevedibile del livello del mare con-seguente ad eustatismo e subsidenza nei prossimicento anni.La valutazione che ne risultava era di due ordini. Unasu base monetaria comparava i costi di realizzazionee gestione con i costi di interventi alternativi e con idanni economici evitabili con l’adozione delle opere.L’altro tipo di valutazione di tipo ordinale (special-mente con riguardo a particolari componentiambientali, come paesaggio, salute, flora e fauna,ecc.) si basava su giudizi di impatto secondo catego-rie del tipo: “alto”, “basso”, “nullo”, “medio”, “positi-vo”, negativo”, e via dicendo.Il 23 giugno 1997 il Ministero dei Lavori pubblici –Magistrato alle Acque di Venezia depositava loStudio di impatto ambientale (SIA) presso la RegioneVeneto dando avvio alla pubblica consultazione pre-vista dalla procedura di VIA. Lo studio veniva anchepresentato alla stampa e alla cittadinanza attraversoun punto informativo appositamente creato per que-sto fine. Il 27 settembre 1997 veniva emanato unDpcm ove era assegnato al Comitato dei ministri ilcompito di esprimere il proprio parere non vincolan-

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te sulla compatibilità ambientale delle opere di rego-lazione sulla base delle conclusioni raggiunte dalCollegio degli esperti internazionali e dei decretiemanati dai ministeri dell’Ambiente e dei Beni cultu-rali. La Regione Veneto esprimeva parere favorevoleal progetto il 6 ottobre 1998.

Il Rapporto del Collegio

degli esperti internazionali

Nel frattempo il Collegio degli esperti internazionaliaveva condotto la propria analisi dello studio, aven-do anche consultato esperti e amministratori, finchénel giugno del 1998 consegnava il proprio Rapportoconclusivo. Gli esperti avevano focalizzato l’analisisia sull’efficacia dello schema di protezione dallemaree proposto, sia sugli effetti sull’ambiente dellacostruzione e dell’esercizio delle opere mobili, sia,infine, avevano valutato i costi e i benefici del pro-getto proposto e delle sue alternative. L’analisi erastata condotta non solo in rapporto alla situazioneattuale ma anche rispetto a possibili scenari futuridel livello delle acque elaborati dall’IPCC(Intergovernmental Panel on Climate Change) fino aquel momento. Tali previsioni variavano da un innal-zamento minimo del livello degli oceani nel XXIsecolo di circa 4 cm nell’ipotesi più conservativa(arresto dell’innalzamento e sola subsidenza) ad unomassimo indotto dai cambiamenti climatici di 100cm. Una ipotesi intermedia, meno pessimistica, por-tava ad uno scenario di 50 cm, dei quali 20 fino al2050, assunto come termine temporale nell’analisidegli esperti. Ma vediamo brevemente quali sono leconclusioni del Rapporto.Nel complesso gli esperti giudicavano positivamenteil sistema proposto di barriere mobili, specie per isuoi requisiti di flessibilità, cioè per la possibilitàdelle barriere di oscillare rispetto ad un asse, per laloro inclinazione e capacità di distribuire il caricodelle onde. Essi suggerivano tuttavia possibili appro-fondimenti e miglioramenti, rispetto ad esempio alfenomeno della risonanza della struttura. Gli espertivalutavano il sistema anche in rapporto alle misurealternative: l’apertura delle valli da pesca, la chiusu-ra del canale dei Petroli, la riduzione della sezionedelle bocche di porto, la modifica dei moli foranei, lacreazione di velme e barene, valutando assai limitatol’effetto di questi interventi sul livello dell’acqua inlaguna. Maggiore credito era dato al progetto “insu-lae” o più precisamente all’innalzamento delle partipiù basse della città e degli altri centri urbani. Taleintervento assolutamente complementare al sistemadelle barriere fino a +100 cm, era giudicato di diffici-le attuazione e costoso per i lunghi tempi di realizza-zione se spinto a +120 cm. In ogni caso l’innalzamen-to generalizzato del suolo era considerato efficace inquanto permetteva di ridurre il numero di chiusure

delle barriere mobili. Rispetto agli effetti negativi sul-l’ecosistema lagunare, gli esperti li giudicano irrile-vanti dal momento che le barriere sarebbero statechiuse mediamente 12 volte l’anno per un totale di 42ore (questa valutazione era relativa ad una difesaallora prevista a +100 cm). Anche per quanto con-cerne gli effetti sul movimento del porto, questoimpatto era giudicato sopportabile. L’effetto sia sul-l’ambiente che sul traffico portuale ovviamente risul-tava diverso per scenari di innalzamento maggioredel livello del mare. Per un suo aumento di 10 cm, lechiusure salirebbero da 12 a 30 l’anno; per 20 cm finoa 70 nel 2050. Accettare chiusure più frequenti com-porterebbe la necessità, per non compromettere l’at-tività portuale, di costruire una conca di navigazione,per permettere comunque il passaggio delle navi. L’analisi costi-benefici calcolata sulle stime dei costieconomici evitati con l’abbattimento dell’acqua alta(benefici) di breve e di lungo periodo fornivano unvalore attuale netto positivo.In conclusione, il sistema proposto di chiusura dellebocche con barriere mobili era considerato dai cin-que esperti superiore nella situazione attuale ad ognialtro sistema, più fisso, di protezione della città.Nell’ipotesi quasi certa di un innalzamento del marenei prossimi decenni, il sistema delle barriere mobiliera giudicato “sufficientemente flessibile da permet-tere un aggiustamento del regime delle operazioni aquelle che saranno le conoscenze scientifiche preva-lenti e le priorità sociali del tempo”. E aggiunge ilRapporto: “La combinazione delle barriere mobilicon le ‘insulae’, in modo che l’innalzamento dellebarriere avvenga solo per le acque alte al di sopra diuna certa soglia, appare come la migliore soluzione,poiché permetterebbe di minimizzare gli impattiambientali, i mutamenti dell’idrodinamica lagunare ele interferenze con le attività portuali”.

I pareri del Gruppo di lavoro

del Comune di Venezia

Il 10 luglio 1997 il Sindaco di Venezia, MassimoCacciari, costituiva un nuovo Gruppo di lavoro, for-mato da dirigenti dell’Amministrazione comunale edesperti, coordinato dal direttore generale delComune dott. Maurizio Calligaro, con il compito diesaminare lo Studio di impatto ambientale del pro-getto di massima per le chiusure mobili alle bocchedi porto elaborato dal Consorzio Venezia Nuova. Il 29settembre 1997 gli esperti consegnavano al Sindacole loro risultanze che esprimevano forti perplessitàper la metodologia adottata “che [appariva] discuti-bile sia nella scelta delle componenti e degli indica-tori ambientali utilizzati sia nel processo valutativonel suo complesso… sovrastimando disagi e costiprovocati alla collettività”. Il gruppo di lavoro infatticontrapponeva, anche sulla base di valutazioni svol-

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te dal Coses, stime diverse e assai inferiori dei danniprovocati dalle acque alte (sulle attività socio-econo-miche, sulla mobilità pedonale, sulle strutture spon-dali, ecc.). In un pomeriggio del 18 marzo 1998 gli esperti delComune e quelli del Consorzio Venezia Nuova e dellaThetis si confrontavano direttamente nella sala affol-latissima dell’Ateneo Veneto sotto la regia delSindaco Cacciari. Come in molte altre occasioni pas-sate (torna in mente la già citata famosa disputa checontrappose Sabbadino e Cornaro nella prima metàdel Cinquecento a proposito di bonifiche o quellasulla diversione dei fiumi nel Seicento o quella assaipiù recente sull’Expo 2000) la città sembrava essersispaccata in due partiti: quello del SÌ e quello del NOal Mose! Fautori e detrattori di questa soluzione, conargomentazioni non sempre rigorosamente tecniche,si affrontavano quasi quotidianamente sulle paginedei giornali, nelle tavole rotonde, nei convegni.Di lì a qualche tempo il Collegio degli esperti inter-nazionali emetteva, nel giugno del 1988, la propriavalutazione positiva sul progetto di massima. IlGruppo di lavoro degli esperti comunali era chiama-to anche in questo caso ad esprimere un proprio giu-dizio sul rapporto conclusivo del Collegio.Nell’ottobre del 1998 gli esperti “nostrani” consegna-vano un documento nel quale si rilevava che alcuneanalisi degli esperti “internazionali” apparivano nonsufficientemente approfondite e acritiche e contrap-ponevano nuovi dati desunti da recenti studi delCNR, tesi a dimostrare che lo studio del ConsorzioVenezia Nuova aveva sottovalutato l’importanzadegli interventi diffusi e delle cosiddette difese

locali. Esaltava invece quelle parti del loro rapportoche mettevano in evidenza delle carenze conoscitiveche richiedevano ulteriori approfondimenti, ribaden-do in ultima analisi il giudizio negativo sul SIA.

Il verdetto del Ministero dell’Ambiente:

pollice verso!

Al parere favorevole espresso a giugno dal Collegiodei cinque esperti internazionali erano seguiti anchequelli ugualmente positivi della Commissione TecnicaRegionale, nell’ottobre 1998, e dell’Ufficio centraledel Ministero per i Beni e le attività culturali nel mesedi dicembre. Alla vigilia di Natale del 1998, tuttavia,facendo proprio il parere negativo formulato dall’ap-posita Commissione VIA, il Ministero dell’Ambiente,di concerto con il Ministero per i Beni e le attività cul-turali, emanava un decreto il quale esprimeva, a con-clusione di una serie di valutazioni, un “giudizio dicompatibilità negativo sul progetto”. Il giudizio si fon-dava essenzialmente sulla mancata integrazione delleopere proposte con gli altri interventi necessari perrisanare e riequilibrare la laguna, nonché per il pre-giudizio che ne risultava alle attività portuali.

Secondo taluni esperti, tuttavia, la Commissione VIAdel Ministero dell’Ambiente avrebbe adottato “unametodologia del tutto estranea alla sua funzione isti-tuzionale, ampliando indebitamente l’ambito delleproprie valutazioni”. Sostiene l’amministrativistaAmorosino che la commissione doveva limitarsi adaccertare gli effetti negativi delle dighe sull’ecosiste-ma mentre ha posto arbitrariamente la realizzazionedelle stesse “in correlazione logica e funzionale contutti gli altri interventi di salvaguardia della laguna”. Edel resto, aggiunge, la commissione “era composta dipersonaggi pregiudizialmente schierati, molti dei qualiappartenenti al milieu ambientalista veneziano”. Lo stesso decreto interministeriale di Natale addolci-va, se così si può dire, la pillola amara, lasciandoaperto uno spiraglio ad un possibile riesame del pro-getto stesso, ribadendo ancora una volta la necessitàdi attuare i famosi interventi diffusi previsti dalle dueleggi speciali del 1984 e del 1992, vale a dire: disin-quinamento, difese locali delle “insulae”, riequilibriodella morfologia lagunare, compresa quella dei fon-dali delle bocche di porto, ecc. In effetti laCommissione VIA aveva criticato l’incoerenza siste-mica e concettuale dell’opera più che la sua soluzio-ne ingegneristica. Il Comune di Venezia, chiamato anch’esso ad espri-mersi dalla procedura di VIA, lo faceva in un ordinedel giorno del Consiglio comunale del 22 febbraio1999, il quale ribadiva la necessità di realizzare tutti ivari interventi complementari, compreso quello dellechiusure mobili, che dovranno tuttavia tener contodi tutte le prescrizioni espresse nelle varie sedi tec-niche durante l’iter procedurale del VIA. Anche nellariunione del Comitatone dell’8 marzo 1999, venivaribadito il principio della complementarietà tra gliinterventi diffusi di difesa locale, di ripristinoambientale e riequilibrio morfologico della laguna ele opere di regolazione delle maree.La Regione Veneto, l’Associazione dei commerciantied esercenti di Venezia ed altri ricorrevano presso ilTar del Veneto contro il suddetto decreto delMinistero dell’Ambiente, che accoglieva i ricorsi econ sentenza del 14 luglio 2000 annullava il decretostesso. Si motivava la sentenza di annullamento, tral’altro, con il fatto che il giudizio di compatibilitàambientale, espresso dalla Commissione VIA, dove-va limitarsi alla valutazione del progetto senza farsicondizionare dal convincimento che l’opera nonpotesse essere realizzata senza l’adeguato avanza-mento degli interventi “diffusi” (avanzamento che lalegge n° 798 del 1984, art. 3 condiziona all’utilizzazio-ne dei fondi per le opere di regolazione delle maree),in quanto non spetterebbe a quella commissione maal Comitatone la sua verifica per dare attuazione alleopere mobili. La sentenza aggiungeva che, semprecon riferimento agli interventi “diffusi”, il provvedi-

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mento ministeriale impugnato esorbitava dai limitidel giudizio di compatibilità, “laddove rivaluta la loroincidenza sulla salvaguardia di Venezia e della sualaguna dalle acque alte”, in pratica trascurando le“risultanze tecnico scientifiche dell’annosa istrutto-ria svolta in sedi particolarmente qualificate”.In seguito, nel corso del 2002, un ulteriore studio diimpatto ambientale verrà richiesto dalla Regionerelativamente al progetto del Consorzio VeneziaNuova in merito ai cosiddetti interventi complemen-

tari o alternativi: scogliere, rialzi dei fondali, conca dinavigazione alle bocche di porto (v. alla voce Opere

alle bocche di porto). Anche in questo caso sorge-ranno delle dispute in merito a questa iniziativa, chesecondo il Ministero dell’Ambiente competeva adesso e non alla Regione Veneto, dispute che si tra-durranno in ricorsi al Tar da parte della Provincia edei comuni di Venezia, Chioggia e Cavallino nonchéda parte di associazioni ambientaliste.

Il nuovo mareografo di Punta della Salute ricostruito nel 2001

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“ZERO” MAREOGRAFICO (DI PUNTA DELLA SALUTE)

È convenzionalmente stabilito che il valore ufficialedell’altezza della marea nel centro storico di Veneziafosse quello rilevato presso la stazione di Punta dellaSalute, che registra i dati del mareografo ubicato dallato del canale della Giudecca e denominato VecchioMareografo (di competenza dell’Ufficio Idrografico eMareografico dello Stato) per distinguerlo dalmareografo ubicato a pochi metri di distanza ma dallato del Canal Grande, recentemente ricostruito daInsula (per il Comune di Venezia) e noto comeNuovo Mareografo.Entrambi i mareografi sono tarati sul medio marequale risultava da una rilevazione del 1897 nota come“Rete altimetrica dello Stato”.Altre reti di capisaldi di livellazione altimetrica sonostate successivamente realizzate da altre istituzioni(IGM, CNR, Magistrato alle Acque) tutte riferite almedio mare “nazionale” rilevato a Genova nel 1942.Va rilevato che da un’indagine del Ministero deiLavori Pubblici effettuata nel 1970 per la formazionedella nuova “Carta Idrografica della Laguna diVenezia” è risultato che lo zero mareografico del1897 è di 23,56 cm più basso rispetto a quello nazio-nale di Genova del 1942. Una livellazione del 1998eseguita dal CNR ha ridimensionato questa differen-za a 20,75 cm. Questo risultato è stato confermato direcente, allorché nel 2002 Insula, in collaborazionecon il Centro previsioni e segnalazioni maree hainstallato una nuova rete geodetica composta di 58capisaldi rilevata con metodologia satellitare (GPS). A tutt’oggi comunque in tutto il comprensorio lagu-nare è stato mantenuto come riferimento quello rela-tivo alla rete altimetrica dello Stato del 1897 e perriferirsi alla nuova rete altimetrica (Genova 1942)occorre aggiungere 23,56 cm.È evidente l’importanza non solo teorica ma pratica di

avere un riferimento unico e condiviso sul livello delmedio mare ai fini della politica della salvaguardia.Gli interventi sui rialzi della pavimentazione cittadi-na, la scelta della quota di salvagardia per la gestionedelle opere mobili, la valutazione sugli effetti degliinterventi sulla morfologia lagunare (dissipazione,scabrosità dei fondali, ecc.), le ipotesi sull’evoluzio-ne di subsidenza ed eustatismo, sono tutti elementimisurabili, come si è potuto evincere da questo lavo-ro, sul “filo” dei centimetri e richiedono supportimetodologici e strumenti assai precisi.Del resto anche nel passato i Savi della Serenissimaregistravano, sia pure con metodi più empirici, illivello delle maree. Ancora oggi sulle sponde di alcu-ni rii veneziani si può notare scolpita una “C”, chestava a significare il “comun marino”, un riferimentoconvenzionale che coincideva con la sommità dellastriscia nero-verdognola provocata dall’oscillazionedella marea lungo le sponde dei canali. La consuetu-dine imponeva che le nuove costruzioni venisseroedificate tre piedi sora comun, al sicuro dunquedagli allagamenti. Il comune marino è conosciutoanche con la denominazione di ‘comune alta marea’e risulta attualmente più alto del livello medio delmare di circa 30 cm. Naturalmente si parla del livellomedio “reale” (non lo zero di Punta Salute, che è illivello medio del mare nel 1897). A conferma di ciò,l’applicazione dell’art. 100 del vigente regolamentod’igiene del Comune di Venezia (risalente al 1930), incui si impone che “le bocche di scarico devono tro-varsi interamente a 1,20 m sotto la comune altamarea”, comporta la norma ancora attualmenteseguita di ubicare gli scarichi fognari al di sotto diquota -70 cm sullo zero di Punta Salute (e infatti 30 +23,56 - 120 = -66,44 cm, cioè circa -70 cm).

Z

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ZTLL (ZONE A TRAFFICO LAGUNARE LIMITATO)

Il Commissario di Governo delegato al trafficoacqueo nella laguna di Venezia e Sindaco di Venezia,Paolo Costa, ha emesso il 24 giugno 2002 l’ordinanzan° 25 che istituisce le Zone a traffico lagunare limita-to (ZTLL). Le zone sono due: quella interna al centrostorico (ICS) e quella esterna allo stesso (ECS). Laprima comprende tutti i rii e canali di Venezia,Giudecca, Lido, Murano, Burano, Mazzorbo eTorcello (con esclusione dei canali Scomenzera eSanta Chiara a Venezia). La zona esterna “compren-de, fatte salve le competenze ordinarie della capita-neria di porto per la disciplina e sicurezza della navi-gazione delle navi maggiori, tutti i rii e i canali adia-centi al centro storico di Venezia per uno spazioacqueo di trenta metri dalla riva” per una serie ditratti ben specificati dall’ordinanza stessa e riguar-danti in pratica: il canale della Giudecca, il bacino diSan Marco e tutto il perimetro di Venezia (Arsenale,Sant’Elena, Fondamente Nuove, Sacca Misericordia,fino al Tronchetto, alla Scomenzera, alla Marittima,ecc.), così come i perimetri delle isole maggiori.L’ordinanza dà quindi disposizioni precise per ciascuna

categoria di imbarcazioni: a remi, a motore per tra-sporto cose, taxi, da diporto, ecc. anche con riferimen-to alla stazza lorda e alla larghezza dei natanti; stabili-sce inoltre per le zone, e all’interno di queste per benindividuati rii e canali, gli orari in cui la circolazione èvietata, i divieti di transito e di accesso, i sensi unici ei divieti di rumore e di sorpasso. È anche prevista unarete di “rii blu” con i percorsi per l’attraversamentodella laguna riservati alle imbarcazioni a remi.Tra le novità dell’ordinanza il divieto di circolazionenei rii ai diportisti nella fascia oraria 7-14 (tranne ilsabato e i giorni festivi) e il divieto di transito nellazona “esterna” per i lancioni “granturismo” di stazzasuperiore a 10 tonnellate e portata superiore a 20persone. Finalizzata a questo tipo di trasporto anchela successiva ordinanza n° 26, emessa dalCommissario sempre il 24 giugno 2002 avente peroggetto: “Disciplina degli approdi nella zona a traffi-co lagunare limitato”. Si tratta di quattro pontili all’i-sola del Tronchetto, quattro nel bacino di San Marcoed altri tre rispettivamente in località Zattere,Giardini e San Giobbe, questi ultimi da realizzare.

Limiti di velocità e criteri generaliriguardanti la navigazione nella laguna di Venezia