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II.1 Lezione II La carica elettrica La carica elettrica è l’elemento chiave delle interazioni elettriche e magnetiche tra i corpi. Essa è una caratteristica intrinseca delle particelle fondamentali che costituiscono la materia e si presenta sotto due specie che esercitano azioni opposte sulla materia: convenzionalmente si distinguono la carica positiva (+) e la carica negativa (-). Nel sistema SI l’unità di misura della carica è il Coulomb [C]. La carica elettrica elementare è la carica dell’elettrone e vale e=-1.602 10 -19 C. La carica elettrica è quantizzata in quanto i valori da essa assunti sono soltanto multipli interi della carica dell’elettrone. Per la carica elettrica vale la seguente legge di conservazione: “In un sistema chiuso, in cui non possono né entrare né uscire cariche, la somma delle cariche elettriche è costante nel tempo”. Consideriamo ad esempio il sistema chiuso delimitato dalla superficie Σ e indichiamo con 1 la regione di spazio in esso contenuta e delimitata dalla superficie S 1 . Σ 1 2 S 1 Indichiamo con 2 la restante parte. Se Q 1 è la carica totale in 1 e se Q 2 è la carica totale in 2 , si ha: ( ( te Q t Q t Q tan cos 2 1 = = + Σ Come conseguenza, se esiste un flusso di carica che dalla regione 1 si muove verso la regione 2 , attraversando la superficie S1, allora la carica in 1 diminuisce e la carica in 2 aumenta. Indicata con Q la variazione di carica nell’intervallo di tempo t, potremo scrivere: ( ( 0 2 1 = + t Q t Q

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II.1

Lezione II

La carica elettrica

La carica elettrica è l’elemento chiave delle interazioni elettriche e magnetiche tra i corpi. Essa è una caratteristica intrinseca delle particelle fondamentali che costituiscono la materia e si presenta sotto due specie che esercitano azioni opposte sulla materia: convenzionalmente si distinguono la carica positiva (+) e la carica negativa (-).

Nel sistema SI l’unità di misura della carica è il Coulomb [C]. La carica elettrica elementare è la carica dell’elettrone e vale e=-1.602 10-19 C. La carica elettrica è quantizzata in quanto i valori da essa assunti sono soltanto multipli interi della carica dell’elettrone.

Per la carica elettrica vale la seguente legge di conservazione:

“In un sistema chiuso, in cui non possono né entrare né uscire cariche, la somma delle cariche elettriche è costante nel tempo”.

Consideriamo ad esempio il sistema chiuso delimitato dalla superficie Σ e indichiamo con Ω1 la regione di spazio in esso contenuta e delimitata dalla superficie S1.

Σ

Ω1

Ω2

S 1

Indichiamo con Ω2 la restante parte. Se Q1 è la carica totale in Ω1 e se Q2 è la carica totale in Ω2, si ha:

( ) ( ) teQtQtQ tancos21 ==+ Σ

Come conseguenza, se esiste un flusso di carica che dalla regione Ω1 si muove verso la regione Ω2, attraversando la superficie S1, allora la carica in Ω1 diminuisce e la carica in Ω2 aumenta.

Indicata con ∆Q la variazione di carica nell’intervallo di tempo ∆t, potremo scrivere:

( ) ( ) 021 =∆+∆ tQtQ

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II.2

La legge di Coulomb

Il punto di partenza per descrivere le interazioni tra cariche consiste nel supporre di essere in una zona dello spazio vuoto ove esistano due cariche puntiformi (vedi Figura)

q1 q2

F12 F21d

r12

Tra queste si eserciterà la forza (Legge di Coulomb):

121221 iiF))

221

20

21

4

1

d

qqk

d

qq ==επ

La forza che si esercita tra le due cariche gode delle seguenti proprietà:

• il modulo è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale alla loro distanza e dipende dalla permettività ε del mezzo;

• la direzione è quella della retta congiungente le due cariche;

• il verso della forza agente sulla carica 2 e dovuta alla carica 1, va dalla carica 1 alla carica 2. La forza è repulsiva per cariche dello stesso segno, mentre è attrattiva per cariche di segno opposto;

Nel vuoto la permettività ε=ε0 risulta uguale a 8.854 10-12 [F/m] o [C2 N-1 m-2].

La costante di proporzionalità k vale k=8.99 10+9 [N m2/C2], pertanto, se due cariche di 1C sono poste alla distanza di 1 m l’una dall’altra, esse interagiscono tra loro con una forza di 8.99 10+9 N.

L’interazione tra cariche è identica alla interazione gravitazionale, con la differenza che le forze gravitazionali sono solo attrattive, mentre le forze Coulombiane possono essere sia attrattive che repulsive.

Per chiarire ancora di più la natura della forze Coulombiana possiamo valutare l’ordine l’ordine di grandezza di tale forza Fe confrontandola con forza gravitazionale Fg tra due particelle identiche, ad esempio due elettroni, con massa m=9.11 10-31 kg, distanti d, ricordando che la costante di gravitazione universale G vale G=6.6*10-11 Nm2kg-2:

422

0

2

1041

4

1 ⋅≈=Gm

e

g

e

επFF

Ne consegue che, nello studio dei fenomeni di natura elettrica che coinvolgono atomi e molecole, possiamo trascurare le forze gravitazionali rispetto a quelle elettriche. Le forze gravitazionali assumono, invece, un ruolo determinante quando le masse in gioco sono notevoli come, ad esempio, nel caso di problemi di natura astronomica.

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II.3

Il campo elettrostatico nel vuoto

Se la carica q1 esistesse da sola, essa non sarebbe soggetta a nessuna forza. Se, invece, avviciniamo a q1 una carica di prova qp (qp<<q1), questa .sente. una forza che dipende dalla sua intensità e dalla posizione rispetto a q1.

Per la descrizione del campo di forze generato da una o più cariche sorgente, al fine di rendersi indipendenti dal valore della carica di prova, conviene introdurre un campo vettoriale, detto campo elettrico,dato dalla forza per unità di carica. E’ necessaria, cioè, una grandezza che descriva come un sistema di cariche influenzi lo spazio circostante e lo renda tale da esplicitare una forza su una carica, se tale carica viene in esso posta.

Operativamente, per la definizione di campo elettrico, si usa una carica di prova tale che la sua presenza non cambi la situazione preesistente e si valuta la forza F agente sulla carica di prova qp. Infine si valuta la forza per unità di carica F/qp

∧== 10i

21

04

1)()(

d

q

q

PP

p πεF

E

L’unità di misura del campo elettrico [Volt/m] o anche [N/coulomb] .

L’esperienza mostra che il campo elettrico E è indipendente dal valore e dal segno della carica di prova. In regime stazionario (ossia quando i fenomeni osservati sono indipendenti dal tempo) E dipende solo dalla entità e dalla dislocazione delle sue sorgenti. In queste condizioni il campo è denominato elettrostatico.

Il campo elettrostatico prodotto in un punto P dello spazio vuoto dalla carica sorgente qs collocata in Q vale (Legge di Coulomb):

sQP

QPq

r

iP

20

ˆ

4

1)(

πε=0E

Poiché la carica di prova deve esser tale da non alterare la distribuzione delle sorgenti, più correttamente si preferisce definire il campo E0 come:

pq q

PP

p

)(lim)(

0

FE0 →

=

Il campo elettrico è dunque espresso da un vettore radiale, di modulo inversamente proporzionale al quadrato della distanza della carica di prova dalla carica sorgente; il verso dipende dal segno della sorgente; il campo è inoltre continuo in tutti i punti dello spazio con esclusione del punto Q dove è posta la carica-sorgente.

Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, possiamo valutare il campo elettrico nel vuoto dovuto a una distribuzione volumetrica di carica ρ(Q) limitata e variabile e distribuita nella regione dello spazio Ω. Definita la densità di carica come:

τρ

τ ∆∆=

→∆

qQ

0lim)(

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II.4

dove τ∆ è un volumetto di forma arbitraria che racchiude il punto Q della regione Ω e q∆ è la carica in esso contenuta, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti e sommando i contributi al campo delle cariche elementari contenute in generale, da punto a punto si ottiene:

∫∫∫Ω

= τρπε

dir

QP QP

QP

ˆ)(

4

1)(

20

0E

Analogamente si può definire il campo generato da una distribuzione superficiale di carica σ(Q) presente su una superficie S:

∫∫=S

QPQP

dSir

QP ˆ)(

4

1)(

20

σπε0E

E il campo generato da una distribuzione lineare di carica λ(Q) presente lungo una linea l:

∫=l

QPQP

dlir

QP ˆ)(

4

1)(

20

λπε0E

Il campo vettoriale può essere rappresentato graficamente disegnando un insieme di frecce le cui lunghezze e direzioni rappresentano i valori del campo vettoriale nei punti dai quali le frecce partono. Un altro modo per rappresentare un campo consiste nel disegnare le linee orientate che sono tangenti ovunque ai vettori definiti dal campo. A queste linee si dà il nome di linee di campo vettoriale. Dove le linee di campo sono più fitte, l’intensità del campo è più elevata. In figura è rappresentato il campo elettrostatico prodotto da una carica sferica positiva.

Campo elettrostatico prodotto da una carica sferica positiva

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II.5

Le proprietà del campo elettrostatico.

La legge di Gauss.

Il flusso del campo elettrostatico E0, uscente attraverso una superficie chiusa Σ che contiene la carica Q, è indipendente dalla forma e dall’area della superficie considerata ed è proporzionale al valore della carica Q:

0εQ

dS=⋅∫∫Σ

nE0

Facendo un’analogia con la fluidodinamica, si capisce che il flusso attraverso una superficie chiusa può essere diverso da zero solo nel caso in cui in tale superficie siano contenuti dei pozzi o delle sorgenti. Per il campo elettrico ciò equivale a dire che le cariche costituiscono delle sorgenti per il campo.

Conservatività del campo elettrostatico.

La circuitazione del campo elettrostatico E0, prodotto da una generica distribuzione di cariche-sorgente, lungo una qualsiasi linea chiusa γ è nullo.

∫ =⋅γ

0dltE0

Tale proprietà ci dice che il campo elettrostatico nel vuoto è conservativo. Il lavoro compiuto dalle forze del campo per spostare la carica unitaria lungo una linea chiusa è nullo. Ciò equivale a dire che, se le forze del campo compiono un lavoro positivo in un tratto di γ, nell’altro esse compiranno lavoro negativo. Ancora, la proprietà afferma che il lavoro compiuto dalle forze del campo per spostare la carica unitaria da un punto A ad un punto B è indipendente dal percorso scelto per andare da A verso B e dipende solo dagli estremi A e B.

A

B

Γ γ1

γ2

t1

t2 Infatti, scelta la linea chiusa 21 γγ U=Γ , scelto il versore t in senso antiorario, potremo scrivere:

0 0 0B

A,

B

A,

A

B,

B

A, 2121

=⋅−⋅⇒=⋅+⋅⇒=⋅ ∫∫∫∫∫Γ γγγγ

dldldldldl 2010000 tEtEtEtEtE

( )BAfdldldl , B

A

B

A,

B

A, 21

=⋅⇒⋅=⋅ ∫∫∫ tEtEtE 02010γγ

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II.6

Le proprietà del campo elettrostatico in forma locale.

Le proprietà del campo elettrostatico finora illustrate sono state espresse nella cosiddetta forma integrale; esse contengono, infatti, operazioni di integrazione estese a regioni contenute nel campo. Tali proprietà possono, però, essere anche espresse con riferimento a ciascun punto del campo, cioè, come si suole dire, in forma locale.

L’utilità di questo tipo di formulazione in forma locale appare chiara se si pensa al teorema di unicità di Helmholtz, che afferma che un campo è univocamente determinato dalle sue sorgenti e dai suoi vortici (oltre che da opportune condizioni al contorno).

Applicando il teorema della divergenza, la prima equazione di Maxwell può essere espressa come

0

)(

ερ P

div =0E

In ogni punto in cui esiste una carica distribuita con densità di volume ρ, la divergenza del campo elettrostatico è ad essa proporzionale secondo il fattore 1/ε0.

Questo tipo di formulazione ha però delle limitazioni in quanto richiede che il campo vettoriale E0 sia derivabile in ogni punto del dominio considerato, altrimenti la divergenza non può essere definita. Se il campo elettrostatico presenta una discontinuità, come nel caso di distribuzione superficiale di carica con densità σ, è necessaria una formulazione diversa della legge di Gauss in forma locale. Supponiamo allora che la carica sia distribuita su una superficie S con densità superficiale σ(P) e consideriamo una superficie infinitesima chiusa dΣ, a forma di moneta e con base dS, tagliata longitudinalmente proprio dalla superficie S.

n22

1

S

n=n1

Calcoliamo il flusso del campo elettrico attraverso Σ, trascurando il flusso attraverso la superficie laterale. Per la legge di Gauss potremo scrivere:

dS dS dS dS dSσ⋅ + ⋅ = ⋅ − ⋅ = ⋅1 1 2 2 1 2E n E n E n E n n

In particolare risulta che la differenza tra i valori della componente normale di E0 considerati dall’uno e dall’altro lato della superficie, è proporzionale (secondo 1/ε0) al valore di σ(P) nel punto considerato:

021

)(

εσ P

EE nn =−

Il campo elettrostatico è conservativo. Applicando alla equazione ∫ =⋅γ

0dltE0 il teorema di

Stokes, si giunge alla formulazione puntuale, che si esprime come:

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II.7

0=0Erot

Il campo elettrostatico, essendo conservativo, è anche irrotazionale in tutti i punti dello spazio in cui le cariche sono distribuite con densità di volume ρ(P) continua e limitata.

E’ importante osservare che non è invece sempre vero il contrario: un campo irrotazionale in un dominio D può non essere conservativo; è sicuramente conservativo solo quando il campo è irrotazionale in un dominio a connessione lineare semplice, tale cioè che ogni curva chiusa γ al suo interno può contrarsi per deformazione continua in un punto mantenendosi interna al dominio.

Nel caso in cui la carica è distribuita con densità superficiale σ(P), il rotore non può essere calcolato perché il campo elettrostatico presenta una discontinuità nei punti della superficie S. Già sappiamo che la componente del campo normale a S è discontinua. Si perviene ad una diversa formulazione della proprietà di conservatività.

Scegliamo a tal fine una linea chiusa rettangolare γ come quella di figura, tale che la lunghezza dl delle basi sia molto più grande dell’altezza dh.

t2 2

1

S

t=t1

Calcoliamo la circuitazione del campo lungo tale linea chiusa. Trascurando il contributo infinitesimo lungo le altezze dh, potremo scrivere:

0dl dl dl dl⋅ + ⋅ = ⋅ − ⋅ =1 1 2 2 1 2E t E t E t E t

21 tt EE =

Osserviamo che in corrispondenza dei punti della superficie S le componenti di E0 tangenziali alla superficie si mantengono continue nel passaggio da un lato all’altro della superficie stessa (anche in presenza di distribuzioni di carica con densità superficiale non nulla).

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II.8

Il potenziale elettrostatico.

Abbiamo osservato che l’integrale curvilineo de campo elettrostatico non dipende dalla particolare linea lungo la quale esso è calcolato, ma dipende esclusivamente dai suoi estremi A e B. Inoltre, il campo elettrostatico è conservativo ed è quindi anche irrotazionale e può essere espresso mediante il gradiente di una funzione scalare ϕ(P), continua e derivabile nell'insieme di definizione di E0:

)()( PgradP ϕ−=0E

Scriviamo allora l’integrale curvilineo del campo elettrostatico tra i punti P1 e P2:

[ ])()( 21

2

1

2

1

2

1

PPddlgraddlP

P

P

P

P

P

ϕϕϕϕ −=−=⋅=⋅ ∫∫∫ ttE0

Come si vede, l’integrale di linea del campo dipende esclusivamente dai suoi estremi e può essere espresso come differenza dei valori assunti dalla funzione ϕ(P) agli estremi della curva.

Alla funzione ϕ(P) è assegnato il nome di potenziale del campo elettrostatico. Essa è una funzione scalare la cui dimensione fisica è il volt [V]. Notiamo che, se ϕ(P) è un potenziale del campo, lo sarà anche la funzione ϕ(P)+c, con c costante arbitraria. Ne consegue che il potenziale elettrostatico è definito a meno di una costante e che, per individuarlo univocamente è necessario fissare arbitrariamente il potenziale in un generico punto di riferimento O, il che equivale ad attribuire un valore preciso alla costante c.

[ ] ∫∫ ⋅+=⇒−=⋅O

P

O

P

dlOPOPdl tEtE 00 )()( )()( ϕϕϕϕ

Il potenziale elettrostatico della carica puntiforme q posta nel punto Q risulta:

cr

qP

PQ

+=04

1)(

πεϕ

Si può assumere come riferimento che il potenziale all’infinito sia nullo. In tal caso, la costante c diviene nulla:

c==∞ 0)(ϕ

E il potenziale di una carica puntiforme assume la forma:

PQr

qP

04

1)(

πεϕ =

Ricordando la definizione di campo elettrico e, in particolare, la definizione di integrale curvilineo del campo, la differenza [ϕ(P1)- ϕ (P2)] tra i valori assunti dalla funzione potenziale nei punti P1 e P2 risulta pari al lavoro compiuto dalle forze del campo quando si sposti la carica unitaria positiva dal punto P1 al punto P2, lungo uno qualsiasi dei percorsi che

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II.9

congiungono questi due punti. A tale differenza si dà il nome di tensione elettrica tra i punti P1 e P2 ed è indicata come VP1-P2.

Il principio di sovrapposizione degli effetti permette di esprimere il potenziale prodotto da una distribuzione volumetrica di carica con densità ρ(Q):

τρπε

ϕτ

dr

QP

PQ∫∫∫= )(

4

1)(

0

il potenziale prodotto da una distribuzione superficiale di carica σ(Q):

∫∫=S PQ

dSr

QP

)(

4

1)(

0

σπε

ϕ

E il potenziale prodotto da una distribuzione lineare di carica λ(Q):

∫=l PQ

dlr

QP

)(

4

1)(

0

λπε

ϕ

La funzione scalare così costruita è continua in tutti i punti, compresi quelli in cui è distribuita la carica e si annulla all’infinito.

Nel caso di distribuzioni superficiali il potenziale è continuo anche nei punti occupati dalle cariche-sorgente, mentre nel caso di distribuzioni lineari diverge logaritmicamente nei punti occupati dalle cariche.

E’ ovvio che il calcolo del campo elettrico, una volta nota la distribuzione delle cariche sorgente, risulta semplificato se si valuta dapprima il potenziale prodotto e poi si effettua l’operazione di gradiente, ossia una semplice operazione di derivazione. Infatti, in questo caso, è necessario valutare un unico integrale di una funzione scalare, invece che valutare direttamente il campo tramite l’integrale di una funzione vettoriale.

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II.10

Il campo elettrostatico in presenza di conduttori nel vuoto.

Dalle analisi svolte in precedenza si può concludere che è possibile calcolare il campo elettrostatico una volta nota la distribuzione delle cariche-sorgente. Nella maggior parte dei casi reali, però, questa distribuzione è incognita e deve essere determinata contemporaneamente al campo; pertanto, le espressioni viste in precedenza non sono più utilizzabili.

Supponiamo, infatti, di essere in presenza di un conduttore immerso in un campo elettrico nel vuoto. Possiamo immaginare un conduttore come un materiale che contiene un elevato numero di particelle cariche libere di muoversi al suo interno. Le cariche libere in esso presenti, sotto l’azione del campo esterno, si separano, distruggendo la “neutralità” locale del corpo. La distribuzione di carica che viene a crearsi dà il suo contributo al campo elettrico esterno e, a sua volta, ne è modificata. E’ la classica situazione nella quale il campo elettrico è prodotto non solo da sorgenti esterne, ma anche dalle cariche indotte le quali, a loro volta, dipendono dal campo.

Non è possibile, allora, determinare separatamente le distribuzioni di carica e quindi il campo, ma è necessario determinarle contemporaneamente al campo. Con opportune semplici considerazioni è possibile giungere alla soluzione del problema.

Innanzitutto, per definizione, è necessario sottolineare che un conduttore sì dice in equilibrio elettrostatico quando in esso non si riscontra alcun moto macroscopico di cariche, quando cioè sulle cariche libere presenti nel corpo non agiscono forze. Per un conduttore in equilibrio elettrostatico si possono fare le seguenti considerazioni:

1. Esso si presenta allora come una regione all'interno della quale risulta in ogni punto E=0 e quindi, per il teorema di Gauss, la densità di carica ρ al suo interno è in ogni punto nulla. Ma, è possibile raggiungere una situazione di equilibrio in cui le cariche siano tutte ferme nel conduttore? Lo stato di equilibrio sarà sicuramente raggiunto perché, essendo il campo elettrostatico conservativo per il lavoro, le cariche non potrebbero continuare a muoversi indefinitamente nel conduttore cedendo negli urti con le altre cariche l'energia guadagnata sotto l'azione del campo elettrico agente.

2. Nei punti interni di un conduttore non possono allora localizzarsi cariche; diversa è la situazione sulla sua superficie dove viene a distribuirsi una carica con densità superficiale σ tale che il campo E all'interno del conduttore sia ovunque nullo.

3. Nel vuoto, nei punti adiacenti alla superficie del conduttore, il campo elettrico, in condizioni di equilibrio elettrostatico, è ortogonale ad essa e di modulo pari a σ/ε0. Infatti, in presenza di distribuzioni superficiali di carica la componente di E tangente alla superficie è continua; ne consegue che, se essa è nulla all’interno del conduttore, deve essere nulla anche al suo esterno. La componente normale del campo elettrico presenta invece una discontinuità tale che En1-En2=σ/ε0; poiché En2 è nulla all’interno del conduttore, il campo elettrostatico al suo esterno sarà proprio pari a σ/ε0.

4. Il conduttore diviene equipotenziale perché, scegliendo qualsiasi percorso che congiunga due punti del conduttore di ha sempre che la differenza di potenziale tra i punti è nulla.

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II.11

Calcolo del campo elettrostatico in geometrie fondamentali

Geometria piana

Consideriamo due elettrodi piani paralleli indefiniti a distanza d (fig.1) tra cui è interposto un mezzo omogeneo ed isotropo, privo di carica libera, caratterizzato dalla costante dielettrica ε0. In condizioni stazionarie sia V1 il potenziale dell'elettrodo 1 e V2 il potenziale dell'elettrodo 2.

Per simmetria i campi non possono che dipendere da una sola coordinata (x) ed avere una componente non nulla solo lungo tale asse. Dal punto di vista reale, tale situazione equivale al caso in cui la distanza d tra gli elettrodi è molto minore della dimensione lineare della

superficie degli elettrodi ( Sd << ) e si possano così trascurare gli effetti di bordo

In tale situazione il campo elettrico può essere considerato uniforme in tutto il dielettrico e diretto in ogni punto normalmente alla superficie delle armature. Vediamo perché.

S

A

B

Σ

E

S 1

S 2

S 3

S 4

- - - - - - - - - - - - - - - -

+ + + + + + + + + + +

Fig.1

Ricordiamo le equazioni integrali che ci servono per risolvere il problema:

( )

( ) ( ) ( )

==⋅

=⋅

∫∫Σ

2 B -A

1

,0

00

ϕϕ

ε

γAB

B

A

Vdl

QdS

tE

nE

Applichiamo la (1) ad una superficie gaussiana Σ come quella di figura, che racchiuda tutta la carica Q contenuta su un’armatura. Supponiamo che la superficie S2 si trovi a distanza x2 dall’elettrodo superiore. Ricordiamo che il campo elettrico stazionario in un conduttore ideale è nullo e che il campo elettrico, per simmetria, è uniforme lungo la superficie S2 e diretto normalmente ad essa. Si ha:

( )SxEdSdSdSdSdSQSSSS

2004

03

02

01

0000 εεε =

⋅+⋅+⋅+⋅=⋅= ∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫Σ

nEnEnEnEnE

Da cui:

( )S

QxE

020 ε

=

Ripetiamo lo stesso ragionamento su una superficie chiusa ottenuta dalla precedente spostando la superficie S2 a distanza x*2 dall’elettrodo superiore.

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II.12

Si ricava che ( )S

QxE

0

*20 ε

= , cioè possiamo concludere che il campo elettrico è uniforme

lungo la coordinata x e vale sempre S

QE

00 ε

= .

Sfruttando la proprietà di uniformità, potremo scrivere dalla (2): ABA

VdEdl ==⋅∫ 0,

B

0 tEγ

d

VE AB=0

Il campo è uniforme e indipendente dalla permettività del dielettrico. Esso dipende solo dalla tensione applicata e dalla distanza tra gli elettrodi.

E’ possibile anche ricavare la distribuzione di potenziale nel dielettrico:

( ) ( ) ( ) dxd

VdxxExdxd AB−=−=⇒−=⋅ ϕϕ dxE

( )( )

∫∫ =x

ABxv

va

dxd

VxdV

0

( ) xd

Vx AB

A −= ϕϕ

Le linee equipotenziali sono parallele alla superficie degli elettrodi.

Fig. 2: Distribuzione di potenziale in un condensatore piano

L’isolamento intraspira tra i conduttori a piattina di una macchina elettrica è un tipico isolamento soggetto a campo uniforme. Ovviamente in questo caso i conduttori non sono isolati dal vuoto ma, come vedremo, la particolare geometria del sistema e il fatto che il mezzo interposto sia omogeneo, consentono di affermare che il campo sia uguali in ogni punto della regione situata tra gli elettrodi.

Fig.3 : Sezione di bobina statorica in una macchina elettrica

isolante

conduttore

conduttore

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II.13

Geometria sferica

Prendiamo una sfera conduttrice di raggio R e potenziale V0, posta nel vuoto (Fig.4).

y

x

z

r

P

ϑ

R

Fig. 4

Per simmetria, il campo elettrico deve essere radiale e dipendere dalla sola coordinata r.

Consideriamo una generica superficie sferica di raggio r, concentrica con la nostra sfera conduttrice. Per il teorema di Gauss:

( ) ( ) 2000 4 rrEdSrEdSQ πεεε ==⋅= ∫∫∫∫

ΣΣnE

( )2

04 r

QrE

πε=

Scegliamo un linea radiale γ che si estende dalla superficie della sfera all’infinito e calcoliamo la tensione elettrica:

( ) 0 20 0 0, ,

1,

4 4 4RR R

Q Q QV R V dr dr

r r Rγ γ ε π ε π ε π

∞∞ ∞ ∞ = = ⋅ = = − =

∫ ∫E t

Sostituendo, si ottiene:

( ) 0 02

0

4 V

4

RE r

r

ε πε π

= + ( ) 0 2

RVE r

r=

Sulla superficie il campo risulta ( )R

V

R

RRE 0

20V

=+=

Ne consegue che in corrispondenza delle punte (R→0) il campo aumenta considerevolmente. Pertanto, quando un conduttore si trova a tensione elevata rispetto ai conduttori a lui prossimi, il campo sulla sua superficie può essere così elevato da innescare fenomeni di scarica nel mezzo circostante. Infatti, come vedremo nel seguito, le cariche elettriche presenti sulla superficie del conduttore possono assumere dal campo energia sufficiente tale da consentire loro di abbandonare il conduttore e migrare nel mezzo circostante. Per prevenire questi effetti,

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II.14

nelle apparecchiature elettriche destinate a funzionare ad alta tensione si adottano sempre elettrodi privi di spigoli e opportunamente sagomati.

E’ così possibile determinare il raggio minimo che deve avere un elettrodo metallico in aria affinché non si inneschino scariche sulla sua superficie. Scegliendo che il campo elettrico non debba superare il valore di 1.5 kV/mm (15 kV/cm) sulla superficie, si ottiene che il raggio R deve essere almeno pari a:

mmV

R5.1

ove V è la tensione verso terra dell’elettrodo. Ad esempio, per tensioni di 1MV sono richiesti raggi di almeno 70 cm.

Fig.5 Elettrodi sferici in un trasformatore HVAC

Possiamo poi anche ricavare la distribuzione di potenziale.

( ) ( ) ( ) ( ) ∫∫ −=⇒−=⋅ rR

rR Rdr

rrrRdr

20

0 ϕϕϕϕϕtrE

( )r

RRdr

rr r

R0

20

0 ϕϕϕϕ =−= ∫

0 5 10 15 20

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Po

tenz

iale

%

r/R Fig. 6: Distribuzione di potenziale intorno a una sfera carica

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II.15

Supponiamo ora di avere una geometria con due sfere concentriche di raggio R1 e R2 poste a potenziale V1 e V2. Ancora una volta, considerando una superficie sferica di raggio R1<r< R2 concentrica con le due sfere e utilizzando la legge di Gauss potremo scrivere:

( )2

04 r

QrE

πε=

−==∆=− ∫

2102

021

11

44

2

1RR

Qdr

r

QV

R

R πεπεϕϕ

( )

∆=

21

2 11

RRr

VrE

Il campo è massimo in prossimità della sfera interna e vale ( ) 2121

RRRR

VEMAX −

∆=

Se, ad esempio, per problemi di spazio la sfera esterna deve avere dimensioni prefissate, è possibile variare le dimensioni della sfera interna affinché, fissata la tensione tra le sfere, si raggiunga una condizione di ottimo caratterizzata dal valore più basso ottenibile del campo

sulla sfera interna. La condizione di ottimo si ottiene quando 2

21

RR = e il campo “ottimo”

risulta 21

42

R

V

R

VEOPT

∆=∆= .

In genere la configurazione con due sfere concentriche non si presenta quasi mai nella pratica, ma è possibile fare riferimento a questa per avere indicazioni progettuali, come, ad esempio, in configurazioni a “gomito”, tipiche di interruttori con isolamento gassoso (Fig.7).

Fig.7 Struttura a “gomito” per conduttori isolati in gas

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II.16

Geometria cilindrica

Consideriamo due cilindri coassiali di raggio interno R1 e R2 e potenziale V1 e V2 (Fig.8)

y

x

z

r

P

ϕ

R1 R2

Fig. 8

E’ la tipica configurazione che si può avere in un cavo elettrico (Fig.9)

Fig. 9 Cavo elettrico MT

Scegliamo una superficie cilindrica Σ coassiale di raggio R1<r< R2 e altezza h e applichiamo ad essa la legge di Gauss. Per simmetria il campo elettrico tra le armature deve essere radiale e dipendente dalla sola coordinata r.

Potremo scrivere:

( ) rhrEdSdSQLS

πεεε 20000 =⋅=⋅= ∫∫∫∫Σ

nEnE 00

dove Q è la carica in essa contenuta 12Q h Rσ π= .

( )r

RrE

0

10 ε

σ=

Ricordando la definizione di tensione elettrica tra due punti:

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II.17

( ) [ ]

===⋅=∆=− ∫∫

1

2

0

1

0

1

0

121 lnln 2

1

2

1

2

1R

RRr

Rdr

r

RdlrV R

R

R

R

R

R εσ

εσ

εσϕϕ tE0

∆=

1

21

0

lnR

RR

Vεσ

Da cui:

( ) ( )120 ln RRr

VrE

∆−=

Il campo elettrico assume il suo valore massimo sulla superficie del conduttore interno:

( )121 ln RRR

VEMAX

∆−=

Se, per esempio, abbiamo problemi di spazio e necessitiamo di fissare il raggio R2 del cilindro esterno, qual è il raggio ottimale R1 da scegliere per il cilindro interno?

Basta imporre ( ) 01

=∂

∂=

R

ErE MAX e ottenere :

718,222

1

R

e

RR == .

Il potenziale varia tra le armature cilindriche con legge logaritmica:

( ) ( ) ( )1

1

2

21

1

2

211 ln

ln

1

ln)(

11R

r

RR

drr

RR

drrErr

R

r

R

−=

−==− ∫∫ϕϕϕϕϕϕ

( )1

1

2

211 ln

ln)(

R

r

RR

r

−−= ϕϕϕϕ

0.04 0.06 0.08 0.1 0.12 0.14 0.160

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Raggio [m]

Pot

enzi

ale

[V]

Distribuzione di potenziale in cilindri coassiali

Fig. 10 Distribuzione di potenziale tra due cilindri coassiali

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II.18

Appendice

Richiami sugli operatori vettoriali

Il gradiente

Il gradiente di una funzione scalare derivabile ϕ può essere così definito: si consideri il punto P nella regione di definizione di ϕ e si prendano tutte le rette passanti per P. Per ognuna di esse, opportunamente orientata, si definisca la coordinata n e si valuti il modulo della derivata dϕ(P)/dn. Esisterà una determinata direzione per la quale tale modulo è massimo. Il gradiente di ϕ nel punto P in esame è un vettore il cui modulo è pari al massimo del modulo di dϕ(P)/dn, la cui direzione è quella in cui tale massimo è assunto, il cui verso è quello che va nel senso dei valori crescenti di ϕ.

Dalla definizione di gradiente discende che la derivata di ϕ in P, secondo la direzione orientata n, è concepibile come la componente, secondo n, del gradiente di ϕ in P:

ϕϕ grad

dn

d ⋅= n

La conoscenza del gradiente permette, quindi, di valutare la derivata direzionale della funzione ϕ lungo una qualsiasi direzione orientata n.

Il luogo dei punti nei quali la ϕ assume lo stesso valore ϕ0 è detto superficie di livello; il vettore gradϕ in P è diretto secondo la normale alla superficie di livello con verso secondo le ϕ crescenti.

In coordinate cartesiane il gradiente si esprime come:

kjizyx

g∂∂+

∂∂+

∂∂= ϕϕϕϕ rad

L’operatore gradiente è lineare.

La divergenza

La divergenza di una funzione vettoriale w è una funzione scalare così definita: si indichi con ∆τ un volumetto di forma qualsiasi centrato in P e di superficie ∆S; diciamo ∆Φ il flusso di w uscente dal volumetto. In condizioni di conveniente regolarità per w, entro ∆τ è definito il limite di ∆Φ/∆τ per ∆τ→0, indipendentemente dalla forma del volumetto. La divergenza di w in P è definita da :

ττ ∆∆Φ=

→∆ 0lim wdiv

Se w è continuo con le derivate delle sue componenti esiste senz’altro la divergenza di w che, in coordinate cartesiane, assume la forma:

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II.19

z

w

y

w

x

wdiv zyx

∂∂

+∂

∂+

∂∂

=w

L’operatore divergenza è lineare.

Di fondamentale importanza è il cosiddetto teorema della divergenza: sia w un campo vettoriale definito in una regione spaziale Ω limitata dalla superficie chiusa Σ; se in ogni punto di Ω è definita la divergenza di w, risulta:

∫∫∫∫∫ΣΩ

⋅= dSddiv nww τ

Il flusso del vettore w attraverso la superficie chiusa Σ è pari all’integrale di volume della sua divergenza esteso all’intero volume racchiuso da Σ.

Il rotore

Il rotore di una funzione vettoriale u è, a sua volta, una funzione vettoriale così definita: diciamo ∆S un’areola piana orientata centrata in P di normale n e diciamo γ il suo bordo orientato congruentemente con essa; indichiamo con ∆Γ la circuitazione di u lungo γ. In condizioni di conveniente regolarità per u, in un intorno di P e per una fissata giacitura dell’areola, è definito il limite del rapporto ∆Γ/∆S per ∆S→0, indipendentemente dalla forma dell’areola. La componente secondo n del rotore di u è definita come:

( )S

rotS ∆

∆Γ=⋅→∆ 0

lim nu

La direzione e il verso del rotore di u sono quelli per cui il limite è massimo.

Di notevole importanza è il cosiddetto teorema di Stokes: sia u un campo vettoriale definito in una regione spaziale Ω e sia γ una linea chiusa contenuta in Ω; detta S una qualsiasi superficie aperta che abbia la linea γ come orlo, se in tutti i punti di S è definibile il rotore di u, si ha:

∫∫∫ ⋅=⋅S

dSrotdl nutuγ

La circuitazione di u estesa a γ è pari al flusso del rotore di u attraverso una qualunque delle superfici aperte S aventi γ come orlo.

In coordinate cartesiane il rotore si esprime come:

kjiu

∂∂

−∂

∂+

∂∂

−∂

∂+

∂∂

−∂

∂=

x

u

y

u

x

u

z

u

z

u

y

ur yxzxyzot

L’operatore rotore è lineare.

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II.20

E’ interessante sottolineare alcune identità che legano tra loro gli operatori gradiente, divergenza e rotore:

1) ( ) fgradgradffgrad ⋅+⋅=⋅ ϕϕϕ

2) ( ) uuu divffgradfdiv +⋅=

3) ( ) uuu ot ot rffgradfr +×=

4) ( ) 0 ot =ϕgradr

5) ( ) 0ot iv =urd

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II.21