«A¨ la più bella lotta civile e democratica del nostro Paese da una decina di anni a questa...

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1 SUPPLEMENTO SETTIMANALE DI «LE CRONACHE DEL SALERNITANO» DOMENICA 29 MARZO 2015 Anno II Numero 30 www.cronachesalerno.it Il caso Erri De Luca / Tav A Firenze, i francescani, artisti e viaggiatori Maestri e allievi, colpevoli e innocenti Risvolti Giulia Niccolai, fotografa e poetessa Tracce di drammaturgia sonora senza sbocco creativo Classica. Cento di questi Richter «A lors que la France vient de se mobiliser pour défendre la liberté d’expression», come potrebbe sopportare, si è chiesto un nutri- to gruppo di scrittori, artisti, intellettua- li francesi, il primo marzo dalle pagine di Libération, che un «écrivain risquer la prison pour ses déclarations publiques?» ed ha proseguito: come lettori «nous exprimons notre solida- rité avec Erri De Luca»; come cittadini, «nous demandons à l’Etat français de donner l’ordre à SNCF Réseau de faire retirer cette plainte»; come europei «nous demandons au Parlement européen de se prononcer sur la liberté de critique d’un projet financé par la Commission européenne sur nos deniers»; come difensori della libertà d’espressione, «nous n’acceptons pas qu’un écrivain soit poursuivi pour ses mots». Insieme vi era la richiesta alla società LTF (Lyon Turin Ferroviaire) di ritirare la denuncia contro lo scrittore, per aver ribadito, alla fine dell’estate di due anni fa, ad un giornalista dell’Huffington Post, che la Tav andava sabotata perché inuti- le e nociva. Affermazione ripetuta nel corso della trasmissione radiofonica La zanzara. «La battaglia contro la Tav in Val Susa è la più bella lotta civile e democratica del nostro Paese da una decina di anni a questa parte. Ringrazio il movimento per aver- mene fatto partecipe» aveva, ancora, detto a Torino, lo scritto- re, mentre firmava copie del suo ultimo libro ai lettori in fila. Erano presenti anche attivisti no Tav che, al termine dell’in- contro, gli vollero fare omaggio della loro bandiera. «Torno in valle – ha detto De Luca – con grande piacere, per incontrare un movimento fantastico. E che non ha nulla a che fare con le bombe e bombette, danneggiamenti e azioni notturne che certo non rappresentano quel sabotaggio politico di cui ho parlato nei giorni scorsi». «Quelli» – aveva aggiunto – «sono atti di piccola criminalità e di nessun significato politico». De Luca è stato incriminato per istigazione a delinquere. Contro di lui, qualche gesto eclatante come le dimissioni di a cura di fgf L’ arte di Francesco. Capolavori d’arte italiana e terre d’Asia dal XIII al XV secolo, dal 31 marzo all’11 otto- bre, presso la Galleria dell’Accademia, è una mostra che vuole, da un lato, documentare ai più alti livelli qualitativi la produzione artistica – pittura, scultura, arti suntuarie – di matrice francescana, nel periodo indicato dal titolo, e dall’altro evidenziare l’attività evangelizzatrice dell’Ordine in Oriente, da Gerusalemme al Catai, attraverso l’esposizione di materiali di forte suggestione e di rilevante interesse storico: tra questi, il corno donato al Santo dal Sultano d’Egitto Malek-al-Kamil nel 1219-20 e custodito ad Assisi nella Cappella delle reliquie della basilica di San Francesco (i sotterranei scavati da frate Elia). Le opere d’arte sono presentate non solo dal punto di vista dell’iconografia dell’Ordine, ma soprattutto in quanto risulta- to della committenza per il tramite di fondazioni francescane e privati devoti o dei più diretti seguaci: Chiara, Bonaventura, Antonio da Padova, Bernardino. Il primo pittore ufficiale dell’Ordine francescano fu Giunta Pisano, detto “di Capitino” (autore della “Croce perduta di as- sisi” e del “Crocifisso di Bologna” 1 ) – la cui influenza si estese in vaste aree dell’Italia centrale –, primo pittore ‘nazionale’ del- la storia dell’arte italiana e primo interprete della spiritualità francescana, anticipatore di grandi personalità come Cimabue e Giotto. Non è di poco conto il fatto che oggi siano attribuite a Giunta anche le celeberrime tavole cuspidate pisane provenien- ti dal Museo nazionale di San Matteo. Oltre alle tavole di Pisa, sono presenti in mostra la tavola di Firenze (sull’altare della Cappella Bardi in Santa Croce), con attri- buzione a Coppo di Marcovaldo, l’analoga del Museo Civico di Pi- stoia e il San Francesco con due storie della sua vita e due miracoli 1 Che presenta questa assoluta novità: il corpo di Cristo è arcuato verso sini- stra, debordando dal braccio della croce e occupando una delle fasce laterali dove tradizionalmente erano raffigurate le scene della passione. Alle estremità dei bracci laterali Maria e San Giovanni sono raffigurati, in atteggiamento di compianto, a mezzo busto, e non come piccole ma intere figure. A Firenze, i francescani, artisti e viaggiatori a cura della red. in questo numero: Caselli da Magistratura democratica e forti critiche anche da improvvisati editorialisti, come il critico televisivo Aldo Grasso, che in modo stupidamente feroce ha scritto dello scrittore come di un vecchio rivoluzionario che ha continuamente bisogno di una sua piazza Taksim, di una sua Striscia di Gaza, di un suo Zuccotti Park. E davvero molti intellettuali nostrani non han- no in realtà mai perdonato a De Luca il passato nella sinistra extraparlamentare: è stato, tra l’altro responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua, ma è stato anche muratore, opera- io, autista di convogli umanitari durante la guerra nella ex Ju- goslavia, Studioso autodidatta, dall’ebraico antico ha tradotto testi della Bibbia (Esodo, Giona, il Kohèlet, il Libro di Rut, la Vita di Sansone, di Noè e Ester) in una lingua simile e più obbe- diente all’originale. Dopo il suo primo romanzo, Non ora, non qui, la sua opera, tradotta in 30 lingue, è stata sommersa di ri- conoscimenti: premio France Culture, Premio Laure Bataillon, il Prix Femina étranger, Premio Petrarca in Germania, Prix Eu- ropeen de la Literature a Strasburgo, Premio Leteo in Spagna, Premio Jean Monnet in Francia. Conosciuto e apprezzato nel mondo dell’alpinismo e dell’arrampicata sportiva, scrive anche di montagna (Sulla traccia di Nives racconta una spedizione himalayana del 2005 con l’amica Nives Meroi), ed è (ovviamen- te) amico di Mauro Corona («I vecchi cirmoli si contorcono al vento ma non si rompono. Stanno in quota e sui precipizi, e aspettano. Attendono la stagione buona, per tornare sui monti. Energia al mio cumpa’ Erri. Forza Erri»). P Al contrario che da noi, contro il processo intentato allo scrittore in Italia (finora due udienze) la mobilitazione, prima francese, poi internazionale, è stata massiccia: da autori come Paul Auster, Muriel Barbery, Muñoz Molina, Salman Rushdie Il caso Erri De Luca / Tav «Non sono il primo scrittore incriminato, desidero essere l’ultimo» ( da una lettera di EDL al suo editore, Feltrinelli) B. della Gatta, San Francesco riceve le stimmate, 1486 (part.)

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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DI «LE CRONACHE DEL SALERNITANO» ● DOMENICA 29 MARZO 2015 ● Anno II ● Numero 30 ● www.cronachesalerno.it

● Il caso Erri De Luca / Tav● A Firenze, i francescani, artisti e viaggiatori● Maestri e allievi, colpevoli e innocenti● Risvolti● Giulia Niccolai, fotografa e poetessa● Tracce di drammaturgia sonora senza sbocco creativo ● Classica. Cento di questi Richter

«Alors que la France vient de se mobiliser pour défendre la liberté d’expression», come potrebbe sopportare, si è chiesto un nutri-to gruppo di scrittori, artisti, intellettua-

li francesi, il primo marzo dalle pagine di Libération, che un «écrivain risquer la prison pour ses déclarations publiques?» ed ha proseguito: come lettori «nous exprimons notre solida-rité avec Erri De Luca»; come cittadini, «nous demandons à l’Etat français de donner l’ordre à SNCF Réseau de faire retirer cette plainte»; come europei «nous demandons au Parlement européen de se prononcer sur la liberté de critique d’un projet financé par la Commission européenne sur nos deniers»; come difensori della libertà d’espressione, «nous n’acceptons pas qu’un écrivain soit poursuivi pour ses mots».

Insieme vi era la richiesta alla società LTF (Lyon Turin Ferroviaire) di ritirare la denuncia contro lo scrittore, per aver ribadito, alla fine dell’estate di due anni fa, ad un giornalista dell’Huffington Post, che la Tav andava sabotata perché inuti-le e nociva. Affermazione ripetuta nel corso della trasmissione radiofonica La zanzara. «La battaglia contro la Tav in Val Susa è la più bella lotta civile e democratica del nostro Paese da una decina di anni a questa parte. Ringrazio il movimento per aver-mene fatto partecipe» aveva, ancora, detto a Torino, lo scritto-re, mentre firmava copie del suo ultimo libro ai lettori in fila. Erano presenti anche attivisti no Tav che, al termine dell’in-contro, gli vollero fare omaggio della loro bandiera. «Torno in valle – ha detto De Luca – con grande piacere, per incontrare un movimento fantastico. E che non ha nulla a che fare con le bombe e bombette, danneggiamenti e azioni notturne che certo non rappresentano quel sabotaggio politico di cui ho parlato nei giorni scorsi». «Quelli» – aveva aggiunto – «sono atti di piccola criminalità e di nessun significato politico».

De Luca è stato incriminato per istigazione a delinquere. Contro di lui, qualche gesto eclatante come le dimissioni di

a cura di fgf

L’arte di Francesco. Capolavori d’arte italiana e terre d’Asia dal XIII al XV secolo, dal 31 marzo all’11 otto-bre, presso la Galleria dell’Accademia, è una mostra

che vuole, da un lato, documentare ai più alti livelli qualitativi la produzione artistica – pittura, scultura, arti suntuarie – di matrice francescana, nel periodo indicato dal titolo, e dall’altro evidenziare l’attività evangelizzatrice dell’Ordine in Oriente, da Gerusalemme al Catai, attraverso l’esposizione di materiali di forte suggestione e di rilevante interesse storico: tra questi, il corno donato al Santo dal Sultano d’Egitto Malek-al-Kamil nel 1219-20 e custodito ad Assisi nella Cappella delle reliquie della basilica di San Francesco (i sotterranei scavati da frate Elia).

Le opere d’arte sono presentate non solo dal punto di vista dell’iconografia dell’Ordine, ma soprattutto in quanto risulta-to della committenza per il tramite di fondazioni francescane e privati devoti o dei più diretti seguaci: Chiara, Bonaventura, Antonio da Padova, Bernardino.

Il primo pittore ufficiale dell’Ordine francescano fu Giunta Pisano, detto “di Capitino” (autore della “Croce perduta di as-sisi” e del “Crocifisso di Bologna”1) – la cui influenza si estese in vaste aree dell’Italia centrale –, primo pittore ‘nazionale’ del-la storia dell’arte italiana e primo interprete della spiritualità francescana, anticipatore di grandi personalità come Cimabue e Giotto. Non è di poco conto il fatto che oggi siano attribuite a Giunta anche le celeberrime tavole cuspidate pisane provenien-ti dal Museo nazionale di San Matteo.

Oltre alle tavole di Pisa, sono presenti in mostra la tavola di Firenze (sull’altare della Cappella Bardi in Santa Croce), con attri-buzione a Coppo di Marcovaldo, l’analoga del Museo Civico di Pi-stoia e il San Francesco con due storie della sua vita e due miracoli

1 Che presenta questa assoluta novità: il corpo di Cristo è arcuato verso sini-stra, debordando dal braccio della croce e occupando una delle fasce laterali dove tradizionalmente erano raffigurate le scene della passione. Alle estremità dei bracci laterali Maria e San Giovanni sono raffigurati, in atteggiamento di compianto, a mezzo busto, e non come piccole ma intere figure.

A Firenze,i francescani,artisti e viaggiatoria cura della red.

in questo numero:

Caselli da Magistratura democratica e forti critiche anche da improvvisati editorialisti, come il critico televisivo Aldo Grasso, che in modo stupidamente feroce ha scritto dello scrittore come di un vecchio rivoluzionario che ha continuamente bisogno di una sua piazza Taksim, di una sua Striscia di Gaza, di un suo Zuccotti Park. E davvero molti intellettuali nostrani non han-no in realtà mai perdonato a De Luca il passato nella sinistra extraparlamentare: è stato, tra l’altro responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua, ma è stato anche muratore, opera-io, autista di convogli umanitari durante la guerra nella ex Ju-goslavia, Studioso autodidatta, dall’ebraico antico ha tradotto testi della Bibbia (Esodo, Giona, il Kohèlet, il Libro di Rut, la Vita di Sansone, di Noè e Ester) in una lingua simile e più obbe-diente all’originale. Dopo il suo primo romanzo, Non ora, non qui, la sua opera, tradotta in 30 lingue, è stata sommersa di ri-conoscimenti: premio France Culture, Premio Laure Bataillon, il Prix Femina étranger, Premio Petrarca in Germania, Prix Eu-ropeen de la Literature a Strasburgo, Premio Leteo in Spagna, Premio Jean Monnet in Francia. Conosciuto e apprezzato nel mondo dell’alpinismo e dell’arrampicata sportiva, scrive anche di montagna (Sulla traccia di Nives racconta una spedizione himalayana del 2005 con l’amica Nives Meroi), ed è (ovviamen-te) amico di Mauro Corona («I vecchi cirmoli si contorcono al vento ma non si rompono. Stanno in quota e sui precipizi, e aspettano. Attendono la stagione buona, per tornare sui monti. Energia al mio cumpa’ Erri. Forza Erri»).

PAl contrario che da noi, contro il processo intentato allo

scrittore in Italia (finora due udienze) la mobilitazione, prima francese, poi internazionale, è stata massiccia: da autori come Paul Auster, Muriel Barbery, Muñoz Molina, Salman Rushdie

Il caso Erri De Luca / Tav«Non sono il primo scrittore incriminato,desidero essere l’ultimo»(da una lettera di EDL al suo editore, Feltrinelli)

B. della Gatta, San Francesco riceve le stimmate, 1486 (part.)

2 SUPPLEMENTO SETTIMANALE DI «LE CRONACHE DEL SALERNITANO» ● DOMENICA 29 MARZO 2015 ● Anno II ● Numero 30 ● www.cronachesalerno.it

1.La storia è questa. L’anno scorso mi si chie-

de di tenere un corso ad un Master sull’Edito-ria ed io accetto volentieri, perché mi si offre l’occasione per dire cosa penso degli investi-menti ideologici che, in tempi e Paesi diversi, vengono effettuati nei confronti del libro. Alla fine del corso, una delle mie allieve, Oriana Conte, invece di fare il giro delle sette chiese in cerca di un posto da redattrice in una casa editrice, decide di diventare, hic et nunc, lei, editrice. Fonda la casa editrice Sui Generis, a Torino, e mi chiede un saggio per introdurre il suo primo prodotto, una raccolta di Racconti gialli scritti da autori da lei selezionati. Io mi dico, come si fa a dire di no ad una ragazza così intraprendente, così entusiasta, così coraggio-sa, e le scrivo il saggio – lo intitolo “Una teo-ria della narrazione alla prova dell’evoluzione delle merci letterarie”. Bene, nel gennaio di quest’anno il libro è bello che pubblicato.

2.Mi sono riferito alla categoria “merci let-

terarie” per non ingarbugliarmi nel problema delle distinzioni di genere (giallo, poliziesco, noir, thriller, suspence, etc.) e parlo di “evo-luzione” con esplicito riferimento a Darwin. Promuovendo differenziazione e innovazione, il mercato del letterario governa direttamente l’evoluzione – nel senso di mutazione, non ne-cessariamente casuale e non necessariamente mirante ad uno scopo – delle sue merci. Vo-glio dire che se una volta l’assassino è il tale, la volta dopo sarà il tal’altro, poi saranno in coppia, poi saranno tutti i sospettati, poi sarà il detective stesso che indaga, poi sarà chi rac-conta la vicenda, etc. Andando avanti su que-sta strada sarà sempre più probabile che – no-nostante tutte le proibizioni sancite in merito dai maggiori scrittori –, prima o poi, esca un libro in cui l’assassino è il maggiordomo. Stes-so discorso o quasi per il detective: prima è uno, poi sono due, poi sono un collettivo (tipo l’87° Distretto di Ed Mc Bain), etc. Stesso di-scorso per la tipologia del detective: maschio, femmina, omo, trans, anziano, bambino, fa-cendolo gatto abbiamo anche oltrepassato i confini della specie. La mia teoria rende conto – o, almeno, cerca di rendere conto – dei mo-tivi per cui una narrazione ha successo o meno e, pertanto, come tale, può effettivamente tra-dursi in istruzioni sul come raccontare.

3.Ciò premesso, posso pormi un problema

di ordine etico. Nel 1952, il laureato in giu-risprudenza André Cayatte dirige il film Sia-mo tutti assassini. Diede adito a molteplici discussioni. Nel 1980, Umberto Eco scrive la Postilla al Nome della rosa e conclude di-cendo che “una vera indagine poliziesca deve provare che i colpevoli siamo noi”. Mi chiedo cosa ci sia a monte di queste affermazioni. Il film di Cayatte è un tragico teorema contro la pena di morte e, al contempo, una impietosa estensione dello stato di accusa in quanto tale: il suo delinquente è il risultato di regole sociali ineludibili, la sua colpevolezza è quasi un det-tato sociale. L’argomentazione di Eco vuole forse essere più paradossale che moralistica. Ma, indubbiamente, entrambe le tesi tendo-no a sminuire – se non a liquidare del tutto – il concetto di responsabilità individuale. Sul quale, tuttavia, si è basata e continua a basarsi l’assetto della nostra organizzazione sociale.

4.E ora torno al caso iniziale. Perché quanto

precede mi serve per far luce su un caso per-sonale – personale, almeno sulle prime. Nel

“Merci letterarie” in evoluzione.Maestri e allievi, colpevoli e innocenti

Felice Accame

saggio introduttivo ai Racconti gialli, ad un dato momento, cito “Goodwin”, il noto brac-cio destro di Nero Wolfe nei romanzi di Rex Stout. Bene, nel libro, trovo “Jason Goodwin” – e non “Archie Goodwin”, come dovrebbe es-sere – e, sulle prime, mi chiedo come ciò sia potuto accadere. Maledico i computer e le tec-niche di taglia e cuci che adottiamo frettolo-samente, mi rimprovero di non aver corretto le bozze con sufficiente attenzione. Poi vado a vedere il mio testo originario – quello inviato all’editrice. Dove sta scritto:

Il detective evolve per numero – singo-lo come Maigret, in coppia come Tommy e Tuppence della Christie, in cooperativa come l’87° Distretto di Ed Mc Bain o il gruppetto di adolescenti della Teleferica misteriosa di Pes-sina – e per modalità del rapporto gerarchi-co – dominante e dominato, come Sherlock Holmes e Watson, in complementarità come Nero Wolfe e Goodwin o come Morse e Lewis, o cronista e cronistizzato come il silente e sempre presente S.S. Van Dine e il suo Philo

Vance.Da ciò non deduco affatto che “siamo tut-

ti assassini”, ma deduco più banalmente che l’assassina è lei, Oriana Conte, editrice e pre-sumibile responsabile unica della pubblicazio-ne così com’è. Ha voluto aggiungere il nome di Goodwin e l’ha sbagliato.

5.Adesso ho la coscienza a posto? Non pro-

prio. Perché, poi, devo anche ammettere che quanto da me scritto innocente-innocente non lo era. Di Wolfe, per esempio, cito il nome proprio – come di Holmes –, ma non concedo il nome proprio a Goodwin – come al povero Watson. Evidentemente ho trattato in modo difforme i miei personaggi – ho usato, come si suole dire, due pesi e due misure. Ai più celebri ho concesso il nome proprio, ai meno celebri no. Dunque le colpe di Oriana Conte si riversano sul sottoscritto. Ma – mi chiedo poi – non sarà che questo mio “vezzo” o, meglio, questa mia superficialità relazionale, mi sia

derivata da un andazzo sociale che, per l’ap-punto, prevede l’osservanza di determinate gerarchie ideologiche? Non è forse vero che, nello scrivere, ho adottato passivamente – con subalternità ideologica palese – uno o più stereotipi impostimi dalla società in cui vivo? Eh, sì – ed eccomi davanti allora, ancora una volta, il percorso argomentativo che altri – a modo loro – hanno già affrontato prima di me – un percorso in virtù del quale tutti gli inno-centi si ritrovano le mani sporche dello stesso sangue che ritenevano – facevano finta di ri-tenere, speravano – contrassegnasse le mani dell’assassino.

6.La mia allieva è diventata editrice. Uno dei

suoi docenti – uno tra i tanti – ero io. Anche qui: sono proprio sicuro di essere innocen-te? Ma, d’altronde – norme sociali alla mano – una certa autonomia di pensiero, un certo grado di responsabilità, debbo pur conceder-glielo ■

Siamo tutti assassini (Francia, 1952) di André Cayatte, con Marcel Mouloudji, Claude Laydu, Amedeo Nazzari e Raymond Pellegrin.

Risvolti. Due novità di Orecchio acerbo ed.al Bologna Children’s Book Fair 30.3 / 2.4.2015

1.La pantera sotto il letto, di Andrea Bajani e Mara Cerri, pp. 44 (dai 7 anni)

Un papà e la sua bambina di fronte alla not-te. In quella casa di montagna, circondati dal silenzio, la bambina sa che nel buio tutto spa-risce e così ha stretto un patto con il padre: per non essere inghiottita dalla notte, potrà tenere una vecchia padella sotto il letto per eventua-li pipì notturne. Il sonno non arriva e al suo posto invece, puntuale, il bisogno impellente. Sotto il letto, tuttavia, non vi è solo la padella: una pantera, nera e misteriosa come la notte, la sta aspettando. Guardarla negli occhi è un po’ come guardare la notte: entrambe fanno paura, ma entrambe si possono esplorare. I grandi credono che basti una lampadina per riavere indietro il mondo che l’oscurità ha ra-pito, ma anche il papà, durante quella notte magica, dovrà darle ragione: oltre la porta di casa davvero non c’è più nulla. Ma la bambina ha guardato negli occhi la pantera e ora co-nosce il mistero del buio. E allora sarà facile e bello cavalcare la notte con la sua padella, come farebbe con una tavola da surf sul mare.

Bajani. Poiché non riesce a decidersi tra raccon-to e romanzo, teatro e reportage. AB finisce per frequentarli tutti, confortato da successo e ricono-scimenti. Tra i suoi titoli, Mi riconosci (Feltrinelli), storia dell’amicizia con Tabucchi e, con Einaudi, Ogni promessa, Se consideri le colpe, La vita non è in ordine alfabetico. Fa parte del Consiglio Scienti-fico del Festival di Locarno

Cerri. “Elegante e trasognata capofila di una fa-miglia di disegnatori” (Fofi), MC ha lasciato che il suo segno poetico attraversasse i libri dei principali editori italiani, oltre alle pagine di quotidiani e ri-viste (Lo straniero, Internazionale, Il Manifesto, Corriere della sera, Diario, Carta…). Ha illustrato molti classici: Dagli Appennini alle Ande (e/o), La Traviata (Grimm), Cleopatra (EL), Piccole donne (Fabbri). Con il corto d’animazione, Via Curiel 8, ha vinto il Torino FF. 2011

2.Per fare il ritratto di un pesce, di Pascale Petit e Maja Celija, pp. 52 (dai 7 anni)

Due storie che si intrecciano e si alternano sulle pagine. La prima ha parole e immagini, la seconda solo immagini. Il protagonista della prima è un uomo che vuole dipingere sul suo

quadro un pesce. La seconda ha come prota-gonisti dei ragazzini che il pesce invece lo vo-gliono vero. L’uomo va sulla spiaggia in cerca di ispirazione ma poi si addormenta e la sua tela va alla deriva. I bambini vanno sulla me-desima spiaggia con il loro vaso cercando di catturare un pesce nel mare. E ci riescono, ma trovano anche la tela del pittore. E così comin-ciano a dipingerci sopra tanti animali che nel-lo stesso momento entrano nei sogni di quel signore. Al suo risveglio, il pesce che doveva essere solo disegnato è diventato vero e nuo-ta nel vaso che i bambini hanno abbandonato accanto a lui.

Petit. Non riconosce i confini dei generi letterari e, dunque, le sue sono continue incursioni in nuovi terreni da esplorare. Sempre con l’obiettivo di rein-ventare le realtà e prendere le distanze da ciò che appare scontato. L’aiutano nella sua ricerca sia gli studi filosofici sia l’amore per i viaggi. Ha scritto una dozzina di testi per ragazzi. È nel Comitato direttivo della rivista Action Poetique.

Celija. Nata a Mambor, Slovenia (1977), compie gli studi classici in Croazia e si diploma a Milano, all’Istituto Europeo del Design ed alla scuola di gra-fica Bauer. Lavora come illustratrice per diverse ri-viste (Diario della settimana, Freundin, Glaus istre, Ventiquattro). Ripetutamente selezionata alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, ha rappresentato l’Italia alla Biennale di Bratislava ■

3SUPPLEMENTO SETTIMANALE DI «LE CRONACHE DEL SALERNITANO» ● DOMENICA 29 MARZO 2015 ● Anno II ● Numero 30 ● www.cronachesalerno.it

le cronache del salernitanodirettore responsabile tommaso d’angelo

ulissecronache è a cura difrancesco g. forte

redazionevia r. conforti 17 – salerno, tel. 089237114

e.mail [email protected]

consulente editoriale andrea manziprogetto grafico luigileone avallone

assistente di redazione roberta bisognoricerche iconografiche oèdipus edizioni

stampa tipografia gutenberg s.r.l. – fisciano (sa)

Tracce di drammaturgia sonorasenza sbocco creativoConferenza-spettacolo di Chiara Guidi alla Galleria ToledoFrancesco Tozza

«Inseguire la voce che scappa»: un poetico incipit, un’ottima dichia-razione d’intenti per una conferen-

za-spettacolo, qual era quella annunciata in locandina da Chiara Guidi, sere fa a Galleria Toledo. Intriganti e commosse le prime battu-te del suo racconto, subito dopo, per illustrare le tappe di un percorso che, da qualche anno, ne caratterizza principalmente l’attività te-atrale, alla ricerca della voce perduta (come quella del padre, per es., al capezzale di lui morente) e poi ritrovata, o ricostruita, in una ricerca a più ampio raggio, inerente un fattore linguistico, solo in apparenza minoritario nel-la scrittura scenica degli ultimi anni, almeno fra certi esponenti delle neoavanguardie; an-cora importante, invece, nel mondo sempre più complesso della comunicazione, e non solo teatrale.

Presto, però, la conferenza-spettacolo ha

cambiato tono: perso l’aggancio esistenzia-le del racconto, lo scrittoio presso il quale la Guidi era seduta, unico punto di luce nel buio del fondo scena, da suppellettile s’è fatto sempre più cattedra, perdendo ogni coerenza con lo spazio che lo ospitava. La conferenza ha finito col prevalere nettamente sullo spet-tacolo: i termini e le strategie di una ricerca, pure interessante nelle premesse, annegavano in un’esposizione non priva di inappropriati (al momento) tecnicismi e di qualche luogo comune, per quanto ben occultato, mentre le esemplificazioni di un approccio che certo avrà prodotto i suoi risultati, magari modesti per quantità e qualità, non davano sufficien-te testimonianza degli stessi. Al termine della conferenza – detta, più tardi, relazione e non, per carità (!), lezione, con un sottile distinguo, degno di miglior causa! – la Guidi apriva il di-battito con i pochi presenti, non si sa – dato il tenore delle domande – se piuttosto distratti nel corso della soporifera conferenza o inti-moriti (ma con orgoglio) dalla partecipazio-ne, come da iniziati, alla cosa. Inutilmente il sottoscritto, fuori dal coro, chiedeva alla Guidi come si inserissero queste sue esperienze di ricerca (sulla voce) nel percorso della Raffael-lo Sanzio, confessando peraltro di essere stato spettatore entusiasta di Amleto, Orestea, Giu-lio Cesare, lo splendido Genesi, spettacoli del-la Compagnia emiliana, magnificamente ret-tisi, fin dalle lontane origini (primi anni ’80), sui diversi contributi di un’affiatata famiglia (Romeo e Claudia Castellucci, compagni an-che nella vita, rispettivamente, di Chiara e Pa-olo Guidi). Ma nel sovrapporsi delle doman-de, andava perduta quella teatralmente più pertinente (magari inevasa per non indugiare su un probabile, più difficile equilibrio all’in-terno del quartetto?); né miglior sorte aveva l’esposizione di qualche perplessità dal sotto-scritto mossa alla pretesa “politicità” rivendi-

cata dalla Guidi a questa sua più recente fase dell’attività di ricerca1. Nella seconda delle due serate previste nel teatro napoletano, è stata offerta come testimonianza concreta di tale metodo la lettura-adattamento per pianoforte e “viola” del conradiano Tifone. La delusione, paventata, non si è fatta attendere: nonostante gli interventi di Fabrizio Ottaviucci che ha fat-to esplodere dal piano le più intime, suadenti, a volte anche violente, sonorità, degne del mi-glior Skrjabin, il “racconto di mare” del grande scrittore è uscito dalla lettura mortificato, in-debolito, deprivato – in parte almeno – della vasta gamma di valenze visive e acustiche che è in grado di suscitare, senza che peraltro l’ar-bitrarietà dell’operazione raggiungesse una ef-ficace e plausibile autonomia linguistica, tale da far accettare la radicalità dell’adattamento. Convincenti alcuni “soffiati” della Guidi (an-che se è sembrato piuttosto temerario parlare di “viola” per i suoni che a volte uscivano dal-la sua gola); andati perduti, invece, i passaggi più drammatici di quelle pagine cui è l’alone semantico delle parole, più che la loro artifi-ciale interpretazione sonora, a dare forza ed efficacia.

Si possono ben prendere le distanze da un testo, magari per non rinnovare la bana-lità del dire quotidiano; pervenire, così, alla phonè, quando si fa della voce un corpo au-tonomo, straniato dal suo contesto logico di riferimento, per risalire all’origine musicale della parola, rinnegandola nella sua funzio-

1 A questo punto, uno scalmanato spettatore, certamen-te distratto dalla non buona acustica della sala pressoché vuota, chiedeva di quale teatro io mi facessi portavoce e quale mai avessi finora frequentato…, lasciandosi sfuggi-re che poco prima mi ero dichiarato spettatore entusiasta di alcuni dei maggiori lavori della Raffaello Sanzio! Scara-mucce, comunque; quisquiglie o pinzillacchere, avrebbe detto il grande Totò. Forse, però, l’ulteriore testimonianza della piaggeria e del conformismo ormai dilagante nelle nostre platee (non solo teatrali!).

ne di strumento linguistico-comunicativo. E tuttavia non sembra questo il modo! Carme-lo Bene – per citare sempre e ancora lui – ha fatto mirabilia in proposito, ricorrendo, ripe-tutamente, anche a quella protesi della voce naturale che è la sua amplificazione elettro-nica, scandagliandone qualità timbriche, om-bre, riverberi, sperimentando la scissione fra significante e significato che è alla base delle ipotesi drammaturgiche cui probabilmente si collega la stessa Guidi. In proposito, e a mag-gior ragione, andrebbe ricordato quanto fatto dalla grande Meredith Monk che, conclusa la fase più specificamente registica-coreografica della sua attività con il magnifico Quarry (vi-sto da noi a Firenze, subito dopo la prima alla Biennale veneziana nel 1976), ha indirizzato tutto il suo lavoro di ricerca sullo studio della voce, pervenendo a sublimi altezze creative e interpretative, con ricadute sul piano politico, quando ha affrontato forme di vocalità attinte anche dal lontano Oriente, senza mai scadere nell’autoreferenzialità.

Di questo, anche, avremmo voluto parlare con la Guidi, ma tutto sommato la sua è stata una lezione sostanzialmente frontale – né sap-piamo come si sono svolti gli incontri previsti in ambito universitario (L’Orientale e Federi-co II) –. Sul piano drammaturgico, ricordando i contributi da lei offerti, in senso multidisci-plinare, agli spettacoli della Raffaello Sanzio, ci auguriamo che anche il suo diventi teatro (non palestra) della voce, nel senso più ampio e creativo del termine; e magari non solo della voce.

Societas Raffaello Sanzio, Relazione sulla veri-tà retrograda della voce, conferenza spettacolo di e con Chiara Guidi

Tifone da Joseph Conrad, per pianoforte e “vio-la”, adattamento e regia di Chiara Guidi, pianoforte Fabrizio Ottaviucci - Galleria Toledo, Napoli, 19-20//21-22 marzo ■

Giulia Niccolai,fotografa e poetessaLegata al gruppo’63, compagna di Adriano Spatola, fondatrice della rivista Tam Tam, traduttrice di Stein, Highsmith, Woolf e Thomas, dal 1990 monaca buddista, la scrittrice ripercorre in un paio di veloci pagine, che di seguito proponiamo, tratte da Foto e Frisbee, di prossima uscita, i suoi primi impegni nel mestiere di fotografa.Giulia Niccolai

Durante la guerra, dal ’42 al ’45 (dai miei 7 ai 10 anni), ero sfollata con mia ma-dre (americana) a Menaggio sul lago di

Como. Mio padre, che era sfollato con la so-cietà per la quale lavorava a Vimercate, veniva a trovarci in bicicletta tutti i fine settimana. La bicicletta era più sicura dell’automobile, per-ché il motore acceso avrebbe potuto impedire a chi era alla guida di udire per tempo il rom-bo di un caccia. Il caccia avrebbe così potuto scendere in picchiata, mitragliare l’auto prima che il conducente potesse fermarla, saltar fuo-ri e buttarsi in un fosso.

[…] Mia madre si era portata da Milano delle pile di Life Magazine che io, prima, non essendo abbastanza esperta in “lettura” non avevo mai nemmeno notato.

Ma non so se in terza o in quarta elemen-tare, cominciai a sfogliarli, rimanendone affa-scinata, e andai poi avanti fino alla fine della guerra a guardarli e riguardarli. A “studiarli” senza esserne consapevole.

Life fu a quel tempo la migliore scuola di fotografia che potessi frequentare, tanto è vero che quando feci il mio primo servizio a l8 o l9 anni sul carnevale di Monaco di Baviera, que-sto venne subito acquistato e pubblicato con grande risalto dal settimanale Le Ore, agli ini-zi della sua pubblicazione, quando la rivista ci teneva ancora all’eccellenza delle immagini.

Sempre grazie a Life ebbi il primo contat-to che ricordo col mondo orientale. Mi riferi-sco a quel famoso servizio di Margaret Bour-ke-White su Gandhi. Con una foto di Gandhi a torso nudo, il dhoti dei contadini (al posto dei pantaloni), seduto per terra, che dipana coto-ne all’arcolaio.

[…] Imparai a sviluppare e stampare i ne-gativi nella camera oscura dell’agenzia “Gian-colombo”, al Palazzo della Stampa in Piazza Ca-vour. Lavoravo con un giovanissimo Carlo Orsi che divenne un ottimo fotografo. Lui, Gianco-lombo, era già notissimo per avere fotografato la Contessa Bellentani in quella serata di gala a villa d’Este, dove lei, poco dopo, avrebbe ucciso con un colpo di pistola l’amante.

In agenzia ero amica della sorella di Elio Pagliarani. Lei vi lavorava come segretaria e factotum, sempre di buon umore e pronta ad aiutare tutti. Avendo cominciato a frequentare il bar Jamaica a sedici anni, conoscevo benis-simo tutti i fotografi che si ritrovavano lì quasi ogni giorno: Mulas, Dondero, Alfa Castaldi, Piero Scalfatti, Luigi Bavagnoli, piu tardi (per-ché più giovane di noi), Uliano Lucas. E, tra gli italiani (non Jamaicani), Pietro Donzelli, Luigi Ghirri e Italo Zannier.

Rileggo l’ultimo paragrafo e mi rendo con-to di aver dato solo i cognomi di Mulas e Don-dero (Ugo e Mario), perché li penso sempre in musica. Quella di una canzone brasiliana di successo: Mulher, mulher rendeira che qual-cuno del Jamaica aveva felicemente modifica-to in Mulaaas, Mulas Dondero.

Non tutto era solo divertente. Ero molto impacciata, per esempio, nel presentarmi ai direttori di giornali, nel proporre servizi e nel saperli vendere, ma ogni tanto mi riuscì di fare dei “bei” colpi.

Nel ’55 vendetti a Epoca, allora diretta da Enzo Biagi, un vastissimo servizio su tutti i quartieri di New York, fatto in tre mesi nel ’54: Little Italy, Harlem, China Town, il quartiere ebraico, quello dei negozi dei gioielli, degli an-

tiquari, quello dei russi bianchi, Wall Street, le Avenues n più ricche e famose, nonché la Bowery, territorio di alcolisti, con le strade

scintillanti al sole per un loro inimmaginabi-le, spesso “tappeto” di vetri di bottiglia rotti e frantumati dal traffico. Sui marciapiedi, dai passi della gente. Quando tornai alla Bowery negli anni Settanta per fotografare William Burroughs e John Giorno, la zona era stata del tutto ripulita. Ma la grande delusione di quel servizio su New York fu che Epoca lo tenne nel cassetto per quasi vent’anni prima di pubbli-care soprattutto le foto di Harlem, quando ci furono i moti di rivolta degli afro-americani (allora chiamati “negri”) nelle principali città (Sto scrivendo un testo di storia?) […] ■

4 SUPPLEMENTO SETTIMANALE DI «LE CRONACHE DEL SALERNITANO» ● DOMENICA 29 MARZO 2015 ● Anno II ● Numero 30 ● www.cronachesalerno.it

post mortem, attribuito a Gilio di Pietro (Orte, Museo Diocesano). Importante – e di maggior commozione per il visitatore – è la sezione che ospita le più antiche immagini devozionali del san-to, raffiguranti i più noti tra gli episodi agiografici.

Il Maestro di San Francesco e il Maestro dei Crocifissi fran-cescani, presenti nella rassegna, sono due tra i protagonisti del-la pittura su tavola e in affresco nel corso del Duecento. Con essi, una vasta campionatura di tecniche artistiche e tipologie morfologiche: piccole tavole per la devozione privata, dossali per gli altari delle maggiori chiese dell’Ordine, grandiosi com-plessi d’altare. P

L’epopea francescana in Asia orientale fu generata dall’im-pulso stesso dell’azione di Francesco e iniziata nel 1245 con Giovanni da Pian del Carpine. Giovanni da Montecorvino sarà consacrato nel 1313 primo vescovo di Khanbaliq (Pechino). L’anno successivo, il Beato Odorico da Pordenone (1286–1331) – noto all’epoca come l’“Apostolo dei Cinesi” – intraprese un viaggio incredibile, sostenuto dal fervore missionario che lo porterà prima in Asia Minore (Trebisonda, Baghdad), poi in India (Bombay) a Ceylon e Canton, ed ancora a Pechino per incontrare poi i Mongoli della dinastia Yuan (1279-1368). Ri-entrato in patria dopo un viaggio avventuroso, attraverso Per-sia, Armenia…, Odorico riferì al Papa lo stato delle missioni in Oriente in una dettagliata Relatio. Un grande affresco (di cul-tura tardo-gotica), presente in mostra, staccato dalla chiesa di San Francesco a Udine, introduce il visitatore alle sue straordi-narie vicende.

Ma segni ancora visibili delle missioni guidate da france-scani-legati pontifici ad Tartaros per rimediare alla separa-zione delle chiese orientali, per offrire i benefici spirituali della dottrina cristiana e per frenare le aggressioni mongole e, in Terra santa, l’irruenza mussulmana, sono testimoniate dalle Epistolae et relationes, per la maggior parte provenienti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. Altrettanto significativi, i docu-menti d’archivio e i reperti archeologici esposti, provenienti dal Museo della Custodia di Terra Santa (Gerusalemme) e dal Mu-seo della Basilica dell’Annunciazione di Nazareth. E «proprio la ricchezza e varietà delle tradizioni religiose dell’Asia oltre la Terra Santa, e sino alla Cina – fra tutte le comunità cristiane siro-orientali o nestoriane e il buddhismo – risaltano nella mo-stra grazie a un gruppo di reperti litici e di vari altri manufatti, provenienti da alcuni prestigiosi musei della Repubblica Popo-lare Cinese, quasi tutti dei secoli XIII-XIV e legati così diret-tamente o indirettamente alla coeva presenza francescana in Cina».

PMolti sono i capolavori ispirati dall’impulso di Francesco in

ambito italiano. A cominciare da il Maestro di Figline, probabile membro dell’Ordine francescano, uno dei più originali seguaci della cultura giottesca. Già noto con il nome convenzionale di Maestro della Pietà Fogg, dalla tavola di un Compianto che gli fu (e gli viene ancora) attribuita, l’anonimo artista (umbro o toscano), molto attivo su tavola, in affresco e nella decorazione di vetrate dipinte, divenne Maestro di Figline. in seguito all’at-tribuzione della Madonna in trono della collegiata di S. Maria a Figline Valdarno, la sua opera più rappresentativa.

Anche in piena Rinascimento la committenza dell’Ordine si avvale dei maggiori tra gli artisti attivi: Carlo Crivelli, An-toniazzo Romano e Bartolomeo della Gatta. Sul versante della scultura, basterà citare – tra gli artisti presenti – Nicola Pisano, Domenico di Niccolò dei Cori, Tullio Lombardo e Andrea Del-la Robbia, il Maestro dei Crocifissi. Mentre, tra vetri dipinti, graffiti, manoscritti miniati, appare assai cospicuo e prezioso il contributo offerto nel campo delle cosiddette arti minori.

PLa mostra – organizzata dalla Galleria dell’Accademia, in

collaborazione con l’Ordine dei Frati Minori, e ideata scienti-ficamente con la Commissio Sinica (Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani, Pontificia Università Antonianum di Roma) – si ricollega strettamente alla vasta raccolta della Gal-leria dell’Accademia, di cui fa parte il ciclo composto da una lu-netta e da ventidue formelle quadrilobate raffiguranti le storie parallele di Cristo e di San Francesco, l’Alter Christus, opera di Taddeo Gaddi, provenienti dalla sacrestia della Basilica france-scana di Santa Croce a Firenze. L’esposizione presenta le due formelle conservate nella Alte Pinakothek di Monaco di Baviera (Prova del fuoco davanti al sultano e Morte del cavaliere di Celano) che saranno riunite al complesso di provenienza.

Mostra e catalogo sono a cura di Angelo Tartuferi, e Fran-cesco D’Arelli. Comitato scientifico: Cristina Acidini, Eugenio Alliata, Lia Brunori, p. Giuseppe Buffon, p. Alvaro Cacciotti, Franco Cardini, Francesco D’Arelli, Igor De Rachewiltz, Sergio Ferdinandi, Chiara Frugoni, p. Fortunato Iozzelli, Ada Labrio-la, p. Pietro Messa, Enrica Neri Lusanna, Antonio Paolucci, p. Massimo Pazzini, Delio Vania Proverbio, Paola, Refice, p. Paci-fico Sella, Angelo Tartuferi, André Vauchez ■

a Gilles Jacob (ex presidente del festival di Cannes) e Pierre Lescure (l’attuale) da editori (Gallimard) a rappresentanti uffi-ciali della cultura, come la ministra della cultura Fleur Pellerin ed Aurélie Filippetti che l’ha preceduta. Ed è di qualche gior-no addietro la presa di posizione di Hollande che, sollecitato dal comitato di sostegno a De Luca, in occasione della visita al Salone del libro di Parigi, ha detto: «Non voglio interveni-re nelle questioni giudiziarie, ma quel che posso fare in nome della Francia è sostenere sempre la libertà di espressione e di creazione e questo vale anche per gli autori che possono essere francesi o italiani o di qualsiasi nazionalità e che non devono essere perseguiti per i loro testi».

Intervistato, domenica scorsa, subito dopo la diffusione delle parole del presidente francese – e poco prima, purtrop-po, di essere ricoverato in ospedale per un malore a seguito di un’arrampicata –, Erri De Luca ha ricordato come in Francia sia sempre stata alta la considerazione nei confronti degli scrit-tori e degli intellettuali: «Penso a Charles De Gaulle, quando Sartre e altri intellettuali promossero un appello alla diserzio-ne nella guerra all’Algeria. Ebbene, a coloro che chiedevano di processare i promotori di quell’appello il generale rispose: “Non si processa Voltaire”. I francesi hanno sempre coltivato una sensibilità più alta su questi temi, sono i primogeniti dei diritti civili e l’hanno dimostrato con una magnifica risposta di popolo dopo l’attacco a Charlie Hebdo, scendendo in piazza a Parigi».

Ma quel che più conta è il punto segnato a suo favore nell’u-

dienza del 16 marzo (la prossima, che vedrà l’interrogatorio dello scrittore, è fissata per il 20 maggio). Mentre i pm Parodi e Rinaudo hanno, infatti, sostenuto con fermezza che, dopo le parole di De Luca, a partire dal settembre 2013, le violenze nei cantieri TAV sarebbero aumentate, in tribunale, al contrario, è avvenuto che, alla domanda del giudice se questi sabotaggi fossero aumentati a seguito della famigerata intervista, il re-sponsabile della Questura torinese ha risposto con un secco “No”. Una soddisfazione che fa il paio con il successo (più di centomila copie vendute) del pamphlet La parola contraria (in 64 pagine intense e battagliere si narrano genesi e significato del processo): un acquisto di solidarietà (Feltrinelli ha imposto un prezzo di copertina di € 4,00), e non solo letterario, afferma l’autore: «questo per me ha molto significato, così come signifi-cano molto i circoli di lettura sparsi in tutta Italia dove, sempre per solidarietà nei miei confronti, si leggono i miei libri».

Mentre è possibile scrivere, aderire, comunicare iniziative di sostegno a “IostoconErri”, pagina internet tenuta aperta da estimatori dell’autore di Montedidio (2001), si moltiplicano gli eventi a difesa della libertà di opinione (non solo degli intel-lettuali). A Napoli, città natale (1950) di De Luca, a darsi da fare, tra altri e più di altri, è l’editore-libraio Raimondo De Maio (Dante&Descartes), organizzatore di letture pubbliche affolla-te, in libreria e altrove, dei libri del suo amico Erri: «eventi» precisa «con i quali ci stiamo inventando un nuovo modo di conciliare politica e letteratura» ■

A FIRENZE, I FRANCESCANI,ARTISTI E VIAGGIATORI

IL CASO ERRI DE LUCA / TAV

Sono molte le case discografiche che in occasione dei cento anni dalla nascita (20 marzo) di Svjatoslav Richter hanno deciso di rendere il doveroso tributo al poco meno che

leggendario pianista. Naturalmente – come spesso capita con le etichette che lo propongono – bisogna essere esperti o saper-si lasciar guidare per discernere il buono dal cattivo, l’inutile dall’interessante, stante l’abitudine di grandi marchi di ripro-porre in continuazione le stesse incisioni, spesso senza rivedere neanche i libretti che le accompagnano.

Con tale premessa, sarà sufficiente soffermarsi solo sulla Sony Classical e sulla russa Melodija che sta pubblicando le re-gistrazioni del festival da camera moscovita del dicembre 1985 (festival per altro fondato dallo stesso pianista quattro anni prima). Quell’anno il tema base del festival – che, finché durò, costituì un felice incontro di grandi artisti, nella Sala Bianca del Museo Puskin.– era “il Romanticismo”: Chopin, Schubert, Schumann. L’ensemble: Oleg Kagan, violino; Natalija Gutman, violoncello; Anatolij Kamylev, clarinetto; Jurij Bašmet, viola; Richter al piano.

A giudizio di molti – Rob Cowan di Gramophone compreso – il momento più alto, denso di poesia e canto, sarebbe rappre-sentato dal duo Kagan-Richter nella Sonata per violino e piano D 574 di Schubert. Con la Gutman, invece, il grande pianista di origini ucraine ci offre la chopiniana Sonata per violoncello. I tre poi sono bellamente insieme per un primo trio shumaniano

Classica. Cento di questi Richternota di Salvatore Riza

Per la Sony, abbiamo davanti finalmente il primo cofanetto con i diciotto CD promessi per il centenario. Una ristampa di tutte le incisioni uscite nel corso degli anni per la Columbia e per la RCA, con la maggior parte dei brani che compongono la tracklist suonati nel corso della tournée americana del 1960. In tale contesto un ruolo significativo riveste la ristampa uffi-ciale su CD dei concerti che furono tenuti alla Carnegie Hall (materiale finora disponibile su Doremi, unica ad aver tentato una operazione di trasferimento dai vecchi lp, ma con risultati qualitativamente discutibili ■