A-Mendola
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Giorgio Amendola
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on. Giorgio Amendola
Bandiera italiana Assemblea
costituente
Giorgio Amendola
Luogo nascita Roma
Data nascita 21 novembre
1907
Luogo morte Roma
Data morte 5 giugno 1980
Titolo di studio laurea in
giurisprudenza
Professione giornalista
Gruppo Comunista
Collegio Collegio Unico
Nazionale
Incarichi parlamentari
Componente della
Commissione per la
Costituzione
Componente della Seconda
Sottocommissione
Componente della Seconda
Commissione per l'esame dei
disegni di legge
Pagina istituzionale
Bandiera italiana Parlamento
italiano
Camera dei deputati
Partito PCI
Legislatura I, II, III, IV, V,
VI, VII e VIII
Gruppo Comunista (I-VI
legislatura), Partito
Comunista Italiano (VII
legislatura)
Circoscrizione Napoli (I, III,
IV, V, VI, VII e VIII
legislatura), Collegio Unico
Nazionale (II legislatura)
Incarichi parlamentari
Vicepresidente della
Commissione speciale per
l'esame del disegno n. 2076,
delle proposte di legge nn.
247, 248, 933, 1172, 1714,
1903 e della proposta di
inchiesta parlamentare n.
582, concernenti la tutela
della libertà di concorrenza -
III legislatura
Componente della V
Commissione (Bilancio e
partecipazioni statali) - IV, V,
VI e VII legislatura
Vicepresidente della V
Commissione (Bilancio e
partecipazioni statali) - IV
legislatura
Componente della
Commissione speciale per
l'esame del disegno di legge
n. 142 "Autorizzazione
all'esercizio provvisorio del
bilancio 1963-1964" - IV
legislatura
Componente della
rappresentanza della Camera
nel Parlamento Europeo - V
legislatura
Componente della
rappresentanza italiana al
Parlamento Europeo - VI e
VII legislatura
Pagina istituzionale
Giorgio Amendola
Capogruppo del COM al
Parlamento Europeo
Durata mandato 10 giugno
1979 –
9 giugno 1984
Predecessore -
Successore Gianni Cervetti
Giorgio Amendola (Roma, 21
novembre 1907 – Roma, 5
giugno 1980) è stato un
partigiano, scrittore e politico
italiano.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Gioventù e lotta
antifascista
1.2 L'attentato di via Rasella
1.3 La carriera politica
repubblicana
2 Opere
3 Interviste con Giorgio
Amendola
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Altri progetti
8 Collegamenti esterni
Biografia[modifica | modifica
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Gioventù e lotta
antifascista[modifica |
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Figlio del liberale antifascista
Giovanni e dell'intellettuale
lituana Eva Kühn (1880 -
1961), la sua giovinezza fu
sconvolta dalla notizia della
morte del padre, aggredito
dalle squadre fasciste e
deceduto a Cannes nel 1926,
in seguito alle percosse
ricevute. Dopo questo
episodio, Giorgio Amendola
aderì al PCI (1929), con non
poche disapprovazioni da
parte degli amici del padre e
di quelli dell'associazione
antifascista goliardica, di cui
faceva parte. Frequentò
intellettuali del tempo come
Benedetto Croce e Giustino
Fortunato (amico del padre),
dal quale apprese molti
insegnamenti[1] e, in
seguito, iniziò un'attività
politica clandestina a Parigi
dopo essersi laureato in
Legge.
Arrestato nel giugno del
1932, mentre era in missione
clandestina a Milano, non fu
processato dal Regime per
evitare il possibile clamore
che il dibattimento avrebbe
suscitato. [2] Veniva così
inviato, senza processo, al
confino nell'isola di Ponza [3]
dove il 10 luglio 1934 Giorgio
e la sua fidanzata francese,
Germaine Lecocq, si
sposarono civilmente.
Liberato nel 1937, fuggiva in
Francia e poi in Tunisia, per
tornare nuovamente in
Francia poco dopo l'inizio
della guerra, sul finire del
1939. Rientrava in Italia solo
nell'aprile 1943 per
partecipare alla Resistenza
tra le file del PCI e delle
brigate Garibaldi del cui
Comando generale entrò a
far parte insieme a Luigi
Longo, Pietro Secchia, Gian
Carlo Pajetta e Antonio
Carini[4]. Giorgio Amendola
era ateo (cfr.: "Il
meridionalismo di Giorgio
Amendola" in Academia.edu",
p. 18).
Fu, inoltre, nel 1944, il
membro designato dal PCI
per la giunta militare
antifascista del CLN con
Sandro Pertini (PSIUP),
Riccardo Bauer (PdA),
Giuseppe Spataro (DC),
Manlio Brosio (PLI) e Mario
Cevolotto (DL).
L'attentato di via
Rasella[modifica | modifica
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Exquisite-kfind.png Lo stesso
argomento in dettaglio:
Attentato di via Rasella.
Nel marzo del 1944 fu
l'ideatore dell'attentato
dinamitardo di via Rasella[5],
eseguita da partigiani
comunisti dei Gruppi di
Azione Patriottica e a cui i
tedeschi reagirono con
l'eccidio delle Fosse
Ardeatine. Gli altri membri
della giunta militare non
furono informati
preventivamente del piano,
come avveniva per
consuetudine, per «ragioni di
sicurezza cospirativa»,
secondo quanto dichiarato
dallo stesso Amendola.
L'azione fu pianificata in
seguito al successo di un
attacco sferrato a via
Tomacelli, e fu scelta come
data simbolica il 23 marzo in
quanto anniversario della
fondazione dei Fasci italiani
di combattimento. Amendola,
in particolare, scrisse in
seguito: «Pertini, che
mordeva il freno e che, nel
suo ben noto patriottismo di
partito, era geloso delle
prove crescenti di capacità e
di audacia date dai Gap,
chiese che si concordasse
un'azione armata
unitaria».[6] I comunisti
tuttavia agirono da soli, e
Pertini adirato protestò per
non essere stato
avvertito.[7]
Tre giorni dopo, il 26 marzo,
Amendola chiese al CLN
romano di approvare
l'azione. La giunta militare fu
sul punto di spaccarsi: in
particolare il democristiano
Spataro si oppose e al
contrario chiese di emanare
un comunicato di
dissociazione. A quel punto,
respingendo una visione che
giudicava "attesista" della
Resistenza, Amendola
affermò che
« Il P.C.I. non avrebbe mai
accettato che prevalesse una
posizione praticamente
attendista. La direttiva data
dal CLN era di colpire il
nemico ovunque si trovasse.
Se non si rispettava questa
linea di azione, venivano
meno le basi dell'accordo
costituito tra i partiti
antifascisti, e il PCI sarebbe
stato costretto a rivedere le
ragioni della
partecipazione.[8] »
Lo storico Aurelio Lepre
intende tale intervento come
una minaccia di uscita del
PCI dal CLN se fosse stata
approvata la mozione
democristiana[9]. Lungi
dall'uscire dal CLN, il PCI, per
bocca di Palmiro Togliatti,
rientrato da Mosca[10] il
giorno successivo, tenderà
invece la mano ai moderati
del CLN annunciando, appena
sbarcato in Italia (con la
cosiddetta "Svolta di
Salerno"), il supporto
comunista ad un nuovo
governo regio guidato da
Pietro Badoglio, e ponendo
così fine alla crisi in seno al
Comitato di Liberazione
Nazionale[11], apertasi il
24[12] con le dimissioni del
suo presidente Ivanoe
Bonomi, in seguito
all'intransigenza
antimonarchica del Partito
d'Azione e del PSI[13].
Pertini, Bauer e Brosio
respinsero la proposta di
Spataro, ma la giunta non
accolse neanche la richiesta
di Amendola[14]. La frattura
in seno alla giunta fu
ricomposta solo pochi giorni
dopo, con un comunicato del
CLN nazionale in cui si
stigmatizzava "la barbara
rappresaglia delle Fosse
Ardeatine"[15].
Per il suo ruolo di membro
della giunta militare del CLN,
nel 1948 Amendola fu
chiamato a testimoniare,
insieme a Bauer e Pertini, al
processo di Herbert Kappler
(il responsabile della strage
delle Fosse Ardeatine). Al
processo i tre confermarono
che l'attacco fu conforme alle
disposizioni del CLN.[16]
Tale visione fu nuovamente
confermata da Pertini in
un'intervista del 1977:
« Le azioni contro i tedeschi
erano coperte dal segreto
cospirativo. L'azione di via
Rasella fu fatta dai Gap
comunisti. Naturalmente io
non ne ero al corrente. L'ho
però totalmente approvata
quando ne venni a
conoscenza. Il nemico
doveva essere colpito
dovunque si trovava. Questa
era la legge della guerra
partigiana. Perciò fui
d'accordo, a posteriori, con la
decisione che era partita da
Giorgio Amendola.[17][18] »
Arturo Colombo nel 1997
pubblicò inoltre alcuni scritti
di Riccardo Bauer, in cui
l'esponente azionista
dichiarava che l'obiettivo del
CLN era «rendere impossibile
la vita a tedeschi e fascisti
dentro e fuori la città di
Roma» e che quindi l'attacco
«appare come episodio
organico», precisando che
l'attentato venne «preparato
e attuato dai comunisti senza
specifico accordo con la
Giunta Militare», ma che a
fatto compiuto «tutti i
rappresentanti del CLN
furono concordi nel
considerarlo "legittima azione
di guerra"».[19]
La carriera politica
repubblicana[modifica |
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Giorgio Amendola dalla
tribuna del XV Congresso del
P.C.I. (30 marzo - 3 aprile
1979)
Nel 1945-1946, dopo la
Liberazione, fu
sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio dei
governi Parri e De Gasperi I.
Dal 1948 fino alla morte fu
deputato per il Partito
Comunista Italiano, al cui
interno ebbe molti incarichi.
È stato a lungo punto di
riferimento della corrente
riformista del partito, che
auspicava una stretta
collaborazione con i socialisti.
Gli si contrappose, con
motivazioni completamente
diverse, il leader della
sinistra interna Pietro Ingrao.
Candidato di bandiera del PCI
nei primi 15 scrutini delle
elezioni del Presidente della
Repubblica del 1978, ottiene
fino a 364 voti.[20]
Dal 1967 in poi, Giorgio
Amendola si occupò anche di
scrittura: tra le opere più
importanti ricordiamo
Comunismo, antifascismo e
Resistenza (1967); Lettere a
Milano (1973); Intervista
sull'antifascismo (1976 in cui
risponde alle pungenti
domande di Piero Melograni;
il libro comparirà fra i primi
nella serie dei libri-intervista
ideata per la Casa editrice
Laterza dall'allora direttore
editoriale Enrico Mistretta);
Una scelta di vita (1976) e
Un'isola (1980, considerata la
sua opera migliore).[21]
Tutti questi libri,
autobiografici ed incentrati
sul tema dell'antifascismo e
della Resistenza, sono
pervasi da un sottile
sentimento di tristezza e
solitudine. Attraverso la
propria vicenda, Amendola
vuole far capire al lettore
cosa prova un uomo che non
ha più la libertà e che prova
su di sé il dramma del
confino, dell'esilio e del
carcere. Lo stile usato,
semplice e scorrevole,
contribuì a una buona
diffusione di tutte le opere
amendoliane.
Secondo alcuni politologi
Giorgio Amendola fu
precursore di un tentativo di
dare vita ad una sinistra di
stampo europeo, radicata
nella tradizione laica e
liberale; lo ha confermato
Giorgio Napolitano (sempre
definitosi suo "allievo"),
quando, nel discorso tenuto a
Torino il 15 ottobre 2009, ha
affermato che "Giorgio non
solo apparteneva alla stessa
generazione di Norberto, ma
era 'molto legato' - come
qualche anno dopo la sua
morte Bobbio ricordò - 'alla
tradizione antifascista
torinese', e non cancellò mai
del tutto dalla sua
formazione il filone di
liberalismo democratico
impersonato da Piero
Gobetti, né tantomeno
'l'insegnamento di suo padre,
che di quella corrente di
democrazia liberale era stato'
(scrisse sempre Bobbio) 'un
teorico e un coraggioso
combattente'[22]".
Il vigoroso convincimento
con cui sosteneva
l'ammodernamento
europeista del PCI e la lotta
determinata al terrorismo
degli anni settanta,[23] non
lo indussero mai a rinnegare
il proprio operato (pure come
esponente di spicco) nel
corso della guerra partigiana,
né fu mai da lui accostato
all'azione eversiva del
terrorismo che si proclamava
rosso attivo in Italia negli
anni di piombo, tracciando
una ben precisa linea di
differenziazione fra l'Italia
fascista post-8 settembre
1943 e le strutture
democratiche dell'Italia
repubblicana, scaturita
proprio dalla Resistenza.
Amendola morì a Roma,
all'età di settantatré anni, a
causa di una malattia. Poche
ore dopo il suo decesso,
scomparve anche l'amata
moglie Germaine Lecocq,
conosciuta a Parigi negli anni
dell'esilio, che lo aveva
aiutato nella redazione del
suo ultimo manoscritto.
La loro figlia, Ada, era morta
nel 1974 all'età di soli
trentotto anni.
Opere[modifica | modifica
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La democrazia nel
Mezzogiorno, Roma, Editori
Riuniti, 1957.
Lotta di classe e sviluppo
economico, Roma, Editori
Riuniti, 1962.
Classe operaia e
programmazione
democratica, Roma, Editori
Riuniti, 1966.
Comunismo antifascismo e
Resistenza, Roma, Editori
Riuniti, 1967.
La classe operaia italiana,
Roma, Editori Riuniti, 1968.
Anselmo Marabini e Imola
rossa, Imola, Galeati 1969.
La crisi italiana, Roma,
Editori Riuniti, 1971.
I comunisti e l'Europa, Roma,
Editori Riuniti, 1971.
Lettere a Milano. Ricordi e
documenti, 1939-1945,
Roma, Editori Riuniti, 1973.
Fascismo e Mezzogiorno,
Roma, Editori Riuniti, 1973.
Fascismo e movimento
operaio, Roma, Editori
Riuniti, 1975.
Intervista sull'antifascismo,
Bari, Laterza, 1976.
Gli anni della Repubblica,
Roma, Editori Riuniti, 1976.
Una scelta di vita, Milano,
Rizzoli, 1976.
Antonio Gramsci nella vita
culturale e politica italiana,
Napoli, Guida, 1978.
Il rinnovamento del PCI,
Roma, Editori Riuniti, 1978.
Storia del Partito comunista
italiano. 1921-1943, Roma,
Editori Riuniti, 1978.
I comunisti e le elezioni
europee, Roma, Editori
Riuniti, 1979.
Un'isola, Milano, Rizzoli,
1980. Cover
Tra passioni e religione.
Discorsi a Milano del 1957 al
1977, Milano, Rizzoli, 1982.
Polemiche fuori tempo,
Roma, Editori Riuniti, 1982.
Riflessioni su gli anni '70
nelle lezioni di Amendola alle
Frattochie, Roma, C. Salemi,
1983.
Discorsi parlamentari, Roma,
Camera dei deputati, 2000.
Giorgio Amendola nella storia
d'Italia, Torino, Cerabona,
2007.
Giorgio Amendola, La
Basilicata e la via italiana al
socialismo, a cura di
Giovanni Caserta, Torino,
Cerabona, 2008
Giorgio Amendola: Gli anni
della Repubblica
(1945-1980), di Giovanni
Cerchia, Torino, Cerabona,
2009
Interviste con Giorgio
Amendola[modifica |
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Gennaio 1974 da Oriana
Fallaci, in Intervista con la
storia, p. 312-342, nuova
edizione ampliata e riveduta,
Biblioteca Universale Rizzoli,
giugno 1977
« V'era in quell'omaccione
burbero, sanguigno, sassoso,
una delicatezza quasi
femminile. »
Oriana Fallaci (p. 314)
« E volevo combattere il
fascismo. Soprattutto dopo la
morte di mio padre, non
sapevo che farmene delle
parole e basta. Ma quasi tutti
i vecchi liberali erano
emigrati all'estero, e quelli
rimasti in Italia non volevano
affrontare l'attività
illegale.[....] I comunisti
erano i soli a combattere.
[.....]
La mia fu una decisione
travagliata. Ci pensai su
quasi due anni. Perché in
fondo il mio gruppo era
costituito dagli antesignani di
Giustizia e libertà. Ero amico
di Ernesto Rossi e, se non
fossi diventato comunista,
sarei diventato uno di
Giustizia e Libertà. Ma
quando Ernesto Rossi venne
a cercarmi perché
organizzassi a Napoli
Giustizia e Libertà, io m'ero
ormai deciso a iscrivermi al
PC. Infatti mi ci iscrissi dieci
giorni dopo, il 7 novembre
1929. »
Giorgio Amendola
nell'intervista con la Fallaci,
(pp. 325–326)
Note[modifica | modifica
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^ Giorgio Amendola,
Fascismo e movimento
operaio, Editori riuniti, 1975,
p. 232
^ Sentenza n. 161 del
18.11.1931 contro Giorgio
Amendola e altri
("Organizzazione comunista
napoletana attiva nel
1930-1931, soprattutto negli
stabilimenti industriali.
Diffusione dei giornali
"Operaio bolscevico",
"Scintilla", "Falce e martello";
Costituzione del PCd'I,
propaganda sovversiva"). In:
Adriano Dal Pont, Simonetta
Carolini, L'Italia dissidente e
antifascista. Le ordinanze, le
Sentenze istruttorie e le
Sentenze in Camera di
consiglio emesse dal
Tribunale speciale fascista
contro gli imputati di
antifascismo dall'anno 1927
al 1943, Milano 1980
(ANPPIA/La Pietra), vol. I, p.
546
^ Commissione di Roma,
ordinanza del 25.3.1933
contro Giorgio Amendola
("Stralciato dal processo
all'organizzazione napoletana
celebrato nel gennaio 1932
perché latitante, arrestato al
rientro in Italia nel giugno
1932, amnistiati i reati che
ne avrebbero determinato la
condanna, viene confinato."):
In: Adriano Dal Pont,
Simonetta Carolini, L'Italia al
confino 1926-1943. Le
ordinanze di assegnazione al
confino emesse dalle
Commissioni provinciali dal
novembre 1926 al luglio
1943, Milano 1983
(ANPPIA/La Pietra), vol. IV,
p. 1380
^ Luigi Longo, "I centri
dirigenti del PCI nella
Resistenza", Editori Riuniti,
Roma, 1973, p. 38.
^ Lettera di Giorgio
Amendola a Leone Cattani
sulle vicende di via Rasella,
pubblicata sul sito
dell'Associazione Italiana
Autori Scrittori Artisti
"L'ARCHIVIO".
^ Alessandro Portelli,
L'ordine è già stato eseguito.
Roma, le Fosse Ardeatine, la
memoria, Roma, Donzelli
Editore, 1999, ISBN
88-7989-457-9. URL
consultato il 21 marzo 2009.
p. 188.
^ Aurelio Lepre, Via Rasella.
Leggenda e realtà della
Resistenza a Roma, Bari,
Laterza, 1996, ISBN
88-420-5026-1. pp. 27-28.
^ Dalla Lettera di Giorgio
Amendola a Leone Cattani
sulle vicende di via Rasella,
riassumendo la linea del suo
intervento.
^ Lepre, p. 49
^ L'URSS aveva riconosciuto
il governo monarchico
Badoglio pochi giorni prima,
il 14 marzo 1944.
^ Franco Catalano, L'Italia
dalla dittatura alla
democrazia - 1919-1948,
Feltrinelli, Milano, 1975, vol.
2, p. 59
^ Idem, p. 64
^ Idem, p. 41
^ Lepre, p. 49. Portelli, p.
226
^ Enzo Forcella, La storia di
via Rasella. Partigiani e
penne rosse, in Corriere della
Sera, 10 aprile 1998. URL
consultato il 20 aprile 2010.
^ Portelli, p. 225.
^ Gianni Bisiach, Pertini
racconta, Milano, Mondadori,
1983. p. 130.
^ Alberto Benzoni, Elisa
Benzoni, Attentato e
rappresaglia. Il PCI e via
Rasella, Venezia, Marsilio,
1999, ISBN 88-317-7169-8.
p. 25.
^ Arturo Colombo, Su via
Rasella, in Corriere della
Sera, 31 luglio 1997. URL
consultato il 23 marzo 2009.
^ Nel 16º e ultimo scrutinio i
voti del PCI confluirono su
Pertini, che venne eletto.
^ Vedi tutte le sue opere
segnalate dal «Sistema
Bibliotecario Nazionale»
^
((http://www.quirinale.it/ele
menti/Continua.aspx?tipo=Di
scorso&key=1662))
^ Occorre "spazzare gli
equivoci e sapere chi vuole
combattere per la salvezza
della democrazia ed è pronto
a tutti i sacrifici, e chi sta
dall'altra parte". L'Unità, 12
giugno 1977.