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ACCADEMIA DEL SILENZIO UMBRIA 2015 "SILENZI MEDITATIVI" Natura - Spiritualità - Scrittura 4* Appuntamento del Programma 2015 "Le arti del Silenzio" 25 e 26 luglio 2015 - Fondazione barbanera - Spello (Pg)

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ACCADEMIA DEL SILENZIO UMBRIA 2015

"SILENZI MEDITATIVI"

Natura - Spiritualità - Scrittura

4* Appuntamento del Programma 2015

"Le arti del Silenzio"

25 e 26 luglio 2015 - Fondazione barbanera - Spello (Pg)

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Queste le parole chiave intorno le quali abbiamo vissuto e costruito le

esperienze: memoria, sensualità, silenzio, scrittura.

Compiere gesti anche semplici, essenziali, ripetuti e tramandati da generazioni

in condivisione profonda con gli altri, ci ha permesso di ricontattare emozioni,

sensazioni, immagini della memoria personale e collettiva.

Ci ha dato la possibilità di ri-creare un più significativo contatto con la nostra

vita passata, ma anche con la terra su cui siamo nati, vissuti, cresciuti con le

sue usanze, peculiarità, tradizioni.

Darci il tempo per la riflessione, per quel tempo personale che spesso ci sfugge

a causa di un vivere purtroppo spesso così frettoloso, il sintonizzarci sulla nota

del silenzio, scrivere i nostri pensieri, ci ha consentito di recuperare la

consapevolezza la nostra personale modalità di essere in contatto con noi

stessi, con gli altri e le cose del mondo.

Preziosa la sapiente guida di Nicoletta, Anna ed Isabella.

Gli scritti e le foto che seguono sono stati realizzati durante l’incontro.

Luana Brilli

Foligno luglio 2015

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SONIA

Quella volta che ho messo le mani in pasta. Non ho mai amato le mie mani. Troppo piccole. Troppo tozze. Mani a femminilità zero. Non le ho mai curate né migliorate e loro per tutta risposta hanno accontentato le mie aspettative. Come un bambino che per non deludere l’immagine che i genitori si sono fatti di lui si veste da stupido. Lui sa che dentro di lui abita un cavaliere, un condottiero, un eroe, un principe impavido, un mondo fantastico pieno di colori e profumi. Fuori è uno stupido per convenienza. Stupido è chi lo stupido fa. Le mie mani hanno risposto allo stesso principio. Sono come tu mi

vuoi. Così non hanno mai creato un bel disegno, un ricamo ben fatto. Un’ ordinata ed armoniosa pasta sfoglia. Un dipinto che avesse il coraggio di andare oltre l’astratto. Poi un giorno ha bussato alla porta l’impellente necessità di restituire alle mani la dignità che si meritavano. Così mi sono chiesta cosa potessero fare per riabilitarsi. Ho cominciato a mettere le mani in pasta. Questo sacro elemento è fatto di materia umana, dalla più sottile alla più grossolana. Braccia. Gambe. Addomi. Vertebre. Falangi. Meridiani. Cuori. Corpi vibratori. Questa è la pasta in cui tuffo le mie calde mani. La generosità di quei corpi mi ha permesso di restituire alle mani ciò che gli è appartenuto da sempre. Un dono. Una qualità che ora sono felici di donare a loro volta. Ora sono le protagoniste della mia professione. Mettere le mani in pasta è un’Arte. Ogni ingrediente uno slancio alla creatività.

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SONIA Ricordo l’odore della domenica mattina. Non ho ricordi legati o sciolti di odori domenicali. Da sempre per entrare in contatto con qualsiasi essere, animato o inanimato, lo devo portare al naso. Per riconoscere se è in sintonia con me lo odoro. A volte questo gesto crea sguardi incuriositi o interrogativi. Annuso maglioni, vestiti e scarpe prima di acquistarli. Libri, quaderni, cosmetici. Ogni cosa va passata sotto le dita ed annusata. Così colleziono una galleria di odori nella memoria olfattiva e a volte ritornano inaspettatamente. Ricordo l’odore di colla cocaina con cui attaccavo le figurine dei calciatori. Ecco. Forse quel passatempo faceva parte della domenica mattina, o forse no. Ricordo l’odore del ragù che borbottava per ore nel tegame di coccio e che preparava il condimento dell’intera settimana. Credo sia l’unico ricordo legato alle domeniche mattina, l’unico odore che cerca di corrompermi ai piaceri della carne. Ricordo l’odore del brodo matto che riempiva il refettorio della scuola elementare e che mi faceva chiudere lo stomaco. Ricordo l’odore dei bambini piccoli. Nelle pieghe. Non ne esiste uno uguale. Non si può confondere con nessun altro. Ricordo l’odore dei cessi nepalesi durante le soste da interminabili viaggi in pullman. Un odore acre. Pungente. Penetrante. Che taglia il respiro. Le apnee calibrate per non morirci dentro. Ricordo l’odore della cenere dei morti bruciati sulle pire, al tempio di Pashupatinath. Mi ha accompagnato per tanto tempo al mio ritorno, bastava chiudere gli occhi. Ricordo l’odore del cane bagnato, che è diverso se si bagna alla pioggia o dopo un bagno in vasca. Ricordo l’odore di naftalina delle coperte di nonna Clara. E la sua cipria. Inconfondibile. Le domeniche mattina a casa mia non hanno mai vissuto di rituali. Unica certezza la sveglia. Che per un giorno a settimana si risparmiava le mie maledizioni.

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ANTONIETTA Quella volta che ho messo le mani in pasta. Questa massa che non vuole staccarsi dalle mie mani e dal legno. Forse ha ragione, così piccola! La poca farina rimasta, sorprendentemente, riesce a creare una sottilissima pelle che insieme all’aria, la rende più dura, autonoma, prende forma. Ma il nucleo sarà ancora morbido? Sarà molle e fragile dentro? Tutto il tempo sono stata preoccupata di non rompere quella sottile pellicola non per il fastidio di sentirla appiccicata alle mani ma per RISPETTARLA. Chissà se la copertina che le ho messo la custodisce abbastanza? Chissà se sarà pronta ad affrontare la trasformazione, la pressione, gli spostamenti, la tempesta? Io voglio che ce la possa fare a prendere la forma per cui è destinata ad essere.

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ANTONIETTA Ricordo l’odore della domenica mattina. Ingredienti che si mescolano: animi, diversità, elementi, natura, bellezza, odori, sapori, riflessioni, ricordi…Tanti ricordi… Desiderio di intrecciare il presente ricco allo stesso modo. Il ricordo però sembra riconciliare il tutto. Un granello di farina concorre a creare un clima interiore. È attraverso le cose più semplici che passa la vita. Il valore della quotidianità è importante per trovare e ritrovare serenità.

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ANDREA

Il filo della Vita.

Mi sembrava che non ci fosse un filo, per tanti anni ho pensato così. Mi sembrava che andasse un po’ su e un po’ giù, a caso. Ma un filo c’è, basta ritrovare il capo, andare all’origine, alla fonte, e poi iniziare a seguirlo. E vedere che si srotola, si dipana, si distende, prende forma, ha un colore.

Bisogna fermarsi e ritornare indietro per poi proseguire ed andare avanti… e fidarsi del filo. A volte aggrapparsi al filo, ma una volta che è in mano non serve altro, non serve più nessuno sforzo.

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ANDREA Quella volta che ho messo le mani in pasta. Non lo avevo mai fatto. Come si fa? Guardo gli altri? Mi sa che non ci sono portato… All’improvviso in sala risuona la frase: “Non preoccuparti è la TUA esperienza” e di colpo tutte le domande, tutti i dubbi sono cessati. È la MIA esperienza, non so e non importa quale sarà il risultato, ciò che conta è la MIA esperienza. E allora giù! Occhi chiusi e mani in pasta, lavoro quell’insieme di ingredienti e pian piano scopro che mi sto divertendo e che si sta formando un amalgama armonioso. Cambio il ritmo, ci metto più forza poi diminuisco e mi sento estremamente soddisfatto!

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ANDREA Gli odori della domenica mattina. La domenica si pranzava tutti insieme: nonni, zii, cugini. E mi ricordo l’odore di pulito della sala che veniva rimessa a lucido fin dal mattino presto. Io preferivo di gran lunga gli odori che provenivano dalla cucina, pasta, sughi, patate… ma la cucina era zona interdetta ai più piccoli così esercitavo la mia pazienza fino al fatidico momento in cui dall’olfatto si passava al gusto!

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LUANA Bo Il filo Trovare il bandolo della matassa il capo del filo riviverne gli intrecci e i grovigli riviverne i nodi. Mettere a nudo i miei fili: sfilare la guaina di gomma e scoprirne le cariche come farebbe un bravo elettricista. Scaricare a terra le tensioni che corrono sul filo renderlo filo inoffensivo filo conduttore. Dove mi condurrà?

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LUANA Bo Quella volta che ho messo le mani in pasta La farina si secca sulle mie mani. Fa tirare la pelle. Ora lo spazio sembra accorciarsi, concentrarsi. Le mie mani sembrano ristrette. Ai piccoli, al nido, questa sensazione da fastidio, forse fa anche un po’ paura. La pelle si è modificata, chissà, forse per sempre. Credo sia questo che temono. Sì, perché, anche con loro, continuo a mettere le mani in pasta e li invito a farlo… a sentire, a scoprire, a scoprirsi. La magia della materia degli elementi è seducente. I sensi se ne cibano. Continuo a mettere le mani in pasta ogni qual volta mi prende quella tenera ma profonda nostalgia di sapori, consistenze, colori e profumi dei cibi che mangiavo da piccola e di cui osservavo la creazione, la trasformazione, la manifattura attraverso le mani di mia nonna e della mamma. Anche solo assistere era un’esperienza. Anche solo quella gestualità era una magia. Mani…Alimenti…Cibo…Nutrimento…Piacere… un’azione a tutto tondo. Un “fare” che ti fa “crescere” a tanti livelli, occupando tanti spazi e scandendo l’infinito ripetersi del tempo.

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LUANA Bo

Ricordo il profumo della domenica mattina.

Non è un profumo, quello della domenica mattina… non lo catturo col naso Chissà fossi un cane lo saprei discernere. È una consapevole sensazione buona, fatta di spazi e gesti inusuali.

Quegli spazi e quei tempi racchiudono e contengono odori: l’odore dell’erba che calpesterò l’odore arcobaleno dei fiori che raccoglierò l’odore dolciastro del fieno appena tagliato l’odore triste della pioggia l’odore satinato del sole cocente l’odore acquoso del fiume e, magari, sul tardi, l’odore buono che, dalle case invade tutto intorno con il suo profumo di fuoco e alimenti.

Quand’ero piccola, invece, sì!!! La domenica aveva il suo “odore”. Lo sentivo appena sveglia. Lo captavo.3 Era nell’aria da subito. Sembrava venisse da molto lontano. Ma è dalla cucina che proveniva, con la nonna che, sveglia da un pezzo, aveva iniziato le sue prime alchimie. Il sugo per le tagliatelle o gli gnocchi. Sughi importanti, fatti con ingredienti importanti, importanti e modulati con spezie e odori del piccolo orto. Ogni gesto un rito.

Dall’aprire la bottiglia del pomodoro conservato alla tiratura della pasta. Dalla bollitura delle patate e la loro mondatura Alla stufa, poi, che veniva rimpinzata di legna per poter sostenere l’impegno di tante cotture. Dall’aggiunta di un goccio di vino al soffritto e la sua rumorosa evaporazione. Al condimento dell’arrosto con rosmarino, salvia e aglio… e i tagli in cui l’impasto odoroso veniva calato, spinto, infilato, impiastrato.

Io, ancora bambina, ferma sotto le coperte, col naso all’insù, guardavo, con pensieri vuoti, il soffitto… annusavo… giocavo a riconoscere… Ero felice.

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LAURA

Il filo.

Il filo dei miei pensieri ultimamente è intrecciato, vaga, vaga, mi annoda, mi avvolge, mi porta lontano e mi riporta vicino… Non dormo, dormo poco, il filo del sonno si interrompe spesso, trova pace dopo l’alba… finita l’incertezza della notte… proprio sul far del giorno sono tanti i pensieri che si intrecciano nella mia mente. Vorrei fare spazio, vorrei fare un vuoto per trovare pace… invece voglio fare, fare, programmare, come se tutto dipendesse da me, invece sarebbe bello aspettare con calma ciò che sta per arrivare…

l’ho capito, non sempre sono io a intrecciare i fili, a tramare nuove cose, nuovi passi… l’uomo propone e Dio dispone, diceva mio nonno… La vita è una trama dove tentiamo di ricamare un disegno che a noi piacerebbe o forse siamo invece solo un filo e Dio guida i nostri intrecci? Vedremo il disegno solo alla fine, dall’alto ??? Io aspetto… aspetto che accada… lascio andare il bisogno di lottare,

lascio andare il bisogno di lottare…

Io aspetto, aspetto ciò che Dio, l’Universo mi stanno preparando;

intanto mi riposo, ho bisogno di riposare, la mia mente è stanca di

architettare, ho bisogno di riposare, fare spazio, fare vuoto, fare

silenzio…

FI NE LO

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LAURA

Quella volta che ho messo le mani in pasta.

Questa mattina quando abbiamo iniziato a fare le tagliatelle ho indovinato subito il quantitativo di farina: la misura è il mio forte , si sa, poi però le uova, due, non sono entrate nel buchino troppo piccolo che avevo preparato nella farina. Poi con la forchetta ho cercato di amalgamare ma non vedevo l’ora di mettere le mani in pasta, di toccare. Intanto probabilmente la tensione che accompagna ogni prima volta, o almeno ogni mia prima volta, mi attanagliava la parte destra della schiena, la gamba mi faceva

malissimo, si stava per intorpidire il piede… Poi, per fortuna, il nuovo comando: chiudete gli occhi per 15 minuti e lavorate la pasta! È stato bellissimo, ho iniziato a respirare profondamente, ad usare la destra, la sinistra, soprattutto la sinistra che uso molto di meno. Che piacere impastare, piano piano le tensioni diminuivano ed è passato il dolore alla gamba… La palla diventava sempre più liscia, mi ricordava molto il pongo che usavo quando andavo all’asilo, mi è piaciuto il toccare, il plasmare ad occhi chiusi. Piano piano ho sentito che la consistenza

era più liscia, più amalgamata, e mi venivano in mente, e ripetevo, i gesti di nonna Rosa: è lei che ho visto tante volte fare la pasta, le tagliatelle, ma non mi ha mai detto: tieni, prova, impara! O almeno non lo ricordo e comunque non l’ho mai FATTO, solo visto… Anche ieri, nel cucire, mi è tornata in mente nonna Rosa, tante faccende di casa ho fatto con lei, più che

con mamma. Chissà perché in questi giorni proprio nonna Rosa…

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LAURA

Il profumo della domenica mattina.

Ricordo il profumo della domenica mattina? Non molto, ricordo la nonna che preparava le tagliatelle, forse sì l’odore del sugo, più che altro quello del pollo arrosto, buonissimo, o del coniglio ripassato sulla griglia… ma il profumo della domenica più che altro era quello di pulito, di lenzuola pulite, la casa pulita il giorno prima, i vestiti belli e puliti della festa, per andare a Messa, io, mamma e papà…

Poi al ritorno sì, era già tutto pronto, ci si metteva a tavola, il profumo della famiglia unita, il profumo buono della tradizione e dell’unione…

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MARISA

Il filo è qualcosa che in questo momento vorrei spezzare. E farlo

senza singhiozzi, stanchezza, dolore. Con la paura di non sfuggire.

E la paura di sfuggire.

Un filo irreversibile di silenzi più forte di tante parole.

Filo di voce che vuole diventare parola, canto, suono di un’anima

risucchiata in alto, che nessun filo di nessuna mongolfiera trattiene

più a terra.

Ascendere senza peso.

Sfruttare le correnti ascensionali.

Andare all’origine.

Leggerezza di danza improvvisata ed antica, suggerita dal flauto

incantato di immagini e visioni.

Stare nell’attimo.

Nel punto senza dimensione.

Respiro di piccola eternità.

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MARISA Ricordo il profumo della domenica mattina. Ti viene subito il profumo del ragù, un sottilissimo dolciastro, conosciuto, dominante gusto di cipolla rossa che sfrigola e l’acuto lamentarsi in padella del mezzo bicchiere di vino bianco aggiunto per rendere meno intenso il sapore della carne.

Cominciare a cucinare al mattino presto della domenica penso fosse

un’abitudine della Toscana di diversi decenni fa, quando anche le

famiglie più benestanti riservavano il sugo di carne al pranzo della

domenica.

Il mio rapporto con il cibo, però, nell’adolescenza era drammatico.

Non si chiamava anoressia ma il senso era quello.

Così l’odore pungente mi svegliava e da subito, come un riflesso

condizionato, mi faceva preoccupare per il pranzo che sarebbe

prima o poi arrivato.

Quando tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di me, gli occhi di

dieci persone, sul mio eterno masticare, che rendeva tutto

disgustoso in bocca, sulla frustrazione della mamma, sulla

disattenzione del babbo.

Che a volte però esplodeva in una rabbia inattesa.

Domeniche da accantonare senza nostalgia.

Come quelle passate al ristorante, dove si andava per unire musei e

castelli a saporite pietanze .

Per tutti, non per me.

Domeniche che più volentieri avrei trascorso con il gruppo di amici .

Pomeriggi in qualche casa. A parlare insieme del niente.

Dove il cibo leggero sarebbe sceso giù veloce, nutrendo il cuore.

Quello pesante, di casa, ha avuto bisogno di esser riattraversato

tante volte.

Parole, immagini, lacrime anche, per tornare leggero, tenero,

morbido, dolce e gradevole.

O forse quello che è stato, uno sforzo mal riuscito ma con tanta

buona volontà e buona fede da diventare cibo per l’anima.

Oggi.

Chiudendo un cerchio.

Con naturalezza, affetto, e, inspiegabilmente, anche un po’ di tenerezza.

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MARISA Quella volta che ho messo le mani in pasta. Nella pasta della mia carne, quella che voleva battezzarsi nuova, lasciando indietro con grazia i tanti zaini del passato. Memorie, immagini, pensieri, colori e tristezze.

Tante volte non sapendo cosa creare.

Un Pinocchio dalla creta del coraggio di non saper dove andare.

Eppure andare.

Spesso senza la pazienza di riflettere ed ammettere di dover tanto

umilmente imparare.

Questo impastare mi ha acceso le lacrime ad occhi chiusi.

Dentro lo stomaco un abisso, panico di un’immensità che si

spalanca, per la quale continuo a sentirmi inadeguata.

Provare a scrivere la MIA storia.

Questo vuol dire metter le mani in pasta.

Quante volte l’ho fatto.

Quante ancora lo farò.

Aggiungendo ingredienti nuovi.

A volte adatti, a volte sapidi.

Provandoci sempre.

Usare il sentire, per annusare se la strada è giusta per gambe e

cuore.

Ora forse anche imparare a fermarsi ad ascoltare. Godere l’istante.

Vivere l’istante lungo come un infinito kairos, goccia di eternità.

Con l’intensità dell’ultimo.

Tutta qui la vita?

Io ho soltanto la domanda.

E la voglia di volare col velo nel volo del vento.

Liquefacendo i pensieri nel mare della pace e del silenzio.

Forse neanche scrivere.

Forse solo ascoltare queste cicale.

Senza immaginare.

Né parole né suoni.

Forse anche senza il silenzio.

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MARISA Quando il corpo Quando il corpo al risveglio mi parla

Uggia nel cuore

E scarti d’anima

Paziente,

tesso una nuova tela,

ricreando dal fango

un Pinocchio animato

che,

per l’eternità,

trasforma

legno in carne

grida in sussurri,

schiaffi in carezze.

Un grazie

Timidamente

Si spalanca

In più grandi

Silenziosi

Grazie.

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MATILDE Il filo. La parola FILO, così potente, piena di significati, suggestioni, possibilità mi fa pensare intensamente a Maria Lai, la grande artista sarda, morta due anni fa, che nel filo della sua vita ha lasciato tracce di forte valore artistico e simbolico. Ho scoperto questa artista pochi anni fa e da allora è entrata inevitabilmente a far parte della mia vita. Maria Lai ha utilizzato una molteplicità di materiali; ha usato, tirato, intrecciato, tessuto fili di geografie multiple, dove le storie si intrecciano in tanti piccoli e/o grandi racconti che dall'infanzia si aprono al/nel mondo e vanno oltre. Incontrando i suoi lavori, una delle suggestioni più significative che risuona dentro di me, è quando trovo nei suoi libri cuciti, nei telai o altre opere il filo che si posa, infilato nell'ago, sul tessuto o sulla carta, come se il lavoro aspettasse di essere continuato o seguito, un'opera aperta e disponibile alla continuità, pur nella sua completezza.

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MATILDE Quella volta che ho messo le mani in pasta. Non ho un ricordo preciso, ma questa ricca espressione è diventata da un po' di tempo una presenza significativa nella mia vita. Le donne della mia famiglia materna, mia madre, Angiolina, loro sì avevano e mettevano le mani in pasta, nel vero senso della parola e non solo simbolicamente. Mia madre, Olga, orgogliosa di essere la figlia di un fornaio, cresciuta dentro al forno paterno, dove continuamente e sistematicamente si impastava il “pane quotidiano”. Angiolina, la domestica della famiglia materna, cuoca di eccellenza, che nel lungo tempo della sua vita domestica, ha costantemente tenuto le mani in pasta. Personalmente ho molto osservato, ma poco “impastato” materialmente! Tuttavia, nel corso del tempo, ho interiorizzato una serie di gesti, (come un passaggio di consegne del mondo familiare e universale al tempo stesso) che ritrovo come miei, quando faccio materialmente, quando cioè “metto le mani in pasta”. (Così come ieri dalla parola filo sono stata portata a pensare e parlare di Maria Lai, così oggi ho sentito la risonanza del pensiero di Aldo Capitini, quando parla della compresenza dei vivi e dei morti).

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ANNA

Le mani in pasta

3484 domeniche mattina nella mia vita, 20971 tutti gli altri giorni

oggi è una domenica mattina e come ieri anche oggi continuo a

stare in questo presente di colori suoni luci odori

di sensazioni e percezioni a cui nessuno dei sensi è estraneo

e da loro mi lascio avvolgere, con loro mi lascio impastare …

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ANNA

… Tacendo nel profondo

Sensazione

Le sere blu d'estate, andrò per i sentieri

graffiato dagli steli, sfiorando l'erba nuova:

ne sentirò freschezza, assorto nel mistero.

Farò che sulla testa scoperta il vento piova.

Io non avrò pensieri, tacendo nel profondo:

ma l'infinito amore l'anima mia avrà colmato,

e me ne andrò lontano, lontano e vagabondo,

guardando la Natura, come un innamorato.

A. Rimbaud

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SARA Del gustare le tagliatelle insieme… Il viaggio che ognuno di noi ha compiuto finora, per sé ora si arricchisce di un’altra forma: l’insieme. Insieme di elementi che le mani hanno amalgamato Insieme di profumi, armonici ed intensi. Qualche fettuccina è più lunga, qualche altra più corta, alcune sottili, altre più spesse, sottili e più grezze… la lingua che ora tace, impasta e distingue il dolce, il sapido coglie la piacevolezza del gusto di persone che incontrate per la prima volta con leggerezza ed armonia condividono parole, pensieri, emozioni.

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ANNA NOFERI ci ha regalato una breve poesia sull'esperienza

vissuta insieme.

Le tagliatelle In diciotto si era a Spello, spianatoio e mattarello,

per far belle tagliatelle col favore delle Stelle. Un mucchietto di farina con due uova di gallina, il calore della mano e l’aiuto di Silvano e con tanta fantasia si è compiuta la magia.

Pappardelle e tagliolini, a mucchietti o a nidini, messe in file ordinate o piuttosto sparpagliate, tutte insieme poi d’accordo con affetto le ricordo. Col buon sugo profumate le tagliatelle alfin abbiam gustate

con piacere ed allegri

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L'Accademia del Silenzio Umbria porge un ringraziamento particolare oltre che ai partecipanti, ai docenti, a Pia Fanciulli e a Luca Baldini, anche al Sig. Feliciano e alla Sig.ra Andrea Campi, per l'ospitalità, la disponibilità e la gentilezza con cui hanno accolto la nostra iniziativa "Le arti del Silenzio". Sono stati davvero inegualiabili, permettendoci di utilizzare anche la loro cucina famigliare.

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Settembre 2015 Il Reportage di “LE ARTI DEL SILENZIO” tenutosi il 25 e 26 luglio 2015 presso

la Fondazione >Barbanera – Spello (Pg) è di Luana Brilli, educatrice, esperta in

educazione alla cultura e alle pratiche del silenzio, in metodologie

autobiografiche e in scrittura autoanalitica. Fa parte del gruppo dei

Collaboratori Territoriali ed è Formatrice della Libera Università

dell'Autobiografia di Anghiari. Coordina l'Accademia del Silenzio Umbria.

email:[email protected]

cell. 3208962845

www.lua.it/accademiasilenzio/ www.orizzontidallastronave.blogspot.com