Abolire la misera della Calabria n 5/6/7/8/9/10/11/12 del 2010

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ubblichiamo il testo dell’interven- to del Presidente Napolitano: "Verso il 150° dell'Italia Unita: tra riflessione storica e nuove ragioni di impegno condiviso", gentilemte concessoci con nota ufficiale (Prot. SGPR 11/06/2010 0062663 P) a firma del Segretario Generale del Presidente della Repubblica, Pasquale Cascella che ci ha “Rappresentato i sensi del Presidente Giorgio Napolitano per l’iniziativa di dedicare un numero del periodico “Abolire la miseria della Calabria” al tema del Mezzogiorno nel cen- tocinquantenario dell’Unità d’’Italia”. Rngraziando con cuore il Presidente Giorgio Napolitano e il Segretario Generale Cascella, a nome di tutta la redazione porgiamo il nostro saluto augurale per un Buon 2011 al Garante della Costituzione che dà ascolto ai giovani. *** Roma, Accademia dei Lincei, 12/02/2010 Presidente Ciampi, Autorità, Signore e Signori, ringrazio vivamente il Presidente Maffei per le sue cortesi parole di saluto. E ringrazio con lui e con il Vice Presidente Professor Quadrio Curzio, voi tutti, signori Soci dell'Accademia, per il privilegio e per l'occa- sione che mi avete offerto invitandomi a pre- sentare in questa sede così rappresentativa e autorevole, le convinzioni che mi guidano in vista di un evento di straordinario rilievo isti- tuzionale. La convinzione, in primo luogo, che la cul- tura italiana, in tutte le sue espressioni, sia chiamata a dare un contributo essenziale alle celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità. Parlo innanzitutto, naturalmente, della cultura storica, il cui ricco patrimonio di studi sul Risorgimento e sul processo unitario merita di essere richiamato all'attenzione gen- erale e riproposto nel modo più incisivo dinanzi al grave deficit di conoscenze storiche diffuse di cui soffrono intere generazioni di italiani. La riflessione storica, ed egualmente l'indagine sulle vicende politico-istituzionali ed economico-sociali, debbono peraltro abbracciare l'evoluzione dell'Italia unita nei periodi successivi alla fondazione del nostro Stato nazionale, fino a consentire un bilancio persuasivo da far valere nel tempo presente. Perché in effetti con l'avvicinarsi del cen- tocinquantenario si vedono emergere, tra loro strettamente connessi, giudizi sommari e pregiudizi volgari sul quel che fu nell'800 il formarsi dell'Italia come Stato unitario, e uando la politica, anche quella calabrese, sembra perdere il suo senso d'Unità pen- sando a secessioni e partiti “meridionali” per competere con la La Lega del Nord, forse non è davvero tempo sprecato guardarci indietro, non per commemorare, ma per trarre, dai migliori, l’esempio. In una piazza di Pizzo di Calabria, la bella epi- grafe dettata da Ferdinando Martini fa ammenda dell’aspro giudizio di taluni con- temporanei, e dice in sintesi della vita e delle gesta di Benedetto Musolino (Pizzo, 1808- 1885), patriota e politi- co Senatore del Regno d’Italia nella XIII legis- latura. A ricordarlo era Alfredo Gigliotti, direttore di una vecchia rivista di “Rassegna Calabrese”. Un mensile di vita, cultura, infor- mazioni che, nel numero unico di novembre e dicembre del 1961, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, ne ripercorreva la vita e le gesta per consentire ai pos- teri di “correggere le sentenze ingiuste”. Perché, scriveva il Gigliotti, “E' ben vero che i posteri sono quasi fatti apposta per correggere le sentenze ingiuste dei predecessori”. La famiglia Musolino occupa uno dei cospicui posti della storia del Risorgimento: lo zio e il Padre di Benedetto erano stati patrioti del novantanove ed avevano dovuto emigrare a causa della persecuzione delle bande del Cardinale Ruffo; lo zio Domenico e il figlio primo- genito Saverio, erano stati poi uccisi durante la reazione del ’48; una sorella del giovane Benedetto fu madre di Giovanni Nicotera. Ma tutte le virtù familiari e patriot- tiche sembrarono riassumersi in Benedetto Musolino, nato l’8 febbraio 1809 . Giovanissimo, visitò l’Impero Ottomano; studente a Napoli fondò, con Luigi Settembrini una sua “Giovine Italia”, una setta nota col nome di Figlioli della Giovine Italia ”, men fortunata di quella del Mazzini; cospiratore soffrì il carcere, com- battente all’Angitola, nel ’49 promosso Colonnello di Stato Maggiore, ritornò dal- l’esilio di Francia per raggiungere Garibaldi in Sicilia. Fu quindi capo dell’insurrezione calabrese del 1860 e “deputato garibaldino al parlamento fino alla XIII Legislatura, ove portò alta e generosa l’affermazione della sua costante fede italiana”. L’8 maggio del 1839 venne arrestato e assieme a lui presero la via del carcere anche il fratello Pasquale, Saverio Bianchi, Raffaele Anastasio e Luigi Settembrini. Liberato tre anni più tardi gli venne imposto di raggiungere il proprio... www.almcalabria.org solo 1,00 Nel 150° dell’Italia Unita Un numero speciale Servono luci radicali, libertarie e democratiche nel grigio dell’attuale situazione culturale italiana DA MORELLI E AMMIRA’ A BERLUSCONI Le celebrazioni dell’Unità d’Italia di cui tanto si parla, spes- so a sproposito e senza cog- nizione di causa, hanno riporta- to all’attualità la storia del nos- tro Risorgimento: una sorta di “revival” della questione merid- ionale che paradossalmente diventa per la Lega & C ques- tione settentrionale che oggi va tanto di moda e che quasi sem- pre finisce per diventare una occasione per gettare fango sui “terroni” tra una polenta imboc- cata al “senatur” ed una “pajata” in salsa romanesca: tragicomico. di Maria Elisabetta Curtosi >> Pag 4 P Q ISSN 2037-394X “Fu nell'800 il formarsi dell'Italia come Stato unitario” TRA RIFLESSIONE STORICA E NUOVE RAGIONI DI IMPEGNO CONDIVISO Riproporre le acquisizioni della nostra cultura storica, relative a quel che hanno rappresentato il Risorgimento e la sua conclusione nella storia d'Italia e d'Europa di Giorgio Napolitano E’ ben giusto che chi gode i maggiori privilegi, sia sottomesso ai maggiori sacrifici Presagi e moniti di Benedetto Musolino Un calabrese dalla “costante fede italiana” che “amava aguzzare l’occhio nell’avvenire della Patria” Una riforma radicale: L'imposta progressiva per combattere la lussuria irrompente del capitale di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi I campioni di italianità, forgiati nel collegio S. Adriano, non restarono in Calabria a contenere i loro ideali --- GLI ITALO ALBANESI NEL PROCESSO DELL’ITALIA UNITA La fucina di diavoli --- Un contributo pieno di motivi e di orgoglio per la progenie di tanti eroi di Salvatore Colace & Nicola Basilio Barbieri >> a Pag. 5 e 6 Copia Omaggio Con il contributo della Nel 150° dell’Italia Unita Un numero unico Con il contributo della >> Pag 7 >> Pag 2, 3 e 4 Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabrese Maggio - Dicembre 2010 - Anno IV - N. 5, 6, 7, 8, 9, 1, 11 e 12 Speciale 150° dell’Italia Unita Giuseppe Mazzini, precursore del nuovo diritto pubblico europeo di F.C. & G.C. >> a Pag. 8 All’interno I NSERTO S PECIALE LA STAMPA NEL CENTENARIO Ma un contributo libero è gradito L'apostolo che ci ha mostrato il cammino verso un nuovo mondo

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Periodico nonviolento calabrese di storia, arte, cultura, politica laica e liberale. Secondo numero speciale dedicato al ruolo del Mezzogiorno nell'Italia unita

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ubblichiamo il testo dell’interven-to del Presidente Napolitano: "Versoil 150° dell'Italia Unita: tra riflessione

storica e nuove ragioni di impegno condiviso",gentilemte concessoci con nota ufficiale(Prot. SGPR 11/06/2010 0062663 P) afirma del Segretario Generale del Presidentedella Repubblica, Pasquale Cascella che ci ha“Rappresentato i sensi del Presidente GiorgioNapolitano per l’iniziativa di dedicare unnumero del periodico “Abolire la miseria dellaCalabria” al tema del Mezzogiorno nel cen-tocinquantenario dell’Unità d’’Italia”.Rngraziando con cuore il Presidente GiorgioNapolitano e il Segretario Generale Cascella, anome di tutta la redazione porgiamo il nostrosaluto augurale per un Buon 2011 al Garantedella Costituzione che dà ascolto ai giovani.

***Roma, Accademia deiLincei, 12/02/2010Presidente Ciampi, Autorità,Signore e Signori, ringraziovivamente il Presidente Maffei

per le sue cortesi parole di saluto. E ringraziocon lui e con il Vice Presidente ProfessorQuadrio Curzio, voi tutti, signori Socidell'Accademia, per il privilegio e per l'occa-sione che mi avete offerto invitandomi a pre-sentare in questa sede così rappresentativa eautorevole, le convinzioni che mi guidano invista di un evento di straordinario rilievo isti-tuzionale.La convinzione, in primo luogo, che la cul-tura italiana, in tutte le sue espressioni, siachiamata a dare un contributo essenziale allecelebrazioni del centocinquantenariodell'Unità. Parlo innanzitutto, naturalmente,

della cultura storica, il cui ricco patrimonio distudi sul Risorgimento e sul processo unitariomerita di essere richiamato all'attenzione gen-erale e riproposto nel modo più incisivodinanzi al grave deficit di conoscenze storichediffuse di cui soffrono intere generazioni diitaliani. La riflessione storica, ed egualmentel'indagine sulle vicende politico-istituzionalied economico-sociali, debbono peraltroabbracciare l'evoluzione dell'Italia unita neiperiodi successivi alla fondazione del nostroStato nazionale, fino a consentire un bilanciopersuasivo da far valere nel tempo presente.Perché in effetti con l'avvicinarsi del cen-tocinquantenario si vedono emergere, tra lorostrettamente connessi, giudizi sommari epregiudizi volgari sul quel che fu nell'800 ilformarsi dell'Italia come Stato unitario, e

uando la politica, anche quella calabrese,sembra perdere il suo senso d'Unità pen-sando a secessioni e partiti “meridionali”per competere con la La Lega del Nord,

forse non è davverotempo sprecatoguardarci indietro, nonper commemorare, maper trarre, dai migliori,l’esempio.In una piazza di Pizzodi Calabria, la bella epi-grafe dettata daFerdinando Martini faammenda dell’asprogiudizio di taluni con-temporanei, e dice insintesi della vita e dellegesta di BenedettoMusolino (Pizzo, 1808-1885), patriota e politi-co Senatore del Regnod’Italia nella XIII legis-latura. A ricordarlo eraAlfredo Gigliotti,direttore di una vecchiarivista di “RassegnaCalabrese”. Un mensiledi vita, cultura, infor-mazioni che, nelnumero unico di novembre e dicembre del 1961, inoccasione del centenario dell’Unità d’Italia , neripercorreva la vita e le gesta per consentire ai pos-teri di “correggere le sentenze ingiuste”. Perché,scriveva il Gigliotti, “E' ben vero che i posteri sonoquasi fatti apposta per correggere le sentenzeingiuste dei predecessori”. La famiglia Musolinooccupa uno dei cospicui posti della storia delRisorgimento: lo zio e il Padre di Benedetto eranostati patrioti del novantanove ed avevano dovuto

emigrare a causa della persecuzione delle bande delCardinale Ruffo; lo zio Domenico e il figlio primo-genito Saverio, erano stati poi uccisi durante lareazione del ’48; una sorella del giovane Benedetto

fu madre di GiovanniNicotera. Ma tutte le virtùfamiliari e patriot-tiche sembraronoriassumersi inBenedetto Musolino,nato l’8 febbraio1809.Giovanissimo, visitòl’Impero Ottomano ;studente a Napolifondò, con LuigiSettembrini una sua“Giovine Italia”, unasetta nota col nome di“Figlioli dellaGiovine Italia”, menfortunata di quella delMazzini; cospiratoresoffrì il carcere, com-battente all’Angitola ,nel ’49 promossoColonnello di StatoMaggiore, ritornò dal-l’esilio di Francia per

raggiungere Garibaldi in Sicilia. Fu quindi capo dell’insurrezione calabrese del 1860e “deputato garibaldino al parlamento fino alla XIIILegislatura, ove portò alta e generosa l’affermazionedella sua costante fede italiana”.L’8 maggio del 1839 venne arrestato e assieme a luipresero la via del carcere anche il fratello Pasquale,Saverio Bianchi, Raffaele Anastasio e LuigiSettembrini. Liberato tre anni più tardi gli venneimposto di raggiungere il proprio...

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solo 1,00 !

Nel 150°dell’Italia Unita

Un numero speciale

Servono luci radicali, libertarie e democratiche

nel grigio dell’attuale situazione culturale italiana

DA MORELLI EAMMIRA’ A

BERLUSCONILe celebrazioni dell’Unità

d’Italia di cui tanto si parla, spes-so a sproposito e senza cog-nizione di causa, hanno riporta-to all’attualità la storia del nos-tro Risorgimento: una sorta di“revival” della questione merid-ionale che paradossalmentediventa per la Lega & C ques-tione settentrionale che oggi vatanto di moda e che quasi sem-pre finisce per diventare unaoccasione per gettare fango sui“terroni” tra una polenta imboc-cata al “senatur” ed una “pajata”in salsa romanesca: tragicomico.

di Maria Elisabetta Curtosi

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ISSN 2037-394X

“Fu nell'800 il formarsi dell'Italia come Stato unitario”TRA RIFLESSIONE STORICA E NUOVE RAGIONI DI IMPEGNO CONDIVISO

Riproporre le acquisizioni della nostra cultura storica, relative a quel che hanno rappresentato il Risorgimento e la sua conclusione nella storia d'Italia e d'Europadi Giorgio Napolitano

E’ ben giusto che chi gode i maggiori privilegi, sia sottomesso ai maggiori sacrifici

Presagi e moniti di Benedetto MusolinoUn calabrese dalla “costante fede italiana” che “amava aguzzare l’occhio nell’avvenire della Patria”Una riforma radicale: L'imposta progressiva per combattere la lussuria irrompente del capitale

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi

I campioni di italianità,forgiati nel collegio

S. Adriano, non restaronoin Calabria

a contenere i loro ideali- - -GLI ITALO

ALBANESI NELPROCESSODELL’ITALIA

UNITALa fucina di diavoli

---Un contributo pieno di

motivi e di orgoglio per laprogenie di tanti eroi

d iSalvatore Colace

&&Nicola Basilio Barbieri

>> a Pag. 5 e 6

Copia Omaggio

Con il contributo della

Nel 150°dell’Italia UnitaUn numero unico

Con il contributo della

>> Pag 7

>> Pag 2, 3 e 4

Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabreseMag g io - D ice mbre 2010 - Anno I V - N. 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , 1 , 11 e 12

Speciale 150°dell’Italia Unita

Giuseppe Mazzini,precursore del

nuovo diritto pubblico europeo

di F.C. & G.C.>> a Pag. 8

All’internoINSERTO SPECIALE

LA STAMPANEL CENTENARIO

Ma un contributo libero è gradito

L'apostolo che ci ha mostrato il cammino verso un nuovo mondo

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bilanci approssimativi e tendenziosi, di stampo liquidato-rio, del lungo cammino percorso dopo il cruciale 17 marzo1861. C'è chi afferma con disinvoltura che sempre fragilisono state le basi del comune sentire nazionale, pur alimen-tato nei secoli da profonde radici di cultura e di lingua ; esempre fragili, comunque, le basi del disegno volto atradurre elementi riconoscibili di unità culturale in fonda-menti di unità politica e statuale. E c'è chi tratteggia ilquadro dell'Italia di oggi in termini di così radicale divi-sione, da ogni punto di vista, da inficiare irrimediabil-mente il progetto unitario che trovò il suo compimento nel1861.

Non deve sottovalutarsi la presa che può avere in diversistrati dell'opinione pubblica questa deriva di vecchi e nuoviluoghi comuni, di umori negativi e di calcoli di parte. Ebisogna perciò reagire all'eco che suscitano, in sfere lontaneda quella degli studi più seri, i rumorosi detrattoridell'Unità italiana.Ci sarà modo, nel corso di quest'anno e del prossimo, attra-verso iniziative di molteplice natura già in via di program-mazione, di lumeggiare - nel rapporto con pubblici qualifi-cati e con più vaste comunità di cittadini - passaggi essen-ziali, e fondamentali figure di protagonisti, del processounitario. E bisognerà così rivalutarne e farne rivivere ancheaspetti e momenti esaltanti e gloriosi, mortificati o irrisispesso per l'ossessivo timore di cedere alla retorica degliideali e dei sentimenti.Io vorrei solo - guardandomi dal tentare impossibili sintesi- suggerire, qui, il punto di osservazione dal quale si puòmeglio cogliere la forza e la validità dell'esperienza storicadell'Italia unita. Un punto di riferimento come quello cos-tituito dagli eventi che fanno per così dire da spartiacquetra l'Italia che consegue la sua unità e l'Italia che inizia,ottantacinque anni dopo, la sua nuova storia. Parlo delmomento segnato dall'avvento della Repubblica, dal-l'elezione dell'Assemblea Costituente, dall'avvio e dallosvolgimento dei lavori di quest'ultima.Campeggia, nella Carta che l'Assemblea giunse adadottare nella sua interezza il 22 dicembre 1947, l'espres-sione "una e indivisibile", riferita alla Repubblica ch'era stata

proclamata poco più di un anno prima. E ci si può chiederese si tratta di un'espressione rituale, di una meditata e con-vinta visione della condizione effettiva del Paese, o di unsupremo, vincolante impegno politico e morale. Ma inquel momento non poteva comunque mancare, nei padricostituenti, la consapevolezza di come l'unità della nazionee dello Stato italiano fosse stata appena, faticosamentemessa al riparo da prove durissime che l'avevano come nonmai minacciata. Una consapevolezza che dovrebbe oggiessere seriamente recuperata : avrebbero potuto resistere aquelle prove le basi della nostra unità nazionale se fosserostate artificiose, fragili, poco sentite e condivise, come daqualche parte si continua a ripetere? L'unità forgiatasi nelRisorgimento aveva ben presto dovuto far fronte all'es-plodere - già nell'estate del 1861 - del brigantaggio merid-ionale, che sembrò mettere in causa l'adesione delle popo-lazioni del Mezzogiorno al nuovo Stato nazionale, e su cuifece leva il tentativo borbonico di suscitare una guerrigliapolitica a fini di restaurazione. Le forze del giovane Statoitaliano dovettero impegnarsi per anni, fino al 1865, persventare quel tentativo, per sconfiggere militarmente il"grande brigantaggio", senza che peraltro venissero daterisposte a quel che era stata anche una disperata guerrigliasociale dei contadini poveri del Mezzogiorno.Le ragioni storiche profonde dell'Unità risultaronopiù forti dei limiti e delle tare, pure innegabili, dell'unifi-cazione compiutasi nel 1860-61 ; e ressero per lunghidecenni, da un secolo all'altro, a fratture e sommovimentisociali, a conflitti e rivolgimenti politici che pure giunseroa scuotere l'Italia unita. Ma con la crisi succeduta alla primaguerra mondiale, con il rovesciamento, ad opera del fascis-mo, delle istituzioni liberali dello Stato unitario, e con laconseguente estrema deriva nazionalistica e bellicista dellapolitica italiana, si crearono le premesse per un fataleprocesso dissolutivo che culminò emblematicamente nellagiornata dell'8 settembre del 1943.Quando l'Assemblea Costituente si riunisce aRoma e si mette all'opera per assolvere il suo mandato, essaha dunque alle spalle precisamente il collasso dello Statoche era nato, nazionale e unitario, sotto l'egida dellamonarchia sabauda, per finire travolto dalla degenerazionetotalitaria e dall'avventura di guerra del fascismo, avallatadalla monarchia. Non a caso, lo Stato rinasce nella formarepubblicana, per volontà popolare, e si appresta a darsi unnuovo quadro di istituzioni, di principi e di regole peraccogliere le istanze di libertà, di democrazia, di progressocivile e sociale, di degna e pacifica presenza nel mondo, diun'Italia che ha ritrovato la sua unità. L'ha ritrovata a caris-simo prezzo. Perché allo sfacelo del vecchio Stato sonoseguiti gli anni dell'occupazione straniera, liberatrice alSud e ferocemente dominatrice al Nord ; sono seguiti i 20mesi dell'Italia tagliata in due.E' guardando all'estrema drammaticità di quell'ancoravicinissimo e scottante retroterra storico, che si può - dal-l'altura, per così dire, della neonata Repubblica e della suaappena insediata Assemblea Costituente - osservare e pien-amente valutare la profondità delle radici su cui l'unitàdella nazione italiana ha dimostrato di poggiare e di poterfare leva. Nel dicembre 1943 Benedetto Croce si diceva"fisso nel pensiero che tutto quanto le generazioni italianeavevano in un secolo costruito politicamente, economica-

mente e moralmente è distrutto" ; e infatti tra il'43 e il '45 l'Italia unita rischiò di perdere la suadignità e indipendenza nazionale e vide perfinoinsidiata la sua compagine territoriale.Solo l'Italia e la Germania hanno conosciutonel '900 rischi così estremi come Stati-Nazione ;la Germania, a partire dagli anni '50, addiritturanei termini di una prolungata, forzosa sepa-razione in due distinte e contrapposte entità stat-uali, che avrebbe infine superato riunificandosigrazie al mutamento radicale intervenuto negliassetti mondiali.L'Italia poté nel 1945 ricongiungersi come paeselibero e indipendente nei confini stabiliti dalTrattato di pace grazie a tre fattori decisivi : quelmoto di riscossa partigiana e popolare che fu laResistenza, di cui nessuna ricostruzione storicaattenta a coglierne limiti e zone d'ombra puògiungere a negare l'inestimabile valore e meritonazionale ; il senso dell'onore e la fedeltà all'Italiadelle nostre unità militari che seppero reagire aisoprusi tedeschi e impegnarsi nella guerra diLiberazione fino alla vittoria sul nazismo ; lasapienza delle forze politiche antifasciste, chetrovarono la strada di un impegno comune pergettare le basi di una nuova Italia democratica eassumerne la rappresentanza nel quadro inter-

nazionale che andava delineandosi a conclusione dellaguerra.Quella sapienza fu impiegata anche e in particolare persuperare spinte centrifughe in regioni di confine, a Nord ead Est, e per sventare l'insidia del separatismo siciliano. Larisposta fu trovata nell'originale invenzione dell'autonomiadelle Regioni a statuto speciale : innanzitutto con l'ap-provazione per decreto legislativo - il 15 maggio 1946 -dello Statuto della Regione Siciliana, mentre con l'AccordoDe Gasperi-Gruber firmato a Parigi il 5 settembre 1946furono poste le basi della Regione Trentino-Alto Adige.Il fenomeno più grave con cui il governo nazionale dovéconfrontarsi nella fase difficilissima dell'affermazione dellapropria autorità e della creazione delle premesse per unnuovo assetto istituzionale del paese, fu costituito dal pre-sentarsi del Movimento Indipendentista Siciliano comeforza organizzata in grado di catalizzare spinte antiunitariedi contestazione aggressiva del possibile ricomporsi e con-solidarsi di un potere statuale sempre centralizzato. La sto-ria dell'autonomismo e indipendentismo siciliano avevanell'800 borbonico attraversato diverse fasi, sfociando -dopo il compimento dell'Unità e l'ingresso della Sicilia nelRegno d'Italia - in un apporto originale al dibattito sullaformazione del nuovo Stato nazionale. L'insoddisfacenteconclusione di quel dibattito aveva lasciato sedimenti nonsuperficiali nell'opinione siciliana, che riaffiorarono con-giungendosi a nuove ragioni di malcontento e a nuoveaspirazioni sociali quando, con il crollo del fascismo e del-l'impalcatura statale che su di esso si reggeva, sembrò pre-sentarsi una nuova, storica occasione per l'indipendenzadella Sicilia dall'Italia.L'occasione sembrava - soprattutto ai capi del movimentoindipendentista - essere offerta dall'occupazioneangloamericana dell'Isola e da un presunto incoraggiamen-to da parte delle autorità alleate. Sulla complessità politicadi quel movimento, sul suo non trascurabile grado divelleitarismo, sulle sue intrinseche contraddizioni, gli stori-ci hanno indagato attentamente giungendo a giudizi moltoponderati, anche in rapporto ad aspetti come quello deitentativi d'infiltrazione e di condizionamento da partedella mafia. Ma resta il fatto che il Movimento guidato daAndrea Finocchiaro Aprile acquisì tra la fine del '43 el'inizio del '44 un carattere di massa, reclutando centinaiadi migliaia di aderenti. E se in ultima istanza fu proprio

l'evoluzione del quadro internazionale dal quale esso avevainizialmente tratto forza, a liquidare quel Movimento, ilgoverno di Roma e le forze politiche antifasciste che lo gui-davano dovettero prendere decisioni difficili e a rischio dierrore, prima di giungere alla scelta fondamentale, chevalse a disinnescare la miccia separatista e a riassorbire unfenomeno la cui pericolosità non può in sede storica esseresottovalutata.Parlo della scelta di riconoscere alla Sicilia uno specialeStatuto di autonomia, la cui elaborazione fu affidata aun'apposita Consulta Regionale e infine, nel maggio '46come ho ricordato, recepita per decreto dal governo.Certo, la prova costituita dalla minaccia separatista sicil-iana venne superata anche grazie al fatto che più forte del-l'impulso a staccarsi dall'Italia risultò l'impronta lasciatanella popolazione dell'Isola dal concorso attivo e consapev-ole dell'aristocrazia e della borghesia al moto risorgimen-tale ; nonché il lascito della "larga partecipazione dell'intel-ligenza politica e culturale siciliana alla costruzione dellarealtà nazionale e statale italiana nei decenni seguitiall'Unità". Ma non c'è dubbio che per mettere in sicurezza,dopo la Liberazione, l'unità dell'Italia, essenziale fu la cor-

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ABOLIRE LA MISERIA DELLA CALABRIA w w w . A L M C A L A B R I A . o r g

periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabreseISSN: 2037-3945 (Testo stampato) 2037-3953 (Testo On Line)

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considerarsi totalmente gratuita e volontariaGli articoli riflettono il pensiero degli autori che si assumono la responsabilità di fronte la legge

Hanno col laborato a questo numero:Nicola Basilio Barbieri, Giuseppe Candido, Salvatore Colace,

Filippo Curtosi, Maria Elisabetta CurtosiProgetto Grafico e impaginazione : Giuseppe Candido

Questo numero è stato chiuso il 28 Dicembre 2010 alle ore 23,30

TRA RIFLESSIONE STORICA E NUOVE RAGIONI DI IMPEGNO CONDIVISOPer riproporre le acquisizioni della nostra cultura storica, relative a quel che hanno rappresentato il Risorgimento e la sua conclusione nella storia d'Italia e d'Europa

di Giorgio Napolitanosegue dalla prima

SSppeecciiaallee 115500°° ddeellll’’IIttaalliiaa UUnniittaa

1859

1861

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rezione dell'indirizzo adottato al momento della for-mazione dello Stato unitario a favore di una sua rigida cen-tralizzazione e di una forzosa unificazione amministrativae legislativa sullo stampo piemontese.Era stata una visione realistica della sola strada percorribileper fondare il nuovo Stato su basi unitarie prevenendo ilrischio del riaccendersi di particolarismi locali e di peri-colose spinte centrifughe, a prevalere su propositi e proget-ti di sia pur ponderata apertura verso il ruolo delle regioni.Ma Francesco Ferrara vide in ciò acutamente la tendenza a"confondere l'ordine con l'uniformità e l'unità con la forza".La necessità di correggere quell'indirizzo originario siespresse già nel 1946, come ho ricordato, col riconosci-mento di uno speciale Statuto di autonomia alla Sicilia, allaSardegna e - con impegni di valore internazionale - alleregioni di frontiera bilingui ; ma poi si proiettò in termini

generali in sede di definizione dei principi costituzionali edell'ordinamento della Repubblica. Così non a caso ilrichiamo alla Repubblica "una e indivisibile" è collocato inapertura di quello che diverrà - nella redazione definitivadella Carta - l'articolo 5, cui conseguirà il Titolo V, com-prendente l'istituzione delle Regioni "a Statuto ordinario".Il richiamo all'unità e indivisibilità della Repubblica vale asegnare, tra i "Principi fondamentali" quello di un invalica-bile vincolo nazionale ; e nello stesso tempo mette in evi-denza come il riconoscimento e la promozione delleautonomie siano parte integrante di una visione nuova del-l'unità della nazione e dello Stato italiano.Meuccio Ruini fu a questo proposito esplicito nellarelazione con cui presentò, nel febbraio 1947,all'Assemblea Costituente il progetto elaborato dallaCommissione dei 75 : "L'innovazione più profondaintrodotta dalla costituzione è nell'ordinamento strut-turale dello Stato, su basi di autonomia ; e può aver porta-ta decisiva per la storia del Paese. (...) Sarebbe stato naturalee logico che, all'atto dell'unificazione nazionale, si mante-nesse qualcosa delle preesistenti autonomie ; ma prevalseroil timore e lo «spettro dei vecchi Stati» ; e si svolse irre-sistibilmente il processo accentratore. E' oggetto di disputequali ne furono gli inconvenienti, ed anche i vantaggi ;molti dei malanni d'Italia si attribuiscono all'accentramen-to ; in ispecie pel mezzogiorno ; se anche tutti gli studiosimeridionalisti non sono fautori di autonomia.Certo si è che oggi assistiamo - e per alcune zone ci trovi-amo col fatto compiuto - ad un fenomeno inverso a quellodel risorgimento, e sembra anch'esso irresistibile, verso leautonomie locali. Non si tratta soltanto, come si dicevaallora, di «portare il governo alla porta degli amminis-trati», con un decentramento burocratico ed amministra-tivo, sulle cui necessità tutti oggi concordano; si tratta di«porre gli amministrati nel governo di sé medesimi»".Quella fu dunque la scelta dei Costituent: e io mi lim-ito ora a rievocarla - qualunque giudizio si possa esprimeresugli svolgimenti che essa ha avuto nei decenni successivi -solo per integrare l'argomento da cui sono partito sullaprofondità delle ragioni e delle radici del processo unitarioe sulla drammaticità delle prove da esso superate infrangenti storici cruciali ; per integrare questo argomentocon quello dell'efficacia che scelte volte a incidere suantichi e nuovi motivi di debolezza dell'Unità possonoavere al fine di rafforzarne le basi e le prospettive.E qui non posso non toccare il tema del più grave deimotivi di divisione e debolezza che hanno insidiato e insid-iano la nostra unità nazionale. Mi riferisco, ovviamente,alla divaricazione e allo squilibrio tra Nord e Sud, alla con-dizione reale del Mezzogiorno. Anche le analisi più recen-ti hanno confermato quanto profondo resti, per moltepliciaspetti, il divario tra le regioni del Centro-Nord e le regionimeridionali, al di là delle pur sensibili differenziazioni chetra queste ultime si sono prodotte.E oggi meritano forse una riflessione formule come quella,

per lungo tempo circolata, della "unificazione economica"che avrebbe dovuto seguire e non seguì alla "unificazionepolitica" del paese ; s'impone un approccio meno schemati-co, più attento alle peculiarità che possono caratterizzare losviluppo nelle diverse parti del paese, e ai modi in cui se nepuò perseguire l'integrazione riducendosi il divario tra irelativi ritmi di crescita. Si impone un approccio più atten-to a tutte le molteplici componenti di un aggravamentodella questione meridionale che ha la sua espressione piùevidente nel peso assunto dalla criminalità organizzata. Enell'allargare e approfondire l'analisi, si incontra il nodo diuna crisi di rappresentanza e direzione politica nelMezzogiorno che è stata fatale dinanzi alla prova dell'auto-governo regionale.E' futile e fuorviante assumere questo stato di cose comeprova che l'Italia non è unita e non può esserlo. Si devecomprendere che la condizione del Mezzogiorno pone ilpiù preoccupante degli interrogativi per il futuro del paesenel suo complesso. L'affrontare nei suoi termini attuali laquestione meridionale non è solo il maggiore dei doveridella collettività nazionale, per avere essa fatto dellatrasformazione e dello sviluppo del Mezzogiorno una dellemissioni fondative dello Stato unitario ; ma è anche unimpellente interesse comune, perché è lì una condizione einsieme un'occasione essenziale per garantire all'Italia unpiù alto ritmo di sviluppo e livello di competitività. Einfine, per ardui che siano gli sforzi da compiere, non c'èalternativa al crescere insieme, di più e meglio insieme,Nord e Sud, essendo storicamente insostenibili e obbietti-vamente inimmaginabili nell'Europa e nel mondo d'oggiprospettive separatiste o indipendentiste, e più semplice-mente ipotesi di sviluppo autosufficiente di una partesoltanto, fosse anche la più avanzata economicamente,dell'Italia unita.Tutte le tensioni, le spinte divisive, e le sfide nuove con cuiè chiamata a fare i conti la nostra unità, vanno riconosciute,non taciute o minimizzate, e vanno affrontate con il neces-sario coraggio.

Di queste sfide è bene avere una visione non provin-ciale. Non è solo l'Italia che vede messa alla prova la suaidentità e funzione di Stato nazionale nel rapporto conl'integrazione europea. Il nostro è sempre stato tra i paesifondatori dell'Europa comunitaria più sensibili e apertiall'autolimitazione della sovranità nazionale come elemen-to costitutivo della costruzione di un'Europa unita. Ciònon ha peraltro mai significato - anche per i più con-seguenti fautori, fin dal 1950, di un modello d'Europa consignificativi connotati sovranazionali - sottovalutare il pesodegli Stati nazionali e degl'interessi nazionali, né tan-tomeno il ruolo delle identità storico-culturali nazionali.Un grande intellettuale e patriota polacco ed europeo,Bronislaw Geremek ha scritto che "la diversità delle culturenazionali resta la più ricca risorsa dell'Europa". Nessunacontraddizione, dunque, con la ricerca e l'identificazionedi un nucleo comune di esperienze e valori europei in cuiriconoscersi e da porre a base di una identità e solidarietàeuropee.Occorre invece - e lo dico ancora con parole di Geremek -"superare gli egoismi nazionali che si esprimono nel giuocodelle relazioni intergovernative e fare appello a un senso diappartenenza condivisa che vada al di là dei sentimentinazionali". Nel conflitto e nel defatigante sforzo di com-promesso tra interessi nazionali, non possono che risultareperdenti il processo di integrazione europea e anche, inparticolare, la posizione italiana. Già decenni fa JeanMonnet sottolineò che "la cooperazione tra le nazioni, perimportante che sia", non fornisce "una soluzione per i gran-di problemi che ci incalzano ... Quel che bisognaperseguire è una fusione degli interessi dei popoli europei,e non semplicemente il mantenimento degli equilibri traquesti interessi". Quel monito è drammaticamente attuale :fusione di interessi e condivisione di sovranità, perchél'Europa possa svolgere il suo ruolo peculiare, come sogget-to unitario, e non rischiare di scivolare nell'irrilevanza, nelmondo globalizzato di oggi e di domani.L'identità e la funzione nazionale dell'Italia unitapossono dispiegarsi solo in questo quadro, solo con-tribuendo decisamente all'affermarsi di questa prospettivadi sviluppo nuovo e più avanzato dell'integrazione euro-pea.Nella fase di cambiamento della realtà mondiale che sti-amo vivendo, ci si interroga in altri paesi anche più che inItalia su come si possa e debba intendere l'identitànazionale e far vivere l'idea di Nazione. In Francia, lo stes-so Presidente della Repubblica ha sollecitato una ricerca eaperto un dibattito pubblico su questo tema, vedendo vac-illare antiche certezze sotto la pressione di molteplici fat-tori, riconducibili soprattutto al più generale processo dimondializzazione.Il punto cruciale del dibattito francese appare quello dellanecessità di reagire a forme di chiusura comunitaria che

accompagnano il crescere dell'immigrazione, presentandoun'idea aperta, generosa, non statica della Nazione e dellasua identità, senza voler imporre l'uniformità e favorendol'integrazione delle nuove leve di immigrati.Negli Stati Uniti, è da anni in corso la riflessione sulla tenu-ta dell'identità e dell'unità della Nazione, di fronte ai muta-menti indotti da nuove ondate migratorie delle più diverseprovenienze. In California, negli anni '90 la comunitàispanica è cresciuta del 70 per cento, la comunità asiaticadel 127 per cento ; tra il 1980 e il 1990 la percentuale deibianchi è scesa dal 76 al 57 per cento.Da Arthur Schlesinger jr, una voce tra le più alte della cul-tura liberal americana, venne già con un libro del 1992 -"The disuniting of America" - l'allarme per un processo diframmentazione della società in più comunità etniche sep-arate. Egli vide messa alla prova quella capacità di gov-ernare la diversità etnica "che nessuna nazione nella storiaha mostrato" di possedere al pari dell'America, paese mul-tietnico fin dall'inizio. La sfida investe l'idea stessa di unacultura comune e dell'appartenenza a una stessa società,l'esperienza straordinaria del melting pot, della trasfor-mazione della diversità in unità attraverso la leva del CredoAmericano, di una cultura civica che unificava e assimilava.Quelle risorse non sono però esaurite, concluse Schlesingerfacendo professione di ottimismo, ovvero di fiducia nellapossibilità di coltivare, tutti, le culture e le tradizioni cui siè legati senza rompere i vincoli della coesione - comuni ide-ali e comuni istituzioni politiche, lingua e cultura comune,senso profondo di un comune destino. Essenziale è, indefinitiva, nella valutazione di Schlesinger, ristabilire l'e-quilibrio tra l'unum e il pluribus.Un altro importante studioso, Samuel Huntington, in unlibro meno ottimistico sul futuro dell'identità nazionaleamericana - drammaticamente intitolato "Who are we?Chi siamo noi?" - ha ammonito : "I dibattiti sulla identitànazionale sono una caratteristica pervasiva del nostrotempo ; le crisi delle identità nazionali sono divenute unfenomeno globale".Chiudo questa digressione, volta a suggerire un allarga-mento delle nostre riflessioni e discussioni italiane, voltacioè a dare una percezione corretta di quel che accomuna edi quel che distingue le sfide, le prove cui sono sottopostele compagini nazionali in Italia e variamente in Europa o,su scala e su basi molto diverse, negli Stati Uniti, protago-nisti della più grande e ricca esperienza di costruzionedemocratica unitaria.Naturalmente, noi abbiamo da fare come italiani il nostroesame di coscienza collettivo cogliendo l'occasione del cen-tocinquantenario dell'Unità d'Italia. Possiamo farlo, nonignorando certo i modi concreti della nascita dello Statounitario, le scelte che prevalsero nel confronto tra diversevisioni del percorso da seguire e dello sbocco cui tendere ;non ignorando, anzi approfondendo i termini di quel-l'aspra dialettica, ma senza ricondurre ai vizi d'origine dellanostra unificazione statuale tutte le difficoltà successivedell'Italia unita così da approdare a conclusioni disostanziale scetticismo sul suo futuro.Le delusioni e frustrazioni che furono espresse ancheda figure tra le maggiori del moto risorgimentale, e cheoperarono nel profondo dei sentimenti e degli atteggia-menti popolari, hanno sin dall'inizio costituito un proble-ma da affrontare guardando avanti. Questo fu, io credo,l'apporto del meridionalismo che - con GiustinoFortunato, e grazie anche a illuminati uomini del Nord - sicaratterizzò come grande cultura dell'unitarismo critico,impegnata a indicare la necessità di nuovi indirizzi nellapolitica generale dello Stato nazionale la cui unità venivaperò riaffermata categoricamente nel suo valore storico.Certo, la frattura più grave di cui il nostro Statonazionale ha fin dall'inizio portato il segno e che hafinito per protrarsi - nonostante i tentativi, benché nondel tutto privi di successo, messi

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in atto a più riprese - e quindi restando ancor oggi cru-ciale, è quella tra Nord e Sud. E ho già detto in qualitermini essa ci si presenti ora e ci impegni più che mai. Maaltre fratture originarie si sono ricomposte : come quellatra Stato e Chiesa, tra il nuovo Stato, che anche con il con-tributo degli uomini del cattolicesimo liberale nel corso delRisorgimento era stato concepito, e la Chiesa spogliata,perdendo Roma, del potere temporale. E, come ho notatonella prima parte del mio intervento, molte altre prove,anche assai dure, sono state superate con successo dallacomunità nazionale.Sono convinto che nell'"età della Costituente", neglianni decisivi, cioè, della ricostruzione, su basi repubblicanee democratiche, del nostro Stato unitario, venne recupera-ta "l'eredità del Risorgimento", dissoltasi - secondo ilgiudizio di Rosario Romeo - nelle "vicende della primametà del Novecento, con le due guerre mondiali e l'avven-tura totalitaria". In effetti, la fine dell'epoca dei nazionalis-mi dilaganti e dei conflitti da essi scaturiti, consentì lariscoperta di quell'identificarsi dell'idea di Nazione conl'idea di libertà che aveva animato il moto risorgimentale.L'idea di Nazione, il senso della Patria, attorno ai qualinella prima metà del secolo scorso gli italiani si erano divisiideologicamente e politicamente, divennero nuovamenteunificanti facendo da tessuto connettivo dell'elaborazionedella Carta Costituzionale.C'è da chiedersi quanto, da alcuni decenni, questo patri-monio di valori unitari si sia venuto oscurando - anchenella formazione delle giovani generazioni - e come ciòabbia favorito il diffondersi di nuovi particolarismi, dinuovi motivi di frammentazione e di tensione nel tessutodella società e della vita pubblica nazionale. E non possi-amo dunque sottovalutare i rischi che ne sono derivati eche ci si presentano oggi, alla vigilia del centocinquantesi-mo anniversario dell'Unità.E' indispensabile, ritengo, un nuovo impegno condivisoper suscitare una ben maggiore consapevolezza storica delnostro essere nazione e per irrobustire la coscienzanazionale unitaria degli italiani. Dobbiamo innanzitutto -torno a sottolinearlo - attingere a una ricerca storiograficache ha dato, fino a tempi recenti, frutti copiosi e risultati dialto livello : come il fondamentale studio dedicato daRosario Romeo a Cavour e al suo tempo. Uno studio dalquale emerge il ruolo preminente e innegabilmente decisi-vo dello statista piemontese, guidato dalla "convinzioneche esistesse una sola nazione italiana e che essa avessediritto a una propria esistenza politica" ; il ruolo decisivo diquel Cavour grazie al quale, al Congresso di Parigi del1856, per la prima volta nella storia uno Stato italianoaveva "pensato a tutta l'Italia" e "parlato in nome dell'Italia".Nello stesso tempo, è emersa ad opera degli studiosi tuttala ricchezza del processo unitario e degli apporti che adesso vennero dai rappresentanti più alti di concezioni purcosì diverse del movimento per l'Unità, come Cavour,Mazzini, Cattaneo, Garibaldi, che concorsero, dando vitaall'Italia unita, al maggior fatto nuovo nell'Europa di queltempo.Ebbene, è pensabile oggi un forte impegno perriproporre le acquisizioni della nostra cultura stor-ica, relative a quel che hanno rappresentato ilRisorgimento e la sua conclusione nella storiad'Italia e d'Europa? E per collegarvi una riflessionematura su tappe essenziali del lungo percorso successivo,fino alla rigenerazione unitaria espressasi nei valori comu-ni posti a base della Costituzione repubblicana? Dovrebbeessere questo il programma da svolgere di qui al 2011 : unimpegno che vogliamo considerare pensabile e possibile,anche perché ci sono nuove e stringenti ragioni per condi-viderlo.Questo esigono le incompiutezze dell'opera di edificazionedello Stato unitario, prima, e dello Stato repubblicano dis-egnato dai Costituenti, dopo, e le nuove sfide al cui supera-mento è legato il nostro sviluppo nazionale, ed è nello stes-so tempo legato il nostro apporto al rilancio di un'Europariconosciuta e assertiva nel mondo che è cambiato e checambia. Non c'è bisogno che dica a voi quale sforzo e con-tributo si richieda al mondo della cultura e alle sue isti-tuzioni. Ma l'impegno condiviso di cui parlo implica unasvolta da parte dell'insieme delle classi dirigenti, un auten-tico scatto di consapevolezza e di volontà in modo partico-lare da parte delle forze che hanno, o possono assumere,responsabilità nella sfera della politica.Spero ci si risparmi il banale fraintendimento del vederesempre in agguato l'intento di un appello all'abbraccioimpossibile, alla cessazione del conflitto, fisiologico inogni democrazia, tra istanze politiche e sociali divergenti.E' tempo che ci si liberi da simili spettri e da faziosità mes-chine, per guardare all'orizzonte più largo del futuro dellaNazione italiana, per elevare al livello di fondamentali val-ori e interessi comuni il fare politica e l'operare nelle isti-tuzioni.

ultimo secolo di storia italiana è statocondizionato dalla “questione merid-ionale”. Le celebrazioni dell’Unità d’Italia di

cui tanto si parla, spesso a sproposito e senza cog-nizione di causa, hanno riportato all’attualità lastoria del nostro Risorgimento: una sorta di“revival” della questione meridionale che para-dossalmente diventa per la Lega & C questionesettentrionale che oggiva tanto di moda e chequasi sempre finisceper diventare unaoccasione per gettarefango sui “terroni” trauna polenta imboccataal “ senatur” ed una “pajata” in salsaromanesca: tragicomi-co.L’Italia è anche il paesedi Goldoni.

***Fin’ora anche le cor-renti storiografichepiù attente allo studiodelle condizioni gener-ali e particolari in cuisi è realizzata l’unitàd’Italia hanno trascu-rato un piccolo parti-colare e cioè quello diindagare a fondo ed inmodo particolare lasituazione politica ed eco-nomica di una delleregioni che componevaassieme ad altre il Regnodelle Due Sicilie: laCalabria.

La sfida unitaria cheancora è di la davenire ha riproposto conforza la lettura delRisorgimento e dei personaggi che ne costituis-cono le icone. Valga come esempio la figura diMichele Morelli, il monteleonese che nel 1820capitanò le truppe di Nola che diedero vita aimoti napoletani per la “ Costituzione”.Inquadrare questa figura nel suo contesto storicoè importante perché per restare in Calabria spet-ta a lui il merito d’aver posto il tema dell’indipen-denza e dell’unità in una condizione che vedevala nostra regione arretrata e sottosviluppata nonsolo economicamente ma anche storicamente.Avere un quadro non superficiale della storia cal-abrese per capire certi avvenimenti storici e per-sonaggi a cominciare da Michele Morelli, impor-tante è sia sul terreno della politica sia dell’azioneche si presenta come la conclusione di un proces-so di formazione svoltosi in un ben determinatoambiente ed in precise circostanze storiche.Non bisogna dimenticare che il Morelli, insiemead una ristretta elites di liberali e democraticimontaleonesi, aderì al movimento unitario esclu-sivamente per “convinzione ideologica” non dicerto per effettiva spinta del fattore economico. Al momento dell’unificazione nazionale la strut-tura economico-sociale di Monteleone era patri-arcale e feudale. I dati del catasto del tempo (1755) il c.d.Onciario chiamato cosi perché la valutazione deiredditi e delle imposte era fatta sulla basedell’Oncia pari a lire 12.75, su una popolazione

di 8500 persone divise in 2100 fuochi (famiglie)che dichiaravano un reddito complessivo di95000 Oncie. Meno di 100 famiglie detenevanola maggioranza della ricchezza assieme al clero edai conventi, solo questi ultimi dichiaravano unreddito di 20000 Oncie (22% del reddito comp-lessivo). La stragrande maggioranza della popo-lazione era servitù (precettori, camerieri, servi,cocchieri, cappellani, cochi) dei nobili e dei pos-

sidenti. ***

La maggioranzadella popolazioneera legata ancora daforti sentimenti bor-bonici e aprì le porteal Cardinale Ruffo“abbattendo gli alberidella libertà edinnalzando in lorovece le Croci, discioltala Guardia Civica,abolita laMunicipalità, il tuttosenza opposizione esenza disturbo”.Fu proprio nella cittàdi Monteleone che ilRuffo organizzò la suaarmata cristiana tra lefeste della popo-lazione e le funzionireligiose come scrive-va nel suo ottimo

libro l’Abate DomenicoSacchinelli “Memoriestoriche sulla vita del car-dinale Fabrizio Ruffo”Napoli,1856.Con diecimila ducati eventidue cavalli sellatiMonteleone omaggiò ilCardinale.La retorica e gli storici dastrapazzo parlano con

toni trionfalistici dell’apporto di Monteleoneall’unità d’Italia. - Tutto falso! – L’assenza dei monteleonesi ai grandi avvenimen-ti storici fu quasi totale.Anche il famoso ’48 passò senza lasciare tracce.Pochi furono gli ardimentosi montaleonesi chemantennero viva la fiaccola del patriottismo. Tra questi “rivoltosi liberali” tenuti d’occhio dallapolizia troviamo: Carmelo Faccioli, deputato di Monteleone alParlamento napoletano è degno di nota per averrespinto la formula del giuramento presentata dalRe, che toglieva ai Deputati la facoltà di modifi-care lo Statuto, e per l’azione di un ristrettissimonumero di “ rompicolli e vagabondi” - secondo ladefinizione dei savii del tempo - che disarmaronola gendarmeria e raggiunsero il generale CiccioStocco al campo dell’Angitola. Un'altra figura di liberale fu Carlo MassinissaPresterà assieme ad altri montaleonesi tra iquali Giuseppe Santulli, FerdinandoSantacaterina (suocero di Luigi Bruzzano),Giuseppe Morelli, Raffaele Buccarelli,Francesco Protetti e Vincenzo Ammirà.Affiliato all’Associazione dei “Figlioli dellaGiovane Italia” diretta da BenedettoMusolino. Presterà fu arrestato nel 1849. Eraimputato di “aver con cartelli, affissi in luogo pub-blico, eccitato la guerra civile in Monteleone,nonché di ...

Un quadro non superficiale della storia calabrese per capire certi avvenimenti

Da Morelli e Ammirà a BerlusconiServono luci radicali, libertarie e democratiche nel grigio dell’attuale situazione culturale italiana

diMaria Elisabetta Curtosi

MicheleMorelli

Monteleone diCalabria,

1790Napoli, 1822

La retorica e gli storicida strapazzo parlano con

toni trionfalistici dell ’apporto di

Monteleoneall’unità d’Italia.

Tutto falso!

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w w w . a l m c a l a b r i a . o r gNel 150°dell’Italia UnitaL’Inserto Speciale

Con il contributo della

Nel 150°dell’Italia UnitaL’Inserto Speciale

Con il contributo dellaPeriodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabrese

IN S E RTO S PECI A LEAl nume ro di Mag g io - D ice mbre 2010 - Anno I V - N. 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , 10, 11 e 12

Inserto Speciale “Nel 150° dell ’Italia Unita”

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II Abolire la miseria del la Calabriawww.abol irelamiseriadel lacalabria. i t

Inserto Speciale “Nel 150° dell ’Italia Unita”La Stampa nel centenario

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Abolire la miseria del la Calabriawww.abol irelamiseriadel lacalabria. i t

IIIInserto Speciale “Nel 150° dell ’Italia Unita”

20.02.1961-La StampaSera, pagina 7 - Archivio Storico LA STAMPA Domenica 29.01.1961 - La Stampa pagina 1 - Archivio Storico LA STAMPA

LA STAMPALuigi Salvatorelli, giornalista e storico

scomparso nel ’74, sul quotidianotorinese, in occasione

dell’anniversario dell’Italia Unita,rievocava e illuminava

i maggiori protagonisti delRisorgimento italiano

GIUSEPPE MAZZINI nel numero 19 - Anno 95

Domenica 22 Gennaio 1961(a destra in questa pagina)______

GIUSEPPE GARIBALDInel numero 25 - Anno 95

Domenica 29 Gennaio 1961(in prima dell’inserto)

GAZZETTA PIEMONTESESupplemento al n°307

Domenica e Lunedì 29 e 30 Gennaio 1961

(a pag. II)

STAMPA SERA20.02.1961 - Pagina 7

In questa pagina a sinistra

ABOLIRE LA MISERIA della Calabria RINGRAZIA

&AAbboolliirree llaa mmiisseerriiaa ddeellllaa CCaallaabbrriiaa

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Gli articoli riflettono il pensiero degli autori che si assumono laresponsabilità di fronte la legge

Hanno col laborato a questo numero:Nicola Basilio Barbieri, Giuseppe Candido,

Salvatore Colace, Filippo Curtosi, Maria Elisabetta Curtosi, Anna Rotundo.

Progetto Grafico e impaginazione : Giuseppe Candido

Questo numero ed il relativo insertoè stato chiuso il

28 Dicembre 2010 alle ore 23,30

INSERTO SPECIALEAl nume ro di Mag g. -D ic . 2010

Anno I V - N. 5-6-7-8-9-10-11-12

La Stampa nel centenario

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Inserto Speciale “Nel 150° dell ’Italia Unita”

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(...) reato di saccheggio di armi e di effetti militaria danno del Regio Governo col fine di distruggere ecambiare il Governo”. Fu assolto per insufficienza di prove. Fu tra i più attivi rappresentanti dei liberali mon-teleonesi, partecipando alla organizzazione delleaccoglienze che l’odierna Vibo Valentia riservò aGiuseppe Garibaldi il 27 agosto 1860, oratoreufficiale nel 1878 e 1882 in occasione delle ceri-monie commemorative di Vittorio Emanuele IIe di Garibaldi.Gli intellettuali, per buona parte avversa aiBorboni, nel 1859 erano in numero ristretto:dodici avvocati, quattro notai, tre professori dilegge, due professori di filosofia, un professore dimatematica, un professore di declamazione, seimaestri elementari, otto medici e cerusici, dodicifarmacisti, quattro pittori, sei architetti, dieciagrimensori, sette professori di musica, duelibrai.Numeroso e potente era il clero: quaranta preti,sei padri delle scuole pie, tre frati, otto filippini,venti monaci, dodici monache e tre suore dellacarità.

***Come appare evidente il monopolio del-l’istruzione apparteneva al clero; di conseguenzala stragrande maggioranza della popolazione eraanalfabeta e senza alcuna qualifica professionale. Su circa undici mila abitanti si trovavano soloquattro incisori,quattro ebanisti, quattro para-tori, cinque orefici, sette armaiuoli, tre fonditoridi campane ,tre ottonai, tre filande, due tessitoridi seta, trecento tessitrici, dodici tintori, tre cav-allerizzi, quaranta negozianti con bottega,cinque venditori di generi di privativa, quattordi-ci caffettieri ,sedici barbieri, tre speziali manuali,ventiquattro bettolieri e due locandieri. Un assetto feudale , dunque, di quella societàarretrata e quindi unRisorgimento “a modosuo”, senza tanti ritrattiin posa e storici gridi didolore, limitando la por-tata rivoluzionaria dellenuove idee che venivanoavanzate negli ambienticolti, mentre il popolinomonteleonese invece discacciare i borboniciprendeva parte del sac-cheggio unitamente aimilitari del regno. Ancora non esisteva daqueste parti “l’idea dipopolo”, di nazione, dipatria senza confini. Era solo un sogno dipochi, a dispetto di moltie nell’indifferenza deipiù. L ’ i m p l a c a b i l eVincenzo Ammirà eraconsiderato dai mon-teleonesi un depravato e un cinico, un volgareverseggiatore licenzioso ed osceno ,perseguitato,arrestato e dimenticato da morto. Eppure questogrande poeta nel ’48 si affiancò ai liberali for-mando assieme a Francesco Fiorentino ed altriun Comitato rivoluzionario e si prodigò sino al1860 a propagandare l’idea della indipendenza edell’unità della Patria diffondendo manifesti egiornali rivoluzionari che si procurava attraversoil farmacista Giuseppe Montoro e da un ingeg-nere della Corsica, Massons, inviato nellaminiera di lignite tra Briatico e Pannaconi per losfruttamento di quelle risorse. Sempre sorveglia-to dalla polizia, subì numerose visite domiciliari;gli venne pure sequestrato un libro e una can-zone: il libro era il Decamerone di Boccaccio e la

canzone era opera sua: la “Ceceide”. “Cose contro il buon costume” recitava l’accusa,pertanto “la Regia giustizia condanna donVincenzo Ammirà a due mesi di esilio cor-rezionale,a lla perdita del libro e dello scritto, allamulta di ducati 20 e alla spese di giudizio”. Lacausa andò in appello, dove la pena fu ridotta allasola multa ma intanto il poeta monteleoneseaveva trascorso 58 giorni nel carcere diSant’Agostino dalla data del sequestro a quellodella prima sentenza. Allora come ora. Nel 1858 fu di nuovo in carcere per aver scritto ilsonetto “Su Agesilao Milano”. Non poteva man-care nel 1860 a fianco di Garibaldi alla volta diSoveria Mannelli. Massimo Massara, scrittore egiornalista, in un suo scritto, presentato al secon-do convegno di studi Gramsciani dedicato ai“Problemi dell’Unità d’Italia”che risale ad oltremezzo secolo fa, scriveva:“E’ vero che i nobili monteleonesi accolsero con

tutti gli onori il Generale Giuseppe Garibaldi edil suo Stato Maggiore e che tutta la cittadinanzaaccorse ad applaudirlo, ma è lecito dubitare dellasincerità di questi sentimenti per nulla dissimili aquelli espressi verso il Cardinale Ruffo e verso irestauratori del 1815. I nobili del paese, che continuarono a consider-are i giovani che seguirono Garibaldi, arruolan-dosi nel suo esercito, - rompicolli e vagabondi -cercarono di accattivarsi le simpatie dei “conquis-tatori” concedendo al Maggiore Barone GustavoFriggesi Sutak, ungherese, lasciato al comandodella piazza, la Cittadinanza onoraria della Città.Il popolo Monteleone fu assente del tutto,tranne poche onorevoli eccezioni ,al movimentodi emancipzione nazionale che si risolse per essocon la conquista regia. D’altra parte, - conclude Massara - esisteva unafrattura netta tra i pochi intellettuali progressistied il popolo, perché quelli potessero rappre-sentare una guida rivoluzionaria adeguata”.

***Un sentimento eli-tario e letterarioquindi, senza lap a r t e c i p a z i o n epopolare fu quelmoto risorgimen-tale. Il motivo è molto sem-plice: come potevaesserci partecipazionepopolare di una societàcontadina nella piùassoluta povertà, nel-l’isolamento e nell’alfa-betismo? Le rivoluzioni sonostate sempre ecomunque un fatto dielite, le masse furonoassenti a Monteleoneper i motivi che abbi-amo evidenziato e perforti ingerenze dellaChiesa di Roma e per la

sudditanza pontificia del Regno di Napoli. Emblematico l’assassinio del vescovo di Filadelfia(importante centro del monteleonese) e ilgiansenista Giovanni Andrea Serrao, assassinatoda emissari del Cardinale Ruffo il 27 febbraio1799. Serrao fu strenuo difensore dei diritti delloStato contro le usurpazioni e le ingerenze dellaChiesa. Dovremo quindi impegnarci ad accendere tanteluci radicali, libertarie e democratiche nel grigiodell’attuale situazione culturale italiana e cal-abrese che, travolta da scandali, corruzione e rissepolitiche rischia di perdere quel patrimonio dilibertà e di identità cui i nostri “padri risorgimen-tali” si immolarono.

Maria Elisabetta Curtosi

a storia del “ruolo del Mezzogiornonell'Unità d'Italia” s'intreccia, inCalabria, con quello delle popolazioni

arbëreshë. Una minoranza etnica e linguisticaalbanese che si stanziò nell'Italia meridionale dalXV e il XVIII secolo, in seguito alla morte del-l'eroe nazionale albanese Giorgio CastriotaSkanderbeg e alla conquista progressivadell'Albania e di tutto l'Impero Bizantino daparte dei turchi ottomani. Nel corso dei secolisono riusciti a mantenere e a sviluppare la propriaidentità greco-albanese, grazie alla loro caparbi-età e al valore culturale esercitato principalmentedai due istituti religiosi cattolici di rito orientale,con sede in Calabria il "Collegio Corsini" (1732)e poi "Corsini-Sant'Adriano" nel 1794. A ricor-darci il loro ruolo e il loro contributo all'ItaliaUnita, è una vecchia rivista:, la “RassegnaCalabrese”, diretta da Alfredo Gigliotti. Un men-sile di vita, cultura, informazioni che, nel numerounico di novembre e dicembre del 1961, proprioin occasione del centenario dell’Unità d’Italia, neripercorreva la storia calabrese.Il contributo degli Albanesi al processo di unifi-cazione d’Italia – scrive il Gigliotti - è stato pienodi motivi e di orgoglio per la progenie di tantieroi e martiri di stirpe albanese i cui nomi cospar-gono le pagine della storia d’Italia. Già nel XV secolo nuclei immigratori giunseronelle regioni nel sud Italia insediandosi in centriesistenti o fondando paesi ex novo all’interno deiquali mantennero usi, costumi, lingua e riti origi-nari del proprio paese. Infatti il collegio ItaloAlbanese “S. Adriano” di S. Demetrio Corone,nasceva con l’intento educare e istruire i giovanidelle colonie albanesi e creare nuove generazioni.La sua istituzione sorse nella mente del sacerdoteStefano Rodotà, il quale la propugnò davanti alPontefice Clemente XI degli Albani del Lazio, ilquale la approvò, ma non poté mandarla effetti-vamente. Clemente XII Corsini impose l’istituzione con labolla del 7 marzo 1733 e il Collegio sorse in S.Benedetto Ullano nel monastero concesso dalCardinale Caraffa e con una dotazione di dodicimila scudi erogati dallo stesso Pontefice. Gli stessi Re di Napoli furono prodighi di cure edi premure per lo sviluppo del Collegio cheFerdinando IV, nel 1794, fece trasferire nelmonastero basiliano di S Demetrio Corone, piùvasto e ospitale. Ne ebbero la presidenza maestriinsigni, mons. Francesco Bugliari, DomenicoBellusci di Frascineto nominato dal gen.Masséna, Gabriele De Marchis, AntonioMarchianò, maestri che prima di infondere neigiovani discepoli gli insegnamenti delle più altevirtù civili e dei più profondi sentimenti religiosi,filtravano la propria coscienza per essere all’altez-za della loro missione educativa, primario dovere

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GLI ITALO ALBANESINEL PROCESSO

DELL’ITALIA UNITA

I campioni di italianità, forgiati nelcollegio S. Adriano, non restarono in

Calabria a contenere i loro ideali

Un contributo pieno di motivi diorgoglio per la progenie di tanti eroi

diSalvatore Colace

eNicola Basilio Barbieri

Benedetto MusolinoPizzo, 8 febbraio 1809 - Pizzo, 15 novembre 1885

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di ogni educatore degno di questo nome. Dalcollegio di S. Benedetto Ullano uscirono i dueprimi grandi campioni italo albanesi, PasqualeBaffi e Angelo Masci. Il Baffi, a vent’anni nel1769 ebbe la cattedra di lingue classiche aSalerno, quindi passò alla cattedra superiore diNapoli, ove fu stimato il più grande ellenistadell’Europa e ricoprì la carica di bib-liotecario dell’ AccademiaErcolanense.Nel 1776 fu arrestato per la primavolta perché sospettato di massone-ria; nel 1779, per essere stato rapp-resentante del popolo nella gloriosaquanto infelice RepubblicaPartenopea, salì il patibolo conanimo intrepido dopo aver rifiuta-to il veleno offertogli nel carcere damano amica. Il Masci, magistrato famoso eincorrotto, ebbe il coraggio dicombattere il dispotismo feudalequalificandolo il peggiore dei malidel regno e di propugnare la spar-tizione delle terre ai contadini innome della giustizia sociale e, con-tro ogni esitazione e in concomi-tanza del suo magistero, pubblicòun ardito “Esame politico legaledei diritti e delle prerogative deibaroni del Regno di Napoli” antic-ipando quella che fu poi la legis-lazione napoleonica. Dopo breve periodo di inattivitàforzata, il Collegio, che sarebbe dovuto esseretrasferito a Corigliano Calabro o alla badia delPatire sulle montagne di Rossano, riapri i batten-ti e vi si continuò ad alimentare con maggioreardimento la fiamma per la fiaccola della libertà edell’indipendenza nazionale. Nel 1838 fuarrestato il poeta Gerolamo De Rada, nel 1843viene arrestato per la prima volta DomenicoMauro perché l’organizzatore di quella som-mossa, che, non scoppiata a Cosenza nel luglio,scoppierà nel marzo 1844, tre mesi prima dell’ar-rivo in Calabria e della cattura dei fratelliBandiera, e della quale fecero parte, nella massi-ma parte, rivoluzionari albanesi di S. BenedettoUllano e di Cerzeto, arrestati e condannati, tracui il giovane Raffaele Camodeca di Castroregio,studente nel collegio S. Adriano. Si giunge al1848, l’anno dei portenti rivoluzionari.L’insurrezione di Napoli viene soffocata nelsangue, ma la guerra è nelle province. Gli studen-ti di S. Demetrio, con a capo il preside prof.Antonio Marchianò, disertano in massa le scuoleper raggiungere gli insorti cosentini accampatinella valle di S. Martino, allo sbocco diCampotenese, sotto il Pollino, ove le schierealbanesi erano con Domenico Mauro e GiuseppePace di Castrovillari per ostacolare il passo aiborbonici che muovevano verso Cosenza. Trealbanesi, Francesco Saverio Tocci da S. Cosmo,Demetrio Chiodi e Vincenzo Mauro da S.Demetrio si spingono oltre gli avamposti nemici,fino Rotonda, per uccidere il gen. Lanza, ma ven-gono fatti prigionieri, straziati e trucidati volgar-mente.Ma i campioni di italianità, forgiati nel collegioS. Adriano, non restarono in Calabria a con-tenere i loro ideali e a partecipare a sommosse erivolte. Gli albanesi raggiunsero nella maggiorparte a Napoli, la capitale borbonica, e quivi siritrovarono e si congiunsero con altri noti patri-otti per agire. A Napoli, Domenico Mauro,Gerolamo De Rada, Guglielmo Tocci che con-

tinuò la tradizione degli avi Donato e Luca,Giuseppe Marchianò, Vincenzo Marchese,Pietro Antonio Basile, Attanasio Dramis,Agesilao Milano, Giambattista Falcone da Acri,lo sfortunato eroe di Sapri, tutti alunni del colle-gio italo albanesi, liberali e mazziniani, con ilpensiero e con l’azione non diedero tregua allapolizia borbonica. Ed eccoci, difatti, all’avveni-

mento culminante dell’8 dicembre 1856 checommosse tutta Europa: Agesilao Milano atten-ta alla vita di Re Ferdinando e affronta il patibo-lo come un eroe dell’ antica Roma. Secondo ilNisco, la perseveranza di Re Ferdinando adaccentrare in sé ogni autorità, col rendere la mag-istratura strumento di sua politica, col servirsidell’arma terribile delle accuse di lesa maestà percompiere vendette, col rendere potenti i

accusatori, con l’ affidare la suprema autorità dipolizia ad uomini che ridestavano le tristi memo-rie di Lucio Elio Seiano, fece concepire adAgesilao Milano, albanese di stirpe, di spiritiardenti, giovane di ventisei anni, il disegno diimitare Cassio Cherea, di cui studiando nel col-legio di S. Demetrio, la storia dei Cesari avevaimparato ad onorare il nome per aver tentato diridestare in Roma la libertà offesa da Caligola.L’unico amico del Milano, colui che conoscevasicuramente il disegno regicida, divenuto in luivocazione, fu Attanasio Dramis da S. GiorgioAlbanese, compagno di studi, che venne, contanti altri, tratto in arresto e a duro carcere, con-fermando l’esempio del genitore, alla cui memo-ria, in S. Giorgio Albanese, è stata dedicata la

lapide che dice: “Alla onesta memoria diGiuseppe Dramis Carafa, padre amatissimo, chenel martirio di una fede ardente all’ ItaliaBandiera tutto immolasti, onori, sangue, fortu-na, spartanamente i figli traendo ai campi dellaGiustizia e della Libertà, questo ricordo i figlituoi consacrano in questo umile marmo, da cuipotente il fremito risuoni dalle tue fredde ceneri,

terror de vili, eccitatore deiforti”. La epopea garibaldinainveste come corrente di ariaossigenata i paesi albanesi eschiere di giovani e di anzianioccorrono ad aggregarsi aiMille ed a combattere sino aCapua e al Volturno. Basti

ricordare che AttanasioDramis, dopo un colloquiocon Garibaldi a Palermo, potèorganizzare nel solo paese di S.Giorgio Albanese, che contavaallora appena 1300 anime, unafalange di 125 volontari, checon quelli di S. Cosmo,Vaccarizzo, S. Demetrio, S.Sofia, Macchia e Spezzanofecero parte della legioneSprovieri. A Napoli, Garibaldinomina Ministro di Grazia eGiustizia Pasquale Scura, giàProcuratore Generale nellaGran Corte di Basilicata, alun-no del collegio S. Adriano, cospiratore anti-borbonico, dimesso dalla cari-

ca per vendetta personale di Re Ferdinando. Lo Scura, il cui nipote Angelo a Genova, neitelegrafi, fungeva da organo trasmettitore di seg-reti messaggi patriottici, si trovò, nel Ministerogaribaldino, con Crispi e Giura, altri due albane-si, e dettò la formula del plebiscito del 21 ottobre1960. Federico Verdinois per lo Scura dettò, oltreche l’epigrafe che si legge in via dei Sette Doloridi Napoli, anche quella che il popolo Vaccarizzogli dedicò con una lapide dello scultore SalvatoreCarpentieri e che dice: “in tempi malvagi di lib-ertà bugiarde, Pasquale Scura, ProcuratoreGenerale, educato a liberi sensi, per realtà dicompiuto dovere cittadino, esulò in Piemonte,tornò coi destini rinnovellati d’ Italia,Consigliere di Cassazione, Guardasigilli conGaribaldi e Pallavicino Trivulzio, presiedette ilplebiscito Napoletano, sollecito di una fortecompagine nazionale, ne volle la formula, adonorare la memoria del Magistrato insigne, i cit-tadini vollero qui posta questa lapide”.Garibaldi,nella giornata del 2 ottobre 1860, memorandanei fasti gloriosi dell’ indipendenza nazionale,proclamò: “Gli Albanesi sono eroi che si sonodistinti in tutte le lotte contro la tirannide” e il20 ottobre, da Caserta,: “Italia e VittorioEmanuele – Il dittatore dell’Italia Meridionale.In considerazione dei segnalati servizi resi allacausa nazionale dai prodi e generosi Albanesi,Decreta: Cessati i bisogni della presente guerra ecostituita l’Italia con Vittorio Emanuele, dovrà ilTesoro di Napoli somministrare immediata-mente la somma di diecimila ducati per l’in-grandimento del collegio “S. Adriano” di S.Demetrio Corone. Io pongo sotto la garanziadella Nazione e del suo magnanimo Sovrano, l’e-ducazione del presente Decreto. GiuseppeGaribaldi”. Ecco perché Re Ferdinando e i borbonici ave-vano attribuito al Collegio Italo Albanese l’epite-to di “fucina di diavoli” e più volte minacciaronodi sopprimerlo.

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La fucina di diavoliITALO ALBANESI E L’ITALIA UNITA

Gli “Eroi che si sono distinti in tutte le lotte contro la tirannide”di

Salvatre Colace e Nicola Basilio Barbieri

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... paese dove viveva sotto stretta sorveg-lianza con l’obbligo di non allontanarsi dal-l’abitato anche di giorno e il divieto dirimanere fuori casa dopo il tramonto. Un sorvegliato molto speciale che anche inquelle condizioni ebbe però il coraggio dicospirare ancora, assieme ad Eugenio DeRiso e altri, per preparare i moti che poisfociarono nella rivoluzione del 1848.Musolino, scriveva il Gigliotti, “aveva il fer-vore della fede e delle idee, talvolta senzaconoscere il freno, onde fu spesso ritenutopiuttosto uno spirito bizzarro che sapevadire stravaganze brutali e verità”. Un uomodi pensiero e azione, un patriota che“Amava ag uzzare l’occhio nell’avveniredella Patria e dimostrò averne il senso e laperspicacia negli anni avanzati, così come,nei tempi della giovinezza, aveva avuto l’ar-dore dell’azione”.Per un decennio si batté alla Camera quasisolo per la preparazione nazionale, lancian-do proposte, il lustrando progetti cheammiriamo ancora oggi. Radicale nell’ani-mo. In un discorso pronunciato allaCamera il 30 giugno del 1861, BenedettoMusolino domandava se la Francia avessemai pronunciato una sola parola relativaall’unità italiana. E rispondeva : “No. Edunque come fondate voi la vostra speranzanell’aiuto di questa alleata? Io dico – con-tinuava Musolino – che l’alleanza dellaFrancia non esiste più. Questa è un’altraillusione che ci facciamo: pretendiamo ofingiamo pretendere di penetrare a forza difantasia là dove ci vogliono cannoni ebaionette. (…) L’Italia diverrà grande allasua volta con saviezza delle sue istituzioni,con la sua industria e con la sua forza : allo-ra essa darà alla Francia la sua libertà”.Considerando, inoltre, l’infido atteggia-mento francese nei confronti di Romadimostrava quanto fossero illusi coloro cheavevano sempre predicato Napoleone III ilpiù sincero promotore ed amico dell’Unitàitaliana ed ammoniva: “Bisogna fare causacomune con la Germania , armarsipoderosamente, prendere da una parteRoma e dall’altra invadere il territoriofrancese incominciando con l’occupazionedi Nizza e Savoia”.Più oltre, nello stesso discorso, Musolino,pensando di aver dinnanzi i francesi,dichiarava la volontà italiana : “Nontemete, l’Italia non aspirerà a conquiste,siamo contenti della nostra terra, del nos-tro cielo, della nostra eredità : in Italia nonabbiamo razze diverse, diversa lingua, istin-ti diversi: una è la lingua, una è la razza. Labase della nazionalità sta nella razza e nellalingua”. Ancora ignaro – su questo – quantesciagure, proprio quei nazionalismi basatisu razza e identità linguistiche, avrebbero abreve causato. Dura la sua critica al socialismo che siandava profilando. Si intese di economia eil 18 marzo del 1863, quando alla Camerasi prendeva in esame il fabbisognofinanziario della Nazione, BenedettoMusolino, “che ad ogni problema apportavacompetenza dotta e sicura”, pone all’ordinedel giorno dei suoi colleghi deputati “unariforma radicale” del sistema contributivo

proponendo “l’imposta progressiva”. Nelcorso della sua esposizione sollevava, senzaassumere atteggiamenti demagogici, le sueaccuse contro l’ingiustizia sociale della dis-tribuzione della ricchezza e precisa i rap-porti tra capitale e lavoro criticando aspra-mente le “malsane deviazioni dell’incipi-ente nostro socialismo”: “Il lavoro è malripartito, afferma Musolino ; il capitaleassorbe tutto. L’operaio lavora quando ilcapitalista lo vuol far lavorare e, quandoquesti non ci trova più la convenienza, logetta sulla via”. E se ciò non bastasse affer-ma parole di straordinaria attualità ancheoggi: “Signori, la pretesa civiltà modernatende a sostituire il feudalesimo economicoall’antico soppresso feudalesimo civile epolitico. Tutt’oggi è capitale, e noi tendi-amo ad una radicale trasformazione sociale.Se vogliamo costruire il nuovo Stato, lanuova società, su basi incrollabili, atteni-amoci alla giustizia distributiva. Di fronte aquesta lussuria sempre irrompente del capi-tale, io credo che per ora non c’è nessunaltro rimedio se non l’imposta progressiva.Dacché il capitale è tanto favorito, è bengiusto che chi gode i maggiori privilegi, siasottomesso ai maggiori sacrifici”.Personaggio polivalente e poliedricodedicò “studi diligenti” ai problemi dipolitica nazionale ed internazionale. Capìche per avere e mantenere la sicurezza inPatria e nell’Europa delle nazioni di allora,era necessaria una forza armata nazionale diprofessionisti “allenati”. In occasione delladiscussione sul riordino e sull’armamentodella Guardia Nazionale proposti daGaribaldi si espresse affermando che :“Bisogna che il cittadino acquisti le attitu-dini che all’occorrenza lo facciano esseresoldato, e perché diventi soldato bisognache sia istruito in tutte quelle pratiche checostituiscono l’arte militare. Perché siottenga un’istruzione solida da avere, albisogno, tanti soldati quanti sono i cittadi-ni capaci di tenere un fucile, è d’uopo cheogni cittadino sia abituato alle pratichedella milizia”. A tale fine prevedeva peri-odiche “esercitazioni” che avrebbero con-ferito “un’idea precisa di come guerreggiarein campo” per cui, “in breve tratto di temposi potrà vedere il nostro popolo armato ed

esercitato, ed in caso di bisogno non avre-mo più dei corpi di truppa incomposta, madei soldati d’ordinanza”.Attento ai problemi internazionali nelnovembre del 1872, Musolino prende laparola alla Camera per esporre il suo pen-siero netto e chiaro sui rapporti tra laRussia, la Prussia e l’Austria, i cui impera-tori si erano incontrati in un convegno aBerlino nell’ottobre precedente: “La razzaslavo moscovita si ritiene come predestina-ta al compimento di una grande missione,al rinnovamento dell’umanità accasciatasotto il peso della decrepitezza e della cor-ruzione, mediante l’assorbimento dellealtre razze, nazioni e credenze allo stessocentro politico e religioso. E' un’utopia,escalamo taluni. Ed io rispondo che diven-terà realtà se l’Europa non vi provvede intempo. Se l’Europa le permetterà, non dicodi fare, ma di sviluppare gli immensi ele-menti di potenza e di espansione che in séracchiude, prima di mezzo secolo il vecchiocontinente di Europa e di Asia sarà invaso edominato dalla razza slavo-moscovita (…).Per analoghi motivi la Prussia , avendoinnalzata la bandiera della nazionalità ,deve necessariamente osteggiare ogniingrandimento della Russia e perché nonpuò lasciarsi assorbire in Europa e perchénon può permettere che quella estenda lasua dominazione nell’Asia minore. Il giornoche l’Europa permetterà alla Russia di sboc-care e avere possessi nel Mediterraneo, siaavanzando dalla parte del Bosforo sia dis-cendendo dall’Armenia in Siria e inAnatolia, l’Europa avrà segnato il decretodella sua servitù, giacché avrà concesso allaRussia il mezzo di come avere quei marinaiche non può avere con le sue gelate con-trade: marinai senza cui non potrà maimettere in piedi delle grandi flotte che lesono indispensabili per girare le nazioni dioccidente, onde neutralizzare la loro azionee il loro concorso quando sarà arrivato ilmomento di operare contro tutta l’Europa,invadendola da lato della Germania conenormi masse che potrà avere al più tardifra due generazioni a causa dello svilupponaturale e prodigioso della sua popo-lazione. E la Germania si trova nella stessanostra condizione come quella che, essendoconfinante con la Russia, sarebbe espostaelle prime invasioni dalle orde settentrion-ali, che per essere le prime, sarebberoaccompagnate dal maggiore accanimento eseguite dalle più desolanti rovine.I sapienti uomini politici del nuovo ImperoGermanico non possono né debbono chi-udere gli occhi di fronte all’avvenire che èriservato a tutte le Nazioni del vecchio con-tinente dallo spirito di cosmopolitismomoscovita. E se non pensiamo fin da ora amettere quest’ultimo nell’impotenza dicontinuare la sua espansione, essi avrannofabbricato sull’arena. Potranno ben costi-tuire una Germania sapiente, splendida,gloriosa, ma sarà una Germania che nondurerà più di cinquant’anni”.

Sorprendono ancora l’attual-ità e la veridicità dei presagidi quest’eroico garibaldino edovrebbero destare ammi-razione sincera . Crediamogiusto che quello spirito,quei suoi discorsi, quel suoardore, quelle di idee equelle azioni di rivo-luzionario, patriota e politi-co di “fede italiana” fosseromeditati anche oggi inquesto cento cinquantesimoanniversario dell’Unitàd’Italia, alla quale Musolino,assieme a tanti altri diCalabria, sacrificò la vita eogni bene di fortuna.Sarebbe sicuramente un bel-l’esempio per vecchie enuove generazioni.

E’ be n g iusto che chi g od e i mag g ior i pr iv il eg i , s ia so ttomes so a imag g ior i sacr i f i c i

P r e s a g i e m o n i t i d i B e n e d e t t oM u s o l i n o

Un calabrese dalla “costante fede italiana” che “amava aguzzare l’occhio nell’avveniredella Patria”

Per una riforma radicale: l'imposta progressiva per combattere la lussuriairrompente del capitale

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi

segue dalla prima

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Filippo Curtosi Giuseppe Candido

S. Maria a Sacra LitteraSulle origini e sul culto della Madonna della Lettera

Tra storia, arte e letteratura popolarePrefazione di S.E. Mons. Vincenzo Rimedio

NN oo nn MM oo ll ll aa rr ee ee dd ii zz ii oo nn ii -- LL uu gg ll ii oo 22 00 11 00Pag. 228 - euro 9,00 - ISBN 9788890504006

Uno spaccato di religiosità popolare proposto nellatrattazione in chiave antropologica delle feste chesi svolgono in Calabria, ma l’intento di fondodegli Autori è di focalizzare la tradizione dellalettera della Madonna alla Città di Messina edella conseguente devozione alla Madonna dellaLettera

Mons. Vincenzo Rimedio

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AB O L I R E L A M I S E R I A D E L L A CA L A B R I A Nel 150°dell’Italia Unita

Un numero unico

Con il contributo della

Nel 150°dell’Italia UnitaUn numero speciale

Con il contributo della

l Presidente della Repubblica, GiorgioNapolitano, dallo scoglio di Quarto da cuimossero nel 1860 i Mille di Garibaldi, hadato ufficialmente il via alle celebrazionidel 150° anniversario dell'Unità d'Italia

nei luoghi della “memoria storica”. Rispondendo allepolemiche degli esponenti della Lega chepreferiscono tifare Padania, il Capo dello Stato hareso omaggio all'impresa con la deposizione di unacorona di fiori presso la stele celebrativa dellapartenza dei Mille a Genova da dove partì la mis-sione dei garibaldini. “Non sono tempo perso edenaro sprecato ma fanno tutt'uno con l'impegno alavorare” ha detto. E ancora: “Onoriamo i Patrioti”.Prima l'unione della Lombardia al Regno diSardegna, la fusione con l'Emilia, la Romagna e laToscana sino al loro congiungimento alla Sicilia, alMezzogiorno, alle Marche e all'Umbria e, soltantonel 1861, venne ufficialmente proclamato il Regnod'Italia. L'embrione era stato generato. "Il Senato e laCamera dei Deputati hanno approvato; Noiabbiano sanzionato e promulghiamo quanto segue:Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assumeper sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia.Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo delloStato, sia inserita nella raccolta degli atti delGoverno, mandando a chiunque spetti di osservarlae di farla osservare come legge dello Stato. DaTorino addì 17 marzo 1861". Il 21 aprile 1861 quel-la legge diventa la n. 1 del Regno d’Italia. Il 17 marzo del 2011 l’Italia compirà ufficialmente150 anni. Il Paese del "bel canto", acciaccato maancora in piedi, ne ha fatta di strada. Ma spesso glianniversari, le ricorrenze, si accavallano e, il prossi-mo 10 marzo, sarà pure il 140mo anniversario dallamorte di uno degli uomini considerato, assieme aGiuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II eCamillo Benso, uno dei padri della patria. E non ètempo perso riportarli all'attualità. Qualcuno oggipolemizza se l'Unità d'Italia sia stata un bene oppureuna fregatura, soprattutto per il mezzogiorno. Poic'è la lega che ha visto suoi esponenti dichiararel'inutilità di queste celebrazioni. Mazzini, politico epatriota, si presenta ai giovani, ancora adesso, comeuna figura luminosa. “La repubblica, come necessitàstorica sorgerà dai cento errori governativi che ter-ranno dietro ai cento commessi; sorgerà, dal con-vincimento degli animi, che la guerra ogni giornoalla libertà degli italiani, alle associazioni, alla stam-pa, al voto, è conseguenza inevitabile del sistema,non d’uno o d’altro ministero; sorgerà dal senso dipericolo mortale e di disonorare che lo spettacolo dicorruzione dato da un governo senza dignità e senzaamore, susciterà presto o tardi, onnipotente negliuomini che hanno a cuore l’avvenire della Patria”.Inoltre ci spiega che è necessaria “l’eguaglianza ditutti dinnanzi al Diritto: la protezione dei deboli, ladistruzione dei privilegi usurpati dai forti; la libertàper tutti; libertà di disporre della propria personasotto la propria responsabilità; libertà d’andare, divenire, di operare; libertà di pensiero, di parola, discritto; libertà di associarsi pel compimento di tuttiquegli atti, che, se commessi da individui isolati, nonsarebbero considerati criminosi”. E questa dottrinafu quella che Mazzini insegnò: al suo trionfo con-sacrò l’intera sua vita. “Un Essere guidato da un’in-telligenza e da un’unica volontà. Mazzini fu uno diquegli eroici veggenti. Quanti credono nelProgresso, conclude il giornalista, gli debbono iltributo del loro rispetto e della loro ammirazione.Ed io vi sono riconoscente di avermi offerto l’occa-

sione di deporre il mio”.Le sue idee e la sua azione politica, senza dubbiocontribuirono in maniera decisiva alla nascita delloStato unitario italiano. E furono di grande impor-tanza, anche successivamente all’Unità, nelladefinizione dei moderni movimenti europei per l’af-fermazione della democrazia attraverso la formarepubblicana dello Stato. Il pensiero politico esociale dimostra che Mazzini fu davvero una diquelle “grandi anime che visitano d’epoca in epoca,l’Umanità per annunciare un nuovo ordine di cose”.Cajo Renzetti, nel ricostruirne il pensiero scrisse che“Mazzini fu uno di quegli eroici veggenti. Questepotenti individualità sorgono, confusamente pre-sentite da molti, sul morire di una fede religiosa allospirare di un periodo storico filosofico. Sorgonopotenti della sintesi del passato e forti dell’intuitodivinatore dell’avvenire. Ardentemente amano, eperò nella lotta contro l’errore si scagliano cavalieridella morte. La loro virtù atterra e suscita, abbatteed edifica. L’epoca li deride li calunnia li perseguita,

ed essi perseguonoimmutati, paghi dellariconoscenza delfuturo”. Un patriota,un cospiratore, un leg-islatore, un filosofo eun letterato. Tra lachiesa cattolica ed ilsecolo, egli evocò lalibertà di pensiero e dicoscienza. Tra la lib-ertà ibridamentesposata al principato,

preferì la democrazia. Tra i capitalista e il salariato,scelse il “libero produttore”. La sua missione fuessenzialmente “Rigeneratrice” morale umanitaria, equesta si estese a tutti i popoli ed abbracciò tutte lenazioni. Egli è l’uomo dei politici ardimenti che colfervore di un antico ascende la gloriosa tribuna deiGracchi, e “più fortunato e più innovatore diCrescenzio di Arnaldo di Stefano Porcari e di Cola

da Rienzo, decreta la fine del Papa e del re, procla-mando la sovranità del popolo, libero di ogni lacciodi chiesa costituita e militante, sciolto d’ogni tiran-nide di mediazione spirituale o temporale”. E ancorapotremmo dire che “Egli è l’uomo delle redentriciaspirazioni che detta il libro dei Doveri dell’Uomo,dove con sapienza mirabile tenta armonizzare la lib-ertà colla legge, l’individuo coll’aggregazione, la pro-prietà col lavoro, la donna coll’uomo”. Mazzini è cul-tore altissimo dell’arte, ma, scriveva Renzetti, “l’arteper l’arte non costituisce il suo ideale. Per lui arte sig-nifica missione, missione morale e sociale. Mazzini èamante della patria, ma resta assai lontano d”a quelpatriottismo pel patriottismo per il quale oggi molti,repubblicani un giorno, riposano stanchi sugli alloridell’unità, carichi il petto di ciondoli regi”.La patria sacra in oggi, sperava Mazzini, sparirà forseun giorno, quando ogni uomo rifletterà nella pro-

pria coscienza la leggemorale dell’Umanità. E'fautore della libertà, dellalibertà la più ampia, lapiù sconfinata, ma, “illiberalismo per il liberal-ismo non costituisce ilsuo ideale”. Anche la lib-

ertà, senza l’uguaglianza, è una pianta sterile: “La lib-ertà non è un principio, ma quello stato in cui losviluppo di un principio è concesso ad un popolo.Non è il fine, ma il mezzo per raggiungerlo.” E perascendere a questa “città futura”, egli accenna a dueprincipi fondamentali: la nozione del dovere e lavirtù del sacrificio; la vita significa “missione”, com-pito di trasformare le cose a favore di tutti, dovere di“procacciare il benessere sociale”. La legge scrittanon può essere altro che un riflesso, una fotografia,per così dire, della legge morale e naturale. Nessunopotrebbe dettarla a suo capriccio perché essa deveessere liberamente discussa e unanimemente accetta-ta. Lo Stato, secondo l'idea mazziniana, non decapita idelinquenti, perché “il suo codice penale protegge lasocietà, e ne educa gli individui; non sparge lelocuste della burocrazia, perché fa pochissime leggi ebuone; non si circonda di baionette permanenti,perché tutti i suoi cittadini militano; non tienegabellieri alle porte o alle dogane, perché non hacorte, né lista civile, né balli diplomatici, né livree diministri, né galloni di generali: non compra coifondi segreti , perché non ha spie, e non ha spie, per-ché tutto si può dire e stampare intorno ai problemisociali, e l’interesse della sussistenza dello stato ècomune; ivi i migliori per ingegno e virtù hannodovere e diritto al raggiungimento dei pubblicinegozi, e vengono eletti da tutti, rimanendo sinda-cabili, amovibili, responsabili.” Questa specie diStato favoreggia, stimola, inizia a proteggere le ten-denze e le spontaneità collettive. Esso può dirsi unostato patriarcale che invece di perpetuare sé stesso edallargare la propria sfera d’azione, tende mano manoad innalzare il cittadino fino alla libertà, cancellan-do, ogni giorno che passa, una riga della proprialegge”. A guisa del buon padre di famiglia, lo Stato“scende lieto nel sepolcro, vedendo adulti e felici isuoi figliuoli.” La proprietà non può essere il risulta-to della frode, dell’usura della fortuna. La proprietàdeve possedere un più giusto fondamento, una piùonesta origine: “il lavoro”. Nei Doveri dell’Uomo, lostesso Mazzini scriveva che “la proprietà è il segno, larappresentazione della quantità di lavoro, col qualel’individuo ha trasformato sviluppato accresciuto leforze produttrici della natura”. Essa dunque è il frut-to di un lavoro compiuto, e siccome in una societàfondata sulla eguaglianza tutti hanno dovere e dirit-to al lavoro, ne consegue che “la proprietà non può,né deve agglomerarsi nelle mani di pochi e tiranneg-giare il lavoro”. Forse questa non è utopia, forse èproprio il modello cui uno Stato dovrebbe tendere ea cui si riferisce Napolitano nel suo discorso in cuispiega che non si tratta di tempo sprecato. Ma sap-piamo bene, a distanza di 150 anni, che non è anda-ta precisamente così. Che serve un cambiamento dirotta perché mentre Scajola si dimette, la corruzionedilaga nel centro sinistra quanto nel centro destra. Questo Stato, in cui viviamo l’oggi, non tende più lamano ad innalzare il cittadino fino alla libertà. Nonfavoreggia, non stimola, non protegge le tendenze ele spontaneità collettive dei suoi cittadini. Noneduca e, soprattutto, non rieduca i cittadini concarceri da paese incivile e che rendono, per la loroinumanità, 15 volte maggiore il tasso dei suicidi alloro interno. E’ uno stato che spesso “sparge locusteburocratiche” per non semplificare la vita dei suoicittadini e per compromettere la vita stessa democ-ratica scegliendo, per legge, la via partitocratica dellanomina al posto dell’elezione, dell’insindacabilità edell’inamovibilità invece della responsabilità. Proprio per questo, forse, ricordare oggi il pensierodi Giuseppe Mazzini, di uno di quei padri fondatoridell’Italia, della tanto festeggiata Unità d’Italia, nonserve ad un suo tripudio storico ma, non certotempo sprecato, può essere utile per evidenziare larivoluzione necessaria e il lungo cammino che non èancora stato sufficiente a renderlo, questo Stato,davvero democratico.

Giuseppe Mazzini,precursore del nuovo diritto pubblico europeo

L'apostolo che ci ha mostrato il cammino verso un nuovo mondo

Uno di quegli eroici veggenti“Mentre l’Italia dormiva, egli vegliava pensava e agiva”

diF. C. & G. C.

Foste schiavi un tempo, poi servi,

poi salariati: sareste fra non molto,

purché lo vogliate, liberi produttori

e fratelli nell’associazione

II

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