A passo d’uomo editore ediciclo · 2020-04-22 · Fabrizio Ardito Le Vie di Francesco Un cammino...

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A passo d’uomo 9|

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Fabrizio Ardito

Le Vie di FrancescoUn cammino di spirito e natura

tra Firenze, Assisi e Roma

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Nota dell’Autore

Nel corso degli anni, ho percorso diversi tratti della Via di Francesco più volte. Quindi anche alcuni degli incontri descrit-ti in queste pagine hanno avuto luogo in periodi diversi. Ma mi è sembrato giusto non scendere in dettagli riguardo alle date per lasciare più spazio a una visione itineraria della Via che, comunque, riflette esattamente le mie impressioni e sensazioni di oggi.

redazione e impaginazione: esagramma

cartografia: enrico raoul neri

grafica: vanessa collavino

Prima edizione: marzo 2020

© ediciclo editore s.r.l.via cesare beccaria, 7 - portogruaro (ve)tel. .77 - fax .

[email protected]

È vietata la riproduzione totale o parziale, effettuata con qualsiasi mezzo. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del % di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. , commi e , della legge aprile 9 n. .

ISBN: 97--9-- ediciclo editore

In ricordo di Orietta,vice mamma di un gruppo

di scapestrati e giovanissimispeleologi dei bei tempi andati.

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Introduzione

They call me the breeze,I keep blowing down the roadI ain’t got me nobody,I ain’t carrying no heavy load.

J.J. Cale, Call Me the Breeze

Un passo alla volta, senza fretta, con il vento che soffia sulla strada. Tra radici sporgenti e pietre chiare, bran-delli d’asfalto e sentieri polverosi. All’ombra di grandi foreste antiche oppure sotto ai raggi del sole d’estate, nella nebbia fredda del primo mattino o sotto le raffi-che oblique di una pioggia d’autunno. Le lunghe vie si costruiscono poco alla volta – lo sanno bene tutti i cam-minatori – e la fretta non è mai una buona consiglie-ra. La fatica va dosata e tenuta a bada con esperienza e parsimonia: non c’è nulla di più lontano da un exploit sportivo di una giornata trascorsa con lo zaino lungo la strada. Alla stanchezza si può rimediare in molti modi: facendo stoicamente finta che non esista (fino a un cer-to punto) oppure concentrando l’attenzione sul paesag-gio, chiacchierando con un compagno di viaggio o so-

suo mondo, dove tutto è riconciliato perché tutto parla della bellezza e grandezza di Dio e dell’umanità che ama. Camminare con fratello Francesco ci aiuterà a essere fra-telli di tutti, universali.

E alla fine del cammino? «Condivisione, accoglienza, povertà, amore per il creato sono state le cifre della sua storia e vita, insieme a una durezza spigolosa e una dedi-zione quasi maniacale che spesso dimentichiamo ma che colpirono profondamente i suoi conoscenti, amici o nemi-ci che fossero» scrive Fabrizio. Sì, alla fine troveremo di più noi stessi e sapremo vedere nelle strade che percorria-mo la presenza che spiega il mistero del nostro cammino.

«E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori quan-do ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fra-granza! Subito ricordava la bellezza di quell’altro Fiore il quale, spuntando luminoso nel cuore dell’inverno dalla radice di Iesse, col suo profumo ritornò alla vita migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori, si fermava a predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione, allo stesso modo le messi e le vi-gne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque cor-renti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare il Signore. E finalmente chiamava tutte le crea-ture col nome di fratello e sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro, perché aveva con-quistato la libertà della gloria riservata ai figli di Dio».

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stando (alla buon’ora), all’ombra di un albero ombro-so fino a che i battiti non rallentino il loro passo, il fia-to torni a essere normale, il sudore si sia asciugato del tutto.

Attorno, quasi per magia, il paesaggio cambia vol-to ed è proprio la lentezza del cammino che permette di cogliere appieno le sue variazioni: al posto delle cupe co-nifere appaiono i faggi lucidi di muschio, poi gli assolati olivi e le ginestre, infine i salici e gli ontani amanti dell’u-midità e della frescura. Tra i piedi il calcare grigio segue la breccia, poi la roccia rosa del Subasio annuncia già le scure pietre della Valnerina. Colli e valichi, cascate, fiu-mi e ruscelli, laghetti e vette segnano sulla mappa della mente i luoghi fondamentali del cammino: sono solo mi-nuscoli punti immateriali sulle carte o sulle app topogra-fiche, ma la loro realtà tangibile sta tutta nel ricordo del-la salita, discesa o faticata fatte per raggiungerli. E più è stato duro e lungo l’impegno, più chiaro rimarrà il ricor-do della meta raggiunta, assaporata, e poi subito abban-donata alle spalle, senza rimpianto. La bellezza di una camminata lunga diverse settimane, com’è quella dedi-cata al ricordo di Francesco d’Assisi, sta nei minuscoli punti quotidiani e nelle ampie e inconsuete dimensioni complessive, sia nel tempo che nello spazio. Nei singoli momenti – belli, brutti, così così, non si sa – che segnano le giornate per strada e nella dimensione totale della Via stessa che, per più di 450 chilometri, ci porta senza incer-tezze e senza patemi d’animo dal silenzio de La Verna al caos sconcertante della città più bella (e malandata) del

mondo, sdraiata e sbracata senza vergogna sulle sponde del suo – un tempo – biondo Tevere.

Sulle motivazioni profonde del cammino – una delle po-che “mode” del terzo millennio che mi sento di appro-vare e consigliare senza remore – sono stati citati profon-di filosofi e scrittori, grandi poeti e medici, fisiatri, die-tologi e arguti pensatori in cilindro e panciotto. Ognuno di noi potrà scegliere le sue frasi preferite sfogliando li-bri, compilation di citazioni o pagine mistiche/profonde (e spesso un po’ confusionarie) sulle multiformi pagine del web dei camminatori.

Le mie motivazioni, per quello che contano, sono fon-damentalmente tre.

Perché sono affascinato dall’insieme di storie e di sto-ria, di arte e di tradizioni, di architettura e di paesaggio che un lungo cammino unitario offre ai suoi adepti affaticati.

Perché mi trovo a mio agio in un ritmo di vita tran-quillo e abbastanza silenzioso, mai affrettato e mai ansio-so, talvolta faticoso ma sempre portatore di un piacevole riposo al termine di ogni lunga giornata (e anche estre-mamente favorevole alla riflessione, all’approfondimento del pensiero, al confronto con chi ci arranca vicino, die-tro o davanti).

Infine perché penso che sia difficile scovare un’altra attività umana durante la quale sia più facile incontrare gli altri: non nel senso di incrociarli o andarci a sbatte-re contro. Ma incontrare nel senso di conoscere, apprez-zare, stimare.ediciclo edito

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Fateci caso: le tre qualità che apprezzo di più di un lungo cammino sono tutte e tre decisamente fuori mo-da, poco stimate e marginali, nelle tendenze della nostra epoca che dettano un andazzo brutale, sbrigativo e faci-lone nei rapporti col mondo, con le idee e tra le persone. Motivo, questo, che me le fa stimare e coccolare sempre di più, anche (come avrebbe detto probabilmente san Francesco) per l’avanzare della Sorella Vecchiezza che, poco alla volta, a furia di camminarmi alle spalle mormo-rando, mi sta raggiungendo a larghi passi.

Seguendo i passi di Francesco

Allora l’uomo di Dio partì da Roma con i suoi fra-telli, dirigendosi all’evangelizzazione del mondo. Era pieno di meraviglia nel vedere realizzato con tanta facilità il suo desiderio.

Leggenda dei tre compagni

C’è una prima grande differenza tra la Via di Francesco (e le sue diverse varianti) e il Cammino di Santiago, che per tutti i pellegrini di oggi – volenti o nolenti – è deci-samente il capostipite dei cammini moderni. Lo storico Camino Francés, che collega i Pirenei con la Galizia, si snoda lungo un tracciato ben riconoscibile nelle sue linee generali perché ha conservato sul territorio centinaia di tracce della sua esistenza secolare. Chiese di pellegrinag-gio e antichi ospizi per viandanti, austeri cruceiros sorti per indicare la via e ponti edificati per permettere ai pe-regrinos di raggiungere sani e salvi la meta a piedi asciut-ti. La rinascita del grande percorso spagnolo è stata, da questo punto di vista, “facile” perché il nuovo itinerario ha ricalcato i segni e le descrizioni del passato che ci so-no giunte grazie agli scritti di decine di cronisti, viaggia-ediciclo edito

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tori e devoti in marcia. Assai differente è stata la nasci-ta – infatti in questo caso non si può parlare di rinasci-ta – delle vie francescane, che non ricalcano un itinerario specifico di pellegrinaggio, stratificato dalla storia e ce-lebrato dall’arte e dall’architettura. Ma collegano, muo-vendosi tra valli e montagne di Toscana, Romagna, Um-bria, Marche e Lazio, luoghi che sono stati importanti o fondamentali nella vita e nella predicazione di France-sco. Questo non vuol dire che un tracciato di questo ge-nere abbia un significato o un valore minore, tutt’altro. Significa solo che l’idea di comporre un mosaico dei sen-tieri di Francesco non ha mai avuto una base geografica e topografica indiscutibile e univoca, come è avvenuto sul-la strada principale per Compostela (base che però han-no molto meno, a ben vedere, molti dei cammini “mino-ri” diretti verso Santiago in terra di Spagna). Quindi la Via di Francesco è una “invenzione” moderna, nata dal-le idee e dalle intuizioni di diverse persone (alcune le in-contreremo nelle pagine di questo libro), e dal fortissimo obiettivo di creare un cammino di fede e di spiritualità che fosse il più possibile corrispondente al ricordo della figura del santo, alle sue peregrinazioni, al suo predicare di borgo in borgo nel cuore dell’Italia medievale. Queste caratteristiche delle vie dedicate a Francesco hanno fatto sì che, in mancanza di una scansione di tappe unica, at-torno ad alcuni luoghi chiave siano nati itinerari legger-mente diversi tra loro o varianti. Tutti degni di rispetto anche se più o meno frequentati.

Non sappiamo se il santo di Assisi abbia mai percor-

so esattamente il sentiero che oggi collega Roma alla sua città natale o viceversa, ma siamo certi che molti dei luo-ghi che incontriamo per via abbiano visto e ricordato il suo passaggio. Le fonti francescane sono fitte di indica-zioni geografiche e quindi è facile segnare su una cartina conventi, santuari, eremi o chiesette isolate dove France-sco è certamente passato, da solo oppure in compagnia dei suoi primi frati.

Oggi, la Via di Francesco è un cammino con un’ispi-razione e una suggestione fortissime: provate a chiedere a un qualunque cittadino europeo (e non solo) se ha sen-tito parlare di san Francesco e avrete risposte chiare e af-fermative, anche se spesso variegate e differenti tra loro. Cosa che certamente non accade se (non me ne voglia il non sempre bonario apostolo Giacomo), nel cuore dei cammini spagnoli, proverete a porre la stessa domanda a un baldo camminatore italiano (o tedesco, danese, corea-no...) usando però come soggetto Santiago.

La grande potenza evocativa, unita all’ecceziona-le bellezza e varietà dei territori attraversati e dei bor-ghi, paesi e castelli che s’incontrano per la strada, so-no quindi due elementi fondamentali per spiegare il suc-cesso dei cammini francescani. A cui però ne va aggiun-to un altro, non meno significativo. Chi cammina oggi in Castiglia o Navarra incontra monumenti eccezionali na-ti a causa dell’esistenza e della fortuna secolare del pel-legrinaggio giacobeo. Che poi in parte sono stati abban-donati e spesso hanno cambiato uso e funzione, divenen-do scuole, alberghi lussuosi o municipi. Chi si avventu-ediciclo edito

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ra seguendo i passi di Francesco ne incontra altrettanti, ma con una differenza: molti dei luoghi dove i frati pre-dicarono e vissero sono ancora oggi abitati dai france-scani o dai religiosi che, per secoli, hanno tenuto sem-pre vivo il ricordo dell’epopea spirituale del santo um-bro. Chi ha fede, avrà modo di conoscere gli eredi diret-ti della predicazione di Francesco e chi non crede tro-verà comunque un segno fortissimo di continuità stori-ca e spirituale che ci collega direttamente ai lontani de-cenni del XIII secolo. Resta il fatto che Francesco è sta-to decisamente un santo “universale”, come ebbi la for-tuna di apprendere in un lontano passato, sorseggiando un caffè all’ombra nello splendido Parco della Badia Fie-solana, dalle parole di un grande uomo di dialogo, Erne-sto Balducci. Che infatti nel suo libro dedicato a Fran-cesco ha scritto: «Bene scrisse il ministro generale frate Elia nella lettera enciclica con cui dava notizia della mor-te di Francesco: “Era vera luce la presenza del fratello e padre nostro Francesco non solo per noi che gli eravamo compagni nella medesima professione di vita, ma anche per quelli che gli erano lontani”. Non so di quale altro santo si possa dire, come di Francesco, che egli non ap-partiene ai credenti, appartiene agli uomini. Per rendere conto della straordinaria presenza di Francesco d’Assisi nella memoria dell’umanità non basta chiamare in cau-sa l’apparato propagandistico della chiesa cattolica, biso-gna per forza ricorrere ai misteriosi processi delle affini-tà elettive con i quali l’umanità nel suo cammino collo-ca nell’orizzonte del suo dover essere coloro nei quali è ediciclo edito

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possibile vedere, come in uno specchio, il senso recondi-to del proprio destino».

Grandissimi camminatori, Francesco e i suoi frati. Che si muovevano tra colli e foreste vestiti di un umile sa-io e rigorosamente a piedi nudi, coprendo però distanze lunghissime e camminando spediti, spesso allietati dalla predicazione o dal cantare in francese del santo di Assi-si. Che ripeteva le romanze apprese durante la sua giovi-nezza trascorsa tra gli spensierati “ragazzi bene” di Assi-si. Su e giù per crinali e tratturi, i frati si spostavano per predicare da un borgo all’altro, da un castello al succes-sivo. In un paesaggio in cui certamente le foreste erano più estese di oggi e dove molte erano le differenze, an-che a causa di temperature probabilmente più alte del-le medie degli ultimi secoli (esistono centinaia di studi su questa situazione climatica, conosciuta come MWP, cioè Medieval Warm Period, o periodo caldo medievale). Per esempio la conca reatina, all’epoca di Francesco, era al-lagata per motivi legati allo smaltimento delle acque del Velino, e veniva attraversata spesso su barche dal fondo piatto invece che camminando tra le pietre e i pascoli del fondovalle. Ma, qualunque sia stata la realtà del clima, i primi francescani furono camminatori per necessità (vi-sta l’epoca che non offriva molte alternative) ma anche per scelta. Scrisse infatti Francesco nella Regola bollata: «...consiglio poi, ammonisco ed esorto i miei frati nel Si-gnore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo... non debbano cavalcare se non siano costretti da eviden-

te necessità o infermità...». Comunque, marciatori sen-za paura e senza limiti: tra i viaggi più misteriosi che le tradizioni tramandano c’è anche quello lungo la via ver-so Santiago, che probabilmente Francesco affrontò tra il 1213 e il 1215. Non se ne sa molto ma, secondo Franco Cardini, il pellegrinaggio potrebbe essere avvenuto dopo una grande vittoria della Cristianità sugli eserciti dei mo-ri di Spagna. «Il 16 luglio 1212, a Las Navas de Tolosa, tra Andalusia e Castiglia, un esercito crociato alla guida del quale era Alfonso VIII di Castiglia insieme con allea-ti aragonesi, navarrini, portoghesi e con gli Ordini mili-tari di Santiago e Calatrava aveva sbaragliato gli almoha-di del califfo Muhammad al-Nasir» scrive infatti lo stori-co nelle pagine del suo Francesco d’Assisi. Ed è probabi-le che la notizia di questo trionfo si fosse sparsa per tutta l’Europa dando nuovo slancio al pellegrinaggio compo-stellano. Una volta raggiunta la mitica tomba di Giaco-mo, Francesco ebbe però dei problemi di salute che pro-babilmente gli impedirono di proseguire verso sud, per raggiungere il Marocco dove aveva in mente di predicare la fede cristiana (o di affrontare il martirio). Risparmian-dogli un percorso non facile, attraverso l’intera Andalu-sia ancora saldamente in mano ai califfi e ai loro eserci-ti. Storia a parte, il viaggio (se mai è avvenuto) fu sicura-mente difficile e soprattutto lungo: basta provare a chie-dere alle onnipresenti mappette di Google la distanza tra Assisi e Santiago de Compostela per scoprire che, tra an-data e ritorno, si tratta (oggi come allora) di camminare per circa 4300 chilometri...ediciclo edito

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Un cammino, due direzioni

Altra notevole anomalia della Via di Francesco è che questo percorso, che molti (soprattutto gli stranieri) se-guono decisamente in direzione nord-sud – cioè da Fi-renze/La Verna verso Roma – viene descritto da diversi autori come la somma di due differenti tracciati. Il primo (Cammino del Nord) scende dall’Appennino fino ad As-sisi mentre il secondo (Via di Roma o Cammino del Sud) lascia alle spalle la capitale per concludersi, anch’esso, ad Assisi. Le ragioni di questa particolarità sono due, e di ordine differente. La prima è ovvia: Assisi era ed è tutto-ra il centro del culto, della tradizione e della storia fran-cescana, quindi appare logico che i pellegrini dirigano i loro passi verso la città e la tomba del santo. A fianco della Basilica Inferiore di Assisi si trova infatti la Statio Peregrinorum, l’ufficio francescano che rilascia il Testi-monium, cioè l’attestato di avvenuta percorrenza a piedi della Via, mutuato dalla celebre Compostela di Santiago. La seconda ragione ha probabilmente più a che vedere con il marketing turistico che con la fede: già che sono stati gli enti pubblici umbri a lavorare con maggiore de-terminazione sulla promozione della Via, in questo modo il risalto dato ad Assisi e alla Valle Umbra appare mag-giore. Fatto sta che chi decide di camminare seguendo le orme di Francesco può scegliere tra queste due ipotesi, entrambe interessanti e piacevoli. Cui si affianca anche l’itinerario ideato e promosso precedentemente da Ange-la Seracchioli – “Di qui passò Francesco” – che, una vol-

ta raggiunti i conventi della valle reatina, tralascia la Sa-bina e Roma per dirigersi, con un secondo itinerario a sé stante, verso l’antico e venerato santuario di San Miche-le Arcangelo, sulle rocce del Gargano.

Un attimo ancora, prima di metterci in viaggio

Era uomo facondissimo, di aspetto gioviale, di sguardo buono, mai indolente e mai altezzoso. Di statura piutto-sto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po’ ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, soprac-ciglia dritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e pene-trante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uni-ti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba ne-ra e rara, spalle dritte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, ma-gro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissi-ma. Nella sua incomparabile umiltà si mostrava buono e comprensivo con tutti, adattandosi in modo opportuno e saggio ai costumi di ognuno.

Tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco d’Assisi

Cammino dei piedi e del corpo, la Via di Francesco, ma anche (come avrebbe potuto essere altrimenti?) dello spirito. Il fenomeno dei moderni pellegrinaggi – o forse ediciclo edito

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sarebbe più corretto dire dei moderni cammini per non usurpare una definizione che descrive qualcosa di più che il moto uniforme dei camminatori – mi è sempre ap-parso un fantastico e curioso mistero. Sempre più per-sone si mettono in viaggio, a qualunque età, con mezzi e passi diversi, spinte da qualcosa che è molto difficile de-finire. Ma che comunque è divenuto sempre più impor-tante, quasi vitale. Mi ha molto colpito un’affermazione di Paolo Caucci von Saucken, storico, grande esperto dei cammini di pellegrinaggio, animatore della Confraterni-ta di San Jacopo di Perugia, che ha sostenuto in diversi convegni: «...le buone cose nuove fatte dall’Europa Uni-ta sono state sostanzialmente tre: l’Erasmus, Ryanair e i Cammini». In questo quadro, cercando di trovare qual-che bandolo utile per afferrare i fili della matassa che compongono la Via di Francesco, mi è sembrata un’idea saggia quella di ascoltare Matteo Zuppi, cardinale e arci-vescovo di Bologna, che ho il piacere di conoscere da un bel numero di anni e che è, ovviamente, portatore di idee documentate e autorevoli su una delle ragioni fondamen-tali per mettersi in viaggio da La Verna a Roma: entrare in contatto con la figura di Francesco.

«Che Francesco sia stato un grande santo me ne so-no reso conto durante una bella giornata trascorsa a La Verna. Ho immaginato un uomo solo, che aveva preso su di sé le sofferenze di Cristo, un ricco che si era fatto po-vero e probabilmente era anche triste perché i suoi frati non facevano quello che lui pensava fosse giusto. Però lui aveva dalla sua la radicalità dell’amore: era un innamo-

rato e quindi non sentiva ragioni: voleva il Vangelo così com’è, sine glossa, ed era contrario a qualsiasi sistemazio-ne o normalizzazione». Uomo del Medioevo, come ricor-da il suo nome che deriva dai commerci con la Francia del padre, Francesco è anche stato altro. «Francesco era un poeta, che cantava in francese per i suoi frati» spie-ga Zuppi «e ho sempre trovato commovente il fatto che abbia scritto il suo inno alla creazione, Laudato sì, dopo essere divenuto cieco: è un’immagine che ci parla di for-za grandissima. Nel corso della sua vita, ha fatto un fon-damentale passo nella familiarità con la natura, per esse-re parte del Creato ed è significativo che un papa – che ha scelto il suo nome – sia legato strettamente all’encicli-ca che celebra l’ambiente e s’impegni per la salvaguardia della natura». Profondo e compassionevole, Francesco sapeva anche essere duro e intransigente con i suoi frati e con i suoi contemporanei, ricchi o poveri che fossero. «In una scena del film di Liliana Cavani dedicato a Fran-cesco si vede il santo che, di ritorno da un viaggio, tro-va dei frati che stanno mangiando con gusto e, probabil-mente, troppo. Allora si maschera da mendicante con il solo scopo di rendere chiaro il loro errore e di farli vergo-gnare. Ma d’altronde, a pensarci bene, la stretta Regola di Francesco era ed è quasi impossibile da rispettare sen-za amore, così come il Vangelo». Severo e profondo, ma anche duttile e pratico, secondo l’idea di Zuppi. «Fran-cesco chiama fratello il lupo di Gubbio e ci va a parlare, gli dice “io lo so perché ti sei comportato male in questo modo”. Però al confronto segue la riconciliazione, tanto ediciclo edito

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che il popolo di Gubbio sarà triste e sconsolato quando il lupo, che era divenuto mansueto, morirà di vecchiaia. In parole povere: prima compassione, poi dialogo (anche duro), poi mediazione e infine accettazione del diverso». Santo della povertà e della rinuncia ai beni del mondo, anche della totale cancellazione del suo corpo, France-sco aveva ben chiaro cosa dev’essere la semplicità, sorel-la della povertà. «Riguardo alla semplicità, Francesco so-stiene che non è data dal vivere come capita o come vie-ne, ma è il frutto prezioso di un lavoro interiore che gli permette di vivere con poco e in sintonia con tutti. Sem-plicità, quindi, ma anche etica. L’economista Stefano Za-magni ha scritto che Francesco rappresenta il momen-to della nascita dell’economia moderna. Come a dire che la povertà di Francesco non ha l’obiettivo di distrugge-re il mercato, ma tende a far nascere un nuovo mercato, profondamente etico». Nella storia di Francesco, narrata dai suoi mille biografi, emergono spesso tracce di incom-prensione con la Chiesa o le sue gerarchie, ma per Mat-teo Zuppi la scelta è stata chiara: «Sempre fermo nell’ob-bedienza alla Chiesa: in complessi tempi di sette eretiche e di scismi, lui decise di rimanere nella Chiesa per po-terla cambiare poco alla volta dall’interno». Accettato e ammirato da tutti, credenti e laici, Francesco ha lasciato un’eredità fortissima, che ha i suoi punti forti nell’amo-re per la natura, nella semplicità e nel dialogo. «E queste qualità sono riconosciute universalmente da tutti, tan-to che indicare Assisi come città del dialogo è sembrata immediatamente a tutti una scelta ovvia e perfettamen-

te giustificata». Dopo aver parlato del santo che dà il suo nome alla Via che stiamo per affrontare, Zuppi conclude la nostra chiacchierata con un’affermazione chiara che, se ancora ce ne fosse bisogno, testimonia dell’importan-za del fenomeno del cammino nel nostro mondo moder-no: «Dobbiamo interessarci al successo dei grandi pelle-grinaggi come il Cammino di Santiago o la Via di Fran-cesco, perché lì ci sono le persone che stanno cercando, e che noi cerchiamo di incontrare».

Dopo quest’incontro, è venuto finalmente il momen-to di partire per il nostro viaggio verso sud, lasciando i panorami de La Verna, in direzione di Assisi e Roma. Sarà un lungo viaggio, pieno di sorprese e d’incontri...

...verso il mattino, egli ritorna in fretta alla volta di As-sisi, lieto e sicuro. Divenuto modello di obbedienza, re-stava in attesa della volontà di Dio.

Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maggiore

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