Abolire la misera della Calabria n 01/02/03 del 2011

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azzini, a ragione, viene considerato l’antesignano del sindacalismo nazionale, cioè par- liamo di quel sindacalis- mo che non si esaurisca nella lotta di classe, poichè temeva che in Italia una guerra di classe avrebbe prodotto facilmente una reazione che avrebbe ritardato sia la conquista totale dell’indipendenza nazionale sia lo svilup- po economico del paese. Aveva osservato che la borghesia era diventata volubile, e l’appoggio più costante gli proveniva dagli operai, uno dei motivi che lo inducevano a denunciare la divisione provocata dal comunismo che si tra- duceva, a suo vedere, in un espediente illiberale e oppressivo con cui un gruppo di intellettuali intendeva impadronirsi del potere assoluto sul- l’intera comunità. Per Mazzini il comunis- mo era una “falsa utopia” ed era certo che un giorno le classi lavoratrici si sarebbero visti riconoscere il loro ruolo di componenti primarie della società. Della questione sociale si è interessato durante tutto il corso del suo “apostolato” che sostanzialmente consis- tette nell’elevazione Ottocento è un secolo cruciale nella storia dell’Italia e della Calabria ma, val bene ricor- darlo, è preparato, sotto la spinta della rivoluzione francese, dal triennio 1796-1799, in cui si gettano le basi di un ritrovato nazionalismo e si ridefiniscono i termini della vita politi- ca italiana, poiché sono sul tappeto le gran- di questioni degli anni a venire: libertà, democrazia, indipendenza, unità. Agli inizi del secolo Napoleone, dopo aver creato la Repubblica Cisalpina, col proclama di Schoenbrunn dichiara finita la casata bor- bonica, costringe Ferdinando IV alla fuga in Sicilia, mette sul trono il fratello Giuseppe Bonaparte, quindi dà mandato al generale Massena di occupare il Regno di Napoli e al generale Reynier di ridurre al dominio francese una Calabria già prostra- ta dal violento terremoto del 1783 e dalla dura repressione, seguita alla breve parente- si della Repubblica partenopea del 1799, ad opera del cardinale Ruffo, sbarcato a Reggio in qualità di Vicario Regio. A Monteleone i francesi sono accolti a brac- cia aperte, ma il controllo del territorio non è facile, in quanto le truppe borboniche hanno l’appoggio di bande di briganti che ostacolano le comunicazioni, depredano i villaggi, uccidono. Nel monteleonese il brigante Bizzarro, a capo di 400 uomini, mette a dura prova il generale Messana che chiede inutilmente, con un bando, la resa pacifica delle armi. La situazione si normal- izzerà, infatti, solo dopo la dura repressione del francese Manhès nel 1810. Con Gioacchino Murat, salito al trono nel 1806, la Calabria è divisa in due province: quella Citeriore, con capoluogo Cosenza, e quella Ulteriore, con capoluogo Monteleone che, dopo tre secoli, cessa di essere feudo e diventa, grazie anche alla posizione strategica, un centro di grande rilievo. La fine dell’Età napoleonica e, in Calabria, della centralità di Monteleone, è segnata dal congresso di Vienna del 1815, che riconseg- na il regno di Napoli a Ferdinando IV, col titolo di Ferdinando I Re delle due Sicilie. Inizia, con la Restaurazione, un periodo di decadenza economica e sociale che dura fino al 1860 e oltre, come testimonia anche il vistoso calo della popolazione. Tuttavia, a dispetto del declino, il fermento culturale e politico del periodo è intenso. Già alla fine del Settecento avevano cominciato a circo- lare, fra gli intellettuali monteleonesi, le idee liberali della Rivoluzione francese e della Massoneria che, perseguitata a più riprese da Carlo III e Ferdinando IV, aveva attecchito perché auspicava la fine di prin- cipati e sacerdozi, in quanto compromissori della libertà che Dio ha dato all’uomo. Dopo il 1815, inoltre, si vanno diffonden- do in tutta Italia le “vendite carbonare”, col parziale contributo di quel ceto borghese che aveva visto ridimensionate, con la cadu- ta di Napoleone, le proprie prerogative. Senza un reale programma politico, esse legano la loro vicenda nazionale a quella www.almcalabria.org solo 1,00 Nel 150° dell’Italia Unita Un numero unico L’ M ISSN 2037-3945 Abolire la miseria della Calabria Anno V - n°01,02 e 03 Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni L’Ottocento, un secolo cruciale di Giovanna Canigiula* L’Attualità di Giuseppe Mazzini, sindacalista socialista a distanza di un secolo e mezzo di Maria Elisabetta Curtosi Copia Omaggio Con il contributo della Nel 150° dell’Italia Unita Un numero unico Con il contributo della >> Pag 5 >> Pag 2 e 3 Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabrese Gennaio - Marzo 2011 - Anno V - N. 1, 2 e 3 Generoso cuore, ferro e libertà La via calabrese verso l’Italia Unita ---- I LUOGHI DELLA GUERRA DEL 1860 IN CALABRIA >> a Pag. 6 e 7 Un contributo libero è gradito Luigi Bruzzano Monteleone 1838-1902 Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommen- surabili. Nonostante ciò non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe Garibaldi L'Unità d'Italia: nascita della questione meridionale Le forze d'opposizione ed i Repubblicani del 1848 >> a Pag. 4 Direttore Responsabile: Filippo Curtosi - Direttore Editoriale: Giuseppe Candido

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Periodico nonviolento calabrese di storia, arte, cultura, politica laica e liberale. Numero speciale dedicato al ruolo del Mezzogiorno nell'Italia unita

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azzini, aragione, vienec o n s i d e r a t ol’antesignano

del sindacalismonazionale, cioè par-liamo di quel sindacalis-mo che non si esauriscanella lotta di classe,poichè temeva che inItalia una g uerra diclasse avrebbe prodottofacilmente una reazioneche avrebbe ritardatosia la conquista totaled e l l ’ i n d i p e n d e n z anazionale sia lo svilup-po economico del paese.Aveva osservato che laborghesia era diventatavolubile, e l’appoggiopiù costante g liproveniva dagli operai,uno dei motivi che lo

inducevano a denunciarela divisione provocata dalcomunismo che si tra-duceva, a suo vedere, inun espediente illiberale eoppressivo con cui ungruppo di intellettualiintendeva impadronirsidel potere assoluto sul-l’intera comunità.Per Mazzini il comunis-mo era una “falsa utopia”ed era certo che ungiorno le classi lavoratricisi sarebbero vistiriconoscere il loro ruolodi componenti primariedella società.Della questione sociale siè interessato durantetutto il corso del suo“apostolato” chesostanzialmente consis-tette nell’elevazione

Ottocento è un secolo crucialenella storia dell’Italia e dellaCalabria ma, val bene ricor-darlo, è preparato, sotto laspinta della rivoluzione

francese, dal triennio 1796-1799, in cui sigettano le basi di un ritrovato nazionalismoe si ridefiniscono i termini della vita politi-ca italiana, poiché sono sul tappeto le gran-di questioni degli anni a venire: libertà,democrazia, indipendenza, unità. Agli inizidel secolo Napoleone, dopo aver creato laRepubblica Cisalpina, col proclama diSchoenbrunn dichiara finita la casata bor-bonica, costringe Ferdinando IV alla fugain Sicilia, mette sul trono il fratelloGiuseppe Bonaparte, quindi dà mandato algenerale Massena di occupare il Regno diNapoli e al generale Reynier di ridurre aldominio francese una Calabria già prostra-ta dal violento terremoto del 1783 e dalladura repressione, seguita alla breve parente-si della Repubblica partenopea del 1799, adopera del cardinale Ruffo, sbarcato aReggio in qualità di Vicario Regio.A Monteleone i francesi sono accolti a brac-cia aperte, ma il controllo del territorio nonè facile, in quanto le truppe borbonichehanno l’appoggio di bande di briganti cheostacolano le comunicazioni, depredano ivillaggi, uccidono. Nel monteleonese ilbrigante Bizzarro, a capo di 400 uomini,mette a dura prova il generale Messana che

chiede inutilmente, con un bando, la resapacifica delle armi. La situazione si normal-izzerà, infatti, solo dopo la dura repressionedel francese Manhès nel 1810.Con Gioacchino Murat, salito al trono nel1806, la Calabria è divisa in due province:quella Citeriore, con capoluogo Cosenza, e

quella Ulteriore, con capoluogoMonteleone che, dopo tre secoli, cessa diessere feudo e diventa, grazie anche allaposizione strategica, un centro di granderilievo.La fine dell’Età napoleonica e, in Calabria,della centralità di Monteleone, è segnata dalcongresso di Vienna del 1815, che riconseg-na il regno di Napoli a Ferdinando IV, coltitolo di Ferdinando I Re delle due Sicilie.Inizia, con la Restaurazione, un periodo didecadenza economica e sociale che durafino al 1860 e oltre, come testimonia ancheil vistoso calo della popolazione. Tuttavia, adispetto del declino, il fermento culturale epolitico del periodo è intenso. Già alla finedel Settecento avevano cominciato a circo-lare, fra gli intellettuali monteleonesi, leidee liberali della Rivoluzione francese edella Massoneria che, perseguitata a piùriprese da Carlo III e Ferdinando IV, avevaattecchito perché auspicava la fine di prin-cipati e sacerdozi, in quanto compromissoridella libertà che Dio ha dato all’uomo.Dopo il 1815, inoltre, si vanno diffonden-do in tutta Italia le “vendite carbonare”, colparziale contributo di quel ceto borgheseche aveva visto ridimensionate, con la cadu-ta di Napoleone, le proprie prerogative.Senza un reale programma politico, esselegano la loro vicenda nazionale a quella

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solo 1,00 €

Nel 150°dell’Italia UnitaUn numero unico

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ISSN 2037-3945Abolire la miseria

della CalabriaAnno V - n°01,02 e 03

Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni

L’Ottocento, un secolo crucialedi Giovanna Canigiula*

L’Attualità di Giuseppe Mazzini, sindacalista socialista a distanza di un secolo e mezzo

di Maria Elisabetta Curtosi

Copia Omaggio

Con il contributo della

Nel 150°dell’Italia UnitaUn numero unico

Con il contributo della

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Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabreseGennaio - Marzo 2011 - Anno V - N. 1, 2 e 3

Generoso cuore,ferro e libertà

La via calabrese versol’Italia Unita

----I LUOGHI DELLA

GUERRA DEL 1860IN CALABRIA>> a Pag. 6 e 7

Un contributo libero è gradito

Luigi BruzzanoMonteleone 1838-1902

Gli oltraggisubiti dalle popolazionimeridionalisono incommen-surabili. Nonostante ciònon rifarei oggila via dell'Italiameridionale, temendo diessere preso asassate,essendosi colàcagionato solosquallore e suscitato soloodio.

GGiiuusseeppppee GGaarriibbaallddii

L'Unitàd'Italia: nascita de l laquest ionemeridionale

Le forze d'opposizione ed iRepubblicani del 1848

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Il Sud si sente tradito e depredato da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali lasciate dai Borboni

L’Ottocento, un secolo cruciale*di Giovanna Canigiula

europea, sulla base dell’idea che libertà individuale e lib-ertà dei popoli siano incontestabilmente collegate. AMonteleone sono attive, in questi anni, due “vendite”,quella della Valle del Mesima e quella della Valled’Angitola, vecchi nomi di significativa derivazionemassonica. Il malcontento della popolazione, del resto,è enorme: le tasse sono esiziali, il commercio è danneg-giato dalle imposte doganali, la proprietà rustica èdeprezzata. In Calabria la repressione dei carbonari è

violenta: donne, vecchi e bambini vengono torturatiperché facciano i nomi degli affiliati alle sette.Né va meglio da Napoli a Torino: i moti del 1820-21,che non registrano la partecipazione del popolo e nep-pure delle classi medie, falliscono. Diversi, tuttavia, i cal-abresi che vi partecipano e, fra questi, il monteleoneseMichele Morelli che, a Nola, è catturato e subito ucciso.Delude anche il biennio 1831-33, nonostante la discesain campo della borghesia.Comincia, così, un periodo di relativa stasi in cui siriflette sul fallimento dei moti e si prepara, sotto l’egidadi Mazzini e dei liberali, ora in sintonia ora divergenti,una nuova idea d’Italia. Parole d’ordine: indipendenza,unità, libertà. Strumenti: educazione e insurrezione.Necessità individuata: mobilitazione popolare. AMonteleone, che conta ormai meno di ottomila abitan-ti, gli anni Trenta sono tempo di rinascita: si aprel’ospedale civile sui resti dell’antico convento carmeli-tano, giunge in visita Ferdinando II che promette lacostruzione di un orfanotrofio e di un istituto agrario,fioriscono attività artigianali e opifici come quello per lalavorazione della seta, lavorano diverse tipografie, è pre-sente una scuola pittorica che, aperta nel Seicento, con-tinua a produrre tele su committenza non solo religiosama anche privata.Uno svizzero, Didier, nel resoconto del suo viaggio inCalabria, parlerà della Monteleone di questi anni comedi un centro che va europeizzandosi, a dispetto di ciò

che si vede nel resto della regione. Certo, l’istruzione èancora per pochi: trascurata dai francesi, è volutamentenegata dai Borboni, secondo cui il popolo non devepensare ma è sufficiente che conosca i rudimenti dell’al-fabeto. Alle bambine, ad esempio, si richiede essenzial-mente di saper lavorare a maglia e di avere una buonaformazione cristiana. E tuttavia, nei primi anniQuaranta, è attivo un gruppo di giovani di idee liberali,come Musolino (fondatore a Napoli dei Figli dellaGiovane Italia, cui aderisce Luigi Settembrini), Presterà,Santulli, Morelli, Nicotra, Ammirà, Capialbi, che si riu-niscono a casa di Cordopatri o al caffè Minerva.Falliscono però, e tragicamente, i moti di Cosenza del1844 e di Reggio del 1847. A Cosenza un giovanePlutino, reduce dal Comitato centrale di Napoli, avevariferito agli aderenti alla Giovane Italia la decisione deivari partiti costituzionali e dei repubblicani di Çpiegarle bandiere di fronte ai vitali interessi della nazioneÈ:Mazzini, in sostanza, aveva offerto la corona d’Italia aCarlo Alberto perché guidasse la lotta contro l’Austria esolo una futura costituente nazionale avrebbe deciso laforma di governo migliore. La rivolta, scoppiata il 15marzo del 1844, è subito repressa, ma la notizia nongiunge a Corfù da dove i veneziani Bandiera, ex ufficialidella marina austriaca, partono per portare il loro aiuto.Sbarcati a Crotone, guidati da quello che consideranoun profugo politico, in realtà il brigante Meluso, ven-gono traditi, catturati nei pressi di San Giovanni inFiore e condannati a morte.Tre anni dopo, in una Reggio che ritiene maturi i tempi,rientrano diversi studenti da Napoli, Palermo, Torinoper fare propaganda rivoluzionaria. Ancora una volta ledecisioni arrivano dal Comitato napoletano di liber-azione: l’insurrezione dovrà partire, contemporanea-mente, da Cosenza e Palermo. Ma i siciliani non ci stan-no: vogliono la costituzione solo trattando pacifica-mente col re. é un nativo di Santo Stefanod’Aspromonte, Romeo, a decidere: toccherà a Messina eReggio insorgere per attirare le truppe borboniche inmaniera da consentire ai rivoltosi, attraverso la via deimonti, di raggiungere Palermo e Napoli. A Messina larivolta è subito sedata. A Santo Stefano d’Aspromonte,benedetta la bandiera dal parroco e accorsi aiuti da tuttii paesi limitrofi, si insorge al grido di Çviva il re costi-tuzionale, viva la libertàÈ. Ma si perde tempo, a vantag-gio del generale Nunziante che, da Pizzo, risale via viafino a Monteleone e oltre, riuscendo ad accerchiare i riv-oltosi costretti sui monti: chi non muore, è condannatoal carcere duro.E' il 1848 la data cruciale per l’Europa: i popoli si ribel-lano ai governi assoluti; da una Sicilia che ha anima sep-aratista parte l’insurrezione che presto infiamma l’interonapoletano; Venezia e Milano sono teatro di rivoltacontro gli austriaci. La partecipazione dei calabresi ègrande. Rientra, dopo un esilio di circa trent’anni, quelGuglielmo Pepe che prima aveva combattuto al fiancodi Murat contro gli Austriaci e poi partecipato ai motidel 1820. A Reggio gli studenti scendono in piazza.Ferdinando II, messo alle strette, è costretto a concederela costituzione, che prevede l’istituzione di una

Commissione dei Pari in cui entrano duemonteleonesi, Taccone e Gagliardi. L’esempiosarà seguito in Piemonte, in Toscana, a Roma.Il disaccordo tra re e Parlamento sulla formuladel giuramento, però, induce Ferdinando II asciogliere la Camera dei deputati riunita aMonte Oliveto. Il 15 maggio è guerra civile. Lanotizia raggiunge la Calabria dove i Comitatiper la salute pubblica di numerosi centri insor-gono. A Cosenza si forma un governo provvi-sorio che dichiara rotto ogni patto tra il re e ilpopolo e chiede aiuto ai siciliani nella lotta perl’indipendenza; Catanzaro è in subbuglio; aReggio si vivono ore di attesa; a Sant’Eufemiad’Aspromonte convergono i patrioti regginiguidati da Plutino, Romeo, Cuzzocrea, DiLieto che, con 500 volontari, formano ilCorpo dell’esercito calabro-siculo. Si appel-lano, con volantini, al popolo, “carne vendutaalle voglie di ogni dispotico capriccio”, perchériprenda in mano il suo destino senza più affi-darsi al sovrano. A Monteleone la gendarmeriaborbonica è disarmata, ma lo sbarco del gen-erale Nunziante pone subito fine all’insur-rezione in tutte le province. Ricominciano,cos“, le trattative.Il re fissa, per il 15 giungo, i comizi per

l’elezione dei deputati; il Parlamento inizia i suoi lavoria luglio ma, l’anno che segue, è denso di tensioni finché,nel giugno del 1849, sciolto il Parlamento, tolta la coc-carda tricolore dalla bandiera bianca, ricomincia l’onda-ta delle persecuzioni. Si assiste, nei tre anni successivi, auna serie di processi farsa a danno dei liberali, in cui ilnuovo Procuratore Generale, Morelli, detto la “jena”,contribuisce alla distorsione dei fatti per favorire le con-danne. I ricorsi degli imputati vengono rigettati dallaCorte Suprema di Napoli e solo la protesta popolare fas“ che le condanne siano mitigate: sei su 49 i condan-nati, con pene da sette a trent’anni.Nel 1852 Ferdinando II scende di nuovo in Calabria, dinuovo Monteleone lo ospita, ma il clima resta teso: sisusseguono vendette, persecuzioni, perquisizioni. Lamagistratura è sotto pressione, gli studenti sono tenutid’occhio. é di questi anni l’arresto del monteleoneseAmmirà che, processato per la sua attività di diffusionedelle idee liberali, è accusato persino di offendere ilbuon costume in quanto tiene in casa una copia delDecameron di Boccaccio. Non è comunque venutameno, nonostante le batoste, l’azione dei liberali mon-teleonesi. Lo stesso re rischia la vita per mano di un cal-abrese, Agesilao Milano, che, dopo la leva, riuscito conuno stratagemma ad entrare nel corpo dei Cacciatori,durante la parata dell’8 dicembre del 1856 a CampoCapodichino, riesce a raggiungere Ferdinando II e acolpirlo col calcio del fucile.Intanto, mentre il dibattito nazionale divide l’ipotesimazziniana di una rivoluzione popolare dalla propostamonarchico-governativa di Cavour, le vicende precipi-tano e le due soluzioni finiscono col trovare una sintesi.Nel 1857 fallisce la spedizione a Sapri di Pisacane, cheha al fianco i calabresi Nicotera e Falcone. Mazzini sac-rifica definitivamente l’idea repubblicana alla libertàdegli italiani, i franco-piemontesi combattono controgli austriaci, crollano i ducati di Toscana ed Emilia,nasce il regno dell’Italia del nord.I successi infiammano il sud: a Reggio, nella bottega diun barbiere, si radunano a più riprese i rivoltosi. La spedizione in Sicilia è uno dei momenti chiave dell’u-nità d’Italia: nel 1859 Francesco II subentra al padre,fiuta la tristezza dei tempi e si affretta a concedere la cos-tituzione, ma è tardi e tutti lo abbandonano. L’anno suc-cessivo Garibaldi sbarca a Marsala, sbaraglia i borbonici,raggiunge da liberatore Palermo e si appresta ad attra-versare la Sicilia mentre a Reggio Calabria sono pronti icomitati insurrezionali, che arruolano volontari allo

scopo di formare un campo in Aspromonte. E' l’uomogiusto, pragmatico e capace di animare il popolo, senzanecessariamente avere lo spessore del maestro Mazzinipoi rinnegato.La sua impresa aveva messo in moto i calabresi che vive-vano a Torino e a Genova e che subito avevano avviatoun’affannosa colletta di soldi ed armi. Da Quarto sierano imbarcati con lui nove cosentini, sei catanzaresi ealtrettanti reggini. Destinazione Sicilia, dove tuttavial’insurrezione era fallita sul nascere. Le tappe del gen-erale erano state trionfali: Calatafimi, Palermo, Milazzo,Messina. Sotto la guida di Musolino e Plutino, ai cal-abresi era stato affidato il compito di occupare il forte diAltafiumara, sullo stretto, per facilitare il passaggio delgenerale. Il piano, però, era mutato e i patrioti eranorisaliti sui monti per attirarvi le truppe borboniche dellacosta. A San Lorenzo, in duecento e ben accolti dallapopolazione, il 16 agosto danno il via all’insurrezione e,il giorno successivo, si ricongiungono con Garibaldi aMileto. Intanto, le truppe borboniche di stanza a

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considerarsi totalmente gratuita e volontariaGli articoli riflettono il pensiero degli autori che si assumono la responsabilità di fronte la legge

Hanno col laborato a questo numero:Giuseppe Candido, Giovanna Canigiula, Filippo Curtosi, Maria Elisabetta Curtosi,

Progetto Grafico e impaginazione : Giuseppe Candido

Questo numero è stato chiuso il 17 Marzo 2011 alle ore 17,30

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segue dalla prima

SSppeecciiaallee 115500°° ddeellll’’IIttaalliiaa UUnniittaa

Il Generale Francesco Stoccouno dei Mille, e un comandante dei volontari calabresi

Gioacchino Murat

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Monteleone sono allertate e, proprio mentre Garibaldi eBixio raggiungono Mileto, il generale Ghio prepara laritirata a Napoli. Il 21 agosto, dopo aspri scontri, Reggioè conquistata e a Londra giunge la notizia che il Regnodi Napoli è ormai cancellato dalle carte d’Europa.Ricomincia la salita. I paesi insorgono. Garibaldi rag-giunge una Monteleone sguarnita che lo accoglie trion-falmente e vi sosta, ospite del marchese Gagliardi, dalbalcone del cui palazzo incita la gente venuta adascoltarlo: “Se un popolo risponde al grido di libertà -dice - esso è degno d’averla è. Proprio a Monteleone c’erastato un precipitoso quanto inutile cambio di guardia: ilmaresciallo Vial, preoccupato dalle notizie chegiungevano, si era dimesso e da Pizzo, con un migliaio disoldati, si era imbarcato alla volta di Napoli; il suo suc-cessore, il generale Ghio, non aveva potuto far altro cheabbandonare il paese e mettersi in marcia verso Tiriolo.

Intanto, Catanzaro, Maida, la stessa Tiriolo vengonoliberate. Da Maida Garibaldi chiede aiuto contro letruppe di Ghio ferme a Soveria Mannelli. Ed è a questopunto che la storia del poeta e patriota Luigi Bruzzano equella della sua terra si intrecciano: il 30 agosto, aSoveria Mannelli, poco più che ventenne, prende parteallo scontro tra i garibaldini guidati dal generale Scocco,che aveva organizzato un suo gruppo, i Cacciatori dellaSila, e i borbonici guidati da Ghio che, vistosi circonda-to dalle truppe nemiche posizionate sulle alture eincalzato frontalmente da Garibaldi, si arrende insiemeai suoi 10.000 uomini. Il resto del tragitto, fino aSalerno, è un passaggio attraverso rivolte già compiute.Nella cittadina campana Garibaldi incontra altri duecalabresi, Salazar e Piria, lo stesso che di lì a poco, suincarico di Cavour, avrebbe preparato il plebiscito inCalabria. Poi la cronaca: in ottobre, a Teano, il Dittatoredell’Italia Meridionale consegna a Vittorio Emanuele IIle due Provincie continentali delle Due Sicilie che, comeratificherà nel documento a sua firma dell’8 novembresuccessivo, lo hanno scelto quale loro SovranoCostituzionale, unendosi alle altre Province d’Italia, con1.302.064 di voti a favore e 10.312 contro. Fra i parla-mentari del nuovo Regno un monteleonese, Musolino e,fra i senatori, quel marchese Gagliardi che aveva finanzi-ato l’impresa garibaldina.Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono di grande fer-mento politico, economico, sociale e culturale in Italia,ma il Sud da subito arranca. Alla Camera il deputato delcollegio di Melito Porto Salvo, Agostino Plutino,protesta ripetutamente contro la cattiva amminis-trazione regia, propensa a “piemontesizzare” i territoriliberati da Garibaldi. Ovunque si chiede Roma capitale,ma la Francia si oppone e il governo Rattazzi scontentatutti. Così Garibaldi, nel 1862, torna in campo, risale daPalermo verso Napoli ma è fermato e ferito dai Forestali,sull’Aspromonte, nel corso di uno scontro con i sessantabattaglioni che, guidati dal generale Cialdini, gli sonostati mandati contro, mentre a Reggio la GiuntaMunicipale, il Consiglio Comunale e gli ufficiali dellaGuarda Nazionale si dimettono. Garibaldi ritornerà inCalabria, ammalato, nel marzo del 1882, per raggiun-gere Palermo e partecipare alla commemorazione deiVespri. Il viaggio in treno è lentissimo: dappertutto,lungo i binari, folle di calabresi giunte a salutarlo. Illegame con Reggio è forte, la città non l’ha mai dimen-ticato, nel decennio successivo alla spedizione gli haconferito una medaglia, lo ha eletto presidente onorariodella Società Operaia di Mutuo Soccorso, gli ha manda-to un assegno di mille lire annue nel momento in cui loha saputo in difficoltà.Eppure, masse intere di contadini ridotte in miseria gli

rimproverano di non aver mantenuto la promessa di unariforma agraria: l’agognata unità ha prodotto un ulteri-ore arretramento nelle loro condizioni di vita, provo-

cando periodiche insurrezioni e acuendo il fenomenodel brigantaggio. é un piccolo esercito composito quelloche si ribella, fatto di braccianti esasperati dallo sfrutta-mento dei latifondisti, dall’eccessiva tassazione, dallaprivatizzazione delle terre demaniali, dalla vendita deibeni ecclesiastici, dall’obbligo del servizio di leva e poi dipastori, ex garibaldini, ex soldati dell’esercito borbonico,malviventi, latitanti: sono, per la gran parte, i “cafoni” diSalvemini in guerra contro i “galantuomini” locali e l’in-dustrializzazione del nord. La repressione, affidata algenerale Cialdini, è dura: la legge Pica del 1863, che gliconferisce poteri speciali, consente di colpire non solo ipresunti briganti ma anche parenti e semplici sospettati.In Calabria, la rottura dell’isolamento ha creato le con-dizioni per l’avvio di una situazione stabile di marginal-ità economica. L’apertura di un mercato nazionale el’estensione del gravoso sistema fiscale piemontese, gra-zie alle cinque leggi Bastogi che si sono susseguite tra il1861 e il 1862, hanno colpito le poche industrie esisten-ti. Fino alla metà dell’Ottocento, infatti, la regione, neiterritori del cosentino e del marchesato crotonese, pro-duce il 70% della liquirizia consumata sul territorionazionale e questo è l’unico prodotto che ancora a finesecolo riesce ad esportare in Belgio, Gran Bretagna eOlanda. A Catanzaro, Cosenza e Villa San Giovanni èstata a lungo attiva la manifattura della lana.Funzionavano bene i comparti alimentare e meccanico,la lavorazione di cuoio e pelli, le industrie estrattiva emetallurgica. Già alla vigilia degli anni Settanta e nelventennio successivo cambia tutto: la crisi agraria, con-seguenza di un mercato libero che trova le campagneimpreparate a competere con i paesi europei, determinail crollo di settori trainanti come quello granario e vini-colo; declinano le industrie e le piccole unità produttivedi tipo artigianale; prende il via il fenomeno migratorio,unico in grado di determinare quel flusso di risorse chepuò dare respiro alla bilancia dei pagamenti e consen-tire,a molte famiglie, di sottrarsi alla miseria.Il malumore è enorme: il Sud si sente tradito e depreda-to da chi avrebbe dovuto sanare le strutture feudali las-ciate dai Borboni e, invece, adotta una politica di rapina.Nessun governo pare realmente interessato alle sortidella parte più debole e arretrata del paese: è di Depretisla tassa sul grano, come di un meridionale, Crispi, quel-la politica protezionistica che va ad intaccare la piccolacoltura vinicola ingrassando le entrate del Nord e i lati-fondisti del Sud, ben rappresentati in Parlamento efavoriti da un sistema elettorale che esclude dal diritto divoto chi non sa leggere e scrivere. Salvemini invoca ilfederalismo come unica faticosa via d’uscita; ancoranegli anni Venti del nuovo secolo Gramsci denuncerà il“patto mostruoso” tra la classe liberale e progressista delNord e i latifondisti reazionari del Sud voluto da Crispiche, alla domanda di terra dei contadini meridionali,risponde con la facile promessadelle conquiste coloniali.Appare lontanissimo quel Nord insieme al quale si è

lottato per l’indipendenza e l’unità. Lì crescono i poli industriali; si forma un proletariatoindustriale con ansie e istanze diverse da quelle deglioperai che, lavorando in fabbriche avvantaggiate dalprotezionismo, godono di miglior trattamento salariale;cresce una coscienza operaia di classe che avanza le suerivendicazioni non più solo attraverso la rete solidaledelle Società Operaie di Mutuo Soccorso ma ancheattraverso l’Associazione Internazionale degli Operai, dimatrice anarchica. Si discute e, nella Milano del 1882, sigiunge alla costituzione del Partito Operaio Italiano,subito ridotto alla clandestinità dalla parte più conser-vatrice della borghesia.E, però, il fiume è inarrestabile: si diffonde il marxismo;nel 1889 delegati italiani del Partito Operaio parteci-pano, a Parigi, alla Seconda Internazionale; le diversecategorie dei lavoratori si organizzano in federazioni; sicostituiscono le prime Camere del Lavoro; nasce aGenova, nel 1892, il Partito Socialista, che tenta dimediare tra socialdemocrazia e spinte rivoluzionarie. Lacrisi del ’93, che segna un regresso delle condizioni divita di operai e contadini, non trova impreparati e, allafine degli anni Novanta, sono proprio gli operai a scen-dere in piazza, da soli e senza grossa organizzazione,intanto che i socialisti tentano la via della mediazione esi spaccano. Il secolo si chiude con lo sciopero generaledi Genova.Diffuso è il pregiudizio, anche in ambiente operaio efavorito dal riformismo socialista, che l’arretratezza delMezzogiorno sia legata all’inferiorità della sua razza.Quando Gramsci affronterà la questione meridionale -individuando nell’alleanza tra la borghesia settentri-onale e i grandi proprietari terrieri del sud le ragioni del-l’immobilismo semifeudale del Mezzogiorno ridotto,

insieme alle isole, a “colonia di sfruttamento” - inviteràil proletariato industriale del nord ad allearsi con i con-tadini del sud e a guidare la lotta per l’emancipazione.E tuttavia, nei piccoli centri calabresi, sia pure con fortecaratterizzazione locale, non manca il fermento cultur-ale che si respira nel resto del paese. A Monteleone diCalabria, all’indomani dell’Unità, si succedono comesindaci gli uomini che avevano guidato idealmente ilrinnovamento, come Cordopatri, Gagliardi e Capialbi;scrivono e pubblicano figure versatili come Cordopatri,Morelli, Santulli, Pignatari, Lumini, Morabito,Ammirà, Marzano, Gasparri, Mele; uno dietro l’altrovedono la luce diversi fogli periodici, in cui è datogrande risalto ai problemi locali e alle tradizioni popo-lari e che meriterebbero maggiore approfondimento:“La Voce pubblica”, “La Verità”, “La Ghirlanda”,“Folklore calabrese”, “Cronaca Vibonese”, “Il primopasso”, l’“Avvenire Vibonese” di Eugenio Scalfari e, dal1889 al 1902, “La Calabria. Rivista di letteratura popo-lare” di Bruzzano. Luci e ombre, comunque: il secoloqui si chiude, infatti, con l’arresto dei fratelli Raho, nellacui tipografia si stampavano giornali democratici esocialisti. Muta poco nei primissimi anni delNovecento.Ancora fogli e periodici, testate di destra o socialiste,testimoniano un vivissimo pullulare di idee e interessi.Bruzzano, che si era dedicato al recupero delletradizioni popolari in un momento particolarmente dif-ficile per le masse del sud, muore nel 1902 e la sua cit-tadina si avvia al ventennio fascista tra alti e bassi.Vitalità politica e culturale, scavi archeologici e pubbli-cazioni di grande interesse come quelle di UmbertoZanotti Bianco e Paolo Orsi, personalità di spicco comeLombardi Satriani e, poi, l’altra faccia della medaglia,che racconta il disastro di due terremoti, la miseria el’emigrazione, le cattive condizioni igieniche, la malaria.

Giovanna Canigiula* Intervento tratto da La Calabria, antologia della

rivista di Letteratura popolare diretta da Luigi Bruzzanoa cura di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido,

Città del Sole edizioni

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Ettore Capialbi (1812-1818) -Sindaco di Monteleone

BIBLIOGRAFIAF.S. Nitti, Eroi e briganti, Longanesi,Roma-Milano, 1946, pp. 43-44A. Dito, Storia della massoneria calabrese.Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria,Brenner, Cosenza, 1980Giraldi, Il popolo cosentino e il suo territo-rio: da ieri a oggi, Pellegrini Editore,Cosenza, 2003, p. 165 e ssC. Carlino - G. Floriani, La “Scuola”diMonteleone. Disegni dal XVII al XIX seco-lo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001A. Borello (a cura di), Cronistoria di ViboValentia. 1830-1899, in “Sistema bibliote-cario vibonese”, “Biblioteca digitale”,2000, p.263 e ssF. Aliquò Taverriti, La Calabria per la sto-ria d’Italia, “Corriere di Reggio”, ReggioCalabria, 1960, p. 41 e ssV. Daniele, Ritardo e crescita in Calabria.Un’analisi economica, Rubbettino, SoveriaMannelli, 2005. Dello stesso autore è possi-bile consultare Una modernizzazione diffi-cile. L’economia della Calabria oggi,Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001. M. Petrocchi, Le industrie del Regno diNapoli dal 1850 al 1860, Edizioni R.Pironti, Napoli, 1955. IA. Placanica, Storia della Calabria dalleorigini ai nostri giorni, Meridiana libri,Catanzaro, 1993, p. 348 e ssG. Salvemini, Il federalismo, in R. Villari (acura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. II,Laterza, Roma-Bari,1977, p. 348 e ssA. Gramsci, Il Mezzogiorno e la rivoluzionesocialista, in R. Villari (a cura di), op. cit.,p. 535 e ss. Sullo stesso tema cfr. A. De VitiDe Marco, Il miraggio della Libia, in R.Villari (a cura di), op. cit., p. 424 e ssM. Michelino, 1880-1993. Cento anni dilotte operaie, Edizioni Laboratorio politico,Napoli, 1993.N. Colajanni, Per la razza maledetta, in R.Villari (a cura di), op. cit., p. 431 e ss.

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A quattromani

ragione Pierluigi Bersani che, con laformula della lettera al direttore, si èrivolto alle forze politiche, sociali eculturali “responsabili” per chiedere“l'impegno per una riscossa italiana”.

“Riforma repubblicana e un patto per la crescita”in estrema sintesi. Ma nel suo intervento il leaderdel PD dice molto di più, e con lessico quasi rad-icale, parla di “riorganizzazione della democraziaparlamentare”, di un “nuovo patto fondamentalein campo economico e sociale su terreni fonda-tivi della fiscalità e delle relazioni sociali”.Giustizia, legge elettorale, welfare. Guardiamodunque “oltre” Berlusconi come chiede Bersani eriferiamoci ai “valori Costituenti”, al nostro pattofondamentale che però, più volte, è stato già tra-dito dalla partitocrazia. È stato detto che, nel1848, l'amore della forma repubblicana fu “causadi danno alla ricostituzione nazionale”. È vero?Potrebbe riesserlo oggi? Bisognerebbe rileggereattentamente e non solo “celebrare” le ragioni diquei moti che ci portarono ad essere italiani.Repubblicani e Federalisti possono coesistere?Certo. Furono repubblicani federalisti uominicome Altiero Spinelli, Luigi Einaudi, EmilioTaviani, Ernesto Rossi, Ugo La Malfa e, più direcente, De Gasperi, Gianfranco Miglio e PioXII autore di vari testi nei quali auspicava lacreazione di una federazione europea. Ed haragione da vendere il Presidente GiorgioNapolitano quando afferma che non celebrare i150 anni dell'Italia Unita costituirebbe l'inde-bolimento stesso delle “legittime istanze” di unaRepubblica federata con l'Europa e federale, conRegioni ed autonomie locali davvero autonome.“La pratica del federalismo nell'organizzazionedello Stato”, come si legge a chiare lettere negli“Scritti inediti” di Silvio Trentin (1885-1944)(Centro Studi Pietro Gobetti, Guanda editore,Parma, 1972), personaggio tra i più rappresenta-tivi dell'antifascismo italiano, rappresenta la “solapossibilità di conciliazione della direzione dell'e-conomia con la salvaguardia della libertà”. Ancheoggi come allora, Riforma significa “preparare leforme d'un ordine nuovo”. Un nuovo ordine chesia veramente in grado di conciliare nel suo senoil soddisfacimento delle esigenze d'una economiail cui funzionamento esige la direzione unica e larazionalizzazione, con il rispetto di quel minimodi libertà individuale il cui godimento soltantopermette all'individuo d'esprimere e di far valerei suoi attributi essenziali, non può essere chequesta: autonomia e federalismo”. Anche oggicome allora, “bisogna restituire allo Stato la suacostituzione naturale, la sua costituzione plural-istica, articolarlo sui centri vitali quali si sonospontaneamente creati attraverso il libero e vari-abile coagularsi delle forze sociali, ordinare ilritmo della sua esistenza secondo l'apporto con-tinuamente mutevole delle molteplici sorgentiche concorrono al raggiungimento dei suoi finiistituzionali”. E non serve certo scambiare la sto-ria con le “smaccate apologie” e “il vero desuntonon dalle narrazioni cortigiane, ma dai fatti e daidocumenti”. È in questo che, durante quel perio-do storico, i repubblicani, Mazzini, Cattaneo,Manin, furono principalmente italiani, “aMilano, non di mezzo alle barricate di marzosollevata la rossa bandiera; a Venezia, la ripie-

garono, dinanzi alla grande immagine dellapatria, conculcata dallo straniero”. E Mazziniani– si legge in un lettera di Alberto Mario aGaribaldi - “erano i promotori della insurrezionedi Sicilia, i Mille, 1'esercito meridionale,Mazziniano è la gioventù, Mazziniano, il popolo,poiché essere Mazziniano significa volere l'Italialibera, una, indivisibile”.Nessuno, allora, parlò di repubblica o monar-chia: tutti, di Italia. II “moto” aveva allora carat-tere nazionale, non politico: non era stretto certoin rigide oligarchie di partito e ai migliori, ai piùvalevoli, era consentito di avere un ruolo. Il Pd, sevuol proporre la riforma repubblicana e chiederel'impegno per la riscossa italiana, dovrebbe oggiinterrogarsi sul perché il suo elettoratodiminuisce mentre giovani e lavoratori non loseguono più. Non sono più animati e si allon-tanano dalla politica sempre più “casta”, semprepiù partitocrazia. Alla richiesta d'impegno peruna riscossa italiana diciamo certamente sì. Manel 1848, ricordiamolo, era “Il grido di Italia”,soltanto, che echeggiava dalle Alpi all'estremomare di Sicilia: i repubblicani volevano, anziogni cosa, la patria. Oggi il potere, la candidatu-ra certa e la poltrona. “Pare certo che in un man-ifesto a tutte le Corti d'Europa – scriveva ilCattaneo nel '49 - il re attestasse che, invadendoil lombardo-veneto, egli intendeva solo d'im-

pedire che vi sorgesse una repubblica; la qualepoi di terra in terra, e per mera virtù d'imi-tazione, avrebbe abbracciata tutta la penisola”.Anche oggi, la formula della riforma repubbli-cana potrebbe davvero diffondersi come un virusbenefico per la politica e “risolvere” assieme ilproblema atavico della non crescita e della scarsaproduttività del nostro Paese. Ma perché fun-zioni davvero l'archibugio c'è bisogno di rista-bilire la legalità costituzionale stessa delle nostreIstituzioni. A tutti i livelli. Nel 1889, per ricor-dare la figura di Mazzini, il Florenzano scrisse delsuo “appello” per “L'Unione dei Partiti Radicali”.Val al pena rileggerle quelle poche battute. Ciòche Giuseppe Mazzini scriveva nel 1862 alloscrittore socialista spagnolo Ferdinando Garridosul manifesto che esisteva fra i democratici ed isocialisti spagnoli a proposito delle cause chetengono disunite le diverse gradazioni del nostropartito, possono essere riproposte. Anche oggi,come allora, la sola differenza è che in Spagna ilmanifesto, il patto programmatico, era rivolto frapochi socialisti e il partito repubblicano mentreora, in Italia, il dissidio è grande perché, comenella neonata Italia di 150 anni fa, il Partito d'op-posizione è diviso in tanti piccoli gruppi, “perquanti il progresso delle scienze sociali, l'attualeregime costituzionale, la miseria invadente ed inproporzione di questa, il malcontento ne hannoformati”. Ai repubblicani dunque, ai socialisti, aicomunardi e via dicendo, ai radicali in genere, valla pena davvero ripetere le parole del Mazzini:“Havvi un terreno comune abbastanza vasto per-ché vi possiamo stare tutti uniti”. Anche per noi“non esiste rivoluzione che sia puramente politi-ca. Ogni rivoluzione deve essere morale e sociale,nel senso che sia suo scopo la realizzazione di unprogresso decisivo sulle condizioni morali, intel-lettuali ed economiche della società”. Bersaniscenda in campo dunque e rinnovi il suo partitodalla base, riformi la sinistra tutta con un pattorepubblicano. E se volessimo davvero “guardarein faccia i problemi”, se davvero volessimo “cam-biare l'agenda del Paese” radicalmente, assiemealla giustizia pensiamo ad esempio alle carceri,oggi divenute disumani e anticostituzionali“nuclei attivi di Shoah” che rimangono tali pureper le scelte “populiste” del PD che di repubbli-cano hanno davvero poco.

Riforma significa “preparare le forme d'un ordine nuovo”

Le forze d'opposizione ed i Repubblicani del 1848C'è bisogno di ristabilire la legalità costituzionale stessa delle nostre Istituzioni. A tutti i livelli

HHaa

Alla vigilia della guerra contro l’Austriafu diffusa la vignetta di Cavour con la

frase:“fu, è, e sarà sempre il

nostro buon papà”.

Quell’anno il sovrano piemontese inaugurò ilavori del Parlamento con le celebri parole:“Nel mentre che rispettiamo i trattati,

non siamo insensibili al grido di doloreche da tante parti d’Italia si leva verso

di noi”.Carlo Cattaneo (1801 - 1869)

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l primo centenario garibaldinotrascorse in Monteleone di Calabria,<<paese devoto all'inerzia e all'apa-tia>> (oggi la città è conosciuta col

nome di Vibo Valentia) senza un palpito che,anche fievolmente, accennasse alla sua vitacivile. A ricordarcelo è il Pane! Giornalesocialista “per i senza pane” che, nel numero 3dell'anno I del 21 luglio 1907, a firma diMichele Pittò, allora gerente responsabile,pubblica un'articolo quanto mai attuale.“Assenteismo ufficiale, meno qualche rarabandiera monarchica al municipio, allecaserme, agli uffici fiscali, alle rivendite diprivative, etc. - assenteismo nel popolo, ilquale” - spiegava il giornalista - “ha vissutoquel sacro giovedì 4 luglio, come vive tutte i

giorni dell'anno. Oltre le rare bandiere, pregia-vano scarsamente le mura cittadine il manife-stone della Massoneria romana e un manifesti-no anonimo, invitando con libera parola ilpopolo ad accorrere in Piazza Minerva perassistere alla commemorazione dell'eroe.Eppure Monteleone- ironizza ancora il giornal-ista – ha una numerosa schiera di massoni, unanumerosissima scolaresca, la quale trova sem-pre, quando vuole, il tempo per fare delledimostrazioni, una società operaia, della qualefanno parte moltissimi lavoratori, un manipolodi garibaldini più o meno autentici, una borgh-esia che si vanta di essere evoluta. Ebbene,tutte queste forze, negative sempre quando nonsi tratti di accompagnare il cadavere di qualchefratello “trepuntini” al cimitero, di far del chi-

asso per qualche articolo di regolamento sco-lastico, di gareggiare nelle manifestazioni fes-taiole per la Madonna di Pompei,per SanLeoluca o per Sant'Antonio, con intervento dipratori sacri, più o meno celebri pei loro sofis-mi, socialistoidi a base di religione capitalisti-ca e capestruola, che fa andare in solluccheritanti signori con tanto di “aplomb” cittadino.Oggi queste parole volte alla città calabrese,viste le numerose polemiche su le celebrazioniper il 150° dell'Italia Unita, potremmo usarleper andare oltre le polemiche e sollecitare leriforme necessarie per mantenere uno statounitario, non “centralistico”, ma basato su unsistema di autonomie locali autenticamentefederale.

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...morale del popolo perché esso parteci-passe con piena coscienza dei suoi doveri edelle sue funzioni alla rivoluzione italianacioè alla conquista dell’unità nazionale edell’indipendenza politica fondata sulla...sua emancipazione morale.E questo problema fu cosi presente nel suospirito che senti il bisogno di esprimerlo inuna specie di testamento ideale, che allavigilia della sua morte volle riassumere inuna serie di articoli apparsi su “Roma delpopolo” verso la fine del 1871 appuntosotto il titolo di “Questione sociale”.Il modo fondamentale per GiuseppeMazzini era < un miglioramento morale innoi stessi> considerato per lui <a capo di

ogni mutamento di ogni grande impresa >.E la base di questo miglioramento era perlui l’istruzione, intesa prima di tutto comeeducazione, come elemento morale, comerisveglio di una illuminata coscienza deidoveri, come missione civile, rafforzata daistruzione professionale che affinasse learmi delle classi operaie nella lorobattaglia quotidiana per il programma eco-nomico e sociale. Battaglia che, sull’odioclassista predicato da Marx, deve prevalerel’amore poiché <un germe di comunione edi amore è più potente a pro di un popoloabbandonato, che non certo grida di rab-biosa vendetta >.Per questo, egli postula il riordinamentodel Lavoro e l’associazione come fonda-

mento che garantisca il salario come basadel mondo economico futuro.E’ l’invito all’associazione sindacale, all’af-fratellamento operaio, in cui g li scopisociali ed economici s’innestano a quellimorali , educativi. La definizione sindacalenon ha ancora corso, ma Mazzini ha unachiarezza sui quelli che saranno i futuricompiti del sindacato da fare invidia ai piùmoderni sindacalisti.Quindi il sindacato ha una funzioneeducativa che dovrebbe essere ancora pre-minente e sarà ancora di più se supererà lafase classista in cui ristagna. In altre paroledovrà restare “la Scuola delle masse” da cuidovranno venir fuori i degni rappresentan-ti dei lavoratori assieme ai nuovi istitutirappresentativi come la Camera del Lavoroo Consiglio legislativo dell’Economia e delLavoro l’attuale C.N.E.L. Già prevede l’is-tituzione della Magistratura del Lavorocioè i “ consigli conciliativi, composti permetà da padroni per metà da operai, uscititutti naturalmente dall’elezione e pre-sieduti da un soggetto capace”.Perché l’Apostolo sa perfettamente che <<l’operaio, senza interesse alcuno materialeo morale nei risultati della produzione,non dà, in generale , e non quel tanto dilavoro necessario a rivendicargli il salariopattuito per cui ha dalla partecipazionesprone a produrre maggiormente emeglio>>.E rivolgendosi alle classi emancipate lepone di fronte alle loro responsabilità <<o con voi o contro di voi>> è un ammon-imento vecchio di un secolo e mezzo maancora di un’attualità sorprendente.Ma quel che oggi è preoccupante è che ciòoltre ad aver lasciato indifferenti quelleclassi sociali a cui era direttamente rivolta,non è stata capita, nonostante un linguag-gio esplicito e chiaro che aveva un soloobbiettivo: affermare la dignità e i dirittidi tutti i lavoratori per fare diventare unanazione libera.Dovrebbero i nostri governanti prendereesempio da loro, invece di lavorare perdividere l’Italia e il mondo del lavoro.

Maria Elisabetta Curtosi

segue dalla prima

Olio su tela (74,8 x 98), Silvestro Lega, 1873 Providence, Museum of Art,Rhode Island School of Design

L’Attualità di Giuseppe Mazzini sindacalista, socialista<un miglioramento morale in noi stessi a capo di ogni mutamento di ogni grande impresa>

di Maria Elisabetta Curtosi

<<... Mazzini adunque che per alcuni fu piuttosto un mito che un uomo di polpee ossa lo vedi nel quadro di Lega sonnecchiare le ultime ore di febbre adagiatosul fianco destro e stese le braccia lungo la persona unir le mani che si tengono

insieme. Non una violenza di chiaroscuro, non un valore brillante, lo storicoplaid (era appartenuto a Carlo Cattaneo) a quadretti neri e grigi lo involge alla

vita e lascia scoperta la tradizionale sciarpa nera che cinge il collo, unico e pal-lido accenno di colore alla estremità del braccio destro e nella camiciola che

esce a contornar la mano con un colore violetto cupo, i capelli radi e grigi quasitutti, staccano con finezza sull’ossea fronte vastissima e sul guanciale che glista sotto, il letto coperto di lenzuoli bianchi esce sul davanti del quadretto con

una evidenza grandissima ...>>Diego Martelli, Giornale artistico, descrizione de “Il Mazzini morente”

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Monteleone, paese devoto all'inerzia e all'apatiaUna indegnità centenaria

Un corsivo al veleno in occasione del centenario garibaldinoA quattromani

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alatafimi, Salemi, Alcamo, Monreale,Palermo passando per il Piano diRenda. Poi Milazzo dove si combattéper le strade cittadine finché i regi

borbonici preferirono ritirarsi nella fortezzadove furono poi costretti alla resa. Dopo essere sbarcato a Marsala l'11 maggio del1860, in due mesi e mezzo Garibaldi si eraimpadronito dell'Isola. Aveva ripetutamentesconfitto forze di gran lunga superiori alle sueper numero e per armamento; aveva provocatouna serie di insurrezioni in tutta la Sicilia ren-dendola ribelle alla dinastia borbonica edoffrendo ad essa la libertà. Sbarcato aMarsala con mille uomini, Garibaldidisponeva adesso di una forza decuplicata,ancora numericamente inferiore all'esercitoborbonico ma con una consistenza suffi-ciente per affrontare la nuova impresa: ilpassaggio dello Stretto di Messina e l'avan-zata nel territorio continentale del Regnodelle Due Sicilie. L’impresa dell’unità d’Italia ebbe inizio (dal1859) con l’unione della Lombardia alRegno di Sardegna compendosi nel marzodel 1861, quando a quelle regioni vi furonocongiunte la Sicilia e il Mezzogiorno, leMarche e l’Umbria, e venne proplacamato ilRegno d’Italia. Al compimento dell’Unitàmancavano ancora il Veneto (1866), Roma elo Stato pontificio (1870), la VeneziaTridentina e la Venezia Giulia (1918)

Da Melito Porto Salvo a Soveria MannelliUn nuovo contingente di ottomila volontari,raccolti da Agostino Bertani, era destinato asbarcare nello Stato pontificio. Ma il Cavour simostrò ostile all'iniziativa e riuscì ad otteneredal Bertani che i volontari venissero condotti inSardegna e di là in Sicilia da dove sarebberostati liberi di muovere verso lo Stato romano.Lo stesso Bertani, raggiunse Garibaldi aMessina per invitarlo a recarsi in Sardegna adassumere il comando della spedizione contro loStato pontificio. Mentre il Generalesi trovava in navigazione verso laSardegna, la notte dell'otto agostodel 1860 ci fu il primo sbarco sullacosta calabra: seguendo le dispo-sizioni impartite da Garibaldi, due-cento uomini tra i più provati eardimentosi furono inviati con agiliscialuppe ad occupare il fortino diAltafiumara a Villa San Giovanni.Il calabrese Benedetto Musolinoaveva garantito di essersi accordatocoi sottufficiali del fortino; il drap-pello era comandato dal Racchetti etra i componenti vi erano ilMissori, il Nullo e Alberto Mario,che da poco aveva raggiunto ilGaribaldi in Sicilia. Ma il tentativonon ebbe buona riuscita; i sottuffi-ciali non dettero alcuna collabo-razione ed il gruppo dovettedesistere e ritirarsi sull'Aspromontedove riuscì ad ottenere l'appoggiodi quattrocento volontari calabresi.Nascevano così i Cacciatori dellaSila.Lo sbarco in Calabria a MélitoPorto SalvoRientrato dalla Sardegna, Garibaldisostò a Palermo da dove ripartìcompiendo il periplo dell'Isola eraggiungendo il 18 agosto le costedi Taormina dove ad attenderloc'era il Generale Bixio con quasiquattromila uomini già pronti per lapartenza che avvenne la sera dellostesso giorno; all'alba del 19 agostola spedizione giungeva sulla costaionica della Calabria approdando aMélito Porto Salvo dove lo sbarco

ebbe luogo senza conflitti: le navi borbonichearrivarono ad operazioni concluse accontentan-dosi di affondare una delle due navi ch'eranoservite per lo sbarco.Reggio Di CalabriaLa strada costiera da Mélito a Reggio fu ilprimo tragitto calabrese dei garibaldini cheintanto si erano ricongiunti con il gruppo delRacchetti e del Missori discesi dall'Aspromontea Mélito appena furono avvertiti dell'arrivo diGaribaldi in Calabria. Reggio, d'altronde, erastata la prima città della Calabria che, alla

notizia dello sbarco dei Mille a Marsala, avevaproclamato decaduto il dominio borbonico.Sbarcato all'alba del 19 agosto a Mélito PortoSalvo, Garibaldi ordinò subito la marcia suReggio presidiata da una nutrita guarnigionesotto il comando del generale borbonicoGallotti, il quale, venuto a conoscenza del-l'avvicinarsi di Garibaldi, aveva ordinato al

Colonnello Dusmet di apprestare una linea didifesa lungo la cerchia esterna della città. Lasera del 20 agosto le camicie rosse aggirarono iBorboni e penetrarono nell'abitato di ReggioCalabria dove si accese una sanguinosabattaglia. Lo stesso comandante borbonicocadde colpito a morte mentre conduceva i suoiall'attacco; la forza degli attacchi dei garibaldi-ni e la morte del Dusmet costrinsero i borboni-ci a rifugiarsi dentro il castello della città doveaveva preferito restare il Generale Gallotti. Ilcastello però venne stretto d'assedio da una

squadra della colonna Missori capitanatada Alberto Mario e, il 22 d'agosto, ilGallotti fu costretto anche lui “ad alzarebandiera bianca”. Per aiutare i Borboni diReggio era sopravvenuto, a resa però giàavvenuta, anche il generale Briganti; ilGaribaldi gli andò incontro a Gallico, unpaesino a cinque chilometri a nord diReggio, disperdendone le truppe dopouna breve mischia. Lo sbarco a Favazzina, frazione diVilla San GiovanniContemporaneamente, durante la nottetra il 21 e il 22 agosto il Cosenz portavain territorio calabrese la brigata Assanti ela compagnia dei volontari francesi; lanuova spedizione sbarcava a Favazzina,un paesino di 400 anime, tra Scilla eBagnara, a Nord Est di Villa SanGiovanni. Avanzando verso l'interno laspedizione sosteneva alcuni scontri con-tro i reparti borbonici dispiegati a pre-sidio di alcune località calabresi. Dopoaver ributtato alcune truppe borboniche a

Favazzina si dirigeva per Bagnara versoSolano. Durate uno di questi scontri concariche “alla baionetta” cadeva pure il coman-dante dei volontari francesi De Flotte, “uno diquegli esseri privilegiati – scriveva Garibaldi –cui un solo paese non ha diritto di appropriarsi.Così il Garibaldi teneva le posizioni di Reggioe Villa San Giovanni mentre il Cosenz quelle

dispiegate tra Villa e BagnaraCalabra.I corpi borbonici del generaleMelendez e quelle del generaleBriganti, in vista d'essere accer-chiati, si arresero; ma la veraragione della mancata resisten-za delle truppe di Francesco IIfu il fenomeno della diserzioneche assunse proporzioni enormie che, quotidianamente, intaccòi contingenti borbonici, toglien-do ai comandanti la fiduciadelle loro truppe.Da Reggio di Calabria eBagnara Calabra aMonteleone e SoveriaMannelliDopo la resa di Reggio (21...agosto), dispersi i novemilauomini del Melendez e delBriganti, Garibaldi proseguìlungo la costa del Golfo diGioia Tauro ed intraprese la suarapida marcia verso Nord: il 25agosto arrivò a Palmi, il 26 aNicotera, e il 27 giunse aMonteleone di Calabria (dal1928 Vibo Valentia) dove venneaccolto trionfalmente dallapopolazione che aveva visto ilgenerale Ghio abbandonare lacittà con la sua colonna decima-ta dalle diserzioni. AMonteleone molti patrioti cal-abresi si aggiunsero alle fila diGaribaldi: Michele Morelli,Luigi Bruzzano, VincenzoAmmirà sono soltanto alcunidei

Generoso cuore, ferro e libertà: La via calabrese verso l'Italia Unita

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SSppeecciiaallee 115500°° ddeellll’’IIttaalliiaa UUnniittaa

I luoghi della guerra* del 1860-1861in Calabria

Mileto (Catanzaro)Ai due calabresi Musolino e

Plutino era stato dato l’ordine adare il via all’insurrezione in

Calabria per facilitare il passaggiodel Generale. Il 17 agosto i riv-

oltosi si ricongiungono conGaribaldi e il Bixio a Mileto.

CARLO MASSINISSAPRESTERÀ

(Monteleone di Calabria1816 - Napoli, 1891)

ENRICO COSENZLitografia C. Perlin - Torino, 1860

* DaIl 1860-1861

Nel CentenarioTouring Club Italiano

Milano - MCMLX

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AB O L I R E L A M I S E R I A D E L L A CA L A B R I A

Associazione di volontariato culturale “NonMollare” continua a promuovere il recu-pero delle tradizioni popolari e della cul-tura calabrese attraverso azioni formative,

informative ed editoriali anche multimediali, volte adampliare la conoscenza e la diffusione delle ricchezzedella nostra regione in Calabria, in Italia e nel Mondo.Continueremo col pubblicare una collana di studidi alto volre scientifico che attingono all'ordine cul-turale del nostro territorio calabrese, con l'intentodi proporre al pubblico le zone meno esplorate delpatrimonio culturale calabrese e, allo stessotempo, di affrontare argomenti di vasta portataanche su aspetti inediti della storia non solo locale.

Rivolgendoci ai migranti e, nello specifico, almigrante calabrese, in realtà il progetto culturaleprevede il recupero e la valorizzazione editorialedelle tradizioni popolari calabresi e non calabresi,dei migranti di oggi e di ieri, come strumento ingrado di promuovere l'integrazione delle identitàculturali di un popolo e quindi di tutti i popoli. Il progetto Integrazione delle diversità col recuperodella cultura e delle tradizioni popolari calabresiprevede l’esecuzione di studi, ricerche, da divulgareattraverso pubblicazioni anche multimediali e/oweb supportate, secondo lo sviluppo delle seguentitematiche: a)Il teatro popolare in Calabria ; b) Ilbrigantaggio nel decennio francese; c)Emigranti ed

immigrazione: il caso dei libertari calabresi; d)Unsecolo di stampa vibonese: antologia funzionaledelle principali testate calabresi dagli inizi dell'ot-tocento agli inizi del novecento; e) Saggi su medic-ina popolare, usanze e credenze. Prevediamo lastampa di specifiche pubblicazioni, la loro diffu-sione anche mediante internet e la prosecuzionedella stampa del nostro giornale, Abolire la miseriadella Calabria. Per tutto ciò ti chiediamo di sosten-erci. Abbonandovi o versando un piccolo contribu-to. Alm non fruisce di alcun tipo di contributostatale all’editoria. Anche il più piccolo sostegnodei nostri lettori ci sarà quindi utile per non mol-lare! Buon 2011 dalla redazione.

Un progetto per Non MollareUna collana di studi di alto livello scientifico che attingono all'ordine culturale del nostro territorio calabrese

L’

n o m id i

intellettuali che seguirono l'eroedei due Mondi.

Proveniente da Monteleone,Garibaldi giunse a Maida (CZ) il29 agosto venendo accolto, anchequi, da una popolazione accla-mante: Non è tempo di feste, Dissealla folla da un balcone. I dodicim-ila uomini comandati dal trucida-tore di Pisacane, il generale Ghio,ci aspettano sull'altopiano diSoveria . E così fu: Garibaldi il 29 sera eraarrivato a Tiriolo. Ghio tentò laritirata verso Napoli ma, proprio aSoveria Mannelli, fu raggiunto daGaribaldi e dai garibaldini. All'alba del 30 agosto i calabresigaribaldini, “Cacciatori dellaSila”, comandati dal baroneFrancesco Stocco e inviati daGaribaldi avevano preso posizioneattorno al paese mentre da Tiriolo

giungeva l'avanguardia del Cosenzseguito da Garibaldi e dal suo statomaggiore. Dopo un accenno di resistenza,considerato che i suoi soldati rin-unciavano a combattere dandosialla fuga, il 30 agosto del 1860Ghio accettò la resa. All'ingressodei Soveria Mannelli, all'epoca deifatti cittadina con poco più diduemilacinquecento abitanti, sorgeoggi un monumento detto“Colonna Garibaldi” eretto inricordo della capitolazione delcorpo borbonico comandato dalgenerale Ghio. Esso è realizzato daun obelisco di bella fattura con tro-fei bronzei e posato su un basa-mento a gradiniTre giorni prima, il 27 d'agostoanche il generale borbonicoCaldarelli aveva lasciato Cosenzadove la popolazione, appresa lanotizia della caduta di Reggio diCalabria (21 agosto), aveva costi-

tuito un governo provvisorio. Epure a Catanzaro un governoprovvisorio era stato istituito incittà dopo la notizia della presadella città dello Stretto.Alla fine dell'agosto 1860,Garibaldi aveva liberato completa-mente la Calabria dai Borboni: l'e-sercito del generale Vial, coman-dante supremo delle forze bor-boniche in Calabria, forte ditrentamila uomini, era completa-mente disfatto. Una piccola partedi esso aveva ripiegato su Napoli,ma la maggior parte si era dispersacon la diserzione e casi di interireparti borbonici calabresi chechiesero di essere arruolati nell'e-sercito garibaldino.La situazione era profondamentemutata: Italiani! Il momento èsupremo. Già i fratelli nostri combattono lostraniero nel cuore dell'Italia.Andiamo ad incontrarli in Roma

per marciare di là insieme allevenete terre. Tutto ciò che è dovernostro e diritto, potremo fare seforti. Armi, dunque, ed armati.Generoso cuore, ferro e libertà.

Generoso cuore, ferro e libertà: La via calabrese verso l'Italia Unitasegue da pagina 6

Il 10 novembre del 1885, soltanto quindici anni dopola presa di Roma, mentre l'Italia Unita era ancora tuttada compiere, da costruire, a Pizzo si spegnevaBenedetto Musolino, patriota oltreché senatore delRegno d'Italia. A ricordarne la figura dalle pagine delperiodico politico-letterario L'Avvenire Vibonese, èproprio l'Amministratore del giornale AntoninoScalfari, che siglò l'articolo in prima – quasi unamonografia – sul numero 45 (Anno IV) del 22 novem-bre 1885, titolandolo col nome del defunto.

BENEDETTO MUSOLINO

Mentre scriviamo, laggiù a Pizzo, a pochi chilometrida noi, viene trasportata all'ultima dimora la salma diBENEDETTO MUSOLINO, Senatore del Regno,Colonnello Brigadiere, e, più che tutto, avanzo glo-rioso di quella eroica falange, che, colla parola o conla spada, fra i ceppi dell'ergastolo, o sui campi dibattaglia, sullo sgabello dei Rei di Stato, o sullaScranna del Parlamento han dato agl'Italiani il dirittodi avere una Patria.Oggi é giorno di lutto per noi Calabresi, che in pocovolger di tempo vedemmo sfrondarsi, foglia a fogliala corona di valentuomini, che da Cosenza a Reggiomantennero, fra le persecuzioni e gli esili, alta labandiera della Redenzione.Ieri Mauro, Stocco, Plutino, oggi è BenedettoMusolino che scende nella tomba.Oggi, innanzi a quell'urna, amici ed avversari delleidee politiche dello illustre Senatore, s'inchinano riv-erenti, e nell'animo di tutti vengono spontanei i ricor-di della vita intemerata, che non ebbe, che un palpito,un ideale, l'unità, l'indipendenza, la libertà dellaPatria.Giovinetto ancora, nel 1830 (era nato addì 8 Febbraio1809) uscito appena da questo Collegio ViboneseBenedetto Musolino, insofferente di ogni tirannide,incominciò a cospirare a favore dell'unità Italiana, efu costretto ad esulare fuori della Penisola, dove ritor-nato con più arditi propositi, a Napoli sede di Re eMinistri efferati, fondò nel 1834 quella Giovane Italiache a guisa di spira avvolse Popoli e Governi, e fu il

germe, e l'origine delle generose e forti manifes-tazioni patriottiche. Quella pagina della vita diBenedetto Musolino non deve, non può essere ignora-ta dagl'Italiani, giacché d'essa venne indelebilmentescolpita in quello aureo libro, in cui il Settembriniraccolse le sue Ricordanze. Cospiravano perché non sapevano starsi cheti tra glioppressi, né mettersi tra gli oppressori, perché riman-ersi inerti pareva codardia, ed un giorno la cospi-razione fu, per opera di un Giuda, svelata, e punitacon lungo carcere, e nuovi martiri.Nel 1848, Benedetto Musolino è alla testa della rivo-luzione, e quando sembrò, che un patto di alleanza siera stretto tra Re Ferdinando ed il popolo, egli fueletto a rappresentare questo Collegio Elettorale,nella Camera dei Deputati. Nella nefasta giornata dei 15 Maggio Musolino é congli altri Rappresentanti nel Palazzo di Monteoliveto,ove rimangono fermi innanzi alle bombe, ed allefucilate borboniche, e abbandonano la sala soltantoquando dai soldati del Nunziante vengono scacciati espinti a colpi di baionette.All'annunzio della strage di Napoli in Calabria glisdegni scoppiarono gagliardi, come gagliarda é lanatura delle nostre genti; Cosenza, Catanzaro,Monteleone si ribellarono contro l'aborrita domi-nazione, e crearono Governi Provvisori, e da CosenzaBenedetto Musolino, Ricciardi, Mauro e de Riso pub-blicarono un manifesto invitando i Deputati ad unirsiin quella Città e chiamando le popolazioni a prenderele armi.La rivoluzione fu domata e vinta dalle Truppe Regie,e mentre Benedetto Musolino, dannato nel capo cor-reva, non a cercare uno scampo, ma a combattere adifesa di Roma, in Pizzo, suo paese natio, i soldatidel Nunziante, reduci, non sai se vinti o vincitori, delfatale Campo dell'Angitola, mettevano a sacco efuoco la sua casa, ed uccidevano barbaramente il vec-chio padre, ed il fratello Saverio.Benedetto Musolino, dal 49 al 60 visse la vita deglialtri, compagni d'esilio, combatté le battaglie perl'Indipendenza Italiana, seguì Garibaldi in Sicilia, e

primo fra tutti, novello Bruto, sbarcò in Calabria, eportò la lieta novella della Redenzione alla sua terranatia.Terminata la campagna, alla quale Egli prese sempreparte, incorporato nell'Esercito Italiano col grado diColonnello Brigadiere, venne, dal Collegio diMonteleone eletto, per ben quattro Volte, a suo rapp-resentante nella Camera dei Deputati. Fu solo nel1874, che gli Elettori di Monteleone gli venneromeno.Ma se gli mancarono i voti, non così l'affetto e lastima di tutti, anche di quelli che non avevano votatoper lui.Benedetto Musolino era sempre il Patriotta, il martiredella Redenzione Italiana, l'uomo di tempra antica,come lo avea chiamato Garnier Pagés, ed il distaccotra Lui e gli Elettori sembrò la fatale dipartita di uncongiunto, la fine di una epoca leggendaria ed eroica,che nella prosa della vita, nei giorni del disinganno,ritorna con dolcezza amara a commuovere l'anima edil cuore.Avrebbesi, prima di un tal giorno, la dimani dellapresa di Roma, dovuto dischiudere, all'intemeratopatriotta le porte del Senato, questo Panteon dei vet-erani della Scienza e della Patria, ma invece egli nonsi ebbe la nomina di Senatore, che il 12 Giugno 1881,dopo aver, per altre due Legislature, rappresentato ilColleggio di Cittanova.Però, prima di un tal giorno, Benedetto Musolino siera ritirato dalla politica militante della Camera, eritirandosi avea pronunziato la parola di un nomodabbene, che parea, ed era, la parola del commiato.Il paese- Egli disse - è ammalato pervertito,trasmodante, e quindi ha bisogno di un medico, di uneducatore, di un moderatore.È si ridusse, dopo tanta lunga ed intemerata vita, aPizzo, ove oggi scende nella tomba fra il compiantodi quanti nel cuore sentono 1'amore della Patria, ed ilrispetto e la venerazione per gli uomini, che l'hannocreata e resa grande.

Monteleone, 16 Novembre 1885Antonino Scalfari

(bisnonno del fondatore de la Repubblica)

Il paese � ammalato pervertito, trasmodante, e quindi ha bisogno di un medico, di un educatore, di un moderatore

IN MORTE DI BENEDETTO MUSOLINO

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