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Il presente volume è stato pubblicato con il contributo del

Consorzio A.S.I. di Bari

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Antonio Felice UricchioGiuseppe Mongelli

La riforma della contabilità e della finanza pubblica

tra federalismo e sistema dei controlli

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I edizione: giugno 2010

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Indice

9 PrefazioneAntonio Felice Uricchio

27 IntroduzioneMichele Emiliano

29 Riforma dei controlli? Utili le esperienze maturate in ambito co-munitario e i benefici che derivano dalle indicazioni che provengo-no dai principi internazionali di revisione per il settore pubblicoPasquale Bellomo

51 I nuovi compiti di vigilanza sulla spesa delle amministrazioni pub-bliche attribuiti al MEF ed al Sistema delle ragionerie dai recenti interventi normativiMaria Castaldi e Laura Sora

61 L’economicità nella gestione delle risorse pubbliche: la flessibilità del bilancio alla luce della recente riforma della legge di contabilitàDiego De Magistris

73 Il controllo della Corte dei Conti sugli Enti a cui lo Stato contri-buisce in via ordinaria alla luce dell’art. 17, comma 30, del de-creto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 10Antonella Delcuratolo

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6 La riforma della contabilità e della finanza pubblica tra federalismo

83 L’armonizzazione contabile fra passato e futuro: gli Enti localiMichele Di Molfetta

93 Ciclo di bilancio e ciclo della performance: alcune riflessioni sul loro collegamentoLoredana Durano

105 Linee tendenziali della nuova legge di contabilità e finanza pub-blica nel più ampio quadro della tutela dell’unità economica della nazioneDonata Grottola

125 Progressiva eliminazione delle gestioni fuori bilancio. Legge 31 dicembre 2009, n. 196 – art. 40, comma 2, lettera p)Vittorio Licciardi

137 Il controllo ex Legge 266/2005 nel quadro della Legge n. 196/2009 sulla contabilità e finanza pubblicaGiuseppe Lorusso

145 La proposta di legge C.2555 di riforma della legge di contabilità e finanza pubblicaRoberto Miolla

167 I controlli di finanza pubblica della Ragioneria Generale dello Sta-to tra vecchie e nuove simmetrie: quali prospettive nell’evoluzio-ne della normativa della contabilità di Stato?Giuseppe Mongelli

195 La nuova legge di contabilità e finanza pubblica. Quali bilanci, si-stemi e principi contabili per la pubblica amministrazione?Maria Teresa Nardo

219 La nuova legge di contabilità e finanza pubblica: armonizzazione contabile e omogeneizzazione dei bilanci degli Enti LocaliGiuseppe Pasquale e Francesco Faustino

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233 Le funzioni di controllo della Corte dei Conti alla luce della più recente legislazioneStefania Petrucci

251 Il moderno controller pubblico. Una nuova professionalità per nuo-vi scenariSalvatore Romanazzi

277 Il potenziamento del monitoraggio della finanza pubblica nei re-centi interventi normativi e nella legge di riforma della contabili-tà, con particolare riferimento al SIOPEMarco Romaniello

307 Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra Stato e Au-tonomie territorialiPaola Silvestri

Indice 7

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PrefazioneAntonio Felice Uricchio1

Nell’incessante susseguirsi di provvedimenti normativi frammen-tari e di dettaglio, sono rari i provvedimenti legislativi di sistema e ancora meno quelli in grado di incidere profondamente sul set-tore che ne costituisce oggetto, assicurando prospettive di stabili-tà e certezza giuridica. Cionono stante, nella “tormentata” materia della finanza e contabilità pubblica, più volte interessata a cicli che riforme (si vedano ad esempio quelle riguardanti la redazione dei conti pubblici di cui alle leggi 468 del 1978, 362 del 1988, 208 del 1999), sono state adottate, nel corso dello scorso anno, due leggi che potremmo definire “epocali”2 in quanto destinate a influenzare in modo decisivo lo svi luppo dell’intero sistema finanziario pubblico (erariale e locale): la legge 5 maggio 2009, n. 42, at tuativa dell’art. 119 della Costituzione e del cosiddetto federalismo fiscale3 e la legge

1 Preside della II Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, Professore Ordinario di Diritto Tributario.

2 L’espressione è adoperata dal procuratore regionale della Corte dei Conti per la Puglia in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario contabile per il 2010.

3 Come è noto, l’espressione autonomia sta ad indicare “il potere di dare norme a sé stesso” e quindi di disporre liberamente di sé in relazione alle proprie funzioni e nel rapporto con lo Stato centrale e gli altri enti istituzionali; l’autonomia finanziaria esprime, invece, la capacità di esprimere le proprie scelte con riferimento alle risorse occorrenti per far fronte alle proprie funzioni. Ben più difficile appare risalire al significato dell’espressio-ne “federalismo”; se la radice etimologica evoca il patto istituzionale tra entità politiche equiordinate (foedus) che distribuiscono al proprio interno le diverse funzioni (si pensi alle

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31 dicembre 2009, n. 196, recante la riforma della contabilità e della finanza pubblica.

Se la prima delle due leggi ridefinisce le relazioni finanziarie tra i diversi livelli, centrali e perife rici, di governo della cosa pubblica, orientando il sistema finanziario locale nella direzione del fede-ralismo fiscale, la seconda si propone l’obbiettivo, non meno ambi-zioso e importante, di armoniz zare e uniformare principi e obiettivi in materia di redazione dei bilanci pubblici. Pur avendo am biti ap-parentemente distinti, i provvedimenti richiamati si segnalano per il forte intreccio tra di essi (non può sfuggire che la legge 196/2009 ap-porta anche talune modifiche alla legge delega n. 42/2009); è di tutta evidenza che i principi di responsabilità finanziaria che sottendono

esperienze dei Cantoni Svizzeri o a quella degli Stati uniti d’America), il linguaggio comune assegna a tale termine il significato di rafforzamento degli spazi di autonomia di Regioni e Enti locali (In dottrina, M.S. Giannini voce Autonomia politica in Enc.dir., Milano, 1959, vol. IV, pag. 362; Sul concetto giuridico di “autonomia” e di “autonomia finanziaria” degli enti locali, si veda, ampiamente N. d’Amati, Saggio sul concetto giuridico di autonomia, in Riv.trim.dir.pubbl., 1961, pag. 851; G. Zanobini, Caratteri particolari dell’autonomia in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, pag. 273, seg. Si veda, inoltre, la relazione finale della Commissione di studio per il decentramento fiscale presieduta dal prof. Gallo, secondo cui “il più delle volte si parla di federalismo in termini molto astratti e un po’ ermetici. A volte viene definito come qualcosa di più del decentramento fiscale senza però fissarne le carat-teristiche. A volte lo si connota con slogans banali, senza approfondimenti o con proposte che, nella sostanza, poco o niente hanno a che fare con il decentramento. Altre volte lo si limita all’ordinamento comunale o, al contrario, a quello regionale e lo identifica, oltre il dettato costituzionale, con i sistemi fiscali propri degli assetti confederali o dell’unione di Stati fino ad invertire il flusso delle entrate nella direzione Regioni Stato anziché Stato regioni”. È di tutta evidenza che l’espressione federalismo, depurata del suo significato politico istituzionale, finisca per assumere quella, sicuramente impropria ma certamente più diffusa di rafforzamento dell’autonomia normativa ed impositiva degli enti locali. Il federalismo diviene, quindi, “fiscale” in quanto si salda agli assetti della finanza degli enti locali, esprimendo l’esigenza di allargamento degli spazi di autonomia fiscale di questi ultimi a danno dello Stato centrale e di responsabilizzazione dei livelli di prelievo e di spesa. Il federalismo di cui si parla oggi “coincide, più semplicemente e ragionevolmente, con un insieme di aspettative e di insofferenze che si esprimono nella richiesta di decentramento sul fronte non solo della spesa, di diffusione multilivello dei poteri decisionali, primo tra tutti il potere normativo di imposizione, di maggiore responsabilizzazione politica e gestionale degli amministratori locali (relazione prof. Gallo, citata).

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a modelli ispirati al federalismo fiscale4 presuppongono strumenti di carattere contabile trasparenti che consen tano di apprezzare i ri-sultati delle scelte finanziarie compiute sia agli amministratori che agli amministrati. Allo stesso tempo, l’intento di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, perseguito attraverso l’introdu-zione dei costi standard (art. 2, legge delega), passa necessariamente attraverso strumenti di rilevazione omogenei nelle diverse aree del Paese e tra i diversi livelli di governo5 oltre che attraverso procedure condivise di controllo e di valutazione di efficienza finanzia ria. La modifica dei criteri di riparto del carico fiscale, fondata sull’utiliz-zo sul territorio del gettito dei tributi insistenti sulla ricchezza ivi prodotta, non può essere poi disgiunta dall’introduzione di un effi-cace monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, nonché dall’acquisizione degli elementi informativi necessari per potere esprimere consapevolmente le scelte finanziarie. In questa prospet-tiva si muove peraltro la legge 196 citata ove si prevedono, tra l’altro, a) il monitoraggio, il controllo e la verifica degli andamenti della finanza pubblica e l’analisi delle misure finalizzate al mi glioramento della qualità della spesa, con particolare riferimento all’individuazio-ne di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai program-mi di bilancio; b) la verifica dello stato di attua zione del processo di

4 Si veda sul punto la relazione al disegno di legge presentata al Senato dal Sen. Az-zollini, secondo cui “l’introduzione del federalismo fiscale nel nostro Paese costituisce una tappa fondamentale del suo percorso verso la valorizzazione delle autonomie territoriali e la responsabilizzazione delle relative classi dirigenti, in una prospettiva che assicuri co-munque un adeguato sostegno delle aree territoriali in ritardo di sviluppo e che, proprio per tale motivo, abbisognano di un intervento pubblico adeguato e qualitativamente superiore alle altre aree, indipendentemente dalla capacità di farvi fronte con la propria capacità fiscale”.

5 In questo senso, L. Cimbolini, Federalismo e riforma della contabilità pubblica, in Finanza locale, 2009, pag. 19, il quale evidenzia come la legge n. 42 del 2009 richiami “l’esigenza di uniformare le poste contabili degli enti territoriali con quelle del bilancio dello Stato, anche al fine di poter migliorare la confrontabilità dei dati e delle performance, necessario corollario per un’efficiente attuazione di un nuovo sistema finanziario, basato su fabbisogni e costi standard connessi a funzioni fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi profili perequativi nei confronti con minore capacità fiscale”.

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riforma e dell’adeguamento della struttura del bilancio, con parti-colare riferi mento alla progressiva adozione del bilancio di cassa e al suo collegamento con la contabilità eco nomica, alla ridefinizio-ne funzionale dei programmi in rapporto a precisi obiettivi, alla classifica zione delle tipologie di spesa e ai parametri di valutazione dei risultati; c) l’analisi del contenuto in formativo necessario dei do-cumenti trasmessi dal Governo, al fine di assicurare un’informazio-ne sintetica, essenziale e comprensibile, con il grado di omogeneità sufficiente a consentire la compa rabilità nel tempo tra settori, livelli territoriali e tra i diversi documenti; d) la verifica delle metodo logie utilizzate dal Governo per la copertura finanziaria delle diverse tipo-logie di spesa, nonché per la quantificazione degli effetti finanziari derivanti da provvedimenti legislativi, e identificazione dei livelli in-formativi di supporto della quantificazione, nonché formulazione di indicazioni per la pre disposizione di schemi metodologici distinti per settore per la valutazione degli effetti finanziari; e) l’analisi delle metodologie utilizzate per la costruzione degli andamenti tenden-ziali di finanza pub blica, anche di settore, delle basi conoscitive ne-cessarie per la loro verifica, nonché riscontro dei contenuti minimi di raccordo tra andamenti tendenziali e innovazioni legislative.

Fondamentale nel nuovo sistema di governance è comunque la leale collaborazione tra i diversi li velli di governo, principali attori dell’as-setto autonomistico individuati dalla legge n. 42 citato e l’abbandono di reciproci condizionamenti e diffidenze, contemperando armoni-camente i principi di coordinamento finanziario e di autonomia sia di entrata che di spesa, garantita dall’art. 119 della Costituzione6. Il tutto ovviamente nel rispetto dei vincoli comunitari e dei modelli di controllo dei conti pubblici definiti a livello sovranazionale.

6 Dal quadro costituzionale riformato emerge che la garanzia dell’autonomia finan-ziaria ed impositiva si atteggia, allo stesso tempo, come valore fondante dell’ordinamento degli enti territoriali e, quindi, come diritto fondamentale delle collettività locali (in questo senso si veda anche la carta europea delle autonomie locali risalente al 1985 e precisa-mente l’art. 3, recante il concetto di autonomia e l’art. 9 avente ad oggetto l’autonomia finanziaria), e come “garanzia di sistema” e come limite rispetto ad ingerenze del potere statuale non consentite dalla Carta costituzionale.

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Il volume che qui si presenta, nell’avvertire la forte interrelazione tra assetti finanziari e rappre sentazioni contabili, analizza la riforma della contabilità e della finanza pubblica alla luce della legge dele-ga in materia di federalismo fiscale7. Quest’ultima, infatti, si pone l’obiettivo della valoriz zazione delle autonomie territoriali e della responsabilizzazione delle relative classi dirigenti, senza perdere tut-tavia di vista l’esigenza di assicurare un adeguato sostegno delle aree territoriali in ritardo di sviluppo indipendentemente dalla capacità di farvi fronte con la propria capacità fiscale.

Non può quindi dubitarsi che i decreti legislativi attuativi della legge delega n. 42/2009, la legge 196/2009 e la di sciplina attuativa di quest’ultima8 si atteggino come un disegno unitario che consente di

7 Osserva L. Letizia, Verso la riforma della contabilità e della finanza pubblica, in Inno-vazione e diritto, n. 3/2009, che la riforma in esame “intende integrarsi con la legge delega in materia di federalismo fiscale al fine di definire un quadro regolatore unitario delle fasi di costruzione delle decisioni di finanza pubblica che sappia coordinare in modo nuovo il ruolo del Governo, responsabile a livello europeo del rispetto dei vincoli ivi posti, il ruolo del Parlamento, detentore, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, di un «diritto al bilancio», e quello degli enti territoriali, titolari di una autonomia finanziaria di entrata e di spesa parimenti salvaguardata dalle norme costituzionali che esige un loro diverso e più intenso coinvolgimento nella fase ascendente della definizione delle decisioni di finanza pubblica. Occorrerà, quindi, affrontare i problemi di armonizzazione dei vari bilanci pubblici con la necessità di uno sforzo condiviso tra i rappresentanti dei vari livelli di governo che, dopo un lungo periodo di legificazione in tal senso e di successive approssimazioni, porti ad un reale adeguamento dei sistemi contabili. I governi decentrati dovrebbero contribuire con piena assunzione di responsabilità alla formazione di un bilancio nazionale anche in considerazione dell’entità e della rilevanza della spesa indirizzata a fornire prestazione essenziali da parte delle Regioni e servizi fondamentali da parte degli Enti locali. Vanno inoltre individuati i principi fondamentali per la redazione dei bilanci consolidati in modo da dare conto dei servizi esternalizzati. A tal proposito, occorre notare che anche la Legge n. 42/2009 fa riferimento all’armonizzazione dei vari bilanci pubblici. La priorità assegnata a tale tema è evidente nelle ultime modifiche apportate alla legge delega e relative alla tempestiva comunicazione al Governo dei bilanci preventivi e consuntivi di Regioni ed Enti locali, alla pubblicazione degli stessi bilanci su siti internet ed alla già citata adozione per decreto legislativo dei principi di armonizzazione contabile degli stessi bilanci, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge delega”.

8 Ai decreti legislativi attuativi della legge 196, è peraltro affidata: a) l’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato al fine di consentire

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introdurre i principi di responsabilità finanziaria9 e di trasparenza10 nell’ottica di un riordino dei conti pub blici.

Per quanto ispirate dall’esigenza di rendere i processi decisionali in materia finanziaria più facil mente ed efficacemente controllabili

il consolidamento e il monitoraggio in fase di previsione, gestione e rendicontazione dei conti delle amministrazioni pubbliche; b) la definizione di una tassonomia per la riclassifi-cazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi di cui alla lettera a); c) l’adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti co-munitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite, al fine di rendere più trasparenti e significative le voci di bilancio dirette all’attuazione delle politiche pubbliche, e adozione di un sistema unico di codifica dei singoli provvedimenti di spesa correlati alle voci di spesa riportate nei bilanci; d) l’affiancamento, ai fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale che si ispirino a comuni criteri di contabilizzazione; e) l’adozione di un bilancio consolidato delle amministrazioni pubbliche con le proprie aziende, società o altri organismi control-lati, secondo uno schema tipo definito dal Ministro dell’economia e delle finanze d’intesa con i Ministri interessati; f) la definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni alle diverse amministrazioni individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

9 Osserva M. Bertolissi, I capisaldi del federalismo fiscale, in Dir.prat.trib., 2009, I, pag. 230, secondo cui “la combinazione dei termini valore, solidarietà, responsabilità e libertà implica che la forma di Stato da attuare – che è quella prevista dal Costituente – sia quella dello Stato costituzionale a struttura federale. Per realizzare il quale va senz’altro artico-lato, anche nelle reciproche interrelazioni, il sistema di finanziamento dei vari livelli di Governo in modo da assicurare quantità date di risorse”. Nello stesso senso L. Antonini, Le coordinate del nuovo federalismo fiscale ibidem,, , pag. 233. il quale denuncia i limiti del federalismo senza responsabilità.

10 Cfr. A. Buccelli e B. Dardani, La svolta del fisco federale, in Dall’Europa ai Comuni, Milano, 2003, pag. 77, secondo cui “il federalismo fiscale è l’unico reale strumento per infrangere la spirale perversa e la contrapposizione storica fra amministrazione e cittadino in materia fiscale. Avvicinare la politica alla gente e la gente alla politica significa prima di tutto avvicinare la gente all’amministrazione fiscale e l’amministrazione fiscale alla gente. Significa infrangere il muro di diffidenza, sospetto, frustrazione e usurpazione che caratterizza il rapporto tra cittadino – contribuente e amministrazione – esattore. Significa costruire le basi per comprensione e trasparenza in un settore essenziale della vita che ha fatto della distorsione, dell’occultamento, dell’evasione e dell’elusione di responsabilità la regola”.

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da parte dei cittadini e della classe di governo, non può sfug gire che le nuove disposizioni dovranno essere valutate alla luce dell’applica-zione che dovranno ricevere nei prossimi anni. Non è un caso che la legge 196 stabilisce una verifica della progressiva e concreta attua-zione della disciplina, nei tre esercizi successivi alla sua entrata in vigore, attraverso un «rap porto» sullo stato della riforma da presen-tare al Parlamento da parte del Ministero dell’economia. Analoghe valutazioni dovranno compiersi con riferimento alla legge 42 anche in considerazione dell’ampiezza degli spazi affidati alla legislazione delegata e di quelli riservati alla legislazione re gionale.

In particolare, pur dovendo attendere l’attuazione delle riforme per esprimere un giudizio più compiuto, non possono sfuggire le grandi aspettative che queste suscitano in relazione agli obbiettivi di efficienza e trasparenza finanziaria che l’ampliamento degli spazi di autonomia e l’armonizzazione dei sistemi di contabilità pubblica e degli schemi di bilanci pubblici dovrebbero potere garantire.

Invero, se su un piano astratto, non può certo ritenersi che as-setti di governo di tipo federale siano più efficienti di altri più mar-catamente centralisti11 ovvero che gli sprechi si riducano quando au mentano gli spazi di autonomia o quando i centri di spesa si iden-tifichino con quelli di entrata12, deve ritenersi che un adeguato si-

11 Nella storia, si ricorda l’esperienza del fallimento dello Stato federato della Florida a seguito della quale da più parti fu invocata una riforma centralista che ponesse termine agli “sprechi” degli Stati federati, garantendo unità finanziaria al Paese, pur nato attraverso una federazione di Stati.

12 In questo senso V. Tanzi, Fiscal federalism and decentralization: a review of some efficien-cy and macroeconomic aspects, World Bank, 1995; cfr. anche D. Fausto e F. Pica, Teoria e fatti del federalismo fiscale, Bologna, 2000, pag. 52, secondo i quali “è indimostrabile a priori che il federalismo renda il processo decisionale più facilmente ed efficacemente controllabile da parte dei cittadini. L’esperienza americana evidenzia che non è il federalismo fiscale a consentire un miglior controllo degli elettori-contribuenti sull’operato delle autorità locali di rispettare una serie di regole nelle decisioni in materia di entrate e di spese. La maggior partecipazione dei cittadini può essere soltanto formale. Si veda, ancora, G. Pasquino, Rischio di federalismo da Arlecchino, in il Sole 24 Ore, 30 maggio 1997. Anche G. Marongiu, Riflessioni a margine del progetto di <federalismo fiscale>, in Quaderni regionali 2009, pag. 7, dubita che attraverso il federalismo fiscale si potranno ridurre le tasse. “Il livello di imposi-zione fiscale può benissimo scendere anche in uno Stato centralista, anzi, col centralismo,

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stema di redazione e controllo dei conti pubblici e di valutazione della spesa possa favorire il perseguimento di obbiettivi di efficienza finanziaria. Questa di pende, infatti, da molteplici fattori non ridu-cibili soltanto agli assetti politico istituzionali; si pensi ad esempio al sistema dei controlli, ai criteri che informano la devoluzione del-la spesa, a quelli dettati con riguardo alle entrate acquisite per far fronte alla spesa, a maggiori risorse per gli enti che segnalano per le performance raggiunte. In questa prospettiva, sia la legge delega n. 42 che la legge 196 prevedono, opportunamente criteri di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nella gestione economico finanziaria così come la previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117 della Costituzione.

Resta, tuttavia, la preoccupazione che le riforme in esame possa-no assecondare politiche di con tenimento dei trasferimenti pubblici in favore degli enti locali delle aree più svantaggiate del Pa ese13. Fon-

di solito, è più facile decidere di ridurre la pressione fiscale. Il federalismo, per contro, può far lievitare, anziché contrarre la spesa pubblica (rendendo, così, impossibile la riduzione delle imposte), perché, ad esempio, crescono i <costi di transazione>, ossia i costi che dipendono dall’accrescimento dei livelli istituzionali e dalle aumentate negoziazioni tra Stato centrale, Regioni e enti locali”.

13 Secondo le proiezioni dello Svimez, sulla base della prossima riforma, le Regioni del Centro Sud perderebbero oltre mille milioni di euro rispetto all’attuale assetto (la Regione Puglia dovrebbe perdere circa 160 milioni di euro; altrettanto dovrebbe perdere la Regione Basilicata, sebbene molto più piccola, mentre alla Calabria dovrebbero affluire oltre 370 milioni di euro in meno). Ciò in quanto, nella determinazione del costo standard, non viene fatto espressamente riferimento al contesto ambientale (ad esempio dotazione infrastrutturale di partenza) e sociale (sottosviluppo, disoccupazione), né tantomeno alla domanda di servizi o ai livelli di reddito degli utenti del servizio. È di tutta evidenza che la mancata considerazione di tali ulteriori elementi rischia di dar luogo a serie difficoltà nei bilanci delle regioni e degli enti territoriali meridionali, aggravando il divario tra aree ricche e aree deboli. Lamenta al riguardo E. De Mita, Le basi costituzionali del federalismo fiscale, Milano, 2009, pag. 33, la mancata riproduzione nel nuovo testo del titolo V del vecchio articolo 119 della Costituzione che, facendo riferimento ai contributi speciali per valorizzare Mezzogiorno e Isole costituzionalizzava la questione meridionale, introduceva una sorta di “diritto sociale territoriale, come detto in un rapporto Svimez dove si ricorda

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Prefazione 17

damentale è, quindi, che il modello prescelto sia declinato nel pieno rispetto della cor nice costituzionale e in primo luogo dei principi e dei valori ivi espressi quali quelli di sussidia rietà, di solidarietà e di eguaglianza sostanziale. Alla luce sia dell’art. 119 della Costituzione che degli artt. 2 e 3 della stessa, affinché l’intera architettura disegna-ta dalla legge delega sia conforme al modello costituzionale vigente occorre che essa sia costruita in modo solidale e cooperativo e non conflittuale e competitivo14.

In questo senso sembra comunque esprimersi la legge delega: l’art. 1, primo comma, sancisce, in fatti, che l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione deve avvenire, oltre che attraverso la garan-zia dell’autonomia di entrata e di spesa, “rispettando i principi di solidarietà e di coesione sociale”. L’art. 2, secondo comma, lettera e, dispone l’attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle pro-vince, alle città metropolitane e alle regioni, secondo il principio di territorialità, e nel rispetto del principio di solidarietà e dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. L’art. 16 della leg-ge delega reca, inoltre, la disciplina degli interventi speciali di cui al

che negli Stati federali l’attuazione dei doveri di solidarietà e unità nazionale è affidata all’impegno di risorse comuni a sostegno delle regioni. Proprio il rapporto Svimez citato evidenzia come il nuovo articolo 119, quinto comma, prevede comunque interventi dello Stato, fra l’altro, per promuovere lo sviluppo economico e per rimuovere gli squi-libri economici e sociali. A questi fini lo Stato effettua interventi speciali e destina risorse aggiuntive. Sul piano dei principi questa impostazione è pienamente accolta nella legge delega. Ad apertura del testo, all’art. 1, comma 1, è indicato tra gli obbiettivi della legge quello di “disciplinare l’utilizzazione di risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Pae-se”. È altresì utilmente precisato (dalla Camera), all’art. 16, comma 1, della legge delega, che “l’azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolati nella destinazione”.

14 Cfr. F. Amatucci, Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, Torino, 2008, pag. 4, secondo cui “il federalismo cooperativo o solidaristico, maggiormente condiviso ed attuato in di-versi sistemi fiscali europei ed occidentali non comporta disarticolazione dell’unità e rischi di frammentazione del sistema tributario che caratterizzano altri modelli di federalismo come quello spinto o competitivo”.

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quinto comma dell’art. 119 della Cost. imponendo che debbano es-sere considerate specifiche realtà territoriali con particolare riguardo alla realtà socio economica, al deficit infrastrutturale (si veda con riguardo alla perequazione infrastrutturale l’art. 22 della delega)15, ai diritti della persona, alla collocazione ge ografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto spe-ciale, ai territori montani e alle isole minori. La stessa disposizione prevede anche l’individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona16.

Come accennato, l’assunto per cui l’autonomia finanziaria si deve congiungere alla maggiore re sponsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile, non può essere distinta dall’accountability, per la quale la responsabilizzazione degli amministratori deve po-ter essere im mediatamente apprezzata. Tale obiettivo presuppone

15 L’art. 22 della legge delega n. 42 ha ad oggetto la c.d. “perequazione infrastruttu-rale”. Nel primo comma dell’articolo è previsto che, in sede di prima applicazione della legge, lo Stato, attraverso i Ministeri competenti, si impegna a predisporre “una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, da ricondurre nell’ambito degli interventi di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, nonché la rete stradale, autostradale o fer-roviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali”. Sono indicati, con riferimento alla ricognizione, i “criteri direttivi” che seguono: a) estensione delle superfici territoriali; d) densità della popolazione e della densità delle unità produttive; e) considerazione dei particolari requisiti delle zone di montagna; f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio; e) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall’insularità, anche con riguardo all’entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione”.

16 Il rapporto Svimez 2009, nel sottolineare che gli interventi dell’art. 22 sono disegnati a pioggia e riferiti a tutto il territorio nazionale, non riguardano il solo Mezzogiorno, ne auspica l’abolizione. Questa soppressione sarebbe peraltro conforme al principio della economicità. Nessuno dei contenuti recati dalla norma sarebbe stato precluso, ove essa fosse stata soppressa; accade invece che la norma medesima aggiunga confusione in rela-zione a due problemi centrali rispetto all’impianto della legge delega, quello della stima dei costi standard e quello degli interventi ex comma 5 dell’art.119.

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Prefazione 19

necessariamente una maggiore standardizza zione della redazione dei bilanci pubblici che invece mancava anteriormente alle ultime riforme, fatta eccezione dall’enumerazione dei soli titoli di entrata prevista dal D.Lgs. 56/2000. Opportune appaiono quindi le riforme citate anche nella prospettiva di una costante verifica del reale rispet-to degli obiettivi di finanza pubblica.

Con riguardo al sistema finanziario regionale, l’articolo 8, legge 42, citata, distingue quella delle Regioni in tre categorie, assegnando a ciascun tipo di spesa un’autonoma forma di finanziamento. Il pri-mo tipo di spesa, a carico del bilancio dello Stato, deve assicurare ser-vizi tendenzialmente omogenei in tutto il territorio nazionale; nella versione approvata dalla Conferenza dei Presidenti, era specificato che tale spesa fosse riferita alla sanità, alla assistenza ed all’istruzio-ne; tale specificazione è stata fatta cadere nel corso dell’esame par-lamentare al Senato, ed ora compare solo il riferimento alla lettera m) dell’art. 117 Cost (“livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territo-rio nazionale”). Il secondo tipo consiste in quelle spese per cui non si ritiene necessaria l’omogeneizzazione sul territorio nazionale. Il terzo tipo consiste nella spesa classicamente in conto capitale o di investimento, che è generalmente finanziata con contributi ad hoc, rivenienti dalla UE e/o dal FAS (fondo per le aree sottosviluppate). L’intento chiaro è quello di legare ciascun tipo di spesa ad una mo-dalità di entrata: nel primo tipo di spesa la fonte di entrata è legata ancora a forme di finanza derivata, ma in questo caso l’obiettivo di contenimento della finanza pubblica sarebbe posto sul fronte della spesa, attraverso il costo standard per singola prestazione. Nel se-condo tipo di spesa, l’obiettivo di contenimento della finanza pub-blica è perseguito invece sul lato dell’entrata, posto che le forme di finanziamento sono più marcatamente legate alla capacità fi scale dei singoli territori, così affidandosi il tipo di spesa che non si ritiene ir-rinunciabilmente omo geneo sul territorio nazionale a forme di pre-lievo su cui più facilmente sarà percepibile il legame tra prelievo nel territorio e spesa ricadente sullo stesso; non a caso, sul finanziamen-to di questo tipo di spesa, i meccanismi perequativi comunque pre-senti, pur rimanendo a somma algebrica zero nel complesso delle

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Regioni, non consentiranno di coprire la spesa storica presente nel-le Regioni stori camente destinatarie di misure perequative. Il terzo tipo di spesa, generalmente in conto capitale, se guirà meccanismi di attribuzione ormai consolidati, che sono quelli già in vigore e det-tati dal Quadro strategico nazionale e dal PON, ancorché di anno in anno singole disposizioni di legge, si pensi ad esempio quelle con le quali sono state prelevate dal FAS le risorse per rimediare agli in-combenti dis sesti dei Comuni di Roma e Catania, mutino il contesto delle assegnazioni. Invero, i maggiori dubbi emergono con riguardo alla seconda categoria di spese: come si accennava17 questo tipo di spese sarà finanziato con l’aliquota media di equilibrio dell’addizio-nale Irpef, che quindi dividerà in due il Paese, con le Regioni “ero-ganti” che alimenteranno per quanto percepito in più il fondo pere-quativo, mentre le Regioni “accipienti” trarranno da detto fondo le risorse. Estremamente difficoltose, nella pratica, saranno le norme che pongono gli afflussi ai fondi perequativi al netto delle variazioni di gettito prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria nonché dall’emersione della base imponibile riferibile al concorso regiona-le nell’attività di recupero fiscale (art.9, I, lett.c),1); nell’esperienza at tuativa del D.Lgs. 56/2000, già v’era una forma di partecipazio-ne delle Regioni all’accertamento dei tributi erariali, con l’art. 10: detta forma è rimasta del tutto inattuata18. Salvo inutili duplicazioni nell’istituzione di Agenzie regionali tributarie, un effettivo concorso delle Regioni alla concreta atti vità di accertamento, che non scaturi-sca da una specializzazione per tributi caratterizzanti i singoli livelli

17 Sulle ricadute in termini di mancati finanziamenti alla Regioni del Mezzogiorno, derivanti dalla rimodulazione, solo sul totale dei trasferimenti al complesso delle Regioni, cfr. Quaderno Svimez n°12/2007, pag. 96.

18 Cfr. R.Lupi, Fiscalità e tributi nel disegno di legge sul federalismo, in Corr. Trib. n°38/2008, pag 3083, per il quale a commento del d.d.l. Calderoli e quanto all’intervento accertativo più propriamente relativo agli enti locali: “…non si vede nel disegno di legge, un riferimento alla possibilità di utilizzare gli enti locali come strumenti più efficienti per tassare segmenti di attività economica che sfuggono dal circuito della tassazione statale…”; anche sugli aspetti organizzatori dell’attività accertativa degli enti locali, cfr. P.Boria, Autonomia normativa e autonomia organizzatoria degli enti locali in materia di accertamento e riscossione tributaria, in Riv. Dir. Trib. 2008, pag. 489 e ss.

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Prefazione 21

di governo, può essere evento solo foriero di innalzamenti di spesa pubblica.

Resta poi il problema centrale, innanzi richiamato, della costru-zione dei costi standard, intesi dall’art. 2, lettera f. come “costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficacia e l’efficienza, esprima l’indi-catore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica” sulla base degli obbiettivi di “servizio cui devono tendere le amministra-zioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni ricon ducibili ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, let. m e p della Costituzione”. L’art. 8, secondo comma, lettera b, stabilisce poi che la defi nizione dei co-sti standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale in piena collaborazione con le regioni e gli enti locali devono tener conto dei principi di “efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale”. Invero, una costruzione degli stessi che non tenga conto di situazioni infrastrutturali o di varianti legate al contesto socio economico di riferimento potrebbe compromettere i diritti dei cittadini, in tutte le Regioni d’Italia, in ordine ai livelli essen-ziali delle prestazioni (si pensi, ad esempio, alla sanità dove più che definire in astratto il costo standard di un posto letto in una struttu-ra ospedaliera occorrerà tener conto dello standard qualitativo delle prestazioni da offrire – che evidentemente dovrà essere omogeneo – oltre che della patologia da cui è affetto il malato). In questo conte-sto, non può ritenersi compatibile con l’art. 117 della Costituzione, lett. m, la definizione del costo standard per i livelli essenziali delle prestazioni attraverso medie tra regioni italiane o analoghi criteri aritmetici, dovendo invece stabilire una stima corretta dei costi, cioè dello specifico ammontare di risorse da porre a fronte dei servizi e della spesa, partendo dalle funzioni di produzione dei servizi, desti-nato ad assicurare, in condizioni di uguaglianza, ai cittadini, le pre-stazioni di cui si tratta. Tutto ciò tenendo conto di ogni pertinente variabile, in modo tale che quanto viene considerato essenziale sia effettivamente garantito ai cittadini. Sul piano della deter minazione dei “costi standard” sono circolate elaborazioni secondo le quali il “costo standard” sa rebbe determinato in riferimento al benchmark ri-sultante dalla spesa media della Regione presa come riferimento per

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la determinazione dell’aliquota di compartecipazione (quella a più alta capacità fiscale pro capite) o dalla spesa media (sempre riferita a queste funzioni) di alcune Regioni ritenute più efficienti. Come evidenziato correttamente dalla relazione dello Svimez, “in questa metodologia proposta per la formulazione dei “costi standard” si ce-lano alcune ambiguità e pericoli. Il ben chmark da adottare a tale sco-po, infatti, non può avere come riferimento la spesa storica di una o più Regioni, perché si farebbe riferimento a volumi di produzione determinati nel passato che non erano improntati a standard di ade-guatezza/efficienza: i servizi essenziali di sanità, assistenza sociale e istruzione potrebbero, ad esempio, essere prodotti ed erogati con una spesa pro capite molto bassa, o perché le istituzioni sub-nazio-nali (che erogano tali servizi) hanno scelto forme di finanziamento che coinvolgono i cittadini attraverso il pagamento di ticket e/o di altre forme di compartecipazione alla spesa, oppure le stesse istitu-zioni possono avere scelto di ridurre la quantità e la qualità dei ser-vizi offerti dall’ente, fidando sul maggiore livello di reddito medio dei propri cittadini. In tale ipotesi, la quantità e la qualità dei servizi erogati nelle Regioni di riferimento potrebbero essere inadatti a sod-disfare i bisogni delle popolazioni delle altre Regioni”.

Tornando invece alla legge 196/2009, occorre ricordare come essa intenda superare definitiva mente la riforma “De Stefani” di contabi-lità pubblica risalente al 1924, innovando profondamente il sistema di contabilità dello Stato e delle Amministrazioni pubbliche. Dalla registrazione dei fatti ge stionali in base al principio di competenza giuridica, immaginato per porre un limite autorizzatorio alla spesa gestita, si passa ad un sistema di cassa, che consente una migliore rappresentazione del reale an damento della situazione finanziaria dell’ente pubblico e dei relativi saldi periodici. Tale principio è pe-raltro temperato dall’introduzione di una contabilità economico-patrimoniale (in partita doppia), ispirata dagli International Public Sector Accounting Standards e da previsioni budgetarie vincolanti per i dirigenti preposti alla spesa, nel senso della necessaria ed ordinata previsione delle uscite fi nanziarie della stessa spesa, di cui un pri-mo “assaggio” si è avuto con l’art. 9, D.L. 78/2009, con vertito nella L.102/2009.

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Viene superata la cd. “sessione di bilancio”, che paralizzava i la-vori parlamentari per un’intera stagione e viene valorizzata una più frequente periodizzazione nella rappresentazione dei saldi di finanza pubblica e nelle rendicontazioni da parte della Ragioneria generale dello Stato a fa vore del Parlamento.

Il ciclo della programmazione prenderà avvio dalla decisione di Finanza pubblica, suscetti bile di aggiornamenti attraverso apposite note, nell’ambito delle quali saranno evidenziati i rac cordi neces-sari per il Patto di convergenza di cui alla L. 42/2009 e il contenu-to delle regole relative al Patto di stabilità valevoli per le Regioni e gli enti locali, proseguirà con la cd. Legge di stabilità, che prende il posto della Legge Finanziaria, e con la Legge del bilancio dello Sta-to. Nella Legge di stabilità saranno contenuti gli obiettivi di finanza pubblica, rappresentati dai saldi di bilancio attesi, quali il ricorso al mercato, il livello del saldo netto da finanziare. A seguire, è previsto l’aggiornamento del Programma di stabilità, la Relazione sull’eco-nomia e la finanza pubblica ed in fine la presentazione al Parlamento del Rendiconto generale dello Stato. È poi prevista la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di contabilità di Stato e di tesoreria. Significative no vità sono apportate dalle norme che riformano la struttura del bilancio secondo il modello per mis sioni e programmi, nell’intento di realizzare precisi indicatori di risultato e di garantire la chiarezza dei macro-aggregati di finanza pubblica, re-sponsabilizzando le decisioni annuali e pluriennali sulla destinazione delle risorse.

Da quanto osservato è facile prevedere che la legge 196/2009 avrà enorme impatto sul sistema di rilevazione contabile delle Ammini-strazioni pubbliche; non è, infatti, possibile pensare a disposi zioni delegate emanate in modo incoerente tra le due leggi, e non a caso è previsto che la Commis sione per l’attuazione del federalismo fiscale, di cui alla Legge 42/2009, lavori in raccordo con il Comitato per la redazione dei principi contabili delle Amministrazioni pubbliche, di cui alla Legge 196/2009.

I temi affrontati nel presente volume sono pertanto di grande at-tualità e interesse. Gli Autori, tutti di straordinario valore, grazie all’osservatorio privilegiato delle proprie attività professionali, illu-

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strano le profonde innovazioni che hanno interessato il sistema della finanza pubblica, al fine di assecondare le esigenze di una moderna finanza funzionale che consenta maggiore flessibilità e, nel contem-po, eviti una espansione incontrollata della spesa pubblica.

Tra i saggi riportati nel volume, oltre a quelli che delineano il nuovo scenario che va a schiudersi con la riforma, si segnalano quelli riguardante i nuovi compiti di vigilanza sulla spesa delle Am-ministrazioni pubbliche, l’evoluzione dei controlli della Ragioneria Generale dello Stato e della Corte dei Conti. Particolarmente inte-ressante è il lavoro riguardante le funzioni dei controller pubblici, in uno scenario di forte cambiamento, imperniato sul ciclo program-mazione - gestione - rendicontazione, per il quale si rende necessario disporre di professionisti in materia di compliance, che devono al tresì rendere dati con modalità omogenee (la struttura dei bilanci delle Regioni è del tutto diversa da quella dei bilanci degli enti locali, ad esempio), e al tempo stesso rendere indicatori di lettura in modo semplice, affinché ne sia fruibile la comprensione da parte del cit-tadino interessato a vedere come vengano spesi i soldi da lui versati come imposte.

Il tema, trascurato ma di grande interesse, come quello delle ge-stioni fuori bilancio, è qui trattato con adeguata analisi storica, nella prospettiva della eliminazione dettata dall’art. 40, lettera p), della L.196/2009.

Quello del superamento della L. 468 del 1978, è ampiamente af-frontato assieme alla riforma degli strumenti di programmazione e della partizione contabile per programmi e missioni.

Merita di essere poi ricordata l’analisi dell’efficacia complessiva sul monitoraggio di finanza pub blica che rinviene dall’adozione del SIOPE, consistente in un sistema di rilevazione telematica dei paga-menti delle Amministrazioni pubbliche a livello centrale che con-sente la collazione dei dati dei pagamenti di tutte le Amministrazio-ni coinvolte e consente, tra l’altro, di validare i dati di cassa di chiarati ai fini del raggiungimento del Patto di stabilità da parte degli Enti territoriali.

Il libro, cui si augura fortuna editoriale, pur nella diversità delle esperienze professionali degli Au tori e degli accenti di approfondi-

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mento, contiene una tensione a cogliere le novelle legislative quali occasioni di grande innovazione per la Pubblica amministrazione e gli enti locali della Repubblica. I saggi che seguono consentono, in-fatti, di mettere “a sistema” competenze e conoscenze, affon dando le proprie radici nella interdisciplinarietà dell’approccio; sebbene siano stati scelti dagli Autori in piena autonomia e senza forzature, sono legati da una trama intessuta da competenze e sensibilità.

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Introduzione

Compito di un Consorzio per lo Sviluppo Industriale di un’im-portante area del Mezzogiorno come quella di Bari non è soltanto promuovere e realizzare infrastrutture e servizi che consentano la creazione e lo sviluppo di attività produttive sul territorio, ma anche quello di recepire tempestivamente le esigenze delle svariate realtà produttive e di modulare conseguentemente la propria azione.

Il mondo imprenditoriale ha da tempo posto tra le priorità del Paese il coinvolgimento della Pubblica Amministrazione nella par-tecipazione al processo di innovazione del comparto pubblico, onde realizzare un miglioramento complessivo dell’intero sistema pro-duttivo nazionale che risente pesantemente degli effetti della crisi finanziaria globale.

Orbene, è stata questa consapevolezza di fondo che ha indotto il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Bari a seguire con particolare interesse le diverse iniziative promosse dalla Ragioneria Territoriale dello Stato di Bari, fornendo alla stessa il proprio con-tributo nell’organizzazione di un incontro di studi, tenutosi il 19 ottobre 2009 presso la sala convegni del Consorzio, sulla proposta di legge di riforma del bilancio dello Stato e della finanza pubblica, poi divenuta legge n° 196/2009.

Il percorso di collaborazione e condivisione trova il proprio com-pendio nella presente pubblicazione, curata dal prof. Antonio Felice Uricchio e dal dott. Giuseppe Mongelli, che raccoglie i diversi ed interessanti contributi provenienti dall’universo della P.A. e segnata-

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28 Michele Emiliano

mente degli Organismi di controllo, proiettati a far luce sulla portata innovativa di questa importante legge, la n. 196/2009 che, in sinto-nia con la L. 42/2009 in materia di federalismo fiscale, si auspica rap-presenti la prossima e significativa sfida al cambiamento dell’intera P.A. italiana.

Michele Emiliano Presidente Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Bari

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Riforma dei controlli? Utili le esperienze maturate in ambito comunitario

e i benefici che derivano dalle indicazioni che provengono dai principi internazionali

di revisione per il settore pubblicoPasquale Bellomo1

Con la previsione normativa inserita nella recente legge 196/2009 “Legge di contabilità e finanza pubblica” nel titolo VIII Controlli di ragioneria e valutazione della spesa all’articolo Art. 49. – (Delega al Governo per la riforma ed il potenziamento del sistema dei controlli di ragioneria e del programma di analisi e valutazione della spesa) si legge che: “Il Governo è delegato ad adottare norme per il potenzia-mento dell’attività di analisi e valutazione della spesa e per la rifor-ma del controllo di regolarità amministrativa e contabile secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) potenziamento delle strutture e degli strumenti di controllo e monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato ai fini della realizzazione periodica di un programma di analisi e va-lutazione della spesa delle amministrazioni centrali;

b) condivisione tra il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, gli orga-nismi indipendenti di valutazione della performance gli uffi-ci di statistica dei diversi Ministeri, delle relative banche dati, anche attraverso l’acquisizione, per via telematica, di tutte le altre informazioni necessarie alla realizzazione dell’attività di analisi e valutazione della spesa;

1 Dirigente della Regione Puglia – Area Presidenza e Relazioni Istituzionali – Servizio Controllo di Gestione – Ufficio Controllo e Verifica Politiche Comunitarie

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30 Pasquale Bellomo

c) previsione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di mancata comunicazione dei dati;

d) graduale estensione del programma di analisi e valutazione della spesa alle altre amministrazioni pubbliche;

e) riordino del sistema dei controlli preventivi e dei controlli suc-cessivi, loro semplificazione e razionalizzazione, nonché re-visione dei termini attualmente previsti per il controllo, con previsione di programmi annuali basati sulla complessità degli atti, sulla loro rilevanza ai fini della finanza pubblica e sull’effi-cacia dell’esercizio del controllo.

I lavori relativi al riordino in questione potrebbero beneficiare delle esperienze che settori della Pubblica amministrazione a vari livello istituzionale possono avere realizzato.

In particolare il controllo in materia di fondi strutturali è un buon esempio di una ricerca continua ai miglioramenti normativi tesi alla realizzazione di quegli standard che garantiscano il più possibile una adeguata assicurazione del rispetto del principio di una sana gestio-ne finanziaria. Inoltre per le questioni non direttamente disciplinate viene fatto un rinvio ai principi internazionali di revisione.

L’intero processo di ripensamento e di realizzazione di riforme è di certo facilitato dal naturale riordino ed emanazione di nuovi rego-lamenti all’avvio di ciascun ciclo di programmazione.

In questo percorso di approfondimento sembra che la Commis-sione Europea, insieme a tutte le altre Istituzioni della Unione euro-pea, abbia posto in essere delle scelte in controtendenza rispetto a quelle realizzate dalla Repubblica italiana, vista la scelta che il nostro legislatore ha fatto a partire dai primi anni ’90, con l’emanazione di una regolamentazione tendente ad un progressivo abbandono del controllo preventivo, e ciò prevalentemente ad opera di disegni legi-slativi disorganici perché concomitanti all’avvio di riforme legate al processo di decentramento.

Le riflessioni e gli approfondimenti profusi a livello comunitario sono sempre stati tesi a perseguire un equilibrio tra il peso delle atti-vità di controllo e i benefici attesi al fine anche di evitare una sovra-dimensionata attività di controlli con connessi costi elevati.

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Riforma dei controlli? 31

L’analisi costi benefici è tesa anche ad ottimizzare la scarsa do-tazione di risorse finanziarie, mai sufficienti a soddisfare i bisogni pressanti derivanti dall’attuazione delle politiche pubbliche. A ciò si aggiungano gli obiettivi spesso presenti di risanamento economico e finanziario delle già abbondantemente provate casse della finan-za pubblica. In particolare poi le istituzioni sono spesso strette fra i limiti posti dagli obiettivi di limitare i disavanzi, da un lato, e gli obiettivi di implementazione di adeguate leve di sviluppo economi-co e di rafforzamento della coesione economica e sociale all’interno dell’Unione europea, dall’altro.

In tale senso nell’Accordo Interistituzionale tra Parlamento eu-ropeo, il Consiglio e la Commissione, sulla disciplina di bilancio e la sua gestione finanziaria (2006/C 139/01), nella Parte III – Sana gestione finanziaria dei fondi UE – paragrafo A. – Garantire un con-trollo interno efficace e integrato dei fondi comunitari – al n. 44 viene chiaramente detto:”Le istituzioni convengono sull’importanza di rafforzare il controllo interno senza aumentare l’onere amministrativo, che ha come prerequisito la semplificazione della normativa sottostante. In tale contesto, si dà priorità a una sana gestione finanziaria finalizzata a una dichiarazione di affidabilità positiva per i fondi in gestione concorrente. Le disposizioni a tale fine potrebbero essere fissate, se opportuno, negli atti le-gislativi di base pertinenti. Nel quadro delle loro maggiori responsabilità in materia di fondi strutturali e in conformità ai requisiti costituzio-nali nazionali, le autorità di revisione contabile competenti degli Stati membri elaborano una valutazione relativa alla conformità dei sistemi di gestione e di controllo con i regolamenti comunitari.

Gli Stati membri si impegnano pertanto a presentare ogni anno, al livel-lo nazionale appropriato, una sintesi delle revisioni contabili e delle dichia-razioni disponibili.“.

Un buon compromesso tra le contrapposte tendenze appare la sempre più definita affermazione del ruolo dell’organo di controllo interno responsabile dell’accertamento della regolarità della spesa in materia di operazioni cofinanziate dai fondi comunitari (meglio definito come controllo di secondo livello).

Questo si inserisce in una architettura complessa che vede, da un lato, le tre Autorità previste (Gestione, Certificazione e Audit) poste

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32 Pasquale Bellomo

sullo stesso livello e, nel contempo la realizzazione di un Sistema di Gestione e Controllo (SI.GE.CO.) in cui vengono individuati i per-corsi procedurali e procedimentali delle suddette Autorità. Assume particolare rilievo in tale documento l’istituzione di una struttura fun-zionalmente dipendente dall’Autorità di Gestione che svolge verifiche campionarie di 1° livello, anche in loco. Analoghe verifiche è previsto che vengano svolte anche da parte dell’Autorità di certificazione.

Si assiste, quindi, ad un intreccio di controlli, con procedure forte-mente trasparenti, che dovrebbe eliminare o quanto meno ridurre i potenziali rischi di un utilizzo illegittimo dei fondi comunitari alfine di perseguire gli obiettivi di sana gestione finanziaria.

È evidente che in questo quadro i compiti attribuiti all’Autorità di Audit risultano particolarmente gravati da attività indirizzate a garantire direttamente gli Organi comunitari.

Infatti, a sottolineare la tesi del suddetto rafforzamento del con-trollo sta il dato di fatto che le Istituzioni delle UE, nei tre periodi di programmazione più recenti: 1994-1999, 2000-2006 e 2007-2014, hanno costruito assetti organizzativi dei sistemi di gestione e con-trollo che appaiono sempre più tesi ad una cristallina equiparazione delle funzioni, degli strumenti regolamentari messi a disposizione e della rilevanza nei rapporti diretti con la Commissione europea oltre che con le altre autorità responsabili dell’attuazione dei programmi operativi.

La riprova sta nel fatto che mentre nelle precedenti programma-zioni il responsabile dell’Internal audit non vedeva sufficientemen-te disciplinata la propria attività, oggi nell’attuale programmazio-ne con l’attribuzione della denominazione Autorità di audit, viene equiparata alle altre due autorità: Autorità di gestione e Autorità di pagamento (leggi oggi Autorità di certificazione).

Per dimostrare, ancora, la crescita del ruolo basta indicare che nei primi due periodi di programmazione il soggetto responsabile del controllo poteva essere una persona o un ufficio funzionalmen-te indipendente dall’autorità di gestione e di certificazione, mentre nell’attuale programmazione deve essere una autorità o organismo pubblico nazionale, regionale o locale funzionalmente indipendenti dall’autorità di gestione e di certificazione.

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I nuovi compiti di vigilanza sulla spesa delle amministrazioni pubbliche attribuiti

al MEF ed al Sistema delle ragionerie dai recenti interventi normativi1 2

Maria Castaldi3 e Laura Sora4

Il d.d.l. relativo alla “Legge quadro in materia di contabilità e finanza pubblica nonché delega al Governo in materia di adeguamento dei si-stemi contabili, perequazione delle risorse, efficacia della spesa e poten-ziamento del sistema dei controlli” approvato dal Senato il 24 giugno 2009, al capo IV attribuisce precipui compiti al Ministero dell’economia e delle finanze in materia di analisi e valutazione della spesa. In parti-colare, l’art. 40 stabilisce che il predetto Ministero collabori con le am-ministrazioni al fine di garantire il supporto per la verifica dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmatici di bilancio (in termini di indebitamento netto, saldo di cassa e debito delle amministrazioni pubbliche in rapporto al prodotto interno lordo), per il monitoraggio dell’efficacia delle misure rivolte al loro conseguimento ed all’incremen-to dei livelli di efficienza delle amministrazioni. Inoltre, l’art. 42 prevede che ogni tre anni il Ministero dell’economia e delle finanze – Diparti-mento della Ragioneria generale dello Stato, elabori un rapporto che

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Il presente contributo è stato redatto precedentemente alla definitiva pubblicazione della Legge 31 dicembre 2009, n.196.

3 Dirigente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territo-riale dello Stato di Napoli

4 Dirigente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territo-riale dello Stato di Napoli

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52 Maria Castaldi e Laura Sora

illustri la composizione e l’evoluzione della spesa, i risultati conseguiti con le misure adottate ai fini del suo controllo e quelli relativi al miglio-ramento del livello di efficienza delle stesse amministrazioni.

In tale linea di intervento, troverebbero una loro collocazione si-stematica le norme recate dall’art. 9, comma 1, lett. a, n. 4, del D. L. 1/07/2009, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dal-la Legge 3.08.2009, n. 102, e dall’art. 9, co. 1-ter e co. 1-quater, del D. L. 29.11.2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28.01.2009, n. 2. La prima delle citate norme prevede, con riferimento alle amministrazioni dello Stato, la vigilanza del Ministero dell’eco-nomia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anche attraverso gli Uffici centrali del bilancio e le Ragionerie territoriali dello Stato, sulla corretta applicazione delle disposizioni dettate dal medesimo articolo finalizzate a prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie, secondo procedure da definire con ap-posito decreto. La seconda norma, invece, stabilisce che i Ministeri, sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze, avviano un’attività di analisi e di revisione delle procedure di spesa e dell’allocazione delle relative risorse in bilancio, i cui risultati sono illustrati in appositi rapporti dei ministri competenti, che costi-tuiscono parte integrante delle relazioni sullo stato della spesa.

Negli ultimi anni la problematica dei ritardi nei pagamenti e della formazione di debiti pregressi, anche a cagione della rilevanza as-sunta dal fenomeno, è stata oggetto di una crescente attenzione da parte del legislatore e della prassi ministeriale. Ne è emerso un ar-ticolato e a volte ridondante quadro normativo di riferimento, che si ritiene utile ricostruire al fine di una più ampia comprensione dei nuovi compiti attribuiti al MEF ed al Sistema delle ragionerie.

Le leggi e la prassi ministeriale in materia si sono sviluppate se-condo tre direttrici d’intervento:

— iniziative e misure per assicurare tempestività nei pagamenti e prevenire la formazione di debiti pregressi;

— rilevazione e ripianamento dei debiti pregressi;— analisi e revisione delle procedure di spesa e dell’allocazione

delle relative risorse in bilancio.

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I nuovi compiti di vigilanza sulla spesa delle amministrazioni pubbliche attribuiti

al MEF ed al Sistema delle ragionerie dai recenti interventi normativi1 2

Maria Castaldi3 e Laura Sora4

Il d.d.l. relativo alla “Legge quadro in materia di contabilità e finanza pubblica nonché delega al Governo in materia di adeguamento dei si-stemi contabili, perequazione delle risorse, efficacia della spesa e poten-ziamento del sistema dei controlli” approvato dal Senato il 24 giugno 2009, al capo IV attribuisce precipui compiti al Ministero dell’economia e delle finanze in materia di analisi e valutazione della spesa. In parti-colare, l’art. 40 stabilisce che il predetto Ministero collabori con le am-ministrazioni al fine di garantire il supporto per la verifica dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmatici di bilancio (in termini di indebitamento netto, saldo di cassa e debito delle amministrazioni pubbliche in rapporto al prodotto interno lordo), per il monitoraggio dell’efficacia delle misure rivolte al loro conseguimento ed all’incremen-to dei livelli di efficienza delle amministrazioni. Inoltre, l’art. 42 prevede che ogni tre anni il Ministero dell’economia e delle finanze – Diparti-mento della Ragioneria generale dello Stato, elabori un rapporto che

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Il presente contributo è stato redatto precedentemente alla definitiva pubblicazione della Legge 31 dicembre 2009, n.196.

3 Dirigente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territo-riale dello Stato di Napoli

4 Dirigente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territo-riale dello Stato di Napoli

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52 Maria Castaldi e Laura Sora

illustri la composizione e l’evoluzione della spesa, i risultati conseguiti con le misure adottate ai fini del suo controllo e quelli relativi al miglio-ramento del livello di efficienza delle stesse amministrazioni.

In tale linea di intervento, troverebbero una loro collocazione si-stematica le norme recate dall’art. 9, comma 1, lett. a, n. 4, del D. L. 1/07/2009, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dal-la Legge 3.08.2009, n. 102, e dall’art. 9, co. 1-ter e co. 1-quater, del D. L. 29.11.2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28.01.2009, n. 2. La prima delle citate norme prevede, con riferimento alle amministrazioni dello Stato, la vigilanza del Ministero dell’eco-nomia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anche attraverso gli Uffici centrali del bilancio e le Ragionerie territoriali dello Stato, sulla corretta applicazione delle disposizioni dettate dal medesimo articolo finalizzate a prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie, secondo procedure da definire con ap-posito decreto. La seconda norma, invece, stabilisce che i Ministeri, sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze, avviano un’attività di analisi e di revisione delle procedure di spesa e dell’allocazione delle relative risorse in bilancio, i cui risultati sono illustrati in appositi rapporti dei ministri competenti, che costi-tuiscono parte integrante delle relazioni sullo stato della spesa.

Negli ultimi anni la problematica dei ritardi nei pagamenti e della formazione di debiti pregressi, anche a cagione della rilevanza as-sunta dal fenomeno, è stata oggetto di una crescente attenzione da parte del legislatore e della prassi ministeriale. Ne è emerso un ar-ticolato e a volte ridondante quadro normativo di riferimento, che si ritiene utile ricostruire al fine di una più ampia comprensione dei nuovi compiti attribuiti al MEF ed al Sistema delle ragionerie.

Le leggi e la prassi ministeriale in materia si sono sviluppate se-condo tre direttrici d’intervento:

— iniziative e misure per assicurare tempestività nei pagamenti e prevenire la formazione di debiti pregressi;

— rilevazione e ripianamento dei debiti pregressi;— analisi e revisione delle procedure di spesa e dell’allocazione

delle relative risorse in bilancio.

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L’economicità nella gestione delle risorse pubbliche: la flessibilità del bilancio alla luce

della recente riforma della legge di contabilità1

Diego De Magistris2

Premessa

Dall’inizio degli anni ’90 si è avvertita l’esigenza di una gestione più efficace ed efficiente delle risorse pubbliche dettata principalmen-te dal contesto macroeconomico nazionale e internazionale di rife-rimento. Dalla situazione critica dei conti pubblici italiani del 1992 alla recente crisi economico-finanziaria del 2008/2009, si è formata all’interno della classe politica una maggiore consapevolezza della necessità di avviare un processo di radicale riforma, tra cui quella contabile che ha visto il susseguirsi nel tempo di diverse norme e, recentemente, l’emanazione della legge di contabilità n. 196 del 31 dicembre 2009 che ha abrogato la precedente legge di contabilità n. 468 del 1978.

La nuova legge di contabilità rappresenta, quindi, un passo fon-damentale verso una più profonda e radicale riforma del modello pubblico di gestione delle risorse basato sull’introduzione di logiche assimilabili a quelle aziendali.

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Funzionario presso l’Ispettorato Generale del Bilancio della Ragioneria Generale dello Stato, nonché dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Diritto Pubblico dell’Economia della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Sapienza.

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62 Diego De Magistris

La flessibilità del bilancio

La flessibilità della gestione è sempre stata avvertita come una esi-genza ineludibile, maggiormente percepita nei periodi di crisi eco-nomica, laddove la necessità di sostenere l’economia attraverso la spesa pubblica si scontrava con i vincoli macroeconomici stringenti posti dal trattato di Maastricht. In tale contesto, il bilancio dello Sta-to e la gestione delle risorse finanziare hanno assunto un ruolo cen-trale al fine di poter riuscire a perseguire le politiche programmate e rispettare gli impegni assunti con l’Unione europea.

La maggiore attenzione al modo di governare le risorse ha portato verso un lungo e profondo processo di riforma del mo-dello di gestione, attraverso una radicale revisione delle norme di contabilità di Stato, improntate principalmente sul principio di economicità.

Il principio dell’economicità3, attiene alla capacità di gestire in ma-niera efficace ed efficiente le risorse, mettendo in relazione risorse impiegate e risultati ottenuti e nell’utilizzo dei mezzi meno onerosi per il raggiungimento degli obiettivi. Nelle aziende di erogazione pubbliche, l’economicità si consegue allorché vi sia un equilibrio tra risorse acquisite e costi sostenuti per il soddisfacimento dei bisogni pubblici secondo criteri prefissati4.

La flessibilità nella gestione delle risorse è, quindi, una delle principali leve sulla quale agire per il conseguimento dell’econo-micità.

La flessibilità indica la capacità di una organizzazione economi-ca, sia essa pubblica o privata, di adeguarsi ai mutamenti di un dato contesto attraverso il miglioramento della propria organizzazione interna, delle proprie risorse tecnologiche, della gestione delle risor-se umane e finanziarie.

3 Il principio è stato ribadito anche nell’art. 1, comma 1 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, così come modificata dalla legge 11 agosto 2005, n. 15, dal decreto-legge 14 marzo 2005 n. 35 e dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

4 Rispetto alle aziende classiche di produzione, nelle aziende di erogazione pubbliche manca il concetto di remunerazione del capitale investito.

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Il controllo della Corte dei conti sugli Enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria

alla luce dell’art. 17, comma 30, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78,

convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102Antonella Delcuratolo1

La recente evoluzione della finanza pubblica italiana è caratteriz-zata, da un lato, dagli impegni assunti dal nostro Paese in sede eu-ropea e, dall’altro, dalla riforma in senso federale dell’ordinamento dello Stato.

In particolare, sotto il primo aspetto, le regole europee codificate nel Patto di stabilità e crescita implicano il rispetto di obiettivi a ca-rattere economico finanziario al cui raggiungimento concorre non solo lo Stato, ma anche altri soggetti pubblici caratterizzati da signi-ficativi li velli di autonomia finanziaria. Tale fattore pone l’esigenza di intro durre nel nostro ordinamento sistemi che, da un lato, siano in grado di garantire il coordinamento e la responsabilizzazione dei soggetti citati e, dall’altro, forniscano gli strumenti per contenere il disavanzo pub blico a fronte di risorse limitate.

In questo contesto si inquadra la recente riforma della contabilità, in-trodotta con legge 31 dicembre 2009, n. 196, che, volta a tutti i sog getti che fanno parte dell’aggregato pubbliche amministrazioni, mira ad in-trodurre un programma di armonizzazione dei sistemi e degli schemi contabili e di bilancio tali da assicurare la coerenza delle rile vazioni con i sistemi contabili e gli schemi adottati in ambito europeo.

1 Funzionario della Corte dei conti

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74 Antonella Delcuratolo

Per tale ragione la citata legge dispone che le norme in materia di contabilità pubblica non siano limitate al solo bilancio dello Stato, ma siano estese anche agli enti e agli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche.

La legge di riforma, inoltre, onde assicurare l’efficacia del nuo-vo si stema contabile, prevede l’implementazione dei meccanismi di con trollo sulla spesa e sugli andamenti di finanza pubblica, ad opera del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

In questo nuovo sistema, che mira al rafforzamento dei controlli pub blici, una funzione di preminente rilievo è ricoperta dalla Corte dei conti.

L’articolo 100, comma 2°, della Costituzione attribuisce, infatti, a tale organo ausiliario del Parlamento, dotato di ampia autonomia e indi pendenza rispetto al Governo, funzioni di controllo nelle mate-rie di contabilità pubblica.

Dette funzioni sono individuate, in particolare, nel controllo preven tivo di legittimità sugli atti del Governo, nel controllo succes-sivo sulla gestione del bilancio dello Stato, nonché, nei casi e nelle forme stabi lite dalla legge, nel controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

Il dettato costituzionale rappresenta il punto di partenza e di riferi-mento entro cui inquadrare la normativa che disciplina nel dettaglio le forme e le modalità di svolgimento del controllo della Corte.

È da rilevare, da una parte, la legge 14 gennaio 1994, n. 20, per quanto attiene al controllo preventivo e alla disciplina generale del controllo sulle pubbliche amministrazioni, e, dall’altra, la legge 21 marzo 1958, n. 259, per quanto riguarda la partecipazione della Cor-te dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribui sce in via ordinaria.

Tale ultima legge rappresenta un corpus normativo che, diversa-mente dalle norme in materia di controllo preventivo, mira a tute-lare l’autonomia storicamente propria degli enti cui fa riferimento, costituti non solo da enti pubblici, ma anche da figure giuridiche private.

Alla luce della esposta ripartizione, dovrebbero essere interpretati i più recenti interventi normativi in tema di controllo tra i quali, di

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L’armonizzazione contabile fra passato e futuro: gli Enti locali1

Michele Di Molfetta2

Premessa

Tecnici ed operatori attendono con interesse l’attuazione della delega di cui alle leggi 42 e 196 del 2009 soprattutto in relazione all’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato.

Da tempo si auspica un rinnovamento reale, di sistemi, metodi e strumenti contabili, utile al governo unitario della finanza pubblica, ovviamente in chiave europea ed internazionale e diretto soprattut-to a sistemi e schemi di bilancio che siano comparabili o almeno raccordabili con quelli adottati in ambito europeo, ed anche per que-sto utilmente coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari (COFOG), il tutto al fine di conseguire gli obiettivi comuni in materia.

Si rafforza parallelamente l’idea della trasposizione e della utilità di una contabilità di natura economico-patrimoniale su larga scala nella Pubblica amministrazione, nella consapevolezza, tuttavia, che talune realtà risultano avvantaggiate rispetto ad altre sia in termini di esperienza che di efficienza dei sistemi adottati, e che altre che

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Dirigente del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territoriale dello Stato di Bari

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84 Michele Di Molfetta

applicano anche da tempo tali contabilità lo fanno più per il soddi-sfacimento di una regola formale che per una consapevole utilità di simili strumenti.

Parimenti interessante appare il riferimento all’utilizzo di indica-tori e parametri di carattere aziendalistico e manageriale, capaci di fornire riferimenti di benchmarking e di confronto, tipici della cul-tura aziendalistica privata, nel rispetto delle specificità proprie del settore pubblico e pertanto in un’ottica più consona alla delicatezza della gestione della cosa pubblica.

In tale contesto l’adozione di un bilancio consolidato delle am-ministrazioni pubbliche con le proprie aziende e società controllate costituirà uno dei punti d’arrivo più qualificanti della riforma.

Proprio tale aspetto impone una prima profonda riflessione. Si può evidenziare, infatti, come mentre per le amministrazioni pub-bliche tenute al regime di contabilità civilistica potrebbe definirsi un sistema per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio, per le altre pubbliche amministrazioni tale soluzione potrebbe risultare assolutamente riduttiva.

Per le regioni e per gli enti locali, in particolare, l’armonizzazione dei sistemi e degli schemi di bilancio pur essendo prevista anche con i medesimi principi e criteri direttivi, proprio in considerazione dei contenuti di cui alla legge n. 42 del 2009, di attuazione del federa-lismo fiscale, come novellata nella parte concernente proprio l’ar-monizzazione dei bilanci, potrebbe sostanziarsi in un intervento che vada ben oltre semplici strumenti e metodi di raccordo.

In termini procedurali la legge 42 del 2009 prevede per gli enti territoriali le procedure da seguire. In sintesi, fra le altre cose, la ri-forma prevede, l’istituzione di un Comitato per i principi contabili delle amministrazioni pubbliche diverse dagli enti territoriali che ha il compito di predisporre i decreti legislativi di armonizzazione che opererà in reciproco raccordo con la Commissione tecnica pariteti-ca per l’attuazione del federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009, in modo che possa garantirsi il necessario coordinamento.

Per chi scrive, la qualità dell’interazione fra le due citati commis-sioni e la capacità delle stesse di agire in simbiosi sono alla base del successo della riforma in atto.

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Ciclo di bilancio e ciclo della performance:alcune riflessioni sul loro collegamento1

Loredana Durano2

Dall’emanazione della legge 468 del 1978, che istituì la legge fi-nanziaria, si sono succedute normative, pressoché a cadenza decen-nale, quali la legge 362 del 1988, la legge 94 del 1997 ed ora la legge 196 del 31 dicembre 2009, sempre al fine di inserire nell’ordinamento giuridico italiano gli strumenti normativi che potessero consentire al Governo e al Parlamento di adottare le necessarie decisioni per presidiare la finanza pubblica, in relazione alle esigenze del contesto economico nazionale, europeo ed internazionale.

La rapidità dell’evoluzione dei mercati economici e finanziari non ha visto un adeguamento altrettanto rapido delle normative di bilan-cio e finanziarie, che comunque necessitano di riflessione, dibattito e approfondimento, da parte di tecnici e studiosi e dei giusti tempi per una concreta implementazione, ma le modifiche parziali e fram-mentarie, intervenute negli scorsi anni, dovevano essere ricondotte ad un raccordo unitario, che tenesse anche conto della complessità del sistema amministrativo, che si evolve in senso autonomistico, nonché dei vincoli derivanti dalla normativa dell’Unione Europea.

In effetti la legge 196/2009 sottolinea “il rafforzamento del ruolo della programmazione economica e finanziaria di medio periodo”

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Dirigente Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ministero dell’Eco-nomia e delle Finanze

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94 Loredana Durano

(1), ”assicurando il miglior livello di trasparenza delle informazioni che i bilanci pubblici forniscono agli organi di controllo e all’opinio-ne pubblica” e dovrebbe rispondere all’esigenza di contemperare i diversi livelli di governo della finanza nazionale rendendoli nel con-tempo corresponsabili, a garanzia degli equilibri sia degli Enti che del più complesso ed unitario sistema della finanza pubblica (2).

In sintesi, la legge 196 del 2009 ha previsto – tra l’altro – l’intro-duzione della legge di stabilità, che sostituisce la legge finanziaria, la Decisione di finanza pubblica (Dfp), che sostituisce il DPEF, l’esten-sione dell’ambito di applicazione delle norme di contabilità e finanza pubblica all’intero settore delle amministrazioni pubbliche, per svi-luppare un effettivo monitoraggio dei conti pubblici dopo la riforma federalista (3), la rimodulazione dei tempi di presentazione dei docu-menti di bilancio, in base al ciclo della programmazione e di bilancio, il potenziamento dei meccanismi di controllo della spesa e del pro-gramma di analisi e valutazione della spesa, con la specifica previsio-ne della copertura degli oneri recati da ciascuna iniziativa legislativa, nonché la sperimentazione del passaggio al bilancio di sola cassa.

Per quanto riguarda il bilancio di previsione dello Stato viene confer-mata la struttura classificatoria adottata nel 2008, in via sperimentale, secondo la rappresentazione per Missioni e Programmi, passando da un bilancio per Amministrazioni ad un bilancio che ha quale fulcro le funzioni sottostanti. Infatti, le Missioni “rappresentano le funzioni prin-cipali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa ” (art. 21, comma 2, terzo periodo, legge 196/2009) evidenziando, in modo del tutto tra-sparente, come si intende allocare e redistribuire le risorse stanziate in bilancio. I Programmi sono aggregati di spesa “diretti al perseguimen-to degli obiettivi definiti nell’ambito delle missioni” e costituiscono le unità di voto parlamentare”. La realizzazione di ciascun programma è affidata ad un unico centro di responsabilità amministrativa, corrispon-dente all’unità di primo livello dei Ministeri.” (art. 21, comma 2).

Gli argomenti sono di grande rilevanza e formeranno oggetto di sicu-ro e necessario approfondimento da parte di studiosi, tecnici ed esperti della materia nelle sedi opportune, tenuto anche conto che le rispettive normative di riferimento contengono numerose deleghe che compor-teranno il rinvio dei processi di riforma ai provvedimenti delegati.

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Linee tendenziali della nuova legge di contabilità e finanza pubblica

nel più ampio quadro della tutela dell’unità economica della nazione

Donata Grottola1

1. La nuova legge quadro in materia di contabilità e finanza pub-blica affronta essenzialmente quattro grandi temi finalizzati ad age-volare il governo della finanza “pubblica”, cioè non solo dello Stato ma del complesso delle Amministrazioni pubbliche (ad esclusione delle regioni e degli enti locali), sia con riferimento alla scarsità del-le risorse, sia con riferimento alla maggiore qualità dell’intervento pubblico: a) coordinamento della finanza pubblica, nel senso appena specificato; b) armonizzazione dei sistemi contabili; c) riforma degli strumenti di governo dei conti pubblici; d) ridefinizione e potenzia-mento del sistema dei controlli.

Per gli enti territoriali, invece, i principi ai quali i sistemi contabili e gli schemi di bilancio di detti enti devono conformarsi saranno definiti nei decreti legislativi da adottare entro maggio 2010, come previsto dalla legge n. 42/09 di riforma del federalismo fiscale.

Tuttavia, gli stretti margini temporali tra l’entrata in vigore della legge di riforma della contabilità e finanza pubblica, (che istituisce il Comitato per i principi contabili delle Amministrazioni pubbliche) e l’approssimarsi del termine entro il quale devono essere emanati i decreti delegati di cui alla legge n. 42/09 (che istituisce la Commis-sione tecnica paritetica per il federalismo fiscale) fanno prevedere come difficoltoso il proficuo “raccordo” tra i due organi al fine della individuazione di principi contabili valevoli per gli enti territoriali,

1 Dirigente – Corte dei Conti

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106 Donata Grottola

che risultino pienamente armonici con quelli valevoli per le Ammi-nistrazioni pubbliche in generale.

Potrebbe delinearsi, pertanto, la necessità di prorogare il termine di scadenza della delega contenuta nella legge n. 42/90.

2. In ordine ai primi tre temi, occorre considerare che, al con-trario di quanto comunemente ritiene l’uomo della strada, non è opportuno considerare lo Stato, ovvero la Pubblica Amministrazio-ne in generale, come una azienda ovvero un complesso di aziende, tendendo, oltretutto, a confondere il termine azienda con impresa.

Non bisogna dimenticare, infatti, la scolastica ma fondamentale distinzione tra i concetti di azienda di produzione di beni e servizi per il mercato, avente scopo di lucro, e azienda di produzione per l’eroga-zione, ossia rivolta al soddisfacimento dei bisogni di una collettività di riferimento, per la quale lo scopo non è quello della realizzazione di un lucro, bensì la realizzazione dei fini istituzionali in condizioni di efficienza (bassi oneri, alti rendimenti) ed equilibrio economico (dove i proventi più i ricavi sono uguali agli oneri più i costi).

In altre parole, ciò che rileva, nella gestione della cosa pubblica, è l’orientamento al cittadino che permea, o dovrebbe permeare, tutta l’organizzazione pubblica. Il fine istituzionale della Amministrazione Pubblica, infatti, consiste nella soddisfazione dei bisogni delle perso-ne nel cui interesse è stata creata l’azienda pubblica; l’efficienza consi-ste nello svolgimento dell’attività senza sprechi di risorse pubbliche e nella continuità dell’attività nel tempo, al fine di garantire nel tem-po l’interesse pubblico; l’equilibrio economico consiste nella conserva-zione del patrimonio pubblico.

Questo filo conduttore comune impedisce, quindi, di adottare orientamenti gestionali, punti di vista particolaristici, ovvero otti-che che portino all’affermazione di una piuttosto che di un’altra azienda, mediante conseguimento di utilità “interne” ad una deter-minata azienda, a prescindere che ciò possa conseguirsi eventual-mente a discapito di altre sul mancato, in quanto è necessario che tutti i settori della Pubblica Amministrazione si impegnino ad agire come un “unicum” tendente alla soddisfazione dei complessi biso-gni del cittadino.

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Progressiva eliminazione delle gestioni fuori bilancio

Legge 31 dicembre 2009, n. 196 – art. 40, comma 2, lettera p)1

Vittorio Licciardi2

1. Premessa

La legge 196 del 2009 – Legge di contabilità e finanza pubblica, all’art. 40 conferisce una specifica delega al Governo per il comple-tamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato al fine di assicurare una maggiore certezza, trasparenza e flessibilità nella gestione delle risorse.

Risulta del tutto evidente come questi obiettivi possano essere conseguiti unicamente attraverso una corretta ed efficiente gestione delle limitate risorse a disposizione, nonché il rafforzamento degli strumenti di programmazione e controllo della spesa, come pure il recupero di eventuali margini di inefficienza nella gestione delle ri-sorse stesse.

In funzione, appunto, delle esigenze di programmazione, ge-stione e rendicontazione della finanza pubblica, di favorire il con-fronto e il monitoraggio dei dati di bilancio dei diversi enti, senza dimenticare il necessario coordinamento con i principi contabili europei, diventa indispensabile un’armonizzazione dei sistemi e

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Direttore Amministrativo Contabile presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territoriale dello Stato di Foggia.

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126 Vittorio Licciardi

degli schemi contabili e di bilancio delle amministrazioni pubbli-che. È implicito che occorre che anche le decisioni sulla gestione siano per tutte le amministrazioni coerenti con i principi contabili europei.

Per la realizzazione di tali obiettivi, l’art. 40 della legge in esame, al secondo comma, lettera p) prevede, tra gli altri, la progressiva eli-minazione delle gestioni fuori bilancio istituite ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041, nonché delle gestioni fuori bilancio autoriz-zate per legge, prevedendo per quelle che resteranno attive modalità di rendicontazione secondo schemi di classificazione armonizzati con quelli del bilancio dello Stato.

2. Unità ed universalità del bilancio dello Stato.

Il bilancio dello Stato deve rispettare alcune regole e principi fon-damentali, quali l’annualità, l’unità, l’integrità, l’universalità, la veri-dicità, la pubblicità.

Il principio dell’unità comporta che le entrate e le spese sono con-siderate un tutto inscindibile, per cui devono essere tutte iscritte in un unico bilancio.

La regola dell’universalità richiede che qualsiasi entrata e qualsia-si spesa deve figurare in bilancio come tale, cioè nella entità quanti-tativa e nella somma necessaria alle occorrenze.

Al fine di fornire un quadro fedele dell’attività finanziaria di pertinenza di un dato esercizio, proprio per il rispetto dei principi dell’unità e dell’universalità, tutte le entrate e tutte le spese dello Stato devono trovare adeguata collocazione in bilancio.

Già il R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 contenente “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla conta-bilità dello Stato” e il R.D. 23 maggio 1924, n. 827 contenente il “Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”, in varie disposizioni tra loro coordinate, sanciscono i due precetti dell’universalità e dell’uni-cità (artt. 39, 46 della Legge; artt. 134, 135, 142, 170, 219 del Regolamento).

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Il controllo ex Legge 266/2005 nel quadro della Legge n. 196/2009 sulla

contabilità e finanza pubblica Giuseppe Lorusso1

La modifica del titolo V della Costituzione italiana, a seguito di legge costituzionale n. 3 del 2001, ha dato l’avvio a un processo di profonda trasformazione dell’ordinamento dello Stato, graduale ma chiaro nel senso di ampliare le sfere di competenza delle autonomie locali e delle istanze territoriali.

Il nuovo assetto costituzionale più marcatamente “regionalista”, per alcuni versi tendenzialmente “federalista”, che ne è risultato configurato pone, infatti, lo Stato sullo stesso livello gerarchico delle articolazioni territoriali in cui si dirama la Repubblica, avendo l’art. 114 Cost. posto sullo stesso piano dello Stato anche i Comuni, le Pro-vince, le Città metropolitane e le Regioni, con incisive conseguenze anche sul tipo di controlli che lo Stato e i suoi organi possono eserci-tare sui predetti Enti e sulle finalità dei predetti controlli.

La riforma che ha disegnato la nuova architettura costituzionale ha dato avvio, altresì, a un importante processo riformatore a livello normativo, teso a dare attuazione e, altresì, maggiore sostanza agli indirizzi “autonomistici” da questa espressi, processo che ha avuto alcune delle sue tappe principali nella c.d. legge “La Loggia”, la n. 131/2003, nell’art. 1, commi 166-169, della legge 266/2005, nella legge delega sul c.d. “federalismo fiscale”, la n. 42 del 2009 e, infi-ne, nella nuova legge di contabilità e finanza pubblica, la n. 196 del 31.12.2009, tappe attraverso le quali si sono precisate le modalità e

1 Funzionario della Corte dei Conti

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138 Giuseppe Lorusso

i criteri del controllo dello Stato sugli Enti territoriali e si è cercato di ricondurre il nuovo assetto di rapporti tra questi soggetti, in cui la Repubblica si articola, all’interno del quadro di principi e obblighi incombenti sul nostro in virtù dell’appartenenza all’UE, assicurando l’armonizzazione e la sintesi tra le tendenze centrifughe ed estensive dell’autonomia degli enti territoriali, da un lato, e la soggezione agli impegni rivenienti dall’ordinamento comunitario, dall’altro.

In aderenza al mutato contesto istituzionale, l’art. 1 della legge n. 196 del 2009 ha posto fondamentali principi di coordinamento del-la finanza pubblica, disponendo che le pubbliche amministrazioni concorrano, ciascuna nel proprio ambito di competenza, al perse-guimento degli obiettivi di finanza pubblica basati sui principi fonda-mentali di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica medesima, quali sono enunciati nella citata legge di riforma in ossequio al nuovo al nuovo assetto di competen-ze delineato dall’art. 117 Cost., allo scopo di realizzare il principio dell’unità economica, oltre che giuridica, della Repubblica, come richiede l’art. 120, comma 2° Cost., e in termini nuovi e più avan-zati quella unità e indivisibilità della medesima che l’art. 5 pone fra gli assi portanti dell’ordinamento costituzionale. Con ciò la citata nuova legge di contabilità e finanza pubblica tende ad allargare il perimetro delle pubbliche amministrazioni regolamentate, rispetto alla precedente legge n. 468/1978, comprendendovi non solo le am-ministrazioni centrali dello Stato ma anche tutte le altre pubbliche amministrazioni, sia statali periferiche che territoriali non statali, le quali in tal modo vengono coinvolte nel conseguimento dell’obietti-vo di realizzare un governo unitario della finanza pubblica.

Il citato obiettivo viene assicurato dalla nuova legge di contabi-lità e finanza pubblica mediante l’individuazione di un nuovo ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio a norma dell’art 7, legge n. 196/2009, che ora viene più chiaramente orientata al me-dio termine, e da procedure di definizione dei relativi strumenti che prevedono un più ampio coinvolgimento di tutti i livelli di governo nella individuazione delle politiche di bilancio e un più articolato raccordo tra queste e gli obiettivi assunti in sede comunitaria, in par-ticolare attraverso l’osservanza del patto di stabilità interno il quale,

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La proposta di legge C.2555 di riforma della legge di contabilità e finanza pubblica1 2

Roberto Miolla3

Il Senato della Repubblica, il 24 giugno 2009, ha approvato, rin-viandone l’esame alla Camera dei Deputati, la proposta di riforma della legge di contabilità di Stato recante “Legge di contabilità e fi-nanza pubblica”.

Sebbene, una per così dire “manutenzione” delle regole che governano la predisposizione e la presentazione dei conti pubbli-ci sia stata realizzata con una singolare cadenza quasi decennale (legge n. 468/1798, n. 362/1988 e n. 208/1999), la necessità di una revisione, rectius di una nuova legge che disciplini la finan-za pubblica, si è resa ineludibile tenuto conto dei nuovi e diver-si vincoli costituzionali ed europei sopravvenuti alla normativa vigente.

La riforma definisce un quadro regolatore unitario delle fasi di costruzione delle decisioni di finanza pubblica coordinando e coniu-gando in modo nuovo il ruolo del Governo, responsabile del rispetto dei vincoli comunitari, il ruolo del Parlamento, detentore, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, di un «diritto al bilancio», e quel-

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Il presente contributo è stato redatto precedentemente alla definitiva pubblicazione della Legge 31 dicembre 2009, n.196.

3 Funzionario presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Ter-ritoriale dello Stato di Bari

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146 Roberto Miolla

lo degli enti territoriali, titolari di un’autonomia finanziaria costitu-zionalmente garantita.

L’attuale proposta di legge pur non intervenendo sulla Costitu-zione vigente, adegua le regole del governo della finanza pubblica ai mutamenti istituzionali in atto (federalismo fiscale abbinato alla riforma federale della Repubblica) ed ai sempre più stringenti vincoli esterni di finanza pubblica (il rispetto delle regole europee codificate nel Patto di stabilità e crescita).

Vale la pena sottolineare l’importanza del provvedimento che, nonostante la forte caratura tecnica, riveste un’evidente rilevanza politica, in quanto ridefinisce, i rapporti tra Parlamento e Governo, da un lato, e tra Stato, Regioni ed Enti locali, dall’altro.

Le disposizioni fissate dalla legge n. 468 del 1978, presuppo-nevano, infatti, una centralità del Parlamento nella forma di Go-verno, che non trova più riscontro nell’attuale sistema istituzio-nale con la conseguenza della necessità di ridefinire il ruolo del Parlamento nel nuovo assetto costituzionale. Negli ultimi de-cenni abbiamo assistito ad un ampio processo di devoluzione, con il trasferimento di rilevanti sfere di competenza in favore tanto dell’Unione Europea, quanto del sistema delle autonomie territoriali.

Mentre l’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e il rispet-to dei vincoli di bilancio da questa discendenti determinano spinte centripete, in tema di governo della finanza pubblica, l’assetto fe-deralista genera, viceversa, spinte centrifughe, in quanto riconosce agli enti territoriali un proprio ambito costituzionalmente tutelato di autonomia finanziaria.

Il livello statuale è collocato, pertanto, su un piano intermedio e deve fungere da coordinamento sia verso l’esterno, l’Unione euro-pea, che verso l’interno, gli enti territoriali, avendo a mente che il responsabile del rispetto dei parametri inerenti il deficit e il debito è lo Stato centrale.

La devoluzione impone, però, di perfezionare gli strumenti di controllo della finanza pubblica per rispettare il Patto di stabilità e crescita e definire in modo condiviso con gli enti il Patto di stabilità interno.

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I controlli di finanza pubblica della Ragioneria Generale dello Stato

tra vecchie e nuove simmetrie: quali prospettive nell’evoluzione della normativa

della contabilità di Stato?1

di Giuseppe Mongelli2

1. Introduzione

L’occasione posta dalla nuova legge di riforma sulla contabilità e la finanza pubblica, del 31 dicembre 2009, n° 196, nell’art. 49, ed in particolare il 1° comma, lettera e) di modifica dei controlli in-terni, di cui al D.l.vo n° 286/1999, cioè del controllo di regolarità amministra tivo contabile, appare una circostanza favorevole per ri-assumere lo stato attuale dei controlli di finanza pubblica svolti dalla Ragioneria Generale dello Stato e poter delineare una nuova visione che possa superare le attuali asimmetrie presenti nella normativa vigente.

Un ruolo centrale nei controlli di finanza pubblica è attribuito al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in particolar modo al Dipar timento della Ragioneria Generale dello Stato che assume tradizio nalmente una posizione indefettibile nella gestione del co-ordinamento della finanza pubblica che si arricchisce, in un sapiente processo di affi namento ed ammodernamento di metodologie, di nuove tecniche di vigilanza e controllo che costituiscono una vera e

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Direttore della Ragioneria Territoriale dello Stato di Bari

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168 Giuseppe Mongelli

propria sfida per l’Istituto sorto sin dal 1859, come ha più volte soste-nuto Mario Can zio, Ragioniere Generale dello Stato.

Recentemente con il D.L. 6.09.2002, n. 194, convertito con modifica zioni dalla legge 31.10.2002, n. 246, infatti, sono stati in-trodotti nuovi ed incisivi strumenti miranti ad assicurare il rispetto delle norme co stituzionali in materia di copertura delle spese delle PP.AA. e il con trollo degli andamenti della finanza pubblica.

La Ragioneria Generale dello Stato assolve ai controlli di finanza pubblica attraverso un sistema integrato di azioni e principalmente at traverso tre tipologie di attività che possiamo riassumere nelle at-tività di riscontro svolte dal sistema delle Ragionerie (Uffici Centrali di Bi lancio presso i Ministeri – ex Ragionerie centrali – le Ragionerie ter ritoriali dello Stato – ex Ragionerie provinciali e ex regionali dello Stato), nell’attività di vigilanza in materia finanziaria e contabile (re-visione contabile e controllo legale dei conti attraverso i verbali dei rappresentanti del Ministero dell’economie e delle Finanze all’inter-no dei collegi dei revisori e dei sindaci e l’esame dei bilanci degli enti ed organismi pubblici e valutazione dei risultati gestionali) e le attività ispettive svolte dai Servizi ispettivi di finanza pubblica.

Le anzidette attività, che compendiano il nucleo fondante dei ser-vizi di istituto della Ragioneria Generale dello Stato, sono state svol-te, sino alla riforma degli anni 1997/1998, in una cornice consolidata di principi sostanzialmente simmetrici posti alla base delle singole atti vità che le rafforzavano e le rendevano maggiormente efficaci e con vergenti con la Mission dell’Organismo di controllo.

Il comune denominatore delle attività svolte dalla Ragioneria Ge-nerale era riconducibile ad una cornice di simmetria di regole presen-ti e disciplinanti gli uffici di riscontro di ragioneria e principalmente alla possibilità offerta al controllore di ragioneria, dall’ordinamento vi gente all’epoca, di poter accedere ad un’analisi dei fatti gestionali che non escludesse il piano della c.d. proficuità o del merito finanzia-rio, che indubbiamente ha rappresentato una metodologia di con-trollo po tenzialmente più incisiva di quella tradizionalmente ascritta al para metro della sola legalità.

Altro aspetto che qualificava il sistema di controllo del comparto statale era la previsione di una espressa impostazione all’integrazione

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La nuova legge di contabilità e finanza pubblica: armonizzazione contabile e

omogeneizzazione dei bilanci degli Enti Locali Giuseppe Pasquale1 e Francesco Faustino2

1. Introduzione

L’assenza di bilanci omogenei nonché di regole e principi contabi-li comuni da parte degli enti territoriali, sia a livello di comparto che rispetto alla contabilità di Stato, rappresenta un ostacolo da superare prioritariamente, per far fronte ad almeno due esigenze di massima rilevanza:

a) garantire la piena attuazione del federalismo fiscale, avviato con la legge delega n. 42 del 2009, mettendo a disposizione una base informativa indispensabile soprattutto ai fini del-la determinazione dei costi standard e, conseguentemente, dell’entità degli interventi perequativi;

b) estendere a tutti i soggetti rientranti nell’aggregato delle Pub-bliche Amministrazioni, come previsto dalla nuova legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, l’armonizzazio-ne dei sistemi e degli schemi contabili e di bilancio, ai fini del perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (in partico-lare attraverso un raccordo più efficace tra tali sistemi e quelli utilizzati in ambito europeo).

1 Direttore Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze – Sede di Bari2 Capo Settore Economico-Finanziario del Comune di Turi (BA)

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220 Giuseppe Pasquale e Francesco Faustino

Si tratta di due esigenze apparentemente divergenti tra loro, soprattutto a causa di una impostazione che ha visto procedere di pari passo, a partire dagli anni ’90, un processo di ampliamento dell’autonomia degli Enti Locali con il riconoscimento di ampi margini di discrezionalità sul versante degli schemi e delle rego-le contabili da adottare; discrezionalità introdotta attraverso il d. l.vo n. 77 del 1995 e sostanzialmente mantenuta, sino ad oggi, all’interno del d. l.vo n. 267 del 2000, Testo Unico degli Enti Locali (TUEL).

Col passare del tempo, tuttavia, tale impostazione si è rivelata er-ronea, in quanto l’autonomia decisionale sul versante del prelievo e dell’allocazione delle risorse a livello locale non può prescindere da strumenti di misurazione, di controllo e di responsabilizzazione dei decisori locali. E tali obiettivi sono conseguibili soltanto attraverso la chiarezza e la comparabilità dei dati contabili e la conseguente possibilità di misurazione delle performance degli enti.

Trattasi di un concetto autorevolmente ribadito, di recente, da Mario Canzio, Ragioniere Generale dello Stato, secondo il quale «il governo unitario della finanza pubblica ha, come premessa necessaria, la confrontabilità dei dati di bilancio delle differenti amministrazioni, che al momento risulta scarsamente praticabile: non esiste alcun Paese in cui le amministrazioni decentrate dello Stato, anche quelle che godono di un ele-vato grado di autonomia di gestione, adottano criteri e principi contabili diversi, o non armonizzati»3.

Si tratta di temi di ampia portata, dei quali qui di seguito sarà ve-rificato un aspetto particolare: il livello di compatibilità degli schemi contabili attualmente utilizzati dagli Enti Locali (ovvero Province e Comuni) rispetto alle due esigenze evidenziate in precedenza, ovve-ro l’attuazione del federalismo fiscale, da un lato, e l’armonizzazio-ne dei bilanci di tali Enti con quelli degli altri soggetti della Pubblica Amministrazione, dall’altro.

3 Audizione del 1 Aprile 2009, del Ragioniere Generale dello Stato presso la V° Commissione Programmazione economica, Bilancio del Senato della Repubblica – Inda-gine conoscitiva sul nuovo assetto della contabilità pubblica (ddl A.S. 1397: Legge quadro in materia di contabilità e finanza pubblica).

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Le funzioni di controllo della Corte dei Conti alla luce della più recente legislazione

Stefania Petrucci1

La legislazione più recente ha assegnato nuovi compiti alle fun-zioni di controllo della Corte dei conti.

La prima significativa innovazione deve individuarsi nella Legge 5 giugno 2003 n. 131, di attuazione della Legge Costituzionale n. 3/2001, (cosiddetta Legge La Loggia) che, all’art. 7, comma 7, asse-gna alla Corte dei conti, a fini di coordinamento della finanza pub-blica, la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli Enti territoriali, anche in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’U.E. e dispone che le Sezioni Regionali di Controllo della Corte verificano il perseguimento de-gli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di pro-gramma, nonché la sana gestione finanziaria degli Enti locali ed il funzionamento dei controlli interni riferendo l’esito di tali controlli esclusivamente ai Consigli degli Enti controllati.

Tale quadro normativo è stato meglio definito con la Legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria 2006) che ha ampliato la sfera del controllo della Corte dei Conti sulla sana gestione fi-nanziaria prevedendo l’invio alle competenti Sezioni Regionali di Controllo di una relazione sui bilanci di previsione e sui rendiconti degli Enti locali redatta dagli organi di revisione contabile secon-do specifiche linee guida approvate dalla Sezione Autonomie della Corte dei Conti.

1 Magistrato della Corte dei Conti

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234 Stefania Petrucci

Il nuovo controllo assegnato alle Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei conti dall’art. 1 comma 166 e seguenti della citata L. n. 266/2005 ha carattere finanziario di regolarità contabile e ammi-nistrativa: può definirsi, secondo una definizione anglosassone, un controllo di audit contabile, avente ad oggetto la conformità della esposizione finanziaria a precetti di legge, a regolamenti ed ai prin-cipi contabili.

Il controllo proprio perché di natura finanziaria tende ad analiz-zare la corrispondenza tra i fatti gestori di un determinato esercizio ed i dati contabili.

È quindi un controllo esterno che si inserisce nell’ambito dei con-trolli, già spettanti alla Corte dei Conti ed aventi finalità “collaborati-va” secondo il modello già delineato dall’art. 3 comma 4° e seguenti della legge n. 20/1994, confermato dalla pronuncia della Corte Co-stituzionale n. 29/1995.

Il controllo introdotto dal 2006 sugli Enti locali si affianca quindi alle attività di controllo sulla gestione già intestate alla Corte dei Conti dalla L. 14/01/1994 n. 20 che, al comma 4, dell’art. 3 espressa-mente prevede “la Corte dei Conti verifica la legittimità e regolarità delle gestioni ed accerta, la rispondenza dei risultati dell’attività amministra-tiva agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa”.

Sussiste, tuttavia, una notevole differenza poiché il controllo sulla gestione riguarda solo gli Enti ed i contenuti individuati dal-la Sezione Regionale di Controllo nel proprio programma annua-le che secondo le modifiche apportate dal comma 473 della L. n. 296/2006, finanziaria per il 2007, deve avvenire sulla base di prio-rità previamente deliberate dalle competenti commissioni parla-mentari.

Il controllo effettuato ai sensi del comma 166 e ss. della L. n. 266/2005, è, invece, un controllo necessario non programmabile ed è eseguito ex lege su tutti gli Enti locali e riguarda tutte le relazioni ai bilanci ed ai rendiconti.

Le relazioni, da trasmettere alle Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei conti territorialmente competenti, vanno compilate sotto forma di questionario redatto secondo le linee guida approva-

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Il moderno controller pubblico.Una nuova professionalità per nuovi scenari1

Salvatore Romanazzi2

1. Introduzione

È ormai da circa un ventennio che anche in ambito pubblico si tenta da più parti di applicare logiche ed approcci aziendalistici in contesti in cui ha tradizional mente dominato una visione burocrati-co - amministrativa. Gli studiosi ed i pro fessionisti d’azienda hanno cominciato ad occuparsi con maggiore sistematicità delle aziende e delle amministrazioni pubbliche sul finire degli anni ’80 – inizio anni ’90 del secolo scorso. Era l’epoca del tramonto della c.d. “prima Repub blica”, culminato nei diversi scandali ed inchieste giudiziarie (es. Tangentopoli) che hanno maggiormente focalizzato l’attenzio-ne dell’opinione pubblica sulla gestione delle risorse pubbliche. Co-minciava a farsi strada la convinzione che ge stire non equivale ad amministrare. Da un lato vi erano ambiziosi obiettivi che il nostro Paese si era impegnato a raggiungere e mantenere a livello europeo. Dall’altro, cittadini ed imprese e, più in generale, la c.d. “collettività di riferi mento” cominciava ad esigere maggior chiarezza e traspa-renza nella gestione delle risorse pubbliche3.

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Dirigente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragioneria Territoria-le dello Stato di Bari, Dottore di Ricerca in “Economia Aziendale” e Cultore di Marketing Operativo e Marketing Territoriale presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari.

3 Il punto è stato dibattuto soprattutto nella dottrina aziendalistica, arrivando a

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252 Salvatore Romanazzi

In tale contesto storico, gli esperti di estrazione aziendalistica han-no fatto il loro definitivo ingresso nella pubblica amministrazione. D’altronde, anche il legisla tore dal canto suo, ha percepito (e recepito) questo nuovo corso dell’amministrazione pubblica e, a partire dal de-creto 29/1993 (c.d. “privatizza zione” del pubblico impiego), passan-do per il decreto 286/1999 (soprattutto in tema di controlli), si sono susseguiti una serie di interventi normativi fino ai giorni nostri, tutti tesi ad implementare prima, e migliorare poi, logiche azienda listiche e manageriali anche nella gestione delle pubbliche amministrazioni.

Hanno recentemente visto la luce due importanti provvedimenti normativi. Un primo, il D. Lgs. 150/2009 che costituisce solo il cul-mine degli interventi del legislatore che vanno in questa direzione, tanto da recare già nel titolo la propria essenza che tende alla “ot-timizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Un secondo, la Legge 196/2009, denominata “legge di contabilità e finanza pubblica” che ridisegna il ciclo di utilizzazione delle risorse pubbliche, ponendo l’accento in più passaggi sui tre momenti fondamentali dell’attività di controllo intesa in senso lato: programma zione (ex ante), gestione (in itinere), rendicontazione (ex post).

Gli interventi del legislatore nel corso del citato ventennio, si sono mossi sulla scorta di esigenze e necessità poste dalla quotidiana gestione delle risorse pubbli che. Nonostante l’alternarsi di governi espressione di differenti schieramenti po litici, la direzione nelle ri-forme manageriali in ambito pubblico sembra non es sere mutata nel corso degli anni.

mettere a punto il concetto di accountability che non ha una esatta traduzione in italiano. Per un’organica trattazione dell’argomento, si vedano per tutti: Farneti F., Il progressivo affermarsi del principio di accountability…, Milano, FrancoAngeli, 2004; Pavan A., Reginato E., Prospettive di accountability ed efficienza nello Stato italiano, Giuffrè, 2005. Ancora, per una trattazione in prospettiva internazionale, è utile la consultazione di: Gates D.K. & Steane P., “Accountability, rationalism, ambiguity and uncertainty in decision and policy making”, in Proceedings of the IABE-2009 Las Vegas Annual Conference, Volume 6, Number 1, 2009.

In un lavoro precedente (Romanazzi S., Riforme manageriali e creazione di valore in ambito pubblico, Roma, ARACNE, 2008, p.148) il principio di accoutability era invece stato definito come “una credibilità accettata pubblicamente e socialmente dell’azione aziendale”.

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Il potenziamento del monitoraggio della finanza pubblica nei recenti

interventi normativi e nella legge di riforma della contabilità, con particolare riferi mento

al SIOPE1

Marco Romaniello2

Il potenziamento del monitoraggio nei recenti interventi normativi

Nella produzione normativa degli ultimi anni è possibile rilevare una linea evo lutiva tendenzialmente orientata al potenziamento ed all’implementazione degli strumenti di monitoraggio della spesa pubblica, in relazione alla finalità di conte nimento della stessa, an-che in ragione di vincoli comunitari derivanti dal Patto di stabilità e crescita, ed alla necessità di disporre di dati in ordine all’effettivo stato di attuazione delle politiche di settore, esigendo nel contem-po, come evidenziato nell’audizione del Ragioniere Generale dello Stato del 1 aprile 2009 presso la V° Commissione Programmazione economica, Bilancio del Senato, la continua evoluzione del processo di decentramento anche “..l’intensificarsi delle attività di monitorag-gio e controllo sugli equilibri della finanza decentrata da parte dello Stato…”.

Ciò è da porsi anche in relazione all’adozione del metodo della spending review, volto al superamento dell’approccio prettamente

1 In conformità con quanto previsto dal Codice Etico del M.E.F., l’autore precisa che le opinioni espresse in questo contributo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

2 Dirigente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Direttore della Ra-gioneria Territoriale dello Stato di Lecce.

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incrementale nelle decisioni di allocazione di bilancio ed all’intro-duzione di strumenti di misurazione della performance delle am-ministrazioni pubbliche, in termini di miglioramento dell’efficienza nell’erogazione dei servizi, con una maggiore attenzione ad analisi della qualità della spesa pubblica, e a sua volta strettamente ricon-nesso all’adozione di una riclassificazione del bilancio dello Stato per missioni e programmi, che meglio consente il conseguimento di tali obiettivi.

In particolare la legge finanziaria per l’anno 2007 (l. n. 296 del 27 dicembre 2006) ha previsto l’istituzione di una Commissione Tecni-ca per la Finanza Pubblica avente finalità di studio e di analisi volte a formulare proposte finalizzate ad accelerare il processo di armoniz-zazione e di coordinamento della finanza pubblica e di riforma dei bilanci delle amministrazioni pubbliche, per disegnare, per il bilancio dello Stato, una diversa classificazione della spesa, anche mediante ridefinizione delle unità elementari ai fini dell’approvazione parla-mentare, finalizzata al miglioramento della scelta allocativa e ad una efficiente gestione delle risorse, rafforzando i processi di misurazio-ne delle attività pubbliche e la responsabilizzazione delle competenti amministrazioni, migliorare la trasparenza dei dati conoscitivi della finanza pubblica.

Alla Commissione Tecnica è stato altresì attribuito il compito di elaborare studi preliminari e proposte tecniche per la definizione dei principi generali e degli strumenti di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, con particolare attenzione al coor-dinamento dei rapporti finanziari tra lo Stato ed il sistema delle au-tonomie territoriali, nonchè all’efficacia dei meccanismi di controllo della finanza territoriale in relazione al rispetto del Patto di stabilità europeo, di elaborare studi e analisi concernenti l’attività di monito-raggio sui flussi di spesa del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di valutare, in collaborazione con l’ISTAT e con gli altri enti del sistema statisti-co nazionale, 1’affidabilità, la trasparenza e la completezza dell’in-formazione statistica relativa agli andamenti della finanza pubblica, svolgere, su richiesta delle competenti Commissioni parlamentari, ricerche, studi e rilevazioni e cooperare alle attività poste in essere

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Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziaritra Stato e Autonomie territoriali

Paola Silvestri1

Sommario: 1. La finanza locale alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione; – 2. La potestà legislativa delle Regioni a Statuto ordinario in materia tributaria; – 3. I principi fondamentali di coordi-namento in materia di finanza pubblica; – 4. Profili di armonizzazio-ne e coordinamento dei sistemi contabili; – 5. Conclusioni.

1. Un complesso di riforme istituzionali non può essere esami-nato a compartimenti stagni ma necessita di una visione dinamica e complessiva delle implicazioni pratiche che dalle stesse ne derivano; il provvedimento di attuazione del federalismo fiscale, nel nostro Paese, è stato infatti il necessario approdo di un percorso, avviato negli anni novanta del Novecento attraverso le cosiddette “leggi Bassanini”2 e culminato con la riforma del Titolo V, Parte seconda, della Costituzione3.

1 Avvocato esperto in politiche di semplificazione legislativa e amministrativa presso il Formez e la Regione Puglia, Dottore di Ricerca in “Istituzioni e Politiche Comparate” presso la I Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Aldo Moro” di Bari.

2 Il c.d. decentramento amministrativo “a Costituzione invariata”. Giovanni PIT-TALUGA, Regioni ed enti locali tra federalismo e decentramento dei poteri, in La nascita del federalismo italiano. Attuazione della riforma al titolo V della Costituzione, cur. FOSSATI A., Milano, FrancoAngeli, 2003.

3 La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre del 2001, di riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione ha inciso non poco nella disciplina dei rapporti tra Stato, Regioni Enti locali. Alla luce delle numerose sentenze della Corte costituzionale, concernenti l’attuazione del nuovo sistema, si può indubbiamente ritenere che la legge

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Tuttavia è dagli anni cinquanta del Novecento in poi che in Italia ed in tutti i paesi industrializzati, si assiste ad un processo di cresci-ta rapida della spesa pubblica dovuto in gran parte alla espansione delle funzioni di welfare dello Stato (sanità, previdenza e istruzione etc.); espansione che, già negli anni settanta del Novecento, comin-cia ad essere finanziata con il ricorso al debito pubblico a causa di una sempre maggiore difficoltà a reperire risorse finanziarie dovuta alla congiuntura economica sfavorevole (crisi di impresa e disoccu-pazione in particolare), l’assenza di gettiti fiscali sufficienti e, non ultima, ad una pressione fiscale già molto alta.

La crescita del debito pubblico, che a sua volta ha fatto lievitare la spesa per interessi, arriva a un punto di saturazione già agli inizi de-gli anni novanta del Novecento; per cui: diventa un’operazione com-plessa non comprimere la spesa oltre il limite di piena tutela ai diritti di cittadinanza, rispettare i vincoli di bilancio che avrebbero consen-tito prima l’ingresso e poi la permanenza del Paese nella Unione europea senza aumentare la pressione fiscale. È per tali ragioni che,

costituzionale n. 3 del 2001 è stata foriera di principi innovativi: tra tutti, il principio di sussidiarietà, costituzionalizzato dall’art. 118 della Cost. con riferimento alla allocazione delle funzioni amministrative; il criterio di ripartizione delle funzioni legislative introdotto dal nuovo art. 117 della Cost.; il principio di parità formale tra Stato, Regioni e Enti locali costituzionalizzato dall’art. 114 Cost.; infine, ma non meno importante, si deve considerare la rilevanza, assunta nel nuovo art. 119 Cost., dai principi del c.d. federalismo fiscale.

A fronte di così tante innovazioni la legge costituzionale n. 3 del 2001, in diverse occasioni, si è rilevata lacunosa sotto il profilo sistematico; quali ne siano state le ragioni, tale circostanza ha provocato un incremento del contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni, che ha costretto la Corte costituzionale (attraverso le questioni sottoposte al suo giudizio) a offrire, con certosina dedizione, una ricostruzione del sistema. Difatti, nella totale inerzia del legislatore statale ordinario, il consolidamento dei principi posti a fonda-mento delle decisioni della Corte costituzionale hanno finito per affermare e consolidare una giurisprudenza costituzionale “creativa” una sorta di “diritto costituzionale vivente” del Titolo V. Ovvero, una Corte costituzionale tesa ad offrire una ripartizione delle com-petenze legislative che tenga sempre conto anche della dimensione degli interessi (unitari o locali) che devono essere di volta in volta soddisfatti. S. MUSOLINO, La legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 – all’origine di una lunga serie di conflitti, in www.federalismi.it, 2007, 13; M. SCUFFI, Le implicazioni dell’ordinamento costituzionale e comunitario nell’attuazione del federalismo fiscale, in Boll. Trib., 2010, 3.