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STUDIO “LE POLITICHE DI SVILUPPO TERRITORIALE E LE MISURE DI PREVENZIONE E CONTRASTO DELLE DISCRIMINAZIONI PER MOTIVI DI RAZZA, ETNIA, ORIENTAMENTO SESSUALE E IDENTITÀ DI GENERE, DISABILITÀ ED ETÀ NELLE REGIONI OBIETTIVO CONVERGENZA” - SINTESI A cura di ISTITUTO PSICOANALITICO PER LE RICERCHE SOCIALI Dicembre 2010

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STUDIO “LE POLITICHE DI SVILUPPO TERRITORIALE E LE MISURE DI PREVENZIONE E CONTRASTO DELLE

DISCRIMINAZIONI PER MOTIVI DI RAZZA, ETNIA, ORIENTAMENTO SESSUALE E IDENTITÀ DI GENERE,

DISABILITÀ ED ETÀ NELLE REGIONI OBIETTIVO CONVERGENZA” - SINTESI

A cura di ISTITUTO PSICOANALITICO PER LE RICERCHE SOCIALI

Dicembre 2010

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INDICE

 SEZIONE 1. BACKGROUND E MOTIVAZIONI ALLA BASE DELLA RICERCA ....... 3

SEZIONE 2. PARTE GENERALE........................................................................ 5 2.1 IL CONTESTO NORMATIVO DI RIFERIMENTO ........................................................................................................5 2.2 IL QUADRO PROGRAMMATICO DI RIFERIMENTO NEL PERIODO 2007-2013 ........................................7 2.3 INQUADRAMENTO ED ANALISI DEL CONTESO TERRITORIALE DI RIFERIMENTO....................................8 

SEZIONE 3. L’ANALISI E LA SELEZIONE DELLE BUONE PRATICHE NAZIONALE ED INTERNAZIONALE................................................................................... 15

3.1 LE BUONE PRATICHE NAZIONALI ............................................................................................................................ 15 3.2 LE BUONE PRATICHE A LIVELLO EUROPEO ......................................................................................................... 20 

SEZIONE 4. LE INDICAZIONI STRATEGICHE PER GLI STAKEHOLDERS ......... 25

SEZIONE 5. L’INNOVATIVITA’ DELLE PROPOSTE.......................................... 27

SEZIONE 6. CONCLUSIONI........................................................................... 29

SEZIONE 7. I METODI E GLI STRUMENTI UTILIZZATI PER LA RICERCA ....... 30

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Sezione 1. BACKGROUND E MOTIVAZIONI ALLA BASE DELLA RICERCA

Ogni periodo storico è caratterizzato dal passaggio da alcuni modelli operativi a nuovi modelli culturali, quello degli ultimi trent’anni è stato caratterizzato dal tentativo di riflettere sull’efficienza degli Stati nel dare corpo e concretezza agli obiettivi politici per rendere realmente efficaci le politiche, siano esse economiche o sociali. Nel tentativo di coniugare sviluppo, coesione ed equità1, si è lavorato principalmente su alcuni assi concettuali portanti, quali:

− come rendere più efficienti le politiche degli Stati nazionali, anche alla luce dei processi di devoluzione e sussidiarietà orizzontale e verticale2;

− come migliorare il livello di soddisfazione dei cittadini rispetto ai sistemi politici e rispetto alle politiche perseguite3;

− come ridurre la conflittualità tra gli attori coinvolti nella programmazione e attuazione delle politiche.

Le risposte a tali sfide sono state molteplici e complesse; qui se ne riportano alcune, che ne costituiscono, i pillars:

− si è verificato il passaggio da government a governance, ovvero da un modo di intendere la gestione della cosa pubblica come movimento dall’alto al basso – da un centro ad una periferia – ad una definizione bidirezionale top-down/bottom-up e soprattutto policentrica delle politiche; questo passaggio implica la reale partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e, conseguentemente, un avvicinamento tra “bisogni” e decisioni;

− le politiche non sono più intese come settori d’intervento competitivi l’uno con l’altro, ma come strumenti di un piano comune e sinergico: a tale scopo vanno implementati modelli di multilevel governance, (che segnano il chiaro passaggio di responsabilità e di sussidiarietà) e va rafforzata la convergenza degli obiettivi;

− i piani di programmazione e l’attuazione delle politiche devono assicurare l’ascolto degli stakeholders e la gestione condivisa degli obiettivi. Si parla, pertanto, di una dimensione locale - territoriale – delle politiche di sviluppo4. In questo modo è possibile garantire la valorizzazione delle vocazioni del territorio, la vicinanza delle politiche ai cittadini ed il coinvolgimento dei portatori di interesse ai vari livelli del territorio5.

In questa serie di trasformazioni è evidente che l’inclusione dei soggetti a rischio di discriminazione rappresenta una priorità trasversale6 nonché uno dei punti di forza dell’impianto di tali politiche, ma è anche uno degli elementi di valutazione del reale funzionamento dell’intero processo.

L’attenzione, quindi, al tema della discriminazione, nelle varie forme in cui essa si manifesta, e all’obiettivo delle pari opportunità più in generale diventa una priorità per le politiche nazionali. Tale attenzione diventa tanto più importante per le Regioni del Sud, dove la permanenza di

1 “Primo rapporto sulla coesione” della Commissione Europea, novembre 1996; Strategia di Lisbona, Consiglio Europeo di Lisbona 23 e 24 marzo 2000; Strategia di Goteborg, Consiglio Europeo di Goteborg del 15-16 giugno 2001; Commissione Europea “Cohesion Policy and cities: the urban contribution to growth and jobs in the regions”, 2005. 2 Trattato di Maastricht istitutivo della Comunità Europea; Articolo 118 della Costituzione Italiana. 3 Il tema della partecipazione, dell’accesso all’informazione e della comunicazione ai fini di una buona governance rappresenta un riferimento sempre più presente nel quadro normativo e programmatico comunitario, internazionale e nazionale sullo sviluppo sostenibile, solo per citarne alcune: l’Agenda di Goteborg, il Libro Bianco sulla Governance del 2001; l’Agenda 21; Comune di Roma, Delibera di Consiglio 57/06, il “Regolamento per l'attivazione del processo di partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione urbana”. 4 In questa direzione vanno i modelli di governance di tipo contrattuale e i principi e gli strumenti della pianificazione negoziata in Italia (gli accordi di programma quadro, gli accordi e le intese di programma, i patti territoriali, i programmi territoriali integrati e i programmi integrati di sviluppo locale) e la legge 328/2000, istitutiva dei Piani di Zona. 5 Programma Operativo Nazionale “Governance e Assistenza Tecnica” Obiettivo Convergenza FESR 2007-2013. 6 Come tale richiamata in tutti i Programmi Operativi delle regioni Obiettivo Convergenza.

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condizioni di svantaggio crea ritardi in termini di crescita, sia per i costi relativi all’assistenza, sia per la perdita di capacità e competitiva dell’intero sistema.

Sulla base di tali considerazioni ed in coerenza con le esigenze del Dipartimento per le Pari Opportunità, il presente studio si è posto due duplici obiettivi:

- la ricognizione dei documenti e della letteratura che hanno contribuito, negli ultimi venti anni a ridisegnare le politiche di sviluppo locale, soprattutto per quanto riguarda la capacità di coniugare sviluppo, coesione sociale ed equità.

- l’individuazione di buone pratiche, a livello europeo, nazionale e locale, relative a politiche territoriali che sono riuscite a coniugare gli obiettivi di sviluppo e di inclusione sociale. Gli sviluppi della letteratura economica più recente supportano questa linea di azione, evidenziando che l’efficienza e l’equità contribuiscono alla crescita economica e allo stesso tempo migliorano la coesione sociale, senza mutuamente escludersi. Infatti, come ci ricordano T. Persson e G. Tabellini7, che si sono ampiamente occupati di questo tema, la crescita è correlata positivamente con l'uguaglianza. Questo perché la forte disuguaglianza induce scelte di politica economica sbagliate.

7 T. Persson and G. Tabellini (1994), "Is Inequality Harmful for Growth?", American Economic Review, 84, pp. 600-621

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Sezione 2. PARTE GENERALE

2.1 Il contesto normativo di riferimento Negli ultimi trent’anni si è assistito ad un progressivo ma costante cambiamento nel modo di pensare le politiche di sviluppo territoriale e, di conseguenza, ad una riorganizzazione dei contesti normativi di riferimento, che hanno permesso un nuovo approccio delle strategie di intervento. Sono stati ripensati sia gli strumenti normativi attraverso i quali predisporre e realizzare gli interventi, sia gli indicatori utilizzati per valutarne l’impatto.

Le principali trasformazioni che i riferimenti normativi hanno fatto registrare riguardano sia processi di sviluppo che metodologie di intervento:

Da una concezione dello sviluppo economico e territoriale basata su processi di tipo espansivo, e conseguentemente omologanti, in quanto caratterizzati da interventi di grandi dimensioni che non potevano tener conto, nella loro estensività, delle specificità dei diversi contesti insediativi, si è passati ad un approccio endogeno dello sviluppo. Un approccio basato cioè sulla ricerca e l’analisi delle specificità di ogni sistema locale, considerato allo stesso tempo vertice di partenza imprescindibile per l’analisi dei bisogni, e destinatario finale, da tenere fortemente in considerazione in fase di valutazione dell’impatto degli interventi. Le peculiarità territoriali sociali, ambientali o economiche sono, quindi, diventati gli elementi centrali su cui impostare il processo di programmazione delle politiche di sviluppo.

Va sicuramente rilevato che tali trasformazioni sono in parte anche l’esito dell’ampliamento dei processi decisionali ai nuovi attori istituzionali quali le Province, i Comuni, gli Enti Locali, ecc. Nel vecchio approccio, quello dell’intervento straordinario, regolarmente le risorse precedevano le azioni. La disponibilità di finanziamenti determinava il “cosa fare”. Controllare la spesa era, ma per molti versi ancora resta, la funzione principale della politica.

Al contrario, il nuovo ciclo della programmazione locale ha tentato di restituire centralità alle azioni: prima i progetti poi le risorse. E’ evidente che questa salutare inversione, peraltro ancora non del tutto attuata, ha anche determinato una sostituzione dei soggetti. Il cambiamento del “cosa” ha determinato il cambiamento del “chi”, prima il livello del governo centrale, ora le Regioni e il sistema delle autonomie locali. Ci riferiamo al processo di ridefinizione degli ambiti di competenza definito dal Titolo V della Costituzione in relazione alle politiche sociali, in particolare, per ciò che riguarda le forme di coordinamento interistituzionale, all’attività legislativa delle Regioni e alla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Molti degli strumenti normativi regionali guardano, inoltre, allo schema innovativo della legge 328/00, in particolare per i nuovi criteri organizzativi, per il coordinamento, per le modalità di integrazione degli interventi, dell’orientamento alla qualità dei servizi, nonché per il coinvolgimento dei soggetti privati nella rete dei servizi e per il forte ruolo riconosciuto alle soggettività, alla famiglia ed alle formazioni sociali. La Corte Costituzionale ha ribadito più volte l’esigenza di operare attraverso nuove procedure concordate tra Stato e Regioni volte a creare i presupposti per una leale cooperazione ed ha indicato le modalità di allocazione delle risorse finanziarie tra centro e periferia8.

E’ chiaro che un tale cambiamento, a livello dei presupposti teorici, implica anche, necessariamente, un cambiamento degli strumenti e delle procedure operative. Ciò vuol dire, innanzitutto, partire da un nuovo partenariato tra i livelli di governo cui spettano responsabilità distinte ma necessariamente coordinate, per raggiungere il massimo dei risultati, secondo il principio di sussidiarietà verticale.

L’altro principio innovatore della letteratura e delle nuove programmazioni in tema di sviluppo territoriale è quello dell’approccio trasversale, trans-settoriale, che sostituisce quello settoriale. In questo caso il punto di riferimento teorico è l’enfasi posta sulla convergenza degli obiettivi e degli strumenti operativi in una medesima traiettoria di sviluppo, per dar vita ad un

8 Rapporto Nazionale sulle strategie per la protezione sociale e l’inclusione sociale 2006-2008, Ministero della Solidarietà Sociale.

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piano di intervento comune e sinergico basato sulla proficua integrazione dei diversi settori di intervento.

Si sottolinea la necessità di orientare le politiche verso progetti integrati (vedi Priorità IV del QSN), che pongano al centro dell’attenzione il cittadino beneficiario di pacchetti di servizi (sociali, sociosanitari, socio-educativi, socio-assistenziali, ecc. ). Si tratta cioè di pensare a percorsi integrati che assicurino la cooperazione tra servizi per l’impiego, servizi socio-assistenziali e sistema delle imprese, ivi comprese le imprese sociali.

Tale principio introduce anche un nuovo criterio di merito nella selezione degli interventi, che è quello della cooperazione paritetica tra pubblico e privato, attraverso forme di Public Private Partnership (PPP) e Public Private Initiative (PPI). Le istituzioni, a tutti i livelli di responsabilità, stanno “imparando” sempre più a lavorare in partenariato con il privato, mettendo anche a punto nuove metodologie di coinvolgimento. Su tale percorso si intende proseguire, secondo quanto dichiarato nei documenti specifici, soprattutto per definire congiuntamente sistemi efficaci di confronto e di monitoraggio delle politiche di inclusione sociale.

Alla cooperazione fra gli attori di un determinato territorio, pubblici o privati che siano, viene, quindi, affidato il buon esito delle politiche di sviluppo locale: concertazione, negoziazione e governance costituiscono l’attuale paradigma di queste politiche.

Con il termine “concertazione” si identifica un particolare approccio del momento decisionale in cui « le parti che intervengono […] apportano opinioni utili », mentre attraverso la negoziazione « le parti che negoziano partecipano direttamente al momento decisionale » (Ruegg, Mettanz e Vodoz, 1992). La negoziazione, dunque, indica un particolare approccio in cui si presuppone la cooperazione paritetica fra soggetti pubblici e privati, onde pervenire a risultati riconducibili a precise tipologie contrattuali. Essa si dota di appositi strumenti operativi che verranno elencati nel paragrafo successivo.

La governance9 costituisce il terzo aspetto di tale paradigma. Tale termine è entrato nell’uso comune per indicare una modalità di organizzare azioni o amministrare territori e cittadini, diversa da quella sottesa al termine governo. La governance è, dunque, la situazione in cui la formulazione e l’attuazione delle politiche pubbliche si realizza attraverso una pluralità di soggetti di diversa natura, che interagiscono fortemente ed a diversi livelli, attivando una modalità di esercizio della funzione di governo in cui i processi politici ed amministrativi, in rapporto alle caratteristiche delle società locali, debbono generare l’innovazione nella produzione di beni collettivi. La nozione di governance indica così uno stile di governo, che si differenzia dal modello del controllo gerarchico (che a lungo ha caratterizzato il ruolo delle istituzioni pubbliche), e che si fonda sulla cooperazione e l’integrazione tra lo Stato, gli Enti locali e gli attori non statuali, all’interno di reti decisionali formate da soggetti pubblici e privati, disciplinate da regole negoziate e concordate tra i partecipanti.

Dal punto di vista applicativo, il principio di governance del sistema viene assicurato tramite la programmazione integrata, che sostituisce il vecchio modello della programmazione settoriale, al fine di intercettare i nuovi e diversi bisogni che derivano dai mutamenti sociali, economici e culturali, e predisporre le risposte assistenziali. L’approccio integrato risponde, infatti, in modo più adeguato alla complessità dei problemi di un territorio, a partire dall’analisi dei bisogni dei cittadini fino alla scelta delle priorità di intervento.

Sulla base di questi nuovi riferimenti normativi, si dovrebbe realizzare quindi, da parte delle Amministrazioni, un significativo sforzo di prossimità e vicinanza delle politiche ai cittadini, che da beneficiari passivi e “silenti” diventano protagonisti attivi, sulla base della convinzione che il capitale sociale di un territorio va valorizzato in quanto strumento stesso di sviluppo. In tal senso, l’attivazione del privato e del singolo non è tanto da considerarsi quale esito dell’intervento ma come una pre-condizione ad esso, in un capovolgimento di prospettiva che vede i destinatari finali diventare partner di progetto.

9 La descrizione del concetto di governance è tratta da un precedente lavoro dell’IPRS: “Glossario della sicurezza e della legalità” in La sicurezza in Campania. Osservatorio regionale sulla sicurezza urbana, IPRS, 2008.

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2.2 Il quadro programmatico di riferimento nel periodo 2007-2013 Tale ripensamento dell’approccio teorico delle politiche di sviluppo territoriale ha, se vogliamo, trovato già una sua prima applicazione operativa in occasione dell’elaborazione del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 (QSN) attraverso il quale il Governo centrale, le Regioni e gli Enti Locali hanno portato avanti l’unificazione delle programmazioni delle politiche regionali, nazionali e comunitarie per realizzare un più forte raccordo tra di esse.

Infatti, in tutte le fasi della stesura del QSN è stato previsto un costante confronto con il partenariato economico-sociale e con le rappresentanze degli Enti Locali. Nella prima fase, conclusasi nel 2005, le Regioni e le Province autonome e il complesso delle Amministrazioni Centrali hanno predisposto un proprio Documento Strategico Preliminare (Documento Strategico Preliminare Nazionale e Documenti Strategici Regionali). Inoltre, nel caso del Mezzogiorno, le Regioni hanno anche realizzato un documento comune, il Documento Strategico per il Mezzogiorno (DSM). La seconda fase ha visto, invece, in primo piano il confronto tra i diversi livelli di governo e le parti economiche e sociali attraverso i Tavoli tematici e i Gruppi di lavoro, con la produzione di documenti congiunti.

Vediamo nello specifico quali sono, all’interno del QSN 2007-2013, le linee d’azione che dovrebbero andare a creare le pre-condizioni per la realizzazione di politiche che coniughino gli obiettivi dello sviluppo territoriale con quello della pari opportunità e dell’inclusione sociale.

Per quanto concerne il tema dell'inclusione sociale, è specificatamente prevista, nel QSN l'esigenza di prestare particolare attenzione all'integrazione nel mercato del lavoro delle persone svantaggiate, inclusi i lavoratori meno qualificati, tramite lo sviluppo dei servizi sociali e dell'economia sociale, nonché lo sviluppo di nuove fonti di impiego in risposta ai bisogni collettivi.

Il contrasto alla discriminazione, l’incentivazione dell'occupazione dei disabili e l'integrazione degli immigrati e delle minoranze etniche costituiscono gli snodi centrali delle attività.

In particolare, nel I Capitolo (paragrafo 1.4) del QSN 2007-2013, vengono individuati i principali ambiti di vita e target di popolazione su cui focalizzare gli interventi:

1) l’occupazione femminile, che presenta ancora divari elevati rispetto al dato maschile, soprattutto al Sud dove addirittura se ne osserva, nel periodo 2000-2006, un calo. “Tale riduzione del tasso di attività femminile si può collegare allo scoraggiamento dell’offerta in particolare nel Sud dove al calo dell’occupazione si aggiungono differenze strutturali, dovute ad esempio alla minore presenza di servizi di cura”. Inoltre, “(...) è elevato il numero di donne impiegate in forme di lavoro sommerso in molte regioni italiane ed in particolare nel Centro-Sud”. Permangono, infine, “…(…) ancora rilevanti forme di differenziali salariali tra uomini e donne” 10;

2) l’inserimento lavorativo dei cittadini immigrati: “(…) secondo le denunce raccolte dal Centro di Contatto dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), le disparità di trattamento e le discriminazioni dei lavoratori immigrati si manifestano principalmente nella difficoltà di accesso al mercato del lavoro (…) e, all’interno dell’ambiente lavorativo, nell’essere bersaglio di emarginazione, dequalificazione personale, assegnazione di mansioni umilianti (…), in particolare per i giovani. La maggior parte delle denunce pervengono dalle aree del Nord-Ovest e del Nord-Est, dove l’insediamento più stabile degli immigrati porta ad una maggiore esposizione ad episodi discriminanti nella gestione della quotidianità (ricerca di una casa, domanda di servizi pubblici, ricerca di un lavoro, accesso al credito), mentre nel Sud, area prevalentemente di transito, un’ampia percentuale di lavoratori immigrati è collocata nell’economia sommersa (…)”11;

3) la popolazione disabile, la cui percentuale in Italia, intendendo la disabilità “(…) come totale mancanza di autonomia per almeno una funzione essenziale

10 Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, pag. 33. 11 Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, pag. 34.

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della vita quotidiana, è pari al 5% circa della popolazione di età superiore a 6 anni che vive in famiglia (la stima sale a circa 7 milioni se si includono le persone che manifestano una “apprezzabile” difficoltà nello svolgimento di una o più di queste funzioni). A livello territoriale, si osserva un tasso di disabilità maggiore nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord (rispettivamente 5,5 per cento e 4,5 per cento), in particolare nelle regioni Calabria e Sicilia (6,3 per cento) (…)”12.

Dal punto di vista della metodologia operativa, la finalità di realizzare progetti di sviluppo locale che coniughino l’esigenza dello sviluppo con una forte attenzione al tema dell’inclusione sociale e delle pari opportunità per tutti nei territori viene perseguita, nel QSN 2007-2013, attraverso:

1) le politiche rivolte alle persone e alle imprese, la cui centralità nella definizione dei programmi e dei progetti deve essere assicurata attraverso un loro pieno coinvolgimento;

2) Le azioni di sistema, ovvero le politiche strumentali rivolte al consolidamento del sistema di servizi (infrastrutture materiali ed immateriali, diffusione e sperimentazione standard di servizio, di professioni sociali, di profilo di cittadinanza sociale, di azioni informative e di orientamento, sensibilizzazione, rafforzamento della legalità), accompagnati da interventi formativi e dalla promozione di buone pratiche già sperimentate in tema di servizi13;

3) I programmi volti alla riqualificazioni delle città e dei sistemi urbani14.

Le persone, i servizi e i territori rappresentano, in quest’ottica, aspetti centrali per la programmazione degli interventi. L’enfasi sulla valorizzazione del capitale umano è dettata, come si legge nella parte introduttiva al QSN 2007-2013, anche dall’analisi dei fattori di “freno” ritenuti responsabili della stagnazione sociale e della produttività in Italia, rispetto al resto dell’Europa, nel periodo di programmazione 2000-2006.

2.3 Inquadramento ed analisi del conteso territoriale di riferimento Passando dall’approfondimento dei riferimenti teorici alla realizzazione operativa dello studio, data l’assoluta vastità del tema oggetto di analisi, e considerata, quindi, la necessità di delineare l’ambito di studio, si è scelto di individuare tre macro-tematiche principali all’interno dell’area politiche di sviluppo che consentano di esplicitare i fattori che hanno permesso di raggiungere obiettivi di pari opportunità e non discriminazione nell’attuazione di interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana:

- il tema “riqualificazione e riorientamento nell’uso degli spazi immobili pubblici” (tema 1);

- il tema “riqualificazione di aree dimesse, aree degradate e aree marginali (tema 2);

- il tema “potenziamento del sistema di mobilità locale (tema 3).

Per ciascuna tematica è stato individuato uno o più contesti territoriali specifici nei quali realizzare un case study, attraverso le interviste con gli stakeholders e i focus group con i principali attori territoriali e testimoni privilegiati:

− Per il primo tema si è scelto di approfondire i casi studio delle Regioni Campania e Sicilia;

− Per il secondo tema è stato analizzato il caso studio di Riace;

12 Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, pag. 35. 13 Priorità IV “Inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale” del QSN pagina 113. 14 Priorità VIII”Competitività ed attrattività delle città e dei sistemi urbani” pagina 146 del QSN.

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− Per il terzo tema è stato analizzato il caso studio del Comune di Lecce.

A seguire si riporta l’analisi in profondità dei suddetti contesti territoriali individuati all’interno delle Regioni Obiettivo Convergenza.

Tema 1: La “riqualificazione e il riorientamento nell’uso degli spazi immobili pubblici”

Va, innanzitutto, sottolineato che la difficoltà di realizzare interventi di riuso dei beni confiscati ne rende ancor più alto il significato etico ed il valore simbolico per la comunità locale e per l’intera società civile: laddove le istituzioni riescono a portare a compimento con successo la procedura di riuso dei beni confiscati, il segno della discontinuità viene con forza ed evidenza opposto alla presunta invincibilità della criminalità organizzata.

In tal senso, si può affermare che lo strumento del riutilizzo dei beni confiscati alle mafie rappresenta un modello di applicazione di diversi assunti teorici che incidono su:

- la dimensione economica, in quanto la confisca dei beni alle mafie rappresenta una possibilità di sviluppo economico. Attraverso di essa lo Stato si riappropria di quanto la mafia ha sottratto con la violenza, l’intimidazione ed il ricatto allo Stato ed alla Società civile;

- la dimensione sociale, dal momento che nella maggior parte dei casi la destinazione d’uso dei beni confiscati viene concessa a cooperative, enti e associazioni impegnati nel lavoro con soggetti svantaggiati e in condizioni di marginalità (immigrati, persone diversamente abili, anziani, minori a rischio, donne in difficoltà, disoccupati, ecc.). In tal senso, la scommessa più difficile e parzialmente ancora non realizzata è quella di offrire reali ed efficaci possibilità di sviluppo e reinserimento a quei segmenti della popolazione più fragili e marginalizzati, dando sostenibilità economica a questi nuovi attori produttivi;

- l’aspetto simbolico, in quanto il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie rappresenta in modo visibile ed incisivo la rivincita dello Stato sull’illegalità. Quegli stessi beni che nelle mani della mafia apparivano come simbolo del potere e della capacità di intimidazione, una volta riacquisiti dallo Stato diventano il simbolo del prevalere della cultura della legalità e della pari opportunità, andando a rafforzare proprio la partecipazione alla vita economica e sociale di quei soggetti in condizioni di marginalità. Da questo punto di vista la scommessa è che propri tali soggetti possano diventare testimoni della vittoria dello Stato sulla mafia e del contrasto a qualsiasi forma di criminalità.

Il Progetto analizzato per la Regione Campania si chiama “Riuso dei beni confiscati”, avviato dalla Regione in base alla legge regionale 23 del 12 dicembre 2003. Tale normativa prevede che l’individuazione del bene immobile confiscato sia il risultato di un’azione concertata tra i diversi livelli istituzionali: Prefettura, Provincia e Regione. Grazie al finanziamento regionale, previsto dalla legge medesima, numerosi comuni delle Province di Caserta, Napoli e Salerno (Angri, Castelvolturno, Napoli, Pignataro Maggiore, Pomigliano d’Arco, Sarno e Villaricca) hanno promosso progetti finalizzati alla ristrutturazione dei beni confiscati, trasformandoli in centri di accoglienza per minori in affido, centri di aggregazione giovanile, case famiglia.

La LR 23/03 della Regione Campania ha pienamente recepito la valenza e il significato, anche simbolico, insiti nello strumento del riutilizzo dei beni confiscati: il valore dell’intervento è maggiore quanto più rapidamente e con efficienza il bene confiscato viene riutilizzato. E’ in questo conteso che si colloca il sostegno offerto dalla Regione attraverso la legge agli Enti locali assegnatari di beni confiscati che presentano progetti di riuso.

In questo specifico ambito, la strategia regionale punta all’attivazione del sistema delle autonomie locali, pur se limitatamente ai comuni assegnatari di beni confiscati, che sono i destinatari di un incentivo concreto per la realizzazione di progetti finalizzati al riuso di tali beni. La destinazione del riuso dei fabbricati, dei terreni e delle aziende confiscate si prevede che avvenga a fini sociali o istituzionali, in accordo con la normativa nazionale. Ciascun progetto di riuso implica il concorso di risorse dell’Ente locale beneficiario del contributo

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regionale e, nel caso di destinazione del bene confiscato a fini sociali, l’eventuale convenzione tra il comune e l’attore locale che gestirà la riconversione del bene medesimo.

In Campania si contano circa 1.200 beni confiscati, di cui circa la metà assegnati ai comuni, secondo i dati aggiornati al 2006. I beni assegnati si trovano in quattro delle cinque Province e sono così distribuiti: 8 beni immobili nella Provincia di Avellino, 193 nella Provincia di Caserta, 382 in quella di Napoli e 63 in quella di Salerno.

I progetti di riuso dei beni confiscati finanziati attraverso la LR 23/03 sono stati 33 nel corso delle tre annualità (2005-2007) prese in esame dal monitoraggio effettuato dall’Iprs15 e per il quale si rimanda alla versione completa del report di ricerca.

Per quanto riguarda la Regione Sicilia è stata analizzata l’esperienza realizzata dal Consorzio “Sviluppo e Legalità”, costituito per volontà di otto amministratori locali, che ha consentito di restituire alla cittadinanza, tramite servizi e attività di promozione sociale e lavoro, decine di immobili confiscati alla mafia.

La comune volontà di combattere concretamente Cosa nostra ha consentito di superare le diversità ideologiche e far prevalere il senso di responsabilità degli Amministratori locali, i quali si sono resi conto che, in ogni caso, singolarmente non sarebbero mai riusciti ad utilizzare gli immobili loro assegnati in modo proficuo.

Infatti, beni stimati diversi milioni di euro erano rimasti inutilizzati, anzi in stato di abbandono, non avendo le singole amministrazioni comunali la possibilità di gestirli secondo criteri di efficienza e managerialità. Si trattava, quindi, di un’enorme ricchezza che se ben utilizzata, invece, avrebbe potuto dare un notevole impulso al rilancio socio-economico del territorio16.

E’ in questo contesto che è stato costituito, ai sensi dell'articolo 31 del D. Lgs. N° 267/2000, un Consorzio, denominato "Sviluppo e Legalità", dotato di autonomia gestionale e di personalità giuridica di diritto pubblico per gestire, mediante l'affidamento in concessione a titolo gratuito a cooperative sociali di cui alla legge n. 381/1991, il complesso dei terreni agricoli e fabbricati rurali confiscati, che i Comuni assegnatari hanno conferito in godimento allo stesso.

L’idea fondamentale del Progetto "Sviluppo e Legalità", che è quella di promuovere, in territori ad altissima densità mafiosa, una cultura imprenditoriale tra i giovani e i disoccupati, comincia a farsi strada anche tra coloro che fino a qualche tempo fa mai avrebbero osato occuparsi dei beni confiscati ai padrini di Cosa nostra.

L’obiettivo è quello di realizzare un piano di sviluppo locale con il supporto e il coinvolgimento di partner tecnici. Grazie ad un’intensa attività di animazione e all’apporto formativo di tutti gli Enti chiamati a sviluppare i singoli progetti è stato realizzato un capillare studio del territorio risultato particolarmente vocato nei settori agro -alimentare ed agrituristico. Inoltre, è stata rilevata un’alta possibilità di crescita per lo sviluppo di piccole e medie imprese e l’erogazione di servizi.

Con la disponibilità di alcune società a prevalente capitale pubblico, tra le quali "Sviluppo Italia", "Sudest" ed "Italia Lavoro", è stata avviata un’intensa attività di sensibilizzazione sul territorio al fine di promuovere le iniziative produttive capaci di favorire lo sviluppo locale. Intenso è stato il lavoro di sinergia con cooperative sociali, Enti Locali, associazioni di volontariato, Enti regionali e Amministrazione centrale dello Stato. Sono stati finanziati ed avviati progetti strutturali, programmi di sviluppo del tessuto socio-economico, creati nuovi posti di lavoro. È stata data assistenza ai soggetti coinvolti per la predisposizione di idee progettuali, utilizzando anche le apposite leggi di finanza agevolata. Sono state promosse azioni di formazione, di tutoraggio, di trasferimento di conoscenze al fine di creare nuove professionalità. È stato effettuato un monitoraggio di tutti i beni, con relativi sopralluoghi al fine di verificare la fattibilità dei rispettivi progetti.

15 La sicurezza in Campania. Primo rapporto dell’Osservatorio regionale sulla sicurezza urbana, a cura di Censis- I.P.R.S.- Adacta- Il Sole 24 Ore, giugno 2008. 16 La descrizione del processo di costituzione del Consorzio Sviluppo e legalità riportato in questo paragrafo è stato tratta dal sito del Consorzio www.ristretti.it.

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Soprattutto, con l’istituzione del Consorzio "Sviluppo e Legalità" è stato possibile riunire, sotto un’unica regia, tutto il patrimonio confiscato ai boss mafiosi nel vasto comprensorio dell’Alto Belice - Corleonese. Fabbricati rurali e terreni destinati all’agricoltura sono stati utilizzati per creare un programma d’iniziative e promuovere nello stesso tempo una nuova cultura imprenditoriale che prevede un investimento complessivo di 3.600.000 euro.

Il Consorzio Sviluppo e Legalità gestisce oggi, per conto dei Comuni soci, un patrimonio costituito da circa settecento ettari di terreni agricoli e da fabbricati rurali confiscati alla criminalità organizzata e assegnati al Consorzio in condizioni di abbandono. Oggi questi beni sono stati affidati in gestione a Cooperative di giovani disoccupati che svolgono attività di impresa agricola e attività sociale.

II Consorzio "Sviluppo e Legalità" costituisce un esempio di buona pratica tanto che Il Ministero dell’Interno ha deciso di trasformare questo progetto in un modello da esportare anche nelle altre regioni del Meridione, dove sono numerose le proprietà sottrarre alla criminalità organizzata. E così, l’esperienza del Consorzio "Sviluppo e Legalità" ed i brillanti risultati raggiunti, sono diventati i punti cardinali di un progetto pilota del Programma Operativo nazionale per la Sicurezza e per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, del Ministero dell’Interno, che ha promosso analoghe iniziative anche in altre regioni del Sud d’Italia.

Il coinvolgimento delle forze più sane e sensibili ai valori della democrazia, ha contribuito notevolmente al successo dell’iniziativa che in pochi anni ha provocato una vera e propria "rivoluzione sociale": la cultura della legalità si diffonde sempre più in vasti settori della società.

Tema 2: La “riqualificazione delle aree dimesse, degradate e marginali”

Come già detto sopra, per il tema “Riqualificazione di aree dimesse, aree degradate e aree marginali” si è scelto di approfondire l’esperienza di Riace dove è stato avviato un processo di rivitalizzazione di un borgo rimasto spopolato a causa dell’emigrazione attraverso l’integrazione degli immigrati.

Questo paesino della Locride in Provincia di Reggio Calabria che conta 1.842 abitanti17 indica come si possano coniugare sviluppo e coesione sociale, riqualificazione ed equità. Qui, l’apertura al “diverso”, allo straniero giunto improvvisamente dal mare, non ha avuto il tempo e il modo di innescare processi discriminatori. Il modello di integrazione che si è andato sperimentando è servito a prevenire più che a curare.

L’approccio originale al tema della convivenza, declinato in diverse proposte innovative, ha costruito virtuose sinergie tra il pubblico e il privato che hanno visto il diretto coinvolgimento dei cittadini immigrati. Quando si parla di richiedenti asilo e rifugiati si tende a sottolinearne il bisogno di sopravvivenza più che di integrazione, la dimensione di precarietà propria di chi non sa se sarà accolto o se sarà comunque in grado di superare l’esperienza dell’emigrazione forzata, di recuperare un ruolo attivo liberandosi da quello di vittima bisognosa di assistenza permanente. Non è questo il caso dei 350 tra kurdi, iraniani, palestinesi, afghani e cittadini dell’Europa dell’Est che vivono a Riace insieme a tanti uomini e donne venuti dall’Africa.

Tutto comincia il 1° luglio 1998 con uno sbarco di 300 kurdi sulla Costa Ionica. “Ero sulla statale e ho visto questa folla che usciva dall’acqua”, dice l’attuale sindaco di Riace, Domenico Lucano. Dapprima il Comune di Riace si impegna per garantire ai rifugiati accoglienza e alloggio nell’emergenza, ma la vera sfida consiste nel trasformare l’emergenza in opportunità. Come si è riusciti in questo intento? “Con progetti piccoli, concreti” spiega il sindaco. “Con i finanziamenti europei e della banca etica: in centro c'erano decine di case abbandonate, lasciate da chi era emigrato non ‘in AltaItalia’, come diciamo qui, ma in un altro continente. Mi attaccai al telefono e i nostri concittadini emigrati in Venezuela, Argentina, Canada, Australia non se la sentirono di negare un tetto a chi cercava la fortuna altrove, come avevano fatto loro decenni prima. Così è cominciato tutto; abbiamo aperto le case disabitate da decenni e le abbiamo ristrutturate”. “Ma non perché siamo boy-scouts”, insiste il sindaco, “bensì perché abbiamo un progetto, un sogno, che non è neutrale ma ci fa stare da una parte ben precisa”.

17 Statistiche demografiche ISTAT 2009.

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Domenico Lucano, per tutti “Mimmo dei kurdi”, è sindaco di Riace dal 2004. Eletto con la lista civica «Un’altra Riace è possibile» ha mantenuto la promessa. Più volte intervistato da più parti su cosa sia successo e su quale sia il segreto di questo successo, ci ha recentemente spiegato che “è stato un caso, ma c’è stato anche tanto impegno”. Sulla porta del suo ufficio da sindaco ha scritto una nota: “I cittadini sono sempre benvenuti”. Lui però non attende che vengano a bussare. Passa l’intera giornata nelle viuzze del centro storico di Riace, ha supervisionato la costruzione dell’anfiteatro davanti al municipio, adesso carica sulle spalle sacchi di concime, strappa l’erba dalle aiuole mentre chiacchiera incessantemente al telefono, saluta con emozione i richiedenti asilo che su queste colline invase dal cemento e dalla ’ndrangheta, a sorpresa, hanno trovato un rifugio accogliente, una casa e un lavoro nei laboratori artigianali che lo stesso Lucano sognava da giovane per ridare vita a questo antico borgo spopolato: “Gli amici se ne sono andati al nord, io sono rimasto”. E’ rimasto per costruire un pezzo minuscolo di Calabria pulita all’interno di una Calabria nota soltanto per la mafia e la disoccupazione cronica: “Il male salta sempre agli occhi”, dice mentre prepara personalmente un piatto di pasta per i suoi ospiti del giorno, “e nessuno sospetta che noi reagiamo con le stesse forze”.

Tema 3: Il “potenziamento del sistema di mobilità locale”

Rispetto a questo terzo tema è stato individuato il Progetto “Un ponte verso lo sviluppo economico sociale culturale”, definito nel quadro del Piano Strategico dell’Area Vasta Lecce 2005-2015 come un’interessante realtà da approfondire.

Il Progetto mira al riequilibrio socio-economico di un’area corrispondente a 31 Comuni del nord del Salento, siti in una sub-regione nel Tavoliere Talentino, al rilancio della loro competitività, all’incremento della coesione territoriale e sociale, nonché allo sviluppo di strategie di internazionalizzazione e networking.

Esso trova fondamento in un’idea di sviluppo urbano che prevede un sistema di infrastrutture efficiente ed adeguato alle esigenze dell’assetto produttivo locale e lo intende quale presupposto principale per lo sviluppo economico-sociale dell’intero territorio, ovvero quale fattore essenziale per l’aumento della produttività delle realtà economiche presenti e quale fattore di spinta per la localizzazione di nuove iniziative imprenditoriali.

Si tratta, in sostanza, di un modello di governance territoriale che non solo è in linea con le proposte della Commissione europea sulla dimensione urbana declinate nel Terzo Rapporto sulla coesione del 18 Febbraio 2004, ma che ha anche una forte coerenza con la matrice concettuale, le priorità e i presupposti teorici esplicitati nel QSN 2007-2013.

Questo intervento, infatti, mette a sistema alcune fasi dell’agire dell’Amministrazione ed illustra un metodo di lavoro che consideri contemporaneamente le esigenze locali e le prospettive europee e globali in un percorso di sviluppo territoriale sostenibile, integrato, intersettoriale e partecipativo per favorire e promuovere lo sviluppo economico, culturale e sociale.

L’idea chiave18 del Piano Strategico dell’Area Vasta Lecce è rappresentata da un “ponte” di alleanze territoriali per un’area territoriale aperta, che dal Sud della regione adriatica, può diventare un motore di proposte e di lavoro permanente anche per l’area mediterranea, con la finalità di consolidarne e rafforzarne la dimensione territoriale in un processo di integrazione e di convergenza fra programmazione regionale e visione territoriale applicata alle opportunità ed alle prospettive di un’“Europa Allargata e Mediterranea”, che prende sempre più forma e sostanza.

In questo ciclo di programmazione 2007-2013 l’Area Vasta Lecce intende assumere, insieme alla Regione Puglia, un ruolo importante di cerniera fra le prospettive di adesione dei Paesi adriatico orientali e le opportunità offerte dalla creazione di una zona di libero scambio nel Mediterraneo. Geograficamente, infatti, la Puglia è l’unica regione italiana eleggibile nell’ambito della Cooperazione Territoriale sia con l’Area balcanica sia con l’Area mediterranea, le quali concorrono entrambe alla più generale politica di prossimità dell’Unione Europea che tende ad

18 La descrizione della vision e degli obiettivi del progetto è tratta dal “Documento di Piano Strategico Area Vasta Lecce 2005-2015” aggiornato a Maggio 2009 (sito internet: www.areavastalecce.it ).

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un allargamento effettivo dell’ambito di relazioni economiche, sociali ed infrastrutturali oltre gli attuali confini.

Il percorso di pianificazione strategica dell'Area Vasta Lecce è stato ispirato da alcune idee fondanti:

a) la partecipazione, l'aggregazione, la condivisione, la concertazione definiscono un processo nel quale l’utilizzo delle risorse, l’orientamento dello sviluppo ed il cambiamento istituzionale si spiegano in armonia e accrescono le potenzialità presenti e future e per soddisfare le aspirazioni ed i bisogni delle persone in un'ottica di alto coinvolgimento di tutte le parti sociali;

b) la complementarietà indica la capacità del Piano Strategico di attivare un meccanismo nel quale le interrelazioni dentro e tra i sistemi coinvolti, tra Capitale Istituzionale, Capitale Umano e Capitale Sociale, sono tali per cui vision e mission sono il risultato della reciproca influenza nei processi di negoziazione e co-decisione;

c) l’equilibrio e la prospettiva futura delineano un percorso mediante il quale si persegue uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni, rivedendo, rinforzando e correlando le ipotesi di azioni innovatrici in una prospettiva di lungo termine;

d) L’appartenenza, l’unione, il gioco di squadra riflettono la capacità del Piano Strategico di convogliare un patrimonio umano costituito da conoscenze, abilità, competenze individuali e valori condivisi all’interno del contesto locale verso un unico disegno strategico;

e) La forza delle idee e la strategia indicano un metodo di lavoro che consente di formulare ipotesi di azioni innovatrici facendo confluire percezioni e opinioni diverse in combinazioni e soluzioni condivise, al fine di delineare strumenti interpretativi e chiavi di lettura per tracciare le traiettorie di sviluppo.

All’interno del Piano Strategico Area Vasta Lecce 2005-2015 viene posta una specifica attenzione al tema della coesione sociale, ritenuta un’importante componente di sviluppo e considerata come una “cornice all’interno della quale tutte le politiche di governo devono convergere per garantire l’effettivo miglioramento delle condizioni di welfare19”.

Il Piano, in linea con quanto previsto dalla strategia di Lisbona e di Nizza, dalla strategia europea per l’occupazione e dall’Asse III del PO FESR Puglia 2007-2013, propone il principio dell’integrazione non solo come metodo di lavoro ma come “direzione prioritaria per la costruzione di un sistema di società maggiormente inclusiva e coesa20”.

L’ottica con cui ci si è mossi all’interno del Piano per individuare i bisogni e le priorità su cui far convergere la programmazione degli interventi è stata quella della “diagnosi di contesto” che ha consentito di evidenziare le carenze maggiori esistenti in alcune “aree del disagio” all’interno del territorio.

A seguito di questo primo momento “diagnostico”, sono state individuati gli ambiti su cui il Piano intende intervenire al fine di perseguire la direzione strategica “Coesione: una rete sociale per l’inclusione, la solidarietà e il benessere diffuso”. Le principali tipologie di intervento previste riguardano:

a) Il contrasto di tutti i fenomeni di esclusione sociale e il potenziamento dei servizi sociali: la realizzazione di strutture per interventi nel campo della prevenzione dei fenomeni di disagio; gli interventi nel campo dell’offerta di servizi sanitari; gli interventi per la creazione e/o riqualificazione di strutture per l’offerta di servizi sociali e sanitari;

b) L’integrazione sociale di donne, giovani ed immigrati attraverso un migliore accesso alle opportunità lavorative: gli interventi per la realizzazione di un

19 Piano Strategico Area Vasta Lecce 2005-2015, p. 196 (www.areavastalecce.it). 20 Ibidem

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sistema culturale comunale; la realizzazione di incubatori; l’osservatorio del mercato del lavoro; le attività formative.

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Sezione 3. L’ANALISI E LA SELEZIONE DELLE BUONE PRATICHE NAZIONALE ED INTERNAZIONALE

3.1 Le buone pratiche nazionali

Iniziamo dal contesto nazionale, presentando un insieme di progetti pilota e di pratiche promettenti realizzate a livello comunale, provinciale e regionale in Italia, che potrebbero essere classificate come “buone pratiche”, anche se per ora non tutte sono state comprovate.

L’elenco delle buone prassi selezionate presentato è diviso per gli ambiti tematici precedentemente descritti.

Tema 1: La riqualificazione delle aree dismesse e marginali

Regione Piemonte

Target di popolazione destinataria: immigrati e cittadini italiani

L’Assessorato alle politiche di integrazione e rigenerazione urbana della Città di Torino ha avviato forme di sperimentazione e accompagnamento per l’uso sociale dello spazio pubblico, proponendo forme innovative di risoluzione dei conflitti attraverso processi di negoziazione partecipata delle regole d’uso. Nella città di Torino si possono citare i seguenti esempi di interventi di accompagnamento all’uso sociale dello spazio pubblico:

- nel parco della Pellerina, luogo di ritrovo informale della comunità peruviana, è stato avviato un percorso finalizzato ad attenuare i conflitti che lo avevano reso tristemente famoso21.

- l’iniziativa “Il Po e gli indiani- S.piazzamondo”, concepito come uno spazio per scoprire la diversità all’interno della città;

- la realizzazione di un campetto di calcio nella piazza del mercato, concepito come spazio per giocare;

- la biblioteca itinerante: uno spazio per imparare;

- l’niziativa “Lingue in piazza”: uno spazio per apprendere le altre lingue e scambiare le proprie specificità culturali;

- la riqualificazione di piazza Livio Bianco, nella periferia sud di Torino, che ha infuso nuova energia ad un quartiere in situazione di degrado, restituendo agli abitanti un centro vivo e vitale per l’aggregazione sociale e culturale.

Regione Toscana

Target di popolazione destinataria: anziani

Il Progetto “Abitare Solidale”, realizzato dall’Associazione Auser nel territorio di Firenze, si occupa di trovare forme di coabitazione gratuita per gli anziani rimasti soli in case troppo grandi per provvedere alla manutenzione delle stesse. Scopo del Progetto è quello di offrire un sostegno psicologico e pratico a persone non più in grado di contare unicamente sulle proprie forze, facilitando al contempo la ricerca di alloggio a chi non può permettersi o non riesce a sostenere un affitto.

21 Partendo del riconoscimento dei bisogni, è stata aperta la fase negoziale con gli stakeholders locali, che ha poi portato all’infrastrutturazione del parco/ area pic nic, fino alla costituzione di un’associazione e alla sua gestione formalizzata attraverso la definizione di regole condivise e l’accompagnamento delle donne nelle prime fasi dell’esperienza. I risultati, a due anni dall’intervento, sono stati i seguenti: attenuazione del conflitto, interlocuzione con la comunità, crescita di consapevolezza, rispetto delle regole, pagamento della Cosap e dei contenziosi pregressi, cambiamento dei frequentatori, sviluppo di attività culturali e ricreative che coinvolgono anche cittadini italiani;

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Regione Calabria

Target di popolazione destinataria: giovani e anziani

Il Progetto di riqualificazione dei centri storici in Calabria, a cura dell’Assessorato all’urbanistica e del governo del territorio della Regione Calabria, utilizza le risorse destinate dalla Legge Regionale n°1 del 2006 alla Provincia di Reggio Calabria, con particolare attenzione all’area della Locride.

Tale progetto, oltre al caso di Riace già segnalato, include interventi di sviluppo territoriale legati ad obiettivi di inclusione sociale che prevedono, in alcuni casi, come quello di Caulonia (RC), progetti di accoglienza e integrazione per immigrati, in altri casi, come per Gerace, la riqualificazione di spazi aperti ad uso di bambini e anziani, o ancora, come nel caso di Siderno, la riqualificazione di fabbricati per la creazione di realtà produttive che diano lavoro a giovani artigiani.

Tema 2: La riqualificazione e il riorientamento nell’uso degli spazi immobili pubblici

Regione Campania

Il Progetto “Realizzazione di una casa famiglia per donne vittime di violenza” nasce dalla proficua sinergia tra il Comune, nelle vesti dell’Assessorato alle Pari Opportunità, e le associazioni Dedalus e Arcidonna che, in partenariato, andranno a gestire la Casa per donne vittime di violenza all’interno di un bene confiscato alla camorra nel Comune di Napoli. Questo Progetto rappresenta un esempio di governance multilivello in quanto ha visto l’utilizzo di diverse risorse finanziarie: i fondi del Pon Sicurezza per la restaurazione, un finanziamento comunale per ciò che attiene i servizi erogati nella casa per il primo anno, un finanziamento regionale e, infine, a partire dal secondo anno il progetto sarà sostenuto attraverso le risorse del FSE.

Regione Sicilia

L’esperienza del Consorzio Sviluppo e Legalità, precedentemente descritta (vedi paragrafo 2.3).

Regione Veneto22

L’esperienza di Villa Donà riguarda una villa con giardino, confiscata il 12 marzo 1996 nel territorio di Campolongo Maggiore (VE) e destinata per volontà dell’Amministrazione comunale all’area dei servizi sociali, al fine di sfruttare le potenzialità offerte da questi spazi per avviare progetti mirati. Per il triennio in corso il Comune di Campolongo è capofila di un’iniziativa attiva da diversi anni e rivolta a rispondere ai bisogni di persone a rischio di esclusione sociale, organizzata in forma associata assieme ad altri quattro municipi della Riviera del Brenta (Campagna Lupia, Camponogara, Vigonovo e Fossò). Si tratta di un servizio rivolto a persone con problematiche di tipo psichiatrico o di isolamento sociale, dotate di un discreto grado di autonomia, che mira a sostenere le capacità degli utenti e a promuovere condizioni di benessere per i membri svantaggiati delle comunità attraverso esperienze di socializzazione positiva.

Regione Lombardia23

Dal 2004 l’Associazione Duepuntiacapo gestisce un appartamento di 270 mq in uno stabile a Paderno Dugnano (MI), utilizzato come sede di un Centro Socio Educativo per persone con

22 La descrizione di questo progetto è tratta dall’indagine realizzata dell’Associazione Libera e pubblicata sul sito www.libera.it 23 Ibidem

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disabilità. Dello spazio usufruiscono 19 persone, con le quali è stato impostato un progetto educativo individualizzato, con precisi obiettivi e strumenti per il loro raggiungimento, condiviso con le famiglie e i servizi sociali. Il 13 marzo 2009 Duepuntiacapo ha contribuito, assieme alla Sezione CAI di Paderno, che ha sede presso un altro bene confiscato nella zona, all’iniziativa di sensibilizzazione “Dal bene al meglio. Dal Sud al Nord le mafie restituiscono il maltolto”, organizzata con il patrocinio del Comune di Paderno Dugnano e della Provincia di Milano. Un elemento essenziale di tutte le attività progettuali è la centralità data alle persone disagiate che usufruiscono degli interventi e alle loro famiglie, attraverso la condivisione di obiettivi e modalità progettuali al fine di valorizzare la soggettività degli individui coinvolti, sviluppare le risorse personali e di rete, favorire il recupero o la conquista di livelli di autonomia e di miglioramento della qualità di vita.

Regione Toscana24

L’esperienza del gruppo Valdinievole, fondato nel 1989 in un bosco delle colline del Pistoiese, nel Comune di Massa e Cozzile, è l’esperienza di una comunità di recupero per soggetti tossicodipendenti. Dal gennaio 2007 la sede operativa della comunità è presso la casa colonica di Via Macchino, che è stata il primo bene immobile in Toscana a essere confiscato alla criminalità organizzata, assegnato e infine destinato a scopi sociali. Il casolare, utilizzato dal Clan Nuvoletta come raffineria di droga, è stato trasformato in un luogo terapeutico per il recupero di persone dipendenti da sostanze stupefacenti.

Regione Piemonte

Il Progetto Geoblog nasce circa due anni fa, quando l’Osservatorio per la legalità di Libera Piemonte ha iniziato a ragionare su una possibile mappatura dei beni confiscati sul territorio piemontese. Questa idea ha portato alla creazione di una apposita piattaforma digitale che si chiama Geoblog: si tratta di una cartina del Piemonte sulla quale si possono trovare delle icone di 3 colori diversi rosso, verde e giallo. Ogni icona corrisponde ad un bene confiscato e i diversi colori ci fanno capire a che punto è la riassegnazione del bene. Questo strumento è un work in progress che garantisce una grande accessibilità e una possibilità di aggiornamento continuo. L’auspicio dei promotori dell’iniziativa è che si possa creare una rete di tutti i geoblog-territori che si occupino di monitorare capillarmente e dal basso i beni confiscati.

Tema 3: Il potenziamento del sistema di mobilità sociale

Regione Lombardia

Target di destinatari: persone over 40 espulse dal mondo del lavoro

Il Progetto Maieuta, promosso e realizzato dall’Associazione Lavoro over 40, ha previsto la messa in campo dei seguenti strumenti programmatici e metodologici:

- interventi altamente personalizzati;

- adozione e implementazione di esperienze europee (in questo caso olandesi) e italiane (Macerata) positive;

- uso dello strumento della validation prior learning ovvero la validazione delle competenze pregresse delle persone, che vengono certificate alle aziende. Questo strumento è stato messo a sistema, cioè utilizzato dai centri per l’impiego olandesi, assunto come buona prassi dalla Provincia di Macerata che l’ha, a sua volta utilizzato in alcune imprese, andando a valutare le potenzialità25

24 Ibidem. 25 25 Il VPL (Validation of Prior Learning) è un processo che analizza, valuta, valida e assicura il riconoscimento delle competenze del lavoratore nell’azienda in funzione delle sue reali competenze. Il sistema ha lo scopo di migliorare il riconoscimento delle qualifiche e delle competenze comunque e ovunque acquisite, vale a dire l’intero capitale umano. Il risultato è una certificazione che, in Olanda, permette ai lavoratori di ottenere titoli fino al diploma con validità nazionale. Il modello, nato in Olanda, costituisce uno strumento di promozione globale della persona e, visto che è

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esistenti e ricollocando le persone nelle posizioni più adeguate e quindi efficaci all’interno dell’azienda. Le imprese che erano scettiche su tali interventi si sono ricredute, esprimendo una valutazione positiva rispetto all’utilizzo di tale strumento;

- il coinvolgimento come stakeholder delle pubbliche amministrazioni affinchè questa metodologia venga recepita dal pubblico e adottata al suo interno. In tal senso la Provincia di Roma, alla fine di Gennaio ha emesso un bando di concorso solo per gli over 40 mentre un altro progetto ha adottato tale metodologia all’interno del Comune di Roma. Si sta adesso pensando alla replicabilità del’esperienza in altri territori italiani.

Regione Lazio

Target di destinatari: soggetti individuati come più a rischio di esclusione sociale e di marginalità all’interno della categoria degli immigrati.

I presupposti fondamentali del Progetto “Punti di forza. Percorsi di inclusione di lavoratori immigrati”, coordinato dal Centro Astalli, sono stati i seguenti:

- la sensibilizzazione delle aziende: fondato sulla consapevolezza che uno dei presupposti per favorire l’ingresso nel lavoro delle cosiddette fasce deboli è proprio il lavoro sulle, ma soprattutto con, le aziende nel senso di responsabilità sociale delle aziende stesse;

- il partenariato profit-no profit: in questo progetto si è scelto di lavorare, per la prima volta nell’esperienza del Centro Astalli, con un’azienda profit, un’impresa che fa consulenza per le aziende.

- l’adozione di un percorso modulare per piccoli gruppi: per rispondere alle diverse esigenze emerse sono state messe a punto varie fasi: l’orientamento ai servizi del territorio, il rafforzamento delle competenze linguistiche in piccoli gruppi, la formazione specialistica, la simulazione di colloqui e situazioni lavorative. L’idea era di far emergere gli sbocchi lavorativi potenziali incrociandoli poi con le competenze e le attitudini individuate.

Le esperienze, anche quando non si sono concluse con l’assunzione, hanno avuto una grande valenza dal punto di vista psicologico: persone che da tempo erano state professionalmente dequalificate hanno potuto sperimentare la possibilità di lavorare in ambiti adeguati al proprio livello di istruzione e formazione, recuperando autostima e motivazione.

Regione Marche

Target di destinatari: immigrati

Il Progetto E.T.N.I.C.A, rivolto all’inserimento lavorativo degli immigrati e coordinato dal Responsabile del Centro per l’Impiego di Jesi (AN), ha riguardato:

- la costituzione di un’ampia rete partenariale, coinvolgendo partner italiani e transnazionali, comprese tutte le associazioni datoriali principali (circa 20 partner in totale);

- il lavoro sulla comunità locale per creare tutte quelle condizioni volte a favorire l’integrazione;

- la realizzazione di un’attività propedeutica all’individuazione di bisogni e strategie di azione efficaci (attività di studio di aspetti specifici e peculiari della realtà immigratoria nel contesto oggetto dell’intervento (Provincia di Ancona));

collegato all’azienda, è contestualmente uno strumento di sviluppo aziendale. Esso è costruito sui principi europei per l’apprendimento non formale e informale e in coerenza con il quadro europeo per le qualificazioni.

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- l’avviamento di un’intensa attività di contatto con gli stakeholders locali soprattutto attraverso il coinvolgimento di testimoni di parità, figure strategiche mutuate dall’esperienza francese, con funzione di mediazione tra le proprie comunità e le istituzioni;

- la valorizzazione del lavoro sulla comunicazione, che ha previsto due binari di azione: da una parte ci si è posti la questione di come comunicare in una maniera che risultasse veramente efficace con l’immigrato. Le attività relative alla comunicazione hanno prodotto un effetto positivo, soprattutto rispetto agli imprenditori, che si sono resi conto di quali sono i problemi dei propri dipendenti immigrati rispetto all’integrazione;

- l’uso dell’approccio dell’empowerment che mira a far crescere il potere dell’immigrato allo stesso livello in cui cresce la sua responsabilità;

- l’idea della lotta alla discriminazione fondata anche sui processi di acquisizione di quegli elementi comuni di rispetto della persona e concetto di democraticità.

Regione Emilia Romagna

Target di destinatari: soggetti con disabilità acquisita in seguito a traumi o gravi incidenti stradali che abbiano provocato una lesione cerebrale e/o vertebro-midollare.

Gli elementi caratterizzanti del Progetto “Oltre il trauma”, promosso dall’Opera Don Calabria Ferrara, sono:

- la realizzazione di una partnership tra il Dipartimento di Medicina Riabilitativa e le aziende sanitarie del territorio provinciale (partenariato pubblico-privato) dal quale parte l’invio delle persone;

- la realizzazione, in una prima fase, dell’analisi del potenziale lavorativo attraverso parametri oggettivi ricavati dall’applicazione degli stessi criteri dell’ICF26 previsti dall’OMS;

- la presenza di una figura dedicata all’analisi dei posti di lavoro, attività necessaria a sopperire al vuoto lasciato dai centri per l’impiego rispetto a questa attività specifica;

- la presenza di un servizio di accompagnamento all’inserimento lavorativo della persona con disabilità all’interno delle aziende, che consiste anche nello spiegare ai datori di lavoro e ai vertici aziendali le problematiche legate al tipo specifico di disabilità acquisita;

- il laboratorio di lavoro, previsto all’interno del cento di riabilitazione per le persone che per la gravità della disabilità non sono collocabili nel mondo del lavoro, almeno a breve o a volte anche a lungo termine, oppure per persone che hanno delle potenzialità ma non hanno ancora avuto opportunità lavorative corrispondenti alle loro possibilità. Esso è coerente con l’idea che il lavoro vada inteso in senso ampio, come impegno quotidiano che da dignità alla vita della persona e non solo come lavoro contrattualizzato;

- nell’ottica della presa in carico globale del progetto di vita della persona, sono infine previsti, in integrazione ai servizi di inserimento lavorativo, percorsi di sport, teatro e altre attività per migliorare l’inclusione sociale, il benessere e la qualità della vita;

26 Si tratta del secondo documento dell’Organizzazione Mondiale della sanità, intitolato International Classification of Functioning, Disability and Health. (ICF). Già il titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte al problema di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona.Non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato considerato di "salute".

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- il concetto di lavoro inteso in senso ampio, ovvero non solo come lavoro contrattualizzato, ma anche come strumento teso a migliorare la qualità della vita della persona.

Regione Calabria

Target di destinatari: Rom, sinti e camminanti

Il Progetto Rom 1995, promosso dall’Opera Nomadi di Reggio Calabria, prende avvio da una proficua sinergia tra il pubblico, nella fattispecie il Comune di Reggio Calabria, e il privato, l’Opera Nomadi di Reggio Calabria. Il Comune ha avviato un progetto di riqualificazione di immobili dimessi e confiscati alle mafie, per assegnarli alle famiglie Rom. L’obiettivo è quello di favorire l’integrazione di Rom e non Rom partendo dalla questione dell’insediamento abitativo delle famiglie Rom all’interno di condomini abitati da famiglie non Rom. Il principio è quello dell’equo dislocazione, si organizza cioè una dislocazione diffusa sul territorio, nell’ottica del principio di sostenibilità sociale27. Nel 1995 viene costituita, ad opera dell’associazione Opera Nomadi di Reggio Calabria, una cooperativa sociale di tipo B, chiamata Rom 1995, che ottiene la convenzione con il Comune per l’espletamento della raccolta differenziata dei rifiuti. All’interno della cooperativa sono stati inseriti i rom che avevano ottenuto dal Comune l’assegnazione delle abitazioni, e ciò andava a risolvere il problema di come sostenere le spese abitative una volta ricevuta l’assegnazione.

I risultati del progetto evidenziano l’avvenuto abbattimento degli stereotipi legati all’etnia e il successo della promozione dell’incontro tra culture. Il successo del progetto è stato in qualche modo garantito grazie all’intenso lavoro di preparazione dei destinatari finali, che ha seguito un doppio binario: preparazione del territorio e delle famiglie non Rom, per superare gli stereotipi relativi alla popolazione Rom; lavoro sui gruppi Rom, propedeutico all’inserimento nei nuovi contesti abitativi- I risultati raggiunti dimostrano che oggi il 30 per cento delle famiglie Rom di Reggio Calabria abita insieme ai non Rom, equamente dislocate nel tessuto urbano, in un habitat che favorisce la loro inclusione sociale Il progetto ha comportato in totale l’inserimento positivo e riuscito di circa 250 famiglie Rom.

3.2 Le buone pratiche a livello europeo Si presenta di seguito una rapida rassegna di buone prassi a livello europeo individuate nel corso dell’indagine sempre relativamente ai tre ambiti oggetto d’interesse. L’intento di questa rassegna a livello comunitario è quello di ampliare la prospettiva di interesse a pratiche europee la cui efficacia è già stata convalidata, e che pertanto possono offrire utili elementi di replicabilità rispetto ai contesti territoriali locali.

Tema 1: La riqualificazione delle aree urbane marginali e degradate

Progetto Oranssi

Località: Quartieri Kumpula, Vartiohariu, Kulosaari, Arabia e Tapanila; Helsinki, Finlandia

Descrizione sintetica: il Progetto riguarda il recupero di vecchie strutture di proprietà pubblica allo scopo di incoraggiare la vocazione dei giovani all’indipendenza, favorendo l’affitto a prezzi bassi e la creazione di comunità vive e socialmente coese.

Progetto WUK: Werkstätten und Kulturhaus

Località: Quartiere Alsergrund, Vienna, Austria

27 La sostenibilità sociale può essere definita come la capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e per genere. All’interno di un sistema territoriale per sostenibilità sociale si intende la capacità dei soggetti di intervenire insieme, efficacemente, in base ad una stessa concezione del progetto, incoraggiata da una concertazione fra i vari livelli istituzionali.

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Descrizione sintetica: il Progetto riguarda l’integrazione tra intervento culturale e promozione sociale in una struttura dismessa di proprietà della municipalità viennese, rivolta in particolare a giovani e bambini ma anche a donne e stranieri.

Progetto Yppenplatz Und Markt

Località: Quartiere Ottakring, Vienna, Austria

Descrizione sintetica: il Progetto riguarda la riqualificazione partecipata a beneficio soprattutto di giovani e bambini della grande piazza mercato Yppenplatz, occupata per buona parte da strutture un tempo destinate a esercizi commerciali oppure a magazzini di prodotti venduti al mercato, che negli anni novanta hanno subito un processo di progressiva dismissione in larga parte associata alla concentrazione di popolazione in difficoltà e immigrati.

Progetto Metaxourgico, quartiere disagiato rinnovato

Località: Quartiere Metaxourgico, Atene, Grecia

Descrizione sintetica: la Municipalità ateniese ha finanziato una serie di iniziative per la rigenerazione urbana del quartiere con lo scopo di recuperare gli squilibri sociali, ristrutturare le strutture abbandonate o occupate illegalmente, e di collocare al loro interno centri culturali per i giovani e per gli anziani.

Progetto Riqualificazione dei Quartieri e Politica per le Pari Opportunità

Località: Burnley, East Lancashire, Inghilterra (Regno Unito)

Descrizione sintetica: in seguito ai disordini verificatisi nel giugno 2001, che hanno visto scontri tra giovani asiatici e bianchi, venne istituita la Burnley Task Force, per esaminare le cause scatenanti della rivolta e produrre un Piano d’Azione, identificando una serie di azioni chiave, tra cui una Strategia di Rinnovo del Quartiere che coinvolgesse comunità asiatica e bianca. La Politica per le Pari Opportunità, adottata dal Comune, punta a garantire accesso egualitario al lavoro e ai servizi.

Progetto Integrating New Residents in Neighbourhoods; Tenancy sustainment; Refugees into Libraries

Località: Leicester, East Midlands, Inghilterra (Regno Unito)

Descrizione sintetica: la Northfield Tenants Association ha svolto un ruolo pro-attivo con specifico riferimento al tema della residenza, soprattutto a supporto di emigranti e cercatori d’asilo; nel quartiere, un tempo abitato quasi esclusivamente da bianchi, ora coesistono ben 46 differenti culture. Dal 2004 il Comune di Leicester, insieme ad altre organizzazioni, supporta l’accesso alla residenza delle comunità etniche attraverso l’adozione di una forte posizione contro il razzismo, in particolare degli altri residenti.

Progetto Accomodate

Località: Leeds ed altre città dell’Inghilterra (Regno Unito)

Descrizione sintetica: la Housing Association’s Charitable Trust ha promosso il progetto Accomodate per rispondere alla domanda residenziale dei rifugiati in cinque città inglesi, dove si è costituita una partnership tra organizzazioni delle comunità di rifugiati, associazioni per la residenza, autorità locali ed altre agenzie statali e del volontariato per redigere un piano d’azione. Ad esempio, quello di Leeds focalizza sulla acquisizione e rinnovo di proprietà vacanti per le famiglie di rifugiati, che collaborano alle operazioni, insieme a giovani volontari del luogo.

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Progetto Yppenplatz Und Markt

Località: Quartiere Ottakring, Vienna, Austria.

Descrizione sintetica: il Progetto riguarda la riqualificazione partecipata a beneficio soprattutto di giovani e bambini della grande piazza mercato Yppenplatz, occupata per buona parte da strutture un tempo destinate a esercizi commerciali oppure a magazzini di prodotti venduti al mercato, che negli anni novanta hanno subito un processo di progressiva dismissione in larga parte associata alla concentrazione di popolazione in difficoltà e immigrati.

Progetto Housing for Help

Località: Francoforte, Friburgo, Colonia ed altre città, Germania

Descrizione sintetica: il Progetto “Housing for/in exchange of/with help” promuove accordi di vario tipo tra studenti (età minima 18 anni) e cittadini anziani, che possono ricevere supporto in termini di aiuto domestico, giardinaggio, shopping, passeggiate o altre attività insieme (tranne servizi di cura personale), in cambio di alloggio gratuito con contributo alle spese, quali elettricità, gas ed acqua.

Tema 2: La riqualificazione e il riorientamento nell’uso degli spazi immobili pubblici

Progetto Quartier21

Località: Quartier21, Vienna, Austria

Descrizione sintetica: Il Quartier21 è lo spazio del MuseumsQuartier di Vienna, dedicato alle iniziative culturali dei giovani viennesi e austriaci. La realizzazione del MuseumsQuartier nel centro storico di Vienna è un esempio di un processo di rigenerazione urbana in cui gli interessi di tipo politico si combinano con motivazioni di carattere sociale, estetico ed emozionale. L’idea della costituzione del MuseumsQuartier risale alla fine degli anni settanta del secolo scorso, quando all’interno di un dibattito parlamentare il governo federale austriaco avanzò la proposta di trasformare le vecchie scuderie imperiali, ubicate nel centro storico della città, in un complesso destinato ad ospitare musei e numerose istituzioni artistiche e culturali, suscitando un accesso dibattito politico.

Progetto WUK: Werkstätten und Kulturhaus

Località: Quartiere Alsergrund, Vienna, Austria.

Descrizione sintetica: il Progetto riguarda l’integrazione tra intervento culturale e promozione sociale in una struttura dismessa di proprietà della municipalità viennese, finalizzata in particolare per giovani e bambini ma anche donne e stranieri.

Progetto Gröna skolgårdar, spazi pubblici scolastici

Località: Hammarkulleskolan, Röseredssk ci esterni olan, Sparven, Tretjärnsskolan School, Gothenburg, Svezia

Descrizione sintetica: L'obiettivo del Progetto è di migliorare l'ambiente pubblico esterno per promuovere lo svolgimento della didattica delle scuole all'aperto; in quest’ottica il Progetto contribuisce alla valorizzazione degli spazi verdi delle scuole.

Progetto Chapitô, Integrazione sociale e culturale nell’ex Riformatorio di Sao George.

Località: Collina del Castello di São George, nei pressi del Quartiere Alfama, Lisbona, Portogallo

Descrizione sintetica: il Progetto riguarda il riutilizzo di un ex riformatorio, collocato sulla collina del Castello di São George, nei pressi del quartiere Alfama. Il Ministero della Giustizia

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ha messo a disposizione nel 1987 il riformatorio per favorire l’integrazione sociale dei giovani disagiati, l’inserimento sociale e lavorativo dei giovani usciti dai riformatori e dei giovani con difficoltà di inclusione sociale.

Tema 3: Il potenziamento del sistema di mobilità sociale

Progetto Cohabitation Etudiant/Senior

Località: Parigi e grandi città, Francia

Descrizione sintetica: il Progetto sostiene il modello basato su offerta/fitto di stanze agli studenti in cambio di servizi nella casa di un cittadino anziano. In questo modo il Progetto supporta economicamente gli studenti e contemporaneamente combatte la solitudine degli anziani.

Progetto Stoke Mentoring Projects

Località: West Midlands, Inghilterra (Regno Unito)

Descrizione sintetica: il Progetto della Beth Johnson Foundation promuove la partecipazione attiva di giovani ed anziani nell’ottica di produrre benefici concreti nei diversi settori della società (istruzione, salute..) per entrambe le categorie, ma anche per l’intera comunità più in generale, gestendo e re-indirizzando la frammentazione inter-generazionale. In particolare, gli anziani vengono reclutati quali mentori in ambito scolastico.

Progetto Springfield

Località: Birmingham, Inghilterra (Regno Unito)

Descrizione sintetica: Il Progetto, che ha sede nella Chiesa di St. Christopher, fornisce servizi ai bambini e alle loro famiglie nella comunità di Springfield (area sud-est di Birmingham). Iniziato nel 1999, mira a creare ponti tra i vari gruppi sociali e culturali presenti a livello locale. Inoltre, promuove attività specifiche per favorire il dialogo tra diverse fedi religiose.

Progetto REACH

Località: Inghilterra (Regno Unito)

Descrizione sintetica: nel 2005, venticinque membri della comunità nera furono coinvolti dal Governo per sviluppare un programma di lavoro (REACH), con l’obiettivo di identificare le cause della crisi evidente che pervadeva ragazzi e giovani adulti neri e, dunque, tentare di superarla. Vennero fornite cinque raccomandazioni, tra le quali una in particolare riguardava nascita di una Task Force per coordinare gruppi di lavoro focalizzati su ciascuna raccomandazione.

Progetto Networkshop

Località: Magdeburg – Halle – Leipzig – Dresden - Wittenberg, Germania

Descrizione sintetica: il Progetto di rete, coordinato dall’ufficio di Servicestelle Jugendbeteiligung (da gennaio 2004 a dicembre 2005), puntava allo sviluppo di strutture di partecipazione giovanile a livello municipale attraverso la realizzazione di vari consigli, riunioni e seminari.

Progetto Mixer

Località: Polonia

Descrizione sintetica: il Progetto riguarda la realizzazione di diversi eventi all’interno di un’ampia campagna promozionale lanciata nel 2004 dal governo polacco. Sono state portate

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avanti esibizioni e performance di giovani volontari in tutta la Polonia, raggiungendo, tra l’altro, aree remote e rurali. La campagna è proseguita negli anni successivi con altre iniziative, tra cui un evento a Cracovia, nel 2006, focalizzato sui giovani con disabilità.

Progetto Wales Ethnic Minority Association

Località: Galles Occidentale ed area delle Valli

Descrizione sintetica: la Wales Ethnic Minority Association (AWEMA) si è impegnata nella realizzazione di un progetto triennale, supportato dal Fondo Sociale Europeo, per offrire opportunità di lavoro e di sviluppo competenze ad oltre un milione di persone afferenti a minoranze etniche nel Galles Occidentale e nell’area delle Valli. Il programma risulta, in particolare, indirizzato alle donne, supportandole sia in termini di istruzione e lavoro che attraverso servizi per l’infanzia. Inoltre, AWEMA collabora con i datori di lavoro per sviluppare strategie di pari opportunità nelle assunzioni, sollevando consapevolezza in merito alle problematiche linguistiche e culturali delle minoranze etniche.

Progetto Dispersal and Direct Provision Subcommittee of Integrating Ireland

Località: Repubblica d’Irlanda

Descrizione sintetica: il Progetto è finalizzato a mettere in evidenza l’inadeguatezza delle politiche portate avanti in materia di asilo e a promuovere correttivi. Tale iniziativa è promossa dalla rete nazionale Integrating Ireland

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Sezione 4. LE INDICAZIONI STRATEGICHE PER GLI STAKEHOLDERS Nel concludere il documento di sintesi dei risultati dello studio, si ritiene utile elencare quegli strumenti di progettazione partecipata che sono risultati essere, sulla base di quanto rilevato nelle interviste e nei focus group con i vari stakeholders, dei validi indicatori di efficacia delle politiche di sviluppo locale attente alla tutela della pari opportunità e dell’inclusione sociale.

Tali strumenti, per il loro carattere di trasversalità, si prestano ad un’effettiva replicabilità sia rispetto alle varie forme e ai vari ambiti della discriminazione, sia rispetto ai differenti contesti territoriali:

- la promozione di reti multilivello tra i diversi livelli istituzionali (Stato, Regioni, Provincie e Comuni), le istituzioni e le realtà del privato sociale, i soggetti promotori e i destinatari degli interventi. Incrociare le progettualità a diversi livelli serve sia ad arricchire la partecipazione della rete degli attori sociali sia ad assicurare continuità e più ampio respiro ai progetti stessi. Il problema della discontinuità è avvertito ed è stato posto in primis dai referenti istituzionali stessi, che trovano nei continui avvicendamenti amministrativi e politici uno dei maggiori punti di debolezza e di criticità rispetto all’evoluzione e quindi anche alle possibilità di successo delle esperienze ipotizzate e avviate;

- l’approccio di tipo bottom-up nella progettazione: esso consiste nel partire dalle assemblee pubbliche e dagli incontri con i gruppi target degli interventi organizzando tavoli tematici specifici per costruire le progettualità tese al raggiungimento degli obiettivi individuati insieme quali possibili soluzioni delle esigenze rilevate;

- la concertazione con i gruppi di interesse attraverso l’attivazione di tavoli tematici interistituzionali ai quali siedono tutte le istituzioni che si occupano di quella tematica (Prefettura, Questura, Comuni) ma anche le comunità dei target in oggetto e le associazioni che se ne occupano. Da questi tavoli devono emergere le traiettorie di sviluppo della programmazione;

- l’avvio di progetti multi risorse: è una strategia che serve ad ovviare all’ancestrale problema della mancanza di risorse da parte di enti e amministrazioni pubbliche e che si fonda su un’inversione di tendenza nella successione temporale delle fasi di progettazione. Si ipotizzano prima gli interventi da effettuare e si vanno poi a cercare le risorse per finanziarlo, capendo come sostenere i vari moduli/aspetti di un progetto, facendo sempre più appello a risorse reperibili da fonti diverse di finanziamento;

- il potenziamento dell’applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale attraverso il quale attività proprie dei pubblici poteri vengono svolte da soggetti privati, o comunque esterni all'organizzazione della P.A., su suo mandato;

Rispetto alla questione specifica del contrasto alle varie forme di discriminazione e all’obiettivo dell’inclusione sociale, gli elementi di trasferibilità emersi sono stati:

- la trasversalità delle progettualità sull’integrazione: ovvero in un processo di inclusione sociale devono essere raccolti tutti gli attori sociali dei diversi ambiti. Ciò permette di rispondere efficacemente alla necessità di incrociare, negli interventi di contrasto alla discriminazione, le varie dimensioni su cui si giocano i processi di inclusione: la dimensione lavorativa, quella abitativa, di accesso al credito, quella ludico-ricreativa e quella religiosa, ecc.;

- la centralità assoluta del lavoro sulla comunicazione sociale, che serve a sostenere le possibilità di successo delle esperienze progettuali stesse e che necessita di studi approfonditi sulle modalità di comunicazione più efficaci e differenziate a seconda dei target di destinatari;

- la promozione di incubatori di imprese sociali, servizi che vanno concepiti come agenti di sviluppo e di promozione sociale e che si pongono come nodi di una rete di attori sociali tutti egualmente impegnati, sia pure con modalità

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diverse, nella promozione dell’impresa sociale e, trasversalmente, della persona umana;

- l’applicazione del criterio della equo dislocazione, applicato all’edilizia abitativa pubblica, quale strumento di lotta alla discriminazione e all’esclusione sociale. Esso è stato riconosciuto come strumento trasversale, che può essere applicato nei vari contesti territoriali;

- la trasversalità della progettualità nell’ambito socio-sanitario e del lavoro tra i vari livelli istituzionali (Comune e Provincia).

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Sezione 5. L’INNOVATIVITA’ DELLE PROPOSTE Il Capitolato d’oneri cui fa riferimento lo studio ricorda due dimensioni importanti per l’innovatività delle politiche territoriali:

− la capacità di alcuni soggetti, quali donne, anziani, donne, giovani, immigrati e omosessuali, di farsi portatori di bisogni ed energie diverse (Priorità IV del QSN);

− la capacità di far sì che le città divengano aree di sviluppo territoriale in grado di trainare i territori circostanti.

Questi due presupposti teorici hanno trovato ampia applicazione in molte delle buone prassi analizzate e selezionate, insieme ad una serie di altri fattori di efficacia e innovatività descritti nel paragrafo precedente.

E’ stato ritenuto opportuno, inoltre, esaminare quali di questi fattori di innovatività possono essere replicati con successo nelle Regioni Obiettivo Convergenza, sulla base di quanto emerso dai tavoli di confronto e discussione promossi nel corso dello studio:

- l’approccio di tipo bottom-up: esso costituisce già di fatto il principale motore degli interventi attivati nel Sud Italia, che partono quasi sempre sotto l’input dei gruppi di interesse che in qualche modo “obbligano” le istituzioni ad intervenire, rivendicando esigenze e segnalando criticità;

- il principio della sussidiarietà orizzontale: anch’esso già ampiamente utilizzato, come sottolineato dai rappresentanti istituzionali delle Regioni Obiettivo Convergenza, sulla base dell’esigenza ormai largamente condivisa, di affidare al privato sociale l’erogazione di tutta una serie di servizi a cui il settore pubblico da solo non riesce a far fronte;

- il partenariato pubblico-privato: costituisce uno strumento che si va sempre più diffondendo e che ha già dato vita ad esperienze significative (vedi il partenariato del Consorzio Sviluppo e legalità con le cooperative del privato sociale afferenti a Libera, o il partenariato tra il Comune di Napoli e le associazioni Arcidonna e Dedalus per la gestione dei beni confiscati, ecc.)

- Il metodo della equo dislocazione applicato all’interno delle politiche di sviluppo territoriale che si trovano al confine tra due ambiti di intervento: la riqualificazione delle aree urbane degradate e marginali e il potenziamento della rete di mobilità sociale. La prova della replicabilità di tale strumento è già stata dimostrata dal progetto realizzato a Reggio Calabria a favore della comunità Rom precedentemente descritto (vedi pag. 15-16);

- il metodo di riutilizzo dei beni e terreni confiscati alle mafie, che coniuga l’obiettivo dell’inclusione sociale con quello dello sviluppo economico dei territori, promosso dal Consorzio Sviluppo e legalità e dalle Cooperative del marchio Libera Terra, è già stato esportato in altri contesti territoriali del Sud (Sicilia orientale, Campania; ecc.) ed è in via di esportazione in altre realtà ancora, sempre del Sud;

- la promozione di Incubatori Sociali, rispetto ai quali iniziano ad emergere dei primi tentativi di implementazione che andranno sicuramente potenziati.

Si ritiene, invece, che alcuni degli elementi di efficacia rintracciati nelle esperienze progettuali realizzate nel centro-nord Italia, sempre sulla base di quanto emerso nei focus group, siano difficilmente trasferibili nelle Regioni del Sud almeno nel breve-medio periodo, perché necessitano di profonde trasformazioni delle culture locali. Nello specifico si tratta dei seguenti strumenti:

- la promozione di reti multilivello, la cui attivazione è ancora lontana dall’essere realizzata nel Sud e che può avere con pesanti ricadute anche su alcune esperienze progettuali embrionali (vedi il caso del processo di programmazione di Area Vasta Lecce che, dopo una fase positiva di programmazione partecipata

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ad opera di associazioni e attori territoriali alla costruzione del Parco Progetti, non è stato adeguatamente recepito a livello regionale);

- l’avvio di progetti multi risorse: implica una metodologia di approccio alle politiche di sviluppo ancora poco realizzabile nel Sud, anche se vanno segnalate delle felici eccezioni (vedi la sinergia finanziaria attivata da Regione, Provincia e Comune di Napoli rispetto al riutilizzo a fini sociali di alcuni beni confiscati);

- l’adozione di una trasversalità nelle progettualità sulle pari opportunità: prevalgono ancora nei territori meridionali interventi settoriali e ancora troppo frammentati rispetto al tema dell’inclusione sociale dei target svantaggiati (in particolare da parte dei rappresentanti istituzionali della Sicilia ci vengono segnalate le evidenti arretratezze nell’ambito delle politiche di integrazione socio-sanitaria, che hanno invece un ruolo tanto importante nei progetti sulla disabilità realizzati in Emilia Romagna e catalogati come buone prassi).

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Sezione 6. CONCLUSIONI A conclusione del presente report sullo studio realizzato, si evidenziano alcuni punti di interesse che l’indagine ha permesso di individuare, relativamente alla possibilità di coniugare lo sviluppo dei territori con l’attenzione all’inclusione sociale e al tema delle pari opportunità.

Il primo punto di interesse riguarda il metodo della programmazione partecipata. Tale metodo trova già da tempo applicazione in diversi paesi, con esiti molto positivi, e, seppur ancora in maniera parziale ed embrionale, inizia ad essere utilizzato anche nelle Regioni del Sud Italia (come è stato possibile notare nelle esperienze presentate nel presentate studio).

Si registra, quindi, non solo in Europa ma anche a livello nazionale e locale, la presenza di un insieme interessante di sperimentazioni, la cui metodologia di programmazione è centrata sullo strumento della partecipazione attiva degli attori locali alla progettazione degli interventi stessi di cui essi sono destinatari.

L’altro elemento di interesse riguarda il generale sentimento di entusiasmo e la buona percezione del proprio protagonismo da parte degli attori territoriali coinvolti in tali esperienze; tali forme di coprogettazione, infatti, sono sostenute da una specifica attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali e ciò garantisce buone probabilità di successo alla loro riuscita.

Quest’ultima constatazione porta necessariamente a sottolineare che la capacità degli enti locali di farsi promotori e animatori di tali processi di programmazione partecipata rimane la condizione sostanziale affinché si possano avviare esperienze progettuali, che vedano l’effettivo coinvolgimento della rete degli attori sociali e del tessuto associativo, i quali, peraltro, dimostrano già una discreta esperienza e capacità ad operare all’interno di tali processi di programmazione.

Ciò significa che nei singoli territori devono darsi alcune pre-condizioni che consentano l’avvio di queste esperienze progettuali partecipative ed innovative, condizioni che possono essere differenti da contesto a contesto. In alcuni casi i presupposti possono essere dati, come per la questione dei beni confiscati, dall’esistenza di una risorsa, il riutilizzo del bene per l’appunto, che costituisce allo stesso tempo un fattore di criticità per le istituzioni che si trovano a gestirlo. In altri casi, come per la programmazione di Area Vasta Lecce, è l’attenzione specifica da parte delle varie amministrazioni comunali che ha permesso, grazie ad una forte volontà politica, la sperimentazione di una forma di programmazione partecipativa. In altri casi, infine, come per Riace e gli altri comuni della Locride, la precondizione è stata data dalla necessità di rispondere alla sfida dell’immigrazione in territori storicamente caratterizzati dall’emigrazione e dallo spopolamento.

Laddove queste precondizioni si realizzano, l’impressione è che molte delle difficoltà caratteristiche dei contesti del Sud Italia, quali ad esempio quella del passaggio dalla fase di programmazione a quella di attuazione, sembrano trovare parziale soluzione attraverso strategie applicative piuttosto soddisfacenti, che fanno registrare anche un discreto entusiasmo, sia da parte delle istituzioni sia degli attori locali, per i risultati raggiunti.

Il terzo elemento di interesse è quello della replicabilità in altri contesti territoriali delle esperienze di cui è stata dimostrata l’efficacia. Rispetto a tale fattore si rileva che le sperimentazioni già realizzate, o comunque avviate, possiedono in sé una serie di elementi di replicabilità, a patto che le reti degli attori sociali deputati a realizzare tali forme di programmazione partecipativa, peraltro già presenti nei vari contesti locali, vengano in qualche modo attivate e considerate quali risorse da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il fattore sostanziale rimane, quindi, quello della sensibilità e della volontà politica delle amministrazioni locali nel prendere atto che la partecipazione del tessuto associativo e della rete degli attori sociali presenti nei vari contesti territoriali costituisce uno dei presupposti fondamentali per l’implementazione di politiche di sviluppo che risultino realmente partecipative ed inclusive.

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Sezione 7. I METODI E GLI STRUMENTI UTILIZZATI PER LA RICERCA Nella prima fase dello studio è stata avviata, attraverso un’analisi desk, una ricognizione dei documenti e della letteratura che hanno contribuito, negli ultimi venti anni, a ridisegnare le politiche di sviluppo locale, soprattutto per quanto riguarda la capacità di coniugare sviluppo, coesione sociale ed equità.

Nella fase successiva è stata approfondita l’analisi delle politiche territoriali rispetto al tema delle pari opportunità e dell’inclusione sociale. Sono state selezionate tre macro-aree di approfondimento (Riqualificazione delle aree dimesse, degradate e marginali; Riqualificazione e riorientamento nell’uso degli spazi immobili pubblici; Potenziamento del sistema di mobilità sociale) e, per ciascuna di esse, è stato individuato un contesto territoriale specifico nel quale realizzare il case study.

I casi studio sono stati approfonditi attraverso attività di desk research, a cui ha fatto seguito una fase di discesa sul campo, tramite l’organizzazione di quattro focus group, uno per ogni regione/caso studio. I focus group hanno raccolto la testimonianza dei rappresentanti istituzionali che ai diversi livelli (regionale, provinciale e comunale) hanno gestito e condotto ciascun intervento, unitamente alla testimonianza dei rappresentanti del Terzo settore e degli altri attori coinvolti a vario titolo nell’iniziativa.

I focus groups sono stati condotti attraverso la metodologia EASW (European Awareness Scenario Workshops). L’EASW nasce come metodologia che consente un’elaborazione condivisa di possibili scenari futuri, in riferimento ad una determinata situazione, di obiettivi coerenti ed azioni atte a promuovere cambiamenti nel breve-medio periodo; tale metodo risulta utile ed efficace anche nei casi in cui sia necessario promuovere e facilitare discussioni ed analisi all’interno di un gruppo o panel di esperti o testimoni privilegiati sull’efficacia e l’impatto di interventi realizzati sul territorio in ambiti diversi. L’EASW può essere utilizzato per qualsiasi argomento che richieda un percorso partecipato, garantendo come risultati una chiarezza ed una sinteticità tali da rendere i diversi contributi facilmente confrontabili, diffondibili ed utilizzabili. Alla luce delle pregresse esperienze in materia dell’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali la metodologia di conduzione dei focus group è stata adattata per le finalità di ricerca previste dalla presente indagine, in modo da consentire la raccolta e l’organizzazione di informazioni con tempi brevi di sintesi e di elaborazioni di risultati.

Infine, nella fase di selezione delle buone prassi a livello nazionale ed europeo, si è provveduto ad individuare le pratiche e le esperienze progettuali che hanno inteso avviare una politica di sviluppo territoriale, basata su processi di capacitazione dei segmenti più fragili della società ed a maggiore rischio di discriminazione (donne, bambini e giovani, immigrati, persone diversamente abili, persone non autosufficienti e soggetti in condizioni di povertà) come potenziale e risorsa per lo sviluppo.

I criteri usati per la selezione delle buone prassi sono stati la coerenza con la tematica affrontata e l’innovatività dimostrata.

I progetti selezionati dimostrano che i soggetti propositori e i partenariati attuatori hanno recepito e sposato i principi di programmazione partecipata evidenziati nei più recenti documenti programmatici, riuscendo a dare all’implementazione locale delle idee progettuali la necessaria coerenza con i presupposti teorici.

Per quanto riguarda le Regioni Obiettivo Convergenza, la realizzazione dei quattro casi studio ha permesso di ottenere anche una prima rassegna delle buone pratiche relative agli specifici ambiti di approfondimento scelti.

Per quanto riguarda invece le Regioni del centro-nord Italia, l’individuazione di buone prassi è stata condotta attraverso la faticosa e impegnativa costruzione di una rete di contatti, formali e informali, sia a livello delle istituzioni (uffici regionali, assessorati alla pari opportunità, assessorati alle politiche territoriali, ecc), sia a livello delle associazioni operanti nei vari ambiti del contrasto alla discriminazione. Attraverso l’effetto “snow ball”, la trama di contatti si è estesa ad un buon numero di regioni italiane, seguendo differenti traiettorie, sia rispetto agli ambiti delle esperienze progettuali individuati, sia rispetto agli interlocutori locali, con i quali si

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sono stabiliti contatti telefonici e, quando possibile, sono state realizzate interviste. In alcuni casi è stato possibile anche analizzare e repertoriare il materiale relativo alle esperienze realizzate grazie ai contributi inviati dagli interlocutori stessi.

Per l’individuazione delle buone prassi a livello europeo ci si è avvalsi della collaborazione della ricercatrice Patrizia Riganti, membro del network SUS.DIV28 (con specifiche competenze sui temi dell’urban planning e delle diversità urbana) che ha condotto la ricognizione europea. In questa fase del Progetto, la disponibilità di reti di relazioni nazionali e internazionali hanno rappresentato gli elementi di forza di un’indagine che, per necessità di tempi, è stata condotta col metodo della desk research, integrandolo con l’ascolto di testimoni privilegiati, a livello nazionale ed internazionale.

Infine, per la rilevazione della permanenza della discriminazione sui vari assi (genere, disabilità, razze ed etnia, età) e per l’analisi delle politiche e degli strumenti di contrasto finora messi in campo nelle Regioni Obiettivo Convergenza ci si è avvalsi della collaborazione del Dr. Raffaele Parlangeli, Dirigente Settore programmazione e strategie territoriali e Piano Strategico di Area Vasta del Comune di Lecce, il cui contributo è riportato integralmente nel report finale.

28 L’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali è membro del SUS.DIV “Sustainable Development in a diverse World”, un network europeo di eccellenza a cui aderiscono 35 partner, tra Università e centri di ricerca europei, con figure di economisti, architetti, sociologi, antropologi, storici, linguisti.