A mio padre - Specus Alchemicus · 2020. 3. 20. · (religione) di dottrine e rituali riservati ai...

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A mio padre

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  • A mio padre

  • ALESSANDRO BENATI

    DAI MISTERI ANTICHI ALLA

    SCUOLA DI MICHELE

    VOL. I

    Origine delle dottrine esoteriche: Egitto e Grecia

    2018

  • 4

    I volumi di questa collana sono il riadattamento in forma scritta di un

    ciclo di conferenze tenute a Padova tra novembre 2017 e marzo 2018.

    Un particolare ringraziamento a Franca De Rossi, per averlo reso

    possibile.

    Stampato in proprio

    nel mese di febbraio 2018

    con Kindle Direct Printing

    ISBN 9781977054548

  • 5

    SOMMARIO

    Introduzione 7

    Esoterismo 7

    Iniziazione 11

    Allegoria e simbolo 14

    Esoterismo dell’Antico Egitto 19

    Cosmogonia e Teogonia 19

    Il mito di Osiride 23

    Significati occulti del mito 28

    I Misteri nell’antica Grecia 33

    I principali Misteri Greci 34

    Misteri del Padre 35

    Misteri della Madre 36

    Misteri Ctonî 39

    Considerazioni alla luce dell’Antroposofia 43

    Perché partire dall’esoterismo egizio 43

    Ringraziamenti 51

  • 6

  • 7

    INTRODUZIONE

    Prima di affrontare i temi specifici di questa e delle altre

    conferenze che seguiranno, è opportuno definire alcuni concetti

    che verranno ripresi spesso durante questa e le altre conferenze

    del ciclo.

    Esoterismo

    Iniziamo con il termine “esoterismo”. Il dizionario Treccani

    riporta:1

    [derivato di esoterico]. – Carattere esoterico: l’esoterismo di

    una dottrina, degli antichi misteri. Più particolarmente,

    norma religiosa che vieta di rivelare, a chi non sia iniziato,

    certe parti segrete di un rito o di una dottrina religiosa.

    Come si può notare, il sostantivo deriva dall’aggettivo, che è

    appunto: esoterico. Infatti, secondo una storica tedesca, 2 il

    sostantivo sarebbe apparso per la prima volta nel 1792, nel

    contesto del dibattito sugli insegnamenti segreti di Pitagora e le

    origini della Massoneria.

    L’altra cosa che notiamo subito è che ha a che fare con gli

    antichi misteri e con l’iniziazione, di cui parleremo più avanti.

    1 http://www.treccani.it/vocabolario/esoterismo/ 2 Monika Neugebauer-Wölk, cfr. Antoine Faivre, in Western esotericism – A concise history, SUNY Press, NY 2010, Introduction, pag. 1.

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    Se ora guardiamo all’aggettivo da cui deriva, il dizionario

    Treccani riporta:3

    [dal latino tardo esoterĭcus, greco esōterikós, derivato di ésō

    “dentro”] – 1. (filosofia) dell’insegnamento riservato dagli

    antichi filosofi greci e specialmente da Aristotele ai soli

    discepoli. 2. (religione) di dottrine e rituali riservati ai soli

    iniziati, la cui conoscenza non è comunicata ai profani. 3.

    (per estensione) detto di ciò che può essere inteso solo dai

    più preparati: linguaggio esoterico.

    Andando all’origine del termine, vediamo che deriva dal verbo

    greco είσωθέω (eisotheo), che significa io faccio entrare; da cui

    il significato di «aprire una porta, offrire agli uomini la

    possibilità di penetrare nell’interiore attraverso l’esteriore;

    simbolicamente, è rivelare una verità nascosta, un senso

    occulto».4

    Questo concetto, che oggi verrebbe considerato quanto

    meno anti-democratico, era invece largamente accettato in

    epoca antica, quando l’anima e la coscienza degli esseri umani

    erano molto più ben disposte di oggi ad affidarsi alla saggezza

    delle cosiddette “guide”, fossero esse Rishi, filosofi, sacerdoti o

    condottieri.

    In antico non costituiva infatti scandalo considerare il popolo

    “ignorante” e soggetto solamente agli istinti, in

    contrapposizione ai saggi e agli iniziati, che nell’isolamento delle

    scuole misteriche trasmettevano oralmente ai propri adepti i

    segreti per il governo delle masse, la conduzione delle guerre o

    la conoscenza delle leggi di natura.

    3 http://www.treccani.it/vocabolario/esoterico/ 4 Cfr. Jean Marquès-Rivière, Storia delle dottrine esoteriche, Edizioni Mediterranee, Roma 1997, Introduzione, pag. 7.

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    Tale contrapposizione tra ciò che era considerato “esoterico”

    e ciò che, al contrario, era invece “essoterico” (o exoterico, cioè

    manifesto) si poteva ritrovare in ogni aspetto delle strutture

    sociali antiche. Ad esempio nella sua Accademia, Aristotele

    teneva lezioni esoteriche a cui erano ammessi solo gli allievi, e

    lezioni exoteriche, alle quali poteva partecipare chiunque.

    Anche le lingue dell’antichità riflettevano tale contrapposizione:

    si pensi ad esempio all’antico Egitto, in cui esisteva la scrittura

    geroglifica, fatta di simboli e usata dai sacerdoti e dai faraoni

    solo per scopi sacri, e quella demotica, per testi destinati al

    popolo, all’amministrazione e ai commerci.

    Il fatto che esistesse una tale demarcazione era anzi una

    domanda che proveniva dal popolo stesso, il quale non

    considerava un’ingiustizia il non essere ammesso ai Misteri.

    Anzi, questa distinzione di attribuzioni entro l’ordine sociale

    (che potremmo semplificare grossolanamente come: ai saggi la

    conoscenza e al popolo gli istinti) rispecchiava in realtà una

    concezione molto più profonda della società, intesa come

    «riflesso fedele dell’ordine cosmico».5 Secondo il principio di

    analogia, che pervadeva ogni aspetto del vivere, e che recita

    «come in alto, così in basso» 6 , la stabilità della società

    (microcosmo, il “basso”) era garanzia stessa dell’ordine del

    “macrocosmo”, che il popolo vedeva rappresentato

    allegoricamente nel pantheon della religione omerica. I miti

    greci sono infatti pieni di narrazioni in cui il popolo teme che

    una guerra iniqua o un disordine sociale qualunque possa

    turbare la pace dell’Olimpo, e scatenare quindi l’ira degli dèi.

    5 Ibid. 6 Cfr. Ermete Trismegisto, Tabula Smaragdina.

  • 10

    Pertanto, erano benvenuti gli uomini saggi, gli “iniziati alla

    magia del buon governo”, ovvero ai Misteri, poiché essi erano

    in grado non solo di garantire la pacifica e giusta convivenza, ma

    al contempo la pace nei cieli.

    La corrispondenza analogica tra il microcosmo e il

    macrocosmo è un tratto comune di qualunque scuola esoterica,

    e si trova anche alla base di una definizione recente di

    esoterismo. Nel 1992 Antoine Faivre,7 all’epoca titolare della

    cattedra di “Storia delle correnti esoteriche nell’Europa

    moderna e contemporanea” alla Sorbona, ha proposto che si

    definisca esoterica ogni dottrina e forma di pensiero che si basi

    sui seguenti quattro principi:

    – l’esistenza di una corrispondenza analogica tra il

    microcosmo e il macrocosmo (l’uomo e l’universo sono

    l’uno il riflesso dell’altro);

    – l’idea di una natura viva, animata;

    – la nozione di esseri angelici, di mediatori tra l’uomo e Dio,

    ovvero di una serie di livelli cosmici intermedi tra la

    materia e lo spirito puro;

    – il principio della trasmutazione interiore.

    A questi quattro principi fondamentali vanno aggiunti i due

    seguenti, considerati complementari:

    – la pratica della confluenza delle fonti dottrinali;

    – il principio della trasmissione iniziatica.

    Con questa definizione, è facile verificare come le principali

    espressioni del cosiddetto “esoterismo occidentale”, ad esempio

    alchimia, cabala e teosofia, vi ricadano. Curiosamente, altre

    7 Antoine Faivre (Reims, 5 giugno 1934) storico dell’esoterismo e ricercatore francese. È direttore emerito dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi.

  • 11

    grandi espressioni di ricerca esoterica, come la Massoneria, ne

    restano escluse.8

    In conclusione, dall’antichità ad oggi i termini esoterismo ed

    esoterico si riferiscono a quel patrimonio di conoscenze che non

    sono direttamente accessibili con i sensi o con i metodi della

    moderna scienza intellettuale e materialistica, e che ambiscono

    a fare luce sulle verità fondamentali dell’Uomo e del Cosmo,

    come espresso ad esempio in questa affermazione di Schuré:

    ...i sapienti e i profeti delle età più diverse sono venuti a

    conclusioni identiche nella sostanza, seppure dissimili nella

    forma, sulle verità fondamentali e finali, seguendo tutti lo

    stesso sistema dell’iniziazione interiore e della meditazione.9

    Ritornando nuovamente alla definizione Treccani, gli altri

    elementi che vengono citati sono gli antichi Misteri e

    l’iniziazione. Vediamoli in dettaglio.

    Iniziazione

    Riguardo agli antichi Misteri, o scuole misteriche, è importante

    sottolineare che, se si potesse ripercorre la storia dell’umanità a

    ritroso, è possibile ritrovare in tutte le civiltà che si sono

    succedute un anelito alla conoscenza delle verità fondamentali

    del Cosmo e dell’Uomo.

    Tale anelito poteva trovare soddisfazione proprio in queste

    scuole, a cui – come già detto – venivano ammessi solo quegli

    uomini e donne che, oltre a tale desiderio di conoscenza,

    possedessero anche determinate qualità psico-fisiche (come si

    direbbe al giorno d’oggi), tra cui la capacità di mantenere il

    silenzio assoluto sugli insegnamenti che vi ricevevano.

    8 Pur essendo stato lo stesso Faivre un massone, N.d.A. 9 Édouard Schuré, I grandi iniziati, Laterza, 1973, p. 10.

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    Al contrario, coloro che non vi erano ammessi, i cosiddetti

    profani (letteralmente coloro che stavano “pro fanum”, cioè

    “davanti al tempio”), degnavano della massima ammirazione e

    rispetto gli adepti di tali scuole, e consideravano anche il solo

    parlarne come qualcosa di pericoloso, non fosse altro per il fatto

    che da essi non trapelava alcuna notizia a riguardo. Si aggiunga

    anche che, generalmente, queste scuole si trovavano in luoghi

    distanti e isolati dalla città, e che i contatti con esse erano ridotti

    al minimo.

    Tutto questo, e le voci sulle terribili sorti che toccavano a chi

    avesse tradito i Misteri, contribuivano a circondare queste

    scuole di un’aura che oggi definiremmo appunto “misteriosa”!

    Attualmente, infatti, mistero significa qualcosa che non si

    spiega o comprende. La parola invece viene dal verbo greco

    μυεο, μυειν (müéo, müéin), che si usava, ad esempio, per

    descrivere le ferite quando si rimarginano, e in generale tutto

    ciò che si chiude. Successivamente indicò l’atto di chiudere la

    bocca per non essere costretto a parlare, ovvero non rispondere.

    Quest’ultimo significato è proprio ciò che in antico si intendeva

    comunemente per mistero: non tanto la inspiegabilità o

    incomprensibilità di una cosa (significato dato oggi), bensì il

    non volerne parlare, l’atto appunto chiudere la bocca nel

    momento stesso in cui la si vorrebbe aprire. Il mistero è tale

    perché deve restare segreto.

    Consideriamo allora in dettaglio l’atto di chiudere la bocca

    nel momento in cui, invece, si vorrebbe parlare. Esso

    corrisponde a un atto di volontà che si impone su quell’impulso

    dell’anima che invece indurrebbe a parlare. Questo fa

    comprendere come tale atto di volontà richieda necessariamente

  • 13

    forza. E fa anche immaginare quali qualità venissero ricercate

    negli adepti, e quali poi venissero coltivate.

    Gli adepti di tali scuole venivano pertanto chiamati mistés,

    ma in generale erano anche detti telesti, ossia “coloro che

    guardano alla meta”, in quanto avevano ricevuto la τελετή

    (teleté), termine con cui si indicava l’iniziazione, ma che

    letteralmente significa “lo scopo”, in greco τελος (télos), ossia

    la meta dell’intera evoluzione dell’uomo.

    Successivamente il verbo greco myeō è stato reso in latino

    con ineo, che significa “andare dentro”, che in un certo senso

    rende l’idea di conservare il segreto andando all’interno di sé, in

    modo che l’osservazione del più assoluto silenzio riguardo ai

    misteri diventi disposizione naturale dell’anima. Al contempo

    tale traduzione ha fatto però sparire tutti i significati relativi al

    télos. Infatti in epoca tardo-romana venne sempre più in uso il

    termine initiatione, derivato appunto dal verbo inire, che ha

    sostituito termini come telesti, teleté, ecc., e che ha assunto il

    significato attuale di “rivelare gradualmente qualcosa a

    qualcuno”. Non c’è dubbio che tra i significati della

    terminologia attuale e quelli del terminologia greca qualcosa sia

    andato perso.

    A prescindere dalle evoluzioni lessicali dei termini, in

    estrema sintesi, ciò che le antiche scuole iniziatiche insegnavano

    era che dietro agli enigmi della natura, del cosmo e dell’uomo,

    stanno cause ed esseri di natura esclusivamente spirituale, che

    possono essere indagate solo distaccandosi o elevandosi dalle

    normali condizioni di vita e coscienza.

    Se infatti all’improvviso si presentasse una divinità, nelle

    normali condizioni di coscienza – specialmente quelle

  • 14

    dell’uomo moderno – probabilmente nessuno sarebbe in grado

    di riconoscerla, come mirabilmente espresso da Paolo di Tarso:

    …videmus nunc per speculum et in aenigmate, tunc autem

    facie ad faciem.10

    Quello che essa è o che ha da dire potrebbe non sfiorarci

    minimamente, se non si entra nella disposizione d’animo

    esemplificata dal monito impresso sul tempio di Delfi: “Conosci

    te stesso!”. Solo accogliendo tale esortazione diventa allora

    possibile riconoscere la divinità e rispondere come si conviene:

    “Tu sei!”.

    Allegoria e simbolo

    Il linguaggio dell’esoterismo, così come tramandato dalla

    maggior parte delle correnti occidentali, è spesso velato e

    racchiuso entro simboli. Gli iniziati erano quindi chiamati a

    “decifrare” i simboli, schiudendone i concetti, affinché

    potessero diventare comprensibili e “operativi”.

    Per fare ciò si ricorreva a vari metodi, tuttora validi, quali

    l’osservazione, la contemplazione, la meditazione e qualsiasi

    altro mezzo che consentisse anzitutto di interiorizzare il

    simbolo. Una volta interiorizzato, e divenuto così operante

    entro l’anima dell’adepto, il simbolo poteva così “iniziare” a

    rivelare gradualmente i suoi significati, come un seme che si

    schiude e dà origine alla pianta.

    Tale prassi, di nascondere un significato più profondo o

    apparentemente non correlato con il discorso, durò ben oltre la

    chiusura dei Misteri, anzi, consentì ai contenuti di quelle scuole

    10 Cor I, 12: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia”.

  • 15

    di superare indenni le inside del tempo e giungere fino a noi.

    Ancora in epoca medievale, infatti, si era soliti dire:

    aliud dicitur, aliud demonstratur

    Lo stesso Dante, esorta i migliori intelletti, ossia gli iniziati, a

    fare attenzione a ciò che sta dietro al significato letterale dei suoi

    versi:

    O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,

    mirate la dottrina che s’asconde

    sotto ‘l velame de li versi strani.11

    Cos’è quindi un simbolo? Come si presenta? Come può

    essere interpretato? Per comprendere anzitutto il significato di

    simbolo è opportuno introdurre un altro concetto, ad esso

    molto simile, che è quello di allegoria.

    La definizione di allegoria del dizionario Treccani recita:

    [greco ἀλληγορία, composto di ἄλλος «altro» e tema di

    ἀγορεύω «parlare»]. – 1. Figura retorica, per la quale si

    affida a una scrittura (o in genere a un contesto, anche orale)

    un senso riposto e allusivo, diverso da quello che è il

    contenuto logico delle parole: le allegorie della «Divina

    Commedia». Diversamente dalla metafora, la quale consiste

    in una parola, o tutt’al più in una frase, trasferita dal concetto

    a cui solitamente e propriamente si applica ad altro che abbia

    qualche somiglianza col primo, l’allegoria è il racconto di

    una azione che dev’essere interpretata diversamente dal suo

    significato apparente. 2. Figurazione pittorica o plastica di

    un concetto astratto: l’allegoria della Calunnia, di Apelle e

    del Botticelli.

    Vediamo allora, come esempio, un’allegoria di Dante, che si

    trova proprio all’inizio della Commedia, nel I canto

    11 Dante, Commedia, Inferno, IX, 61-63.

  • 16

    dell’Inferno. Qui troviamo il celeberrimo passo in cui Dante

    incontra tre belve nella selva oscura. Esse sono una lonza (lince),

    un leone e una lupa.

    Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggiera e presta molto, che di pel macolato era coverta;

    e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

    Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino

    mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle

    l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone.

    Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse.

    Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame,

    questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza.

    E qual è quei che volentieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti i suoi pensier piange e s’attrista,

    tal mi fece la bestia sanza pace, che venendomi ’ncontro a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace.

    Il significato allegorico generalmente accolto è che le tre fiere

    che ostacolano il cammino del pellegrino Dante rappresentino i

    vizi. La lonza, dal pelo macchiato e dal corpo flessuoso, è il

    simbolo della lussuria, il primo dei cosiddetti “peccati di

    incontinenza”, che Dante attribuisce massimamente alla sua

    città, Firenze. Il leone rappresenta invece la superbia, ritenuta

    da Dante il principio di ogni male assieme all’invidi; infine la

    lupa, che rappresenta l’avidità degli uomini verso i beni

    materiali e verso gli onori, da cui sono affetti specialmente i

    governanti e gli ecclesiastici.

    L’allegoria nasce nel momento in cui il linguaggio simbolico

    perde la propria forma espressiva. Si pensi alle già citate forme

    di scrittura egizie: quella geroglifica, che trova corrispondenze

    con quella ideogrammatica cinese, era una forma di scrittura

    simbolica che era appannaggio esclusivo della casta sacerdotale

    per scopi esclusivamente sacri. La complessità dello strumento

  • 17

    di scrittura era di per se stessa garanzia che alcun contenuto

    esoterico potesse cadere in mani profane.

    Ma anche questa forma di scrittura si perse, per l’uso invalso

    tra i sacerdoti di preferirle quella ieratica, che traduceva in

    parole, i significati dei simboli geroglifici. La convergenza tra le

    due forme espressive si ha nel greco e in tutte le lingue di origine

    fenicia, compreso l’ebraico.

    Esistendo quindi un unico alfabeto e un’unica lingua, ecco la

    necessità di “dire una cosa con l’intento di significarne

    un’altra”, come afferma il motto latino citato pocanzi.

    Ancora nel Medioevo vediamo che i termini allegoria e

    simbolo rimangono sinonimi. La prima distinzione è apparsa

    attorno al Settecento, nel primo romanticismo, con Goethe: 12

    L’allegoria trasforma il fenomeno in un concetto e il

    concetto in una immagine, ma in modo che il concetto

    nell’immagine sia da considerare sempre circoscritto e

    completo nell’immagine e debba essere dato ed esprimersi

    attraverso di essa.

    Il simbolismo trasforma il fenomeno in idea, l’idea in una

    immagine, in tal modo che l’idea nell’immagine rimanga

    sempre infinitamente efficace e inaccessibile e, anche se

    pronunciata in tutte le lingue, resti tuttavia inesprimibile.13

    definizione che a nostro avviso rappresenta tanto la distinzione

    tra i due, che i singoli concetti.

    Sopra tutto ciò, rimane però il valore del simbolo come

    potenziale mediatore tra i diversi piani dell’essere: quello

    “volgare” dell’esistenza, in cui esso stesso si manifesta, e quelli

    12 Cfr. Umberto Eco, Scritti sul pensiero medievale, Bompiani, Milano 2012. 13 J. W. von Goethe, Maximen und Reflectionen, Lipsia 1926, 1.112 e 1.113.

  • 18

    superiori in cui vivono gli archetipi in esso racchiusi, come

    afferma Olimpiodoro:

    la potenza del simbolo è più grande della potenza degli

    uomini.14

    14 Olimpiodoro.

  • 19

    ESOTERISMO DELL’ANTICO EGITTO

    Cosmogonia e Teogonia

    Sebbene la religione egizia sia abbondantemente conosciuta nei

    suoi riti dagli storici, per l’innumerevole quantità di documenti

    e reperti che ci sono giunti, altrettanto non si può dire per i

    significati e gli scopi. Per tentare di comprenderli è

    fondamentale conoscere la cosmogonia, che è allo stesso tempo

    una teogonia, dato che le divinità nascono poco dopo che il

    mondo è stato creato.

    Secondo la tradizione egizia, in principio esisteva era solo un

    grande oceano primordiale, conosciuto con il nome di Nw

    (pronunciato Nun), entro il quale non esisteva alcuna forma di

    contrapposizione, dualismo o complementarietà: l’alto e il

    basso, il chiaro e lo scuro, la luce e l’ombra, la vita o la morte, il

    cielo e la terra, la presenza o l’assenza; nemmeno alcuna nozione

    di spazio e di tempo. Le acque di questo oceano circondavano

    un uovo cosmico. Entro l’uovo era contenuta tutta la vita.

    A questo punto Atum «stabilì nel suo cuore il desiderio di

    manifestarsi». Il grande mistero della creazione consiste nel

    passaggio dalla Potenza all’Atto, dall’invisibile al visibile,

    dall’Uno al molteplice, dall’assenza alla manifestazione. Il primo

  • 20

    impulso di questo passaggio consiste nella proiezione verso

    l’esterno dell’intimo desiderio del Creatore. I simboli di questa

    potenza creatrice sono diversi, a cominciare da quello del cuore,

    il vaso alchemico entro cui è contenuta tutta la vita – l’uovo

    cosmico stesso, mentre il risultato dell’atto creatore è il divenire,

    rappresentato dallo scarabeo Khepri, l’insetto alato che deve

    passare attraverso i tre stadi di: uovo – larva – ninfa.

    Fig. 1 – Da sinistra: vasi funerari a forma di cuore e gioiello a forma di

    scarabeo

    I tre stadi che vanno dal desiderio di manifestazione al

    divenire, si imprimono per così dire in maniera permanente

    nella natura di Atum, conferendole una natura ternaria o

    trinitaria, come espresso nell’ultimo verso di un inno tratto dal

    Libro dei Morti:

    Sono Khepri al mattino, Ra a mezzogiorno, Atum alla sera.

    Il mito della creazione prosegue dicendo che Atum (in

    potenza) come primo atto di manifestazione-separazione si levò

    al di fuori delle acque limacciose di Nun, sorgendo come una

    montagna piramidale, sulla cui sommità sbocciò un fiore di loto.

    L’uovo si dischiuse e dai petali fuoriuscì una grande Luce: Ra,

    che si contrappose alle tenebre e riportò il caos indistinto Nun

    a una condizione di inerzia. Questo fu il primo atto creativo: il

    dio nasce e si manifesta come altro da sé.

  • 21

    I papiri indicano poi che ciò avvenne per mezzo della Voce.

    Si noti l’analogia con il Logos del Vangelo di Giovanni e, ancora

    più calzante, con la Vha (o Vāc) dei Veda.

    Io sono colui che è venuto in esistenza in forma di Kheper,

    io sono divenuto il creatore di ciò che viene in esistenza,

    il creatore di ciò che venne in esistenza in tutti gli esseri dopo il mio esser diventato tutte le cose in molti esseri,

    esse furono create venendo fuori dalla mia bocca.

    In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

    Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

    In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;

    la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.

    Come secondo atto, Atum “sputò fuori” Shu, il principio

    maschile dell’Aria e dello Spazio. Quale terzo atto, “espettorò”

    Tefnet, il principio femminile del Fuoco, rappresentato da una

    donna con la testa di leonessa.

    A questo punto, la generazione diretta ebbe termine e

    iniziarono le generazioni “indirette”, compiute cioè dalle

    divinità nate da Atum stesso. Shu e Tefnet generarono un’altra

    coppia: Geb (la Terra) e Nut (il Cielo). E anche Geb e Nut si

    accoppiarono, suscitando però la gelosia di Atum, che scagliò

    una maledizione su Nut che non le avrebbe consentito di

    partorire in nessuno dei 360 giorni che componevano l’anno

    egizio. La dea, disperata, si rivolse allora al dio della saggezza

    Thoth, il quale architettò un elaborato stratagemma per farla

    partorire, che è curiosamente anche alla base del fatto che l’anno

    solare sia passato da 360 a 365 giorni.

    Esso consisté nello sfidare Khonsu, figlio di Atum, al gioco

    del senet, una specie di dama, avendo cura però di fissare come

  • 22

    posta in gioco un settantaduesimo della luce lunare di cui il

    giovane figlio di Atum era portatore. Ovviamente il saggio

    Thoth sconfisse il giovane Khonsu, ed ottenne quanto pattuito.

    Tutto ciò, in realtà, implicò l’aver guadagnato tempo, in quanto

    in Egitto, come in molte culture antiche, questo veniva misurato

    proprio con le fasi lunari, di cui il giovane Khonsu era signore.

    Quindi Toth vinse un settantaduesimo dell’anno lunare di 360

    giorni, e cioè cinque giorni extra, che donò subito a Nut perché

    ella potesse dare alla luce i figli avuti da Geb. Per tale ragione

    poi, quei cinque supplementari vennero considerati come un

    periodo di festa.

    In quei giorni Nut poté quindi partorire i suoi figli: il primo

    giorno nacque Osiride, il secondo Seth, poi Iside ed infine Nefti.

    Questa quarta e ultima generazione divina (teogonia) si

    distinse dalle precedenti per il fatto che se le prime tre possono

    considerarsi come un movimento di manifestazione “dall’uno al

    molteplice”, questa ultima rappresenta invece il ritorno “dal

    molteplice all’uno”, a causa del ruolo fondamentale che

    assumerà Osiride, come sarà chiaro dopo l’esposizione del mito

    sulla sua morte e resurrezione.

    In sostanza, la cosmogonia egizia, in accordo con le altre

    culture che l’anno preceduta come ad esempio quella indiana,

    descrive un cosmo che prende forma da un processo di

    manifestazione e sdoppiamento dell’unità che giunge però solo

    fino a un certo grado di molteplicità, oltre il quale inizia poi un

    processo inverso di riassorbimento, come è possibile riscontrare

    in questa iscrizione:

    Sono l’Uno che si trasforma in Due

    Sono il Due che si trasforma in Quattro

  • 23

    Sono il Quattro che si trasforma in Otto

    E dopo ciò sono l’Uno.15

    In questo modo si completa la più nota delle enneadi teologiche

    dell’antico Egitto, la cosiddetta Grande Enneade eliopolitana,

    dal nome della città di Eliopoli, presso i cui santuari era venerata

    e conosciuta, e che fu di ispirazione per molte teologie

    successive anche di altre culture.

    Demiurgo (l’uno)

    Râ, il sole creatore

    e maschio, e femmina

    Prima coppia

    ↓ Maschile ↓ Femminile

    Shu (l’aria) + Tefnet, (l’umidità),

    sua sposa

    Seconda coppia Geb (la terra) + Nut (il cielo), sua

    sposa

    Terza coppia Osiride + Iside, sua sposa

    Quarta coppia Seth (il Caos), fratello di Osiride

    + Nefti (la morte), sua sposa

    Tab. 1 – Enneade eliopolitana

    Il mito di Osiride

    Ai fini dell’indagine sull’esoterismo egizio, è fondamentale

    parlare del mito di Osiride.

    Osiride è il dio-uomo. Generato dal Demiurgo-Atum, gli

    viene affidata la speciale funzione di “maestro” degli uomini: a

    lui infatti sono attribuite le principali abilità e scienze umane

    quali l’agricoltura, la metallurgia, l’allevamento e anche la

    scrittura. Egli è sacro e santo e il suo nome è ineffabile o almeno

    impronunciabile, come riporta anche Erodoto:

    15 Sarcofago di Petamon, Cairo.

  • 24

    C’è anche, a Sais, il sepolcro di colui di cui, in siffatta

    occasione, non ritengo pio pronunziare il nome. Si trova nel

    santuario di Atena, dietro il tempio, contiguo per tutta la

    lunghezza del muro.16

    Osiride è sposato con sua sorella Iside, e questa coppia

    rappresenta la guida ancestrale nei confronti della quale il

    popolo egizio è debitore della propria civiltà, come possiamo

    ritrovare in molte tradizioni ancestrali, ad esempio in quella

    cinese; il parallelo con Fu Xi e sua sorella Nüwa è infatti

    sorprendente.

    Fig. 2 – A sinistra: la coppia Osiride- Iside; a destra: Fu Xi e Nüwa

    Essi sono spesso rappresentati come esseri aventi la parte

    superiore del corpo umana, mentre la parte inferiore di serpente

    o di drago, spesso avvinghiati tra loro. Lui regge una squadra e

    lei un compasso. Ad essi sono attribuite tanto l’origine di tutte

    le conoscenze umane, che la stessa discendenza dell’umanità

    intera.

    Così come Fu Xi è considerato il primo imperatore della

    mitica dinastia dei Tre Augusti, anche Osiride è considerato il

    16 Erodoto, Storie, Libro II, 170.

  • 25

    primo faraone-dio, a cui dopo varie vicissitudini – narrate

    proprio dal mito – seguirà il primo faraone uomo (o forse è il

    caso di dire semi-dio), Menes il Tinnita, che tradizionalmente

    dà inizio alle dinastie regali.

    Il mito-tragedia di Osiride narra che Nefti, sorella di Osiride

    e sposa di Seth-Tifone, anch’egli fratello di Osiride, decise un

    giorno di porre fine al proprio dolore, causato dalla sterilità del

    marito e dal carattere decisamente intemperante di questi,

    stabilendo che avrebbe dovuto avere un figlio a tutti i costi.

    Attraverso l’inganno, assumendo le sembianze della sorella

    Iside, si presentò di notte ad Osiride con il vino, allo scopo di

    farlo ubriacare e giacere di conseguenza con lui senza che lui

    potesse accorgersi del tranello.

    Così accadde e Nefti rimase gravida e partorì poi Anubi, il

    dio dalla testa di sciacallo, preposto al controllo dell’oltretomba.

    Quando Seth scoprì l’accaduto, la sua collera aumentò a

    dismisura, soprattutto quando Osiride, dovendo partire per un

    lungo viaggio in tutto l’Egitto con lo scopo di portare progresso

    e civiltà alle genti, stabilì che Iside avrebbe governato in sua

    vece, durante la sua assenza. Seth si sentì umiliato e tradito dal

    fratello al punto da pianificare di ucciderlo.

    Prima che il fratello partisse, indisse un grande banchetto in

    suo onore, nel quale mise in palio tra i partecipanti un grande

    sarcofago di legno finemente intagliato e ornato: chiunque fosse

    stato in grado di infilarvicisi dentro lo avrebbe ricevuto in dono.

    In molti provarono, ma Seth lo aveva costruito in modo tale

    che solo Osiride potesse entrarvi dentro. Quando il dio vi entrò,

    colmo di gioia per il fatto che ora il fratello glielo avrebbe

    dovuto donare, Seth si scagliò sul coperchio e chiuse Osiride nel

  • 26

    sarcofago, dando poi ordine ai suoi servitori di legarlo con funi

    e catene e gettarlo in fondo all’Oceano.

    E così accadde. La cassa galleggiò tra le onde, venendo

    trasportata fino alle coste di Byblos, dove s’incastrò tra le radici

    di un enorme tamerice che il re di Byblos aveva notato e

    desiderava abbattere per utilizzarla come pilastro nel suo

    palazzo.

    Nel frattempo, Iside cominciava a preoccuparsi per l’assenza

    del marito mentre sua sorella Nefti, collegando la cassa costruita

    dal marito con l’accaduto, le confidò i suoi timori. Iside allora

    partì alla ricerca della cassa che conteneva il marito, sperando

    di ritrovarlo ancora vivo. Con l’aiuto di sua sorella Nefti, dopo

    lunghe peregrinazioni e dopo aver perlustrato ogni angolo di

    terra e di mare, riuscì a individuare il sarcofago che giaceva

    inosservato tra le radici del grande albero di Byblos.

    Iside, allora, si trasformò in colomba per poter osservare

    indisturbata gli uomini del re che si stavano avvicinando al

    tronco del tamarisco per abbatterlo, senza essersi minimamente

    accorti della cassa incastrata nelle radici. In seguitò, quando gli

    uomini ebbero segato il tronco e trasportatolo a palazzo, la dea

    assunse le sembianze di un’ancella che portava in dono profumi

    e unguenti sublimi, e si presentò alla regina Nemano, moglie del

    re di Byblos, con lo scopo di attirarne l’attenzione.

    Giunta quindi al cospetto della regina, riuscì nel suo intento

    a tal punto che questa le affidò le cure del proprio figlio appena

    nato. La dea, riconoscente, pensò di celebrare un rituale che

    avrebbe reso il piccolo un immortale. Una notte prese quindi il

    bimbo dalla culla e lo portò nei giardini dove, acceso un fuoco

    su di un braciere, pronunciò le parole magiche e poi depose il

    neonato sui carboni ardenti, senza che questi soffrisse o

  • 27

    tantomeno piangesse. La regina Nemano, però, a causa

    dell’insonnia, pensò di fare una passeggiata e passò proprio nel

    punto in cui la dea che stava gettando il suo adorato bambino

    sulle braci roventi.

    Appena vide la scena la regina corse angosciata verso Iside e

    le strappò il bimbo di mano. La dea tentò di giustificarsi invano,

    e alla collera crescente della regina decise di sciogliere

    l’incantesimo che la faceva sembrare un’ancella e si mostrò nella

    sua vera essenza divina. La regina a quel punto si prostrò

    costernata ai piedi della dea, implorandola di perdonare la sua

    incredulità: che le chiedesse pure qualsiasi cosa avesse

    desiderato.

    Iside, compassionevole, colse l’occasione per raggiungere lo

    scopo della sua presenza in quel luogo, indicando alla regina il

    tronco di tamerice, dove ancora si trovava incastrata la cassa

    contenente suo marito.

    Finalmente la dea riuscì a mettere le mani sul sarcofago dove

    suo marito era stato rinchiuso, e piena d’ansia si accinse ad

    aprirla con la massima cautela, ma quando l’aprì scoprì che i

    suoi timori erano fondati: Osiride era morto!

    Disperata, decise allora di riportare il corpo in Egitto, per

    fargli avere la sepoltura degna di un re, e una volta giunta in

    Egitto, per timore che Nefti o Seth potessero compiere qualche

    altra follia, vegliò il cadavere giorno e notte. Mentre stava

    vegliando il marito morto, le si avvicinò Toth proponendole di

    riportare in vita Osiride per mezzo della magia. Il dio della

    saggezza le spiegò che erano necessari una serie di balsami ed

    ingredienti, e che ci sarebbe stato anche bisogno della

    partecipazione di altre divinità in qualità di assistenti, poiché si

    trattava di un lavoro lungo e complicato. Iside ascoltò

  • 28

    attentamente le disposizioni di Toth, quindi ritornò a pregare

    davanti al corpo di Osiride, attendendo con ansia il momento

    cui si sarebbero potuti riabbracciare. Ma la gioia di questa attesa

    si tramutò in orrore quando si accorse che il corpo era stato

    trafugato. Seth aveva approfittato del suo colloquio con Thoth

    per rubarlo e portarlo lontano.

    Il dio del caos aveva intuito il piano del dio della saggezza e

    della magia, e mosso da una furia incontenibile, smembrò il

    corpo di Osiride in quattordici pezzi che sparpagliò per tutto

    l’Egitto, certo che né Iside, né alcun altro sarebbe stato in grado

    di recuperarli. Una di queste parti, il fallo, cadde nel Nilo e

    venne divorata da un pesce e non fu quindi mai più recuperata.

    Tutti gli dei, mossi a compassione dalla triste vicenda del

    corpo mutilato di Osiride, si misero alla disperata ricerca delle

    tredici parti rinvenute vennero ricomposte ed Iside, sfinita e

    disperata, chiese a Thoth di aiutarla a dare una sepoltura

    definitiva ai resti di Osiride. Il dio della conoscenza si apprestò

    dunque ad eseguire il primo rituale di mummificazione di tutti

    i tempi. Da questo rituale di ricomposizione del cadavere

    nacque così il figlio tanto desiderato di Iside e Osiride, il dio

    Horus, che sarà colui che vendicherà il padre uccidendo Seth.

    Osiride venne così mummificato e pianto in tutto quanto

    l’Egitto. Gli dèi, che assistettero commossi e impotenti alla

    manifestazione di dolore e devozione nei confronti di Osiride,

    visto che questi aveva regnato con giustizia e bontà, decisero che

    sarebbe dovuto risorgere, e al contempo lo posero a capo del

    Duat, il regno dei morti, affinché con la stessa saggezza

    giudicasse le anime dei morti. Questo è il mito, la cui

    drammaturgia veniva celebrata nei templi egizi, come riporta

    anche Erodoto:

  • 29

    Viene rappresentata di notte presso questo lago la sua passione,

    con mimi che gli Egiziani chiamano misteri. Io ne conosco ogni

    minimo particolare; ma osserverò religioso silenzio. E osserverò

    religioso silenzio – tranne per quanto non sia empietà il parlarne

    – anche sulla festa di Demetra chiamata dagli Elleni

    Tesmoforie.17

    Significati occulti del mito

    Osiride diviene il dio dei vivi e dei morti, il dio dei Misteri per

    antonomasia, colui che dopo aver guidato l’umanità sulla Terra,

    sperimenta la morte e la resurrezione; quindi l’iniziato. Il suo

    simbolo è il famoso pilastro djd di Busiride (trascritto dad o

    zed), che ha suscitato le più disparate interpretazioni.

    Fig. 3 – Varie rappresentazioni dello zed e spina dorsale

    In realtà il djd è la colonna vertebrale umana, organo occulto

    importantissimo per le tradizioni della fisiologia mistica; è

    l’«albero della vita» della Cabala, è la Kundalini delle tradizioni

    vediche.

    In ogni epoca la fisiologia occulta ha attribuito un enorme valore

    a quegli esercizi meditativi che implicavano centri situati lungo

    17 Ibidem, 171.

  • 30

    la colonna vertebrale; Osiride, Signore dell’Iniziazione e

    Principe degli adepti, era quindi simboleggiato dal centro

    fisiologico iniziatico dell’uomo.

    La leggenda di questo dio sta alla base di tutto

    l’insegnamento esoterico e dell’iniziazione egizia, come

    confermano anche gli storici dell’epoca. Dice ad esempio

    Diodoro che: «Iside inventò il rimedio che dona l’immortalità».

    L’aspetto iniziatico era quindi legato a quello medico, ma non

    nel senso che noi oggi diamo a questo termine: in antico infatti

    scienza e culto religioso erano unite in un’unica scienza, che era

    scienza dello spirituale nel senso più ampio.

    Gli iniziati ai misteri di Osiride accettavano allora che venisse

    loro applicato questo rimedio, ma per fare ciò, subir e cioè la

    «osirizzazione» e quindi «divenire Osiride», dovevano subire

    delle prove terribili di morte simbolica, per poi poter rinascere

    come dèi. Per chi ha conoscenza della Massoneria, non sarà

    difficile verificare come alcuni aspetti dell’elevazione al grado di

    Maestro non siano che pallidi echi delle antiche iniziazioni

    egizie.

    Nei rituali l’iniziato doveva praticare le abluzioni e le

    purificazioni prima di poter essere ammesso al cospetto della

    statua del dio, A questo punto avviene l’importante cerimonia

    detta della «apertura degli occhi e della bocca» del dio, che

    diventa così una statua «vivente».

    Il significato di questa cerimonia, che ha una interessante

    analogia con il rituale dell’effatà 18 ancora oggi praticato nel

    18 Effatà significa «Apriti», ed è la parola pronunciata da Cristo nella guarigione del sordomuto, in Mc 7,31-35.

  • 31

    sacramento del Battesimo cristiano, era quello di restituire al dio

    morto, rappresenta restituire alla statua il suo cuore e il suo Ka.

    Questo rituale ha a che vedere con la concezione di

    resurrezione e reincarnazione profondamente radicata nella

    cultura egizia. Dice infatti Erodoto: i primi a parlare di un’anima

    immortale nell’uomo sono stati gli Egiziani. Dice infatti:

    Gli Egiziani sono anche stati i primi ad enunciare la dottrina per

    cui l’anima dell’uomo sarebbe immortale; entrerebbe, quando il

    corpo perisce, in un altro animale di volta in volta nascente, e, fatto

    il giro di tutti gli animali terrestri, marini, ed alati, rientrerebbe in

    un uomo che nasce, compiendo il suo giro in tremila anni.19

    Nella loro complessa concezione dell’uomo e dell’anima, gli

    Egizi, che “amavano la vita e detestavano la morte”, come

    attestano numerosissime iscrizioni funebri, credevano che

    l’immortalità dell’anima fosse una condizione meritoria, non

    automatica, da conseguirsi attraverso una vita giusta.

    Alla fine dell’esistenza infatti, l’anima del defunto doveva

    sottostare alla “cosiddetta pesatura del cuore”, o psicostasia,

    che veniva posto su di un piatto della bilancia, mentre nell’altro

    era posta la piuma di Maath, la dea della giustizia appunto. Solo

    se il cuore (ib) fosse risultato più leggero, allora l’anima

    immortale sarebbe tornata a rivestirsi di un corpo; mentre

    all’empio dal cuore pesante sarebbe toccata in sorte la “seconda

    morte”, che corrisponde all’annientamento del Ka.

    Il Ka è quindi la “vita che sopravvive alla vita”. Rappresenta

    il nucleo profondo che ogni uomo porta con sé nell’oltretomba

    per essere sottoposto al giudizio di Osiride, e che poi riporta

    indietro in una nuova ulteriore vita, al fine di perfezionarlo.

    Spesso viene tradotto con il significato di “doppio” umano,

    19 Erodoto, Storie, Libro II, 123, 2.

  • 32

    bassamente legato ai piaceri terreni, ma rappresenta in realtà il

    germe della vita eterna.

    L’iniziazione era allora la via della “autorealizzazione” del

    Ka, di vita in vita, per trasformarlo in He-Ka, che è

    rappresentato con il medesimo geroglifico del Ka, ma con al

    centro due serpenti intrecciati, simbolo antichissimo

    quest’ultimo in cui possiamo ritrovare la kundalini o anche il

    caduceo di Mercurio.

    He-Ka viene solitamente tradotto con “magia”, e tale

    significato è in relazione con l’atto magico con cui Toth intende

    riportare in vita Osiride, una volta aperto il sarcofago. He-Ka

    significa letteralmente “colui che attiva il Ka”, ossia l’anima che

    incorpora la personalità e la rende imperitura. Nei due serpenti

    intrecciati inoltre è possibile vedere la medicina intrecciata alla

    religione, ossia la teologia, la teurgia e la taumaturgia, che erano

    due rami della magia sacerdotale egizia.

  • 33

    I MISTERI NELL’ANTICA GRECIA

    Nell’Antica Grecia si porta alla massima espressione quanto già

    affermato sui criteri meritori di ammissione ai misteri. Il

    principio con cui si veniva scelti era quello aristocratico, dal

    termine ariston, che significa “ottimo”.

    Questo fatto sembra stridere ancora di più all’interno di una

    civiltà che ha inventato la forma di convivenza sociale che

    tutt’oggi pratichiamo, la polis, da cui l’arte di governarla: la

    politica, ma – come già fatto notare – era connaturato alla

    concezione stessa di polis il fatto che ci fosse una classe di

    “iniziati” in grado di riprodurre anche sul piano sociale

    l’armonia esistente nel macrocosmo.

    Molti di questi iniziati erano i grandi condottieri o anche i

    filosofi. È infatti provato che quasi tutti i filosofi fossero degli

    iniziati a uno o più Misteri: fu così per Platone e per il suo

    maestro Socrate. Platone poi, avendo individuato nel giovane

    Aristotele il successore alla guida della sua Accademia, gli

    disvela tutto il suo sapere exoterico ed esoterico.

    Nel passaggio successivo, Aristotele si trova ad avere due

    grandi allievi: il fedele Teofrasto, cui va il merito di avere

    trascritto gli insegnamenti filosofici del suo maestro che ci sono

  • 34

    giunti, e Alessandro Magno, che beneficiò invece degli

    insegnamenti di natura esoterica, specialmente di quelli legato

    all’iniziazione eleusina, che furono tra l’altro uno dei motivi

    occulti che lo portarono a conquistare una larga parte di mondo,

    con un percorso – che di seguito assumerà altri significati – che

    va dall’Egitto fino all’India.

    L’elemento più importante dei culti misterici greci, come del

    panteon della religione omerica, è che la pressoché totalità delle

    divinità greche ha un omologo in quelle egizie. Lo stesso

    Erodoto lo attesta:

    [2] Dicevano i sacerdoti che le denominazioni dei dodici Dei erano

    stati gli Egiziani i primi a metterle in uso; dai quali gli Elleni le

    avevano derivate; e che erano stati gli Egiziani i primi ad assegnare

    altari, statue e templi agli Dei, e a scolpire figure in pietra. E della

    maggior parte di queste asserzioni esibivano prove concrete.20

    Si può infatti trovare tanto nei miti che nelle dottrine interiori

    delle scuole misteriche una analogia con l’equivalente mito o

    dottrina esoterica presente nell’antico Egitto. Di seguito

    vedremo qualche analogia, all’interno di una classificazione

    molto ampia dei culti misterici.

    I principali Misteri greci

    Nell’Antica Grecia i culti misterici erano di due tipi

    fondamentali, quelli che miravano a educare l’uomo verso la

    direzione spirituale dell’universo e quelli che si occupavano di

    indagare i segreti della natura. I primi erano i cosiddetti Misteri

    del Padre, mentre i secondi erano detti i Misteri della Madre.

    Sorsero poi dei Misteri nei quali questi due campi di conoscenza

    venivano assommati al massimo grado, ed erano i cosiddetti

    20 Erodoto, op. cit., Libro II, 4, 2.

  • 35

    Misteri Ctonici (da χθονίη, ctonie, ovvero sotterra, a sua volta

    derivato dall’aggettivo greco χθόνιος che significa appunto

    sotterraneo).

    Misteri del Padre

    Alla prima categoria di misteri appartenevano i Misteri

    Apollinei che ebbero la loro massima espressione nell’Oracolo

    di Delfi. Apollo, il dio del Sole, era la divinità – idealmente

    ubicata al nord del paese – che rappresentava la realtà spirituale

    che è possibile esperire attraverso la via dei sensi esteriori. In un

    certo senso nel culto di Apollo il popolo greco presentì la realtà

    del Cristo.

    Una delle leggende più antiche a riguardo narra che il dio

    sarebbe nato presso un popolo collocato genericamente

    all’estremo nord dell’Europa, oltre il fiume Eridano, che alcuni

    identificano col il Reno, altri con il Rodano e altri ancora con il

    Danubio.

    È interessante riportare cosa accadde, secondo Omero,

    quando Apollo scelse Delfi quale luogo del tempio a lui

    dedicato. Dopo la nascita sulla Terra, Apollo era ritornato

    sull’Olimpo tra gli altri dei, ma ne discese nuovamente –

    provenendo sempre da nord – alla ricerca di un luogo dove

    fondare il suo santuario.

    Trovatolo ai piedi del monte Parnaso, decise di fermarsi lì.

    Vicino al monte scorreva una fonte di acqua purissima, che era

    custodita da un terribile drago di sesso femminile, chiamato

    Dracena o Delfine (da cui probabilmente il nome del luogo).

    Apollo, non volendo dividere il luogo con quella bestia

    immonda, portatrice di distruzione e morte, la affrontò in

    un’aspra battaglia, uccidendola con le sue frecce dorate. Dopo

  • 36

    questa vittoria prese l’appellativo di Apollo Pitico, poiché la

    bestia era anche chiamata Pitone e rappresentata come un

    serpente; e per lo stesso motivo la sacerdotessa del suo oracolo

    prese il nome di Pizia. Dice Omero:

    ...un mostro enorme carnivoro, selvaggio,

    che molto male faceva agli uomini della terra,

    e al bestiame dalle solide zampe sanguinosa rovina….

    …finché il signore Apollo arciere la colpì

    con la sua potente freccia. E lei cadde, dilaniata da dolori

    insopportabili, e ansimava e si contorceva sul terreno.

    E levò un urlo spaventoso, infinito, e nella selva

    di qua e di là strisciava rotolando, finché la vita

    abbandonò, spirando sangue. E così si vantò Febo Apollo:

    “Qui ora imputridisci, sulla terra nutrice di uomini.

    Non sarai più una peste per gli uomini mortali,

    che mangiano il frutto della terra feconda:

    essi qui verranno, a portare splendide offerte…”

    …Così disse e si vantò…e gli uomini chiamano Pizio il

    dio…21

    Misteri della Madre

    Alla seconda categoria di Misteri appartenevano invece Culti

    Dionisiaci, nei quali l’abbandono completo del dominio sul

    corpo, oltretutto accentuato dall’uso del vino, è l’esasperazione

    in chiave già occidentalizzata della fuga dalla maya di eco

    buddista. La ricerca dell’estasi dionisiaca comportava, dal

    punto di vista sociale, l’abbandono del vivere civile, dell’ordine

    della polis, e di conseguenza un ritorno alla vita selvaggia, ossia

    un ritorno al caos primordiale in funzione di rigenerazione

    vitale, di rinnovamento.

    21 Cfr. Omero, Inni, disponibile online.

  • 37

    Secondo alcuni 22 l’etimologia di Dioniso deriverebbe

    dall’iranico div-an-aosha, “il dio (della bevanda)

    dell’immortalità”. È interessante notare come anche nelle

    culture nordiche la bevanda alcoolica è associata al concetto di

    vita eterna; il distillato di cereali oggi noto come whisky (o

    whiskey) deve il suo nome alla locuzione celto-gaelica di uische

    beatha (pronunciato üskie biahe). Come si vedrà in seguito,

    anche il fatto che l’alcool sia ricavato dal cereale è un fatto

    misterico di per se stesso.

    La letteratura storico-religiosa ha evidenziato una notevole

    somiglianza tra Dioniso e la divinità vedica Shiva, preposta alla

    forza della shakti, la potenza creativa immanente.

    Secondo Omero, Dioniso era figlio di Zeus e di Semele, la

    bellissima figlia di Cadmo, re di Tebe. Siccome era un dio molto

    chiassoso veniva chiamato anche Bacco, che in greco significa

    “clamore”, da cui deriva la parola italiana baccan0.

    Venutolo a sapere, Era, si ingelosì e decise di farla morire:

    prese le sembianze della sua nutrice e insinuò nell’animo della

    fanciulla che Zeus non l’amasse davvero, e che pertanto doveva

    metterlo alla prova. Siccome il dio le si mostrava sempre sotto

    l’aspetto di un mortale, alla prima occasione Semele chiese a

    Zeus di mostrarsi nella sua vera natura, se la amava davvero.

    Zeus cercò di dissuaderla, spiegandole il pericolo a cui andava

    incontro, ma Semele insistette, e quando Zeus le si mostrò in

    tutto il suo splendore, la povera ragazza morì incenerita dalla

    luce emessa da Zeus.

    Il dio allora, si preoccupò di salvare il figlio che ella portava

    in grembo e lo cucì nella propria coscia fino al momento della

    22 Autran, riportato da Jean Marquès-Rivieère, op. cit., pag. 49.

  • 38

    nascita. Compiuti i nove mesi, Zeus fece uscire Dioniso dalla

    propria coscia e lo affidò ad Hermes, che lo portò dalle ninfe,

    affinché lo nutrissero e allevassero. Il luogo dove fu portato il

    piccolo Dioniso era una montagna sconosciuta ai più, compresa

    la vendicativa Era.

    Questa è la prima nascita di Dioniso. Successivamente fu

    catturato dai Titani, smembrato, bollito, arrostito e mangiato;

    solo il cuore fu salvato, grazie al provvido intervento di Atena,

    che lo portò ancora palpitante a Zeus, il quale fu aiutato da Rea,

    la Madre Terra a ricomporre il piccolo. Zeus poi, per punizione,

    folgorò e incenerì i Titani, dalle cui ceneri nacque il genere

    umano. Da questo si può ricavare che nell’uomo è presente una

    componente dionisiaca, che attesta ulteriormente l’origine

    divina dell’umanità.

    È la forma orfica del mito della caduta: nell’uomo alberga

    una scintilla divina, un’anima immortale destinata a tornare agli

    dèi, che vive la vita nel corpo in modo doloroso, come in una

    prigione. Ecco allora che lo scopo dei riti orfici è quello di

    liberare l’anima dall’esilio corporeo, e reintegrarla al mondo

    degli dèi, cui appartiene per natura, origine e destino.

    Le valenze simboliche delle tre nascite si possono vedere in

    questo senso: la prima è il mito dell’origine dell’umanità e della

    nostalgia della propria origine divina; la seconda, invece,

    rappresenta la dinamicità della creazione: gli arti inferiori sono

    preposti alla funzione del movimento; il mito pertanto

    simboleggia l’aspetto dinamico del principio divino che anela a

    manifestarsi, in analogia con il già citato dio Shiva danzante. La

    terza nascita simboleggia invece il passaggio dall’Uno al

    molteplice (lo squartamento), e il successivo ritorno dal

    molteplice all’Uno (il cuore), grazie all’intervento di Rea – ossia

  • 39

    il principio femminile – in perfetta analogia con il mito di

    Osiride.

    In sintesi due sono le principali valenze dell’orfismo:

    “antisomatismo”: la concezione negativa del corpo

    (soma), inteso come prigione (da cui la ricerca della

    libertà estatica data dall’ebbrezza), e la conseguente

    “nostalgia del Centro”, ossia il desiderio dell’anima

    (psiche) “esiliata” di reintegrarsi al divino;

    “metempsicosi”, ovvero la credenza nella

    reincarnazione, nella trasmigrazione in altri corpi,

    secondo un “ciclo, una ruota delle nascite”, che sarà

    possibile interrompere, per riapprodare agli dèi, solo

    purificando l’anima, ovvero astenendosi da ogni

    rapporto e legame con il corpo (ascetismo, rinuncia a

    carne animale, ma anche ai vegetali, riti purificatori ed

    educazione alla musica, è la cosiddetta “vita orfica”).

    Nell’orfismo pertanto troviamo uno dei paralleli più importanti,

    anche ai fini del nostro discorso, che attesta come nella storia

    delle dottrine esoteriche la medesima conoscenza venga

    tramandata da un’epoca di cultura “dominante” a quella

    successiva, affinché nulla vada disperso, sebbene continui

    trasmutato a comunicare la verità di cui è portatrice.

    Misteri Ctonî

    I Misteri Ctonî, come già detto, sono quelli che hanno a che fare

    con tutto ciò che è sottoterra, ma non sono in senso figurato con

    l’Ade – il regno dei morti –, ma anche con il sottosuolo fisico

    della Terra. I Culti che rappresentano al meglio questa tipologia

    di misteri sono i Misteri Eleusini, che prendono il nome

    dall’omonima città in cui, secondo il mito, furono istituiti dalla

    dea Demetra.

  • 40

    In essi, oltre a celebrare l’archetipo della ierogamia, le nozze

    sacre (da ἱερὸς γάμος), si celebravano i misteri della fertilità

    della Terra. Come la scienza moderna ha scoperto, questa

    dipende dalla presenza o meno di sostanze che chimicamente

    sono chiamate metalli, e che non sono solo l’oro, l’argento e così

    via, ma anche e soprattutto ferro, sodio, magnesio e così via.23

    Il mito omerico delle “due Dee” alla base di culti misterici di

    Eleusi, narra che un giorno Kore, mentre raccoglieva fiori nella

    pianura di Nyse (in prossimità dell’Etna), fu rapita da Ade, dio

    degli Infero. La madre Demetra, accortasi della scomparsa, la

    cercò disperatamente per nove giorni, durante i quali, tanto

    erano il dolore e l’angoscia di non ritrovare la figlia, non si cibò

    e soprattutto dimenticò di gustare l’ambrosia, il nettare degli dei

    che conferiva loro l’immortalità. Solo Elios, mosso a

    compassione dal dolore della madre, ebbe il coraggio di rivelarle

    la tremenda verità: Kore era stata rapita da Ade con il benestare

    del fratello Zeus, affinché la potesse avere in sposa.

    Mossa da un’ira furibonda, Demetra abbandonò così

    l’Olimpo e discese sulla terra, dove vagò sola e disperata verso

    Eleusi, nelle sembianze di una vecchia. Giunta a Eleusi, si fermò

    a sedere vicino al Pozzo delle Vergini, dove fu vista e interrogata

    dalle figlie del re del luogo, Ceneo.

    Ella rispose che il suo nome era Doso e che proveniva da

    Creta, dove era sfuggita a un rapimento. Accettò quindi l’invito

    di fare da nutrice dell’ultimo figlio della regina Metanira. Il mito

    poi racconta che per i primi tempi stette a lungo seduta in

    silenzio su di uno sgabello24 finché una serva riuscì a farla ridere

    23 La conoscenza occulta della funzione dei metalli per il corpo umano è alla base della particolare medicina omeopatica di Rudolf Steiner. 24 allusione simbolica all’importanza rituale del silenzio

  • 41

    con i suoi scherzi grossolani,25 rifiutando però il vino che le

    veniva offerta dalla regina Metanira.

    La dea non pertanto iniziò a occuparsi di Demofonte,

    l’ultimo figlio del re e della regina, ma senza allattarlo, bensì

    iniziò a spalmargli l’ambrosia sul corpo e a nasconderlo nelle

    braci ardenti di notte. In seguito a questo “rituale”, il bambino

    crescendo assomigliava sempre più ad un dio, finché una notte

    la regina Metanira, a causa dell’insonnia, scoprì ciò che la dea

    stava facendo al figlio e glielo strappò di mano. La dea, adirata,

    si svela a Metanira e esclama: «Uomini ignoranti, insensati, che

    non sapete vedere il vostro destino di ventura o di sventura!».

    Detto questo, sparì. Demofonte non potrà più sfuggire al suo

    destino mortale.

    L’epilogo del mito narra che Demetra ritrova sua figlia Kore,

    grazie all’intervento di Zeus e di alcuni contadini. Ade

    acconsente a riconsegnare la figlia, ma con l’inganno introduce

    nella bocca di Persefone un chicco di melagrana e la costringe

    poi ad inghiottirlo; in tal modo la legherà per sempre al regno

    degli inferi ed ella sarà perciò costretta e ritornare ciclicamente,

    per quattro mesi all’anno, presso il suo sposo Ade.

    Demetra, ritrovata la figlia, acconsente a ritornare

    nell’Olimpo e il mito narra poi che per la gioia e la gratitudine

    verso chi l’ha aiutata in questa missione, la terra si ricopre di

    vegetazione lussureggiante e fiori. Inoltre, prima di tornare, la

    dea rivela i misteri di quanto accaduto agli uomini, che colmi di

    gratitudine fonderanno i Misteri in suo onore a Eleusi.

    ***

    25 (dal silenzio iniziatico all’euforia, l’unione dei miti apollinei con quelli dionisiaci dell’estasi

  • 42

    In conclusione, da questa carrellata veloce sulle principali

    tipologie di culti misterici dell’antica Grecia, che non vuole

    naturalmente essere definitiva né esaustiva, possiamo trarre

    almeno una considerazione: la cultura Greca, per quanto

    portatrice di un impulso completamente nuovo – la filosofia –

    ed avente a che fare con una facoltà umana fino ad allora mai

    esplorata appieno – il pensiero razionale – è stata in grado di

    assommare le grandi verità esoteriche tramandatele da tutte le

    culture precedenti, comprese quelle qui non considerate come

    la cultura babilonese, quella indo-iranica e l’indiana antica.

    Per ragioni che potranno essere più chiare successivamente,

    il compito di questa epoca di cultura, a differenza delle altre, fu

    proprio quello di gettare le basi di qualcosa di nuovo per

    l’uomo, che non procedesse nel solco delle tradizioni ataviche

    precedenti. Questo fu proprio la filosofia.

    Come si vedrà in seguito, questa attività preparatoria

    esteriore, fu un unicum a cui corrisponde un evento storico

    altrettanto unico, e cioè l’incarnazione del Cristo nel corpo

    fisico di Gesù di Nazareth, avvenuta nel medesimo periodo

    culturale che la tradizione chiama “greco-romano”.

  • 43

    CONSIDERAZIONI ALLA LUCE

    DELL’ANTROPOSOFIA

    Perché partire dall’esoterismo egizio?

    I motivi dell’inizio di questa indagine proprio dall’epoca di

    cultura egizia, risiedono in una concezione dell’evoluzione che

    appartiene alle più antiche tradizioni esoteriche, ed è riapparsa

    in una nuova forma, resa accessibile all’uomo moderno prima

    nella Teosofia, poi nell’Antroposofia di Rudolf Steiner.

    Nel suo testo fondamentale “La Scienza Occulta”26, Rudolf

    Steiner identifica (in accordo con la tradizione induista) un ciclo

    principale di sette “incarnazioni planetarie”. Per ognuna di

    queste si sviluppano sette cosiddette “razze radicali” (che non

    hanno nulla a che vedere con le razze biologiche, ma riguardano

    epoche evolutive dell’umanità); per ciascuna razza radicale si

    svolgono poi sette periodi di cultura, che rappresentano le

    epoche storiche in cui una determinata civiltà ha avuto o avrà in

    un certo senso il ruolo di “guida” spirituale e materiale

    dell’evoluzione dell’umanità intera.

    26 Rudolf Steiner, La Scienza Occulta nelle sue linee generali, GA 13, Editrice Antroposofica, Milano 1998.

  • 44

    Le incarnazione planetarie sono in totale sette, e sono

    chiamate con i nomi dei pianeti dell’astrologia classica:

    1. Antico Saturno

    2. Antico Sole

    3. Antica Luna

    4. Terra

    5. Futuro Giove

    6. Futuro Venere

    7. Futuro Vulcano

    Con esse non vanno intesi i pianeti fisici che occupano uno

    spazio nell’attuale sistema solare; i nomi usati stanno a

    rappresentare delle particolari condizioni evolutive che il nostro

    pianeta ha attraversato, che tutti i miti hanno raccontato in

    forme analoghe, dai miti cosmogonici norreni a quelli greci.27 In

    accordo con la tradizione vedica, ad ogni incarnazione

    planetaria segue un periodo di riposo, o riassorbimento,

    chiamato pralaya. Attualmente il nostro pianeta sta

    attraversando la quarta metamorfosi.

    27 Per un parallelo con quanto esposto ne La Scienza Occulta, si veda ad esempio il mito “delle cinque età” di Esiodo in Le opere e i giorni.

  • 45

    Fig. 4 – Disegno di Rudolf Steiner delle prime quattro incarnazioni

    planetarie

    Ogni incarnazione planetaria, a sua volta, si sviluppa secondo

    il ritmo del numero sette, e può pertanto essere suddivisa in

    periodi che la Scienza Occulta chiama razze radicali.

    Considerando solo l’attuale incarnazione planetaria, chiamata

    volgarmente Terra, ma che la scienza esoterica chiama invece

    Marte –Mercurio), le sette razze radicali già compiutesi e che si

    compieranno sono:

    1. Polare

    2. Iperborea

    3. Lemurica

    4. Atlantica

    5. Ariana

    6. Sesta

    7. Settima

    Attualmente ci troviamo nella V razza radicale, detta Post-

    Atlantica.

    Entro ogni razza radicale, poi, si svolgono sette epoche di

    cultura. Per quanto riguarda la nostra attuale razza Ariana, le

    epoche di cultura sono:

    1. Paleo-Indiana: Età del Cancro (7.227–5.067 a.C.)

    2. Paleo-Persiana: Età dei Gemelli (5.067–2.907 a.C.)

    3. Egizio-Caldaica: Età del Toro (2.907–747 a.C.)

    4. Greco-Romana: Età dell’Ariete (747 a.C.–1.413 d.C.)

    (alla sua metà si ha l’incarnazione di Cristo e tre anni dopo, il

    Mistero del Golgota)

    5. Ariana: Età dei Pesci (1.413–3.573 d.C.)

    6. Russo-Slava: Età dell’Aquario (3.573–5.733 d.C.)

    7. Settima: Età del Capricorno (5.733–7.893 d.C.)

  • 46

    Il diagramma semplificato di insieme di come si svolge il

    flusso evolutivo secondo il ritmo settenario, è quindi il seguente:

  • 47

    Fig. 5 – Diagramma di insieme dell’evoluzione occulta

    Una caratteristica di questo ritmo settenario, che è propria di

    ciascuno dei periodi descritti, è che ognuna delle prime tre

    epoche è in relazione con la corrispettiva delle ultima tre, come

    è espresso mirabilmente nel simbolo della menorah, in cui il

    primo braccio è in relazione con il settimo, il secondo con il

    sesto e il terzo con il quinto e viceversa.

    Il quarto periodo invece è il braccio centrale, il quale non è

    in relazione di collegamento con nessuno dei precedenti o dei

    successori, e rappresenta pertanto un unicum, quello stesso a

    cui si è accennato in chiusura del capitolo precedente per

    l’epoca di cultura greco-romana.

    Fig. 6 – Le sette epoche di cultura post-atlantiche

    SET

    TIM

    O P

    ERIO

    DO

    SEST

    O P

    ERIO

    DO

    AT

    TUA

    LE

    GR

    ECO

    -RO

    MA

    NO

    EGIZ

    IO-C

    ALD

    AIC

    O

    PER

    SIA

    NO

    IND

    IAN

    O

  • 48

    Se infatti disponiamo sui bracci della menorah i periodi di

    cultura entro cui si è sviluppata e si sta sviluppando l’attuale

    razza radicale, appaiono ancora più evidenti due fatti: che

    l’epoca di cultura greco-romana sia stato un “perno” attorno a

    cui l’umanità ha compiuto una svolta epocale (l’incarnazione di

    Cristo e il conseguente Mistero del Golgota); che l’attuale epoca

    di cultura, la quinta, sia in relazione con quella egizio-caldaica,

    ossia la terza, e viceversa.

    Quest’ultimo fatto, questa corrispondenza tra epoca

    presente ed antico Egitto, va inteso nel senso generale della

    legge occulta dell’evoluzione, nota fin dall’antichità, secondo la

    quale la “relazione” significata dai bracci della menorah consiste

    in una ripetizione a un “livello di coscienza” superiore di quanto

    avvenuto nella precedente.

    Considerando quanto fu conquistato, nel bene e nel male,

    dall’antichissima e saggissima cultura egizia, in quest’epoca

    l’umanità è chiamata a ripeterlo con uno sguardo della coscienza

    più ampio e, soprattutto, alla luce di quanto avvenuto

    nell’epoca-perno greco-romana, in cui si è incarnato il Cristo,

    che ha portato agli uomini una coscienza nuova e un

    comandamento nuovo. Nell’antico Egitto, con il mito di Osiride

    (Sole), che muore e risorge, non si voleva forse indicare all’uomo

    quale sarebbe stato il suo cammino evolutivo futuro, con la

    venuta del Cristo-Sole in terra (si pensi alla pala di Isenheim del

    Grünewald) che – primo uomo nella storia – muore e risorge

    veramente?

    Ma non è solo il processo di osirizzazione ciò a cui ogni uomo

    è chiamato, ma anche a prestare attenzione a ciò che fu posto

    con la sua mummificazione, la prima in assoluto della storia, ci

    dice il mito. Secondo le comunicazioni di Rudolf Steiner, infatti,

  • 49

    con tale processo furono gettati i semi in quell’epoca di ciò che

    poi, nell’epoca con cui essa è in relazione, cioè la nostra, si

    sarebbe manifestato come il più cieco materialismo.

    È superfluo notare come in questo inizio del terzo millennio

    tutte le azioni dell’uomo, nella sfera della libertà, della comunità

    e della solidarietà (leggi libertà, uguaglianza e fratellanza o

    anche cultura, politica ed economia) siano state risucchiate

    gravitazionalmente nel buco nero dell’economia, in un processo

    che un autore contemporaneo definisce slittamento laterale

    degenerativo.28

    Ciò che l’Umanità è chiamata pertanto a ripetere è la via del

    “diventare Osiride”, attraverso la trasmutazione del Ka in He-

    Ka, in un contesto non più individuale o ristretto e isolato come

    quello delle scuole misteriche antiche, ma anche e soprattutto a

    livello sociale, nella comunità in cui ciascuno vive, con gli

    uomini e donne che ha al proprio fianco. Un messaggio,

    dirompente per l’epoca ma di lungo respiro, che il Cristo rese

    accessibile ad ogni uomo da lì a venire, nel quarto periodo di

    cultura greco-romano.

    28 Cfr. Andrea Di Furia, Sudditi e schiavi… consapevoli?, Ed. CambiaMenti, Bologna 2010.

  • 50

  • 51

    RINGRAZIAMENTI

    Questo mio primo lavoro scritto ha origini molto lontane nel

    tempo, ragione per cui dovrei elencare molte persone, alcune

    delle quali non fanno più parte del mio presente per diversi

    motivi.

    A tutte loro va un pensiero di gratitudine costante.

    Alcune persone dell’oggi invece, voglio ringraziare

    esplicitamente, e con loro voglio condividere i meriti, se ve ne

    sono, di questa piccola opera: Roberto, mio maestro e medico;

    Fiorella, mia moglie e anima gemella.

    L’Autore

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