A spasso per lo stivale

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germogli / Anno 2 ‐ n. IV ‐ Dicembre 2011 39 In tarda estate...a spasso per lo stivale nel suo 150° compleanno Sì... lo so che per dicembre sarebbe più ortodosso proporre delle riflessioni natalizie o almeno vagamente autunnali, ma chi scrive è appena ritornato “dall’estate” e sente ancora addosso il calore del profondo Sud. L’augurio mio, dunque, è che il guizzo estivo di questi appunti di viaio, come la fiamma scoppiettante del caminetto, possano stemperare un poco il gelo dei ghiacci e delle nevi. F INALMENTE NEO-LAUREATO, ancora disoccupato e quindi, per forza di cose, fatalmente squattrinato… avevo pensato di tra- scorrere l’estate nella mia Milano. Volevo dedicare il ferra- gosto a visitare la città, finalmente vuota, con lo sguardo ingenuo e curioso di un forestiero che, guida turistica alla mano, si va a scovare le ben nascoste, ma non per questo scarse, meraviglie meneghine. Driiin! Prefisso “06”: Roma?! Uffa, chi mi chiama adesso... «Pronto? Emanuele Banchio? Salve, ho avuto il suo numero dalla Scuola del Piccolo Teatro… La chiamavo per chiederle se fosse dispo- nibile a fare un provino martedì prossimo: il 16 agosto… Sì? Bene. Le do l’indirizzo…». Sì, d’accordo, ma… «Chi è il regista? Come si intitola lo spettaco- lo?», chiedo. La voce asciutta e frettolosa, quasi infastidita dalle mie domande, mi farfuglia in tutta fretta due nomi a me ignoti, sog- giungendo che tutto mi sarebbe stato spiegato meglio in loco il giorno del provino. Detto questo riattacca. Ecco: così dovrò allontanarmi da Milano proprio nei giorni di ferragosto in cui la città è finalmente tranquilla. Ti pareva che qualcosa non avrebbe ostacolato i miei pia- ni di “turista autoctono”! Pazienza. Cambio di program- ma: si parte per Roma! Speriamo non si tratti di uno scherzo telefonico: da quando in qua una produzione è tanto reticente sul no- me del proprio spettacolo e sull’identità del proprio re- gista? Staremo a vedere. Ultimata la revisione dell’intervista per germogli («Camilla rinasce lì») di settembre la invio alla redazio- ne. Faccio in fretta il bagaglio e parto. Oltre alla fedele EMANUELE BANCHIO Studente di scuola steine‐ riana tra il 1990 e il 1998.

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In tarda estate...a spasso per lo stivale nel suo 150° compleanno

Sì... lo so che per dicembre sarebbe più ortodosso proporre delle riflessioninatalizie o almeno vagamente autunnali, ma chi scrive è appena ritornato“dall’estate” e sente ancora addosso il calore del profondo Sud. L’auguriomio, dunque, è che il guizzo estivo di questi appunti di viaggio, come lafiamma scoppiettante del caminetto, possano stemperare un poco il gelo deighiacci e delle nevi.

FINALMENTE NEO-LAUREATO, ancora disoccupato e quindi, perforza di cose, fatalmente squattrinato… avevo pensato di tra-scorrere l’estate nella mia Milano. Volevo dedicare il ferra-

gosto a visitare la città, finalmente vuota, con lo sguardo ingenuo ecurioso di un forestiero che, guida turistica alla mano, si va a scovarele ben nascoste, ma non per questo scarse, meraviglie meneghine.

Driiin! Prefisso “06”: Roma?! Uffa, chi mi chiama adesso...«Pronto? Emanuele Banchio? Salve, ho avuto il suo numero dalla

Scuola del Piccolo Teatro… La chiamavo per chiederle se fosse dispo-nibile a fare un provino martedì prossimo: il 16 agosto… Sì? Bene. Ledo l’indirizzo…».

Sì, d’accordo, ma… «Chi è il regista? Come si intitola lo spettaco-lo?», chiedo.

La voce asciutta e frettolosa, quasi infastidita dalle mie domande,mi farfuglia in tutta fretta due nomi a me ignoti, sog-giungendo che tutto mi sarebbe stato spiegato meglioin loco il giorno del provino. Detto questo riattacca.

Ecco: così dovrò allontanarmi da Milano proprio neigiorni di ferragosto in cui la città è finalmente tranquilla.Ti pareva che qualcosa non avrebbe ostacolato i miei pia-ni di “turista autoctono”! Pazienza. Cambio di program-ma: si parte per Roma!

Speriamo non si tratti di uno scherzo telefonico: daquando in qua una produzione è tanto reticente sul no-me del proprio spettacolo e sull’identità del proprio re-gista? Staremo a vedere.

Ultimata la revisione dell’intervista per germogli(«Camilla rinasce lì») di settembre la invio alla redazio-ne. Faccio in fretta il bagaglio e parto. Oltre alla fedele

EMANUELE BANCHIO

Studente di scuola steine‐riana tra il 1990 e il 1998.

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bici pieghevole, mi sono portato anche tenda e sacco a pelo: per ognievenienza. Male che vada, mi farò un giro per la “Capitale del mondoe dintorni”. Anzi, ora che ci penso, questo potrebbe essere un buonmodo per festeggiare la mia laurea insieme al compleanno della mianazione, di questa terra incredibile in cui è accaduto che io nascessi.

Arrivato a Roma, faccio il provino e vengo preso: si tratta di unospettacolo teatrale, ispirato a Gli uccelli di Aristofane, che partirà perla tournée di lì a poco. Dunque non era affatto uno scherzo!

Il giorno dopo iniziamo le prove: non abbiamo che sei giorni pri-ma del debutto. Altro che fare il turista… qui c’è da lavorare sodo. Ela cosa mi sta molto bene, anche perché mi attende una serie di datein giro per le piazze e per i siti archeologici del Centro e Sud Italia.Luoghi del tutto nuovi per me!

Nei primi giorni alloggio nella mia tenda che ho piantato fuori Ro-ma, nel giardino di una casa che appartiene all’amico di un’amica dimia madre: un “amico di terzo grado”, si potrebbe dire, che, pur es-sendo in ferie, è stato così solidale da riuscire a ospitarmi anche “a di-stanza”. Però a causa dei ritmi infernali delle prove, che finiscono anotte fonda, sono costretto a chiedere asilo a un collega molto gentilee disponibile che abita più vicino al teatro.

Dopo una settimana intensissima, finalmente partiamo per la tour-née e debuttiamo al Teatro Romano della stupenda Ascoli Piceno. Poici dirigiamo verso sud, per fare tappa in alcuni siti della Calabria.

Una volta, durante il riscaldamento pre-spettacolo sento riecheg-giare dal palco dei suoni che, per quanto strani, risultano al mio orec-chio alquanto familiari. «K, L, S, F, M… Sssguisssscia… SSSSSsssguis-

sssccia…». Mi affaccio dalle quinte e vedo un col-lega che, con buffi gesti dei polsi e delle mani,tutto compreso e solennemente accigliato, pro-nuncia ermetici abracadabra: «Hum!... Ham!...Hem!.... Him!... SSSSSssssguissssccia… sguis-sssciaaa… sssguiscia la biscia e sparisssce; ravvv-

volta nel fffosso ssscivola via…».Questa filastrocca io la conosco. La facevamo alla scuola elemen-

tare della “steineriana”! «Questo riscaldamento ce lo faceva fare il maestro Paolo Giuran-

na all’Accademia di arte drammatica», spiega l’amico, serio ed entu-siasta. «Serve per il respiro e per la pronuncia delle consonanti. Unmito! Ricordo che, quando entravamo in aula per la sua lezione, luiera sempre già là che faceva esercizio, lavorando, per esempio, sulle

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Emanuele Banchio

«L’arte rinnova i popoli e ne rive‐la la vita» leggo scolpito sopra ilsuperbo Teatro Massimo

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vocali… Arrivava sempre mezz’ora prima di noi per riscaldarsi e faremeditazione. Che personaggio. Unico! Lo rispettavamo e stimavamomolto… Un’altra sua peculiarità era la diversa qualità del lavoro cheandava a svolgere singolarmente con ciascuno di noi: era un metodoche teneva conto delle difficoltà specifiche di ciascun allievo… Un ge-nio assoluto! Una volta, durante un convegno, aveva preso la paroladeprecando l’abuso che oggigiorno si fa, anche in teatro, dei micro-foni. Uno dalla platea gli gridò, provocatorio: “Voce!”. Al che lui, sen-za scomporsi, rispose: “Orecchio!”».

Ma pensa… dunque i ragazzi dell’Accademia Silvio D’Amico, senzasaperlo, studiano Arte della parola!

Divertito, mi metto anch’io a fare training. E così, in compagniadell’altro attore, incomincio a sproloquiare allegramente concatena-zioni di auliche parole altisonanti… asindeti di frasi senza senso: «L’af-flato c’è. D’offerta. Va con l’ansia. Per volere… Tessendo cingendo…Fendon tendon…».

Matti da legare? No. Semplicemente attori.“Steineriani”, per di più!

I giorni passano veloci, la nostra è una compa-gnia di gente bizzarra e fantastica. Dopo gli spet-tacoli ci attardiamo a ridere fino all’alba in locali affollati, parchi, por-tici vuoti, spiagge deserte… Finiamo il nostro giro recitando nellapiazza della bella Scilla: proprio sulla punta dello “stivale”! Qui, dallequinte del nostro palco, ho la gioia di godermi un fantastico tramon-to sullo stretto… e nottetempo, finita la recita, mi imbarco da soloper “Cariddi”.

Messina di sera è molto affascinante. Deve essere la sua posizionedi confine tra terra e acqua, tra isola e nazione. Soltanto una strettalingua d’acqua la separa dall’Italia!

Dalle spiagge di Messina, in cinque giorni di peregrinazioni, fini-sco per incappare nell’enigmatica Palermo: una città stupenda e, nelcontempo, tetra nell’intricato labirinto dei suoi inquietanti vicoli; nel-l’incombente fatiscenza dei suoi imponenti palazzi barocchi, tantoanneriti da sembrare sempre sul punto di crollarti addosso; nella si-nistra lucentezza delle sue strade, fiumi di scuro asfalto, lucido comeun parquet appena incerato. Il bianco delle strisce pedonali è timida-mente opaco, sfuocato, quasi fagocitato dal nero di quella sorta di pe-ce che lucida la strada. Una strada ostile al pedone.

Pernotto in ostello, in via dei Candelai, ma, esasperato dal frastuo-no infernale degli otto karaoke sottostanti alla mia finestra, decido di

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L’importante è il processo delpensare che aumenta le forzedel pensare

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uscire a far due passi; per non subire più passivamente, in dormi ve-glia, i decibel della movida palermitana. Camminando per le strademi vengono incontro dall’oscurità immagini e forme raffinatamentecesellate, desolatamente decadenti, monumentali, imponenti: la Cat-tedrale, S. Caterina, i Quattro Canti, il traforo della Fontana Pretoria.

«L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita», leggo scolpito a carat-teri cubitali sopra a un enorme edificio maestosamente superbo; ilTeatro Massimo suppongo: «Vano delle scene il diletto ove non miria preparar l’avvenire». Quanto è vero, penso inorridendo al ricordodi tutto il teatro gratuitamente brutto che ho avuto modo di incon-trare in questi anni!

Vago per Palermo ancora una giornata e, sul far della sera, salpoper Napoli. Decido di sistemarmi sopracoperta, esattamente a pruadella nave: mi ingolfo nel k-way, stile sarcofago egizio mi seppellisconel sacco a pelo e, malgrado le forti raffiche di vento, mi addormentofelice, guardando le stelle.

Mi risveglio all’alba che la nave è già ormeggiata. Il sole, ancorabasso, illumina flebile il golfo, facendo capolino da dietro una mon-tagna che deve essere il Vesuvio. Nelle poche dozzine di ore che ho

a disposizione, giro per questa città incredibile.Davvero molto bella! Rimango entusiasticamen-te impressionato dal grandioso splendore risorgi-mentale di p.zza Plebiscito; da quella lama di lucebrulicante di sagome affaccendate che è, a mez-

zogiorno, Spaccanapoli; dal panorama del Vomero: una distesa di az-zurro spumeggiante di nubi e di onde.

Torrenti di automobili si riversano in grovigli di manovre impos-sibili, salutandosi e insultandosi a colpi di clacson; sciami di motorinironzano impazziti dappertutto.

Biiip! Spazientita, una vespa mi suona alle spalle: sto intralciandoleil sorpasso sul marciapiede… Scusi... Finalmente riesco a guadagnarela stazione ferroviaria e ad acchiappare il treno che mi porterà ai tem-pli di Paestum. Là ritroverò gli altri attori per le ultime due date di que-sta memorabile tournée… che mi ha consentito di partire da Milanoalla scoperta del Sud!

Dopo quattro anni di lontananza dal mare, finalmente una belladose di sole, acqua, luce e sale.

Ecco, ora sono carico per ritornare al Nord. Devo precipitarmi aUdine a fare un bel lavoro. Si tratta di pubblicizzare, a suon di volan-tini, un convegno su «La forza dell’individuo». Pietro Archiati, il re-

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Emanuele Banchio

I pensieri, uno se li dimen‐tica... l’importante è impa‐rare a pensare sempre meglio

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latore, l’ho conosciuto un paio di anni fa al convegno di Milano inti-tolato: «Crisi dell’economia, sfida dell’uomo». Quelle conferenze mientusiasmarono tanto che da allora sognai di poter lavorare per que-sti eventi. Così lo scorso gennaio, pochi mesi prima di laurearmi infilosofia, ho contattato la Archiati Edizioni e misono proposto come collaboratore.

Www.archiatiedizioni.it: questo c’è scrittosulla maglia che ora indosso con grande orgo-glio. Il sogno si è avverato!

Dalla sommità di una gradinata, armeggioconcentrato dietro a una cinepresa: devo mette-re a fuoco, in lontananza, un omino distinto chepercorre infaticabile – in su e in giù, in lungo ein largo – tutto lo spazio del palco.

«Un processo di pensiero se uno lo svolge fun-ziona, per chi ascolta, soltanto se è provocatorio:se provoca l’altro a pensare e magari a ribattereportando, a sua volta, i propri pensieri. Quando si gioca a tennis ilbello è finché la palla fa avanti e indietro». E così dicendo percorredue metri di scatto. Io gli arranco dietro a stento, puntandogli addos-so l’obiettivo.

«Questa dinamica è la stessa che troviamo nei dialoghi di Platone:il logos, ossia il processo di pensiero, va avanti e indietro: dia-logos. Equesto dia in greco significa avanti e indietro, avanti e indietro…»

Ok. Questa volta me lo aspettavo: sono riuscito a prevedere il mo-vimento ondulatorio.

Essendo lui lontano, mi tocca lavorare di zoom; così facendo, però,ogni minima incertezza della mano risulta visibilmente amplificata incamera. Chissà che mal di mare verrà al malcapitato spettatore di que-sto film, poveretto lui!

«E quando uno degli interlocutori capitola troppo presto dandosubito ragione alle tesi di Socrate, questi si arrabbia! E dice: “No, no,no… non è finito il discorso. Coraggio, dì qualcosa contro… sforzatidi trovare una contraddizione nel mio ragionamento... se ci riesci!”.Allora questo dia-logos, ossia questo pensiero che provoca il pensiero,ci porta tutti avanti. Il fatto che poi alla fine avesse sempre ragioneSocrate… non importa nulla! Perché l’importante non è di provarequalcosa, di approdare a un punto morto del processo di pensiero:l’importante è il processo del pensare che aumenta le forze del pen-sare, questo è il bello! Perché dopo questo esercizio di pensiero so

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Panorama dal Vomero sul Golfo e Spaccanapoli

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pensare meglio! ».Aiuto… Dov’è? Stavo giusto zoomando su di

lui e mi è scappato di nuovo fuori campo. Ah ec-colo là! Scusi, signor Archiati potrebbe, per cor-tesia, usarmi la creanza di stare un po’ più fer-mo? Niente da fare. Chissà quanti chilometri dipalco si fa a ogni conferenza?

Bello però assistere allo svolgersi di pensieri,concepiti in quella testa così acuta, che si ma-nifestano vibrando in tutta la persona: nei co-lori della voce, nella nettezza dei gesti, nell’in-cisività dei passi.

«Quando io faccio esercizi al pianoforte, peresempio, il proposito è quello di impararmi a

memoria gli esercizi? Se uno impara a memoria gli esercizi ma non sasuonare a che gli serve? Gli esercizi se li dimentica, ma di esercizio inesercizio impara a suonare sempre meglio. E lo stesso vale per i con-tenuti del pensare: i pensieri, uno se li dimentica… l’importante è im-parare a pensare sempre meglio. Quello è puro godimento, è puroamore, è pura gioia, è pura pienezza!»

Bello. Si è fermato. Per un attimo posso prendere fiato e tenere fissa la

camera. Osservo la sala: gremita di gente. Ottimo. Dei 25.000 volan-tini stampati, 2.500 se li è distribuiti il sottoscritto… in giro per Udine,Gorizia e Trieste: ho visto dei bei posti e ho guadagnato pure dei sol-dini, lavorando per una realtà in cui credo. Cosa si può desiderare di

meglio? La mia distribuzione ha cercato di esseremolto accurata; individualmente capillare. Bello,ora, veder la sala così piena. E mi piace pensareche forse un buon 10% dei convenuti sono arri-vati qui anche grazie al mio lavoro.

«Dai allora! Tornate all’attacco! Altrimentinon c’è gusto», dice l’omino distinto in lontananza… sfidando il pub-blico a intervenire, a dialogare.

«Chi torna all’attacco?»Prende la parola una donna: «Buon giorno, mi è stato riferito che,

nel corso dei suoi seminari su La filosofia della libertà, lei ha detto cheSteiner fu accusato di anarchismo in seguito alla pubblicazione diquel testo. Mi piacerebbe approfondire questo aspetto»

L’omino riprende il microfono: «Che cosa c’è di anarchico ne La

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Anarchico è colui che dice: «Nes‐suno ha il diritto di dire all’uomo,dal di fuori, ciò che deve fare»

Conferenza di Pietro Archiati

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filosofia della libertà? Cosa vuol dire in greco il termine an-archia? A (ilcosiddetto alfa privativo) è una negazione e archè… è la conduzione,il principio, il principio conduttore. L’anarchico, in senso proprio, do-vrebbe essere colui che rifiuta ogni tipo di autorità, ogni tipo di ge-stione dal di fuori. Se poi qualcuno, proclamandosi anarchico, inten-de dire che ci possa essere una società armonica, cioè degna dell’uma-no, anche senza azioni proibite, allora è lui a sbagliare. Anarchico,nell’accezione positiva del termine, è invece colui che dice: “nessunoha il diritto di dire all’uomo, dal di fuori, ciò che deve fare”. Perchénon esiste ciò che deve fare: esistono solo le azioni che deve non fare,in quanto lesive della libertà altrui. E quelle non le vuole fare; ma undovere vero e proprio non esiste. Esiste soltanto ciò che il suo spiritovuole di positivo per sé e per gli altri e questo non è un dovere: è ilsuo volere più intimo».

Queste parole mi fanno ripensare a quando sette giorni fa, al se-minario che sempre Archiati da anni tiene proprio su La filosofia dellalibertà, si era parlato di come lo stabilire dei doveri, e quindi delle nor-me di comportamento da seguire, in qualsiasi campo, sia proprio l’es-senza dell’immoralità e dell’antiumano. Le norme non hanno moti-vo di esistere, in quanto costringere l’individuo a compiere una qual-siasi azione non è che un esercizio di potere. La stessa convivenza so-ciale non ha bisogno di norme, ma solo di divieti: devono essere vie-tate tutte quelle azioni che ledono la libertà degli individui. Ma co-mandamenti e doveri andrebbero aboliti tutti, in quanto per naturaessi ledono la libertà dell’individuo. Persino i famosi Dieci Coman-damenti non sono altro, in realtà, che dei divieti (non uccidere, nonrubare, ecc.). E nemmeno il bambino piccolo ha bisogno di doveri,ma solo di un modello da seguire che gli indichi la strada e che gli co-munichi la gioia di diventare adulto: il bambino imita, e imitare è tut-t’altro che ubbidire… Nessun pedagogo può insegnare nulla, ma solofar passare per osmosi quello che in lui c’è: la pedagogia dei bambinisono gli adulti così come sono. «Non insegnate ai bambini… ma col-tivate voi stessi, il cuore e la mente… stategli sempre vicini, date fi-ducia all’amore… il resto è niente», cantava Gior-gio Gaber.

Mentre così ragiono sfogliando velocemente ivecchi appunti con una mano, con l’altra, reggen-do la telecamera, continuo a seguire in lontanan-za i passi dell’omino distinto. Dunque, dove eravamo rimasti? Ah sìgiusto, l’anarchia: «Questa gestione dall’interno, intesa giustamente,

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In campo morale sono degne del‐l’umano solo azioni che sgorganodalla fantasia pensante dell’individuo

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in greco si chiama anarchia: assenza di conduzione dall’esterno. Però,il cosiddetto anarchico rischia di cadere nel libertinismo, nell’arbitra-rietà se alla conduzione dall’esterno, da cui vuole liberarsi, non fa suc-cedere una forza di conduzione dall’interno; e quest’ultima non puòche essere la forza dello spirito creatore, dello spirito positivamentecreatore. Nella prima parte de La filosofia della libertà, Steiner sostieneche la sovranità immanente dell’essere umano, la sua “conduzione daldi dentro”, è il pensare… In campo morale è degno dell’umano, solociò che l’uomo si propone come azioni che sgorgano dalla fantasiapensante del suo amore; solo questo è morale. Ogni ingiunzione, ogniconduzione dal di fuori è immorale perché distrugge l’io autonomo.Una società di benpensanti non può che temere l’individualismo eticoprofessato da Steiner ne La filosofia della libertà; perché questa prospet-tiva morale rende il sociale non più gestibile, non più governabile: gliesseri umani non puoi più tenerli sotto e ricattarli con il tuo poterequando diventano liberi. L’autonomia interiore viene dunque temutae presentata come se fosse un male morale; perché, giustamente, essacrea ai poteri costituiti un sacco di problemi. Per questa ragione La fi-losofia della libertà, che nella sua seconda parte esalta l’individualismoetico e parla della fantasia morale dell’amore come unico bene mora-le, è stata tacciata di anarchismo. E non soltanto dai poteri costituiti;tragicamente anche dalla maggior parte dei cosiddetti antroposofiche io conosco. Una paura viscerale di fronte a questa “filosofia dellalibertà”. Si tratta di errori forse anche umanamente comprensibili, pe-rò dobbiamo essere onesti con noi stessi, dobbiamo dirci la verità, al-trimenti non andiamo avanti! La filosofia della libertà dice che il valoresupremo della moralità, il bene morale in assoluto, è lo spirito umanoindividualmente creatore: nel pensare che conosce il mondo che esistee nel volere che crea fantasiosamente mondi che ancora non esistono.E ogni tentativo di ricatto nei confronti di questo bene morale supre-mo è immorale perché uccide l’umano!».

Il 15 agosto sono uscito di casa correndo. Ero diretto a Roma; con-vocato da una voce frettolosa al cellulare. Oggi, due mesi dopo, rin-casando a Milano, ripenso alle conseguenze di quella mia azione: daRoma a Palermo, da Napoli a Trieste da Udine a Torino, macinandochilometri. Collegando il lavoro con il viaggio ho potuto iniziare aesplorare e conoscere veramente le variegate terre della mia bella Ita-lia a 150 anni dalla sua nascita come nazione.