A proposito di Carbon copy

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A Mariangela 13 aprile 2007 “…faccio richiesta di avere un confine…” Ho letto il tuo Carbon copy e poi lo ho riletto segnandomi varie immagini su cui torno ancora. L’esercizio è appunto quello di ricomporre - dalle parole - immagini che mediamente riferisco al lavoro tuo che conosco e di cui conservo, persino qui, varie tracce. Annovi parla di inquietante stato di low definition del reale. La vita interagisce con gli oggetti, il corpo e i gesti si misurano con gli spazi. Il progetto si svolge minimale. L’azione è effettivamente chirurgica per l’attenzione ossessiva rivolta al dettaglio e per la coscienza che non vi sia alcuna prospettiva (piano? riscatto? via d’uscita?) fuori da un sistema di particolari ben disposti e compresi. Per questo mi sembra davvero essenziale tenere una bassa definizione. Liberare le circostanze di ogni sovraccarico e di effetti speciali di qualsiasi natura, puntando, oltre che all’essenziale, a quella condizione un po’ primaria e archetipica che in genere mette in condizione di comprendere più di qualsiasi superfetazione linguistica o visiva. Certamente il percorso della riduzione costante libera consentendo l’ammissione estrema del non volere più nulla (che parrebbe la soluzione…). Ma il suono e la parola – entrambi nel tuo testo – intervengono, richiamando all’ordine della fatalità della rottura con il privilegio dell’afasia. Risospingendo però al consueto salto nell’ignoto (detto così, per il gusto giocoso della drammatizzazione) ma anche al confronto col movimento del tempo. Riavviato e fuori controllo: appena misurato dalla partitura su cui evolvono suoni e parole. Va bene, funziona il tuo Carbon copy, così come parecchie delle “cose” che hai fatto e sono state per me significative proprio nella funzione di mostrarmi o evocarmi riferimenti. Il tuo Cc ancora una volta mi mette a fronte di qualcosa che non è troppo visibile, ho trascurato o rimosso, o forse nemmeno esiste. Ecco, suono e parola per accedere all’invisibile! Una pratica però contraddetta ora dai linguaggi o dagli iperlinguaggi che caratterizzano l’offerta e il progetto orientati al reale ed all’iperreale di qualsiasi media. Ma questo avvia ancora un altro film… Quanto tempo possiamo ancora dedicarci? Oltre all’indagine c’è spazio per un progetto di rappresentazione? E comunque, hai già bevuto la malvasia che ti ho lasciato? Come si è comportata? Trasparente e piena il giusto? Ha difetti? Aspetto notizie. Un segno. Un abbraccio, Giovanni

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Lettera di Giovanni Nicolini a Mariangela Guatteri sul libro Carbon copy [Cc]

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Page 1: A proposito di Carbon copy

A Mariangela13 aprile 2007

“…faccio richiesta di avere un confine…”

Ho letto il tuo Carbon copy e poi lo ho riletto segnandomi varie immagini su cui torno ancora.L’esercizio è appunto quello di ricomporre - dalle parole - immagini che mediamente riferisco al lavoro tuo che conosco e di cui conservo, persino qui, varie tracce.

Annovi parla di inquietante stato di low definition del reale.La vita interagisce con gli oggetti, il corpo e i gesti si misurano con gli spazi.Il progetto si svolge minimale. L’azione è effettivamente chirurgica per l’attenzione ossessiva rivolta al dettaglio e per la coscienza che non vi sia alcuna prospettiva (piano? riscatto? via d’uscita?)fuori da un sistema di particolari ben disposti e compresi.

Per questo mi sembra davvero essenziale tenere una bassa definizione.Liberare le circostanze di ogni sovraccarico e di effetti speciali di qualsiasi natura,puntando, oltre che all’essenziale, a quella condizione un po’ primaria e archetipicache in genere mette in condizione di comprendere più di qualsiasi superfetazione linguistica o visiva.

Certamente il percorso della riduzione costante libera consentendo l’ammissione estrema del non volere più nulla (che parrebbe la soluzione…).Ma il suono e la parola – entrambi nel tuo testo – intervengono, richiamando all’ordinedella fatalità della rottura con il privilegio dell’afasia. Risospingendo però al consueto salto nell’ignoto (detto così, per il gusto giocoso della drammatizzazione) ma anche al confronto col movimento del tempo. Riavviato e fuori controllo: appena misurato dalla partitura su cui evolvono suoni e parole.

Va bene, funziona il tuo Carbon copy, così come parecchie delle “cose” che hai fattoe sono state per me significative proprio nella funzione di mostrarmi o evocarmi riferimenti.Il tuo Cc ancora una volta mi mette a fronte di qualcosa che non è troppo visibile, ho trascurato o rimosso, o forse nemmeno esiste.Ecco, suono e parola per accedere all’invisibile! Una pratica però contraddetta ora dai linguaggi o dagli iperlinguaggi che caratterizzano l’offerta e il progetto orientati al reale ed all’iperreale di qualsiasi media. Ma questo avvia ancora un altro film…

Quanto tempo possiamo ancora dedicarci? Oltre all’indagine c’è spazio per un progetto di rappresentazione?E comunque, hai già bevuto la malvasia che ti ho lasciato?Come si è comportata? Trasparente e piena il giusto? Ha difetti?Aspetto notizie. Un segno.

Un abbraccio, Giovanni