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Ricostruire l’umanità della religione 1 ARCIDIOCESI DI SASSARI UFFICIO DIOCESANO SCUOLA / «IRC» RICOSTRUIRE LUMANITÀ DELLA RELIGIONE L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa José Luis Moral 1. Oggi è il momento favorevole per RIPENSARE (L), «SENTIRE» (E) E RICOSTRUIRE (R). 2. Giovani, religione (fede!) e «STILE DI VITA» di Gesù di Nazaret. 3. Educazione, esperienza religiosa ed UMANIZZAZIONE. 4. La scuola della vita: «EDUCARCI» insieme affrontando le sfide della vita quotidiana. “Oggi, nel contesto culturale e spirituale contemporaneo, la fede si trova in una situazione generalizzata di ricominciamento. Chi dice «ricominciamento» di ce contemporaneamente un processo di morte e di rinascita. Assistiamo infatti alla fine di un mondo e alla fine di un certo cristianesimo. Eppure non è la fine del mon do, né quella del cristianesimo. È piuttosto un tempo di germinazione con tutto quello che può comportare di nostalgia, di sofferenza e anche di soddisfazione per ciò che muore, come pure di dolore, incertezza e speranza per quanto nasce. Perdi ta dunque, ma anche ritrovamento, altrove e altrimenti […] Noi viviamo in una cul tura democratica, pluralista e plurireligiosa, una cultura scientifica e tecnica, una cultura di comunicazione, una cultura che valorizza costantemente il nuovo…, una cultura che invita ciascuno a divenire se stesso, nella propria autonomia e fuori di ogni imbrigliamento e indottrinamento. Per questa cultura, il linguaggio della tradi zione cristiana appare sovente sterile, inadeguato, insoddisfacente. Da questo na sce un senso di frattura e di allontanamento tra la tradizione cristiana e il mondo contemporaneo”. (A. FOSSION, Ricominciare a credere, Dehoniane, Bologna 2004, 11 e 6667). «Cambio epocale»: cambio di paradigma o di modello esplicativo globale/generale. Crollo della religio come «principio–cardine» della civiltà (ciò che univa o collegava tra loro le li bertà dei singoli facendone un insieme ordinato, un sistema operativo). Oggi la religione non è più un sistema di coesione sociale. Dobbiamo ripensarla come sorgente di senso per la vita e come fonte di «comunione–comunità» in grado di costruire alcuni ponti ne cessari tre il privato e il pubblico. In tale prospettiva, la religione può continuare ad aiutarci a rileggere e rilegare: 1/ A raccogliere e rileggere o, meglio, a «rileggere in raccoglimento» (miti, testi di fondazione, un insegnamento, un sapere, una lettura o una recitazione, una legge, dei principi, delle regole e dei comandamen ti) rivelazioni o tradizioni che si fanno proprie e vengono cioè rispettate e interiorizzate sia a li vello individuale che collettivo; 2/ A unire e rilegare le persone tra di loro (a creare comunione e comunità) perché riunite dal senso di essere legate, quanto meno ad un certo altrove o, più esplicitamente, alla trascendenza, a Dio. 1 OGGI È IL MOMENTO FAVOREVOLE PER RIPENSARE (L), «SENTIRE» (E) E RICOSTRUIRE (R) Indubbiamente, il nostro è un «tempo di crisi» e di «cambio epocale»: un’autentica rivoluzione dei modi di sentire, pensare, valorizzare e agire. Tuttavia…: 1/ Ogni situazione dove inserire la riflessione ecclesiale è originale, inutile perciò cercare nel passato le ricette che presumibilmente risponderanno alle sfide odierne; 2/ Non necessariamen te viviamo un’epoca più drammatica dalle altre e, soprattutto, bisogna leggere l’evoluzione cultura le contemporanea abbandonando deliberatamente ogni interpretazione in termini di semplice crisi, di perdita di valori, di scomparsa della religione e di tramonto della fede. Il Vangelo continua a lavorare oggi nelle coscienze come lo fece in altri tempi: ha tutte le possibilità di essere udito di nuovo come una Buona Novella che da vita (lasciarci «generare»; «ricominciare a credere»: «Evangelii gaudium» — «Incontriamo Gesù»).

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Ricostruire l’umanità della religione 1

ARCIDIOCESI DI SASSARI — UFFICIO DIOCESANO SCUOLA / «IRC»

RICOSTRUIRE L’UMANITÀ DELLA RELIGIONE L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa

 

José  Luis  Moral    

1. Oggi  è  il  momento  favorevole  per  RIPENSARE  (L),  «SENTIRE»  (E)  E  RICOSTRUIRE  (R).  2. Giovani,  religione  (fede!)  e  «STILE  DI  VITA»  di  Gesù  di  Nazaret.  3. Educazione,  esperienza  religiosa  ed  UMANIZZAZIONE.  4. La  scuola  della  vita:  «EDUCAR–CI»  insieme  affrontando  le  sfide  della  vita  quotidiana.  

 

 

 “Oggi,  nel  contesto  culturale  e  spirituale  contemporaneo,   la   fede  si   trova  

in  una  situazione  generalizzata  di  ricominciamento.  Chi  dice  «ricominciamento»  di-­‐ce  contemporaneamente  un  processo  di  morte  e  di  rinascita.  Assistiamo  infatti  alla  fine  di  un  mondo  e  alla  fine  di  un  certo  cristianesimo.  Eppure  non  è  la  fine  del  mon-­‐do,   né   quella   del   cristianesimo.   È   piuttosto   un   tempo   di   germinazione   con   tutto  quello  che  può  comportare  di  nostalgia,  di  sofferenza  e  anche  di  soddisfazione  per  ciò  che  muore,  come  pure  di  dolore,  incertezza  e  speranza  per  quanto  nasce.  Perdi-­‐ta  dunque,  ma  anche  ritrovamento,  altrove  e  altrimenti  […]  Noi  viviamo  in  una  cul-­‐tura   democratica,   pluralista   e   plurireligiosa,   una   cultura   scientifica   e   tecnica,   una  cultura  di  comunicazione,  una  cultura  che  valorizza  costantemente  il  nuovo…,  una  cultura  che   invita  ciascuno  a  divenire  se  stesso,  nella  propria  autonomia  e  fuori  di  ogni  imbrigliamento  e  indottrinamento.  Per  questa  cultura,  il  linguaggio  della  tradi-­‐zione  cristiana  appare  sovente  sterile,   inadeguato,   insoddisfacente.  Da  questo  na-­‐sce  un  senso  di   frattura  e  di  allontanamento  tra   la   tradizione  cristiana  e   il  mondo  contemporaneo”.  

(A. FOSSION,  Ri-­‐cominciare  a  credere,  Dehoniane,  Bologna  2004,  11  e  66-­‐67).    

 

�  «Cambio  epocale»:  cambio  di  paradigma  o  di  modello  esplicativo  globale/generale.  �  Crollo  della  religio  come  «principio–cardine»  della  civiltà  (ciò  che  univa  o  collegava  tra  loro  le  li-­‐

bertà  dei  singoli  facendone  un  insieme  ordinato,  un  sistema  operativo).  �  Oggi  la  religione  non  è  più  un  sistema  di  coesione  sociale.  Dobbiamo  ripensarla  come  sorgente  di  

senso  per   la  vita  e  come  fonte  di  «comunione–comunità»   in  grado  di  costruire  alcuni  ponti  ne-­‐cessari  tre  il  privato  e  il  pubblico.  

�  In  tale  prospettiva,  la  religione  può  continuare  ad  aiutarci  a  rileggere  e  rilegare:  1/  A  raccogliere  e  rileggere  o,  meglio,  a  «rileggere  in  raccoglimento»  (miti,  testi  di  fondazione,  un  insegnamento,  un  sapere,  una  lettura  o  una  recitazione,  una  legge,  dei  principi,  delle  regole  e  dei  comandamen-­‐ti)  rivelazioni  o  tradizioni  che  si  fanno  proprie  e  vengono  cioè  rispettate  e  interiorizzate  sia  a  li-­‐vello  individuale  che  collettivo;  2/  A  unire  e  rilegare  le  persone  tra  di  loro  (a  creare  comunione  e  comunità)   perché   riunite   dal   senso   di   essere   legate,   quanto  meno   ad   un   certo   altrove   o,   più  esplicitamente,  alla  trascendenza,  a  Dio.  

 

   

1 OGGI È IL MOMENTO FAVOREVOLE PER RIPENSARE (L), «SENTIRE» (E) E RICOSTRUIRE (R)  

¡  Indubbiamente,  il  nostro  è  un  «tempo  di  crisi»  e  di  «cambio  epocale»:  un’autentica  rivoluzione  dei  modi  di  sentire,  pensare,  valorizzare  e  agire.  

¡  Tuttavia…:  1/  Ogni  situazione  dove  inserire  la  riflessione  ecclesiale  è  originale,  inutile  perciò  cercare  nel  passato  le  ricette  che  presumibilmente  risponderanno  alle  sfide  odierne;  2/  Non  necessariamen-­‐te  viviamo  un’epoca  più  drammatica  dalle  altre  e,  soprattutto,  bisogna  leggere  l’evoluzione  cultura-­‐le  contemporanea  abbandonando  deliberatamente  ogni  interpretazione  in  termini  di  semplice  crisi,  di  perdita  di  valori,  di  scomparsa  della  religione  e  di  tramonto  della  fede.  

¡  Il  Vangelo  continua  a  lavorare  oggi  nelle  coscienze  come  lo  fece  in  altri  tempi:  ha  tutte  le  possibilità  di  essere  udito  di  nuovo  come  una  Buona  Novella  che  da  vita  (lasciarci  «generare»;  «ricominciare  a  credere»:  «Evangelii  gaudium»  —  «Incontriamo  Gesù»).  

 

Ricostruire l’umanità della religione 2

 

 

u  Lentamente,  ma   inesorabilmente,  comprendiamo  come  le  difficoltà…  hanno   la  radice  comune  nel  tema  della  formazione  e,  più  in  concreto,  in  una  –  non  indifferente  –  trascuratezza  degli  atteg-­‐giamenti  educativi:  primariamente  ci  troviamo  di  fronte  ad  una  questione  formazione  e  di  COMPE-­‐TENZA   (o   incompetenza)   EDUCATIVO–COMUNICATIVA.   Serve,   anzitutto   –   per   scontato!   –,   identità–coerenza  cristiana.  Poi  però  non  si  può  completare  il  tutto  semplicemente  con  la  «buona  volontà».  Ci  vuole  competenza  per  ripensare  (linguaggio),  sentire  (esperienza)  e  ricostruire  (relazioni).      

 

¡  Siamo  linguaggio:  RIPENSARE.  «Siamo  linguaggio»  e  oggi  è  cambiata  radicalmente  sia  la  connessione  fra  le  parole  (parola–realtà–verità)  che  il  rapporto  tra  linguaggio,  parola  e  conoscenza.  Può  darsi  che  la  nostra  comunicazione,  l’azione…  non  abbiano  il  senso  con  cui  noi  intendiamo  comunicare  e  agire.  È  necessario  ripensare.  

¡  Siamo  esperienza:  SENTIRE.  «Tutto   incominciò  con  un’esperienza»  (E.  Schillebeeckx):  abbiamo  bisogno  di  tornare  all’esperien-­‐za,  ovvero,  di  sentire  l’esperienza  fondante  attorno  alla  quale  unire  le  esperienze  quotidiane.  Ecco  quest’esperienza:   l’amore   gratuito   e   incondizionato,   cioè,   la   più   grande   provocazione   (pro–vocazione)  contenuta  nella  vita  (un  amore  che  provoca  e  «chiama»).  

¡  Siamo  relazioni:  RICOSTRUIRE.  Siamo  esseri  di  relazioni  e  non  solo  di  contatti,  esseri  con  il  mondo  e  non  solo  nel  mondo  (relazioni  con  noi  stessi,  con  gli  altri/«Altro»,  con  le  cose).  

 

1.1. La  «ricerca  di  senso»    

VITA UMANA ESPERIENZA CRISTIANA Ricercatori  di  AMORE  e  di  VERITÀ   Amati  GRATUITAMENTE  e  INCONDIZIONATAMENTE  ¡  Amore  (sentimenti)  –  Insoddisfazione.  ¡  Verità  (comportamenti)  –  Insicurezza.  

¡  Fede:  Esperienza  «Amore  Incondizionato/Gratuito».  ¡  Accogliere:  «Fare  nuove  tutte  le  cose».  

Æ  Fuga:  dogmatismo,  relativismo…   Æ  Incredibile!:  Autonomia/libertà.    

A   volte   dimentichiamo   questi   fondamenti   e…  passiamo   direttamente   all’analisi   della   situa-­‐zione,  scegliendo  di  conseguenza  diagnosi  monotematiche  (anzi  che  spiegazioni  sulla  base  della  rot-­‐tura  epocale  che  viviamo):  secolarismo  e  «società  del  rischio»  (U.  Beck),  relativismo  e  «società   liqui-­‐da«  (Z.  Baumann),  ecc.  

 

1.2. Il  pluralismo  come  «chiave  interpretativa»    

Mi  pongo   in  un’altra  direzione:  considero   il  nostro  come  un  tempo  di  cambio  epocale   la  cui  caratteristica  essenziale,  oltre  che  chiave  interpretativa  centrale,  risiede  nel  pluralismo.    

¡  La  migliore  carta  d’identità  del  momento  presente,  un  fatto  così  ovvio  che  quasi  non  vale  la  pena  documentare,  è  il  PLURALISMO.  Tale  realtà,  in  effetti,  si  presenta  come  l’autentico  perno  interpretati-­‐vo  in  grado  di  decifrare  la  nostra  situazione,  costituisce  cioè  il  supporto  in  cui  convivono  e  persino  gareggiano   fra  di   loro,   con  naturalezza,   diverse   visioni   del  mondo.   Tale  disposizione  è   il   risultato  normale  che  deriva  dall’universo  simbolico  moderno:  il  pluralismo  poggia  su  una  visione  antropolo-­‐gica  che  ritiene  l’uomo  capace  di  autodeterminarsi  a  partire  dalla  sua  ragione  e,  oltre  a  rappresen-­‐tare  una  questione  centrale  dello  spirito  umano,  appare  come  un’esigenza  radicata  nella  natura  e  nella  storia.  

 

¡  Il  pluralismo  non  è  tanto  frutto  dei  capricci  della  modernità  quanto  il  risultato  della  convergenza  e  divergenza  di  numerosi   fattori  particolari.  Manifesta,   insomma,   la   ricchezza  universale  e,   seppure  renda   più   complicato   l’orientamento   vitale   delle   persone   per   il   moltiplicarsi   delle   offerte   e   delle  possibilità,  non  può  essere  interpretato  riduttivamente  come  un  segnale  di  confusione  o  debolezza.  PIÙ  CHE  DIFFICOLTÀ,  IL  PLURALISMO  È  POSSIBILITÀ.  Tuttavia,  possibilità  non  è  uguale  a  garanzia,  e  occorre  riconoscere  che  l’attuale  complessità  sociale  trasforma  il  pluralismo  non  solo  in  un  argomento  teo-­‐rico  ma  anche   in  un  grave  problema  pratico,  che  può   tradursi   in  esperienze  di  disorientamento  e  persino  di  caos.  

Ricostruire l’umanità della religione 3

1.3. Accogliere  e  far  fruttificare  la  fede    

 

Il   concilio   Vaticano   II   mise   in   luce   un  grave   problema   di   «identità–comunicazione»  fra   la   Chiesa   e   il   mondo   contemporaneo,   tra  l’esperienza   cristiana   e   quella   delle   donne   ed  uomini  del  nostro  tempo.  

L’UMANIZZAZIONE   è   il   «terreno   comune  sia  per  lo  sviluppo  del  «progetto  religioso»  che  di   quello   «a-­‐religioso»   o   laico;   umanizzazione  legata   inizialmente  alla  dignità  universale  e   ai  diritti  umani.  

   

2 Giovani, religione (fede!) e «stile di vita» di Gesù di Nazaret  

Il  cambio  epocale  che  viviamo  ci   invita  a  «ri–cominciare  a  credere».   Il  processo  passa  per:  1/  Tornare   a   Gesù;   2/   Narrare   l’incontro   salvifico   con   Lui;   3/   Acquisire   le   competenze   educative   corri-­‐spondenti.   Infine,   sarà   necessario   affrontare   il   rischio   di   entrare   profondamente   in   dialogo   con   le  donne  e  gli  uomini,  con  i  ragazzi  dei  nostri  giorni.  

 

u  ENTRARE  NELLE  CONVERSAZIONI  DEI  RAGAZZI…  «Videro  un  giovane  che  disse   loro:  è   risorto,  non  è  qui.  Vi  precede   in  Galilea.  Là   lo  vedrete,  

come  vi  ha  detto»  (cf.  Mc  16,  5-­‐7).  Le  parole  del  giovane  nel  mattino  di  Pasqua  ci  invitano  a  ripensare  umilmente   la  missione  della  Chiesa  e  di  ogni  cristiano,   la  «buona  notizia»  e   l’evangelizzazione:  pen-­‐siamo  spesso  che  «evangelizzare»  sia  portare  agli  altri  ciò  che  non  hanno,  ciò  di  cui  sono  privi.  Avvie-­‐ne  come  se  ci   fosse,  da  una  parte,  un  «pieno»  da  trasmettere  e,  dall’altra,  un  vuoto  da  riempire.   In  questa  prospettiva,  noi  ci  sforziamo  di  fare  in  modo  che  gli  altri  cambino,  che  si  convertano  alle  no-­‐stre  convinzioni,  che  divengano  come  noi  e  credano  come  noi.  Di  conseguenza,  il  nostro  obiettivo  è  di  far  passare  il  messaggio  costi  quel  che  costi,  superando  ogni  ostacolo  personale  o  culturale.  Così  l’evangelizzazione  è  intesa  come  conquista  dell’altro,  come  un’espansione  della  buona  notizia  a  par-­‐tire  dalla  testimonianza  che  noi  portiamo.  

 

Dunque,  non  si  tratta  tanto  di  trasmettere  agli  altri  una  buona  notizia  ben  strutturata,  di  cui  noi  siamo  i  detentori  sicuri;  la  missione  cristiana  consiste  piuttosto  nell’andare  con  speranza  verso  gli  altri  per  scoprire  con  loro,  nei  loro  luoghi  di  vita,  nel  cuore  della  loro  esistenza,  le  tracce  del  Risorto  che  sempre  ci  precede,  che  è  già  là  in  incognito.  Così  come  ieri  alle  donne  che  si  recavano  alla  tomba,  ancora  oggi  questo  messaggio  continua  a  sconvolgerci:  non  siamo  chiamati  a  portare  una  grazia  di  cui  gli  altri  sono  privi;  lo  Spirito  del  Risorto  è  già  stato  effuso  in  tutti  i  cuori.  Più  che  qualcosa  di  sco-­‐nosciuto,  portiamo  un  invito  a  scoprire  e  riconoscere  ciò  che  a  tutti  è  stato  misteriosamente  donato.  Il   cammino  delle  comunità  cristiana  non  consisterà  proprio   in  questo,  ossia,  nella   rilettura  dell’esis-­‐tenza  (dei  ragazzi  in  questo  caso)  per  scoprirvi  questa  grazia?  

 

2.1. «Più  vittime  che  colpevoli»:  ricominciare  a  credere  «con»  i  ragazzi    

“Il  vangelo  è  il  principio  del  cristianesimo,  principio  di  ogni  esistenza  umana.  In  un’epoca  o  in  un’era  culturale  come   la  nostra,   in  cui   la   tradizione  cristiana  si  presenta   in  maniera  così  complessa,  addirittura  opaca,  com’è  l’intera  società,  è  opportuno  mettere  in   luce  la  semplicità  di  ciò  che  la  ani-­‐ma:  una  notizia  che  si  rivela  assolutamente  nuova,  ogni  volta  che  la  si  ascolta  realmente  (-­‐aggélion);  notizia  di  bontà  radicale  sempre  nuova  (eu-­‐)”  (Ch.  Theobald).  

Insieme  a  chiarire  dove  si  trova  il  «centro  del  cristianesimo»,  nel  caso  dei  ragazzi,  bisogna  poi  PARTIRE…  e  «SENTIRE  CON»  LE  NUOVE  GENERAZIONI:   ripensare  «dai»   ragazzi,  situarsi  «dalla  parte»   loro  e  fare  tutto  non  tanto  «per»,  ma  sempre  «con»  i  ragazzi.  Non  solo  dobbiamo  pensare   il  cristianesimo  per  le  nuove  generazioni,  ma  –  più  importante  ancora  –  dovremo  pensarlo  dal  punto  di  vista  dei  gio-­‐vani.  �  Una  «nuova  alleanza»  con  le  nuove  generazioni...  (+  l’accoglienza  incondizionata).  

 

«Mistero» e Senso della Vita PROVOCAZIONE  

«PRO—VOCAZIONE»  LIBERTÀ  E  «VOCAZIONE  UMANA»  

UMANIZZAZIONE «EDUCAR—CI»  PLURALISMO  

«ESPERIENZE  DI  AUTOTRASCENDENZA»  (DI  FEDE)  Relazioni

Ricostruire l’umanità della religione 4

 

�  Tutto  passa  per  L’ALLEANZA  E   L’ACCOGLIENZA   INCONDIZIONATA  DEI  RAGAZZI.  Più  che  amore,  alleanza:  mentre  l’amore  o  la  carità  accentuano  il  protagonismo  di  chi  vuol  bene  l’altro,  la  parola  alleanza  –  oltre  alle  risonanze  bibliche  che  contiene  –  sposta  l’accento  verso  la  reciprocità  del  rapporto  (coniugando  l’amore  con  il  rispetto  e  il  diritto  alla  differenza  di  quelli  che  amiamo),  mentre  sot-­‐tolinea  il  vincolo,  la  promessa  e  l’impegno.  La  prima  cosa  da  fare,  quindi,  è  porci  gratuitamente  e  incondizionatamente   dalla   parte   dei   ragazzi:   allo   stesso  modo   in   cui   Dio   promette   di   «essere  con»   il   suo  popolo,  nonostante   le   infedeltà   con  cui   Israele  vive   l’alleanza,   così   anche  noi  dob-­‐biamo  «essere  con  e  dalla  parte»  dei  giovani.  

   

�  PIÙ  VITTIME  CHE  COLPEVOLI…:  come  sono,  cosa  vogliono  e  come  ci  provocano  i  ragazzi.  

¡  Adolescenti–giovani   felici   (adesso,  con   la  crisi,  un  po’  di  meno…),   istallati  «nella  quotidianità»  (autonomia  troncata,  allungamento  della  gioventù  e  della  vita  in  famiglia…).  

¡   IDENTITÀ:  non  più  guidata  da  modelli  ed   ideali,  bensì  costruita  per  «sperimentazione»  (identità  aperta,  importanza  del  suo  tempo  –  ozio  e  tempo  libero  –    e  degli  «amici»).  

¡   LOGICHE   VITALI:   «doppio   vincolo»   (obbedienti   lungo   tutta   la   settimana,   trasgressori   durante   il  weekend)  ed  «accettazione-­‐implicazione  distaccata»   (conoscono  e   riconoscono   i  valori,  però  non  sono  disposti  a  fare  l’esercizio  di  volontà  per  raggiungerli…).  

¡  CENTRI  VITALI:  famiglia,  amici,  notte,  divertimento  e  consumo.

�  METAFORA  (i  giovani,  a  modo  loro,  ci  stanno  dicendo:  «così  come  voi  siete,  voi  adulti  non  ci  interessate»  –non  hanno  torto  perché  veramente  non  lasciamo  loro  in  eredità  un  mondo  con  tanto  senso  –)  e  PROFEZIA  (il  loro  modo  di  vivere  va  oltre  la  semplice  metafora…).  

   

�  «DIREZIONI»  DELLA  PROFEZIA    

¡  RICHIESTA  DI  ACCOGLIENZA:  forse  è  la  generazione  che  ha  –  oppure  ha  avuto  –  tutto,  però…  (man-­‐canza  di  «padri»,  «clima  affettivo»,  «modelli-­‐maestri»,  «autorità»…).  

¡  DENUNCIA  DELL’ESCLUSIONE:  condannati  a  rimanere  «in  eterno»  davanti  allo  «sportello  della  vita».  Cosa  fare?:  «giocare  con  la  vita»,  divertirsi…  (rischio:  «angoscia»…).  

¡  DESIDERIO  DI  «SENTIRSI  NECESSARI»:  paura  davanti  alla  solitudine,  bisogno  di  sentire  che  qualcuno  «conta»  su  di  loro…  (rischio:  movimento  egoistico  di  sopravvivenza…).  

 

 

2.2. Il  cristianesimo  oltre  la  religione    

La  religione,  da  sempre,  accompagna  l’uomo  per  portarlo  a  una  sfera  particolare  di  creazione  di  senso,  cercando  così  di  sostenere  la  precarietà  della  sua  vita  e  di  aprirla  al  mistero  che  essa  contie-­‐ne.  Oggi  però  c’è  bisogno  di  ricollocarla  (per  tante  ragioni:  pluralismo  religioso,  ecc.)  e  trovare  una  giustificazione  adeguata  alla   vita   contemporanea   in  grado  di   far   si   che   l’esperienza   religiosa  possa  davvero  apportare  senso  all’esistenza  concreta  delle  persone.    

¡  In  fondo,  tutti  i  mali  della  religione  sono  conseguenza  di  un’errata,  distorta  concezione  di  Dio:  rap-­‐presentiamo  e  presentiamo  Dio  come  di  traverso,  cioè,  abbiamo  una  concezione  secondo  la  quale  Dio  sarebbe  una  realtà,  un  essere  «altro»  in  relazione  con  le  «realtà  del  mondo»;  «altro»  soprattutto  in  relazione  al  «soggetto  umano».  Invece,  da  un  lato,  Dio  non  sta  alla  nostra  portata;  dall’altro,  le  re-­‐ligioni  gestiscono  la  spiegazione  della  divinità  secondo  e  come  ogni  confessione  crede  conveniente,  dimenticando  magari  che  il  fatto  religioso  è  sempre  un  fatto  culturale  e  storico,  un  «fatto  immanen-­‐te»,  benché  con  l’obiettivo  di  mettere  in  relazione  gli  esseri  umani  con  la  trascendenza.  

¡  Pensare  e  parlare  di  Dio  è  estremamente  difficile,  ma  non  solo  perché  trascende  tutto,  ma  anche  perché  il  fatto  religioso  comporta  in  sé  un’inevitabile  ambiguità,  può  scatenare  in  noi  quello  che  è  più  sublime  e  anche  quello  che  è  più  terribile,  giungendo  ad  esaltare  Dio  a  costo  di  umiliare  l’essere  umano  (soprattutto  e  con  speciale   insistenza,   le  due  cose  che  più  aneliamo:   il  potere  e   la  bontà).  Così   quando   abbiamo   cercato   di   superare   l’orizzonte   ultimo   della   nostra   limitata   immanenza,   la  rappresentazione  del  Trascendente  che  abbiamo  elaborato  ci  è  venuta  male  (J.M.  Castillo):  è  venuto  fuori   un  Dio   contradittorio   o   un  Dio   violento   (un   «Dio   pericoloso»,   alla   fin   fine,   come   purtroppo  comproviamo  ancor  oggi,  sia  nella  violenza  più  netta  e  tremenda  che  nella  sibillina  espropriazione  

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mentale  legata  ad  una  fasulla  «mistica  dell’obbedienza»  disposta  dai  cosiddetti  «mediatori  religiosi»  nell’ingranaggio  dell’istituzionalizzazione  della  religione).  

¡  Dio  ci  è  venuto  male  nell’immagine  di  «un  divino»  che  non  si  sposa  con  «l’umano».  Come  possiamo  uscire  da  questa  specie  di  dualismo  fatale?  È  proprio  qui  dove  possiamo  trovare   il  contributo  fon-­‐damentale  del  cristianesimo.  

¡  Da  principio  e  per  così  dire,   il  centro  del  cristianesimo  non  è  Dio,  ma  Gesù;  non  è  il  Trascendente,  ma  un  essere  umano;  non  è  il  divino,  ma  l’umano.  Noi  ci  riferiamo  innanzitutto  al  Gesù  terreno,  na-­‐to,  vissuto  e  morto  nella  Palestina  del  primo  secolo:  quell’uomo,  quell’essere  umano  è  il  centro  del  cristianesimo  proprio  perché  in  Gesù  si  è  manifestato  a  noi  Dio,  in  lui  abbiamo  conosciuto  Dio,  il  Dio  che  nessuno  ha  mai  visto  (cf.  Gv  1,18;  1Gv  4,12.20).  Dunque,  incontriamo  Dio  in  un  essere  umano  che  appartiene  alla  nostra  immanenza,  ovvero,  un  Dio  che  è  entrato  nell’immanenza  e  si  è  unito  alla  no-­‐stra  condizione  umana.  

¡  Gesù  significa,  quindi,  che  nell’umano  e  solo  nell’umano  possiamo  incontrare  Dio  ed  entrare  in  rela-­‐zione  con  Lui.  Questo  afferma  la  teologia  cristiana  quando  si  riferisce  al  mistero  dell’Incarnazione  di  Dio  in  Gesù,  cioè,  all’evento  dell’umanizzazione  di  Dio.  Per  noi  cristiani,  quindi,  il  quid  della  storia  di  Dio  con  l’uomo  risiede  nel  graduale  approfondimento  dell’Incarnazione,  proprio  perché  l’essere  di-­‐vino  ci  si  rivela  nell’abbassamento  dalla  sua  grandezza  fino  ad  accreditarsi  davanti  a  noi  con  una  ta-­‐glia  umana.  

¡  Sulla  formula  dell’Incarnazione,  a  volte,  la  teologia  si  è  incagliata  fino  a  bloccarsi  di  fronte  al  parlare  dell’umanizzazione  di  Dio:  c’è  stata,  c’è  ancora  resistenza  e  persino  ripugnanza  a  utilizzare  un   lin-­‐guaggio  che  può  rappresentare  e   insinuare  un  abbassamento,  una  spoliazione  del  «divino»,  fino  a  essere  ridotto  semplicemente  all’«umano».  Non  dovrebbe  in  nessun  modo  essere  così.  E  c’è  di  più,  se  leggiamo  attentamente  il  Vangelo  (cf.,  per  esempio,  Mt  25)  dovremmo  riconoscere  che,  da  una  parte,   l’elemento  centrale  e  determinante  del   cristianesimo  non  è   la   fede  o   il   suo  contenuto,  ma  l’etica  (un’etica  ovviamente  che  scaturisce  dalla  fede  o,  in  altre  parole,  l’etica  è  la  realizzazione  fon-­‐damentale  della  fede);  dall’altra  parte,  l’elemento  determinante  per  la  salvezza  non  è  il  sacro,  ma  il  profano,  ossia,  ciò  che  decide  la  nostra  salvezza,  a  giudizio  di  Gesù,  non  è  «il  religioso»,  ma  «il  laico».  

¡  Il  progetto  cristiano  non  è  tanto  un  progetto  di  divinizzazione,  quanto  un  progetto  di  umanizzazio-­‐ne.  La  «maniera  di  vivere»  di  Gesù,  quindi,  è  il  criterio  per  pensare  e  per  parlare  di  Dio:  ecco  l’  uma-­‐nizzazione  di  Dio  in  Gesù.  Allo  stesso  tempo,  proprio  per  questo  –  sulla  base  dell’umanizzazione  –  e  anche  corretto  parlare  della  divinizzazione  di  Gesù  in  Dio  (ma  questa  seconda  affermazione  sareb-­‐be  una  conseguenza  della  prima)  e  della  nostra  divinizzazione  in  Gesù.  

 

2.3. Vangelo-­‐Stile  di  vita  di  Gesù,  il  Cristo:  «ospitalità  nel  quotidiano    

Da  quanto  detto  si  evince  chiaramente  la  conclusione:  la  comprensione  del  cristianesimo  non  permette  indentificarlo  immediatamente  come  una  religione,  anzi  una  corretta  interpretazione  deve  incominciare  interpretandolo  come  un  movimento  non  religioso…  

La  modernità  –  di   fronte  ai  modelli  di  essere-­‐vivere   fondati   sull’essenza,  sulla  dottrina  o  sul  dogma  –  introdusse  lo  «stile  di  vita»  come  l’emblema  di  un  modo  di  abitare  il  mondo.  In  questa  pro-­‐spettiva  possiamo  definire  «il  cristianesimo  come  stile  di  vita».  

 

¡  Stile  di  vita  di  Gesù  =  «OSPITALITÀ  NEL  QUOTIDIANO»:  1/  Spossessamento  di  sé;  2/  A  vantaggio  o  in  favo-­‐re  di  una  presenza  per  chiunque.  Affrontare  la  vita  CON  LO  SPIRITO  di  Gesù:  ABBÀ  e  REGNO  per  essere  cittadini  e  cristiani  responsabili.  

¡  FEDE  CRISTIANA:  è  una  fede  storica,  relazionale  ed  escatologica,  cioè,  la  storia  aperta  di  una  relazione.  Infatti,   in  Gesù  di  Nazaret,   il  Cristo,  tutto  è  stato  detto  e  donato,  ma  essendo  una  storia   in  corso,  tutto  è  ancora  aperto  alla  sorpresa,  all’approfondimento,  fino  al  suo  ritorno.  

   

u  Siamo  davanti  ad  una  crisi  culturale  che  ci  obbliga  a  ripensare/riformulare  la  fede  e  l’identità  cri-­‐stiana:  ci  parla  oggi  il  Vangelo?  Le  parole  del  Vangelo  parlano  davvero  alla  Chiesa?  Guardando  il  fu-­‐turo,  se  risulta  palpabile  l’urgenza  di  nuove  formulazioni  della  fede  e  della  pratica  religiosa,  non  è  meno  evidente  e  necessario  un  profondo  rinnovamento  educativo  (e  comunicativo).    

 

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3 EDUCAZIONE, ESPERIENZA RELIGIOSA E UMANIZZAZIONE  

Le  comunità  educative  e  i  ragazzi  più  che  «in–segnare»  (mettere  cioè  in  segni,  più  o  meno  fissi,  quello  che  sanno),  «si–educano»  (educere)  tutti  insieme,  ossia,  maturano  e  crescono  ricreando  i  sim-­‐boli  della  vita  e  della  fede.  Purtroppo,  la  relazione  della  società  e  della  Chiesa  con  i  ragazzi  (e,  in  gene-­‐re  le  relazioni  tra  le  persone  all’interno  della  società  e  della  Chiesa),  troppo  spesso  si  è  concentrata  più  sull’insegnare  che  sull’educare:  all’INSEGNAMENTO  corrisponde  l’istruzione  –  decifrare,  catalogare  e  rinnovare   segni  già   saputi   –;   all’EDUCAZIONE,   invece,   corrisponde   l’iniziazione,  ovvero,   l’avvicinarsi   ai  simboli  per  scoprire  i  fili  dell’esistenza,  i  vincoli  e  le  relazioni  antiche  e  nuove  che  ci  fanno  essere  per-­‐sone.   L’insegnamento   porta   ad   imparare   un   linguaggio;   l’educazione   conduce   a   parlare   di   per   sé  stesso.  

 

3.1. Educazione,  apprendimento,  insegnamento,  istruzione  ed  esperienza  religiosa    

Anzitutto,  è  necessario  fuggire  dell’idea  che  educare  sia  sinonimo  di  modellare   le  nuove  ge-­‐nerazioni  e  inculcare  loro  i  nostri  migliori  ideali.  Così  come  stanno  le  cose,  dobbiamo  rivedere  a  fondo  i  concetti  di  educazione  e  di   istruzione  (insegnamento  e  apprendimento)  distinguerli  e  persino  sepa-­‐rarli  con  cura.  Affermando,  ovviamente,  la  loro  complementarietà  ma  cercando  tuttavia  di  smasche-­‐rare  la  perniciosa  confusione  di  comprendere  l’educazione  con  la  stessa  prospettiva  dell’istruzione.    

¡  Nell’istruzione  o  nell’insegnamento  sempre  c’è  un  qualcosa  che  si  trasferisce  da  uno  che  sa  ad  un  altro  che  ignora,  da  uno  che  ha  ad  un  altro  che  ne  manca,  da  chi  da  a  chi  riceve;  nell’educazione,  no.  Allora,  possiamo  chiederci,  con  quali  verbi  educhiamo?  Con  gli   intransitivi!:  vivere,  crescere,  uscire,  sorgere,   fiorire,   fruttificare…  Con  questi,   cambia   completamente   l’azione   educatrice   e   si   capisce  meglio   che   ci   educhiamo   insieme  e,   oltre   tutto,   che   «nessuno  educa  nessuno»   (P.   Freire)   perché  nessuno  cresce  nessuno,  neppure  lo  fiorisce,  né  lo  fruttifica,  né  lo  educa.  

¡  Esperienza  religiosa  e   insegnamento  della  religione:  1/  Tra   insegnamento–apprendimento  ed  edu-­‐cazione;  2/  Esperienza,  senso  e  «prassi  di  autotrascendimento».  

   

        «APERTURA»                              «RELAZIONI»            [SENSO]       ¡  Con  noi  stessi  

(Incontro)      RELAZIONI   (Memoria)  

     INTELLIGENZA                    (Verità)     ¡  Con  gli  altri     VOLONTÀ     (Attuare–Felicità)     ¡  Con  l’«Altro»     PSICOLOGIA     (Affettività–Sentimento)         BIOLOGIA  E  NEUROFISIOLOGIA   ¡  Con  le  cose     (Sensi–«Funzione  nervosa»)    

 

3.2. L’«umano  autentico»:  religione  e  cittadinanza,  dignità  e  diritti  umani    

È  UNICAMENTE  CON  L’EDUCAZIONE  CHE  L’ESSERE  UMANO  PUÒ  ARRIVARE  AD  ESSERE  TALE:  noi  umani  na-­‐sciamo  tali,  senza  però  esserlo  del  tutto  fino  a  dopo  e,  nello  sviluppo  di  questa  verità  antropologica,  dobbiamo  scegliere  quei  valori  in  grado  di  favorire  questo  processo.  

Tutti  coloro  che  si  occupano  di  educazione  pretendono  di  mostrarla  come  «educazione  ai  va-­‐lori»,  anche  se  magari  colonizzano,  cercano  di  domare  o  addirittura  ricattano  le  nuove  generazioni.  In  questo  senso,  diventa  necessario  trovare  un  nuovo  perno  educativo  che,  in  questo  preciso  momento  storico  (e  tanto  più  in  Italia),  sembra  trovarsi  nella  nozione  di  «CITTADINANZA».  «Educar–ci»  per  diven-­‐tare  ciò  che  siamo  si  può  riassumere  nell’esercizio  dei  valori  della  cittadinanza.  

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L’UMANO  AUTENTICO  è  il  criterio  comune...  Tale  criterio,  dalla  prospettiva  della  religione,  deve  poter  essere  letto  quale  «CRITERIO  ETICO»  –  per  indicare  la  linea  di  comportamento  che  rifiuta  in  radi-­‐ce  quanto  possa   contraddire   l’umanità  –  e,   alla  pari,  quale   «CRITERIO  MISTICO»  –   in  quanto   integra  l’autenticità  umana  con  l’apertura  ad  un  certo  altrove.    

 

¡  Da  una  parte  e  vista  la  situazione  socio-­‐culturale  in  cui  ci  troviamo,  ora  più  che  mai  l’umanizzazione  costituisce  la  via  più  adeguata  per  fissare  la  meta  di  ogni  progettazione.  Abbiamo  bisogno  di  un  sa-­‐pere  primario  e  universale  che  verta  sulla  condizione  umana.  Siamo  nell’era  planetaria;  un’avventu-­‐ra  comune  travolge  gli  umani,  ovunque  essi  siano:  devono  riconoscersi  nella  loro  comune  umanità,  nello  stesso  tempo  devono  riconoscere  la  loro  diversità,  individuale  e  culturale”  (E.  Morin).  

¡  Dall’altra  parte,  se  è  vero  che  […]  la  fede  nei  diritti  umani  e  nella  dignità  umana  è  la  «religione»  ca-­‐pace  di  raccogliere  consenso  in  un  mondo  moderno  e  individualizzato,  allora  piuttosto  che  sprecare  energie  combattendo  vecchie  battaglie  sarebbe  meglio  unirle  in  uno  sforzo  comune  per  difendere  la  dignità  umana,  in  un  contesto  in  cui  siamo  obbligati  a  prendere  decisioni  su  una  quantità  di  mate-­‐rie  continuamente  crescente  e   in  cui  assai  poco  si  può  dare  per  scontato  nei  campi  della  natura  e  della  tradizione  (H.  Joas).  

¡  L’adesione  profondamente  sentita  alla  dignità  umana  sta  prendendo  un  vero  slancio  nella  nostra  cultura.  Impressiona  costatare  quanto  la  dignità  umana  –  per  esempio  dei  bambini,  delle  donne  op-­‐pure  delle  popolazioni  oppresse  –  abbia  ispirato  nel  passato  recente  e  continui  a  ispirare  veri  e  pro-­‐fondi  cambiamenti.  Il  rispetto  per  l’indisponibilità  dell’altro,  dunque,  deve  essere  la  nostra  guida.  

¡  Tuttavia,  non  si  tratta  di  tornare  alla  fede  nella  dignità  umana  universale  considerata  come  la  «reli-­‐gione  dell’umanità»   (A.   Comte),   finendo  per  definire   la  moralità  dei   diritti   umani  quale   «religione  dell’uomo»,  ovvero,  una  religione  dove  l’essere  umano  è  allo  stesso  tempo  fedele  e  divinità.  Mi  rife-­‐risco  piuttosto  a  un  obiettivo  centrale  che  hanno   in  comune   il  «progetto   laico»  e   il  «progetto  reli-­‐gioso».  La  «sacralità  della  persona»  non  può  avere  né  solo  la  fonte  laica  né  soltanto  quella  religiosa.  

¡   In  questo  progetto  comune,  è  necessario  progredire  nella   fondazione  e  nell’argomentazione;  or-­‐bene,  la  dignità  e  i  diritti  umani  si  basano,  alla  fin  fine,  su  una  «volontà  di  credere»  (W.  James):  sia-­‐mo   interessati   non   soltanto   alle   argomentazione   razionali,   ma   anche   alle   esperienze   costitutive.  Vogliamo   identificare   le  origini   storiche  della  credenza  nei  diritti  umani  e  nella  dignità  umana;  vo-­‐gliamo   comprendere   come  questa   credenza  prenda   forma  nello   sviluppo  della   personalità   indivi-­‐duale;  e  come  gli   individui  contemporanei  possano  trovare  nuovi  modi  di   formulare   in  modo  ade-­‐guato  una  credenza  che  ha  certo  profonde  radici  storiche,  ma  che  ha  avuto  un  impatto  forte  soltan-­‐to  a  partire  dal  diciottesimo  secolo  e  soprattutto  nella  seconda  metà  del  ventesimo  (H.  Joas).  

 

  4 LA SCUOLA DELLA VITA: «EDUCAR-CI» INSIEME AFFRONTANDO LE SFIDE DELLA VITA QUOTIDIANA

 

Ecco  l’argomentazione  di  base  seguita  finora:  1. Il   cristianesimo  costituisce  anche  una   religione  che,  proprio  per  quello   indicato   in  precedenza,  

cerca  una  vera  e  profonda  umanizzazione  dell’uomo  secondo  lo  «stile  di  vita»  di  Gesù.  2. Per  altro,  è  unicamente  con  l’educazione  che  l’essere  umano  può  arrivare  ad  essere  tale.  3. Inoltre,  sono  oggi  la  dignità  universale  e  i  diritti  umani  –  «l’umano  autentico»  –  a  indicarci  la  rotta  

della  ricollocazione  e  nuova  giustificazione  sia  della  religione  che  dell’esperienza  religiosa.  4. Infine,  è  arrivato  il  momento  di  porre  la  nozione  di  «cittadinanza»  come  nuovo  perno  educativo,  

in  rapporto  diretto  con  la  dignità  umana  universale  e  con  i  «diritti  dell’uomo»,  per  ricostruire  vuoi  la  relazione  tra  persona,  comunità  e  società  civile,  vuoi  quella  fra  la  politica,  l’etica  e  la  religione.  Dobbiamo  intenderci  –  persone  religiose  e  laiche  o  areligiose  –  e  riuscire  tutti  a  vivere  «con  spiri-­‐to»  la  causa  comune  dell’umanizzazione,  dell’affermazione  della  dignità  e  dei  diritti  di  ogni  per-­‐sona.  

 

4.1. Vita  ed  educazione:  crescere  nelle  relazioni  quotidiane    

Lo  ripeto:  da  un  lato,  dobbiamo  rivedere  a  fondo  i  concetti  di  educazione  e  di   istruzione  (in-­‐segnamento  e  apprendimento)  distinguerli  e  persino  separarli   con  cura   (complementarietà  e  diffe-­‐

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renza);  dall’altro,  educare  è  un  verbo   transitivo,  ma  «educhiamo  con  verbi   intransitivi»:  vivere,   cre-­‐scere,  uscire,   sorgere,   fiorire,   fruttificare…  Con  questi   sinonimi   intransitivi,   si   capisce  meglio  che  CI  EDUCHIAMO  INSIEME  e,  oltre  tutto,  che  «NESSUNO  EDUCA  NESSUNO»  perché  nessuno  cresce  nessuno,  nep-­‐pure  lo  fiorisce,  né  lo  fruttifica,  né  lo  educa.  

 

¡  CRESCERE  NELLE  RELAZIONI  QUOTIDIANE:  relazioni  con  sé  stesso,  con  gli  altri,  con  «l’Altro»,  con  le  cose  –  visibili  e  coscienti,  ma  anche  occulte  ed  inconsce  –;  relazionarsi  sempre  meglio,  con  più  realtà,  con  maggiore  profondità  e  coscienza.  Tuttavia,  in  buona  misura,  più  che  stabilire  nuove  relazioni  occor-­‐re  avvertire  o  renderci  avvertire  o  renderci  conto  –  nel  senso  del  «portare  alla  luce»  della  maieutica  socratica  –  della  tante  che  si  ci  precedono  e  nelle  quali  già  eravamo  immersi  prima,  benché  senza  saperlo,  senza  esserne  cosciente.  

   

u  ORIZZONTE   COGNITIVO   (conoscere   critico)   SOCIALE   («verificare»   le   relazioni)   E  MORALE   (maturare   le  scelte)  DELL’EDUCAZIONE:   la  conoscenza  della  realtà  ci  trasporta  ad  un  sapere  critico,  non  mera-­‐mente  acquisito  perché  saputo  e  dispensato  come  una  proprietà;  la  prospettiva  sociale  riguar-­‐da  l’evento  sempre  relazionale  con  cui  si  forma  la  persona  umana;  l’orizzonte  morale  si  rifà  ad  un’educazione  nella  quale  abbiamo  a  che  fare  con  persone  che  vivono,  crescono,  si  sviluppano  –  oppure,   all’opposto,  marciscono  e  perdono   la   loro  vita  –  grazie  a  decisioni  proprie  e   libere,  che  ognuno  valuta  alla  luce  del  proprio  giudizio  sul  bene  e  sul  male.  

u   «CAMMINO   EDUCATIVO»   –  APERTURA,   CONOSCENZA   E   BUON  RAPPORTO   CON   IL  MONDO  –:   1/  Aprire  ogni  persona  al  mondo  affinché  nessuno  inventi  la  realtà  a  misura  dei  propri  filtri  ed  interessi,  ma  sia  in   grado   di   accoglierla   rispettandola   e   ascoltando   la   sua   voce   (aprire   gli   occhi   e   il   cuore   per  prendere  coscienza  della  realtà  effettiva);  2/  Mostrare   il  massimo  possibile  della  realtà  per  arri-­‐vare  a  conoscere  tutto  quanto  avvolge  la  vita  delle  persone,  senza  chiuderci  ed  abituarci  al  pic-­‐colo  mondo  che  ci  circonda;  3/  Stabilire  una  buona  relazione  col  mondo:  benché  critico,   il  rap-­‐porto  con  la  realtà  non  può  condurre  all’evasione,  all’inganno  o,  peggio  ancora,  alla  perdita  del-­‐la  speranza,  ma  deve  portare  ad  una  relazione  con  la  vita  e  col  mondo  che  cerchi  di  trascendere  sia  la  vita  che  il  mondo  o,  con  altre  parole,  un  cammino  dove  la  persona  arriva  a  sentirsi  prezio-­‐sa  nonostante  si   sappia   finita  perché  riesce  ad   identificarsi  con  valori  che   la   trascendono  e   la  superano.    

   

 

4.2. Cittadinanza:  affrontare  le  sfide  della  vita  collettiva    

¡  CI  EDUCHIAMO  «HIC  ET  NUNC»:  le  provocazioni  che  ci  sfidano  sono  perciò  concrete,  anche  se  arrivano  dall’esterno  e  dal  mondo  interno.  Non  è  superfluo  ricordarci  che  affrontare  non  equivale  a  risolve-­‐re:   tra  ogni   sfida  e   la   sua  soluzione  esistono  molte  altre  cose.  La  più   importante  corrisponde  alla  presa  di  coscienza  (coscientizzazione),  segue  poi  la  verbalizzazione.  

¡  LE  PAROLE  (linguaggio)  DANDO  FORMA  E  CONTENUTO  A  TUTTO:  il  cardine  della  crescita  umana  consiste  nel  nominare   la   realtà,   nel   «disporla   in   segni»,   in-­‐segnarla   oppure   tacitarla   (poi   sarà   anche   possibile  «simbolizzarla).  Enunciare  si  avvicina  a  creare  e  a  modellare,  mentre  tacere  o  ridurre  al  silenzio  con-­‐danna  alla  non-­‐esistenza  (oggi:  «crimine  perfetto»!).  

   

u  Cittadinanza  cosmopolita  e  responsabile  ¡  Dignità  universale,  diritti  umani,  giustizia  e  COMPASSIONE.  ¡  «Racconti»:  ALLEANZA  (Genesi),  CONTRATTO  (Leviatano)  e  COMUNITÀ  (Repubblica).  ¡  Persona,  COMUNITÀ  e  società  civile  —  etica,  politica  e  RELIGIONE.  

 

 

4.3. «Educar–ci»:  progetto  e  metodo,  itinerario  e  processi  educativi    

«Educar–ci»  presuppone   il  passaggio  dalla  progettazione  alla  programmazione  e,   soprattut-­‐to,  determinare  con  chiarezza  il  metodo  (didattica  generale  e  didattica  «in  atto»  o  metodo  concreto  dell’educare   nell’ambito   specifico   della   pastorale   o   della   catechesi).   Viene   poi   l’itinerario   e   i   corri-­‐spondenti  «processi  educativi».    

¡  DIDATTICA  (generale)  o  «METODOLOGIA  EDUCATIVA»:  1/  La  didattica  e  il  linguaggio  centrati  sul  contenuto  procedevano  in  modo  assai  lineare:  il  contenuto  oggetto  di  informazione  veniva  presentato  o  spie-­‐

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Cittadini e cristiani

gato  nel   linguaggio  ritenuto  migliore  (la  non  comprensione  doveva  attribuirsi,  essenzialmente,  all’  insufficienza  del  destinatario);  2/  La  teoria  dell’apprendimento  dirà  poi  che   l’insufficienza  degli  uo-­‐mini  è  dovuta,  soprattutto,  ad  una  cattiva  organizzazione  della  società…:  in  ogni  persona,  esistono  energie  vitali  fondamentali  che  consentono  di  raggiungere  livelli  di  comprensione  più  elevati  o  an-­‐che  sempre  più  elevati;  3/  Accanto  a  queste  due  polarità,  si  può  avanzare  una  terza  tesi  –  nuova  di-­‐dattica   –   che   riguarda   il   rapporto   tra   dinamismi   psicologici,   ecc.   (cioè   apprendimento),   società-­‐cultura  (cioè  contenuti)  e  impegno–metodo  (cioè,  linguaggi,  forme  procedurali  e  «scelte»).  

 

�  DIDATTICA  CONCRETA:  metodo  narrativo.    

«IRC» e processi educativi: identità, relazioni ed «esperienze di senso»  

Or

izzo

nte

 

Relazioni

CON  NOI  STESSI   CON  GLI  ALTRI   CON  LE  COSE   CON  DIO  COGNITIVO          SOCIALE  (CULTURALE)          ETICO  («VOLONTÀ»)          

         

 

�  BIBLIOGRAFIA    

   J.L.  MORAL,  Ricostruire  l’umanità  della  religione.  L’orizzonte  educativo  dell’esperienza  religiosa,  LAS,  Roma  2014.     ID.,  Giovani  e  Chiesa.  Ripensare  la  prassi  cristiana  con  i  giovani,  ELLEDICI,  Leumann  (TO)  2010.     ID.,  Giovani,  fede  e  comunicazione.  Raccontare  ai  giovani  l’incredibile  fede  di  Dio  nell’uomo,  ELLEDICI,  Leumann  (TO)  2008.    

Materiali per la riflessione e il dialogo   M 1 Azione di Dio e azione dell’uomo Dualismo (immanenza e trascendenza)    

u  AZIONE  DI  DIO  E  AZIONE  DELL’UOMO    

Per   cominciare:   esiste   una   «mentalità   interventista   e  miracolistica»  che   impregna  la  vita  e   la  pietà  di  non  poche  persone  e  comunità  cristiane.  Lo   si   può   verificare   nel   clima   di   certe   celebrazioni   o   forme  di   preghiera   e  culto  (per  non  parlare  della  struttura  interna  e  i  rapporti  intra-­‐ecclesiali)  che  rivelano  un  interventismo  carico  di  «segni  dualistici»  –  mi  si  consenta  questa  scarna  e  polarizzata  descrizione  –:  noi  che  siamo  qui  (sulla  terra),  e  Dio  che  sta   «là»   (in   cielo)  misteriosamente   vicino   alle   nostre   sofferenze,   ma   real-­‐mente  appartato  e  lontano;  e  proprio  per  questo  (e  anche  perché  si  tratta  di  un  Dio  che  può  far  tutto),  gli  chiediamo  che  si  interessi  a  noi  e  sistemi  le  nostre  cose.  Tali  credenze  spontanee  si   rafforzano,   in  seguito,  con   letture  ingenue   delle   narrazioni   bibliche,   a   loro   volta   profusamente   alimentate   e  diffuse  da  una  letteratura  religiosa  tradizionale  che  suscita  una  valutazione  piuttosto   negativa   di   questa   vita   (terrena),   accettata   con   rassegnazione  nell’attesa  dell’altra  (celeste).  

�  «ESPERIENZE  di  autotrascendimento»  (autotrascendenza).  �  «IDENTITÀ»:  educazione  dell’intelligenza  e  della  volontà.    

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 u  DUALISMO  («immanenza  e  trascendenza»)  

 

Benché  possa  sembrare  un  argomento  superato,  tendiamo  a  considerare  la  religione  –  in  mo-­‐do  quasi  spontaneo  e  inevitabile  –  come  una  realtà  «che  viene  dal  di  fuori»,  da  parte  di  Dio,  un  qualco-­‐sa  di  celeste  che  si  sovrappone  ad  una  realtà  terrestre:  alla  ragione  si  aggiunge  «la  rivelazione»;  alla  vita  profana,  «il  sacro».  Una  volta  caduti  in  questa  logica,  gli  scivoloni  sono  inevitabili.  

Inizialmente,  ci  creiamo  due  mondi  o  zone:  una  sacra,  che  appartiene  a  Dio,  e  un’altra  profana,  di  nostra  proprietà.  Alla  prima  appartiene  tutto  ciò  che  è  «religioso»,  quanto  cioè  facciamo  diretta-­‐mente  per  guadagnarci  il  favore  di  Dio  e  per  ottenere  il  suo  perdono,  in  poche  parole,  ciò  che  riguar-­‐da  la  salvezza.  Nella  seconda  zona  si  muove  la  nostra  vita  ordinaria  («profana»  o  esterna  al  tempio)  che,  in  fondo,  non  costituisce  un  grande  interesse  per  Dio  e  che,  addirittura,  sarebbe  meglio  negare  o  «sacrificare»  (sacrum  facere,  e   trasformarla  così   in  sacra).  Gli  errori  derivanti  dall’immaginare  questi  due  mondi  separati  –  sacro  e  profano  –,  con  le  loro  ri-­‐spettive   sfere  –  quella  di  Dio  e  quella  dell’uomo  –  ci  portano  a  credere  che  gli  interessi  delle  persone  non  coincidano  con  quelli  di  Dio.  Senza  contare  che,  por-­‐tando  questo  dualismo  alle   sue  estreme  conseguen-­‐ze,  arriviamo  direttamente  ad  un  pericoloso  tranello:  poiché   per   quegli   interessi   che   non   coincidono   con  quelli   di  Dio  dobbiamo  chiedere   il   suo  aiuto  e   la   sua  protezione,  Egli  –  da  parte  sua  –  potrà  esigere  che,  di  tanto   in   tanto,   rinunciamo  ai   nostri   interessi   per   ab-­‐bracciare   i   suoi…   e   questo   lo   porterebbe   ad   essere  non  tanto  amico  dell’uomo,  quanto  una  specie  di  an-­‐tagonista,  dato  che  per  arricchire  Lui,  necessariamen-­‐te  dobbiamo  impoverire  noi  stessi.   M 2 Alleanza, contratto, comunità: Persona, comunità e società civile; politica, etica e religione    

L’esistenza  contiene  sempre,  da  una  parte,  la  paura  profonda  di  scoprire  che  «tutto  sia  cau-­‐sale»,   o  peggio   che   «tutto   sia   assurdo»   e,   d’altra,   un  desiderio   non  meno  profondo  di   infinito   e  di  eternità,  di  amore  e  di  libertà,  di  felicità.  

La  cultura  attuale,  a  modo  suo,  manifesta  il  desiderio  di  conoscere  la  genesi  delle  cose,  no-­‐nostante  che   il  passare  del   tempo  abbia  nascosto   troppo   i   simboli  antichi  e   la  possibilità  della   loro  traduzione  nell’oggi.  Per  guarire  da  questa  malattia  dovuta  all’azione  del  tempo,  occorrono  almeno  due  antidoti  concreti:  adoperare  una  prospettiva  educativa  maieutica  e  ricuperare  memoria.  

 

I  processi  e  gli  itinerari  di  educazione,  in  fondo,  non  consistono  nell’introdurre  una  qualcosa  dall’esterno  all’interno  delle  persone,  bensì  nell’aiutare  a  «renderci  conto»,  a  dare  alla   luce  l’intimità  più  profonda  di  ogni  essere  umano.  Cosi  come  Socrate  –  mediante  la  parola  e  praticando  l’arte  della  madre   (maieutikê:   levatrice)   aiutava   a   nascere   quanto   già   stava   dentro   l’interlocutore,   il   rapporto  educativo  (esterno)  porta  alla  luce,  mediante  un  processo  di  riconoscimento  e  appropriazione  (inter-­‐no),  l’umanità  inviolabile  di  cui  è  portatore  ogni  essere  umano  […].  

Perché   la   vita   personale   deve   essere   vincolata   a   gruppi   e   alla   società?   Perché   non   possiamo  prescindere  dalla  politica,  dall’etica  e  dalla  religione?  

La  risposta  migliore  si  trova  nell’ambito  della  narrazione  simbolica.  Nella  storia  dell’Occiden-­‐te,  infatti,  esistono  due  racconti  che  esprimono  con  particolare  chiarezza  le  dimensioni  irrinunciabili  dell’essere  umano  e  nel   contempo   ci  mostrano  palesemente   le   forme   (anche  queste   irrinunciabili)  della  vita  delle  persone.  Mi  riferisco  alla  Genesi  del  libro  della  Bibbia  –  quale  racconto  dell’alleanza  e  

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del  «riconoscimento  reciproco»  –  e  al  Leviatano  di  Hobbes  –  dove  la  parola  creatrice  è  il  «contratto».  Pian  piano,  sfortunatamente,  la  seconda  storia  assorbe  la  prima  e  finisce  per  essere  l’unico  modo  di  comprendere  i  vincoli  umani;  questo  sbilanciamento  provocò  un  grave  smarrimento  nelle  tre  dimen-­‐sione  essenziali  dell’esistenza  delle  persone:  la  politica  perde  le  sue  radici  più  profonde,  l’etica  si  iden-­‐tifica  con  una  fragile  morale  dell’accordo  e  la  religione,  tante  volte,  si  trasforma  in  arma  di  lotta  o  in  semplice  diritto  canonico.  È  da  questo  panorama  che  emerge  un  terzo  racconto  o  forma  di  concepire  i  legami  fra  gli  esseri  umani:  il  repubblicanesimo  o  la  rinascita  della  narrazione  aristotelica,  nella  quale  la  comunità  politica  costituisce  la  base  di  qualunque  altra  forma  di  relazione,  la  «res  pubblica»  cioè  è  anteriore  a  qualsiasi  altra  forma  di  comunità.  

 

Hobbes  attribuisce  la  nascita  dello  Stato,  la  nascita  della  comunità  politica,  al  sorgere  di  un  contratto  fra   individui   liberi  con  capacità  per  sottoscriverlo.  La  comunità  politica,  quindi,  non  si  pla-­‐sma   in  modo  naturale,   come  pensava  Aristotele.   Vale   a   dire,   gli   esseri   umani   non   sono  per   natura  animali  politici.  Lo  Stato  si  crea  artificialmente,  è  una  specie  di  mostro  –  il  Leviatano  –,  un  «uomo  arti-­‐ficiale»,  ma  di  maggior  statura  e  robustezza  che  il  naturale:  l’anima  che  dà  vita  a  questo  nuovo  corpo  è  la  sovranità;  i  nervi  sono  la  ricompensa  e  il  castigo,  che  obbligano  a  compiere  la  legge;  i  suo  potere,  la  ricchezza;  il  suo  lavoro,  la  salute  del  popolo.  Il  Leviatano,  inoltre,  poggia  su  un  contratto  interessa-­‐to  che  favorisce  l’individualismo  egoista,  la  ragione  calcolatrice  e,  insomma,  la  mercantilizzazione  del-­‐la  vita  comunitaria.  

La   Bibbia,   nella   Genesi,   non   si   riferisce   a   un   contratto,  ma   al  mutuo   riconoscimento:   non  narra   di   un   patto,  ma   dell’alleanza   fra   quelli   che   prendono   coscienza   della   loro   identità   umana.   Si  apre  così  la  strada  di  ciò  che  adesso  chiamiamo  «personalismo  dialogico».  A  partire  da  questo  vicen-­‐devole   riconoscimento   di   base,   il   motore   della   relazione   non   può   essere   l’interesse-­‐per-­‐sé,   ma   la  compassione   (patire   cum);   neanche   sarà   la   forza   esterna,   imposta   coattivamente,   ma   piuttosto   il  senso  interiorizzato,  assunto  personalmente,  di  identità,  lealtà,  dovere  e  reciprocità.  

 

Entrambe  le  storie  sono  vere  e  complementari;  tutte  e  due  devono  essere  raccontate,  ep-­‐pure,  negli  ultimi  due  secoli,  la  parabola  dell’alleanza  è  passata  in  secondo  piano,  fino  a  rimanere  pra-­‐ticamente  nell’oblio.  Il  contratto,  invece,  si  è  trasformato  da  semplice  mezzo  per  interpretare  la  for-­‐mazione  dello  Stato  e   il  meccanismo  del  mercato,  a  chiave  esplicativa  di  ogni   istituzione  sociale.  Lo  stesso  repubblicanesimo  diventa  repubblicanesimo  liberale,   leggendo  l’aristotelico  «per  natura»  nel  senso  di  patto  umano.  Davanti  a  tale  situazione,  nel  secolo  scorso,  si  organizza  l’alternativa  del  «mo-­‐vimento  comunitario»  che,  tra   i  suoi  obiettivi  fondamentali,  persegue   il  rafforzamento  della  società  civile,  superando  così  il  discorso  liberale  per  incentrare  la  vita  sociale  sulla  questione  dei  diritti  e  do-­‐veri  vicendevoli.  

 �  PERSONA,  COMUNITÀ  E  SOCIETÀ  CIVILE    

Ci   troviamo  allora   con   tre   sfondi   –  «Genesi-­‐alleanza»,  «Leviatano-­‐contratto»  e   «Repubblica-­‐comunità»  –  in  cui  situare  le  diverse  dimensioni  o  forme  della  vita  umana  (etica,  politica  e  religiosa).  Anzitutto,  tutte  e  tre  le  prospettive  sono  necessarie:   l’alleanza  non  è  autosufficiente,  poiché  rischia  di  dimenticare  l’autonomia  senza  la  quale  è  facile  che  la  giustizia  venga  calpestata;  altrettanto  insuf-­‐ficiente  è  il  contratto,  giacché  le  sue  radici  si  alimentano  del  riconoscimento  reciproco;  e  neanche  la  comunità  basta  da  sola,  dal  momento  che  anche  i  legami  contrattuali  dei  doveri  e  dei  diritti  rimanda-­‐no  alle  fonti  del  senso,  ai  fondamenti  della  vita  comunitaria.  Quando  si  dimentica  l’importanza  della  complementarietà  delle  spiegazioni,  troviamo,  per  esempio,  che  le  generazioni  a  cui  nessuno  ha  nar-­‐rato  il  racconto  delle  fonti  –  delle  radici  o  dei  fondamenti  del  riconoscimento  mutuo  che  si  scoprono  nell’alleanza  –,  finiscono  per  chiedersi  perché  sia  necessario  il  rispetto  e  la  collaborazione  fra  tutti,  e  per  non  trovare  risposta  […].  

   

�  POLITICA,  ETICA  E  RELIGIONE    

La  società  civile  e  la  politica  trovano  il  loro  senso  nel  riconoscimento  reciproco;  tuttavia,  po-­‐litica  e  società  richiedono  anche  contratti  e  patti.  La  combinazione  di  alleanza,  contratto  e  patto  ser-­‐

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ve  poi  per  sviluppare  le  tre  dimensioni  delle  persone,  altrettanto  concatenate:  la  dimensione  politica,  quella  etica  e  quella  religiosa.  

Indubbiamente   la  questione  centrale  della  «ragione  pratica»  moderna  –  perché  da  essa  di-­‐pende  l’articolazione  fra  politica,  etica  e  religione  –  si  gioca  tra  alleanza,  contratto  e  patto.  Contrat-­‐tualismo  e  patti  sono  la  «cifra»  della  cultura  democratica  contemporanea  e  non  possiamo  fare  a  me-­‐no  di   introdurre  educativamente   le  nuove  generazioni   in  questo  ecosistema  moderno,  che   richiede  un  clima  di  dialogo  e  discussione  argomentale;  così  come  non  possiamo  esimerci  dall’aiutarle  a  com-­‐prendere  che  l’alleanza  (il  riconoscimento  mutuo  delle  persone)  è  il  presupposto,  il  fondamento  del  contratto  sociale  e  di  ogni  accordo  politico.  

Se  la  politica  rimanda  al  contratto  e  al  patto,  e  l’alleanza  costituisce  l’humus  e  il  progetto  vi-­‐tale  della  religione,  l’etica,  dal  canto  suo,  si  trova  fra  l’alleanza  e  il  contratto.  In  altre  parole:  le  norme  concrete,  i  codici  etici  delle  diverse  sfere  sociali  (per  esempio:  bioetica,  genetica,  ecoetica,  infoetica,  ecc.)  si  stabiliscono  tramite  accordi  e  successivamente  al  relativo  processo  di  dialogo  e  deliberazione,  ma  i  principi  e  i  valori  che  gli  danno  senso  e  legittimità  non  sono  oggetto  di  negoziazione  […].  

I  movimenti  della  politica  e  dell’etica  sono  assai  diversi  da  quelli  propri  della  religione.  Con  essa,  anzitutto,  ci  mettiamo  sul  terreno  dell’alleanza  (per  questa  ragione  non  c’è  dubbio  che  la  reli-­‐gione  si  snatura  e  si  perverte  quando  viene  utilizzata  come  piattaforma  di  potere  oppure  come  arma  da  guerra).   Il   riconoscimento  reciproco  mette   le  persone  davanti  all’obbligo  dell’alleanza  (anzi,  per  noi  cristiani,  davanti  all’immensità  della  grazia  e  del  dono,  davanti  alla  gratuità  di  chi  si  sente  debitore  per  la  sovrabbondanza  del  cuore.  Grazia  e  gratuità,  dono  e  sovrabbondanza  che  erompono  nel  rac-­‐conto  della  Genesi  e,  più  ancora,  nel  Vangelo  di  Gesù…  dato  che  la   legge  venne  per  Mosè,  ma  fu   il  Cristo  a  portarci  la  grazia,  il  dono  della  salvezza).  

Nelle  nostre  società  laiche,  da  una  parte  non  c’è  futuro  per  una  religione  puramente  reatti-­‐va,  in  quanto  ci  vuole  una  religione  proattiva;  dall’altra,  abbiamo  bisogno  di  normalizzare  il  fatto  reli-­‐gioso.  Se  la  politica  deve  essere  laica  –  non  laicista  né  confessionale  –,  la  religione  dipende  in  buona  misura  dai  credenti  capaci  di  mostrare  che  hanno  tra   le  mani  qualcosa  di  realmente  prezioso  per   la  vita  individuale  e  collettiva.  Sarà  anche  importante  far  sì  che  l’appartenenza  ad  una  comunità  creden-­‐te  sia  considerata  del  tutto  normale,  come  una  delle  forme  possibili  della  cittadinanza  differenziata.  

Ebbene,  la  religione  dovrà  trasferire  le  sue  risorse  di  senso  alla  società,  ma  non  potrà  farlo  se  non  rispettando  le  procedure  normative  della  legittimità  culturale  e  democratica.  E  neppure  sarà  sufficiente,  nel  caso  nostro,  favorire  la  crescita  e  la  maturazione  di  cristiani  responsabili:  contempo-­‐raneamente,  si  dovrà  fortificare  la  loro  cittadinanza  con  la  stessa  esigenza  di  responsabilizzazione  nei  confronti  degli  impegni  sociali  e  politici.  

 J.L.  MORAL,  Ricostruire  l’umanità  della  religione.  

L’orizzonte  educativo  dell’esperienza  religiosa,  LAS,  Roma  2014,  224-­‐233.    

Sassari, 17-18 aprile 2015.